G. BERRUTO M. CERRUTI, LA LINGUISTICA. UN CORSO INTRODUTTIVO (UTET 2011)
CAP. 1 IL LINGUAGGIO VERBALE 1.1 LINGUISTICA, LINGUE, LINGUAGGIO, COMUNICAZIONE Definizione di linguistica: ramo delle scienze umane che studia la lingua. Si può suddividere in due sottocampi principali: - La linguistica generale, che studia cosa sono, come sono fatte e come funzionano le lingue; - La linguistica storica, che si occupa dell’evoluzione delle lingue nel tempo, dei rapporti fra le lingue e fra lingua e cultura. Oggetto della linguistica sono dunque le cosiddette lingue storico-naturali, cioè le lingue nate spontaneamente lungo il corso della civiltà umana e usate dagli esseri umani: l’italiano, il francese, il romeno, lo svedese, il russo, il cinese, il tongano, il latino, il sanscrito, lo swahili, il tigrino, il piemontese. Tutte le lingue storico-naturali sono espressione di quello che viene definito il linguaggio verbale umano, facoltà innata nell’homo sapiens e uno degli strumenti e dei modi di comunicazione che questi ha a disposizione. Da questo punto di vista, non c’è differenza tra lingue e dialetti, perché tutti i sistemi linguistici sono manifestazione specifica del linguaggio verbale umano. La distinzione, semmai, è basata su considerazioni sociali e storicoculturali e in questo caso entra in campo la sociolinguistica. Per inquadrare il linguaggio verbale umano fra i vari tipi di comunicazione è utile partire dalla nozione di segno. Un segno è qualcosa che sta per qualcos’altro che serve per comunicare questo qualcos’altro (comunicare significa ‘mettere in comune’). Si può avere una concezione molto larga oppure molto stretta di cosa vuol dire ‘comunicare’. La definizione di comunicazione in senso largo implica il fatto che tutto può comunicare qualcosa (anche i fatti di natura) ed è suscettibile di interpretazione. In senso lato, dunque, comunicazione equivale a ‘passaggio di informazione’. È più utile, però, intendere comunicazione in senso più ristretto, che implica come ingrediente fondamentale l’intenzionalità. Si ha dunque comunicazione in senso stretto quando c’è un comportamento prodotto da un emittente al fine di far passare un’informazione che viene percepita da un ricevente in grado di recepire il messaggio come tale; altrimenti si ha un semplice passaggio di informazione. Con più precisione, all’interno del fenomeno generale della comunicazione si possono distinguere tre categorie, a seconda del carattere di chi produce il messaggio (emittente), di chi lo riceve (ricevente) e dell’intenzionalità del loro comportamento: A. Comunicazione in senso stretto: 1. emittente intenzionale; 2. ricevente intenzionale (es., linguaggio verbale umano, gesti, tutti i sistemi artificiali di comunicazione: segnalazioni stradali, ecc.) B. Passaggio dell’informazione: 1. emittente non intenzionale; 2. ricevente (interpretante) intenzionale (es., parte della comunicazione non verbale umana: postura, paralinguistica, prossemica; orme animali; sintomi fisici; ecc.); C. Formulazioni di inferenze: 1. nessun emittente (presenza di un ‘oggetto culturale’ interpretato come volto a fornire un’informazione); 2. interpretante (es.: case dai tetti aguzzi = “qui nevica molto”, “ci si veste in un certo modo”, ecc.). Da A a B a C il ‘codice’ di riferimento che permette di interpretare l’informazione diventa meno forte e rigoroso e l’associazione fra un certo segnale e l’informazione che veicola è più lasca, più soggetta a fraintendimenti. Comunicazione è quindi da intendere come trasmissione intenzionale di informazione.
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1.2 SEGNI, CODICE Il segno è l’unità fondamentale della comunicazione. Esistono diversi tipi di segni. Una possibile classificazione (tassonomia) dei segni, basata sui due criteri fondamentali dell’intenzionalità e della motivazione relativa, cioè del grado di rapporto naturale esistente tra le due facce del segno (il ‘qualcosa’ e il ‘qualcos’altro’ per cui il primo sta) può essere: 1. INDICI (sintomi): motivati naturalmente, non intenzionali (basati sul rapporto causa-effetto. Es. starnuto = “avere il raffreddore”; nuvole scure = “sta per piovere”); 2. SEGNALI: motivati naturalmente, usati intenzionalmente (es. sbadiglio volontario = “sono annoiato”); 3. ICONE (dal gr. ‘immagine’): motivati analogicamente, intenzionali (basati sulla similarità di forma o struttura, riproducono proprietà dell’oggetto designato. Es. carte geografiche, mappe, fotografie…); 4. SIMBOLI: motivati culturalmente, intenzionali (es. colore nero/bianco = lutto; rosso del semaforo = ‘fermarsi’; colomba con ramo d’ulivo = ‘pace’, ecc.); 5. SEGNI (in senso stretto - in ing symbols): non motivati (arbitrari, immotivati, convenzionali), intenzionali (es. messaggi linguistici; il suono del telefono di una linea occupata; segnali stradali; comunicazione gestuale, ecc.). Dalla categoria 1 alla 5 la motivazione che lega il ‘qualcosa’ al ‘qualcos’altro’ che viene comunicato diventa sempre più convenzionale, immotivata, meno diretta. Da 1 a 5 aumenta quindi la specificità dei segni: mentre gli indici, in quanto fatti di natura, sono di valore universale, uguali per tutte le culture in ogni tempo, i simboli e ancor più i segni in senso stretto sono dipendenti da ogni singola tradizione culturale. In conclusione, i segni linguistici (es. la parola gatto o la frase ho mangiato una mela, ecc.) sono segni in senso stretto, prodotti intenzionalmente per comunicare, essenzialmente arbitrari. Nella comunicazione in senso stretto c’è dunque un emittente che emette, produce intenzionalmente un segno per un ricevente. Ma cosa consente al ricevente di interpretare un segno? Il fatto è che il segno riconduce a un codice di cui fa parte e che permette di attribuirgli un significato. Per ‘codice’ più precisamente si intende l’insieme di corrispondenze, fissatesi per convenzione, fra qualcosa (‘insieme manifestante’) e qualcos’altro (‘insieme manifestato’) che fornisce le regole di interpretazione dei segni. Tutti i sistemi di comunicazione sono dei codici e i segni linguistici costituiscono il codice lingua. 1.3 LE PROPRIETÀ DELLA LINGUA Ci si chieda ora quali proprietà presenti il codice lingua (o il linguaggio verbale umano o, meglio ancora, ogni lingua storico-naturale), quali di queste proprietà siano condivise con altri codici e quali di queste proprietà siano invece caratterizzanti. 1.3.1 BIPLANARITÀ Una prima e ovvia proprietà di tutti i segni e anche di quelli linguistici, è la biplanarità, cioè il fatto che ci siano in un segno due piani compresenti, il ‘qualcosa’ e il ‘qualcos’altro’, ovvero il significante (o ‘espressione’ o ‘forma’) e il significato (o ‘contenuto’). Il significante-espressione è la parte fisicamente percepibile del segno che cade sotto i nostri sensi (es. la parola gatto, pronunciata o scritta); il significato-contenuto è la parte non materialmente percepibile, ossia l’informazione (il ‘qualcos’altro’, nel nostro es. il concetto di “gatto”) veicolata dalla parte percepibile. Tutti i segni sono costituiti da significante e significato e un codice è un insieme di corrispondenze fra significanti e significati. NB. D’ora in poi i significanti saranno indicati in corsivo e i “significati” tra “virgolette”. 1.3.2 ARBITRARIETÀ Altra importante proprietà dei segni in senso stretto e quindi anche linguistici è l’arbitrarietà. Non c’è alcun legame naturalmente motivato derivabile empiricamente o per via di ragionamento logico tra il significante e il significato di un segno. Il significante gatto non ha nulla a che vedere, intrinsecamente, con l’animale “gatto”. I rapporti che ci sono tra significato e significante non sono dati naturalmente, ma posti per convenzione e quindi sono arbitrari.
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Se i segni linguistici non fossero arbitrari, le parole nelle diverse lingue sarebbero molto simili. Ma, non essendo così, ciò implica che tra la natura di una cosa e la parola che la designa non c’è alcun rapporto se non quello posto dalla convenzione del codice linguistico adottato. Esistono, però, quattro tipi o livelli diversi di arbitrarietà, e le entità in gioco, in questo caso, non sono più due (significante e significato) ma tre. La cosa è spesso presentata con il cosiddetto ‘triangolo semiotico’, dove i tre vertici rappresentano le tre entità in gioco: un significante, attraverso il significato che veicola e con cui si associa (dando forma al segno), si riferisce a un elemento della realtà esterna, extralinguistica, un referente. La parola sedia, segno formato dalle due facce del significante e del significato, si riferisce all’oggetto reale e lo identifica. La linea di base del triangolo è tratteggiata perché il rapporto tra significante e referente non è diretto ma mediato dal significato. In base a questo schema possiamo allora definire i quattro tipi di arbitrarietà della lingua: a. A un primo livello, è arbitrario il rapporto tra segno e referente (o designatum), cioè non c’è alcun legame naturale e concreto fra un elemento della realtà esterna e il segno a cui è associato; b. A un secondo livello, è arbitrario il rapporto tra significante e significato, cioè il significante, come sequenza di lettere o suoni, non ha alcun legame, se non per convenzione, con il significato a cui è associato nella lingua italiana; c. A un terzo e più profondo livello, è arbitrario il rapporto tra forma (struttura, organizzazione interna) e sostanza (materia, insieme di fatti) del significato; d. A un quarto livello, infine, è arbitrario il rapporto tra forma e sostanza del significante, perché ogni lingua sceglie secondo propri criteri le entità rilevanti della materia fonica. Il significante dei segni linguistici, infatti, è primariamente di carattere fonico-acustico, costituito cioè da onde sonore che rappresentano la sostanza su cui ogni lingua effettua le sue pertinentizzazioni. Un esempio di identica sostanza fonica organizzata in maniera diversa dalle diverse lingue può essere dato dalla quantità o durata delle vocali. Al principio dell’arbitrarietà radicale dei segni linguistici esistono alcune eccezioni. Tra queste ci sono le onomatopee, che riproducono o richiamano nel loro significante i caratteri fisici di ciò che designano. Certe parole (ad es. miagolio, tintinnio, sussurrare, ecc.) che imitano nella loro sostanza di significante il suono o il rumore che designano, presentano quindi un aspetto più o meno iconico. Sarebbero pertanto più icone che simboli o segni in senso stretto. Inoltre, anche le onomatopee possiedono un certo grado di integrazione nella convenzionalità arbitraria del sistema linguistico che le adotta. Più strettamente iconici sono invece gli ideofoni, cioè espressioni imitative o descrittive che designano fenomeni naturali o azioni, spesso usate nei fumetti, come ad es. boom-bum (‘fragore’), zac (‘taglio netto’), glu-glu (‘trangugiare’). Riguardo il carattere iconico del linguaggio verbale recenti concezioni tendono a ridurre l’importanza cruciale dell’arbitrarietà, notando come anche nella grammatica esistano meccanismi iconici, dunque motivati. Per esempio, la formazione del plurale con l’aggiunta di materiale linguistico presenta più materiale fonico che non la forma singolare e obbedirebbe, dunque, a un principio di iconismo. Un’altra prospettiva che vede più motivazione nei segni linguistici è quella che sostiene l’importanza del fonosimbolismo, affermando che certi suoni sono per loro natura associati a certi significati. Il suono i, per esempio, vocale chiusa e fonicamente piccola (prodotta con minima apertura della bocca), sarebbe connesso con le cose piccole e, quindi, designerebbero di preferenza la proprietà della piccolezza. 1.3.3 DOPPIA ARTICOLAZIONE Altra importante proprietà del linguaggio verbale umano, la doppia articolazione consiste nel fatto che il significante di un segno linguistico è articolato su due livelli nettamente diversi. A un primo livello, il significante di un segno linguistico è organizzato e scomponibile in unità (mattoni) che sono ancora portatrici di significato e che vengono riutilizzate (con lo stesso significato) per formare altri segni (prima articolazione); la parola gatto è scomponibile in due ‘pezzi’ più piccoli gatt- e -o che recano ciascuno un proprio significato (rispettivamente ‘felino’ e ‘uno solo’) e suscettibili di comparire col medesimo significato in altre parole (gatt-i, gatt-ino, gatt-are, ecc.). Tali pezzi costituiscono le unità minime di prima articolazione che non possono essere ulteriormente scomponibili in elementi più piccoli che rechino ancora un significato. Ogni segno linguistico è analizzabile e scomponibile in unità minime di prima articolazione che chiameremo morfemi.
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Ad un secondo livello (seconda articolazione), i morfemi risultano ulteriormente scomponibili in unità più piccole che però non sono più portatrici di significato autonomo. Tali elementi, che non sono più segni perché non hanno un significato, sono i fonemi, che costituiscono le unità minime di seconda articolazione. Non esistono altri codici di comunicazione naturali che possiedano una doppia articolazione piena e totale come la lingua. Essa consente alla lingua una grande economicità di funzionamento: con un numero limitato (poche decine) di fonemi, ‘mattoni’ elementari di costruzione privi di significato, si può costruire un numero grandissimo di unità dotate di significato. Quindi è molto importante nella strutturazione della lingua il principio della combinatorietà: la lingua funziona fondamentalmente combinando unità minori prive di significato proprio per formare un numero indefinito di unità maggiori (segni). È questo principio che consente alla lingua una produttività illimitata. 1.3.4 TRASPONIBILITÀ DI MEZZO Il significante dei segni linguistici possiede un’altra proprietà molto importante: può essere trasmesso sia attraverso il mezzo aria, il canale fonico-acustico (sotto forma di suoni prodotti dall’apparato fonatorio umano), sia attraverso il mezzo luce, il canale visivo o grafico (sotto forma di segni ricevuti tramite l’apparato visivo umano). Tale proprietà prende il nome di trasponibilità di mezzo. Anche se i segni linguistici possono essere trasmessi o oralmente o graficamente, il carattere orale è tuttavia prioritario rispetto a quello visivo. Il canale fonico-acustico appare quindi come il canale primario perché una delle proprietà del linguaggio umano è la fonicità. Apriamo qui un exursus su lingua parlata e lingua scritta. Il parlato ha una priorità antropologica rispetto allo scritto. Tutte le lingue che hanno una forma e un uso scritti sono anche parlate, mentre non tutte le lingue parlate hanno una forma scritta: infatti, migliaia di lingue in Africa e in Oceania non hanno una scrittura, una notazione grafica che permetta una comunicazione scritta. Inoltre, il parlato ha una netta prevalenza nell’uso: parliamo molto di più di quanto scriviamo e attraverso il canale orale facciamo molte più cose che non con lo scritto. Ci sono poi una priorità ontogenetica (ogni individuo umano impara prima a parlare a poi a scrivere) e una priorità filogenetica del parlato, perché nella storia della nostra specie, la scrittura si è sviluppata molto tempo dopo il parlare. Le prime attestazioni in forma scritta della lingua risalgono a non più di cinque millenni prima di Cristo (scrittura pittografica), e quelle di un sistema vero e proprio, cioè la scrittura cuneiforme presso i Sumeri, risale a circa il 3500 a.C. La scrittura alfabetica nasce sotto forma di scrittura consonantica presso i Fenici (1300 a.C.) come sviluppo della scrittura ugaritica (Siria) ancora di tipo cuneiforme, da cui, nel corso del primo millennio a.C., deriveranno gli alfabeti ebraico, aramaico (da cui l’arabo) e greco (da cui evolveranno l’alfabeto cirillico e il latino - cfr. Box 1.1 p. 16). Invece le origini del linguaggio sono certamente più antiche. È ipotizzabile che qualche forma embrionale di comunicazione orale con segni linguistici fosse già presente nell’Homo habilis e nell’Homo erectus (quindi tre milioni di anni fa). Sicuramente il linguaggio era presente nell’Homo neanderthalensis e nell’Homo sapiens sapiens. Il canale fonico-acustico e l’uso parlato della lingua presentano d’altronde una serie di vantaggi biologici e funzionali rispetto al canale visivo o all’uso scritto: a. Purché vi sia presenza di aria, possono essere utilizzati in qualunque circostanza ambientale e consentono la trasmissione anche in presenza di ostacoli fra emittente e ricevente e a (relativa) distanza (le tecniche attuali di riproduzione della voce consentono ai messaggi di viaggiare oggi a qualsiasi distanza e anche in assenza d’aria); b. Non ostacolano altre attività (possono essere usate in concomitanza con altre attività fisiche o intellettive); c. Permettono la localizzazione della fonte di remittenza del messaggio; d. La ricezione è contemporanea alla produzione del messaggio; e. L’esecuzione parlata è più rapida di quella scritta; f. Il messaggio può essere trasmesso simultaneamente ad un gruppo di destinatari diversi e può essere colto da ogni direzione; g. Il messaggio è evanescente, ha rapida dissolvenza, libera il canale e lascia il passaggio ad altri messaggi; h. L’energia specifica richiesta è molto ridotta, il parlare è concomitante con la respirazione e ne può essere considerato un sottoprodotto specializzato. Nelle società moderne, tuttavia, lo scritto ha una certa priorità sociale: ha maggiore importanza, prestigio e utilità sociale e culturale; è lo strumento di fissazione e di trasmissione del corpo legale, della tradizione culturale e letteraria e del sapere scientifico; è il veicolo fondamentale dell’istruzione scolastica; ha validità giuridica. D’altronde la realizzazione parlata e quella scritta non sono diretta rappresentazione l’una dell’altra. Lo scritto è nato come fissazione, trascrizione del parlato; ma si è poi sviluppato con aspetti e caratteri in parte propri e non
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tutto ciò che fa parte del parlato (es. il tono di voce) può essere reso e corrispondente nello scritto, né tutto ciò che fa parte dello scritto (es. l’uso delle maiuscole) può essere reso e avere un corrispondente nel parlato e la diversità del mezzo crea in parte dei caratteri strutturali diversi e irriducibili. 1.3.5 LINEARITÀ E DISCRETEZZA Altra proprietà dei segni, più propriamente del significante. Per linearità del segno linguistico si intende che il significante viene prodotto, si realizza e si sviluppa in successione nel tempo e/o nello spazio. Non possiamo decodificare il segno e capire completamente il messaggio se non dopo che siano stati attualizzati uno dopo l’altro tutti gli elementi che lo costituiscono. La linearità implica anche la monodirezionalità del segno, una proprietà strutturale connessa strettamente con la doppia articolazione ed è una delle precondizioni che la rendono possibile. Relativa sempre al significante è la proprietà dei segni a essere discreti. Per discretezza dei segni si intende il fatto che la differenza fra gli elementi, le unità della lingua, è assoluta, nel senso che e’è un confine preciso fra un elemento e un altro. 1.3.6 ONNIPOTENZA SEMANTICA, PLURIFUNZIONALITÀ E RIFLESSIVITÀ Una proprietà generale del linguaggio verbale che lo contrassegna profondamente è l’onnipotenza semantica, che consisterebbe nel fatto che con la lingua è possibile dare un’espressione a qualsiasi contenuto. Con la lingua dunque si può parlare di tutto, anche se è più prudente parlare di plurifunzionalità della lingua. Per plurifunzionalità si intende che la lingua permette di adempiere ad una lista molto ampia di funzioni diverse. Fra le più evidenti e rilevanti possiamo menzionare: esprimere il pensiero; trasmettere informazioni; instaurare, mantenere e regolare attività; manifestare stati d’animo; risolvere problemi; creare mondi possibili. A tal proposito ricorre lo schema di classificazione proposto da Roman Jakobson, che identifica sei (classi di) funzioni nell’evento comunicativo (cfr. Fig. 1.4 p. 24). La comunicazione implica la presenza di almeno sei fattori, e a ciascuno può essere collegata una funzione. Ogni funzione sarebbe incentrata su uno dei sei fattori, criterio di riconoscimento della funzione stessa: 1) un messaggio linguistico volto ad esprimere sensazioni del parlante avrebbe prevalentemente funzione emotiva o ‘espressiva’ (es. “che bella sorpresa!”); 2) un messaggio volto a specificare aspetti del codice o calibrare il messaggio sul codice avrebbe prevalente funzione metalinguistica (es. “ho detto pollo non polo!”); 3) un messaggio volto a dare informazioni sulla realtà esterna avrebbe funzione referenziale (es. “l’intercity per Milano delle ore 15 parte sul binario due”); 4) un messaggio volto a far agire in qualche modo il ricevente, ottenendo da lui un certo comportamento avrebbe funzione conativa (es. “chiudi la porta!”); 5) un messaggio volto a verificare e sottolineare il canale di comunicazione e/o il contatto fisico o psicologico fra i parlanti avrebbe funzione fàtica (es. “pronto, chi parla?”); 6) un messaggio volto a mettere in rilievo e sfruttare le potenzialità insite nel messaggio e i caratteri interni del significante e del significato avrebbe funzione poetica (es. “la gloria di Colui che tutto move per l’universo…”). Riguardo la funzione metalinguistica si rileva un’importante corollario all’onnipotenza o plurifunzionalità della lingua: con la lingua si può parlare della lingua stessa e la lingua di cui parla la meta lingua viene chiamata ‘linguaoggetto’. A tale proprietà viene dato nome di riflessività e non sembra che esistano altri codici di comunicazione che consentano di formulare messaggi su se stessi, che abbiano come oggetto il codice di comunicazione medesimo. 1.3.7 PRODUTTIVITÀ E RICORSIVITÀ Altra proprietà della lingua, connessa con la doppia articolazione e con l’onnipotenza semantica, è la produttività (o ‘apertura’, ‘creatività’, ‘produttività illimitata’) perché con la lingua è sempre possibile creare nuovi messaggi mai prodotti prima, parlare di cose nuove e di nuove esperienze mai sperimentate prima o anche di cose inesistenti. Più precisamente, con la lingua da un lato è possibile produrre messaggi sempre nuovi combinando in una nuova maniera significanti e significati, dall’altro è possibile associare messaggi già usati a situazioni nuove. La produttività è resa possibile in prima istanza dalla doppia articolazione, che permette una combinatorietà illimitata di unità più piccole formanti un sistema chiuso in unità via via più grandi e in un numero teoricamente infinito (cfr. Fig. 1.5 p. 26) e la produttività (o apertura del sistema) prende la forma di quella che è stata chiamata creatività regolare, cioè una produttività infinita basata su un numero limitato di regole applicabili ricorsivamente. La ricorsività è un’importante proprietà della lingua perché significa che uno stesso procedimento è riapplicabile un numero illimitato di volte, nel senso che da una parola posso ricavarne un’altra mediante l’aggiunta di un
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suffisso e questa regola di suffissazione è anch’essa ricorsiva (es. da atto si può avere attuale, da attuale si ha attualizzare, da attualizzare si ha attualizzabile, ecc.). 1.3.8 DISTANZIAMENTO E LIBERTÀ DA STIMOLI Corollario dell’onnipotenza semantica è il distanziamento, proprietà che riguarda il modo di significazione della lingua e che ha una notevole importanza, soprattutto per quanto concerne la differenza tra il linguaggio umano e i sistemi di comunicazione animali. Infatti per distanziamento si intende la possibilità di poter formulare messaggi relativi a cose lontane, distanti nel tempo, nello spazio o entrambi dal momento e dal luogo in cui si svolge l’interazione comunicativa. Ad esempio, mentre il mio gatto può comunicare miagolando che ha fame e vuole mangiare, non può comunicarmi in nessun modo che ieri aveva fame, con la lingua noi di solito parliamo di cose non presenti nella situazione e nell’ambiente immediatamente circostante, remote nello spazio e spesso anche nel tempo. Il distanziamento consiste essenzialmente nella possibilità di parlare di un’esperienza in assenza di tale esperienza, o dello stimolo che ha provocato tale esperienza. La libertà da stimoli consiste nel fatto che i segni linguistici rimandano a, e presuppongono, un’elaborazione concettuale della realtà esterna, e non semplicemente stati dell’emittente. In questo senso la lingua è indipendente dalla situazione immediata e dalle sue costrizioni (dai suoi stimoli). Gli aspetti esterni e la nostra reazione ad essi non sono causa né necessaria né sufficiente dell’emissione di un determinato messaggio ed è un criterio importante che distingue il linguaggio umano da quello animale. 1.3.9 TRASMISSIBILITÀ CULTURALE Antropologicamente ogni lingua è trasmessa per tradizione all’interno di una società e cultura. Le convenzioni che costituiscono il codice, la norma e il patrimonio di una determinata lingua passano da una generazione all’altra per insegnamento/apprendimento spontaneo, non attraverso informazioni genetiche, ereditarie. Questo non vuol dire che il linguaggio verbale umano sia un fatto unicamente culturale. Al contrario, la componente innata, parte del patrimonio genetico, è molto importante nel linguaggio verbale: in esso infatti vi è una componente culturaleambientale e una componente innata che fornisce la facoltà del linguaggio. L’interazione fra le due componenti fa sì che abbia un ruolo molto importante per l’acquisizione/apprendimento della lingua non solo la prima infanzia ma anche il periodo della cosiddetta prepubertà linguistica. Infatti, se entro gli 11-12 anni un giovane non è stato esposto a stimoli linguistici nell’ambiente in cui vive, lo sviluppo della lingua rimane bloccato. 1.3.10 COMPLESSITÀ SINTATTICA Ci sono infine due proprietà della lingua molto interessanti e meno legate alla natura materiale dei segni. Una di queste è che messaggi linguistici, a differenza dei messaggi di altri codici naturali, possono presentare un alto grado di elaborazione strutturale. La disposizione degli elementi in un segno linguistico infatti non mai indifferente e i rapporti fra gli elementi o parti del segno, danno luogo a una fitta trama plurima, percepibile nella sintassi del messaggio. Questa proprietà si può chiamare complessità sintattica. Fra gli aspetti che hanno rilevanza sintattica vi sono: - l’ordine degli elementi contigui: solo l’ordine ci permette di capire chi è che picchia nella frase Gianni picchia Giorgio; - le relazioni e le dipendenze che vigono fra elementi non contigui: in il libro di Chomsky sulle strutture sintattiche, l’elemento strutture sintattiche non dipende dal termine che lo precede Chomsky ma dall’elemento il libro; - le incassature: in Il cavallo che corre senza fantino sta vincendo il palio, la parte che corre senza fantino è incassata nella parte il cavallo sta vincendo il palio; - la discontinuità, ossia la possibilità che elementi o parti strettamente unite semanticamente o sintatticamente non siano linearmente adiacenti. Tutti questi fattori concorrono nel conferire al segno una complessità sintattica molto alta. 1.3.11 EQUIVOCITÀ La lingua, in quanto codice, possiede un’altra particolarità: è un codice tipicamente equivoco. È equivoco un codice che pone corrispondenze non biunivoche ma plurivoche fra gli elementi di una lista di significanti e quelli della lista di significati associata alla prima. A un unico significante possono infatti corrispondere più significati (omonimia e polisemia). Ad es. al significante carica possono essere associati i significati di ‘mansione, funzione, ufficio’, ‘quantitativo di energia’, ‘assalto’. Così a un significato possono corrispondere più significanti (sinonimia). Ad es. il significato ‘parte anteriore della testa’ può essere associato ai significanti faccia, viso, volto.
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L’equivocità è quindi un’importante proprietà della lingua che non costituisce un difetto ma un vantaggio: connessa all’onnipotenza semantica e alla produttività l’equivocità del codice lingua contribuisce a consentire l’eccezionale flessibilità dello strumento linguistico e la sua adattabilità ad esprimere contenuti ed esperienze nuove. 1.3.12 LINGUA SOLO UMANA? La facoltà verbale, ossia la capacità di esprimersi attraverso sistemi comunicativi come le lingue, è specie-specifica dell’uomo ed è maturata come tale nel corso dell’evoluzione. In particolare, solo l’uomo ha le precondizioni anatomiche e neurofisiologiche necessarie per l’elaborazione mentale e fisica del linguaggio verbale, vale a dire: a. Adeguato volume del cervello, plasticità dei collegamenti interneuronali; b. Conformazione del canale fonatorio ‘a due canne’, con un angolo (un cambiamento di direzione) fra una canna (il cavo orale) e l’altra (la laringe) e con un’ampia cavità intermedia (la faringe, che fa da cassa di risonanza). La prima condizione rende possibile la memorizzazione, l’elaborazione e la processazione di un sistema così anche neurologicamente complesso quale il linguaggio; la seconda consente le sottili distinzioni articolatorie nella produzione fonica necessarie per la comunicazione verbale. L’etologia, la psicologia animale e soprattutto la zoosemiotica (settore che si occupa della comunicazione animale), hanno accumulato una vasta serie di studi sui sistemi e i modi di comunicazione utilizzati da diverse specie animali, dalla comunicazione chimica delle formiche (mediante i feromoni) alle danze api (con le quali vengono comunicate direzione, distanza e consistenza delle fonti di cibo), ma in nessuna specie si sono riscontrate tutte o anche solo una parte delle proprietà che ritroviamo nella lingua. Le capacità acquisite da scimpanzé dopo anni di addestramento, risultano ridotte se confrontate con le capacità di un bambino di 3 anni. Nei casi migliori, gli scimpanzé arrivano a maneggiare un centinaio di segni e a formare un repertorio limitato di combinazioni di 3-4 segni con struttura molto semplice. Il loro comportamento sarebbe privo di intenzionalità comunicativa, e consisterebbe nella messa in opera di imitazione, un esercizio appreso più per ottenere una ricompensa che un reale comportamento linguistico. A tutt’oggi sembra che ci siano più argomenti per dare ragione a Noam Chomsky, noto linguista contemporaneo, quando sostiene che il linguaggio è una capacità innata ed esclusiva della specie umana. 1.3.13 DEFINIZIONE DI LINGUA In conclusione possiamo provare a fornire una definizione riassuntiva della nozione di lingua che tenga conto delle principali proprietà che la caratterizzano (cfr. Scheda 1.1 p. 33) e dire che la lingua è (a) un codice (b) che organizza un sistema di segni (c) dal significante primariamente fonico-acustico, (d) fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello e (e) doppiamente articolati, (f) capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile, (g) posseduti come conoscenza interiorizzata che permette di produrre infinite frasi a partire da un numero finito di elementi. 1.4 PRINCIPI GENERALI PER L’ANALISI DELLA LINGUA Rimane ora da fare un cenno a tre dicotomie o distinzioni binarie usate in linguistica, sorta di principi generali entro cui procedere nell’analisi della lingua. (Nel libro è messo al § precedente) 1.4.1 SINCRONIA E DIACRONIA La prima di queste distinzioni è tra sincronia e diacronia, termini che indicano due diverse condizioni con le quali si può guardare ai fatti linguistici in relazione all’asse del tempo. Per diacronia si intende la considerazione degli elementi della lingua nella loro evoluzione storica; per sincronia si intende invece la considerazione delle lingue guardando a come esse si presentano in un determinato momento agli occhi dell’osservatore prescindendo da quella che è stata la loro evoluzione temporale. Fare ad es. l’etimologia di una parola, cioè trovare la parola di un’altra lingua precedente da cui essa deriva, significa fare linguistica diacronica. Descrivere invece il significato che hanno oggi le parole significa fare linguistica sincronica. Nei fatti linguistici concreti è impossibile separare la dimensione sincronica da quella diacronica. Inoltre, la sincronia assoluta non esisterebbe, giacché la lingua è costantemente in evoluzione, se non in una finzione teorica. La distinzione tra la dimensione sincronica e quella diacronica rimane comunque uno dei fondamenti metodologici principali con cui ci si accosta alla lingua. Solo l’astrazione, infatti, permette di vedere come funziona il sistema linguistico. D’altronde al bambino che impara, la lingua appare in uno stato sincronico, del tutto indipendente dai suoi sviluppi precedenti. La linguistica sincronica spiega dunque come è fatta e come funziona la lingua, mentre quella diacronica spiega perché le forme di una lingua sono fatte così.
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1.4.2 LANGUE E PAROLE La seconda importante distinzione è quella fra sistema astratto e realizzazione concreta. La distinzione si è ripresentata, nella linguistica moderna, secondo tre terminologie principali: la coppia oppositiva langue e parole (uno dei cardini del pensiero di Ferdinand de Saussure); l’opposizione fra sistema e uso (di Hjelmslev e Coseriu); l’opposizione fra competenza ed esecuzione (performance), tipica della linguistica generativa di Chomsky. Col primo termine di tutte e tre le coppie s’intende l’insieme di conoscenze mentali, di regole interiorizzate insite nel codice lingua, che costituiscono la nostra capacità di produrre messaggi in una certa lingua e sono possedute come sapere astratto in ugual misura da tutti i membri di una comunità linguistica. Col secondo termine s’intende invece l’atto linguistico individuale, vale a dire la realizzazione concreta di un messaggio. Parole, uso e esecuzione, per essere messi in opera richiedono l’esistenza di langue, sistema o competenza, di cui sono l’esternazione. In particolare, la coppia langue/parole comprende una triplice opposizione tra ‘astratto’, ‘sociale’ e ‘costante’ da un lato (la langue) e ‘concreto’, ‘individuale’ e ‘mutevole’ dall’altro (la parole). 1.4.3 PARADIGMATICO E SINTAGMATICO La terza distinzione preliminare è tra asse paradigmatico e asse sintagmatico. Ogni attuazione di un elemento del sistema di segni in una certa posizione nel messaggio implica una scelta in un paradigma (o insieme) di elementi selezionabili in quella posizione: l’elemento che compare effettivamente esclude tutti gli altri elementi che pur potrebbero comparire in quella posizione e coi quali quel dato elemento ha appunto rapporti sull’asse paradigmatico (detto anche ‘asse delle scelte’, in absentia). D’altra parte l’attuazione di quell’elemento in una certa posizione implica la presa in conto degli elementi che compaiono nelle posizioni precedenti e susseguenti dello stesso messaggio, coi quali quell’elemento ha rapporti sull’asse sintagmatico (detto anche ‘asse delle combinazioni’, in praesentia) e coi quali deve sussistere coerenza sintagmatica lungo lo sviluppo lineare del messaggio (cfr. Fig. 1.6 p. 37). Si può anche dire che l’asse paradigmatico riguarda le relazioni a livello del sistema, l’asse sintagmatico riguarda invece le relazioni a livello delle strutture che realizzano le potenzialità del sistema (il gatto mangia). Dimensione paradigmatica e dimensione sintagmatica costituiscono dunque la duplice prospettiva secondo cui funzionano le strutture, le combinazioni di segni, e secondo cui esse vanno viste. La prima fornisce i serbatoi cui attingere le singole unità linguistiche, la seconda assicura che le combinazioni siano formate secondo le restrizioni adeguate per ogni lingua. * il mangia gatto, ad es., è una frase mal formata perché non rispetta la coerenza sintagmatica o le scelte paradigmatiche dell’italiano. L’organizzazione secondo i due principi dell’asse paradigmatico e dell’asse sintagmatico è molto importante in quanto dà luogo alla diversa distribuzione degli elementi della lingua, permettendo di riconoscere classi di elementi che condividono le stesse proprietà distribuzionali in opposizione a quelli che hanno distribuzione diversa. 1.4.4 LIVELLI D’ANALISI Dopo aver definito le proprietà della lingua e alcuni criteri con cui analizzarla, vediamo ora come è fatta. Partiremo dalla seconda articolazione, studiando come viene organizzata la materia grezza della lingua, cioè il piano del significante. Ci sposteremo poi alla prima articolazione, salendo via via di livello. Esistono nella lingua quattro livelli di analisi (o ‘strati’ o ‘piani’) stabiliti in base alle due proprietà della biplanarità e della doppia articolazione, che identificano tre strati diversi del segno linguistico: lo strato del significante come mero significante, lo strato del significante come portatore di significato, lo strato del significato. Tre livelli di analisi riguardano il piano del significante: uno per la seconda articolazione (fonetica e fonologia); due per la prima articolazione che riguardano l’organizzazione del significante in quanto portatore di significato (morfologia e sintassi); un ulteriore livello che riguarda solo il significato (semantica). Occorre accennare che vi sono sottolivelli di analisi della lingua: la grafematica, che riguarda i modi in cui la realtà fonica è tradotta in scrittura, e la pragmatica e testualità, che riguardano l’organizzazione dei testi in situazione. Di questi livelli di analisi o componenti del sistema linguistico, fonetica/fonologia e semantica rappresentano i livelli più esterni, ossia sono le interfacce del sistema con la realtà esterna: con la sostanza materiale che fa da supporto fisico alla comunicazione linguistica (fonetica); con la concettualizzazione che l’uomo fa del mondo in cui vive (semantica). Morfologia e sintassi rappresentano invece i livelli interni in cui il sistema si organizza secondo i principi che governano il linguaggio stesso. Il rapporto fra i diversi livelli di analisi e la loro posizione nel sistema linguistico può essere schematizzata come segue (Fig. 1.7 p. 39): REALTA’ FISICA Fonetica e fonologia
Morfologia
Sintassi
Lessico e semantica MONDO ESTERNO
COGNITIVAMENTE CODIFICATO 8