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Sagittari Laterza
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n classico che - al suo apparire, nel1959 - sol leva vivaci polemiche sui compiti e sul significato della speculazione filosofica. In questa nuova edizione si pubblica anche un lungo saggio autobiografico che ripercorre le tappe fonda mentali della formazione culturale di Eugenio Garin e ricorda il suo costante dialogo con i maggiori esponen ti della cultura del Novecento.
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La filosofia · come sapere stonco
Eugenio Garin (Rieti, 1909) e professore Emerito del la Scuola Normale Superiore di Pisa. Per i nostri tipi ha pubblicato, tra I' altro: Medioevo e Rinascimento (1987 2 ) , L'Umanesimo italiano (1990 11 ) , Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano (1985 5 ) , Rinascite e ri uoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo (1990 3 ) . Ha curato, infine, L'uomo del Rinascimento (1989 3 ) . .
ISBN 88-420-3604-8
Lire 18000 (LL)
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9 788842 036043
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© 1959, Gius. Laterza & Figli Per Sessanta anni dopa © 1989, «Iride»
Nella «Biblioteca di Cultura Moderns» prima edizione 1959
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Nei «Sagittari Laterza» prima edizione 1990
Eugenio Garin
La £losofia
• come sapere stonco
Con un saggio autobiografico
Editori Laterza
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AVVERTENZA
I testi qui riuniti, tranne l'ultimo, autobiografico, furono com posti fra il '56 e il 58 e comparvero insieme in volume nel '59, col titolo, appunto: La filosofia come sapere storico. Nati fra discus sioni vivaci continuarono a suscitarne, anche se il volume, pur esaurito, non venne mai riedito. Chi l'aveva composto e messo insieme continuo a riflettere, a scrivere, a discutere, tentando di esercitare ancora il suo 'mestiere', mentre l'orizzonte dei suoi studi mutava non poco. Nell'89, arrivato ormai al termine del proprio lavoro, gli avvenne di ripercorrere in rapidi cenni Ie tappe di una lunga ricerca, pubblicando quelle sue pagine sulla rivista filosofica «Iride» dell'Istituto Gramsci Toscano. Vito Laterza gli propose allora, quasi a suggello di una lunga collaborazione, di riprendere il vecchio libro del '59, in realta anch'esso una riflessione suI proprio lavoro d'allora, e su alcuni incontri culturali decisivi, aggiungendovi, a mo' di conclusione, i ricordi e il bilancio di oggi. La proposta dell'amico editore ha vinto la riluttanza a riproporre quelle pagine lontane, che ritorna no immutate come documenti di discussioni un tempo vive un po' dappertutto in Europa, e che incisero, pin di quanto a volte non si creda, sui modo di intendere e di fare 'storia della filosofia'. Poiche in questi testi si rispecchiano le sue esperienze di 'insegnante', l'autore le dedica ai giovani insieme ai quali, in vari ordini di scuola e in vari luoghi, ha lavorato lungo sessant'anni.
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Proprieta letteraria riSerVlll1l
Gius. Laterza & Figli, Spa, Rome
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Finito di starnpare maggio 1'.NO
nello stabilimento d'arti grafiche Gius. Laterza & PI,II, CL 20-3604-5
ISBN 88-420-3604-8
Eugenio Garin Firenze, marzo 1990
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AVVERTENZA ALLA PRIMA EDIZIONE
I tre saggi qui riuniti, composti fra il 1956 e il 1958, sono nati dalI'esigenza di chiarire il compito e i metodi della storia della filosofia. II primo e costituito dalla reIazione schematica che servi di base, insieme ad altre due di Mario DaI Pra ed Enzo Paci, per un amichevoIe incontro fiorentino. La discussione con Paci e stata riportata per l'evidenza con cui propone alcune aporie, aile quaIi, almena in parte, ha cercato di rispondere il piu ampio saggio introduttivo a una possibile storia della filosofia. La rela zione su Antonio Gramsci, del '58, vuol indicare un'esperienza per molti aspetti decisiva per chi scrive nelI'approfondimento di problemi essenziali. La polemica contro certe impostazioni della storiografia «idea listica» pare a taluno divenuta ormai un facile luogo comune. Non 10 e certo per chi, in una concreta ricerca storica, e venuto via via consumando, 0, se si vuole, rettificando i suoi strumenti di lavoro, fino a trovarseli davanti del tutto diversi, e non in facili rifiuti estrinseci e retorici, rna in una indagine reale. Qualunque valore, infatti, venga riconosciuto a queste considerazioni, esse sono nate alI'interno di un'attivita storiografica ben definita, eser citata per decenni in campi precisi, e costantemente accompagna ta dalla riflessione su alcuni orientamenti del pensiero contem poraneo. II ritorno di nomi cari alIa formazione filosofica di molti della mia generazione non e casuale; che il modo in cui ritornano nel discorso sia a volte vivacemente critico, significa solo che il debi to che ha verso di lora la nostra cultura e grande, e che proprio per questa piu difficile e con lora la nostra «zuffa», Che la discussione aperta sulla storia della filosofia sia desti nata a divenire discussione intorno aI compito e aI significato, VII
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oggi, della filosofia, non c'e bisogno di dire; ma neppure c'e bisogno di aggiungere che, di proposito, la discussione e stata impostata in termini «storici», nell'ambito di una problematica ben definita. Come di proposito si e voluto insistere su aporie piuttosto che su conclusioni, su difficolta piuttosto che su facili proposte di soluzioni. Un particolare ringraziamento a Ugo Spirito che dopo avere con tanta affettuosa amicizia stimolato molte di queste pagine ha consentito che venissero raccolte qui; a Enzo Pad, non solo per avere permesso la riproduzione del suo testo, ma anche per un colloquio singolarmente fruttuoso; a Ranuccio Bianchi Bandinelli per avere concesso la pubblicazione del saggio su Gramsci. E un grazie all'Editore amico che ha suggerito questa raccolta I. Firenze, 30 marzo 1959.
E.G.
I I saul sono rlprodottl fedelmente, con qualehe lnslgnifieante modifica zione dl forms. Aile note lnveee sono stale recate talune variazioni e, soprattutto, vlrle lulunte.
LA FILOSOFIA COME SAPERE STORICO
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L'«UNITA»
NELLA STORIOGRAFIA FILOSOFICA *
1. Fu tra la seconda meta del sec. XVIII e it principio del sec. XIX che alIa raffigurazione delle 'sette' filosofiche (it molteplice errore opposto all'unica Verita) si sostitui l'esposizione del 'pro gresso' della spirito 0 dell'umanita in genere, e venne affermando si l'idea dell'unita e continuita del filosofare. E se gli uni articola rona it processo storico del pensiero in alcuni 'tipi', vari si, rna sostanzialmente fissi, la tesi hegeliana riassunse in forma lapida ria un tema ampiamente diffuse, e sostanzialmente accolto anche in posizioni dottrinali diverse: «La storia della filosofia mostra che Ie filosofie, che sembrano diverse, sono una medesima filoso fia in diversi gradi di svolgimento [0"] 0 La filosofia, che e ultima nel tempo, e it risultato di tutte le precedenti [.. 0]; essa e percio la pill sviluppata, ricca e concreta» 1 Storia, dunque, non dei filoso 0
* 11 presente saggio e stato discus so in un convegno di studio sulla storiografia tenuto presso l'Universita di Firenze nei giorni 29 e 30 aprile 1956 sotto la presidenza di Nicola Abbagnano. Fu pubblicato nella «Rivista critica di storia della filosofia», XI, 1956, pp. 206-17. 1 Enciclopedia, lntr., 13 Urad. Croce); cfr. il celebre testo dell'lntrod. alla storia della filosofia (trad. Codignola e Sanna): «Affermo che la succes sione dei sistemi filosofici, che si manifesta nella storia, e identica alla successione che si ha nella deduzione logica delle determinazioni concettuali dell'Idea. Affermo che, se i concetti fondamentali dei sistemi apparsi nella storia della filosofia vengono spogliati di cio che concerne la lora formazio ne esteriore, la loro applicazione al particolare e simili, si ottengono precisa mente i vari stadi di determinazione dell'Idea nel suo concetto logico- (e, a proposito di questo testo, cfr. A. Massolo, La storia della filosofia come problema, Firenze 1955, pp. 15 sgg.). Affermazione che non coincide con quella della 'continuita' e 'razionalita' (<
fi, rna della filosofia, ove ogni sistema (eun filosofare senza siste ma non puo essere niente di scientifico») si inserisce - «ramo di un solo e medesimo tutto» - in una totalita (scome un circolo di circoli, di cui ciascuno e un momenta necessario»). Ora, se in diversi ambienti di cultura la rigorosa tesi dell'unita come data a priori, con tutto il suo peso 'metafisico', gia fra 1'800 e il 900 venne fortemente scossa, corretta 0 abbandonata, essa, sotto l'in flusso combinato delle correnti idealistiche (e variamente storici stiche) e della storiografia neoscolastica (0 in genere fondata su presupposti 'teologizzanti'), costitul uno dei canoni interpretativi di piu largo uso negli scritti di storia della filosofia in lingua italiana tunita cost nella storia della filosofia nella complessita totale del suo sviluppo, come unita del sistema del singolo filoso fo). Ed e una tesi che, tornando di continuo in accezioni e sfuma ture varie, e con peso variamente grave, impone un discorso che non potra non risolversi alla fine in una discussione generale di metodo. Ma e questione che va certo chiarita, date le preoccupa zioni che desta nei ricercatori, costringendoli ad impegnarsi spes so su un terreno scarsamente fecondo. Due monografie recenti, del '55, l'una di un giovane su Protagora, l'altra di uno storico sperimentato sul Berkeley, non a caso insistono polemicamente suI peri col0 e sulle gravi conseguenze che ha, nell'interpretazione di un filosofo, il canone della unita; e non a caso, anche se in forme diverse, entrambi, a mo' d'esempio, fanno riferimento a Kant 2. Che cosa «avverrebbe - ci si chiede - nel caso che, essen do andata perduta l'intera produzione kantiana (come e andata perduta l'intera produzione di Protagora), venissero confrontati brani della Critica della ragion pura con altri delle dissertazioni giovanili»? (<
non difettano le conseguenze dell'applicazione di tal metodo. Qua si esemplare e in proposito la «storia dell'estetica» del Croce, in cui, assunto coerentemente il «concetto che si ha [che 10 storico hal di questa scienza [...] come misura 0 termine di paragone», se ne inferisce che una storia dell'estetica non puo cominciare prima del sec. XVIII, e che, per esempio, «le dottrine del Medioevo [...] hanno valore piuttosto per la storia della cultura». N6 e difficile trasferire l'argomento a tutta la filosofia in genere: anche qui, presa come «misura 0 termine di paragone» la Filosofia, ossia una filosofia, la sua storia comincia con gli aurorali preannunzi della sistemazione accettata. 11 discorso, certo, andra distinto secondo che ci si riferira all'unita della storia della filosofia in genere, 0 all'unita del siste ma di un filosofo singolo. Ma gli assertori della tesi dell'unita della storia della filosofia discendono subito - e giustamente all'unita del sistema: «La filosofia [...] e unita: [...] il sistema e un'unita» - insisteva Gentile; 10 storico, affermava, da un fram mento ricostruira il sistema, come «Cuvier da un osso ricostruiva [...] l'animale». (e Noi sappiamo che la verita e una - scrive il Fazio - che di due pensieri uguali e contrari uno solo e valido, cioe, e il pensiero; che i pensieri lungi dall'essere impenetrabili si risolvono l'uno nell'altro in modo da costituire l'unita del pensie ro come eterno processo. Per asserire che ci siano diversi proble mi filosofici bisognerebbe ammettere la possibilita di diverse solu zioni filosofiche ciascuna per se vera e tutte coesistenti [...]. Co me le soluzioni si risolvono l'una nell'altra, si includono l'una nell'altra, cosi anche i problemi.,»)". N6 diverso discorso, e non a caso, ha ripetuto piu volte, ad esempio, l'Olgiati, pur dandosi l'aria di polemizzare con la storiografia degli idealisti. Converra, tuttavia, cominciare da una considerazione prelimi
2 A. Capizzi, Protagora, Firenze 1955, p. 28; M.M. ROlli, Berkeley, Bari 1955, passim. , G. Preti, Continuita e discontinuita nella storia della /llollo/Ia, in Proble mi di storiografia filosofica, a cura di A. Banfi, Milano 1951, pp. 65-84.
4 G. Gentile, Il concetto della storia della filosofia [1907], in La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954', pp. 110 sgg.; V. Fazio Allmayer, Il concetto della storia e la storia della filosofia [1920], in Il problema morale come problema della costituzione del soggetto, Firenze 1942, p. 126 (rna cfr. poi la prolusione del 1952 su La storicita della filosofia, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», XXI, 1952). II volume di C. Licitra, La storiografia idealistica. Dal «Programma» di B. Spaventa alia Scuola di G. Gentile, Roma 1925, e un interessante 'documento', anche se di tone agiogra fico; una discussione dei «luoghi comuni» della storiografia idealistica in A. Guzzo, Concetto e saggi di storia della filosofia, Firenze 1940, pp. 3-31 (i due saggi sono del '36 e del '38); e efr. anche L. Pareyson, Unita della filosofia, Torino 1951.
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nare della tesi dell'unita della storia della filosofia in genere, e del signifieato tutto 'metafisico' in cui essa viene adoperata; e, quin di, della sua inutilita ai fini di un lavoro storiografico effettivo, a danno e con esclusione di criteri piu fecondi. Ove l'unita di cui si parla - si badi - e sempre unita presupposta, fondamentale, basa ta sul significato eterno della Filosofia, su una sua pretesa defini zione univoca, su un suo orientamento costante, articolato nei suoi eterni assoluti problemi, 'i massimi problemi', che sarebbero poi sempre gli stessi, piu 0 meno consapevolmente posti: riducibi Ii anzi al massimo, unieo problema (<
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basta che ci fermiamo per un momenta ad esaminare l'uso che del canone dell'unita della storia della filosofia hanno fatto il maestro stesso dell'attualismo, che pure fu storieo egregio, e uno dei piu cospicui e fecondi rappresentanti e teorici della storiogra fia neoscolastica: l'Olgiati. Nella sua prolusione palermitana del 1907, che peso non po co sulla successiva storiografia italiana, il Gentile ebbe un'uscita molto curiosa, in cui stranamente trascrisse, fra l'altro, echi positi vistiei: sostenne egli la possibilita di un'estensione del metodo di Cuvier alia storia della filosofia: come «Cuvier da un osso rico struiva idealmente l'animale», perche l'animale e un'unita, un'en telechia, cosi 10 storico da un frammento pub rieostruire l'intero sistema, da una questione speciale la visione totale. E siecome Gentile era, nonostante ogni suo modo retorico, coerente alIa sua logica, da quel frammento ricostruiremo addirittura tutta la filoso fia, non di quel filosofo di quell'eti; di quella nazione, rna la Filosofia con la maiuscola, sic et simpliciter: anzi la metafisica, perche la filosofia e metafisiea (segli e che la filosofia non ha parti, [ ...] la filosofia e organismo, unita che e tutta in ciascuna parte sua. E tale units e essenzialmente metafisica»). Non a caso Hegel aveva scritto che «Talete intende l'acqua come pensiero, nel quale tutte le cose si risolvono e sono contenute», e che in Talete «l'essere universale e determinato come realta, e con esso quindi anche l'assoluto come unita del pensiero e dell'essere». La legge di Cuvier applicata ai filosofi permette di ricostruirne i piu o meno 'mostruosi' scheletri da un ossicino (almeno 'idealmente', come sottolineava Gentile; «magro osso spolpato» - ribatte Pre ti); permette anzi di ricostruire la filosofia in tutta la sua interez za. Ed infatti il risultato costante di tale storiografia e stato, in genere, riduttivo ed eliminatorio di tutte le individuazioni concre te, in una uniformita estremamente semplificata. L'unita del siste ma (<
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eompongono; di attuare 10 sforzo filosofieo in una intuizione uniea e totale stabilita, essa pure, nell'eternita». Ma la sua unifieazione dei «differenti tempi logicis dei filosofi, senza rieorrere ne al «tBmPO storicox ne al «tempo universale di tipo hegeliano», sembra attuare «Ie plerorne des philosophies» in una traserizione equivoea di temi della metafisica bergsoniana. 2 e E. Gilson, The Unity of Philosophical Experience, London 1955 , pp. 308 sgg.; per una diseussione delle tesi gilsoniane efr. H. Gouhier, La philosophie et son histoire, Paris 19482 , pp. 126 sgg. Ma cfr. a questa proposito, G. Preti, Continuita ed «essenze» nella storia della filosofia, in «Rivista eritica di storia della filosofia», XI, 1956, pp. 359-73.
che e individuate, rna un 'tessuto unieo di idee', legato da assoluti rigidi eterni rapporti, metatemporale, di cui uomini e tempi sono solo i porta tori : «tutto, non gia nel complesso deIle singole dottri ne speciali, che possono essere anche incoerenti, rna nel princi pio; tutto il sistema che dicesi platonismo, aristotelismo, cartesia nismo, spinozismo, kantismo, e COS! via: termini nessuno dei qua Ii designa propriamente l'insieme deIle dottrine formulate dai ri spettivi filosofi». L'unita di Kant e neIl'essenza 'kantismo' (Gil son, analogamente, suppone the essence of criticism [...J in its purity), che non e ovviamente questa 0 queIla dottrina di Kant (parti «che possono anche essere incoerenti» 'e caduche, ossia temporalmente condizionate), rna l'unico principio «che tutto si conservera» perche «uno e 10 spirito filosofico» che vi si realizza. E si ha un bel dire che 10 spirito e «storicamente condizionato», e che «questa condizionalita storica [...] non e accidentalita», posta j] nesso come articolazione a priori dell'Unita «
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Le stesse espressioni metaforiehe connesse aIla tesi dell'unita, ed in origine tratte dalle scienze deIla vita ('organismo' ecc.), tendono a farsi sempre piu rigorosamente «dialettiehe», in un processo di riduzione che puo rieordare solo queIlo dei 'realisti' medievali piu esasperati: «quod si ita est, quis potest solvere quin Socrates eodem tempore Romae sit et Athenis», ed anzi, insieme, Socrate e Platone (eeodem tempore [...] et Romae est et in Plato ne ...»). E puo essere, a questo proposito, interessante seguire proprio in Gentile un processo che e tipico di questo e di analo ghi orientamenti, e che ha preso spesso il sopravvento anche sul senso storieo e sul gusto di rieercatori provetti: di Gilson, per esempio, in The unity of philosophical experience, ove il 'metodo comparativo' applicato aIla 'varieta' delle filosofie 'storiche' riesce a enuclearne le 'essenze' - «nella sua purezza astratta l'essenza del criticismo sussiste per se stessa» - e, quindi, applicato alle 'essenze' spersonalizzate raggiunge la filosofia, ossia queIla unica filosofia che e la philosophia perennis (<
filosofica, rintracciando poi, negli stessi usi linguistici, le conse guenze di tali premesse. Ma bastera por mente alla consuetudine di non dar rilievo, 0 darne scarsissimo, alla biografia, alla situazio ne storiea, alla cultura effettiva dei 'filosofi': bastera rieordare gli equivoci grossolani circa il rapporto filosofia-filologia; bastera rammentare le discriminazioni fra il 'vero' Rosmini e il Rosmini 'vero', e la disinvoltura con cui sono messi in ombra interessi non 'riducibili', testi e temi non 'conciliabili' 9. Per non dire dei 'rami secchi', dei 'capita mortua', di quanto, insomma, in nome dell'uni ta, viene espunto dai pensatori reali. Con molta chiarezza e molta franchezza il Gilson ha dichiarato che il 'tempo' pUD servire per intendere «gli elementi contingenti e transitori delle dottrine filo sofiche, non quello che esse hanno di permanente necessita», ossia PUD servire a intenderne la non filosofia; della filosofia solo la filosofia PUD giudicare. La storia della filosofia, quatenus storia della filosofia, poggia su «a metaphisycal determinism», si artico la secondo «a metaphisycal necessity» (A.C. Pegis), che collega e congiunge le idee nell'Idea; 0, se si preferisce, risolve nell'Atto pure ogni pensiero. Se la comprensione storica in questa si caratterizza, che «non pretende di imporre la propria logica alle teste altrui, rna anzi si sforza di intendere la eventuale diversita logiea delle teste altrui» (Calogero), e chiaro che qui siamo fuori dalla storia. La tesi dell'unita della storia della filosofia nel senso esposto, come riferi men to di ogni filosofia alta Filosofia, ossia a una filosofia intesa come unico termine valido di riferimento, rende irrilevante la ricerca storica, e la annienta con procedimenti di un semplicismo estremo. Non a caso posizioni del genere si accompagnano a imposta zioni 'teologali' che, pur essendo diverse nei punti di partenza, e magari celebratrici a parole della storia, la vengono poi annullan do nelle sue possibilita, e maltrattando nella concretezza delle ricerche. Non a caso il linguaggio dei testi COSl del Gentile come
del Gilson, a cui ci si e riferiti, viene a volte a coincidere puntual mente. Non a caso analoghe coincidenze si possono rilevare oltre le dichiarazioni polemiehe - fra il Gentile e il pili quantitati vamente fecondo in sede storiografica dei neoscolastici italiani: l'Olgiati. Anche l'Olgiati, fin dallibro su L'Anima di San Tommaso con cui inauguro quasi programmaticamente la serie filosofica delle pubblicazioni dell'Universita del Sacro Cuore, ha sempre insistito sul 'principio uno', sull'unita del sistema, in cui si esprime l'unita dell'unico vero (e la complicazione comincia a diminuire; poi le parti entrano Ie une nelle altre; infine tutto si raccoglie in un punto unico, in un principio semplice ... »; e efr. il Fazio: «i pensie ri si risolvono l'uno nell'altro in modo da costituire l'unita del pensiero»). L'Olgiati e giunto una volta a una di quelle formula zioni caratteristiche che, come la citazione di Cuvier in Gentile, indicano bene il tone di una impostazione: «se gli uomini piccoli hanna molte idee e poca luce, e se la loro coscienza e paragonabi Ie ad una piazza, dove passeggiano, cianciano, urlano, e si sostitui scono i pensieri pili discordi, raggruppati pili 0 meno caoticamen te, invece i grandi pensatori hanno un'idea sola e grande luce», Sarebbe diffieile - a parte il linguaggio dispregiativo - opporre pili chiaramente il rapporto umano, inteso come colloquio e di scussione 'in piazza', alla contemplazione solitaria dell'Uno 10. Concludendo, la tesi dell'unita della storia della filosofia, nel Ie accezioni sopra esposte, e in realta una posizione 'teologale' che distrugge ogni ricerca storica vera e propria, ora degradando la a aneddotica, a 'filologia', a 'storia letteraria', a 'erudizione', ed ora estenuandola - per usare le parole di un grande storieo - in solitarie e verginali «generazioni di concetti nati da intelligenze disincarnate, che vivono una loro vita fuori del tempo e della spazio, annodando strane catene dagli anelli irreali, insieme, ep pur chiusi - il che e proprio l'opposto del fare storia». 2. La tesi dell'unita della storia della filosofia sopra esposta e caratterizzata dal presentare l'unita come presupposto necessario:
Una 'testimonianza' delle avventure della storiografia filosofica italiana saggio di A. Corsano, Il mio problema della storia della filosofia, nel vol. miscellaneo di Contributi dell'Istituto di storia della filosofia dell'Universita di Bari (Trani 1955), pp. [·XI. Cfr. I'importante 'premessa' del 1946 della «Rivista di storia della filosofia» del Dal Pra, e la 'messa a punto' di molti temi nel saggio di F. Lombardi, Concetti e problemi della storia della filosofia, Roma 1953.
10 Cfr., su questo punto, la risposta dell'Olgiati, L'sunita» nella storiogra fia filosofica, «Rivista di filosofia neo-scolastica», XLIX, 1957, pp. 263-71.
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una filosofia termine unico di riferimento di tutto il corso del pensiero. Nelle tesi di 'tipi' 0 'essenze' fisse, di 'problemi' filosofi ci eterni (snella storia della filosofia tornano sempre, non solo i problemi fondamentali, rna anche i principali orientamenti nelle soluzioni» - scriveva Windelband nell'introduzione alla sua Sto ria della filosofiai, ossia nel presupporre alla storia una serie di condizioni necessarie, tornano, in forma varia e diversa, i motivi sopra accennati: e cioe una presoluzione 'metafisica', una 'filoso fia della storia' che condiziona la storia della filosofia, e la limita proprio nei termini in cui la condiziona, nelle unita che pone al di fuori della storia (nella «necessita intrinseca», nella «intima necessita» del pensiero - di cui parla Windelband). «I problemi filosofici sono gia dati» - dicono gli uni; e il mobile rap porto delle concrete dottrine fissano in 'forme' vuote che, 0 sono del tutto inutili nella lora genericita (<
re sui mobili nessi concreti) t t. In altri termini, a unita date, che non servono, una storiografia feconda non puo non venire sosti tuendo la ricerca di nessi, di legami, di rapporti, di unita concre te, che connettono aspetti diversi della cultura e della civilta (servendosi quindi delle 'unit-ideas' solo come punti di riferimen to e 'ipotesi di lavoro'). Non meno equivoca, infine, della generica «unita», la tesi dell'eunita» di un determinato filosofo: che e, 0 la pretesa unita (Iogica) del sistema di cui sopra s'e detto a sufficienza; 0 una supposta necessaria 'coerenza', che, in quanta ipostatizzata in una sorta di ente di ragione, cozza contro la mobile e molteplice variabilita di una vita vissuta a rispondere e a chiarire le esigenze e le domande di un tempo, a prendere coscienza di istanze varia mente atteggiate. COS! l'astratta e meccanica applicazione del ca none dell'unita (unita logica di un sistema; unita come granitica coerenza a se in un'idea) ha chiuso alla comprensione figure e momenti essenziali, anche se in genere e stato tanto piu facile il confutare quanto piu evidentemente mostruoso era l'arbitrio. II Mondolfo ha giustamente insistito sulla 'molteplicita' di Bruno; non rneno esemplare il caso di Aristotele; e la critica ha fatto da tempo giustizia di troppi arbitri nella questione dell'autenticita delle opere di Platone. Anche qui, presupposta l'unita come un dato, e sia pure la vaga e astratta idea dell'unita della persona, si commisura ad essa, quale ce la siamo finta nel nostro schema, il complesso di un'opera, che ha avuto sollecitazioni molteplici in un tempo diverso. Nella migliore delle ipotesi, invece di vedere il problema qual e, di rapporti, si isola un mom ento, un aspetto, un nueleo piu congeniale alla nostra 'logica', 0 comunque assunto come misura, e si espunge il resto. Per tornare all'esempio di Bruno, ora si elimina la religione, ora l'empieta, ora la magia e ora la scienza, ora la morale mondana e ora l'ascesi - ne ci si chiede se la difficolta di comprendere, ossia di unificare in rappor ti, non dipenda ancora da un limite del nostro campo di osserva-
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II A.O. Lovejoy, The Great Chain of Being. A Study of the History of an Idea, Cambridge (Mass.) 19532 , pp. 3 sgg.: Essays in the History of Ideas, Baltimore 1948, pp. 1 sgg. Un importante documento dell'astrattezzaantisto rica in cui puo cadere una storiografia del genere appare, a volte, la pur fondamentale opera di E.R. Curtius, Europiiische Literatur und lateinisches Mittelalter (Berna 1948), ove talora i topoi tendono a rimanere isolati in una loro presunta identita fuori del tempo e delle reali situazioni storiche.
zione, da un'insufficienza di ipotesi 0 di indagini, da una chiusu ra a certi ordini di fatti. Beninteso tutto questo non solo non esclude ogni unita, rna rimanda a un'altra 'unita' e ad un'altra coerenza: quella che il pensatore cerca di stabilire fra se e se, fra momenta e momento, obbedendo anzi costantemente a un'esigenza diunificazione oltre tutte quelle «ruptures de continuite» che sente urgere di continuo in se medesimo 12.
3. La diseussione precedente ha insistito su un punta: che I'idea ditrovare il fondamento dell'unita in una unita presupposta coz za contro I'idea stessa di storicita, e punta, in ogni caso, su cia che 'storico' non e. L'unita, su cui nelle posizioni indicate si fonda la continuita e la comprensibilita del corso storieo del pensiero, e cia ehe in esso non e 'storico': una storia che miri a raggiungere quell'unita, 0 quelle unita 0 essenze, si propone di eliminare proprio quanto c'e tli temporale, di molteplice, di vario: di annullare in presunte forme 0 tipi fissi il concreto disporsi della sforzo umano, rifiutato, cost, come erroneo, 0 respinto come irrilevante. 11 criterio dell'unita (0 delle unita), 0 la presuppone, ed incorre nelle difficolta indicate; 0 la postula come «totalita di rapporti storiograficamente accertati», e in tal caso si propone un termine troppo esteso (e generieo) per essere utilizzato nell'opera storiografica effettiva (Abbagnano) 13. II ehe non toglie che il lavoro della storico consista appunto nella stabilire dei rapporti, ossia nell'unificare, oltreche nel distin guere e differenziare; «la storia ordina - diceva Brunschvieg attraverso uno sforzo costante di discernimento fra 'eventi' che solo in apparenza sono 'contemporanei'». Solo che il rapporto, 0 il processo di unificazione, non sta nel postulare sic et simpliciter 'unita' 0 'continuita', rna nel ritrovare connessioni effettive, lega mi, somiglianze. Che un pensatore abbia letto un altro pensatore, 12 R. Mondolfo, Problemi e metodi di rieerca nella storia della filosofia, Firenze 1952, pp. 179 sgg. Cfr., sull'ultimo punto, P. Faechi, L'unita della storiografia filosofiea eome coerenza, «Rivista critica di storia della filoso fia», XII, 1957, pp. 353·56. t s N. Abbagnano, Il lavoro storiografieo in filosofia. «Rivista di filoso fia», XLVI, 1955; e, su concreti aspetti del lavoro storiografico, P. Rossi e.A. Viano, Storia della filosofia e storia della cultura, ivi, pp. 327·41.
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che abbia risposto a certe domande, che abbia fatto certe esperien ze, che abbia avuto certi colloqui, che si sia mosso in una societa, persona fra certe determinate persone - eceo quello ehe 10 storieo deve aecertare. Non esiste la Filosofia, davanti al eui tribunale ehiamare al redde rationem Ie filosofie e i filosofi: esistono uomi ni ehe hanno cercato di rendersi eritieamente eonto in modo unitario della lora esperienza e del lora tempo. Ouesti uomini hanno avuto rapporti fra loro, hanno fatto letture, hanno eseogita to strumenti, hanno usato altrui pensieri: il loro lavoro ha avuto una eerta eco; eerti strumenti da lora ritrovati si sono diffusi in un certo ambito. Ouesti nessi 10 storieo trova: differenze e somi glianze, gruppi di uomini uniti in un lavoro, concordi in certi modi di intendere: problemi di rapporti concreti, di periodizzazio ni e continuita non presupposte rna aceertate nell'effettivo collo quio degli uomini: 'idee' vincitrici e 'idee' vinte, 'idee' che rinaseo no e ehe tramontano nel mobile corso del tempo, nel ritmo della vita dei gruppi, che 'filosofando' cercano di rendersi conto del corso del proprio lavoro e della sua funzione nel complesso di una civilta, Onde il filosofare varia di continuo, e si rende eonto di questo variare, e del 'come' di questa variare: unita e alteri
ts
I~.
All'astratta unita totale, alle astratte 'essenze' di gilsoniana memoria, alla 'continuita' ehe neeessariamente avrebbe la storia, si sostituiseono piu precisi problemi di nessi eonereti, di periodi, di eolloqui fra uomini, di riehiami di 'idee' che per essere del passato non e detto ehe siano 'passate', 0 meno valide di altre che hanno prevalso in una situazione 15. Periodi, rapporti reali, eontat " Cfr. i rilievi particolarmente felici, e fondati su una ricea esperienza storiografica, a proposito della «continuita accertata», dei «movimenti intel lettuali constatabili e definibili nella lora continuita attraverso gruppi di uomini, e non per generazione spontanea e partenogenesi» del Cantimori, La periodizzazione del Rinascimento, «X Congresso internazionale di scienze storiche», Relazioni, vol. IV, Firenze 1955, pp. 307-34. «
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ti effettivi, soprattutto nessi di vicende accertabili: ecco l'effettivo significato e 1'uso legittimo dei processi di 'unificazione' storica, il modo d'intendere utilmente la continuita, poiche pensare signifi ca pensare entro una cultura ed una civilta, con precisi legami, entro un complesso di 'condizioni' precise 16. pura, e piu mi avvicno a quella parola che sara un invito a filosofare. E non si tratta di ridurre la storia della filosofia a una psicologia dei filosofi, rna di considerare ogni filosofia come una realta storica in cui Ie idee non cessano di essere tali per iI fatto che sono i pensieri di un uomo». Ove il G. intendeva correggere certi temi del Brehier, discutendo iI quale metteva in discussione anche i1 concetto 'neutro', 'ucronico' di filosofia. Quanto alle «ucronie» del Brehier (<
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percio chiarire senza reticenze le posizioni: quest~ 'storia' no~. soff~e di complessi di inferiorita; proprio perche vuol essere Inte~ra.le stor!CIZzaz.lOne, si propone come 'filosofi~', ossia come u~ modo le~lttlmo di porsl. del filosofare, che riconosce u valore ~elle nc~rch.e .loglche, met.o~ologlche: Iinguistiche ecc., rna procJa~an~o 1.'~slge!1za ~I chiarirne la genes.I,.I raPF~tl con una situazione reale, Ie ragiom storiche In tutta .Ia co~plessl.ta ?ell
Appendiee
FILOSOFIA E ANTIFILOSOFIA * (Una discussione con Enzo Paci)
I
La «Rivista critica di storia della filosofia» (aprile-giugno, II, 1956), ha pubblicato Ie relazioni discusse al Convegno della sto riografia filosofica tenutosi a Firenze il 29 e il 30 aprile 1956. Del Convegno di Firenze mi sono gia occupato nel n. 34 di «Aut Aut» (pp. 315-26) rna credo sia il casu di riprendere la discussione specialmente in rapporto all'interessante nota aggiuntiva che Ga: rin ha pubblicato sulla «Rivista critica». Scrive Garin che «l'aspetto piu notevole del dibattito svoltosi nel co.nvegno di Firenze e stato il manifestarsi, sia pur cauto, di due diverse preoccupazioni: 'storica' I'una, 'speculativa' l'altra». Dunque si tratta di due diverse «preoccupazioni», e, se vogliamo essere meno cauti (nel tentativo, in ogni casu utile, di risultare pili chiari), diremo che sono affiorati a Firenze almeno due diver si orienta~enti .di cui uno tentava di negare la filosofia e l'impe gno . teor:tlco, l.n nome della storia, della metodologia e della tecnica; 1altro, invece, sosteneva il valore della filosofia teoretica 0, i~ .gene~ale, della filosofia. Si tratta del contrasto tra filosofia e antifilosofia. II eonvegno ha dimostrato ehe l'orientamenm antifilo sofieo e insostenibile. 11 contrasto tra la filosofia e l'antifilosofia e stato sensibile nel secondo dopoguerra e continua a perdurare nell'atmosfera filosofi ca italiana, cosi come e affiorato, assai prima (e percio e stato prima superato), in gran parte del pensiero filosofico contempora neo. Sarebbe vano negare in alcuni atteggiamenti della filosofia . In
* II primo testo, di Enzo Paci, e il testo seguente, in risposta, uscirono «Aut Aut», 35, 1956, pp. 400-6; 36, 1956, pp. 462-67. 18
"taliana attuale una polemica vivace contro la filosofia, come sarebbe vano negare che, in forme diverse, la polemica antifiloso fica si e espressa non soltanto, e in modo clamoroso, nel neopositi vismo rna anche in certi atteggiamenti dell'esistenzialismo (baste rebbericordare la critica di Jaspers all'ingenuita filosofiea). L'anti filosofia viene sentita ora in rapporto al problema della connessio ne fra filosofia e tecnica. In genera le l'atteggiamento antifilosofi co nelle correnti di ispirazione neopositivistica, si presenta come negazione della filosofia a favore della tecnica e in modo partico lare della tecnica come analisi del linguaggio. Cio avviene nella convinzione che la tecnica non implichi una filosofia e che l'anali si del linguaggio sia afilosofica. 11 problema si pone anche in rapporto all'esistenzialismo (si veda la discussione tra .Heid~g~er c Heisenberg a proposito della quale rimando allo scntto .dl PIe tro Chiodi: Il problema della teeniea in un ineontro tra Heidegger e Heisenberg, in «Aut Aut», 32, pp. 87-108). Un'altra connessio ne notevole e quella della polemica antifilosofica con il problema da Marx impostato come realizzazione della filosofia, come assun zione della filosofia in quanta praxis, in quanta attivita politica e non mera contemplazione teorica; cio che Garin indicherebbe come «umano operare». 11 che era sl, in Marx, negazione delle t'ilosofie contemplativistiche e antiumanistiche, rna non negazione della filosofia per la pura attivita pratica e nemmeno per la sola tecnica 0 per la metodologia neutra (come si e tentato di interpre tare in senso neopositivistico) se non altro perche Marx concepi va la filosofia come condizionata dalle strutture economiche e come diretta ad un fine anche troppo determinato. Dunque due tendenze diverse: filosofia 0 no. Non si trattava, a Firenze, soltanto di due diverse concezioni della storiografia filosofica, di due diverse metodologie della storia della filosofia. Nel convegno e stato fatto il tentativo di separare il problema della «metodologia della storia della filosofia» dal problema della filosofia di discutere il primo negando il secondo: Ora questa tentativ; efallito e la prova che sia fallito ce la da anche Garin il quale sostiene che la storia e filosofia e che, in qu.anto tale, ~io~ in quanto e gia filosofia, la storia «non soffre di complessi di inferiorita». La filosofia sarebbe dunque tutta contenuta nella storia e cioe ridotta alla storia e nella storia risolta senza residui. La storia non e una philosophia inferior rna una filosofia con tutteJe carte in regola nella quale, scrive Garin, «oggi, pub tentar 1<,;
s~ ancora. ser.iamente, in modo criticamente valido, una considera zrone um~~na de~la realta Quale e data alla nostra esperienza». N.on c ~ dubbio, dunque che, per Garin, la storia e non solo ~na filosofia rna ten de quasi a porsi come l'unica forma di filoso fia che oggi si pub tentare «in modo criticamente valido» A questa storia cos1 concepita, concepita doe come tale da sostituire la propria funzio~e fil~sofica .a quella della filosofia e da porsi e,ssa stes~a come f~l~so~Ia, Garin attribuisce almeno due possibili ta. Essa e, come SI e VIStO: 1) «una considerazione unitaria della r~alta ~uale e.data alla nostra esperienza»; 2) «un modo legittimo di porsr del fIlo~ofare,. che. ri~onosce il valore delle ricerche logi che, J!letodologlChe, hngUlstIche, ecc., rna - aggiunge Garin _ ~rocl~mando I'esigenza di chiarirne la genesi, i rapporti con una sIt~azlOne reale, Ie 'ragioni' storiche in tutta la complessita del I'onzzonte umana in cui sorgono». S~ dun que la storia, cost come Garin la concepisce, non «sof fre di complessi di inferiorita» e perche si e assunta almeno due funzi~ni tip.icamente «teoretiche». La prima e, addirittura, una «co~sIderazlOne d.ella realta» la quale pone il problema dei rap P?rtI. tra tal~ considerazione unitaria e I'esperienza. La seconda e «il nc~noscIm.ento del valore delle ricerche logiche ecc.», nel quale r~cono~cImento si dice, in sostanza, che la storia, concepita
come ftlosofta, deve elaborare Ie tecniche di tali ricerche non
solo: rna che tay ~icerche devono essere situate nella loro ~enesi
storica e «nell onzzonte umano». Dove abbiamo una filosofia
dell'uni~a dell~ rea~ta, dei rapporti tra l'unita e l'esperienza, dei
rap~ortI tra filosofia e tecnica, delle tecniche con i1 loro farsi
storico, dell'applicazione delle tecniche stesse nell'orizzonte uma
no. Se la ~etodologia della storia della filosofia, 0 anzi, la storia
stessa, ?a 10 se questi problemi, e chiaro che la storia e filosofia.
C!ra.se e.tale ess.a deve dimostrare criticamente Ie proprie afferma
~lOm e I propn assunti. Deve spiegare, per esempio, che cosa
I?tende per «co~s~de~azione ~nitaria della realta», che cosa signi
ficano Ie proposrzioni «genesi delle ricerche logiche ecc.» e «oriz zonte. um~n~»: Come la filosofia di cui qui si discute giustifica i propn p~1OcIpI? Qualcuno potrebbe rispondere che tali principi trov.ano II I~ro fo.ndamento nella storia e, precisamente, nella storia ~ella filosofia, Ma la storia di cui qui si parla come deve ~sser~ I~!esa: ~,ome q~ella~he, «non soffrendo di complessi di 1Ofenonta», e gia una Iilosofia? In tal caso la filosofia, 0 la storia 20
che si pone come filosofia, non ha un fondamento critico, e nem meno si accorge di non averlo, in quanta giustifica cio che affer rna per il semplice fatto di affermarlo: la storia a cui si richiama e infatti gia la stessa filosofia. Si trattera allora, se si dice che i principi della filosofia in discussione son derivati dalla storia, di una storia che non e filosofia, di dati storici che sono stati la genesi dei problemi filosofici, quei dati che non solo non sono, rna non debbono essere una filosofia gia compiuta e completa. II che si pub certo sostenere rna per mezzo di una filosofia critica del processo 0 per mezzo di una fenomenologia che conduca a quella struttura «prefilosofica» che Husserl indicava come Lebens welt e di cui ottimamente parla, in questo stesso numero di «Aut Aut», Actis Perinetti indicandola come relazione d'esperienza. AI trimenti, per uscire dal dogmatismo della filosofia che proclama filosofia la storia, e cioe se stessa, si cade nel dogmatismo della storia per la storia. In ogni caso la storia che non e filosofia, e che non e raggiunta nemmeno con una riduzione fenomenologica, non si dovrebbe nemmeno porre dei problemi di metodologia e certamente non potrebbe ne «riconoscere il valore delle ricerche logiche, ecc.», ne porsi come «considerazione unitaria della real ta». II che, invece, Garin vuole che possa fare la sua storia quan do scrive: «Giova percio chiarire senza reticenze Ie posizioni: la 'storia' non soffre di complessi di inferiorita; proprio perche vuol essere integrale storicizzazione, si propone come 'filosofia'», Pen so che questa filosofia proposta da Garin possa porsi nel dialogo con Ie altre filosofie e anzi che desideri tale dialogo. Non vorrei che qualcuno pensasse il contrario. Per esempio prendendo un po' troppo alIa lettera l'asserzione che l'unico modo di fare oggi della filosofia e quello di fare della storia. In altri termini potreb be farsi qui strada un procedimento equivoco. Di fronte a chi dice che non basta la storia rna e necessaria anche la ricerca speculativa si pub affermare che la storia e gia ricerca speculati va. Ma quando poi, di fronte al riconoscimento che si tratta di una ricerca speculativa, si obbiettasse che tale ricerca deve discu tere e fare i conti con le aItre filosofie, sarebbe ambiguo risponde re che la storia che e filosofia non ha questa bisogno perche Ie sue asserzioni Ie deriva dalla storia (questa volta, evidentemente, non concepita piu come filosofia). Garin reagisce contro chi considera la storia come pura Iilolo gia, come «filosofia inferiore 0 ancillare». Perfettamente d'accor 21
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do: la storia non e mai soltanto filologia anche se la filologia e uno strumento indispensabile per la storia. Allo stesso modo non sara mai soltanto filologia, per esempio, la critica letteraria. Se per~ si sostiene che filologia e storia non sono soltanto filologia e stona, rna contengono in se filosofia e critica, bisognera poi accet tare la discussione sul piano della filosofia e della critica. Non si critica la filologia come qualcosa di «inferiore» rna si desidera che, quando la filologia si pone come critica 0 come filosofia chiarisca se stessa come «superiore». Naturalmente i termini «in feriore» e «superiore» debbono essere posti accuratamente tra virgolette, prima di tutto perche non sono felici e poi perche presuppongono gia una valutazione. Garin scrive che coloro i quali rifiutano Ia storia come «filoso fia inf~riore 0 anciIIare» sono spinti da varie preoccupazioni, «ora ~I.valut.azione, ora di strutture metastoriche, ora di impegni teoretici (e Sl doveva dire 'teologici' 0 'metafisici'), non solo sot tratti alIa ragione storica rna eretti a tribunale della storia». Le val~~azioni sono dunque, per la storia, senz'altro da respingere? E. CIO v~le an~he per una storia che e filosofia? Si tratta dunque di una filosofia che bandisce senza discussione e senza esitazione ogni giudizio di valore? E che cosa si intende per «strutture metastoriche»? L'esistenza degli esistenzialisti, 0, poniamo, Ie strutture economiche del marxismo, sono storia 0 metastoria? Quando poi si parla di «irnpegni teoretici» si dovra dire, senz'al tro, che si tratta di impegni «teologici e metafisici»? Per mio conto e chiaro, per esempio, che si puo par/are di una struttura esistenziale senza fare della metastoria e che ci possono essere degli impegni teoretici che non sono senz'altro di carattere teologi co, per 10 meno nel senso tradizionale del termine «teologico». Come si e visto le due tendenze del Convegno di Firenze sono state secondo Garin l'una storica e l'altra speculativa. Ma si e anche visto che la tendenza storica e in realta per Garin tendenza speculativa. Tale tendenza afferma «con energia la 'storia' come apertura sempre nuova a possibilita non preordinate (anche se in situazioni precise): e nella direzione di una 'storia' cosi intesa (che rifiuta ogni piano metastorico)>>, vede «I'unico modo concre to per una considerazione unitaria delle attivita umane», Cosi concepita Ia storia e evidentemente una teoria filosofica della s~o.ri,a che considera la storia stessa come «apertura a nuove possi bilita», come, per usare un'altra terminologia, Verhalten, e Offen 22
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stiindigkeit des Menschen. Per quant~ mi ~iguarda penso ~he una teoria della possibilita debba determinarsi come una teona de.lla dialettica tra il condizionamento e il possibile, dialettica che ~slge la non eliminabilita di una struttura di fondo (non metastonc~): tale struttura e la struttura entropica, e, in senso lato, economica (in linguaggio crociano: «vitale») del process~ ~to~i~o. . Garin scrive: «Storia consapevole dei propn limiti (urnile sfor zo di comprensione del complesso di rapporti fra ~omo e. u~mo, e fra uomo e natura), pronta all'uso di tutte le tecmche di ncerca, rna rigida nel rifiuto di ogni presupposto a priori; rna superba. per usare i termini di Ge~monat.- ?el, ricono~~er~ s~lo ~na raglO: ne che non cerchi garanzie fuon di se, che rifiuti 1 equlvo~O. COSI di ogni misura data come di ogni f?ndamen!o c~rcato al dl la de~ Iibero uso della stessa ragione: rag tone stonca, msomma, 0, se Sl vuole, semplicemente ragione». La storia cosi co~cepita e ~uell~ presentata dalla tendenza che Garin definisce stonca. Non SI ~uo certo negare che la tendenza storica manchi di impegno teoretico. Ma proprio per questa tale impegno teoretico puo e ~ev~ en~rare in un dialogo. Proviamo a dare qualche af~rettata md~cazlOne. Che cosa si intende per ragione, per la ragrone semplicemente tale, nella quale si risolve la storia? Le indi~a~io?~ offerte d~ Garin sono le seguenti: 1) Consapevolezza del limiti (nel che e implicita una critica della ragione iIIuministica e la ripr~sa della critica kantiana nonche l'inserirsi del problema della rag ione nel problema del limite, del finito, del .condizionato. I l~miti sono 0 no superabili? Se non 10 sono non Sl tratta soltanto di cons~fevo lezza: i limiti ci sono anche senza la consapevolezza: sono CIO che si dice un presupposto per quanta non in senso idealis.tico); 2~ Uso di tutte le tecniche di ricerca (certamente: uso e ncerca di nuove tecniche, invenzione di nuove tecniche, rna non ri?uzione di cio su cui con la tecnica si opera, 0 dei fini che la tecmca vuol raggiungere, a pura tecnica); 3) Ri!iuto di ogni p,re.supposto a priori (qui sarebbe forse bene chianre che cosa SI intende pe~ «presupposto» e per «a priori». Se presupposto ~ qualcosa da CUI la ragione nasce, per esempio il processo stonco temp orale ed esistenziale, non si puo negare il presupposto se non affern:an~o che la ragione crea a priori i presupposti che non sono COSI piu, in quanto creati, dei presupposti: I'a pr~ori e inteso in senso idealistico. Ma se l'a priori viene concepito come qualcosa che non e ragione, 0 spirito, 0 Mind, rna, per esempio, come corpo, 23
della storia alla filosofia teoretica. Quando questo si vuol fare si assume senz'altro l'indagine storica come indagine teoretica e si dice, cioe, che non c'e altro modo di fare della filosofia se non facendo della storia della filosofia. E questa e antifilosofia. Se non 10 e, e perche la storia viene intesa come filosofia, ragione storica, 0, semplicemente, ragione. 11 che potrebbe essere anche troppo se si pensa che non e la storia che e ragione rna la ragione che nasce dalla storia, dal processo storico del quale la ragione puo offrire un'interpretazione allo scopo di trasformarlo secondo nuove possibilita, rna che non si esaurisce mai nella ragione e tanto meno in essa si risolve cosi come, per l'idealismo, ogni presupposto si risolve nella liberta dello spirito.
natura, situazione storica, allora l'a priori e un a posteriori, pur essendo un presupposto. E si potrebbe anche dire che il problema cosl posta - che si presenta nel neopositivismo come problema dei rapporti tra empirismo, 0 dati empirici, e forrnalisrno, 0 verifi cazione logica - e mal posto in rapporto, per esernpio, agli ultimi sviluppi della fenomenologia husserliana e alla ripresa della sche matismo trascendentale di Kant); 4) Ricerca che non ha garanzie fuori di se (d'accordo se le garanzie sono l'eliminazione del ri schio e del finito 0 pretesa di imposizione dogrnatica,ma non piu d'accordo se si pensa che nulla c'e fuori della ragione, che cioe la ragione tutto in se assorbe, compreso il presupposto); 5) Rifiuto di ogni misura data, di ogni fondamento cercato al di liz dellibero usa della ragione (si potrebbe chiedere: illibero uso della ragione non ha bisogno di misure date? Cosa sono queste se non i lirniti, i condizionamenti, i presupposti, cia che e al di liz del pensiero e della metodologia, proprio perche e concreta storicita e non sem plicemente il pensato dal pensiero 0 il metodologizzato dalla meto dologia?). Cio che precede vale per la tendenza storica. Ma Garin parla anche di una tendenza speculativa, la quale ammetterebbe si la storia, rna, egli dice, solo la storia «della filosofia», con il che la storia diventerebbe ancella della filosofia, allo stesso modo che la filosofia era ancella della teologia. Cia perche la storia verrebbe subordinata alla filosofia che dovrebbe giudicarla e comprender lao Non so se per il fatto che la filosofia debba comprendere e interpretare la storia, e la stessa vita, e non solo comprenderla rna anche trasformarla, si possa dire senz'altro che la storia diventa ancella della filosofia. Comunque cio che aleuni hanno voluto dire a Firenze non era diretto contro il mestiere della storico e tanto meno contro il mestiere dello storico della filosofia bensi contro la concezione che presuppone che non si possa fare storia della filosofia se non rinunciando alla filosofia 0 magari se non ponendosi in una posizione antifilosofica, concezione caduta pro prio per il contributo di Garin. E vero, come ha notato Dal Pra, che il rapporto tra filosofia e storia della filosofia non puo risolversi net senso di far scompa rire la ricerca storica per porre al suo posta l'indagine filosofica teoretica (e Rivista critica» cit., p. 226, nota 2), rna e anche vero che tale rapporto non puc intendersi come negazione della ricer ca teoretica e risoluzione di essa nella storia, come sostituzione 24
Enzo Paci
II
Come per le pagine di Enzo Paci su Filosofia e antifilosofia la mia brevissima nota era stata soprattutto un pretesto, cost quelle pagine saranno anche per me nient'altro che un pretesto, piu che per rispondere a troppo gravi interrogativi, per u~ chiarimento in margine: e chiarimento - si badi - non per Paci, che non ne ha bosogno aleuno, rna per altri eventuali lettori 1. A dir vero quella mia nota non era in condizione da sopporta re, da sola, la sottile e capillare disarnina di Paci: non poteva, e neppure voleva. Essa supponeva, infatti, un discorso c~e,. qu~lun que cosa valesse, era pur stato fatto; e, soprattutt?, SI nfer~va a un colloquio al di fuori del quale non poteva non nmanere smgo larmente fragile e disarmata. Mentre, d'altra parte, il suo tone I Di Paci ben ricordo, al principio di Ingens sylva, i1 giudizio sui lavori storici di Fausto Nicolini: un giudizio che mi dimostra co~e, sui terreno concreto, andiamo d'accordo. E questa conta; m~':ltre l~ «stOrlC~» un~ ~edu zione ha da evitare: di lasciarsi indurre a glUstiflcare III quadri teonci che gli sono estranei una ricerca che trova la sua giustificazione in se stessa, nel suo verifiearsi, nei suoi resultati. Ed e seduzione a CUI non hanno saput? resistere neppure rieercatori di prim'ordine, ehe hanno fatto appello a pOSI zloni metodologiche estrinseche, 0 addirittura ar~et:ate. ~on a tor~o Merleau Panty ha rimproverato a Max Weber che «ses ecrrts me~hodologlques retar dent sur sa pratique scientifique». Ed e rimprovero a CUI, talora, non sfugge Croce stesso.
I
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non poteva non riuscire eccessivo, quando fosse sganciata da quella ben definita polemiea contro quanti, in modi vari, rendono impossibile, 0 vane in partenza, illavoro dello storico della filoso fia, richiedendo un «impegno teoretico» come qualcosa di altro dal concreto impegno storico. Ripetere che non si fa la storia della filosofia se gia non si possegga la filosofia - di cui si fa storia - tutta spiegata in capitoIi e paragrafi, presuppone un parti colare concetto di filosofia che non puc non ridurre la storia a u~a spe~ie di ri.cerca araldica di antenati illustri, 0 a una galleria di .erron. E qui, naturalmente, non sarebbe poi troppo difficile obiettare che, se al filosofare e intrinseca la consapevolezza del processo attraverso cui la mente perviene ai suoi resultati, condi z!one della filosofia e la sua storia. Non a caso, gia aIle origini, il ftlosofare e stato discussione critica di miti, e indicazione, di fronte aIle lora pretese «divine», di origini umane, onde il para dosso di una filosofia che comincia con una «storia»: onde, se si preferisce, il circolo di filosofia e storia della filosofia. Che sono perc, tu~te, in fondo, «arguzie», di cui non e bene servirsi neppu re per nspondere ad «arguzie», Purtroppo, perfino in quelle nostre discussioni fiorentine che dovevano essere - e furono, del resto, quasi sempre - non dispute sui «principi primi e puri», rna discorsi concreti sul lavoro della storieo della filosofia - ossia su quel tipo di ricerca che sceglie come suo campo la comprensione delle opere che nel tempo sono s~ate c?iam~te «fil~sofia» - perfino nel corso di quel dialogo fiorentino, Sl affacciarono istanze che, sviluppate, avrebbero an nullato it senso di quel lavoro. Ed affiorarono, insieme, richieste che, accolte, avrebbero significato l'abbandono di quel terreno su cui il dialogo s'era impiantato, e il ritorno a quel tipo di discussio ne e di indagine che, per comune accordo, si era respinto come sterile, anacronistieo e vuoto. Non si puo chiedere a un astrono mo d~, giustificarsi con «ragioni» astrologiche, senza riportarsi, con CIO stesso, sul terreno dell'astrologia. A chi si rifiuta di conti nuare a «batir le monde avec des categories», non si puo chiede re una dottrina delle categorie; a chi cerca «nella riflessione sui p~~c,edimenti ;eal~ del sap.ere ~n:ide~ della ragione e dell'intelligi bilita», perche chiedere di definire III partenza che cosa sia in se la ragione, cominciando, e ponendo alIa base, un sistema di «ra gione» ben definito e chiuso? COS! sara certo stata difesa male dai suoi sostenitori quella
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«storia» rna i1 suo intento era pur chiaro nei suoi stessi molto traspare~ti richiami! Sottolineare la connesione dei presupposti della scienza con le condizioni storiehe, battere sul «fattox della realta storica delle scienze, sul loro costruirsi da se gli strumenti logici per la soluzione dei problemi, rieonoscendo alIa filosofia i1 compito di portare quei processi alIa piena consapev~lezza ~i. se~ cercare di trasformare - per continuare ad usare I terrmru dl Cassirer _ la critica della ragione in una critiea della cultura «il cui essere non puo essere colto che nel fare» - tutto questo era abbastanza esplicito cosi nei suoi sottintesi come nelle sue indica
zioni critiche. Orbene, a parte la sua validita, e proprio questa
« storia» come tale, antifilosofia?
Ed e davvero filosofia quell'altra, secondo cui - come abbia rno letto tutti in un libro recente - «i l compito dello storico della filosofia sara [ ...] di riconoscere nei pensieri dei filosofi la verita universale». ossia di riferire le singole situazioni alIa Verita, evi dentemente gia in possesso della storieo per grazia divina? situ a zioni singole, d'altra parte, e posizioni individuali, la cui cono scenza, stando COS! le cose, non si vede in che modo possa giovar ci, se non, forse, ad arricchire i1 nostro bagaglio di aneddoti 2. Se possediamo, in dotazione originaria, la Ve~ita u~iv~rsa~e :- e d~b biamo pur possederla per riconoscerla nei pensien del fIlo~ofl chi ce 10 fa fare, di andare a perdere il nostro tempo alIa neerca dell'Atto puro, 0 delle «quattro parole», 0 della SS. Trinita, in Talete e in Kant, in Spinoza e in Hegel? Ma senza dubbio quell'affermazione, se ha un senso, vorra dir altro: vorra significare che 10 storieo, connettendo idee e dottrine aile situazioni, ritrovandone i nessi, verra scoprendo come le « filosofie» _ anche le pili strane - si generarono e dettero voce a csigenze reali, e risposero a precise richieste; come chiarirono gIi uomini a se stessi, e li svincolarono da illusioni, e dettero ad essi ideali, e mezzi di convivenza, e Ii aiutarono a foggiarsi pili ade guati strumenti di indagine e di attivita. Lo storieo, mettendo in , [«Le me1e, le pere, Ie mandorle, l'uva se~ca [...] piu non sono che me~e in apparenza, pere in apparenza, ~a~do:l,e In app~renza ~? uva secc~ l~ apparenza, infatti esse sono m.oID;enti vitali ~elf:u;tto [...J, L,l':lteresse pnnci pale e precisamente quello dt dimostrare I unua del frutto m tutte .qu~ste sue manifestazioni vitali, nella mela, nella p~ra,. nella ma,ndorla:. qumd., l~ mistiea connessione di queste frutta, e come in ctascuna di esse It fr~tto st realizzi gradualmente e passi necessariamente, p. es. dalla sua esistenza come uva secca alia sua esistenza come mandorla» (Marx-Engels, Sacra [amiglia, Roma 1954, p. 65).]
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e~idenza
legami non apparenti, e I'appropriatezza 0 meno delle nspost~; recando alla luce cio che era nascosto; indicando con I'esaunr~i di possibilita, possibilita non esaurite, non solo ai~tera a conquistare la memoria del passato, rna giovera ad orientare il fu~uro -. d~v.ver~ .pens~e.ro e azione. E non in quanto riconoscera nei penslen.mdlvlduah II ~olto immutabile di una Verita da guar ~are tr~nq~I11amente, rna in quanta riuscira a cogliere il particola nz~arsl articolato dell'attivita umana. E «verita universale» non sara affatto un eterno volta da contemplare, rna il concreto con nettersi di precise risposte a precise richieste - e il «false» e il «male», che. I'indagine storica costantemente individua, sa~a la mancata,. 0 made?uata risp~sta, e tra i mancamenti pili gravi la pseudo-ns~osta, sia essa la nsposta valida una volta e imposta per sempre, o. II v~ot? prin~ipio. fa~to assoluto: a chi vuol sapere il mo~o d~gh. ,astn, I appetito di 010; e, per ogni cosa particolare, i v~n. atti PI~ 0 meno puri, e gli eterni valori buoni a popolare i cieli stellati e le notti di luna. . A.sentir .cert~ discor~i molto filosofici e molto impegnati, pieni di ulllversal~ e di «valori», con quanta nostalgia si pensa a Socrate che amava npetere che gli uomini non cercano il Bene, rna deside rano ,e vog,liono qu~sta 0 quella cosa: e che - a voler capire qualco s~ - e d~ll e.same di queste richieste che bisogna partire. Ed e diffi cile ,toghersl dalla mente ~he i1 miglior commento del celebre luogo dell Esodo, III, 14, non SIano le dissertazioni di Duns Scoto sull'es s~re, ~a l'opinione di que I teologo secondo cui si tratterebbe solo di un.mvlto a non fare domande vane - Ego sum qui sum. Ricordo sempre - e il ricordo si colora oggi di maggiore amarezza - che dopo la guerra, invitato da Piero Calamandrei una. volta venne a Firenze, all'Universita, Croce, e si trattenne poi a discorrere nella squallida Aula magna con alcuni «filosofi». Fatto ~a uno. dei presenti il nome di Gentile, con subita vivezza esc1amo che II gran torto dell'amico-nemico era stata la fissazione del Proble~a, d~1 Gr.ande .Problema: - problemi hanno sempre d~ essere, ~Iccoh P~~hcolan problemi! Non importa qui vedere la glUstezz~ di una critica, e se Croce stesso ne uscisse indenne. Ma c?e abbla~ da essere problemi particolari, precisi problemi, non v ha .dubblO. Come non v'ha dubbio che I'impegno teoretico non consiste nel latrare alla luna, rna nel cercare nessi concreti ten d~~do a integrazioni sempre pili complesse, guardandosi dai soli dificare Ie esigenze in realta, e dal credere che, cristallizzando un
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pun to d'arrivo provvisorio 0, peggio, un bisogno, si sia giunti al e poi l'insegnamento effettivo di Kant, dell'idea di Kant, il quale, del resto, ci ha dato anche un bellissimo esempio di procedimenti filosofici fallaci, quando, a proposito della geome tria euclidea, e del postulato delle parallele, ha affermato che tale proposizione, che non poteva dimostrarsi, era, proprio per que sto, «apoditticamente certa» - la sua apodittica certezza «riposan do su un'intuizione a priori». La difficolta, una vecchia, tormento sa difficolta, e risolta bloccando la ricerca: Dio 10 vuole! Laddove 10 «storico» cerca le guise del nascimento e le vicende temporali, e con cio stesso determina I'ambito entro cui certe possibilita si esauriscono, e consuma i limiti e sollecita I'uomo a nuove opere; un certo modo di intendere la teoreticita blocca le strade assolutiz zan do risposte che, valide in rapporto a particolari domande, vengono svuotate di ogni significato preciso, e fatte sorgenti di ogni equivoco: come la geometria di Euc1ide elevata a forma a priori dell'intuizione. Qui e I'urto fra critica e dogmatica: e pro prio qui - in una critica non «Iormale», e appunto percio «co struttiva» - si colloea illavoro dello storico, intento a determina re il sorgere di domande e risposte, e I'ambito del loro ope rare, e le guise in cui nei tempi sono state valide, e come tutte si sono cristallizzate. Questa e la funzione di una filosofia come «storia», a cui essa verrebbe meno se si mettesse a dissertare in astratto sulla «storicita» dello «spirito» 0 della «natura», invece di cerca re il formarsi e il trasformarsi di nozioni, seguendone quante pili componenti vi convergono, nella esigenza di articolarne i nessi, collegando idee e bisogni, «lingua scienza mito arte religione come membri di un solo complesso problematico» (per usare di nuovo un'espressione di Cassirer), nel vario giuoco delloro opera re: immagine di un uomo che viene mutando, e sui cui mutare incide in modo decisivo la raggiunta consapevolezza: 10 storieo «ne domine pas le tout comme le philosophe hegelien; i1 est engage dans une tache de totalisation» (per usare I'espressione di Merleau-Ponty).
principio. Che
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Chi accetti la tesi - non ogni questione puo, qui, esser ripresa alle origini - che le idee non si muovono su un piano a se, di distaccata purezza, rna hanno mani e piedi, e variamente rispon
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'1,
dono al complesso procedere della vita con cui sono solidali non potra «separare», se non per momentanea astrazione la storia dalla «teoria», che verra rimandata di continuo, se vorra essere comprensione critica della realta umana, verso una considerazio ne d'insieme. La visione d'insieme, che e forse l'unica costante aspirazione del filosofare, caduta (rna e poi caduta?) l'illusione teologale(che solidificando l'esigenza la postula come unita data da ~ontemplare),. pu.o vivere solo come sforzo di giungere a una storia che cerchi di rendersi con to, e di rendere conto delle mobili articolazioni della vicenda umana: il quale renders! conto - non si ripetera mai abbastanza - proprio per essere questa consapevolezza critica della «vita» del mondo umano, non e affat t~ c~ntemplazi~ne pa~ificata, rna inquieta chiarificazione, e quin di st.1I~1010.e gU.ld~ all ?~era.: presa di coscienza di limiti sempre mobili e diversi, identificazions dell'irrazionale nel fallimento di troppo fragili siste~azioni, rna, a un tempo, mota verso una pili compre~s~va ~nt~lhgenza: non Verita e Ragione date e possedute, rna «verificazionl» alterne e continue. Apertura massima rna che puo aversi solo nell'esarne critico pili rigoroso e completo del processo umano nelle varie sue manifestazioni, senza cadere nella tentazio~e delle «tav~le» delle categorie (<
filosofare - uno fra molti - non come filosofia delle filosofie con pretese egemoniche 0 esclusive, rna come comprensione dei molti modi che il filosofare ha avuto - esauriti gli uni in sentieri senza uscita, voci valide, gli altri, di un molteplice colloquio, del cui ritmo la «storia» ramrnemora i momenti, invita e contribuisce a chiarire il Iinguaggio, essa stessa interlocutrice vigile e attiva. Perche quella «nota» infelice - 0 felicissima, per avere suscita to 10 scritto agguerritissimo di Paci - su un punto batteva, certo non bene svolto, rna recisamente affermato proprio nel testo che annotava: la pluralita dei modi di filosofare, la pluralita delle «filosofie». Idea, certo, anch'essa, tutt'altro che originale: anche sui nostri tavoli di studenti della poco filosofica Firenze, nei tempi in cui troppo, forse, ci seducevano altre voci, gia trent'anni fa, erano aperti i volumi della teubneriana «Kultur der Gegen wart». E nella Systematische Philosophie cominciavamo proprio col leggere, in quel saggio di Dilthey che solo ora e stato tradotto da un nostro giovane amico: «Der Name Philosophie oder philo sophisch hat so viele nach Zeit und art verschiedene Bedeutun gen, und so verschiedenartig sind die geistigen Gebilde, die von ihren Urhebern mit diesem Namen bezeichnet worden sind, dass es scheinen konnte, die verschiedenen Zeiten hatten an immer andere geistige Gebilde das schone von den Griechen gepragte Wort Philosophie geheftet», In realta, non solo «potrebbe sembra re»: in realta il «bel nome» ha indicato davvero, e continua a indicare, cose molto diverse. II distacco fra Socrate e i «fisiologi» non e stato che uno fra i tanti che hanno punteggiato il travaglio so dialogo umano. E quel modo di filosofare che s'e detto «stori co» in questa appunto si distingue: nel volersi render conto dei modi molteplici di quel dialogo, rna senza pretendere di trasfor marlo in monologo, anche se aspira a comprenderne le possibilita di convergenza. E se polemizza, polemizza contro i modi esclusi vi, che vogliono chiudere e concludere, in nome, per usare i termini usati di recente da Rossi-Landi, di un moto da contro un mota a - e il moto da si risolve poi sempre in un regresso verso l'essere gerarchizzato, contro il libero progresso di una realta plurale e mobile, la cui intelligibilita, lungi dal definirsi in parten za, viene via via a verificarsi nella fecondita delle sue operazioni. E se c'e un nemico da combattere, esso resta quello che una volta, in una seduta della «Societe francaise de philosophie», Gabriel Marcel invece difese contro i soliti untori «pluralisti» (0, come 31
OSSERVAZIONI PRELIMINARI
dicono oggi certi nostri gazzettieri, ec1ettici e scettici): la metafisi ca gerarchizzante i piani di pensiero, di modi d'esperienza, di categorie - di essere: la rieerca garantita, l'ordine rassicurante da contemplare e da difendere con i soliti fuochi d'artifizio di defini zioni e di «eterne ragioni», mentre Ie teorie della ragione, Ie discussioni sull'essenza della storia e della scienza, continuano a dispensare i filosofi dalla fatiea di ragionare e di conoscere (non conosce chi non fa) quella storia (0 quella scienza) di cui sanno tutto - metodi, fondamenti e forme - tranne quello che propria mente 1a costituisce. Questa, e questa sola, e l'antifilosofia. Gli altri sono sforzi vari di filosofare, ivi compresa quella storia che vuol essere solo consapevolezza critica per una piu seria opera in una piu «uma na» convivenza. Che se poi dovra essere chiamata, essa, antifiloso fia, pazienza! Dieeva Feuerbach che, in certi momenti, l'unieo modo di far filosofia e combattere 1a filosofia. Cacciati dai paradi si delle delizie filosofiche, non ci cadra piu l'obbligo di giustificar ci con filosofiehe ragioni, e liberi da «impegni» troppo gravosi per Ie nostre gracili spalle, potremo tranquillamente attendere a coltivar legumi nel campieello di Candido.
A UNA STORIA DELLA FILOSOFIA *
«La filosofia e i1 proprio tem po appreso col p e n s i e r o ... Rico noscere la ragione come la rosa nella croce del presente e goderne - tale riconoscimento razionale e la ric 0 n ci Ii a z ion e con la realta, che la filo sofia consente a quelli i quali hanno avvertito, una volta, I'interna e s i g e n za di comprendere e di mantene re, appunto, la liberta soggettiva in cio che e sostanziale, e, al modo stes so, di stare nella liberta soggettiva, non come in qualcosa di individuale e di accidentale, rna in qualcosa in se e per se» (HEGEL, Filosofia del diritto).
1. AIle discussioni, sempre piu frequenti, intorno alIa storia della filosofia, nuoce spesso l'intrecciarsi di prob1emi diversi, da trattar si distintamente, anche se, come e ovvio, Ie varie questioni sono poi strettamente legate tra loro. Cosi, per esempio, Bruno Nardi, quando, a Carlo Antoni che ne elogiava la fedelta a un suo meto do, rispondeva argutamente di non aver seguito un proprio meto do rna il metodo proprio delle scienze storiche, si riferiva a quel comp1esso di tecniehe specifiche che ogni ricercatore deve cono scere e mettere in atto. Tuttavia Antoni intendeva certamente altro: ossia un modo di vedere il processo storieo dell'indagine filosofica, e l'idea che 1a filosofia si va sviluppando lungo certe linee, travagliandosi intorno a certi prob1emi: linee e problemi che 10 storieo pub ritrovare attraverso un attento esame dei docu menti, ripercorrendo a ritroso quella via che il pensiero di cui egli e partecipe ha gia battuto '.
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* Pubblicato nel «Giornale critico della filosofia italiana», 38, 1959, pp. 1-55. t Cfr. «Giornale critico della filosofia italiana», 35, 1956, p. 278 [rna efr. ora Ie precise osservazioni metodiche premesse da Nardi alia sua raccolta di saggi sulla storia dell'aristotelismo, Firenze 1958].
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Una cosa e ricercare -l'ha distinto perspicuarnente l'Abbagna no 2 - «che cosa e in generale la storia della filosofia», e un'altra cosa e «chiarire le condizioni, i limiti, e, se ve ne sono, Ie regole di que 1 particolare tipo di lavoro che e ritenuto proprio degli storici della filosofia». Senza dubbio il dibattito pili proficuo ai fini di un lavoro effettivo e solo quello intorno al lavoro concreto, e alle tecniche che mette in opera 3. Ma non e possibile non distinguerne, e non affrontare, anche l'altro problema, intorno al concetto stesso di una storicita della filosofia, 0 meglio, intorno al significato da attribuire alla storicita del filosofare: che e quanta dire che non puc evitarsi il dibattito intorno al significato della filosofia e alla possibilita, per la filosofia, di avere una storia ossia, di nuovo, intorno al significato della storia in genere ", e alla relazione fra filosofia e storia. «Se la filosofia e storia chiedeva ironicamente nel '22 Gobetti agli idealisti - perche la filosofia? Qui non e quistione di scetticismo rna di metodo. Quan do abbiamo identificato il mondo con Dio, non ci siamo fatti forse la stessa domanda: perche Dio?» Trent'anni dopo, nella sua prolusione pisana, un gentiliano rigoroso come Fazio-Allmayer cominciava: «Non ci chiediamo 'quando sia nata la storia della filosofia' e con quale tecnica equal metodo debba essere costrui
2 It lavoro storiografieo in [ilosofia, in Verita e storia. Un dibattito sul metodo della storia della [ilosofia, [Asti] 1956, p. 17. 3 E vero per 10 storico della filosofia - che e, giova non dimentiearlo, uno storico - quello che il Cantimori ha osservato in genere per tutto il lavoro storiografico: «se non sapremo distinguere ricerca storiografica da ricerca filosofica, ci fermeremo a discutere Ie idee genera Ii di quello che ci dovrebbe interessare come storico ... faremo della pessima filosofia e della pessima storiografia: dobbiamo vedere 10 storico, 10 studioso, all'atto della ricerca, della ricostruzione, dell'esposizione, della narrazione, dell'intendi mento storiografico: l'intendere, il capire storico scaturiscono dall'analisi e dal confronto dei vari giudizi storici con la documentazione - nel senso piu largo della parola - e fra loro». I limiti additati dal Cantimori si possono trovare, portati all'esasperazione, nel recente corso di lezioni di E. Oggioni, Rinascimento e Controriforma. Problemi filosofiei dell'odiema storiografia, Bologna 1958, il quale prescinde completamente da ogni considerazione della consistenza effettiva delle opere storiehe per enuclearne i presupposti 'metafisiei' reali 0 immaginati. 4 Scrive giustamente Paci (Hegel e il problema della storia della filosofia, in Verita e storia, cit., p. 161): «11 problema della storia della filosofia non riguarda soltanto la storia della filosofia rna la storia concreta ed integrale, la storia che non e mai soltanto della filosofia 0 dell'arte 0 della morale».
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ta, rna invece se e come sia compatibile il concetto della storicita della filosofia con quello della filosofia come sapere assoluto» 5. Chi concepisca ogni rice rca giustificata via via dai res~lta~i che raggiunge, e quindi fondata e verificata nelle. sue costruziom, non potra non sentire alieno da se i1 probl~ma dl. ~n fondam~nto presupposto e giustificante la ricerca - ossia vamfl,cante la ~lcer ca: la filosofia, una filosofia, condizione della stona della filoso fia 6. Cio non significa, tuttavia, che si debba, 0 si possa, eludere 5 V, Fazio-Allmayer, La storicita della filosofia, «Annali della S~uola nor
male superiore di Pisa», 21, 1952, Scriveva nel ~942, ne~ carcere di S,aluzzo,
Rodolfo Morandi, in un interessante abbozzo di introduzione alia stor~a della
filosofia (Lotta di popolo, Torino 1958, PP', 16-17): «~on ~ nella studio dell~
storia che si cerca per parte dei professionali la ~etermm~zlOne del c~mcetto di
Filosofia: quest'e compito assegnato alia filosofia teorenca, ~a nozione della
filosofia infatti pare debba sortire bell'armata alla sua battaglia dal~a testa del
cattedratico, non gia dalla storia, dalla vita puente nel ~empo, che I,ncess~nte
mente I'elabora come ogni altro termine di cultura. SI ha questa l!,verslOn~
paradossale; l'indagine storica, invece che portare a~ essa. come a risultato, e
,
subordinata in anticipo ad un concetto dato ~ella fl~o.sofla».. 6 U, Spirito, Come si deve fare la stona, in Verita e sto~za, CIt., .pp. 1~~ sgg., ha i1 merito di sottolineare co!" fine~za ~olte delle aporte che Sl e s<;>htl opporre allo storieo; ed ha anche il mento dl osservare che «bu~na, sara I~ storia che si adeguera al fine pr.opost.o,. soddisfacendolo nel. migliore del modi, L'esperienza ci conjerma, injatti, li"ne(;mos~lr1?e!'!to umv.ers~Je .della. validita di opere storiehe eondotte per I piu ,dlVersl f'!,!' ~ con I P!U dlVe~sl metodi», La conclusione di Spirito qui sottohneata cOII:,clde tuttavia solo Ii? parte con alcune delle osservazioni eSl?oste sopra. La .dlvergenza maggiore e nel modo di concepire quel [ine, sia rispetto allo s,tonco c~e ,al.la sua opera, come qualcosadi assunto a priori, con una sorta di scelta individuale, Iegata in ultima analisi a una personale scelta metafisiea e. da e~sa, c~~dlzlOnata «
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la domanda: che si possa ignorare la reale esistenza di interrogati vi, e di impostazioni, che della storicita del filosofare vogliono discutere ed accertarsi prima di affrontare, con una ipotesi di lavoro, l'indagine intorno aIle molteplici realizzazioni concrete che la «filosofia» ha avuto nel mondo. Non pub ignorarsi, insom rna, l'esistenza di chi, prima di fare storia della filosofia, intende assicurarsi il possesso della filosofia. Anche se, alla fine, potremo, o dovremo, concludere che, in questa discussione, si urtano due concetti irriducibili, non solo del filosofare, rna della posizione e del significato di ogni attivita umana: e di essi l'uno si aggrappa all'idea di una r e a lt a che sia fondamento e principio, e la ricer ca orienta nella direzione del principio, nella scoperta e nella contemplazione di esso, nel suo ritrovamento teoretico e pratico (e poco importa se tale principio sia collocato talora in eterne strutture della mente). L'altro modo 7 di concepire, invece, trova il senso dell'esistenza nelle sue realizzazioni, e il significato di queste va ricercando, non in un metro fissato a priori, rna nelloro operare in realizzazioni sempre nuove: il significato della storia della filosofia, non in una filosofia preesistente, concepita come lavoro, rimette !n realta in discussione Ie prime scelte e tutti i presupposti. Questo, che e il lavoro dello storico, e il costituirsi stesso della tessitura storica dell'uomo. in un'epoca; e .il costituirsi solidale di un'epoca che e, anche, la sua storra. Perche quel dialogo, quella collaborazione, e confronto, ~ scelta, non. solo col pa.ssato.e del passato, rna col presente, e del presente: e collaborazione con gli altri, non fatto personale e scelta individuale (la scelta individuale, anche se 'solitaria', poiche la solitudine e cercata contro gli altri, e ancora con gli altri). Quanto alia posizione complessiva di Spirito, essa e molto interessante: il problematicismo, per chi teneva conto della sua genesi (di la dalla discussio ne del rapporto scienza-filosofia), offriva la possibilita di essere interpretato come .una,posiz!o?e :metodica e ~~itica', aperta a tutte Ie possibilita, anche a un esito metafisico (problematicisrno trascendentale), rna non necessaria mente dominata da un destino 'rnetafisico', 7. E si. chia~i . pure, questa sec(;md? modo, se si vuole, con I'ambiguo te~I':le di stonClSI'!'lO, rna nella direzione precisata da Croce (contro 10 stoncismo alia Meinecke): «storicismo nell'uso scientifico della parola e l'affermazione che la vita e la realta e storia e nient'altro che storia. Correlati va a quest'affermazione e la negazione della teoria che considera la realta divisa in soprastoria e storia, in un mondo di idee e di valori e in un basso mondo che Ii riflette, 0 Ii ha riflessi finora, ifol modo fuggevole e imperfetto, ~ al quale converra una buona volta imporli facendo succedere alia storia imperfetta, 0 alia storia senz'altro, una realta razionale e perfetta ...», E sempre del Croce resta pienamente valida l'osservazione - contro I'idea di un metro su cui misurare la storia - che «le idee 0 valori che sono stati assunti a modelli e misura della storia, non sono storia e v'alori universali rna fatti particolari e storici essi stessi, malamente innalzati a universali»:
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«sapere assoluto», e come giudice giudicante, rna nell'apporto che la 'memoria' illuminata del passato reca alIa comprensione del presente, per la costruzione di un futuro, in cui, nell'ampliarsi di rapporti, e nel costituirsi di nessi nuovi, tutto il passato venga visto di nuovo in luce nuova. Con un linguaggio certo inesatto, e per opporre slogan a slogan, non la storia della filosofia dopo la filosofia, rna la filosofia dopo la storia della filosofia; 0, pili esattamente: la storia della filosofia non si verifica nel «princi pio» accertato della «filosofia», rna nelle sue realizzazioni, ossia nella fecondita dei suoi contributi alIa vita cosciente dell'umanita, all'arricchimento della consapevolezza critica del presente, attra verso la conoscenza della sua genesi non fittizia - genesi e non principio - per la costruzione del futuro. Come ogni sapere effetti YO, anche la storia della filosofia muove dal presente che vuole intendere, dalle aporie del presente, cercando, nelle guise onde si sono generate, indicazioni per affrontare l'avvenire 8. s E qui il significato della tesi della «contemporaneita- della storia: nel I'interpretare la quale converra tuttavia molta cau!ela per non. fraintendere certe espressioni IIl;etaforiche, trasierendole, olt!e tl loro. e.ffettlvo campo ~h validita (rielaborazlOne «secondo II [proprio] bisogno spirituale»: «Ia stona che [...], nell'atto che si pensa [...], e Rer~ettame!1te identica alla pi~ .personal~ e contemporanea delle storie», e COSI Via), e riducendole a giustificare ogm arbitrio, ogni superficiale falsificazione, ogni fr~tto~osa trascu~a':lza di ~ocu menti. Scriveva Gaetano Salvemini (Pasquale Yillari, «Nuova rivista ston~a»: II, 1918): «non appena 10 storico sia stat? condotto, dalle preoccu,PazlOm morali del suo tempo, a scegliere un determinate soggetto per Ie.sue ricerche, da quel momenta in poi i doveri del metodo criti~o .devono dominare sovram, e non consentono pili l'intervento di nessun principio morale, salvo quello d~1 pili assoluto ossequio alia verita». A 9uali esiti, d'al!ra ~arte: possa co?~urre II principio del diritto alia «rielaborazlOne secondo II mio bisogno sp;r.ltua.le»: per usare l'espressione del Croce, hanno mostrato anche troppe falsificazioni programmatiche dei momenti cruciali della storia. .., Quanto poi a Salvemini, di ~~cente E.. Ses!an (a prop~slt? di Stona e scienza, Firenze 1948, trad. dall Inglese Historian and Scientist, An Essay on the Nature of History and the Social Sciences, Cambridge (Mass.) 1~39), ha osservato che la contemporaneita della storia assumerebbe in lUI un valore 'rovesciato' rispetto a Croce (Salvemini storico e ma,estro, «Riv~sta storica italiana», 70, 1958, p. 38): e «non nel senso che la vita attuale e la ragione dell'interesse storico e la chiave dell'interpretazione storica, rna, al contrario, che il passato determina il presente e vive tutto nel pres~nt~». La tesi di Salvemini e chiara: «direttamente 0 indirettamente, ogm ncerca storica mira a risolvere it problema fondamentale di sapere in quale m?do una data situazione presente e arrivata ad essere qual e», onde, alia fine, «regolare la nostra condotta in m?do pili intelli,gente» (~to.ria e scie~z~, cit., pp. 19-20). Ove, pili ~he di rove~clamento, .do~ra parlarsi piuttosto di diversa formulazione del 'circolo' crociano: «nor siamo prodotto del passato, e viviamo immersi nel passato che tutto intorno ci preme. Come muovere a
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riti, almena in quei campi dove il progresso del sapere e piu contrastato da motivi pratici, e soprattutto le analisi e le verifiche storiografiche non possono appoggiarsi alla testimonianza di que gli esperimenti che hanno violentemente frantumato gli edifici non menD solenni della fisica e della teoria del cielo, pur cost profondamente solidali con quella sintesi metafisiea che taluno ancora va difendendo come «classicamente» perfetta.
Del resto un esempio cospicuo di questi due atteggiamenti ossia di due signifieati diversi del filosofare - offre la storia stessa . del pensiero folosofico con i ricorrenti tentativi di sottrarre in t~tto 0 in parte (la parte viva di un filosofo), un determinato sistema alla sua condizione storiea per farne una conquista assolu tamente valida. Cosi Aristotele, la cui sintesi dottrinale e la cui sistemazione del .sapere furono senza dubbio a lungo feconde, trasformato nella incarnazione medesima della «filosofia» ha bloc cato 'per secoli il processo del sapere, finche una visione adegua ta, ncollocandolo nella sua temporalita, ha ridato vita vera al nemico del sapere (quella «bestia» d'Aristotele, come diceva Bru no), restituendogli un suo significato storieo non esauribile 9. Si gnificato, si badi, in una prospettiva storica che non ammette eccez.ioni di parti .«eterne»; che storicizza tutto il pensatore; che, pur nconoscendo II vario intrecciarsi dei nessi e la varia fecondita delle singole tesi, si mantiene sempre lontana dai tentativi decora ti a volte di nomi illustri, di privilegiarne la logica, quasi logiea eterna del genere umano, 0 la metafisica, quasi rivelazione dell'as soluta struttura dell'Essere. Che son tentativi purtroppo non esau nuo~a ~accla
.vita, come creare la nostra nuova azione? [...]. Bisogna guardare in II passa!o.o, fuori di metafora, ridurlo a problema mentale e risolverlo In .una proposlzlO.ne di verita, che sara I'ideale premessa per la nostra nuova azione e nuova ~Ita» .. In altri termini e la storicizzazione del presente, ossia la conoscenza, I intelligenza, ch.e cogli~ n~l. pulviscolo degli eventi la tram a del pass~to, che permettendoci un giudizio della situazione ce ne libera apr~ndoci a,lla consape~olezza delle, possibilita di scelte future (<
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2, E domanda trita, e in molti casi pigra ed inutile, quella che allo storieo della filosofia chiede una filosofia preliminare senza la quale sarebbe impossibile fare storia della filosofia. Non e concepibile - si dice - affrontare la storia della filosofia senza possedere la filosofia, «come non sarebbe possibile scrivere una storia della matematiea senza essere matematico» 10. A questa domanda non basta rispondere, come pur converrebbe, che la filosofia dello storieo della filosofia e. appunto, la storia della filosofia, 0, meglio ancora, la storia: ossia una concezione per cui anche la filosofia - come tutto il mondo umana - e in divenire, e le affermazioni della filosofia sono molteplici, e tutte variamente solidali col processo dell'umanita. Quel che si chiede e altro: e una concezione specifica della rea 1tache costituisca un metro determinato in partenza, senza il quale sarebbe impossibile giudi care il pensiero del passato, sceverandone il buono dal cattivo, il vivo dal morto. Di piii: senza quel termine di confronto neppur si potrebbe discernere il filosofico di cui pur si deve tessere la storia, in una storia del filosofare, dal non filosofico da lasciare al margine 0 da espungere. Bisogna, insomma, ad esempio, aver precisato che filosofia e problema, in modo da non perdere tempo con quelle «escrescenze» (per usare l'espressione di N. Har tmann) che sono i sistemi, 0 vieeversa. Bisogna aver definito la «filosofia della spirito» per non perdere troppo tempo, quando si affronti Hegel, con la fenomenologia, con la filosofia della natu ra, e con altri consimili punti morti del pensiero hegeliano. E chiaro che un'impostazione del genere, che non di rado si offre al lavoro dello storieo quando gli si domanda se abbia le 10 N. Hartmann, Filosofia sistematica, Milano 1943, p. 25 (cfr. D. Canti mori, Introduzione aile Meditazioni suila storia universale del Burckhardt, Firenze 1959, pp. XLII sgg.).
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carte in regola con «la filosofia», e indicativa di una presa di posizione prec1udente ogni storia della filosofia in senso proprio, ed avvilente la storia, ora alla ricerca di genealogie per un sistema - il proprio sistema - (e sono quasi sempre, come capita in genere con le genealogie, false e fantastiehe), ora alla costituzione di gallerie di ritratti, 0 a una mera aneddotiea, 0 a un esercizio letterario sulle forme stilistiche in cui il pensiero uno si sarebbe venuto esprimendo variamente nel tempo. Un tempo, si badi, che in simili prese di posizione e di continuo svuotato di ogni senso da quell'eterno di cui sarebbe l'epifania. D'altra parte l'idea della necessita, per 10 storieo, di assumere preliminarmente una filosofia, non puo non presentare subito un grave ostacolo: come assumere, infatti, quella filosofia? Non per seeIta arbitraria, evidentemente. II Gentile, in quel suo saggio in cui cerco di sciogliere il nodo attraverso la formula del circolo della filosofia e della storia della filosofia, individuo con effieacia l'aporia, anche se poi, fisso com'era alla visione pili che dell'unita dell'unicita della filosofia (quella philosophia perennis che era la sua filosofia), si contento appunto di una formula piuttosto che di una soluzione. «Se si dice - osserva - che occorre prima avere un sistema prestabilito che serva di misura, non si tien conto del fatto che questa sistema deve essersi formato, e che non puo altrimenti essersi formato, che sul fondamento storico, attraverso la lettura e la critica dei libri di taluni filosofi, cioe, in generale, attraverso 10 studio della storia [...]. Se si sostiene che il sistema dev'essere, non il principio, ma la conseguenza, della storia della filosofia, non si tien con to di un altro fatto: che questa storia della filosofia non sorgerebbe mai senza l'interesse filosofico; e che questa interesse importa un concetto qualsiasi della filosofia, ossia un sistema contratto quanta si voglia, ma potenzialmente determinato... » II.
In verita la formula gentiliana poteva presentarsi plausibile solo accettando il presupposto comune a tutte le richieste di un «sistema prestabilito che serva di misura»: presupposto che si rivela in modo chiaro nell'analogia comunemente invocata - pur nella sua improprieta palese - con le scienze. Come fare 10 stori co della matematica, si diee, essendo digiuno di matematica? Ove, a prescindere dal carattere tutto particolare delle cognizioni di matematica, fisica 0 medicina, necessarie allo storico di que lle discipline, si dimentica la diversita profonda della situazione del filosofo: si dimentica, 0 volutamente si tace 0 si altera. In ogni epoca, infatti, si puo parlare di un certo stato raggiunto dalle cognizioni matematiche, 0 fisiehe, 0 mediehe, in cui, pur con tutte le aporie su questioni specifiche 0 intorno a ipotesi esplicati ve ultime, un corpo di nozioni essenziale e accettato quale resulta to della ricerca precedente, e punto di partenza su cui e possibile
11 Il circolo della filosofia e della storia della filosofia [1907], ora in La riforma della dialettica hegeliana, Firenze 1954', pp. 138 sgg. Ma la tipica impostazione gentiliana si trova subito all'inizio della sua prolusione palermi tan a del 1907 su Il concetto di storia della filosofia, raccolta ne La riforma cit., pp. 100 sgg.: «chi fa la storia della filosofia deve sapere che cosa e la [iiosofia, di cui vuol fare la storia: deve saperlo in modo da averne determi nato un concetto unico. Non e possibile pensare che ci siano piu concetti diversi della filosofia, e scriverne una storia; perche dati piu concetti, tra loro diversi, si danno piu rea Ita, piu filosofie fra lora diverse; e la storia dell'una escludera da se la storia di ogni altra [...]. Come che sia intesa la filosofia, e come che sia intesa per conseguenza la sua storia, non e possibile
mai filosofia che non sia una filosofia. Ora, che si possano ammettere piu concetti disparati di filosofia non di rado si concede, anzi talvolta si chiede; e ci si fonda sopra una certa dottrina di tolleranza filosofica [...J, Ma ch.e ,it;t realta si scrivano storie della filosofia con tal presupposto della molteplicita di problemi fondamentali della filosofia non accade, ne puo accadere: per che se quella concessione od esigenza puo darsi, no.nost~nt~, la sua i~raziona: lira, un fatto irrazionale, quale sarebbe una stona di piu oggetti, non e possibile. Quale che sia il punto di vista da cui muov: 10 s~orico e.l'indirizz? filosofico a cui aderisce, egli non potra ricercare, ed infatti non ncerca mal, se non Ie soluzioni che sono state via via escogitate di un medesimo problema, che per lui e il problema essenziale della filosofia; quel problema da cui gli altri, piu strettamente filosofici (e dico piu strettamente, perche tutti sono, in largo senso, filosofici), dipendono direttamente 0 indirettamen teo Onde il filosofo tollerante a parole, diventa storico intollerante coi fatti: poiche i fatti all'impero della logica non s,i P?ss?n~ ~ott~arre, e .Ia logi~a e intollerante per natura». II testo del Genttle e significativo per II continuo riferimento a presupposti impliciti non dichiarati e non dimostrati, dal concetto della logica intollerante (che distrugge i fatti) a quello del problema unico, dell'oggetto unico, escludente i problemi molteplici rna conciliabile e non si vede come - con Ie molte soluzioni, destinate pero a ridursi surrettiziamente a unita, onde, alia fine, nell'unita ovunque trionfante sem bra annullarsi il concetto stesso di storia (che, di fatto, nell'attualismo si vanifica). D'altra parte la confutazione del pluralismo e solo apparente: certo, verrebbe fatto di rispondere, la vera filosofia e una, ed e la concezione della possibilita di orientamenti, direzioni, interpretazioni diverse dell'esigen za della filosofia, ossia e la filosofia 'pluralistica'. Osservera giustamente il Banfi, Concetto e sviluppo della storiografia [ilosoficu, «Civilta moderna», Y, 1933, p. 561: «II sapere filosofico non si presenta [...] come .lin .corpo sistematico di dottrine, che concresce armonicamente, secondo II disegno unitario di una struttura obiettiva; esso e differenziato secondo sintesi, strutture, direzioni affatto distinte, varie di metodo e di valore teoretico come di significato culturale».
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un consenso sufficientemente ampio. La stessa pluralita (di model li esplicativi, per esempio) e accolta, e quindi 'unificata', nella visione che la suppone accettabile. In tal senso e plausibile, entro certi Iimiti, la tesi che il lavoro della storico della matematica presupponga la conoscenza della matematica (ossia di un certo stato pacifico di cognizioni). In filosofia, invece, non puo parlarsi seriamente, in alcun momento, di una filosofia ultima, unica e vera: che molte, differenti, ed escludentisi reciprocamente, si pro clamano tutte ultirne, ed uniehe vere. E se anche convergono in certi aspetti 'tecnici', non e di questi che si parla quando si chiede allo storieo un credo, rna proprio di quelle vedute fondamentali su cui la divergenza e massima, e radicale l'esclusione reciproca. Perche 10 storico - si dice - deve arrivare al giudizio di vero e di falso, e nella verita porre Yunita della storia come storia della
verita 12. Ma v'ha di pill: ognuna di quelle 'filosofie', reciprocamente in contrasto, si giustifica proprio attraverso una sua storia della filo sofia, rieostruita in modo da ammettere solo una conclusione: la filosofia di chi opera quella interpretazione storica. E chiaro dunque che, volendo 10 storico rispondere all'esigen za propostagIi, di avere una filosofia come misura prestabilita, dinanzi alia molteplicita delle posizioni esistenti nel proprio tem po non potra non operare una scelta. E se non vorra ridursi alia famosa battuta fichtiana presa alia lettera (<
te una «logica», rna rischia anche di svuotare a priori di senso ogni ricerca storica. Se il filosofare consiste in una costruzione o ricostruzione 'rnentale' - di strutture 'logiche', il suo progresso potra al massimo configurarsi sotto il profilo di un accrescimento quantitativo: svolgimento ed esplicazione di ulteriori dimostrazio ni; prosecuzione e completamento, in tutte Ie sue articolazioni, dell'edificio «essenziale» che costituisce la «verita» del mondo dell'esperienza. Nel processo la successiva ascesa del pensiero significhera aumento del numero delle verita acquisite attraverso 10 svolgimento dei temi impliciti - e di fronte avra il variabile e l'illusorio. Se essenziale alia storia e il libero sviluppo, ossia il rischio di una scelta non preordinata da 'provvidenza' alcuna, e, anche se condizionata da una situazione, aperta tuttavia a possibi lita infinite, nell'opporsi di verita logica, 0 assoluta verita, e di illusione, la storia verra meno. E neppure si potra rifugiare in un lora complesso intrecciarsi, ove 10 storico poi, con la lama affilata del giudizio, venga separando il vero dal falso, il vivo dal morto uno di qua e uno di la - costruendo la sua bella «storia della verita». Della verita che ha dinanzi a se I'errore non e giudiee la storia: il giudizio della storia e 10 stabilimento di un rapporto, di un complesso di rapporti, che devono legare nelle lora maglie tutto, 0 almeno tessere trame capaci di comprendere tutto, il bene come il male, la verita come I'errore, I'eretico bruciato ieri e venerato oggi, l'eroe esaltato ieri ed esecrato oggi. L'opposizione luce-tenebre, cara aIle metafore 'visive' logieo-gnoseologiche, non cade nella storia; la bella immagine de claritate in claritatem appartiene al linguaggio dei mistici, non a quello degli storici. La storia non piange e non ride; cerca di comprendere, ossia di stabilire legami, passaggi, rapporti di reciproca azione 13. Colui che alia parola del passato si avvicina con la lama di una logica privilegiata, qua vero la falso, e pretende di costruire COS! la «storia della verita», si riduce a dare un nome a ognuno dei teoremi veri, tutti veri, di cui s'intesse l'ultimo sistema - il suo
12 Sull'aporia dell'unitii cfr. Ie espressioni del Cassirer che, almeno, mo strano un'acuta consapevolezza del problema: «La log i c a immanente della storia giunge tanto piu chiaramente alla coscienza quanta meno i m m e d i a t arne n t e essa viene cercata e proiettata, per mezzo di uno schema fisso, sui fenomeni. In realta si deve riconoscere fin dall'inizio che I'u nit a interna, che lega i singoli fatti, non ci e data direttamente insieme a questi, rna deve sempre essere creata dalla sin t e s i del pensiero» (Storia della filosofia moderna, trad. it., I, Torino 1952, p. 11).
13 Scriveva Salvernini (Pasquale Villari, in «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», vol. 53, 1917-18, p. 4 dell'estr.), non senza qualche improprieta d'espressione, rna can profonda verita: «10 storico non deve ne condannare ne assolvere, deve semplicemente spiegare; il suo ufficio si riduce tutto a risolvere il problema [...] di incatenare logicamente i fatti in un sistema di concomitanze e di causalita. Se non avril risoluto obiettivamen te questo problema, il suo lavoro non raggiungera ne un valore scientifico ne una utilita pratica».
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sistema (0 a dare un nome all'equivoco via via scartato, e relegato nel caotico mondo dell'illusione). «La storia della filosofia mostra [...] che le filosofie che sembrano diverse, sono una medesima filosofia in diversi gradi di svolgimento» 14: i quali gradi, posta COS! la questione, altro poi non sono che' le varie articolazioni logiehe del sistema. In altri termini, una storia della filosofia impostata su questa assunzione preliminare di questo tipo di filo sofia dimostra che della filosofia storia non si da, e rende assurdo in partenza ogni lavoro storiografico che non si limiti a cronaca, dossografia, esercitazione di curiosita erudita. L'altra alternativa, di fronte alla riehiesta di una filosofia da presupporsi alla storia, e quindi da scegliersi da parte della stori co prima di cominciare il proprio lavoro, suppone, come criterio di scelta, una sorta di ricognizione storica, rna, per usare i termini del Gentile, «contratta», e solo «potenzialmente determinata». II metro 0 filosofia 0 sistema preliminare verrebbe assunto in quan to capace di rappresentare, almena a prima vista, la migliore risposta aIle richieste del passato. Nella lettura dei testi del passa to - e col passato andra posta anche il presente diverso - si giungerebbe a una conclusione in base a cui affrontare, e poi «giudicare», il passato. Ossia una lettura sup e rf i ci aim e n t e storica offrirebbe gli strumenti per intendere, e il metro per giudi care pro f 0 n dam e n tela storia: una filosofia 'inferiore' per una storia 'superiore'. Per assurda e paradossale che la tesi possa apparire, essa e, sostanzialmente, molto vieina alla posizione di quanti hanno richie sto per 10 storieo della filosofia una filosofia eclettica (quando non hanno identificato con 1'eclettismo, piu ancora che la Iiloso fia della storico della filosofia, la storia stessa della filosofia) IS. 14 Hegel, Enciclopedia, Intr., § 3, trad. Croce, p. 18 (Paci, loc. cit., p. 147). Hegel e categorico circa la possibilita di 'diversi modi di vedere': e «press'a poco come se la luce e Ie tenebre venissero chiamate soltanto due d i v e r s e specie della luce», " G. Galli, Filosofia e storia della filosofia, «Civilta moderna», Y, 1933, p. 87: (<
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Ove, volendo dare un significato plausibile aIle parole, evidente mente si pensa che il lavoro della storieo si limiti alla semplice esposizione artieolata dei vari sistemi, accompagnata da una certa opera di riordinamento e ridistribuzione interna ad ognuno, fatta in base a una partecipazione e «simpatia spirituale» adattata via via. Lo storieo, in altri termini, offrirebbe al filosofo bene ordina ti e ripuliti i «resultati» dei pensamenti del passato; le «idee», disinfettate al massimo, e disposte in ranghi disciplinati e ordina ti, costituirebbero-una sorta di deposito ben-tenure, di cui il «teoreta» utilizzerebbe poi qualche «pezzo» ancora funzionale per i suoi fiammanti edifici. Onde puo capitare di vedere ripresi, e messi insieme, il cogito di Cartesio, l'esse est percipi di Berke ley, l'io penso di Kant e il pensiero di Fiehte, e magari temi di Aristotele e di Hegel, in realta con scarso vantaggio di tutti. II nuovo pensiero non solo non ne riesce piu solido 0 piu chiaro, rna induce in equivoco e mette in circolazione equivoci. La storici l'eclettismo, rna I'assoluto empirismo), e che I'eclettismo non esclude, rna permette, che dall'infinita molteplicita delle affermazioni si salga ad una molteplicita relativa di poche affermazioni diverse rna ugualmente vere; la deformazione, e non la semplice persuasione, a cui I'universale del pensiero va soggetto, per essere posto come qualcosa che e trasceso e limitato dal molteplice e cioe per venire assoggettato esso medesimo alia categoria del fatto 0 molteplicita (la qual cosa, tuttavia, non e I'assoluta negazione che del pensiero fa l'empirismo e attesta che viene sentita, per quanta male soddisfat ta, l'esigenza del valore del pensiero): sono questi i caratteri fondamentali dell'eclettismo». La prospettiva qui indicata e molto chiara, come e, pur in questo testo, indicativa la severa condanna dell'empirismo che, tuttavia, si e posto anch'esso come filosofia. Diverso era il modo di prospettare la questione, a proposito dell'ecletti smo, del Cousin, rna in fonda, era un modo molto pili «storicistico». «Se e vero - diceva nella lezione del 17 luglio 1828, conc1udendo il suo corso che il nuovo movimento filosofico che avanza silenziosamente in Europa e un movimento ec1ettico, ne segue che l'eclettismo sara la base della nuova storia della filosofia, poiche e una legge necessaria che ogni filosofia, che raggiunge via via il predominio, dopo avere esaurito il proprio sviluppo teorico volga i suoi sguardi al passato, 10 interroghi secondo 10 spirito che ha in se, e giunga a una storia della filosofia che Ie sia conforme [...]. La storia della filosofia e necessariamente relativa, in ogni epoca, allo stato della filosofia dell'epoca. E un punto incontestabile. Di pili, 10 stato della filosofia speculativa di un'epoca e a sua volta necessariamente relativo allo stato generale della societa dell'epoca [...]. Come non e in potere della nuova filosofia non generare una nuova storia della filosofia a se conforme, COS! non e in potere della nuova societa di non generare la nuova filosofia ...» (Introduction a l'histoire de la philosophie, Paris 1828, 13' lecon, pp. 29-30). Ossia I'eclettismo non e la filosofia di ogni storia della filosofia; 10 e nel 1828, solo perche l'ec1ettismo e la necessaria presa di coscienza speculativa dell'Europa (Francia-Germania) in que I momenta storico.
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ta non consiste in questa infiorare il nuovo discorso di vecchi nomi, 0 nel fantasticare sintesi assurde e inconsistenti, rna nel rispondere a domande reali, maturate lentamente e faticosamente attraverso un lungo viaggio, Ie cui tappe furono S1 Aristotele e Kant e Hegel, ma nella lora realta 16. La qua Ie ancor giova, certo, ma non quando dai filosofi 'vivi' si stacchino brandelli orrenda mente deformati e gabellati per la loro.cverita», 0 indicati come la lora «anima»: giova al contrario nella sua determinatezza tern poralmente ben individuata, come altra da noi, nella comprensio ne di un processo e della sua validita entro una situazione. Che la storia non da mai, e da sempre, risposta alle nostre domande: non ci da mai risposte prefabbricate, ma ci aiuta sempre, attraver so una piu articolata coscienza di noi e delle radici del nostro mondo, a dare una risposta nuova a domande reali; ci aiuta a capire quali sono Ie domande che vogliono risposta; e come, e perche. 3. E tuttavia e pur vero che 10 storico della filosofia ha una sua concezione, da cui parte, e che tiene ben ferma: che della filoso fia si da storia, ossia che la filosofia non e disincarnata visione di eterni veri, ma formulazione di sistemi di idee, comprensione di problemi, elaborazione di vedute d'insierne, in indisgiungibile nes so col mobile variare di tutte Ie componenti della vita umana. 16 Nulla di pili equivoco, 0 di pili insidioso, del ritorno di temi 0 motivi apparentemente uguali, rna che assumono significati molto diversi in contesti diversi: il cogito in Campanella e Cartesio, la 'prova ontologica' nelle sue varie e non paragonabili formulazioni, e cos) via. Le idee non si possono staccare, quasi fossero dotate di una lora vita autonoma, dalle situazioni, ossia dalla rea Ita degli uomini che le formulano. Esse sono, certo, aspetti, parti integranti di tale realta, rna non ne sono 'separabili', In questa senso non e dirnenticabile l'osservazione di Marx: «sono gli uomini i produttori delle lora rappresentazioni, idee, ecc., rna gli uomini reali, operanti [...]. La coscienza non puo mai essere qua1cosa di diverso dall'essere cosciente, e l'essere degli uomini e it processo reale della loro vita [...]. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica [...] non hanno storia, non hanno sviluppo, rna gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con queste lora realta, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non e la coscienza che determina la vita, rna la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo viven te, nel secondo modo, che corrisponde alIa vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la lora coscienza» (Ideologia tedesca, trad. F. Codino, Roma 1958, pp. 22-23).
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«Una filosofia - e stato detto giustamente - nasce dalle esigenze della storia, dalla vita, dalla crisi focale della vita, dalla richiesta della vita, che vuol vivere, essere soddisfatta, trasformarsi da una situazione a un'aItra situazione» 17. Una filosofia non nasce da un'aItra filosofia, 0 da una fantastica «storia della filosofia»: non si deduce logicamente, ne s'inferisce da abbracciamenti di vergini idee in pure generazioni mentali. La nascita d'una filosofia e sem pre corposamente 'impura': e Ie idee, e Ie lora sintesi, sono saldate aIle cose. Sono idee d'uomini, e gli uomini sono coscienza ed espressione di situazioni reali, di problemi e dlfficolta, di senti menti e bisogni che chiedono risposta, e vogliono, per aver rispo sta adeguata, linee d'orientamento e vedute d'insieme - carte di navigazione, avrebbe detto Hume, per il tempestoso mareggiare della vita. AlIa nascita delle quali carte concorrono, oltre ai biso gni del presente, anche Ie indagini - idee, filosofie - del passato. E la storia della filosofia e appunto questa andar ricercando, nel processo dell'umano lavoro, il mota delle idee, il nesso delle conce zioni con Ie situazioni, e illoro variare, non per movimenti propri (idee da idee), rna in quel complesso giuoco di bisogni, di richie ste, di costruzioni, che costituisce nel suo concreto ritmo tempora Ie la vita degli uomini: e degli uomini reali, distribuiti variamente in stati, gruppi, classi, collaboranti 0 in conflitto, coesistenti e pur diversi per educazione e sviluppo, e percio con programmi e con cezioni diverse in un medesimo tempo, e parziali, eppure ciascuna con la pretesa di totalita ed unicita 18. In questo senso e indubbio che 10 storico della filosofia (stori co, non dossografo ne erudito, rna neppur 'teologo' negatore della storia quale costruzione umana) parte da una filosofia e si pone 17 E. Paci, loc. cit., p. 162 (si ricordino Ie osservazioni di Engels a Mehring: «L'ideologia e un processo che viene bensi compiuto dal cosiddetto pensatore con coscienza, rna con una falsa coscienza [...]. Poiche si tratta di un processo di pensiero, egli ne deduce tanto it contenuto quanto la forma dal pensiero puro, 0 dal proprio 0 da quello dei suoi predecessori. Egli lavora con un materiale puramente intellettuale, che, senza guardare tanto per it sottile, prende come se fosse creato dal pensiero, senza sottoporre a ulteriore indagine un processo pili lantana [...]». 18 II Mondolfo, L'esigenza del nesso fra storia della filosofia e storia della cultura, in Verita e storia, cit., pp. 133 sgg., pur fra molti rilievi degni di nota, non sembra chiarire it rapporto fra la dialettica interna dello sviluppo della filosofia e Ie altre componenti (jattori estrinseci) dei vari 'sistemi'. La stessa terminologia (spirito creatore e fattori estrinseci) non e senza incertez ze, ne, soprattutto, e ben chiaro il modo d'intendere quella che dovrebbe essere la [ilosofia vera e propria.
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di fronte al passato con una coscienza critica della storicita del l'opera umana, in grado di comprendere, e situare, gli sforzi del passato. Ed e proprio in questa sua concezione che si fonda anche la sua possibilita di distinguere la propria ricerca da altre ricerche storiche, mettendo egli l'accento soprattutto sul variare di quelle tali «carte di navigazione» cheegli, in quanta storico, non costrui see, rna di cui vuol intendere, con la struttura formale e la costitu zione interna, da un lato i nessi con una situazione umana vista nella totalita dei suoi aspetti, e dall'altro i debiti verso «carte» pre cedenti, e il perche di questi debiti, non esplicabili ovviamente con pure ragioni formali, rna solo attraverso un vario giuoco di scelte e di domande vitali nel complesso corrispondersi e mutare delle con dizioni degli uomini reali e dei lora aggruppamenti. Ma come e indiscutibile, nel senso sopra indicato, una veduta «filosofica», 0, se si vuole, una premessa critica della storico della filosofia, e ancor vero che essa significa da un lato una visione della realta umana come mobile processo, e dall'altro una concezio ne plurale del filosofare. E se e chiaro che i due concetti sono fra loro saldati, e pur vero che, in parte almeno, si sono venuti matu rando per vie diverse; e di essi enecessario rintracciare non certo il «fondamento», rna sl la genesi, il significato, la fecondita.
dell'Idea», e opera di «quell'Uno spirito vivente, la cui natura pensante consiste nel recarsi alla coscienza cio che esso e». E questo rivelarsi di se a se avviene per rigorose tappe logiche. «La successione dei sistemi filosofici, che si manifesta nella storia, e identica alla successione che si fa nella deduzione logica delle determinazioni concettuali dell'ldea. 10 sostengo che basta spo gliare i concetti fondamentali dei sistemi apparsi nella storia della filosofia di cio che concerne la lora forma esteriore, la loro applicazione al particolare e simili, per ottenere i diversi stadi della determinazione dell'ldea nel suo concetto logico. E, recipro camente, se si parte dal processo logico per se, vi si ritrova il processo delle manifestazioni storiche nei suoi momenti fonda mentali, a patto che, beninteso, si sappiano riconoscere i concetti puri in cio che si presenta in forma storica» 20.
• 19 Hegel, En~i~lopedif;l, § .13-14; Paci, loc. cit., p. 147. Quanto poi alla test di uno stonctsmo di Anstotele, sostenuta a pili riprese dal Mondolfo
(cfr. Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia, Firenze 1952, pp. 27 sgg.), essa rientra nel quadro proprio di molte ricerche storiografiche del I'egregio autore, intese a proiettare nell'antichita una tematica che Ie e estranea, in base ad accostamenti in cui va perduto il proprio del processo storico. COS! l'importante ritrovamento dell'infinito nei Greci si lascia spesso sfuggire quello che fu il proprio dell'affennazione dell'infinito di un Bruno, per non dir d'altri, Non e qui il luogo di discutere una posizione che rischia, nei suoi ultimi sviluppi, di svuotare di senso, in nome della continuita, tutto il processo, elimi nandone nella sostanza ogni invenzione e scoperta. SuI terreno proprio della storia del"pensiero e certo che Aristotele tenne presenti i resultati delle ricerche precedenti, che venne ordinando rispetto aile sue vedute. Se storia significa via via un bilancio dell'attivo e del passivo del passato suI metro del proprio pensie ro, Aristotele fece questo bilancio (e, come molti bilanci, fu, anche il suo, spesso un bilancio truccato); se fare storia significa comprendere il passato come tale, e la sua parola, e non sforzarsi di dare agli altri, nella loro complessa realta, il volta che a noi fa cornodo, Aristotele fu il pili grande prevaricatore del pensiero a lui precedente che l'antichita ci abbia dato: come un cattivo macellaio - per usare I'immagine platonica - mutilo malamente, secondo Ie forzature di certi suoi schemi, i suoi predecessori per cavarne qualche brandello meglio adatto a ornare il proprio edificio (ed e cosa che capirono gia a meraviglia uomini di alcuni secoli or sono, come Francesco Patrizi). A tutta la sua 'metafisica' repu gnava il senso della storia, e la storia e bandita dal suo orizzonte, se non vogliamo confondere Ie carte fino al punto da togliere ogni senso alla ricerca che stiamo facendo. Purtroppo per tanta parte del pensiero prearistotelico non possediamo i termini di confronto - 0 possediamo solo i brani malamente mutilati dallo 'storicista' Aristotele. Ma in un caso abbastanza vistoso, Platone, abbiamo i testi con cui mettere a riscontro le esposizioni aristoteliche. I sosteni tori della storicismo d'Aristotele potrebbero qualche volta chiedersi che cosa mai sarebbe Platone se i dialoghi fossero perduti, e dovessimo ricostruirlo attra verso il suo allievo. A meno che per «storicismo» non s'intenda una posizione programmaticamente falsificatrice del passato: nel qual caso, senza dubbio, Aristotele e da dirsi un insigne storicista. 20 Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, Intr. 3; Mondolfo, op. cit., p. 40; J.T. Desanti, Introduction a l'histoire de la philosophie, Paris 1956, pp. 29-30.
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4. La storicita del reale, e quindi del filosofare e stata sostenuta con cura particolare da Hegel e dagli hegeliani. E a Hegel che si deve la centralita del problema e, in certo modo, tutta la sua pili recente impostazione. E all'influenza hegeliana che si deve l'im portanza assunta dall'insegnamento e dallo studio della storia della filosofia: dovrebbe dirsi, anzi, che in pili d'un caso, quella storia della filosofia non fu che un modo di presentare una pili 0 meno dichiarata filosofia della storia di timbro hegeliano, onde non si tratto tanto di riconoscere la dignita, accanto alla filosofia, della storia della filosofia, quanta di opporre una filosofia storici stica ad altre concezioni della realta. Perche, e va tenuto sempre presente, non sussiste, nello hegelismo, possibilita seria di distin guere veramente fra «Iogica» e «storia» 19. Quella apparente «sue cessione accidentale», in cui si presentano «i gradi di svolgimento
inserirle nel tessuto della vicenda umana; se, insomma, la storia e questa mobile vita temporale, in Hegel ogni storia e bruciata. La sua storia e «senza passato e senza futuro; e perfino senza presen te, in quanta il presente [ ...] e in verita un meta-presente, un eterno» 22. E la storia della filosofia, rovesciata in filosofia della storia, riduce alIa fine la storia a logiea, anzi a logica divina, al di la di ogni svolgimento temporale. Con tutto questa Hegel ha battuto con energia su alcuni temi di grande valore: suI processo del filosofare, e sui nessi che lega no in continuita il processo stesso; sulla solidarieta fra la filosofia e la totalita del suo fondamento storieo. Anche se poi 10 hegeli smo ha manifestato, non solo la tendenza a puntare sullo svilup po delle idee dalle idee, suI piano del pure pensiero, rna anche a trascurare la cornplessita delle connessioni reciproche, e il vario giuoco dei rapporti, fino a prospettare il mota del pensiero ritrna to secondo una necessita preordinata, in un processo garantito a priori. Con tutto cio, comunque, Hegel vide bene che la filosofia e coscienza di un tempo, concetto di una situazione reale, non disgiungibile da essa (sla filosofia e il proprio tempo appreso col pensiero»), E tanto piu vide chiaro quando comprese che nelle concezioni filosofiche si traducono anche Ie lacerazioni, Ie con traddizioni profonde di un'eta: la pluralita delle esigenze in urto che traversano un'epoca esprimendosi nelle sue prese di consape volezza. Proprio l'insistenza hegeliana sull'impossibilita di stacca re una filosofia dal suo tempo, sull'assurdita di considerarla al di la della situazione, e un modo eloquente di dichiarare la storicita del pensiero attraverso la saldatura della filosofia con la totalita della realta in sviluppo, e il suo far corpo con essa. D'altra parte le difficolta stesse della hegelismo,e Ie sue apo rie, sono degne di attenta considerazione. Se, infatti, Hegel si lascio vincere da un lato dalla spinta a privilegiare la logica (<
Nello svolgimento della storia della filosofia ogni sistema ha per Hegel il suo posta necessario: «un posta da cui non puo uscire, cosi come un individuo non puo liberarsi dalla propria pelle. Nel suo posto, pertanto, ogni momento della sviluppo non puo essere considerato altro che un'espressione di verita, anehe se non definitiva, completa, integrale: la verita (parziale, rna verita), che appartiene a quel momenta di sviluppo» 2]. Le difficolta intrinseche a eosiffatto 'storicismo' sono state ormai cost spesso rilevate, da Feuerbach in poi, che e inutile ripeterle. In verita la storicita diventa una semplice «figura» per indieare 10 scandirsi del processo logico; il tempo di eui si parla, ben lungi dall'essere la sostanza stessa del reale, e la parvenza delJ'eterno. Identificata la successione cronologiea col sequi logi co, a ogni momenta storieo e attribuita una sola filosofia, mentre ogni sistema e una sola idea. La tanto celebrata storia della filoso fia si riduce a una sorta di esposizione 'illustrata' della logica - e, se si si vuole, di una logiea che e teologia camuffata. La temporali ta e bruciata: ridotto il rapporto fra prima e poi a legame di premessa e conseguenza, il futuro e tutto precostituito e perde ogni imprevedibilita, mentre il presente e svuotato di molteplici ta, scelta e liberta. La «storia e processo libero»; se in essa sono sl determinabili dei ritmi, rna non tali da prec1udere mai, in nessuna situazione, l'apertura a molteplici possibilita: se i sistemi logici stessi sono molteplici; se anche il passato e plurale, intessu to di voci rimaste sospese verso un futuro che possa intenderle e • 21 ~fr. Lez,ioni cit. (~d. Codignola e Sanna, Firenze 1930, I, p. 57): «Ogni fIlosof~a, per II fatto di rappresentare un particolare stadio di svolgimento,
appartiene al tempo suo ed e chiusa nella sua limitatezza. L'individuo e figlio del suo popolo.: del suo mondo, di cui egli non fa altro che manifestare la sostanza, sebbene in una forma peculiare. II singolo pub ben gonfiarsi qu~nto vuole, rna. non potra mai uscire dal proprio tempo, come non pub uscire dall.a propna pelle: infatti egli appartiene a quell'unico spirito univer sale che viene colto col pensiero dalla filosofia: in essa 10 spirito universale pensa se stesso, ed essa quindi ne costituisce il determinato contenuto sostanziale. Ogni filosofia e filosofia dell'eta sua, e un anello della catena complessiva dello svolgimento spirituale, e pub dar soddisfazione soltanto agli interessi del suo tempo». E nei Lineamenti di filosofia del diritto (trad. Messineo, Bari 1954, p. 16) si legge: «ciascuno e senz'altro figlio del suo tempo; e anche la filosofia e il proprio tempo appreso col pensiero. E altrettanto folie pensare che una qualche filosofia precorra il suo mondo attuale, q,uanto che ,un individuo si lasci indietro il suo tempo» (efr. anche A. Sabetti, Hegel e II problema della filosofia come storia, Napoli 1957, pp. 51 sgg.). .
22 M. Dal Pra, Logica teorica e logica pratica nella storiografia filosofica, in Problemi di storiografia filosofica. Saggi raccolti a cura di A. Banfi, Milano 1951, pp. 32-64. 23 Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, trad. Bobbio, Torino 1949, pp. 68 sgg.; R. Cantoni, Riabilitazione dell'uomo empirico, in Verita e storia, cit., p. 61.
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soggetto presupposto»), dall'altro si trove a concedere, contro l'unita di realta-razionalita, una discriminazione fra realta vera e pseudo-realta 0 non-realta che, mentre incrinava la sua pili genia le intuizione, inseriva nella storia una scissione fra metastorico e pseudostorieo che, in fondo, distruggeva la storia. Nulla, forse, e tanto istruttivo quanta il tentativo, che Hegel fa, di chiarire, di fronte aIle critiche, la celebre tesi della Filosofia del diritto sul rapporto fra razionale e reale. Nelle delucidazioni 24 viene insi nuandosi la concessione di piani e aspetti del reale:la realta e spezzata, non pili dalla scissione vitale fra tesi e antitesi ove il negativo rivendiea a se tutta la sua positivita, rna dalla distinzione fra realta veramente reale (e razionale), e parvenza (non-realta 0 pseudo-realta cattiva). I due punti su cui insistera la polemiea di Marx, nella sua concordia discorde con Hegel, sono strettamente connessi: la lotta contro l'esito speculativo della dialettiea, e il valore del lato cattivo (<
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va che stacca il reale dall'apparente. Col trionfo della filosofia della storia, realta e ragione mutano senso; la ragione, di cui l'illuminismo aveva fatto uno strumento e un programma calando la tutta nella realta della vita (sriconoscere la ragione come la rosa nella croce del presente»), riassume il suo anti co primato e torna ad essere la sostanza e la costituzione profonda dell'essere, capace di fondare la pianificazione compiuta del tutto. Nel punto in cui alla ragione-strumento della costruzione di sempre provvi sorie «carte di navigazione» si sostituisce la ragione pianificatrice totale a priori, la logica rifatta teologia annulla la mobilita della storia. Le esistenze storiehe partieolari - osservava Feuerbach «sopravvivono unicamente sotto forme di ombre», 5. «Mentre la filosofia idealistiea - e stato detto 26 - interpretan do in modo deteriore Hegel, esaspera l'aspetto astratto, logieo e speculativo della filosofia, e narra una storia di idee che nascono da altri concetti, muovendosi perennemente sul circolo di una falsa autonomia della spirito, la storiografia antiidealistica accerta e indaga la matrice biologica e culturale di idee e concetti e narra, attraverso le idee e i concetti, la storia reale dell'uomo come ente che vive nella natura e nella societa, condizionato anche se non determinato dalle situazioni biologiche, economiche, psieologlche e culturali.» Che e, in realta, a sua volta, una storiografia erede di Hegel, di quello Hegel almena che ha ribadito l'impossibilita di staccare le concezioni e le idee dal mondo che le esprime, onde, veramente, su questo terreno si verifica la saldatura inscindibile fra storia della filosofia e storia concreta ed integrale 27. Senon che, proprio qui, si definisce ulteriormente un altro dei punti di crisi della concezione hegeliana: la tesi della «unicita» della filo sofia per ogni momento storieo. Perche se, da un lato, Hegel coglie bene la saldatura fra coscienza consapevolmente critica (filosofia) e vita reale, soggiace poi alla spinta «logica» del moto delle idee e vede snodarsi idee e momenti storici come pulsazioni uniche di un unieo ritmo. In realta, se in una prospettiva storica che ripensi un'epoca, i vari aspetti, momenti, aspirazioni e dottri ne vengono a disporsi in una trama di rapporti capaci di unificar 26 27
Cantoni, op. cit., p. 61. Pad, op. cit., p. 161.
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ne, articolandola, la molteplicita: se, quindi, in una visione eritiea di un'epoca, I'epoca stessa puo raccogliersi sotto un segno unieo, e una esserne, in questa senso, la filosofia, in realta nel vivo della lotta che anima ogni momenta della storia le idee si scontrano, Ie concezioni del mondo coesistono 0 si urtano, in una molteplicita di tesi, sistemi, teorie, programmi. E il metro stesso, 0 il punta di vista, da cui domani 10 storieo tentera l'unificazione artieolata, ben lungi dall'essere prefabbrieato, nasce e si costituisce in sene a quel contrasto. Gruppi, societa, classi, nazioni, si muovono dietro bandiere ognuna delle quali pretende ad una universalita di valo re proprio nella misura in cui deve contrastare con altre bandiere e con le loro pretese di universalita. Le varie espressioni metaforiche di cui tutta una storiografia si compiace, quali sopravvivenze 0 precorrimenti (<
vanifieazione della imprevedibile originalita delle concezioni via via elaborate, proprio perche la storia, allo stesso modo che e necessita di condizioni, e liberta di scelte, ossia novita 28. E pro prio questo rappresentano le filosofie: tentativi di visioni d'insie me pronte a rovesciarsi in programmi, 0 sforzi di consapevolezza critica della realta (<
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metri estrinseci rna su misure razionali interne allo stesso proces so di effettiva comprensione dei nessi reali fra i vari ordini di componenti del divenire umana nel mondo. Evidentemente vengo no a configurarsi qui due tipi di storicizzazione (connessi a due posizioni fra lora molto diverse): il primo, pur dichiarando il valore del tempo, e tutto pieno di metafore temporali, ten de in realta a esc1udere le visioni e le idee che non rispondano a un metro assunto (0 presupposto) come assoluto (attraverso una mes sa in parentesi, piu 0 meno consapevole, della sua genesi tempora Ie). Qui il tempo e mero succedere, prima e poi (0 mero coesiste re). II secondo tipo non solo e impegnato a riconoscere, e a costruire attraverso una presa di consapevolezza, la tessitura 'sto rica' dell'uomo in tutta la sua complessita di movimenti, rna le sue misure sono solidali col processo, consapevoli della lora origi ne e delloro limite, senza nessuna pretesa soprastorica. Di fronte all'ucronico una storia del genere, servendosi di misure e di stru menti d'indagine che sa condizionati temporalmente, senza ecce zioni, cerca di intendere se pretese ucroniche siano legittime en tro l'ambito in cui un'indagine umana e possibile. Non altro.
mondo, non riuscira mai a portarci al di la del corso dell'espe rienza»). Percio, appunto, sempre legate a una situazione, di cui tentano di intendere il significato e di esprimere le aspirazioni. «I filosofi non spuntano dal terreno come funghi: sono il frutto della loro epoca, del lora popolo, i cui umori piu sottili, preziosi e invisibili essi intessono nelle idee filosofiche»; e «poiche ogni filosofia e la quintessenza spirituale del suo tempo, deve giungere il tempo in cui la filosofia deve venire in contatto, e in vicendevo le scambio, non solo interiormente con il proprio contenuto, rna anche esteriormente con i fenomeni della propria epoca» 29. In linguaggio diverso, rna con resultati non diversi, Hume e Marx vengono entrambi a sottolineare la solidarieta delle filosofie con i gruppi umani che, in definite condizioni e momenti, espri mono idee, idealita, programmi. E poiche in ogni momenta del processo il presente concreto e plurale e policentrico, le idee che ne esprimeranno le aspirazioni, i sistemi che ne struttureranno le articolazioni culturali, non potranno non essere molteplici, e tra lora in urto 0 in pacifica coesistenza. Non c'e in un'epoca una sola idea, rna molte idee e ideali, e molti tentativi di elaborarne delle giustificazioni critiche, agganciate da un lato a proposte di genealogie (ossia a valutazioni del passato sul metro di una posi zione particolare) e dall'altro a programmi di azione e di educazio ne (ossia a ipoteche sul futuro e sull'eterno). Di qui anche l'oppo sizione che alla molteplicita delle filosofie faranno sempre le sto rie «valutanti», impegnate a condannare come erronee, attraverso il riferimento a pretesi valori assoluti soprastorici, le filosofie (e Ie «storie») contrarie 0 diverse, dimenticando, per usare i termini felici del Croce, che «Ie idee 0 valori [...] assunti a modelli e misure della storia, non sono storie e valori universali, rna fatti particolari e storici essi stessi, malamente innalzati a universali». Ed e, anzi, proprio contro le filosofie «parziali», e le lora «storie» parziali presentate come aventi valore assoluto e totale, che si alimenta 10 sforza verso una storia che, connettendo le varie prospettive e il lora significato, senza velleita generalizzanti rna attraverso nessi funzionali ed approfondimenti genetici, giunga dai meri rapporti temporali (contemporaneita-successione) propri dell'immediata esperienza, alla costruzione 'razionale' di una 'sto ricita' vera e propria, che percio stesso sara 'valutazione' non su 29
6. Le due prospettive, i due modi di procedere sopra accennati, sono chiaramente caratterizzabili: da un lato la consapevolezza che l'uomo ha di se, e della sua esperienza che costituisce l'intero orizzonte della realta di cui puo parlare, e consapevolezza di un processo dai ritmi molteplici, piu 0 meno rapidi nel lora mutare, in cui il pensiero si sforza di definire un ordine, una configurazio ne capace di renderne organicamente comprensibili gli aspetti. Ma ogni pretesa di immutabilita avanzata a proposito di qualsiasi aspetto dell'esperienza non potra essere legittimata che in un esame condotto all'interno della stessa esperienza consapevole, la quale non esitera a riconoscere la necessita di 'riadattare' conti nuamente gli stessi strumenti d'indagine e di misura di cui il pensiero riflesso si serve, opponendo COSt una possibilita di mute volezza ad ogni pretesa di immutabilita, Di fronte a questa posizione integralmente «storica» si levano le varie «filosofie», e siano pure «filosofie della storia», tutte impegnate ad affermare l'aseita e la metastoricita delle «verita», delle «categoric», delle «conoscenze», L'urto non e fra costrutto ri di sistemi e indagatori di problemi; l'urto vero e fra chi tutto fa
Cfr. R. Cantoni, Umana e disumana, Milano 1958, pp. 29-45.
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divorare a Crono, e chi vuole approdare aIle isole sottratte ai suoi donne comme solution definitive et systeme acheve peut bien desideri; il filosofo, anzi, sarebbe il felice scopritore di quelle avoir, a merne certainement une valeur pedagogique, mais n'a terre, e illoro abitatore. II grande filosofo, appunto, contribuireb pas de valeur philosophique propre» 32. E ancora: «de pareilles be a «riconoscere» e a fissare, nel fluido mota del tempo, le isole uchronies font voir que ce qui est essentiel dans une pen see emergenti per sempre: e 10 storico della filosofia avrebbe il compi philosophique, c'est une certaine structure, mettons, si l'on veut, to di precisare queste scoperte, delineandone in un certo senso un certain mode de digestion spirituelle, independente des ali una carta topografica in una specie di cristallizzazione progressi ments que son temps lui propose. Cette structure mentale qui va (scette fixation de la pensee concrete et vivante [...] est, la appartient, par accident, au passe, est done, au fond, intemporel pluspart du temps, l'oeuvre des critiques»). le, et c'est pourquoi elle a un avenir, et pourquoi nous voyons son Emilie Brehier 30 riflettendo con garbo su quella storia del influence se repercuter sans fin appreciable». La sua non tempora filosofare che andava tessendo con tanta cura, ha creduto di poter lita «c'est l'avenir que toute la doctrine porte en elle, qu'elle determinare i caratteri delle ucronie, ossia delle essenze metatem ann once, qu'elle desire». porali che il grande filosofo elaborerebbe: e l'ha fatto servendosi Ove e tuttavia chiaro che, nonostante tutto il repertorio delle di metafore bergsoniane. II proprio, l'essenza di una filosofia, metafore bergsoniane, la conclusione non puo essere che una: sarebbe un modo di condensazione spiri tuale nella dura quell a che, appunto, alIa fine, il Brehier formula in modo epi t a in quanta distinta dal tempo come successione di eventi (scet grammatico: «le philosophe a bien une histoire, mais non la te duree interieure, qui condense tant de passe, est bien differente philosophie» . SuI cammino delle ucronie non c'e storicita, ne la tensione fra du temps exterieur de l'expression»). Senonche l'enunciazione essenza ed esistenza si risolve con le variopinte immagini bergso stessa della tesi ne mostra la intrinseca contraddittorieta. Brehier, niane. D'altra parte al Brehier sembra sfuggire il significato effetti infatti, discorrendo del platonismo di Platone esce a dire: «pour vo che puo essere ragionevolmente dato aIle sue ucronie, le quali, que put se produire cette condensation spirituelle, il a fallu la ben lungi dall'essere dotate d'une force expansive (non «des eve rencontre accidentelle des conditions de la vie athenienne au IV e nements passes, mais, en un sens plus profond, des evenements siecle et de la naissance de Platon a cette epoque: c'est cela et en train de se produire»), sono in realta dei modelli per una cela seul que l'on peut dater: mais ce n'est pas la l'essence du possibile interpretazione unitaria e totale delle aporie dell'espe platonisme qui est un certain mode de condensation spirituelle: rienza quali si vengono via via rivelando. In tal senso, appunto, comme M. Bergson l'a suggere, si Platon £6t dans un autre le ucronie si sottraggono al corso degli eventi, pur rimanendo temps, sa pensee eflt ete la meme, bien qu'il n'eut pas ecrit une almena in parte condizionate entro un certo ambito di tempo. ligne de ce qu'il a ecrit» 31. E questo non e molto chiaro: la Mentre d'altra parte, proprio per essere ciascuna di esse uno solo condensazione, che e altro qualitativamente dal tempo, sembra da fra i possibili modelli, con la pretesa, tuttavia, di porsi come un lato esserne in qualche modo condizionata, e dall'altro ne l'unico totalmente soddisfacente, e sempre destinata a uno scacco appare completamente sganciata. Ed ecco allora che, per meglio anche su quel terreno non empirico e non temporale su cui inten intendere l'essenza della dottrina di un autore (son unique pen de muoversi. Che e l'unico senso plausibile della tesi sostenuta see), Brehier si vale di tutta una serie di considerazioni (e di dal Gilson (in The unity of philosophical experience) circa la immagini), in certo sensa rivelatrici: «Ia philosophie [...] se pre possibilita di una storia filosofica della filosofia incentrata sul sente a son propre auteur comme une sorte de bloc intelligible et l'esame delle essenze tcattesianismo, criticismo, positivismo, ecc.). impersonel»: «tout ce qui est ferme en philosophie, tout ce qui se Ove, in verita, si ripresenta il bisogno di disegnare una catena logicamente articolata di organismi logici, destinati per altro a '0 La philosophie et son passe, Paris 1950', p. 39.
31 Op. cit., p. 40 (il corsivo non e nel testo).
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" Op. cit., pp. 3, 75.
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vivere la vita di puri 'mondi possibili' snodantisi in un processo di reciproche integrazioni, senza alcuna solidarieta rea Ie con la realta storica da cui anzi il filosofo-storico cerchera via via di depurarli al massimo. Ma per Gilson non c'e storia come solidarie ta del processo della coscienza col processo del reale; la storia e la narrazione della tortuosa epifania umana delle eterne strutture dell'essere; dell'accessorio, non del sostanziale. La sua conclusio ne e molto chiara: «There is, and there always will be a history of philosophy, because philosophy exists only in human minds, which themselves have a history, and because the world of know ledge and action to which the first principles apply is a changing world, but there should be no history of the first principles them selves, because the methaphysical structure of reality itself does not change. Perennis philosophia is not an honorary title for any particular form of philosophical thinking, but a necessary designa tion for philosophy itself, almost a tautology. That which is philo sophical is also perennial in its own right» 33. Ma come avviene nel mondo cartesiano, la non temporalita di ciacun 'mondo' affidata al giuoco di una coerenza formale sara contaminata dal peccato d'origine di una nascita non verginale, bensi condizionata da una riflessione umana hie et nunc; e sara insieme insidiata dalla parzialita intrinseca a ciascuna visione. Osservava il Gouhier:
rieta effettiva delle idee con gli uomini, nei pensieri degli uomini in societa reali, nella lora azione reciproca, nella storia ove le 'idee' sorgono nell'urto delle 'cose' per reagire su di esse modifi candole lungo linee molto pill sinuose e complesse di quelle dise gnate dal filosofo-storico nel casto regno delle essenze ucroniche. Come osservava eloquentemente Lucien Febvre, «quanti si danno a ripensare per proprio conto sistemi, a volte antichi di secoli, senza curarsi affatto di determinarne il rapporto con le altre mani festazioni dell'epoca che li vide nascere, fanno esattamente il contrario di quello che impone il metodo storico. Davanti a que sto generarsi di concetti da intelligenze disincarnate, davanti a quella lora vita fuori della spazio e del tempo, annodano strane catene dagli anelli insieme irreali e chiusi.;»,
7. L'accennata contrapposizionedel Brehier fra il sistema inteso come pensiero chiuso, e il pensiero aperto, rimanda utilmente, al di la del linguaggio bergsoniano, al noto saggio dedicato da Nico lai Hartmann alla storia delle filosofia. E poiche si tratta di opera spesso citata con consenso, rna purtroppo non di rado equivoca e contradditoria, una discussione approfondita delle sue tesi pub essere proficua per un ulteriore chiarimento dei termini in que stione. Come e noto Hartmann oppone vistosamente il pensiero-siste rna al pensiero-problema, giungendo a una radicale svalutazione del sistema. «I sistemi mutano - scrive 35 - sono i castelli in aria del pensiero, che la pill leggera scossa fa precipitare [...]. I sistemi sono i prodotti di concezioni preconcette, di pregiudizi e costru zioni, cioe sono in sostanza gli errori della filosofia, cio che vi e in essa di transitorio 0 almena di precario [...] il giuoco variopin to e caotico dei concetti.;». A costruire i sistemi spinge «spesso [...] la gioia di costruire in quanta tale, spesso il bisogno metafisi co, spesso anche uno sfuggire alla realta, talvolta un semplice bisogno intellettuale di sensazioni», Sotto la penna della Hart mann le espressioni svalutative si fanno sempre pill dure: i siste mi diventano «i grandi errori della storia», «i castelli di carta», Ie «escrescenze della fantasia che non meritano il nome di filoso
33 E. Gilson, The Unity of Philosophical Experience, London 1955', p. 325. ,. H. Gouhier, La philosophie et son histoire, Paris 1947, p. 124.
35 Der philosophische Gedanke und seine Geschichte, trad. A. Denti e R. Cantoni, nel volume Filosofia sistematica, Milano 1943, pp. 20, 28, 29.
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fia». Continuare non giova; la stessa chiusura hartmanniana al senso della storia gli impedisce anche di proporsi seriamente la domanda del perche dei sistemi, delle lora ragioni, della loro funzione. II che non toglie che egli abbia pur visto bene alcune delle componenti del sistema. La filosofia - osserva - punta sem pre verso cia che e «ultimo», «essenziale», e che, quindi, «non puo minimamente venire afferrato dalla conoscenza limitata». Di qui la tendenza «a completare», «a costruire, a immaginare libera mente». Le «teste Iantasiose» attraverso «immagini preconcette» vanno «anticipando» e «presupponendo». La fantasia sola elabo ra le «visioni del mondo» che, proprio perche arbitrarie e fantasti che, mutano rapidamente. E torto massimo della storia della filo sofia «classica» sarebbe stato appunto quello di avere rivolto l'attenzione proprio al mutevole succedersi di questi labili «castel li di carta»: «cia che si scrisse fu e rimane essenzialmente una storia dei concetti, delle intuizioni, delle opinioni dottrinarie e dei diversi tipi di rappresentazione, come dei lora 'motivi', motivi che hanno le lora radici nelle circostanze stesse della vita; [...] storia delle costruzioni, delle fantasie, dei sogni - dunque di cia che e affatto relativo agli uomini e ai tempi» 36. Ora, a parte la strana pretesa che la storia tratti, non di cia che e umana e mutevole bensi di cia che e soprastorico, e merito innegabile della Har tmann avere sottolineato con forza come sotto l'unico nome di filosofia si trovino cose tra lora moltodiverse: che, mentre da un lato il filosofare vuol essere esercizio della ragione critica, dall'al tro e piuttosto edificazione di costruzioni che hanno maggior parentela con le opere d'arte che con Ie discipline scientifiche. Senonche, fatta questa distinzione, resta pur sempre da compren dere il significato, il valore, la funzione del sistema. Che i sistemi siano stati molteplici e relativamente caduchi; che dalle macerie dei sistemi riemergano con maggiore costanza interrogativi elusi; tutto questa puo essere concesso senza difficolta. Ma innanzitutto non andra sottovalutata l'importanza, non solo di quelle sintesi unitarie, rna anche di quella componente fantastica che permette tentativi di unificazione. E certo che l'unificazione operata dai sistemi e raggiunta colmando immaginativamente 0, comunque, per vie non razionali, lacune e vuoti. Ma e altrettanto certo che anche da un punta di vista «scientifico», i tentativi di unificazio36
Op. cit., p. 37.
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ne generale, come sforza di formulazione di modelli interpretativi comprensivi al massimo, sono del piu grande valore, suggerendo da un lato la possibilita dei nessi e dall'altro mettendo a fuoco i probIemi proprio nei punti di maggior resistenza. Sia nella dire zione dell'invenzione, come in quella dell'approfondimento criti co, le sintesi unitarie dei sistemi hanno reso al corso del pensiero umana grandi servigi. Importante e individuarne la genesi e le componenti, ossia storicizzarle per impedire che la pretesa di ciascuna ad essere integralmente razionale, unica e definitiva, trasformi un utile strumento del progresso umana in un peri colo so ostacolo dogmaticamente irrigidito 37. Senonche 10 stesso lavo rio di determinazione delle componenti, razionali 0 meno: di messa a fuoco di elementi relativamente duraturi rispetto ad altri meno vitali, non puo essere fatto se non attraverso la comprensio ne della genesi del sistema, e la sua collocazione al punto di con vergenza di ricerche scientifiche, esigenze etico-politiche, bisogni ed aspirazioni. E l'antitesi non e, come sembra allo Hartmann fra elementi conoscitivi acquisiti per l'eterno ed effimere fantasie poe tiche, rna fra il vario giuoco di fantasia e ragione nell'ambito del filosofare sistematico, costruttore di vedute d'insieme e di pro grammi pratici, e il pensiero critico che, in quanta processo di sempre piu compiuta consapevolezza, coglie le varie costruzioni unitarie nel generarsi, ne indica le radici e i moventi, ne caratte rizza i temi, ne svela l'apporto funzionale e le zane opache. Hartmann, invece, fermo alla tesi intrinsecamente COS! strana che la storia della filosofia sia del soprastorico, e pago della scoperta opposizione fra sistema e problema, espunge il sistema per inneggiare al problema. «La filosofia non si esaurisce in quel le costruzioni; vicino a queste, e contemporaneamente, procede un altro tipo di lavoro spirituale che avanza per problemi, analiz za, esamina, approfondisce, ed ha la tendenza a non far valere se non cia che e dimostrato. E il lato che la filosofia ha in comune con le salutari tendenze di ogni scienza. Vicino al pensiero-siste ma procede il pensiero-problema» 38. Ora, se la determinazione del sistema poteva, almena apparentemente, presentarsi agevole, la caratterizzazione del pensiero-problema si mostra subito • 37 \fr, M. M.asterma~, Methaphysical and Ideographic Language, in Bri tisb Philosophy In the MId-Century. A Cambridge Symposium, London 1957, pp. 283 sgg. " Hartmann, op. cit., p. 20.
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singolarmente ardua. 11 linguaggio di Hartmann e, in proposito, oscuro e contraddittorio. Nei problemi - egli dice - «si attua il corso continuo della conoscenza progressiva»; essi non sono, si badi, «qualcosa di arbitrario, di fatto dagli uomini; si tratta di interrogativi fondamentali, che sono inevitabili, che continuamen te si impongono, indipendentemente da ogni situazione storica», D'altra parte non si deve neppure credere che siano «dati a prio ri»; essi vengono scoperti, ed hanno «una continuita storica», pur essendo delle essenze immutabili e superstoriche. Imperituri essi e i lora resultati, i problemi sono caratterizzati a un tempo come eterni, dotati di una continuita, manifestanti un progresso nelle soluzioni. Dopodiche Hartmann ci avverte: «i problemi filosofici sono dei veri abissi e non e facile che raggiungano una vera soluzione [... tuttavia] sono essi che, in quanta ne costituiscono Yetemo contenuto, legano in una continuita il pensiero di teste assai differenti e di intere epoche». E ancora: «il mondo nella sua totalita, quel mondo che ci propone i grandi enigmi, e uno e 10 stesso in tutti i tempi; cio che e vero nelle idee che ci formiamo su di esso deve connettersi affatto da se e costituire a lungo andare una concatenazione. Dove subentra un conflitto tra idea e idea la colpa e dell'errore», Purtroppo, a parte certe oscurita di queste formule, quello che riesce soprattutto impervio e il modo in cui, secondo Hartmann, sarebbe possibile riconoscere la verita del pensiero passato, ossia i contributi effettivi di conoscenza raggiunti dal pensiero-problema. La verita, spiega Hartmann, e un'intuizione; per essa si acce de alla «schietta conoscenza» che e in «continuo progresso». 11 progresso, tuttavia, pur diehiarato continuo, non e lineare; l'erro re si mescola variamente alla conoscenza; i «contenuti» sfuggono perche «non sono affatto riducibili in concetti 0 termini, poiche nulla e pili mobile, nella storia, della formazione del concetto e della terminologia». Hartmann riconosce che «la medesima espressione muta gia di significato da un. pensatore all'altro e, dopo un po' di tempo, il suo significato deve essere ricostrui to» 39. Ma anche qui chi si aspettasse, proprio per questo, una rivalutazione del compito della storico, andrebbe deluso. Lo stori co, anzi, «e votato alla soggettivita delle valutazioni che rimango no condizionate a un'epoca, in un atteggiamento scientifieamente 39
Op. cit., pp. 23, 24, 57, 78.
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malsano [...] votato a quella malattia dell'epoca che e il relativi smo e [...] condannato all'impotenza filosofica»: parole che non si aspetterebbero in un sostenitore COS! strenuo dei valori conosciti vi, che non si vorrebbe veder indulgere a condanne moralistiehe; una dottrina e falsa, e non malsana; il relativismo come tale non costituisce un reato 0 una vergogna da respingere prima ancora di aprire la discussione 40. Ma la stranezza di una storia che non di cio che e storieo deve occuparsi, bensi di quanta e soprastorico, risulta particolarmente evidente nelle battute critiehe rivolte a Dilthey. Nella storiografia diltheyana, secondo Hartmann, «tutto va a finire nelle connessioni strutturali storiehe dei movimenti e delle correnti spirituali; nel centro dell'interesse vengono spinte le forze extrafilosofiche della spirito - siano esse quelle della fede, del gusto, dei rapporti sociali 0 del modo di vivere [...]. Si rendono visibili i 'motivi' del pensiero; si comprende perche la filosofia di un'epoca sia spinta in quella determinata direzione [...], perche nutra e sviluppi certi concetti preferiti, perche si attacchi a certi pregiudizi rna non sia sensibile ad altri. Cio che il pensiero compie nel corso della conoscenza, fino ache punta esso colga i vecchi problemi fondamentali, li ponga 0 li trasformi, rimane percio di importanza secondaria» 41. Ove e chiaro il pecca 40
Op. cit., p. 79.
4' Op. cit., pp. 30-31. Per Dilthey, come in genere per gli 'storicisti', it
sapere - a parte certe asserzioni fisiche controllate e certe formule logico-ma tematiche - «e sempre relativo ad una particolare eta e ad un certo clima culturale» (cfr. A. Santucci, introd. a Karl Mannheim, Ideologia e utopia, Bologna 1957, p. xx), e le idee sono idee di uomini, che vivono in una situazione in cui Ie vengono via via elaborando. Di qui l'esigenza di rintrac ciare passe passe questa elaborazione. Proprio perche Ie idee non sono scindibili da un contesto reale umano, proprio per questa importa non tanto isolarne una tessitura formale astratta, che in se ha scarso 0 nessun signi ficato, quanta vederne la genesi e quindi la funzione concreta. E per quanta Dilthey tendesse a considerare una «struttura sempre uguale della vita». vedeva chiaramente la filosofia costituirsi come «sistema di cultura della societa umana» che cerca di elaborare «concetti universalmente validi- con cui «affrontare it mistero del mondo e della vita». Di qui, per chi voglia comprenderli, la necessita di seguirne la formazione concreta entro un ambito culturale preciso, seguendo 10 sforzo di elaborazione del 'filosofo' nella societa in cui vive. Tutto al contrario di quello che pare allo Har tmann, it metodo del Dilthey e particolarmente fecondo, attento com'e a cogliere nelle sue dimensioni effettive it vario lavoro dei filosofi, raggiungen do spesso. attraverso l'indagine sulla formazione del pensatore, resultati e acquisti preziosissimi. Fu la famosa memoria di Dilthey del 1905 - con la seguente pubblicazio ne del suo allievo Nohl del 1907 - che prospetto tutto un nuovo modo
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to d'origine che, agli occhi di Hartmann, ha la storia: quello di essere storia, di preoccuparsi dei nessi reali in cui i concetti si pongono e in cui i problemi si formulano, della genesi della lore formulazione, del mutare delle stesso linguaggio filosofico. «La filosofia - Hartmann riconosce - e sempre portata da presupposti e tendenze che hanno le proprie radici fuori di essa.» E tuttavia 10 storieo non deve fare il mestiere suo mettendo in luce in che modo le idee siano pensieri di uomini reali: deve, al contrario, cessar di essere storieo per farsi «filosofo»: un filosofo «inferio re» che isola nel passato quel «soprastorico» che la filosofia gli ha insegnato a riconoscere in base al sieuro possesso della cono scenza che e proprio del pensiero-problema. 11 quale possesso tuttavia, di cui si esalta il valore di pura conoscenza, di solido chiaro effettivo sapere, risulta molto deludente. Ma nulla, forse, vale a dimostrare la fragilita delle tesi della Hartmann quanto la risposta da lui offerta alle questioni base circa i criteri per deter minare il 'soprastorico', per rieonoscere gli acquisti speculativi perenni, per distinguere i problemi 'eterni' dagli pseudoproblemi e le verita dagli errori. Non a caso le verita sono costantemente presentate sotto il profilo di intuizioni, di intuizioni originarie, di tracce nascoste, destinate, col tempo, a trionfare: onde il criterio distintivo della verita sembra oscillare fra un quid intuitivo e la capacita di resistere agli anni. «A lunga scadenza» - osserva Hartmann 42 - la distinzione deve avvenire; «a lungo andare» si rieonoscono sempre «i confini fissi 0 stabili tra cio che e irrime diabilmente decaduto e morto, cio che non si puo resuscitare, e cio che e immortale, cio che continuamente si conferma e si avvera», L'anzianita sembra diventare la misura anche della veri ta (<
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stessa, fra cio che e semplicemente storieo e cio che e superstori co nelle conquiste spirituali della filosofia». Gli epigoni solo per che tali, sembrano dotati di poteri eccezionali rispetto ai contem poranei, senza che mai si tenti un'analisi della natura di questi jiltri temporali. Che quando Hartmann cerca di offrire allo stori co una formula precis a per riconoscere Ie verita soprastoriehe, sembra oscillare fra la banalita del luogo comune e una quasi umoristica condanna del non-conformismo. «Tutto do che porta il segno di una costruzione azzardata e a priori sospetto d'errore. Lo stesso vale per tutto quanta presenta il carattere di affermazio ni estremiste [00']' In generale cia che seduce puo considerarsi come sospetto. Le solide idee filosofiche si annunciano di regola per una certa semplicita, 0 almena per una certa indifferenza rispetto alle esigenze sentimentali troppo umane.» Ancora: «il semplice rifuggire della storico dagli interessi dominanti della filosofia popolare per gli ismi in quanto tali [00'] dalle opinioni dottrinarie proclamate e dal bisogno precipitoso della Weltan schauung di dare un senso, e atto a condurIo sui Ie tracce storiehe della conoscenza [00']. Cia che e interiore nel senso della cono scenza non e cio che e sottile, azzardato, etereo, e neppure senz'al tro cio che e profondo e, in senso letterale, trascendentale, tanto meno cio che promette una soddisfazione al bisogno di trovare una visione del mondo. E in generale cia che e poco appariscen te [00']»' Ma ancor piu strano e che, dopo tanti elogi del poco appariscente, Hartmann non esiti a dichiarare che il vero acquisto conoscitivo si presenta sempre come un'irruzione originaria, come un'incoerenza, e addirittura sotto il segno della contraddizione. «Ouesto [l'incoerenzaoo.] e un segno infallibile di conoscenza vera nel pensiero dei grandi maestri; certamente soltanto dei grandi», perche le contraddizioni dei minori sono «di ben altro tipo», ossia soltanto contraddizioni 43. Di difficolta in difficolta Hartmann finisce con l'investire pro prio la storia delle funzioni di giudice supremo della verita: «La decisione su cio che e verita e su cio che e errore viene a rieadere nel progresso ulteriore della storia stessa». Ma ecco che di nuovo il dubbio 10 prende; eccolo soggiungere che «questa non e certo una decisione assoluta», perche «il criterio della verificazione nel progresso della storia non e affatto un criterio assoluto» 44. La 43 44
Op. cit., pp. 65-67. Op. cit., pp. 70-75.
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soprastoricita del eonoseere 10 induce ancora una volta a proc1a mare che «cio che e fondamentale nel rapporto storieo della cono scenza e dell'errore non viene toccato dal mutare del tempo» che e, in fondo, un modo diverso di esprimere l'osservazione del Brehier: dei filosofi si da storia, non della filosofia. 11 mota ]Juro dell'intelligibile - dalle idee alle idee attraverso le idee - in cui consiste il processo, e il progresso, della filosofia, cade al di fuori della storia umana. La storia tocca «quello che vi e di accidenta Ie, non quello che vi e di essenziale in una filosofia». Socrate e Cartesio, Platone e Kant, e gli uomini tutti, non sono che i porta tori accidentali dell'idea. Husserl con grande precisione e con estremo rigore ha mostra to una volta come della filosofia als strenge Wissensehaft non si dia storia. Storia (Gesehiehte) si avra della tendenza alla filosofia, del mota costante della coscienza verso la scienza; rna poiche 'solo una filosofia rigorosamente scientifica e veramente f i los 0 fi a', della filosofia non puo esserci storia. Filosofia come Weltansehauung e filosofia scientifica sono 'idee' ben distinte: l'una temporale, l'altra assoluta e intemporale. E cio che e storieo vale esc1usivamente sul piano degli impulsi vitali, non sul terreno 'scientifico'. «Certo - osserva Husserl in un testo estremamente significativo 45 - noi abbiamo bisogno della storia. Non a modo della storieo, per perderci nelle complicazioni in seno alle quali si sono sviluppate le grandi filosofie, e per farci ispirare dalle filosofie secondo la lora forma spirituale. Infatti dalle filosofie del passato, quando sappiamo contemplarle, quan do sappiamo penetrare nell'anima delle lora parole e delle lora dottrine, viene a noi una vita filosofiea con tutta la riechezza e la forza dei motivi vitali. Ma noi non diventiamo filosofi con le filosofie. Tenersi a cio che e storico, occuparsene in un'attivita storieo-critiea, e voler raggiungere una scienza filosofica [...J e un tentativo senza speranza. L'irnpulso filosofieo non deve seaturire dalla filosofia rna dalle eose e dai problerni. La filosofia e, nella sua essenza, la scienza dei cominciamenti veri, delle origini, delle 'radici del tutto'. Bisogna percio che la scienza di cio che e radiea 4' E. Husserl, La philosophie comme science rigoureuse, trad. it. Q. Lauer, Paris 1955, pp. 112, 124 sgg. (e, dell'introd. del Lauer, p. 34). Come e noto Philosophie als strenge Wissenschaft uscl in «Logos», I, 191G-ll, pp. 289-341.
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le sia anche radieale nel suo procedere, da ogni punta di vista.» Fedele alla sua impostazione Husserl era indifferente alla storia del pensiero: «non leggeva - pensava». La storia e della umanita vivente: chi opta per la filosofia 'scientifica' - osservava P. Wust - sceglie un compito disumano «do volevo vivere come filosofo: per questa sono morto come uomo»)
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8. La confusa complessita della discussione della Hartmann non e priva di preziose indicazioni: v'e, in pieno, il riconoscimento di una molteplicita di tipi di filosofie distinti alla radice, e non solo da diversita di orientamenti 0 di metodi, rna da modi fra lora inconciliabili di intend ere il concetto stesso di filosofia: fra pensie ro-problema e pensiero-sistema la cesura e netta. Al posta della filosofia come pensiero unico, ° serie variamente articolata di pensieri unici, ciascuno di un singolo filosofo, che ne sarebbe come dominato, si profila l'intersecarsi compIesso di domande molteplici, diversamente atteggiate, scaturite da situazioni diverse e da aporie variabili. Hartmann, d'altra parte, sia pure confusa mente, mostra d'intendere che la catena aurea da idea a idea non basta: anche se in maniera equivoca, e quasi al margine, si rende conto dell'esistenza di un nesso fra le idee e gli uomini e le cose, fra i puri pensieri e i «presupposti» e le «tenderize» che «hanno Ie proprie radici fuori». 11 sospetto che il filosofare non sia riduci bile tutto a una pura linea concettuale che puo rivelarsi con ritmo pili 0 meno veloce, rna che non e mai toccata dagli eventi della storia degli uomini vivi: un simile sospetto sembra sfiorare la 46 II teste del Wust e citato dal Lauer, p. 190. (Ma cfr., di Husser!' nel testo completo, Die Krisis der europiiischen Wissenschaften und die trascen dentale Phiinomenologie, «Husserliana Vl», Haag 1954, e, in particolare, I'aggiunta 28 al § 73, p. 508, dell'estate 1935, su cui ha richiamato la mia attenzione Paci: «P h i los 0 phi e a I s W iss ens c h aft, als ernstliche, strenge, ja apodiktisch Wissenschaft - de r T r a u m is tau s get r au m t ». Heidegger, verso la fine di Sein und Zeit, § 77, ricollegandosi a Dilthey attraverso la corrispondenza con Paul Yorck von Wartenberg, citava, di Yorck, I'osservazione che «la filosofia, proprio in quanto critica, non pub prescindere dalla storicita [ ]. La non-storicizzazione del filosofare mi sem bra [...] un resto metafisico [ ]. Non ci pub essere alcun reale filosofare che non sia istorico», Sui rapporti Dilthey, Husserl, Heidegger, cfr. G. Misch, Lebensphilosophie und Phiinomenologie, Leipzig 1931, e, ora, Pietro Rossi, Martin Heidegger e l'analisi esistenziale della storicita, «Rivista di filosofia», 50, 1959, pp. 15-37.
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mente del pensatore, anche se, in fondo, nonostante tutto, non arriva ad intendere bene neppure l'esigenza messa avanti da Dil they. Brehier cita una volta quasi con raccapriccio un testo della Morphologie sociale di Halbwachs, per il quale «una societa di filosofi non e mai una societa di spiriti puri; ha un corpo, anche quando se ne dimentica e cerca di staccarsene» 47. Brehier si accorgeva che, dietro certe richieste in sede storio grafica, si muoveva un'istanza «umanistica» - com'egli la chiama va - che gli riusciva sostanzialmente ripugnante. Si guarda diceva - a «una specie di visione totalitaria della vita della spiri to, di cui nessuna manifestazione potrebbe sussistere astrattamen te, e in cui si dovrebbe esprimere l'uomo intero, corpo e anima. E nella stesso tempo si combatte la 'menzogna' di una filosofia fondata suI pensiero puro, ossia su una parte dell'uomo» 48. Brehier, che era un ones to studioso, indicava bene, nonostan te la sua ripugnanza, l'esigenza di quanti non credono che la storia delle idee si possa fare rimanendo chiusi nel mondo delle idee. Convinceva meno quando voleva chiudere la storia del pen siero nel dominio dell'intelligibilita pura: e non convinceva, non per il suo amore dell'intelligibilita pura, che era certo un casto quanta lecito amore, rna per volere a tutti i costi parlare di storia, ossia di movimento e di vita, senza accorgersi che inserire la storia tra Ie vergini idee e gia comprometterne irrimediabilmente la verginita, sempre che di storia si parli in senso proprio. 11 Brehier denunciava quello che c'era al fondo di certe impostazio ni storiografiche: il riconoscimento «alla filosofia di un valore vitale e sociale». 11 suo torto era di non dimostrare la validita del proprio assunto sul proprio terreno: ossia delineando quella cate na delle concezioni filosofiche reali, di cui andava fantasticando, muovendosi suI terreno dell'intelligibilita pura, da idea a idea. Nel momento in cui si riconosce che le risposte dei Sofisti, di Socrate, di Platone, di Epicuro, si rivolgono anche a richieste morali, politiche, scientifiche, e tengono conto anche di fatti speri mentati, e che non si possono far scaturire pure e nude dal moto delle idee, in quel punta la catena d'oro si spezza, e la 'storia' con la sua corposita terrestre inserisce la vita e il peccato nel mondo sterilizzato dei pensieri «puri». Ma cio che forse e pill grave e che 47
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Op. cit., p. 63 (Halbwachs, Morphologie sociale, Paris 1938, p. 55). Op. cit., p. 73.
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perfino i «filosofi» pill «puri» usano di continuo di cesure in cui fanno intervenire l'impuro, anche se surrettiziamente, e quasi di nascosto. «A partire dal cogito - scrive Brehier di Cartesio 49 ogni considerazione personale (a cui era stata giustamente destina ta l'autobiografia del Discorso) e elirninata, e la catena delle ragio ni agisce da se.» E poco prima aveva detto: «e facile vedere che tutti i filosofi per i quali la filosofia e una scienza universale cercano di fondare la filosofia su un atto di decisione libera indipendente da ogni causa: le philosophe a bien une histoire: non la philosophic». Ora, quell'atto di decisione libera, che nel caso di Cartesio sarebbe il cogito, a meno che non si voglia presentare come arbitrario e gratuito, si realizzera in un campo di scelte ben definito, ossia entro un orizzonte di problemi, di richie ste, di esperienze, che 10 condizionano in modo chiaro e preciso. E la pretesa catena di pure ragioni che ne scaturisce, se appena si andra a esaminare, ripetera a sua volta le vicende, e gli equivoci, che caratterizzano l'orizzonte di scelta. Solo per scherzo - e non e uno scherzo spiritoso - si possono collocare e la sostanza-anima e Ie due sostanze, e gli spiriti animali, e l'origine dei mondi, e cosi via, nella catena autonoma delle pure ragioni. La storia del carte sianismo, e del cartesianismo dello stesso Cartesio, e la storia delle scelte di continuo compiute da Cartesio prima ancora che dai cartesiani; e la storia delle 'condizioni' delle scelte stesse, dei limiti e dei dati fra cui il filosofo si mosse. Parlare di una forma zione del 'filosofo' che interesserebbe piuttosto che il 'filosofo' il sociologo e 10 psicologo 0 10 storico fino al punta della scelta l~be~a: dopo la quale comincerebbe il moto della ragione pura, significa sostituire alIa realta complessa e varia della vita del sapere umana un nuovo 'romanzo' pill fantastico del 'mondo' di Cartesio. ave non si vuol negare affatto quanta di nuovo ci fu nella «scoperta» cartesiana, rna anzi sottolineare come la forza di quella scoperta si alimento in un largo mondo di «cultura» in un ricco complesso di esperienze che riusci a interpretare, e 'che in parte fu proprio essa a mettere a fuoco e a rendere feconde. D'altra parte cost la sua fecondita come la sua forza trovano la lora giusta prospettiva, e quindi il lora senso, nell'ambito delle r~chie~te di ~ui furono una risposta. E in quell'ambito, in quella situazione, In quella genesi, sono anche da ricercare le radici 49
Op. cit., p. 75.
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delle contraddizioni interne del cartesianismo che, se in Cartesio costituirono una tensione vitale, divennero frammenti divergenti, e scuole opposte, dopo Cartesio. L'uomo-macchina e 10spiritualismo di tanta filosofia francese, dalle venature profondamente religiose, possono rivendieare entrambi una paternita cartesiana; a Cartesio si riehiamano giustamente medici materialisti ed atei, COS! come pii maestri di religione. Quale, allora, il pensiero unieo? E, vieeversa, quanta peri colo anche nel distaccare, consideran dolo a se, in una sua pretesa verita perfetta, un argomento come la prova ontologiea, trasformando analogie a volte abbastanza estrinseche nella presunta identita di uno strumento logieo scoper to una volte per tutte! E, ancora, quale errore nel dimentieare che quella famosa seelta filosofica non trova necessariamente il suo alimento e la sua base entro l'ambito di temi e problemi considerati appartenen ti al dominio della «filosofia». In un capitolo dedieato a «necessi ta e contingenza nella sviluppo della filosofia», dove si parIa del problema degli «antecedenti» delle filosofie, e in cui si discorre di Cartesio, Leibniz, Newton e Vieo, Rodolfo Mondolfo fa molte e utili osservazioni. Ma una soprattutto va diehiarata: che cioe gli «antecedenti» di un filosofo non e detto che si trovino nella «filosofia» (sia essa cercata nei problemi 0 nei sistemi), come pur sembra credere il Mondolfo. COS! Cartesio trove alimento e spin ta a riflettere, pili che in sant'Agostino 0 san Tommaso 0 negli aristotelici del suo tempo, in problemi e discussioni fisiehe e matematiehe, 0 fors'anche in libri «curiosi e strani», anche se poi, lui e gli amici, con l'aiuto delle polemiehe degli avversari, chiese ro appoggio ad 'autorita' e a testi 'filosofici' pili rispettabili. E Vico invece fu stimolato da problemi giuridici e storici e filologi ci, e COS! via. Che un filosofo «si vincoli ai predecessori», e un discorso che nella sua generalita rischia di non dir nulla 0 di dir troppo. Quel che importa e che il suo campo di scelte, il terreno su cui si muove, Ie domande a cui risponde, Ie esperienze che vuole interpretare e unificare, sono di volta in volta diverse, e non sono necessariamente Ie «filosofie» che 10 hanno preceduto anche se, a un certo punto, alcune di esse vengono considerate e discusse. Mettere Vico in rapporto con la scienza galileiana non e per se molto significativo, se non diciamo chiaro che il problema e solo un problema che come tale e d'oggi, che agita il nostro orizzonte culturale: ossia che non si tratta di comprendere la formazione di Vico in rapporto a Galileo allora, rna che, oggi,
nell'allargamento della nostra esperienza,. e pa~ticolar.~ente. viva l'urgenza di affrontare il rap porto fra scienze morali e sClenz~ 'naturaIi'. La quale pili vasta esperienza nostra, d'altra ~arte, CI rendera pili sensibili, e ci fara mette~e ~ fuoco certe ~hlUs.ure e certe aperture COS! di Galileo come. di V.ICO: venendo~l, Galileo e Vieo nella lora vita dopo la morte a msenre In trame piu comples se che continuamente spostano i piani prospettici e costituiscono la'sempre rinnovata vita della storia: il che n.0n si~n~f~ca ne dieh~a razione dell'impossibilita, ne affermazione dl relativita del~a storia, rna anzi rieonoscimento di qual sia l'effettiva comprensione che l'uomo ha di se, e che, per la stessa struttura della coscienza uma na, non puo non essere in perenne svil.uppo. ~OS!, via. via c?e.i cerchi ondosi provocati da un sasso Ianciato ne~l acqua. ~l .moltlph cano e si allargano, muta il rapporto fra il raggio del piu mterno .e quello dell'estremo; rna non per questa si dira fals.a ~a.misura subi to sorpresa nel primo 0 cambiera quella d~l suo InlZla~e rapporto con l'immediatamente successivo S0. Fuor di metafora, nent~a nell~ storia di Vico tutto il vichismo, e una matura coscienza storiografi ca non torn era nuda a Vico, rna avra presente la storia delle inter, pretazioni viehiane e ne cogliera Ie ragioni e il senso: e collochera Vieo in questa pili ampio orizzonte e aiutera a c.omp~endere c~rte riprese e certi ripensamenti. Ma via via che di eSSI affer~era la genesi vedra meglio al di la di deformazioni programmatiche Ie 50 Scriveva iI Droysen (Historik, Vorle~ungen flber. Enzyclopiidie ~n~ Methodologie der Geschichte, p. 91, trad. It. Cantlmon):. «Fra I matena!1 storici ci sono anche Ie conseguenze di quelle cose che II. nostro tema, I! nostro problema ci ha indotto a studiare; conseguenze che I.conte~pora~e! non conoscevano e non presentivano. Quel che segue ~ grandi a~vemmentl e quasi una dissezione ed una. elaborazi?ne i~eale del I!10mentl che erano nascosti ed operavano in quer rnomenti stessi. E se tali con~eg.uenze SO~? seguite da quegli inizi, noi abbiamo iI dir.itto e il do.v~re di ncerca~e gia negli inizi i germi di quel che ne e conseguito [...]. E dl:ltt? .della considera zione storica considerare i dati di faIto nella luce del significato c~e hann~ raggiunto mediante Ie lora consegl;lenze...»: E, ancora, ~ stato .scntto assai bene, a proposito del futuro che illustra il passato: «e prop no e sempre soltanto il presente a porre Ie domande al passato, dando C.OSI ~uo~o ~ .quel processo incessante e paradossale per cui iI fut,ur~ de.term~na II slg~llfl~ato del passato e non solo viceversa;. no.n perche.1 oggl. 0 1.1 d~ma~1 ~Iano autorizzati a sovrapporre interpretazioni e travesumenti arblt:an all len, m~ perche, invitandolo a interloquire in un nuovo discorso, ne ,~hsvel~no a.spettl di cui esso stesso non si rendeva conto e che senza quest mserzione III un nuovo contesto, senza quest'utilizzazione in rapporto a un nuovo pr?J:>I~ma, non sarebbero mai venuti alla luce» (V. Verra, Dopo Kant. II crtttcismo nell'eta romantica, Torino 1957, pp. 244-45).
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domande che Vico ascolto, iI campo delle sue esperienze, iI valo re delle sue risposte. Nel distacco partecipe, nella memoria consa puta, nel 'tempo ritrovato', nei nessi chiariti, Vico ritrovera Ie sue dimension], la sua genesi, la sua vita dopo la morte, al di fuori dei miti romantiei del precursore frainteso.
9. Una volta Giulio Preti scrisse, non senza arguzia, rna con appropriatezza, che chi si metta a far storia della filosofia si trova subito nell'imbarazzo circa l'oggetto della propria indagine: quali sono i filosofi? E proponeva di assumere, come punto di partenza, i nomi inclusi in un buon manuale corrente 51. In parte almeno si potrebbe rispondere alIa difficolta considerando filoso fia e filosofo quanto, nei vari tempi, si e chiamato appunto filosofia e filosofo. Fu filosofia, volta a volta, rispondere a specifi ci problemi naturali, 0 perfezionare I'arte della disputa, 0 disserta re di Dio, 0 elaborare tecniehe della saggezza. Non variarono solo i metodi, 0 gli oggetti; mutarono Ie forme complessive, il tutto della filosofia. La nota contrapposizione stabilita da Marx tra nuova filosofia e filosofia 'scolastica' e caratteristiea; rna, almeno in partenza, la rottura tra Atene e Gerusalemme, fra l'Acccademia e la Chiesa, non fu meno radieale. E non si dica che fu condanna di ogni filosofia; perche la nuova fede polemizzando con la filoso fia come anti-filosofia, si poneva in realta come nuova filosofia nel punta in cui intendeva assumerne iI posto. 51 G. Preti, Continuita e discontinuita nella storia della filosofia, nel vol. cit. Problemi di storiografia filosofica, p. 65. Osservava Dilthey nel suo saggio Das Wesen der Philosophie del 1907 (che apriva il volume dedicato alia Syste matische Philosophie della collana Die Kultur der Gegenwart [I, 6] pubblicata dalla Casa Teubner): «il termine 'filosofia' e 'filosofico' ha significati cosi numerosi nel tempo e nello spazio, e cosi diverse sono Ie forme spirituali definite dai loro autori con questo nome, che potrebbe sembrare che nei diversi tempi il bel nome filosofia, coniato dai Greci, sia stato applicato a forme spirituali sempre differenti. Infatti gli uni intendono per filosofia la fondazione delle scienze particolari; altri estendono questo concetto della filo sofia, poiche a tale fondazione aggiungono il compito di derivare da essa la connessione delle scienze particolari; poi ancora la filosofia viene definita come la scienza dello spirito 0 scienza dell'esperienza interna; infine si inten de per essa la guida della condotta della vita 0 la scienza dei valori universal mente validi. Dov'e il legame interno che unisce fra loro formulazioni COS! diverse del concetto di filosofia, e forme COS! molteplici di essa - dov'e l'essen za unitaria della filosofia?» (trad. it. di P. Rossi in W. Dilthey, Critica della ragione storica, Torino 1954, p. 388). Cfr. I.T. Desanti, Introduction, p. 44: «pas de definition univoque de Ja philosophic».
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Solo la fantasia dei patiti degli eterni problemi pub dimenticare Ie profonde rotture che traversano quella che suole chiamarsi l~ continuita della tradizione filosofica occidentale. E solo una conti nuita rieostruita a posteriori, con i ponti gettati dopo sull~ ~a.cerie,. pub trasformare in placidi trapassi, necessari e tranquilli, I salt~ che costarono, spesso non metaforicamente, lacrime e sang~e. Agli occhi di certi storici Ie rivoluzioni, a un certo punto, spanscono; tutto c'era gia prima: la Riforma prima di Lut.ero, l~ Rivo~uzione prima di Robespierre (e se propr!o qu~lc~e nvoluzlO~e CI ha d~ essere, riserbano il grave nome at prezrosi pensamenti lor.o e del lora amici). La verita e che 10 storico si trova di continuo di fronte a queste cesure, e non sempre c'e pronta un'iscrizione bi.lin~~e a permettere la lettura di ogni parola del passato. ~a CO?tmUlt~, ,a volte, e quella del distruttore che s'insedia s~ll~ ~o~l~e di u~a cltt~, e costruisce una citta tutta diversa. La continuita e ncostruita fati cosamente dopo, e pub ridursi, talora, al rapporto tra un ~l e un no, fra forme, umane tutte, rna profondamente contrastanti, Dar~ per scontate unita e continuita, 0 rifugiarsi in una certa qual~nq~l stiea sintesi, e solo una comoda evasione di fronte alla complicazio ne della vicenda umana. Qui e appunto il difficile compito della storieo della filosofia, rna anche la sua ragion d'essere: rendersi conto della pluralita delle «filosofie», comprendere i vari linguag gi, situarli, definirne i rapporti con i gruppi umani ~n cui sors~ro, determinare che cosa significarono per eSSI, come agirono se agiro no come si trasformarono, come tramontarono: pensieri di uomi ni 'come vennero elaborati dagli uomini, come mutarono gli uomi ni. Proprio perche non nacquero per partenogenesi idee da idee, ossia per «la dialettica interna del pensiero filosofico», rna perche espressero ora certi ideali e ora il lora rifiuto, ora il ripensamento critico di certe esperienze ed ora codici di vita attuale e promesse di vita futura; proprio perche furono visioni e concezioni d'insie me, 0 rifiuti di ogni visione d'insieme; proprio perche illoro. ~aria re fu dovuto ora a sfaldamento interno, ed ora a mutamenti inter venuti in campi e su terreni diversi; proprio perche ora Ie idee generarono Ie idee, ed ora invece mutarono le cose; proprio. per questa il compito della storico e COS] complesso. E la sua funzlOn~ piu delicata sta nel cogliere il mutare dei campi d'esp~rien~~ su CUI il filosofare s'impianta, e cioe nel non obliterare mat m Iacili quan to inutili generalizzazioni l'aspetto plurale della.r~fl.e~sio.neu~~na: Solo COS] e possibile rendersi conto della positivita di POSIZlOlll
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contrastanti e apparentemente inconciliabili, senza indulgere aIle troppo facili critiehe dei «teoreti» e degli uomini di fede ardente, pronti a trapassare dall'esaltazione all'anatema, e vieeversa. Compito della storieo della filosofia e, al di la della superficie delle enunciazioni ideali, oltre le sistemazioni teoriehe che si pro clamano nate da altre sistemazioni teoriche definitivamente confu tate 0 dimostrate, cogliere i legami reali, la genesi, i nessi coi campi diversi dell'attivita umana a cui Ie varie filosofie vanno debitrici dei lora alimenti. Per questa 10 storieo della filosofia si trova volta a volta a dover fare i conti non tanto, come e stato detto servendosi di una nozione estremamente ambigua, con la «storia generale della cultura», quanto con quei campi specifici della rieerca e dell'attivita dell'uomo a cui la riflessione filosofica si e via via particolarmente indirizzata 52. Percio, se e vero che la filosofia tende a presentare vedute d'insieme e concezioni del mondo, 0 a sostenere la universale validita degli strumenti logici che elabora, e delle formule di saggezza che enuncia, tuttavia in realta essa viene a privilegiare ogni volta un campo di indagine 0 di esperienza. L'osservazione del Mondolfo a proposito del valore della poe sia per intendere il pensiero greco delle origini, 0 dell'importanza dell'astronomia copernieana per rendersi conto del pensiero del maturo Rinascimento, deve essere estesa e approfondita. Ora so no Ie scienze biologiehe che costituiscono la base di una concezio ne del tutto, ora e la riflessione sui procedimenti geometrici che costituisce la spinta ed offre il materiaIe per la formazione di sistemi logici, che altre volte, invece, si muoveranno nell'ambito della considerazione dei discorsi persuasivi propri del mondo del diritto. «Lo studio della dialettiea interna della sviluppo della filosofia» e del tutto sterile e irrilevante, se essa viene intesa come puro mota di idee che si generano da idee. E l'insorgere di tipi di ricerche, e l'imporsi di modi di esperienze, che volta a volta
rinnova in modo decisivo l'orientamento del pensiero, anche se puo essere stata, a sua volta, una 'filosofia' ad aver sollecitato un tipo di esperienze e di ricerche. La sinuosita ~el proc~sso, ~e cesure, le novita: questo appunto distingue la stona della filosofia dal necessario ritmo di una logica. E la storia della filosofia collocata nella storia umana, solidale con essa: storia degli sforzi critici di afferrare i mobili limiti entro cui e feconda l'attivita umana; storia dei tentativi di formulare delle concezioni d'insie me capaci di presentarsi come interpretazioni unitarie di tutto l'orizzonte dell'esperienza umana e del suo signifieato. Storia «particolare». la storia della filosofia verra via via le gandosi a quegli aspetti e fatti che piu direttamente operano sulla genesi e la vita delle idee, concezioni e tecniehe che Sl presentaro no come filosofie (rna senza dimentieare che veramente concreta, anche se come puro ideale regolativo, e solo una storia unitaria e integrale dell'uomo, e quindi di quanto rientra nella sua esperien za complessiva). Proprio qui, anzi, si misura il piu importante compito dello storico: in questo mettere in luce i nessi nascosti allo stesso filosofo, Ie radici reali delle scelte ideali, e Ie lora conseguenze. La struttura interna dei 'sistemi', l'unita interna del le 'filosofie', non potra determinarsi davvero se non attraverso questa connessione con Ie 'cose', con Ie varie 'esperienze'; all'ap parenza di unita e coerenza formale 10 storico oppone Ie effett.ive cesure, i 'salti', Ie discontinuita e Ie incoerenze, per sanare pOI le rotture 'logiche' attraverso l'indieazione dell'insorgenza di determi nanti 'pratiche' e di motivi 'reali' che operarono nella sviluppo e nella determinazione del pensiero dei vari filosofi. Come una coscienza alIa seconda potenza, e 10 storieo che rivela quello che e rimasto nascosto al pensatore, ai suoi contemporanei, amici, avversari, discepoli.
52 Una lucida presentazione del problema qui accennato in Pietro Rossi e C.A. Viano, Storia della filosofia e storia della cultura, «Rivista di filosofia», 46, 1955, pp. 327-41. II Rossi e il Viano, diversamente dal Mondolfo, non cadono nella genericita della 'storia generale della cultura', e colgono bene il rapporto mobile e cangiante della filosofia con i suoi con tenuti non specifica mente 'filosofici'.
10. II lavoro proprio della storieo della filosofia e, dunque, 10 stabilimento di rapporti fra idee, teorie, visioni d'insieme, e situa zioni reali: fra parole scritte, 0 testimonianze di discorsi orali di 'filosofi', e realta di uomini operosi in condizioni reali. La storico sceglie e collega; intesse la storia la dove ha trovato serie e com plessi di eventi e di dati. L'accertamento dei dati, i documenti che in questo caso sono, innanzitutto, parole e scritti - e essenzia
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Ie: la filologia 53, come suol dirsi con un termine spesso voluta mente reso oscuro ed equivoco, e primaria. Solo che filologia non significa affatto mero stabilimento di testi, 0 raccoIta di dati: significa fedelta, e rispetto costante di ogni individuazione concre ta, di ogni situazione reale entro il complesso dell'atto storiografi co. V'ha chi, con singolare ottusita, parla di una storia filologica come di una non bene identificata opera 'manuale' che provvede rebbe ad offrire i testi «critici» definitivi dei filosofi, corredati di «documenti» e notizie, in modo che poi il filosofo «speculativo» possa elaborare i dati in base a qualche sua piu 0 meno illuminan te metafisica. Ma i documenti sono muti a chi non sa quali do mande rivolgere (anzi non esistono addirittura); e trovare Ie noti zie puo chi sa cosa e dove cercare; i testi non solo non si costrui scono, rna neppure si leggono, senza la contina solidarieta di intelligenza critica (ossia «teorica») e di perizia «filologica». La storia e sempre al pun to di questa convergenza di «filosofia» e «filologia». E il filosofo che s'illudesse, dinanzi alia parola antica, di saperla intendere e interpretare senza ripercorrere con 10 «stori co» - facendosi storico con 10 storico - la faticosa duplice via, dal presente al passato per ritrovare nel distacco i lineamenti e le articolazioni essenziali del passato (10 scheletro, poi che la carne e caduta), e dal passato al presente per rivivere del passato la 5j Cfr. V.E. Alfieri, Filosofia e jilologia, «Aut Aut», n. 39, 1957. Sarebbe opportune che quanti vapno spropositando intorno a filologia e filologismo considerassero con maggior ponderatezza quello di cui vanno discorrendo e approfondissero con 'Iilologica' pedanteria anche Ie auctoritates che invoca n.o. Cer~o ind~c~re. Ie 'f~nt!', individuare Ie 'allusioni', precisare Ie 'letture', rtcostruire la biblioteca di un autore, ritrovare Ie 'sfumature' del suo lin g~ag~!o, non e tutt.o: e non puo Farsi senza proporsi continuamente domande ~.I pru vas,to respiro. M.a senza, Sluest? lay?ro, .ed e un lavoro che ogni c~mmento nuovo e.ogm nuova riflessione implicano, La pagina degli anti chi r~s~a l?uta (0 ~Ice ql;lelle astruse sciocchezze che si leggono in talune esposizioni), E ogm allusione, ogni citazione, va pesata e ricollocata nella sua prospettiva: in tempi di oppressione, in momenti di persecuzione, un autore ?ltato, .0 una fra~e, ~anno un valore e indicano una posizione che non hanno In altri rnornenti. Citare 0 non citare Croce - 10 ricordo Croce stesso - In certi anni non remoti, significava altro, 0 anche altro al di la di una vicinanza 'teoretica', cosi come, in altro profile, citare 0 me~o Marx. L'invo cazione del nome di Platone, in taluni momenti della cultura bizantina ha avuto una particolare carica polemica; la stessa frase, la stessa citazione la stessa parola, si caricano di valori diversi secondo i contesti. Come si puo afferrare il valore di una proposizione di Spinoza 0 di Hegel senza avere seguito il lungo viaggio di certi termini e aver rintracciato i sensi di cui si sono venuti via via arricchendo?
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lunga vita dopo la morte, con tutte le Iinee e dimensioni da allora a oggi, e le verifiche, e le 'traduzioni' che caratterizzano il 'teste' e la sua 'traduzione' attuale; il 'filosofo' che credesse di potersi dispensare da questo lungo lavoro potrebbe dispensarsi anche dalla lettura dei testi del passato, contentandosi di subirne passi vamente e oscuramente l'eredita invece di accogIierIa e trarne ammaestramento. Senza alcun dubbio, anche se con qualche apparente forzatu ra paradossale, puo dirsi che le dimensioni proprie della storia sono, non meno del passato, il presente e il futuro. Come e la vita d'oggi con i suoi problemi che alimenta e da nerbo all'indagine del passato quale ricerca delle radici piu 0 meno lontane della nostra condizione, cOSI e per il futuro: perche il proceso di libera zione dalle condizioni del presente sia possibile, dobbiamo coglie re tutte le piu segrete strutture del passato. V'ha di piu: il com plesso di conseguenze che maturano da una dottrina, che, voluta mente 0 meno, ne scaturiscono, appartengono a quella dottrina e ne sono parte; verificandola 0 falsificandola, reagendo su di essa, contribuiscono a illuminarne le giunture, a renderne esplicite le implicanze. Per questa le pagine della storia non recano mai la parola fine; per questo ogni storia e sempre aperta, non e mai definitiva; per questa ogni epoca ha la sua storia. Solo che, a questa proposito, converra intendersi bene, per evitare la facile conversione di una innegabile verita in estrapolazioni capziose. II dire che il fatto, il documento, la lettera muta del libro, rivivono nella storieo, ossia nell'atto che li risuscita e li fa parla re, non significa se non che i segni, i suoni umani, Ie opere, parlano agli uomini nella misura in cui una comune umanita unisce l'umanita d'ogni tempo: ossia nella misura in cui I'uomo trova nella 'memoria' degli uomini la traccia della lunga vicenda che l'ha fatto qual e oggi. La storia come lavoro storicizzante e la costruzione razionale di questa trama lungo cui s'intesse il nostro presente: la costruzione partecipe e distaccata, oggettiva e sogget tiva. Ove il passato e, certo, un fatto e un oggetto, rna come ogni altro da noi, come Yaltro io che ci parIa, illibro che l'altro scrive e che - questo e il potere della parola - entra nel nostro dialogo come un io, come opera d'un uomo, con la sua personalita stacca ta e pur legata alia nostra, distante e prossima. II momenta pro prio dell'attivita storiografica e la determinazione della distinzio ne, del distacco, dell'altro (che e certo in rapporto all'io), del
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passato (che e certo in rap porto al presente), ma battendo sul distacco, sulla separazione. La storia si caratterizza infatti, piutto sto che nel far presente il passato, nel cogliere il distacco del passato, nell'afferrare il passato come tale, nel collocarlo in preci se relazioni pensate e verificate: e conoscenza del passato come tale, ossia visione razionale delle sue articolazioni e dei suoi rapporti - della scheletro nudo ricostruito oltre la carne cad uta (squand il etait du present - e stato detto con eloquenza -, ce passe etait comme Ie present que nous vivons en ce moment, quelque chose de pulverulent, de confus, multiforme, inintelligi ble; un reseau touffu de causes et d'effets, un champ de forces infiniment complexe que 1$1 conscience de l'homme, qu'il soit acteur ou temoin, se trouve necessairement incapable de saisir dans sa realite authentique») 54. D'altra parte, senza alcun dubbio, la prospettiva presente in cui il passato e cosi inserito muta sempre; il documento rende un suono sempre diverso; e talora e muto, non cercato ne scoperto. Ma questa non significa ne impossibilita della storia, ne relativiz zazione che pacifichi ogni veduta. La traduzione ficiniana di un termine platonico puo essere esatta come quella dell'Acri, e ade guata, pur essendo diversa: traduzione, quella, aderente al conte sto culturale della fine del '400, e cap ace di rendere in quel contesto quel che Platone voleva significare; traduzione, quest'al tra, adeguata al contesto culturale di certi gruppi di dotti della seconda meta dell'Ottocento. La nostra, ancora diversa, traduzio ne, destinata a inserire Platone nella nostra trama culturale, nasce ra da un molteplice lavoro: di illustrazione di Platone nel conte 54 H.I. Marrou, De la connaissance historique, Paris 1954, p. 47. 11 Marrou cita I'esempio della raffigurazione che Stendhal e Toistoi fanno delle battaglie napoleoniche. «Lo storico - osserva il Marrou - non puo conten tar si di una visione frammentaria e superficiale». Lo storico non si limita all'esperienza; tende all'intendimento, alla comprensione razionale dei nessi, elabora. Diceva Brunschvicg (Ecrits philosophiques, II, Paris 1954, p. 117) che 10 storico si sforza di mettere a nudo un ordine. Lo scetticismo storico di Toistoi nasceva al contrario dal concepire la storia come «la somma dei dati empiricamente accertabili» (efr. I. Berlin, Lew Tolstoy's Historical Scepti cism, «Oxford Slavonic Papers», II, 1951, p. 23). Ed era una posizione che forse non e esatto avvicinare al positivismo, di cui non rappresenta neppure I'anticipazione rna, al massimo, un fraintendimento avant la lettre (can incurable love of the concrete, the empirical, the verificable, and an instincti ve distrust of the abstract, the impalpable, the supernatural», scrive il Berlin, che soggiunge: «in short an early tendency to a scientific and positivist approach, unfriendly to romanticism, abstract formulations, metaphysics»).
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sto della sua opera con tutti quegli accorgimenti che abbiamo raggiunto; illustrazione del testo platonico nella situazione rea le (culturale, economica, politica, sociale) in cui e fiorito; 'memoria' delle 'traduzioni' che si sono susseguite da Platone a noi, onde determinare la 'distanza' di noi da Platone, ma anche la radice del nostro atteggiamento presente di fronte a Platone; e finalmente l'inserimento della parola di Platone nel nostro dialogo, ove Plato ne e noi, ossia Platone con la sua storia e noi con la nostra, abbiamo riassunto ognuno la propria dimensione. Tutto questo e, se si vuole, perfettamente rispondente all'istan za 'idealistica', ma lontanissimo da ogni interpretazione che legitti mi deformazioni ed errori. L'inserimento della parola di Platone nei vari contesti e rigoroso, non arbitrario: avviene secondo uma na 'ragione', ossia per 'regole' che, osservate, mi daranno resultati 'limitati' ma verificabili, validi costantemente in una situazione, fecondi, ossia suscettibili, non solo di essere inseriti proficua mente in piu complessi contesti, ma dotati di valore costante attraverso il mutare dei quadri in cui vengono via via proiettati. Che e appunto la differenza fra l'interpretazione erronea e arbitra ria di un pensatore, e la sua vita effettiva nella molteplice com prensione dell'umanita, E valga an cora un esempio: se ho da intendere un termine tecnico d'Aristotele, ossia da rendermi conto di quello che fu il suo valore effettivo nel testo aristotelico, dovro sapere bene il greco, conoscere bene le opere d'Aristotele e l'uso che Aristotele fa di quel termine con tutte Ie sue oscillazioni; quindi l'uso del termine nel linguaggio del suo tempo, nella tradizione dotta e comune. E, successivamente, come l'accezione aristotelica e stata intesa, interpretata, nel variare del suo valore significante fino a noi. Qui io potro determinare il valore significante del termine aristotelico in rapporto a noi, ossia in rapporto a termini e atti significativi nostri, scaturiti da quella storia, a termini di contesti che vogliono rispondere a esigenze corrispondenti a quelle a cui volle rispondere Aristotele. Ma il rapportare, alla fine dellavoro, il termine aristotelico al nostro, che e certo un vedere, e intepreta re Aristotele attualmente, non significa affatto deformare Aristote Ie, 0 ridurlo a noi. Altri, domani, stabilira rapporti diversi, ossia dara, se vogliamo dir cosl, un'interpretazione diversa, ma non falsifichera la nostra interpretazione; la 'trasforrnera', conservan dole il suo significato nel proprio contesto, e solo cost tenendosi 81
fermo alIa distinzione. Con tutto questa non ha nulla a che fare que1 barbaro sistema di avvieinarsi all'antico senza studiarne la lingua, per malamente e ridieolamente identificarlo con pili 0 meno peregrine posizioni proprie, lontane e disformi, giungendo, non a interpretazioni ardite, rna solo a grossolani errori simili a quelli degli scolari sprovveduti che traducono Ie parole straniere in termini apparentemente corrispondenti per suono e per grafia.
11. «Le bon historien ressemble a l'ogre de la legende: la ou il flaire la chair humaine, il sait que la est son gibier.» La battuta di Marc Bloch vale anche per 10 storieo della filosofia: anch'egli guarda alIa carne umana, perche quella e la sua preda. Non a caso Marx nell'Ideologia tedesca rieordava che le idee e le ideolo gie nella loro strutture formali non hanno ne storia, ne sviluppo, rna solo gli uomini reali che vivono pensano e lavorano, che elaborano le idee, le modificano e se ne servono. Sono gli uomini, «quegli stessi uomini che stabiliscono i rapporti sociali conforme mente alIa loro produttivita materiale», che «producono anche i principi, le idee, Ie categoric». COS! «queste idee, queste categorie sono tanto poco eterne quanto le relazioni che esse esprimono. Sono prodotti storici e transitori» 55. 0, se si preferisce, possono essere considerate e studiate, non solo nella lora forrnalita astrat ta, rna nel dinamismo delloro costituirsi, funzionare e modificar si per opera degli uomini stessi che le escogitano e Ie trasmettono. Idee d'uomini, vive nella vita e nelI'opera di uomini di carne, che sono nel mondo in cui nascono e muoiono; idee che sorgono e tramontano, che tornano 0 scompaiono, che lasciano tracce a volte obliate e nascoste: idee viste sempre in rapporto a uomini reali, alloro discorso e alloro lavoro, e quindi varie, molteplici e contrastanti, ora in trionfo, ora sconfitte: questa e l'oggetto dello storieo della filosofia, e questa e la sua filosofia. Sempre Marc Bloch, in una pagina molto bella, contrappone il lavoro dello storico a quello degli altri scienziati: «il compito del metodo scientifico come 10 pratieano e, con i lora resultati, 10 giustificano quelle forme del sapere, sta nell'abbandonare il con templatore», nel dimentieare I'uomo nella sua integra complessi ta, la sua coscienza spesso contraddittoria, la sua societa. Lo 55
Miseria della filosofia, Roma 1949, p. 89.
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storico invece, ha come suo oggetto «Ie coscienze umane; Ie rela zioni tra queste, le contaminazioni, nonche le confusioni, di cui sono il terreno, costituiscono ai suoi occhi la realta stessa». Gli esempi che Bloch reca sono significativi: Pascal matematico e cristiano, Rabelais medieo e Mastro Alcofribas, e il mercante medievale che viola lungo tutto il giorno i comandamenti della Chiesa e s'inginocchia la sera devotamente dinanzi all'immagine della Madonna. Lucien Febvre domandava a Gilson da un Iato, e a Brunschvieg dall'altro, se fosse possibile davvero seguire le pure filiazioni di idee dimenticando quasi del tutto «Ia carne umana» che dava lora albergo. Eppure dieeva, «gli uomini che hanno letto e meditato Occam, che hanno tratto le conclusioni delle sue origin ali premesse, sono gli stessi che han no assistito a grandi trasformazioni, a grandi rivolgimenti politici, economici e sociali; che, anche se monaci nelle lora celIe 0 dottori nelle lora scuole, ne hanno sentito il contraccolpo». Le vie dei lora sistemi, delle loro idee, e quelle della loro vita non s'incontrano mai? Nasceva nella pratica quotidiana, nel lavoro, nei traffici, una nuova mora le, «una morale che spezzava l'unita dell'ordine sociale e indivi duale», che reagiva e incideva in ogni campo. E davvero il suo spirito sovvertitore non penetro mai nelle grandi cattedrali di idee? Machiavelli e Lutero sono solo figli di concezioni ideali? «Ouesti filosofi, questi tecnici della filosofia, seguono senza dub bio con efficacia le filiazioni di certe forme di pensiero, di certe risposte di un certo ordine a certe questioni. Ma fuori di queste filiazioni? fuori di queste forme e di questi pensieri?»56. Febvre aveva ben ragione, e con lui Bloch e quanti altri stori ci si arrestano perplessi davanti a un certo tipo di storia della filosofia, e contestano che si tratti di storia. Perche storia non si da se non in una prospettiva che veda le idee e le lora vieende, e l'articolarsi dei sistemi, e l'urgere e il variare dei problemi, net lora fondamento umano, nei lora ritmi entro le coscienze degli uomini, net concreto della loro vita reale. Nessuno nega che di uno schema logico si possa determinare la struttura formale, e indicarne somiglianze e differenze, e rapporti formali con altri sistemi. Questa tuttavia non e storia, anche se giovera allo stori co. Storia e vedere la misura e la prospettiva umana di quello schema, ritrovare quando e come fu formulate, per rispondere a se
1. Febvre, Combats pour l'histoire, Paris 1953, pp. 286 sgg.
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quali domande e a quali esigenze: se sotto la spinta di nuovi biso gni scientifiei, 0 per gusto di giuochi mentali, 0 attraverso solleeita zioni di precedenti problemi logici. Storia e ritrovare la genesi del le idee nel tempo vissuto, e il loro modo di convergere, e l'opera loro nella cerchia degli uomini. Storia del pensiero e ritrovare l'umanita del pensiero, e mettere a fuoco l'umanita del pensiero, la carne umana senza cui quei pensieri non sarebbero nel mondo: e far vedere i legami di quei pensieri con la carne umana. Questa e la filosofia dello storico della filosofia; che, come ogni serio ricercatore, in partenza almeno, laseia impregiudicata la conclusione del suo lavoro: se cioe possano emergere 0 meno dal fIuire del tempo forme e strutture durevoli; e, se emergono, in che modo e con che significato. Ma que I che egli cerca, quello che determina il suo metodo, e questa umanita del pensare, questa prospettiva umana: i pensieri reali di uomini reali in situazioni reali: ossia i nessi accertabili fra quelle formulazioni che volta a volta si sono dette 'filosofie' e le esperienze, le indagini, le esigenze, i bisogni con cui mostrano di avere connessione, i campi d'indagine seientifica di cui il 'filoso fo' si e alimentato. Per questo mettera in opera ogni mezzo per ritrovare i docu menti scritti e farli parlare nella loro voce; lottera per restaurare un linguaggio diverso e per intenderlo; fatichera per recuperare Ie direzioni, le solleeitazioni, le attivita non 'filosofiche' su cui si esercito via via la rifIessione 'filosofica' del passato. Scendera aile lotte politiche, aile vicende economico-soeiali in cui si alimentaro no programmi di vita, ideali di saggezza, tecniche di comunicazio ne. Leghera le idee agli uomini, che non le pensarono per giuoco ma solleeitati da esigenze effettive. Non si contentera di ricompor le in ranghi ordinati: ne cerchera Ie radiei nascoste agli stessi autori. Non contento di analisi formali, ne vorra mettere a fuoco ogni componente profonda. Stara in terra tra gli uomini, non in eielo tra gli spiriti puri; e, uomo tra gli uomini, ne ritrovera il li?guaggio, e discorrera con loro traendone risposte capaei di giovare, almeno, a comprendere Ie domande del proprio tempo. '?ltre i libri, consegnati al pubblico, ricerchera appunti, abbozzi; ricostruira letture e biblioteche; seguira la formazione dei pensa tori, e i loro lunghi itinerari. Studiera scuole e istituti d'ogni genere; interroghera caso per caso opere d'artisti 0 di scienziati di tecnici 0 di artigiani, di politici e di ciurmadori, di profeti e di 84
santi. E tutto raccogliera intorno a uomini, e a gruppi di uomini ben definiti entro I'ambito di una societa, e non a esangui astrazio ni. «II lavoro dello storico - scriveva, testimone non sospetto, Adolfo Omodeo 57 - e un duro dissodamento e da I'affanno non meno dello zappare a chi non vi sia avvezzo. Ma senza dura fatica, senza questa tormentosa analisi di documenti, senza questa esigenza critica di tutto chiarire a se stesso, non si costruisce nulla di solido [...] Senza calcoli tediosi e scrupoli tecnici l'archi tetto non pub costruire, a meno che non sia uno scenografo. COSt anche 10 storico.» COSt - conviene aggiungere - anche 10 storico della filosofia che non sia infetto da que I 'genialismo' sdegnoso di 'erudizione' e di 'filologia', che tanto urtava la severa moralita dell'Omodeo. Per questa strada, soggiungeva l'Omodeo, si incon trano uomini vivi; per questa strada l'obiettivita della storia si sposa alIa efficacia del nostro operare di storiei, la cui fecondita e proporzionale alIa sua sorvegliata onesta, «Nella serieta che 10 regge, il pensiero storico diviene un'operazione efficace sui suo stesso oggetto. I suoi risultati rivendicano la piena obbiettivita, si chiamano scoperte e non invenzioni. Ma nel rispetto intelligente dei fatti si compie, al di la di ogni riflesso proposito, una trasfor mazione profonda dei fatti: non per arbitrio, ma perche il valore e il senso dei fatti e nella serie e nella proporzione reciproca, e questa serie e questa proporzione si svolgono e si ampliano orga nicamente nell'attivita che anima il pensiero storico. Ma guai ad adagiarsi su cio e a compiacersene: a voler proporre artifieialmen te a questa nostra attivita risultati artificialmente calcolati. Svani see l'onesta del pensiero scientifico.» Certo, chi concepisce il filosofare come 'morire' alIa vita, non fara storia; mentre 10 storico cerchera nella vita anche Ie radiei di quella contemplazione della morte. Ma tra quella filosofia e que sta storia non scoppiera conflitto. Husserl non «Ieggeva» neppu re: e se si potranno discutere Ie sue critiche a Dilthey, se si potra 'storicizzare' anche la sua posizione, la sua coerenza e compatta e solida. Quella che veramente e assurda, e la posizione di chi taglia con la sua 'teoria' la possibilita di una 'storia' e va poi costruendo 'storie' fantastiche e deformanti, irridendo il lavoro reale dello storico. Per chi intende la filosofia come un certo lavoro 'teorico' puro, tutto esaurito nell'ambito di puri sistemi 57
Cfr. «Giornale critico della filosofia italiana», III, 1922, p. 419.
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logici, derivanti l'uno dall'altro, tutto quello che e campo della storieo, tutto quello che e storieo, 0 storicizzabile, non pUO non cadere fuori dalla filosofia. Con 10 storico che cerca di svelare le radici terrestri delle idee 'il filosofo' di questa tipo non puo non sentirsi in radicale contrasto; un contrasto comprensibile e giusti ficato da concezioni opposte del filosofare. Quello che non e invece ammissibile, perche in se contraddittorio, e il tentare, su quei presupposti, una 'storia'; legittima e l'eventuale negazione della storicita del filosofare, quando si trovino argomentazioni valide. Assurdo e camuffare di panni storici quella che e negazio ne programmatica della storia. Ne si comprende perche tanti 'filo sofi' amino violentare la storia (la seria, modesta storia, che ha a che fare con l'umano, col mondano, col mutevole), impegnandosi in quell a strana cosa che e la sollecitazione dei testi per attribuire ai grandi morti le lora piccole - 0 grandi - idee 58. A costoro, e a quanti come costoro, non contenti di fantastica re in liberta, infastidiscono con accuse di 'filologismo', 'culturali smo', 'erudizione' e cosi via chi affronta umilmente in archivi e biblioteche la responsabilita dell'indagine faticosa, vien fatto di ripetere, con l'immagine cara al vecchio filosofo: visto che fra l'ottuso profeta e l'onesto somaro abbiamo scelto la compagnia del secondo, lasciateci almeno lavorare in pace!
ss E. questa fino a limi~i stranissimi, come quando il Troilo, per prendere un? scnt~ore che sdegna 11 «neutro» storicismo, considera «deformazione e fraintendimento del pensiero di Leon~rdo» perfino un testa autografo di Leonar?,? che ,non comc~de con la sua interpretazione (efr. A. Marinoni, Per una edizione integrale di Leonardo, «Convivium», Nuova serie, 26, 1958, p. 8;3); 0 c?me 9uando, 10. stesso T:oil~, impianta un'ampia e solenne interpreta zIO~e di Avicenna tLineamenti e interpretazione del Sistema filosofico di AVlcenna. «Atti dell'Acc. naz. dei Lincei», Memorie, Classe scienze morali e~c., S. VIII, V?l. 7, 1956, pp. 397-446), quasi esclusivamente sui Compen dium metaphysices nella versione latina di Nemetellah Carame (che non e molto nsp~tto ai 276 numeri della bibliografia dell'Anawati, di cui quasi quaranta riguardano la metafisica). «La filosofia di Avicenna e dura" _ osserva I'egregio storico (p. 401); rna a chiarirla non converrebbe preliminar mente prendere quanto pili ampia conoscenza e possibile delle opere alcune dell~ quali amplissime; c~e ci sono pervenute? Sempre che, natural~ente, si vogha .co.no~cere quell Avicenna uomo che ha consegnato Ie sue meditazioni a .t~ntI libri, e non «un momenta necessario ed eterno della storia della spinto umano» (per usare la battuta del Capizzi, «Rassegna di filosofia», VII, 1958, p. 191).
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POSTILLA BIBLIOGRAFICA
Non e possibile restringere in breve neppure una delineazione sommaria delle discussioni che sulla storiografia filosofica si sono avute in questa secolo, anche solo in Italia: tanto pili che ben diffieilmente esse potrebbero separarsi da polemiehe gia vive sul cadere del secolo scorso. COS! tutti ricordano, non solo le imposta zioni della Spaventa, rna le pagine del Fiorentino, allorche, profes sandosi ancora hegeliano, andava irridendo l'uso di Augusto Con ti di comporre «la sua storia sull'attestato di buona condotta rilasciato dal curato» (Scritti vari di letteratura, filosofia e critica, Napoli 1876, p. 316). Si lamentava, il Fiorentino, delle accuse mosse fin da allora alIa storiografia hegeliana: «ci si e detto tante volte, che noi altri hegeliani usiamo far la storia a priori, giuocan do di fantasia, e storcendo i testi, che siamo incuriosi delle tradi zioni, dispregiatori della fidata scorta del senso comune». Ed aveva buon giuoco nel mettere in ridieolo l'opera del Conti. Pili sottile invece e pili importante e Ia sua polemica con la prolusio ne dell'Acri Su la natura della storia della filosofia (Bologna 1872). L'Acri aveva COS! sintetizzato la posizione di Hegel: «Ia storia della filosofia, che narra Ie apparizioni pure della verita alIa coscienza umana, succedentisi nel tempo, risponde in tutto alIa logica, la quale .rappresenta le apparizioni medesime della verita, che, eternamente e senza consapevolezza, senza luce ne suono, avvengono all'interno di lei; talche la logiea e una sempi tern a storia della filosofia, e la storia della filosofia e una logica temporale» (op. cit., p. 11). Ora, mentre l'Acri attaccava Hegel cercando di mostrare la non corrispondenza della successione temporale con quella logiea, il Fiorentino si dava da fare a soste nere che Hegel medesimo aveva ammesso Ia necessita di scevera 87
re nella storia 10 snodarsi essenziale delle categorie dalla «scorza esteriore»: che era grave ammissione, anche se fondata corretta mente su Hegel. Soggiungeva il Fiorentino: «che cosa rimane di saldo nella concezione hegeliana della storia della filosofia? Rima ne la razionalita dello sviluppo, rimane quell'organismo interno dei sistemi, per il quale un membro e collegato con l'altro e non giacciono sminuzzati e sparsi come Ie membra del favoloso Osiri de». Ora l'Acri contestava proprio la necessita del processo stori co: «nego che nei sistemi filosofici ci debba essere un progresso necessario. Che ci sia nella storia del genere umano, come quello ch'e deputato a recare a effetto un certo disegno non umano, sta bene; rna che ci sia altresi nella storia dei filosofi, nessuno di sano intelletto puo capacitarsi [...]. Se cio fosse vero, saresti obbli gato a negare ai filosofi la liberal di essere stolti». Fiorentino, fra l'altro, accusava allora l'Acri di qualche indul gente benevolenza per i positivisti (<
v'ha ne reprobi, ne eletti; e tutti gli eroi del pensiero, i quali dettero una nuova spinta al progresso filosofico, deb bono and are studiati collo stesso amore [...] perche 10 storico e impegnato a penetrare nel secreto della loro mente, scoprire i principi da cui mossero, accompagnarli nel lento lavorio delle loro deduzioni, spiarne Ie oscillazioni e Ie arditezze, in una parola rifare tutta la via da loro percorsa per venire sino aIle estreme conseguenze [...]. Chi non ha tale elasticita di mente, chi non sa accomodarsi aIle varie guise in cui si puo considerare il mondo, smetta dallo studio della storia della filosofia», Felice Tocco fu veramente grande storico capace di cogliere i nessi fra Ie formulazioni dei filosofi e Ie situazioni reali; Ie sue opere hanno resistito al tempo. E i giudizi di Gentile sull'opera sua sono stati veramente fra i meno felici e i meno sereni; come e del tutto infondata l'immagine del Tocco «piagnone». Fragile, invece, e quasi inconsistente, la storiografia, e la riflessione meto dologica, dei maggiori positivisti. La prolusione padovana dell'Ar digo su Lo studio della storia della filosofia (Padova 1881) e, a dir poco, infelicissima. Ne, in tutt'altra parte, appare pili feconda la prolusione su La storia della filosofia, pronunciata dal Barzel lotti nel 1907 aRoma, che pur reca a motto il testo di Hegel eine jede Philosophie ist ihre Zeit in Gedanken erfasst tL'opera storica della filosofia, Palermo s.d., pp. 273-303). La polemica del Croce, e soprattutto del Gentile, ebbe facilmente ragione di avversari sprovveduti. La Iettura di certi scritti (per esempio I limiti della storia dellafilosofia del Bodrero, uscito ne11919 sulla «Rivista di filosofia», pp. 127-68) giustifica in pieno gli articoli impietosi degli idealisti (cfr. la recensione del Gentile su «La Critica», XVIII, 1920, pp. 59-60). Delle impostazioni metodologiche del Croce e del Gentile s'e detto, anche se una discussione approfondita richiederebbe un esame analitico della produzione storiografica che ad essi si ispira (efr. C. Licitra, La storiografia idealistica. Dal «programma» di B. Spaventa alia scuola di G. Gentile, Roma 1955, con bibliografia). Ma accanto all'indirizzo «idealistico», e talora in polemica con esso, si e svolta l'opera di studiosi quali il Mondolfo, costantemen te preoccupato di definire le proprie vedute generali e i propri canoni metodici (efr. gia la prolusione del 1910 su La vitalita della filosofia nella caducita dei sistemi, «Cultura filosofica», V, 1911; per Ie impostazioni sue pili recenti e da vedere, oltre il
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volume citato Problemas y metodos de la investigaeion en historia de la [ilosofia, Tucurnan 1949, il saggio di Werner Goldschmidt, Los quehaeheres del historiador de la filosojia, in Estudios de historia de la filosojia en homenaje al professor R. Mondolfo, Tucuman 1957, I, pp. 11-50). D'altra parte proprio lavori come L'lnfinito del Mondolfo (1934), che del resto proveniva dal positivismo e da studi marxi stici, contribuivano in concreto a logorare le prospettive care agli idealisti. SuI terreno di quelle ricerche medesime che aveva pro mosso, l'attualismo veniva battuto, mentre anche il contributo dei neoscolastici, particolarmente in talune zone ben definite, chiede va nuovi approfondimenti e la messa a fuoco di non pochi proble mi. L'apporto degli studiosi dell'antichita, filologi e filosofi, dal Bignone al Calogero, metteva in crisi non piccola parte delle costruzioni consacrate. Accanto alle storie 'classiche' quali Zeller, Hoffding, Windelband, cominciavano a circolare i saggi di Dil they, di Troeltsch, di Cassirer, da un lato, di Gilson dall'altro. Nel '30 il De Ruggiero, nel presentare la terza parte della sua Storia dedicata a Rinaseimento, Rijorma e Controrifonna, dichiarava di vedere ormai in «modo molto pili complesso i problemi e i compi ti della storiografia» e sentiva il bisogno di connettere i terni pill strettamente «filosofici» ad aspetti sempre pili larghi della vita. A questa fermento di ricerche si accompagnava una ripresa di discussioni di metodo. Nel '33, in «Civilta moderna» che il Codi gnola apriva aile esigenze pili vive del pensiero italiano ed euro peo, escono contemporaneamente 10 studio di G. Galli su Filoso fia e storia della [ilosofia e il saggio importantissimo di Antonio Banfi su Coneetto e sviluppo della storiografia filosofiea (xCivilta moderna», V, 1933, pp. 392-427, 552-66). 11 Banfi, non solo dava una storia della storiografica filosofica in nuee, rna, informatissi mo delle discussioni vive soprattutto in Germania, esaminava con acutezza ricerche concrete e scritti di metodologia. Purtroppo il lavoro del Banfi non ebbe l'eco che meritava; esso resta come il segno dell'acuirsi della crisi di certe impostazio ni. Non a caso fra il '37 e il '38 il Guzzo, negli «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», diretti dal Gentile, pubblica i suoi sag gi su Messianismo, dialettismo e gnoseologia seettiea nella storio grafia filosofiea e su Tre luoghi comuni della storiografia filosofi ea: i «problemi», i «passaggi neeessari», il «superamento» (poi in Coneetto e saggi di storia della filosofia, Firenze 1940, pp. 1-31).
In quegli anni stessi l'Abbagnano pubblicava Le struttura del l'esistenza (1939) e il saggio su La rieerea storiea (1942), ove «il problema della possibilita della ricerca storica» si presentava in termini nuovi, mentre la sua Storia della [iloso]ia verra rinnovan do prospettivc e metodi consacrati. Dopo la guerra it problema della storia della filosofia si e posto con vivezza sempre maggiore; sotto 10 stimolo di altre esi gcnze si e imposta con urgenza la necessita di rivedere i canoni interpretativi correnti. II tentativo del Dal Pra, con la sua «Rivi sta di storia della filosofia» fondata ne! '46, esprime il bisogno di una storia del pensiero condotta con rigore e consapevolezza. Bisogno, del resto, non solo italiano, se nello stesso anna il «Jour nal of the History of Ideas» dedicava un Symposium, a cui pren devana parte A. Edel, P.O. Kristeller e Philip P. Wiener, al signifi cato della history of ideas (su cui sono da vedere i saggi dell'ispira tore e dell'animatore della rivista Arthur O. Lovejoy, Essays in the History of Ideas, Baltimora 1948). In ltalia il dibattito e stato ampio, ne accenna a chiudersi: si sono gia menzionati spesso i Problemi di storiografia filosofiea raccolti nel '51 dal Banfi con i saggi, oltre che del Banfi, di Dal Pra, Preti e Paolo Rossi, cui e da aggiungersi, a iniziativa di F. Lombardi, il volume miscellaneo Verita e storia con contributi di Abbagnano, Antoni, Calogero, Cantoni, Frondizi, Geymonat, Ga rin, Lombardi, Mondolfo, Paci e Spirito. II volume e del '56, rna raccoglie i testi di un dibattito promosso dalla Societa filosofica romana nell'anno accademico 1953-54. Nel '53 il Lombardi stesso aveva pubblicato un saggio di rilievo, appunto su Concetto e problemi della storia della [ilosofia, mentre nel '54 Enrico Castelli dedicava un fascicolo dell'«Archivio di filosofia» (poi tradotto anche in francese) a La filosofia della storia della filosofia (con scritti, oltre che del Castelli, di Dempf, De Corte, Del Noce, Garin, Gouhier, Gueroult, Gusdorf, Husser!, Lombardi, Valori, Wagner). Nel '56 un gruppo di amici si riuni a Firenze a discute re alcune categorie storiografiche (unita, precorrimento, supera mento) su relazioni di Garin, Dal Pra e Paci. Le re!azioni e gli interventi (di Bobbio, Preti, P. Facchi, Pietro Rossi, A. Vasa, C.A. Viano) furono pubblicati nei volumi XI, XII e XIII della «Rivi sta critica di storia della Iilosofia», e insieme a osservazioni criti che uscite nel '56 su «Aut Aut» (Paci e Garin) e su «II Pensiero» (Morpurgo-Tagliabue), nel '57 sulla «Rivista di filosofia neoscola
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stica» (Olgiati), possono giovare a mettere a fuoco taluni proble mi. Ma, accanto a questi scritti andranno tenuti presenti, oltre il saggio gia citato di Pietro Rossi e C.A. Viano del 1955, Il mio problema della storia della [ilosofia di A. Corsano (Trani 1955), Note sulla storiografia filosofica italiana di Paolo Rossi (<<11 pen siero critico», 1955, n. 11; e, sempre del Rossi, Sul lavoro storieo in filosofia, nel vol. La rieerea filosofica nelle eoscienze delle nuove generazioni, Bologna 1957, pp. 69-84; La filosofia seolasti ea e i suoi orientamenti storiografici, «Belfagor», XIII, 1958, pp. 162-76). Ad integrare questi punti di vista giovera, oltre la prolu sione pavese del Pareyson del '51 sull'Unita della filosofia (e la prolusione del '57, gia citata, di V.E. Alfieri), 10 studio di A. Massolo, La storia della filosofia eome problema (Firenze 1955); mentre una posizione di derivazione «crociana» e nella memoria di M. Ciardo, Filologia e filosofia nella determinazione del vero storieo (eAtti dell'Accademia pontaniana», N.S., V, 1955, pp. 209-20). Per la storiografia marxista sara da vedere G. Sasso, Aspetti della storiografia marxista in Italia (1945-1955), «Nord e Sud», Ill, 1956, pp. 18-46 (con forte accentuazione critical.
GRAMSCI NELLA CULTURA ITALIANA*
In un testa del 1933 Gramsci fisso i canoni per 10 studio di una «concezione del mondo» che it pensatore non abbia mai «esposto sistematicamente», e quindi non sia consegnata, come tale, a un «singclo scritto 0 serie di scritti», rna debba essere rintracciata «nell'intiero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli ele menti della concezione sono impliciti». In un'indagine del genere «occorre [...] preliminarmente un lavoro filologico minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onesta scientifica, di lealta intellettuale, di assenza di ogni preconcetto ed apriori smo 0 partito preso». Si tratta di «identificare gli elementi stabili e 'permanenti', [...] assunti come pensiero proprio», distinguendo li dal materiale che e servito di stimolo, e fissando «dall'intrinse co» gli enventuali «periodi» e i possibili «scarti» I. «E osservazione comune di ogni studioso come esperienza personale - prosegue Gramsci - che ogni nuova teoria studiata • Pubblicato in «Nuovi Argomenti», 30, 1958, pp. 154-80, e in Studi gramsciani, Atti del convegno tenuto aRoma ne.i g~o~i 11-1~ gennaio 1?58:
Editori Riuniti, 1959, pp. 395-418. Le abbreviazioni per I riferirnenti ai volumi delle opere sono quelle adottate per l'indice generale posto in fondo al vol. VII. 11 vol. IX e indicato con I'abbreviazione O.N. Si e inoltre usata, soprattutto per le pp. 202-33, l'Anto!o~ia popo/are,. ~oma 1957, ~ ~u~a di ~: Salinari e M. Spinella; per altri scntn non raccolti III volume CI Sl e serylt! delle riproduzioni in «Rinascita», vol. 14, 1957, pp, 146-58. De «La citta futura» si e usata una riproduzione fotografica del giugno 1952; per «I~ grido del popolo» l'esemplare della Biblioteca nazionale di Firenze. DI proposito non si e fatto alcun riferimen~o. e~plicito alIa vas~a lett.eratura gramsciana, spesso molto notevole. [Non Sl e ritenuto necessano aggiungere Ie indicazioni delle pagine degli Scritti giovanili, vol. VIII delle Opere, uscito nel maggio del '58, dopo la pubblicazione di questo studio.] I M.S. 76-88.
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con 'eroico furore' (cioe [...] non per mera curiosita esteriore ma per un profondo interesse) per un certo tempo, specialmente se si e giovani, attira di per se stessa, si impadronisce di tutta la perso nalita, e viene limitata dalla teoria successivamente studiata, fin che non si stabilisce un equilibrio critico, e si studia con profondi ta, senza perc arrendersi subito al fascino del sistema 0 dell'auto re studiato. Questa serie di osservazioni valgono tanto piu quanta piu il pensatore dato e piuttosto irruento, di carattere polemico e manca di spirito di sistema, quando si tratta di una personalita nella quale l'attivita teorica e quella pratica sono indissolubilmen te intrecciate, di un intelletto in continua creazione e in perpetuo movimento, che sente vigorosamente l'autocritica nel modo piu spietato e conseguente.» Gramsci - e nota - si riferiva a un eventuale studio su Marx: eppure ai nostri orecchi suonano indicativi proprio per uno stu dio sulla sua opera i suoi avvertimenti: distinguere fra scritti compiuti e pubblicati, e scritti postumi; fra lavori conclusi (<
Cfr. M.S. 137.
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ripugnavano e da cui non sapevo come difendermi. Pare che per un'intera notte ho parlato dell'immortalita dell'anima in un sen so realistico e storicistico, cioe come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessarie, e come un incorporarsi di esse nel mondo di fuori» 3. E un testo umanamente significativo: ma che documenta anche la consapevolezza di Gramsci; ed e un testo che, fra l'altro, richiama una lettera di due anni prima, del 17 agosto 1931, molto importante ai fini della determinazione «dell'intrinseco» dei mo menti della sviluppo del suo pensiero. Ricordando i tempi in cui era allievo di Umberto Cosmo dichiara che, 'sebbene allora non avesse precisato la sua posizione', aveva tuttavia il senso di trovar si su un terreno culturale comune a molti: «partecipa'{a.Qloin J!!Jto._o in parte al movimento morale e intellettuale promosso in Jtalia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che _ruomo moderno puo e deve vivere senza religione rive lata 0 -.£Qsitiva 0 mitologica 0 come altrimenti si vuol dire. Questo punta mi pare anche oggi il maggior contributo alIa cultura mondiale che abbiano _~ato gli intellettuali moderni italiani; mi pare una .£Qnquista civile che non deve essere perduta» 4. Senza dubbio era presente qui una polemica precisa contro una delle 'crisi' periodiche a cui vanno soggetti gli intellettuali italiani; dopo la Conciliazione taluni «convertiti dell'ideal.srno crociano e gentiliano» avevano trovato che una cattedra val bene una messa. Eppure non era solo una polemica contingente che operava in Gramsci: egli voleva definire una volta di piu un tratto permanente del proprio rapporto con Croce e col movimen to culturale che a lui si richiamava. In una lettera del 6 giugno del '32 non esitera a dichiarare, in forma nettissima, non solo una senile convergenza fra Croce e Gentile, ma la funzione di Croce -.!'1.ell'Italia fascista: «la piu potente macchina» per «conformare» Ie forze nuove italiane agli interessi del gruppo dominante, intima :inente grato, «nonostante qualche superficiale apparenza, al non
L. 229. L. J32; Cfr. M.S. 199 «do era [nel febbraio del '17] tendenzialmente piuttosto crociano»); L.V.N. 247 (dall'«Avanti!», 21 agosto 1916): «accanto all'attivita conoscitiva, che ci rende curiosi degli altri, del mondo circostante, 10 spirito ha bisogno di esercitare la sua attivita estetica». J
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a caso sempre tollerato filosofo napoletano 5. E dei «quaderni» la battuta sulla piu stretta parentela di Croce con i senatori Agnel _lie_Benni che con Platone e Aristotele; ne a Gramsci era sfuggito il parallelismo fra certi infelici discorsi di Gentile e la bonaria difesa crociana (maggio del '24) delle «piogge di pugni, in certi casi utilmente e opportunamente somministrate», 0 di una funzio ne positiva del fascismo (luglio del '24), per la restaurazione di un piu severo regime liberale nel quadro di uno Stato forte 6. Eppure, aceanto all'accusa COSt cruda di una concordia nascosta fra Croce e il fascismo - «non abbracciamento da palcoscenico, _,"rna sempre [...] concordia e della piu Intima e fattiva» - ecco come Gramsci parla della crociana religione della liberta: «Reli gione della liberta significa [...]j~d~_ nella civilta moderna, che non ha bisogno di trascendenza e rivelazioni rna contiene in se .. stessa la propria razionalita e la propria origine». Gramsci, insornma, anche quando giunse a una posizione apertamente critica, e ormai del tutto staccata, non rinnego mai, non solo una personale esperienza crociana, rna il valore perma nente di certi temi, anche se poi «in questi fatti umani - per usare le sue parole - la concordia si presenta sempre [...] come una lotta e una zuffa», E chi ricerchi, oltre gli «scarti», gli «elementi
stabili e permanenti» e «il ritmo del pensiero in isviluppo [00'] piu importante delle singole affermazioni casuali 0 degli aforismi stac cati», non potra nascondersi un costante riferimento, e magari alla fine per combattere 0 rifiutare, a tutta una problematica legata a quel vario rinnovarsi della cultura italiana che si mosse intorno all'attivita del Croce. Anche se poi, spesso, molto piu che di Croce, dovrebbe Farsi il nome del De Sanctis 0 del Labriola, e perfino, in sede di critica letteraria, di Renato Serra, che crociano senza dubbio non era, rna che Gramsci, in quella commossa pagi na in cui pianse la morte di uno dei pochi veri uomini nuovi, uni a De Sanctis e a Croce 7. Tanto riusci a influire, anche su una mente acutissima, il mito di un comune rinnovamento culturale avvenuto sotto il segno del nuovo idealismo, D'altra parte proprio questa senso estremamente largo attri buitQpiuttostoa un orientamento culturale che a posizioni specifi ~ .. deve rend ere molto cauti nel tentativo di sottolineare in Gramsciil memento 0 l'aspetto 0 l'influenza di Croce. E di nuo vo, rna rovesciandone l'uso, bisognera tener presente l'avvertenza . slla,~ssere «il ritmo del pensiero in sviluppo piu importante delle singole affermazioni casuali», --- Al qual proposito e Forse opportuna, in margine agli avverti menti metodologici prima sottolineati, ancora qualche postilla sulla questione piu volte dibattuta della frarnmentarieta dei 'qua derni'. Che Gramsci si rendesse conto del pericolo insito in essa, risulta chiaro. Come e altrettanto evidente che non gli sfuggivano Ie insidie dell'isolamento del careere che, se poteva rendere in certo modo «essenziale» la sua riflessione, rischiava anche di
5 L. 192-93. Sulle «crisis degl'intellettuali (oltre le osservazioni sui Giulia no, pubblicate in «Energie nuove», febbraio 1919) e da rileggere, ne «La citta futura», Margini, 3: «gli uomini cercano sempre fuori di se la ragione dei propri fallimenti spirituali ...» (con quel che segue). e «La Critica», XXII, 1924 (20 maggio), p. 191: «non e detto [...j che la eventuale pioggia di pugni non sia, in certi casi, utilmente e opportunamente somministrata»: Pagine sparse, vol. II, Napoli 1943, pp. 371-79 (dal «Gior nale d'Italia», 27 ottobre 1923; «Corriere italiano», I febbraio 1924; «Gior nale d'Italia», luglio 1924). Nell'ultima intervista (luglio '24), p. 377, si legge: «esso [fascismo] non poteva e non doveva esser altro, a mio parere, che un ponte di passaggio per la restaurazione di un pill severo regime liberale, nel quadro di uno Stato pili forte [...j. Poteva ben soddisfarsi della non piccola gloria di ridare tono e vigore alia vita politica italiana, cogliendo, per merito dei gia combattenti, il miglior frutto della guerra [...j. Non si poteva aspetta re, e neppure desiderare, che il fascismo cadesse a un tratto. Esso non e state un infatuamento 0 un giochetto. Ha risposto a seri bisogni e ha fatto molto di buono, come ogni animo equo riconosce. Si avanzo col consenso e tra gli applausi della nazione ...», Nel ristampare queste pagine nel '43 (il volume fu finito il 20 marzo del '43) il Croce annotava: «L'autore [...j non intende punto sottrarsi alia taccia che [...j gli puo essere data di facile ottimismo e di non sufficiente preveggenza politica» (cfr. N. Bobbio, Politica e cultura, Torino 1955, pp. 217 sgg.; M. Abbate, La filosofia di Benedetto Croce e La crisi della societa italiana, Torino 1955, pp. 221 sgg.).
7 «II grido del popolo» di Torino, 20-11-1915: «il Serra ha dato una lezione di umanita: in cio egli ha veramente continuato Francesco de San ctis, il pill grande critico ehe l'Europa abbia avuto [...l- Ora non possiamo aspettarci pill nulla da Renato Serra. La guerra l'ha maciullato, la guerra della quale aveva scritto eon parole cosi pure, eon eoncetti cosi ricchi di visioni nuove e di sensazioni nuove. Una nuova urnanita vibrava in lui: era l'uomo nuovo dei nostri tempi, che tanto ancora avrebbe potuto dirci ed insegnarci. Ma la sua luee s'e spenta e noi non vediamo aneora chi per noi potra sostituirla...». Ne «La citta futura» (Numero unico, Torino, 11 febbraio 1917), ove pure riporta un lungo testa di Salvemini sui coneetto di cultura, nel riprodurre anche un testo di Croce, Gramsci 10 chiama «il pill grande pensatore d'Europa in questa memento». E pili oltre tMargini. 6), a proposi to del «socialismo scientifico» di Claudio Treves, rimanda al «positivismo filosofico» (equesta concezione non era seientifica, era solo meeeaniea, arida mente meeeanica [...J ne e rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico [...J un balocco di fatalismo positivista»),
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impoverirla. «La prigione - scrive nel '32 a proposito di un sag gio su Carlo Bini - e una lima COS] sottile, che distrugge completa mente il pensiero, oppure fa come quel maestro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco d'olivo stagionato per fare una statua di san Pietro, e taglia di qua, taglia di la, correggi, abbozza, fini col ricavarne un manico di lesina.» Sono righe di una consapevolezza crudele, che vien fatto di mettere a fronte al programma di lavoro tracciato COSI organicamente, e con Sl ampio respiro, nella ben nota lettera del 18 marzo 1927. Dell'inattuabili ta di quel piano Gramsci si accorse subito: e non tanto per gli ostacoli materiali - mancanza di libri, irnpossibilita di compiere indagini preliminari - rna soprattutto per la condizione 'mentale' in cui era costretto (<
P. 130; L. 27-28; 39 (23 maggio 1927). M.S. 131. Cfr. p. 179: «disso1uzione [in Croce] del concetto di 'sistema'
chiuso e definito e quindi pedantesco e astruso in filosofia: affermazione che la filosofia deve risolvere i problemi che il processo storieo nel suo svolgi mento presenta volta a volta. La sisternaticita e ricercata non in una esterna struttura architettonica rna nell'intima coerenza e feconda comprensibilita di ogni soluzione partieolare. II pensiero filosofico non e concepito quindi come uno svolgimento - da pensiero altro pensiero - rna pensiero della realta storica ecc.».
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sibilita di puntualizzare le 'piccole cose m un voluto contrasto con la tendenza a «vedere Ie cose oleograficamente, nei momenti culminanti di alta epicita». «Nella realta - si legge in un testa esemplare - da dovunque si cominci a operare, Ie difficolta ap paiono subito gravi perche non si era mai pensato concretamente a esse; e siccome occorre sempre cominciare da piccole cose (per 10 pili le grandi cose non sono che un insieme di piccole cose) la 'piccola cosa' viene a sdegno; e meglio continuare a sognare, e rimandare l'azione al momenta della 'grande cosa'» 10. L'esigenza del concreto contro ogni residuo 'aroma speculati vo' porto Gramsci a insistere sui metodi della 'filologia', suI deter minatissimo 'certo' 1'. Scrive a Berti, nel '27, contro «Ie idee genia li »: «penso che la genialita debba essere mandata nel 'fosso' e debba invece essere applicato il metodo delle esperienze pili minu ziose» 12. E la ricerca, minuziosa insieme e duttile, la notazione precisa, venne a trovare un modo espressivo congeniale nella breve nota, nell'appunto rapido, che tuttavia rimanda di continuo a una fondamentale unita d'orientamento. Ove non si vuol gia 10 P. 7. " M.S. 191: «la fiJosofia della prassi deriva certamente dalla concezione
immanentistica della realta, rna da essa in quanto depurata da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia 0 storicita 0 a puro umanesimo. Se il concetto di struttura viene concepito 'speculativamente', certo esso diventa un 'dio ascoso': rna appunto esso non deve essere concepito speculativarnen te, rna storicamente, come l'insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono e operano, come un insieme di condizioni oggettive che possono e debbono essere studiate coi metodi della 'filologia' e non della 'speculazione'. Come un 'certo' che sara anche 'vero', rna che deve essere studiato prima di tutto nella sua 'certezza' per essere studiato come 'verita'. Non solo la filosofia della prassi e connessa all'immanentismo, rna anche alla concezione soggettiva della realta, in quanta appunto la capovolge, spiegandola come fatto storico, come 'soggettivita storica di un gruppo sociale', come fatto reale, che si presenta come fenomeno di 'speculazione' filosofica ed e semplicemente un atto pratico, la forma di un contenuto concreto sociale e il modo di condurre I'insieme della societa a foggiarsi una units morale. L'affermazione che si tratti di 'apparenza', non ha nessun significato trascendente 0 metafisico, rna e la semplice affermazione della sua 'storicita', del suo essere 'morte-vita', del suo rendersi caduca perche una nuova coscienza sociale e morale si sta sviluppando, piu comprensiva, supe riore, che si pone come sola 'vita', come sola 'realta' in confronto del passato morto e duro a morire nella stesso tempo. La filosofia della prassi e la concezione storicistica della rea Ita, che si e liberata da ogni residuo di trascendenza e di teologia anche nella lora ultima incarnazione speculativa; 10 storicismo idealistico crociano rimane ancora nella fase teologico-specu lativa».
" L. 41.
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negare la presenza, nei quaderni, di non pochi testi ancora infor mi; si vuol rifiutare la tesi sostenuta dal Croce nel '48 che i quaderni costituiscano solo una congerie «di pensieri abbozzati 0 tentati, di interrogazioni a se stesso, di congetture e sospetti spes so infondati», comunque privi sempre di «quel pensiero sintetico che scevera, fonde, integra in un tutto» 13. Non diverso discorso dovra farsi, del resto, a proposito delle altre opere del Gramsci: Ie lettere, e, innanzitutto, gli articoli del periodo anteriore all'arresto. Di essi e nota il giudizio che l'autore dette nel settembre del 1931: pagine «scritte alIa giornata» e, come tali, destinate a «morire dopo la giornata» 14. In realta, di "nuevo, Ia forma espressiva e solidale con un modo d'intendere la funzione della scritto, an~L4el pensiero, della riflessione; e, se si __vuole usare il termine grave, della filosofia~In una delle sue osservazioni piu acute Gramsc] cerchera di chiarire il senso di una conversione 'non speculativadellafilosofia nellastoria: ed e ._ un testo da tener presente per intendere anche la vicinanza e la Iontananza qellJL~Q11cezione.gramscianada identificazioni appa rentemente analoghe proposte in sede idealistica: l'indentita filo sofia-storia «porta alIa conseguenza che occorre negare lafiloso fia assoluta' 0 astratta e speculativa, cioe la filosofia che nasce ~Qalla precedente filosofia e ne eredita i 'problemisupremi'icosid _~etti, 0 anche solo il 'problema filosofico', che diventa pertanto _un problema di storia, di come nascono e si sviluppano i determi nati problemi della filosofia. La precedenza passa [...] alIa storia ~~le dei rapporti sociali, dai quali quindi [...] sorgono (0 sono presentati) iproblemi che il filosofo si.propone ed.elabora. Se la filosofia storia della filosofia, .se la filosofia 'storia', se la filosofia si sviluppa perche si sviluppa la storia generale del mon .-4-0 (e cioe i rapporti sociali in cui gli uomini vivono); e non gia perche a un grande filosofo succede un piu grande filosofo e COS! _~i.a, e chiaro che lavorando praticamente a fare storia si fa anche filosofia... » rs. - - - ..Co~~entare questo testa fino in fondo, seguirne Ie genesi e discuterne il senso, porterebbe ad un'analisi completa del pensie ro di Gramsci, che a me qui non compete: sarebbe necessario
e
e
13 «Ouaderni della Critica», to, 1948, pp. 78-79.
:: L. 137 (sulla 'frammentarieta', pref. a M.S., XIX-XX).
M.S. 233-34.
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infatti seguire il maturare della sua riflessione attraverso la lotta politica, che 10 porto a leggere, 0 a rileggere con occhi resi diversi da eventi decisivi, le pagine medesime di Marx 16. Ma in tale prospettiva, e nel modo d'intendere il filosofo «individuale», an dra ricollocata tutta l.!l.sul'limpostazione delle vicende degli intel ...k1t.\l!lH italiani: tutta la sua storia della filosofia, della cultura; _snzi, a un certo pun to, tutta la storia italian a cereata nel concreto . degliindividui pensanti e operanti, pensanti in quanta operanti, e .~apaci di rendersi conto, e di rendere conto in precise proposizio ni teoriche volte a suscitare nuove azioni. Comunque a qualche conclusione preliminare sembra possibi le giungere circa il linguaggio gramsciano: e respinta la tesi degli 'inconditi abbozzi', degli articoli di giornale occasionali, e delle lettere edificanti, sara da considerarsi con cautela anche il concet to di unJl frammentarieta dovuta a una situazione anormale di lavoro - -~once'tto in cui rischia di insinuarsi l'idea di una non .organicita,· e quindi di una non consapevolezza fondamentale. E neppure, per le ragioni indicate, sara da accettare un netto distac co fra l'elaborazione del periodo dal '27 in poi e l'attivita prece dente, quasi di un momenta di pensiero posteriore a quello del l'azione: opera di storico succeduta a quella del politico. Senza dubbio uno sviluppo nel pensiero gramsciano e innegabile - nes suno potrebbe porre mai sullo stesso piano l'articolo del «Grido del popolo» in morte di Renato Serra e i testi dei quaderni su Croce. Ma si tratta di una chiara linea di approfondimento, non della verifica di una dialettica di tipo crociano fra un pensiero e un'azione fra lora 'distinti'. La saldatura di teoria e pratica, di pensiero e azione, fu anzi in Gramsci, a un certo momento, COS! 'realmente' raggiunta che, come i suoi piu energici articoli di «Ordine Nuovo» mettono efficacemente e criticamente a Fuoco le questioni del momento in cui operano, cosl, quanto piu profondo I. Sono da rileggere gli articoli del '18, quali La eritiea eritiea (<
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sembra farsi il suo ironico distacco 17, tanto pill aderente si rivela il suo pensiero al mota delle case, pill pertinenti Ie osservazioni, pill legate alle vicende effettuali: unitarie nell'ispirazione, puntua lizzate nella scarno linguaggio di una nota. COS! fu costantemente partecipe al dibattito culturaleanche nel memento della sua segre .ECizigne e losegui fin negli aspetti marginali, in un dialogo serra to con I'altra posizione allora effettivamente significativa da noi: - con I'interpretazione della storia d'Italia elaborata sotto la spinta della storicismo crociano. Al qual proposito, forse, non giova - 'molto chiedersi se per avventura altre voci, soffocate dalla cosid detta rinascita idealistica, fossero pill importanti, e meritassero maggiore attenzione e pill equo giudizio. Gramsci non intendeva fare opera di ricercatore erudito: la sua concezione del pensatore e della storico 10 impegnava, in una situazione concreta, a scelte reali. Ese, oggi, noi possiamo spesso considerare con occhio distaccato non poche impostazioni e valutazioni che ancor ieri sembravano dominanti; se, a un certo punto, anche i famosi 'con ti con Croce' si possono supporre un capitolo chiuso della storia della nostra cultura - rna non so, per ora, quanta sarebbe serio farlo - non dovremmo dimenticare il contributo singolare che all'esaurimento dall'interno di tante tesi ha dato proprio I'analisi gramsciana, la quale, sottolineando con singolare energia la soli darieta di certi ideali e di certe visioni con una situazione, ha aperto la strada ad altre scelte e ad altre possibilita. E come sui terreno dottrinale a un certo Hegel, a un certo Marx, a un certo Labriola e, magari, a un certo Machiavelli, oppose un'altra possi bilita interpretativa, COS! a un'altra storia d'Italia volle saldare un'altra azione politica. Alia linea nazional-retorica, pill che stori cistic.!!)d~alistica, pill che religiosa clericale, pill che liberale con: servatrice, e pill che conservatrice fascista, intese opporre una Italia capace'cli riscattare in tutta la sua storia altre possibilita costantemente vinte, soffocate 0 mistificate. E proprio perche era -lin politico e non un filosofo - e con cia si vuol dire solo che era anche uno storico e un filosofo serio, e non un professore - non .si preoccupo di raccogliere in candidi mazzolini temi incontamina ti. perche a tutti estranei, rna combatte sui terreno reale, nella .situazione reale, ed .affronto l'unica posizione veramente operante in Italia (enon a caso era tale), veramente potente, e con essa si 17
L. 58.
impegno: ne prese talora il linguaggio, vide I'ambito della sua -vaTidita, non ne sottovaluto ne l'importanza, ne la forza, ne Ie conquiste reali. Oggi puo sembrare che sulla linea Romagnosi-Cat taneo ci fosse una forza teorica pill robusta: e puo darsi 18; rna in . tll1~~!.ali.a non a caso culturalmente croci ana e gentiliana, che ave~ _ va scelto una propria tradizione storica convergente verso un esito politico molto chiaro, un impegno culturale serio non pote va muoversi che consumando «dall'intrinseco» certe posizioni ossia svelando Ie «mistificazioni» di Machiavelli come di Marx, di Hegel come di De Sanctis 0 di Labriola: ossia ripercorrendo tutta una serie di scelte storiografiche che erano anche scelte _ politiche, e mettendo via via in evidenza il punto della deviazio ne: ed anche questo, oltre la semplicistica divisione di cia che e _.\::ivo da cia che e morta, in una superiore comprensione capace di __. cogliere la diversa valenza dei temi, in modo da opporre a rifiuti _.antistorici rapporti precisi. ~La rottura con una certa tradizione e la lotta per un'altra Italia si configurano COS! - agli occhi di Gramsci - saldamente radicate nella stessa storia d'Italia:_rappresentano la vittoria di _forze vitali, di possibilita positive contro soluzioni esaurite: e 18 Gobetti, nel '24, indicava fra «i maestri pili diretti del Grarnsci» Salvemini. del Cattaneo grande ammiratore (editore, nel '22, presso il Tre v~s, di una antologia molto significativa). Che, per vie mediate, il «positive» di Carlo Cattaneo (per usare la distinzione del Labriola fra «positive- e «positivistico») pas sasse in Gramsci, e comprensibile. Ma una meditazione approfondita non risulta; il nome di Cattaneo (vgiacobino con troppe chime re in testa», come 10 chiama in una lettera nel '31) compare nei volumi delle opere una diecina di volte circa, e sempre in riferimenti generici, che, come nel casu de La citta, mostrano un desiderio di letture piuttosto chc letture gia fatte. Certo, acuto com'era, Gramsci si rese ben conto che anche in posizioni legate al «positivismo» non mancavano temi fecondi (basterebbero i richiami a Vailati, i'accenno alia teoria della «previsione- in Limentani ecc.). Ma la sua battaglia era altrovc. [Su questo pun to, e in genere suI rapporto di Gramsci col «positivismo», sono da vedere ora Ie riserve di P. Ungari, nel saggio molto acuto su Positivismo, neopositivismo e cultura socialista, «Rivista storica del socialismo», I, 1958, pp, 331 e 337. A dire il vero le parole devono avere, almeno in parte, singolarmente tradito il mio pensiero, che intendevo solo ribadire, specialmente a proposito della comuni cazione di Geymonat (Studi gramsciani, pp, 147-8), proprio quanta m'era avvenuto di scrivere anche altra volta (sui «Ponte», XII, 1956, p. 799). A proposito poi dei limiti derivati a Gramsci proprio dalla storiografia idcalisti ca (su cui efr. anche S. Radota in «Nord e Sud», marzo 1958, p. 46) converra forse scendere a pili precise confutazioni di una affermazione che puo fondarsi Sll cosi numerose testimonianze fornite dai Quaderni del car
cere.]
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sono, percio stesso, non pili parziali, rna vera mente rispondenti all'aspirazione di tutta l'Italia, di tutta la sua storia, di tutto il suo popolo.Dome non rieordare l'artieolo pubblicato nel '19 sull'«Or dine Nuovo», a propos ito dei rivoluzionari russi 19: «hanno siste . mato in organismo complesso e agilmente artieolato la [...] vita pili -lntLr1!!lllkLpopolo-:J,.-la--sua-tFadizieRee la sua storia spirituale e sociale pili profonda [...]. Hanno rotto col passato, rna hanno conti nuato il passato; hanno spezzato una tradizione, rna hanno svilup pato e arriechito una tradizione [...]. In cio sono stati rivoluziona ri» in quanta hanno rivelato al popolo che «il nuovo Stato era il suo Stato, la sua vita, il suo spirito, la sua tradizione». La rivoluzio ne non va mai contro il mota storieo: e il punto in cui il processo rompe gli argini che ]0 volevano chiudere - in cui gli istituti gia elaborati come strumenti si irrigidiscono in barriere: e veramente, per usare ancora un'espressione gram sciana, «Ia protesta del dive nire storico contro ogni irrigidimento e ogni impaludamento del dinamismo sociale». E prosegue: «Ia critiea marxista all'economia liberale e la critiea del concetto di perpetuita degli istituti economi ci e politici; e la riduzione a storicita e contingenza di ogni fatto, e una lezione di realismo agli astrattisti pseudo-scienziati». Non e facile staccarsi da questi testi gramsciani, cosi limpidi e precisi, suI processo storieo come effettiva conquista di liberta, contro ogni mistificazione del socialismo, contro ogni esperanti smo pseudo-marxista che non tenga conto della vita reale di un popolo 20. Tutti gli articoli del '19 andrebbero sottolineati con que lIe lora dichiarazioni nettissime: «l'esperienza liberale non e vana, e non puo essere superata se non dopo averla fatta»; «la creazione della Stato proletario non e[...] un atto taumaturgieo: e [...] un farsi, e un processo di sviluppo». L'urto contro le cristalliz zazioni in nome del processo di liberazione umana produce, e vero, una scissione, che e di tutti: gruppi contro gruppi, l'uomo
a.N. a.N.
7 (7 giugno 1919). 4-5, 9, 15, 18. A proposito dell'esperantismo e interessante l'artico 10 La lingua unica e l'esperanto, «II grido del popolo», 16 febbraio 1918 (con le iniziali A.G.): «Quale atteggiamento devono prendere i socialisti in con fronto dei banditori di lingue uniche? [...] combattere quelli che vorrebbero che il partito si faccia sostenitore e propagatore dell'esperanto». E prosegue: «non c'e nella storia, nella vita sociale, niente di fisso, di irrigidito, di definitivo. E non ci sara mai. Nuove verita accrescono il patrimonio della sapienza, nuovi bisogni, nuove curiosita intellettuali e morali pungono 10 spirito... ». 19
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contro se stesso; rna «10 scisma del genere umana non puc durare a lungo. L'umanita tende all'unificazione interiore ed esteriore, tende ad organarsi in un sistema di convivenza pacifica che per metta la ricostruzione del mondo». Gramsci combatte senza posa JLeKJ.,1n marxismo che sia davvero, com'egli dice, umanismo integra )e: e proprio per questo non esita a ribellarsi contro ogni economi ,smo e ogni determinismo assoluto: «La pretesa - ribadisce - pre sentata come postulato essenziale del materialismo storico, di esporre ogni fluttuazione della politiea e dell'ideologia come un'espressione immediata della struttura, deve essere combattuta teorieamente come infantilismo primitivo.» E in un testo dell'«or:-', dine Nuovo» aveva ben precisato cosa fosse il suo umanesimo ' i~ l in tegra le : «stt!~ia, nella storia, tanto le forze economiche che Ie forze spirituali.Jestudia nelle interferenze reciproche, nella dialet
tica che si sprigiona dai cozzi inevitabili tra la c1asse capitalista,
essenzialmente economiea, e la c1asse proletaria, essenzialmente spirituale, tra la conservazione e la rivoluzione. La dernagogia, I l'illusione, 1# menzogna, la corruzione della societa capitalistica II non sono accidenti secondari della sua struttura; sona inerenti al disordine, allo scatenainento delle brute passioni, alIa feroce con- ,.~ correnza in cui e per cui la societa capitalistica vive [...]. Le prediche, gli stimoli, Ie moralita, i ragionamenti, la scienza, i 'se' [...] sono inutili e ridicoli. La proprieta privata capitalistiea dissol ve ogni rap porto d'interesse generale, rende cieche e torbide le coscienze. II lucro singolo finisce sempre col trionfare di ogni buon proposito, di ogni idealita superiore, di ogni programma morale; per guadagnare centomila lire si affama una citra: per guadagnare un miliardo si distruggono venti milioni di vite umane e duemila miliardi di ricchezza. La vita degli uomini, Ie conquiste della civilta, il presente, l'avvenire sono in continuo pericolo». Economismo, . determinismo icieco e meccanico, astrattismo
-!eologiz~B~__~_e<;co le accuse. che l'umanismo di Gramsci rivolge
~l~,_c_()!Lyi&..Qre .di argomenti, dalle colonne dell'edizione pie
montese dell'«Avanti!»,a Einaudi 21. L'economia «studia i 'fatti' e -trascura gli 'uomini': i processi storici sono visti come regolati da leggi perpetuamente simili, immanenti alIa realta dell'economia che e concepita avulsa dal processo storico generale». II meccani smo economico si pone come autonomo: «puo venir 'turbato'
f
21
a.N.
232-35.
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dagli uornini, rna non ne e determinato e vivificato»; e «uno schema, un piano prestabilito, una via della provvidenza, una utopia astratta e materialistica, che non ha mai avuto e non avra mai incastro nella realta storica», Gli economisti di tipo einaudia no «hanno tutta la mentalita dei sacerdoti; sono queruli e sconten ti sempre, perche le forze del male impediscono che la citra di Dio venga da loro costruita in questa basso mondo». Nell'idea di una 'natura' umana si cela «un residuo 'teologico' e 'metafisico'». <
_ di una units possibile; percio la 'natura urnana' non puo ritrovar
-si in nessun uomo particolare rna in tutta la storia del 'genere'
.' umano» 22. Ove, ancora, quella 'storia del genere umano' lungi dall'essere «pura dialettica concettuale» e storia di uomini reali in rapporti reali, in cui i processi che modificano le situazioni e la coscienza che se ne ha, i pensieri e le opere, sono indissolubilmen te legati. «Si giunge cost [...] all'[ ...] equazione fra 'filosofia e politica', fra pensiero e azione, cioe a una filosofia della prassi [... ].~a sola filosofia e la storia in atto» 23 - la storia che «riguar da gli uomini viventi [...] tutti gli uomini del mondo in quanta si _ uniscono tra loro in societa, e lavorano e lottano e migliorano se stessi» 24. Proprio per questa la politica di Gramsci doveva saldarsi indissolubilmente con una visione storica, anzi con una revisione della storia di quel popolo a cui apparteneva e tra cui operava. «Scoprire e inventare modi di vita originali - com'egli dice - non si puo se non rispondendo concretamente e positivamente a do
mande reali, essenziali, maturate nella storia d'Italia, individuan dole in una comprensione dei rapporti fra le sue molteplici com ponenti, e non isolandone alcune, 0 mutilandole per difendere interessi di parte.» E bastera rileggere gli articoli pubblicati sul J'«Avanti!» nel novembre del '19, e riflettere suI sl detto a Ca vour, e sul no detto a Giolitti, per comprendere, non solo la maturita della visione gramsciana della storia d'Italia, rna anche la sua vibrante condanna dell'esperantismo e la sua insistenza sulle «traduzioni» nazionali dei grandi moti della storia 25. 11 ri corrente richiamo a Kant che decapita Dio, mentre Robespierre decapita il re, non vuole indicare soltanto il rapporto fra una «tranquilla teoria» che cambia le «idee», e una rivoluzione che muta la societa: vuol richiamare al problema della traduzione varia in linguaggi nazionali di posizioni dottrinali «equivalenti» . La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni mistificazio ne speculativa,JifiuliL:ogni~ntismo; tnld\lc~ilmarxismo in italian2LQ~ia int~nd5':rispondere alle richieste maturateTti'n'go la storia italiana in modo ad esse appropriato 26. Non e, insornma, unformulario di risposte prefabbricate, rna un modo di individua re le dornande, e un metodo per rispondervi realmente, non evasi vamente. Ne Gramsci poneva limite alcuno alla storicita della filosofia della prassi: nata quale «manifestazione delle intime contraddizio ni da cui la societa e stata lacerata [...] non puo evadere dall'attuale terreno delle contraddizioni»: anch'essa 'provvisoria' in nome del Ia «storicita di ogni concezione del mondo e della vita». E «si puo persino giungere ad affermare che, mentre tutto il sistema della filosofia della prassi puo divenire caduco in un mondo unificato, molte concezioni idealistiche, 0 almena alcuni aspetti di esse, che sana utopistiche durante il regno della necessita, potrebbero di ventare 'verita'» 27. Avviene, e vero, che «la stessa filosofia della prassi tenda a diventare una ideologia»: tenda, anch'essa, a conce dere «a necessita esteriori e pedantesche di architettura del siste ma» e ad «idiosincrasie individuali»: tenda insomma a Iarsi «asto rica». Lo sforzo costante di Gramsci e stato quello appunto di opporsi a qualsiasi trasformazione della filosofia della prassi in
" M.S. 31-32. 23 Seguita: «in questo sen so si puo interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca - e si puo affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da Lenin e stata anche un grande avvenimento 'rnetafisico'». E ancora (M.S. 32): «nella storia l'ugua glianza reale, cioe il grado di spiritualita, raggiunto dal processo storico della 'natura umana', si identifica nel sistema di associazioni 'private e pubbliche', 'esplicite ed implicite' che si annodano nella 'Stato' e nel sistema mondiale politico: si tratta di 'uguaglianze' sentite come tali fra i membri di un'associa zione e di 'diseguaglianze' sentite tra le diverse associazioni; uguaglianze e diseguaglianze che valgono in quanta se ne abbia coscienza individualmente e come gruppo». A proposito di Lenin, e interessante il testa di Croce, Pagine sparse, cit., II, p. 177. 24 L. 255.
" D.N. 299-301: M.S. 61-62.
ze M.S. 61, 63 sgg., 67.
27 M.S. 96.
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L
una metafisica 0 teologia, per svolgerne «uno 'storicismo' assolu to», inteso come «mondanizzazione e terrestrita assoluta del pen siero, come un «umanismo assoluto della storia». Per questa l'attivita critica, la sola possibile, e impiegata co stantemente a risolvere «i problemi che si presentano come espressione della svolgimento storico»: e poiche «l'unita della storia, cio che gl'idealisti chiamano unita della spirito, non e un presupposto rna un continuo farsi progressive», l'indagine storica e di continuo sollecitata a riesaminare le scelte gia operate in funzione di certi modi d'agire, per saggiarne la validita, respinger ne l'insufficienza, risolverne la parzialita in un'azione piu com prensiva, davvero popolare e nazionale. -- Di fronte alIa cultura tradizionale, a tutta la vicenda di un ( paese quale e sboccata nella situazione del presente, di fronte alIa cultura presente, la filosofia della prassi tende, non a rifiuti radi cali 0 a scelte interessate.jma a una visione comprensiva, la piu . comprensiva possibile, capace di intendere le radici di ogni termi $_incontra.sto, senza isolare le idee dalle cose, i gruppi dominan . ti dalle forze che lottano per la propria elevazione, i vincitoridai .vinti: e soprattutto non considera mai la vittoria di un gruppoo _diJ.m'idea ragione sufficiente per dimenticare 0 condannare senza ~~!1oLvmti. D'altra parte se e facile trovare «nel passato [... J tutto quello che si vuole manipolando le prospettive e l'ordine -delle grandezze e dei valori» (e attraverso l'immorale «sollecita zione dei testi»): se e vero che la tradizione italiana presenta filoni molteplici, e pur vero che sara atteggiamento storicamente serio e particolarmente costruttivo solo quello che piu elevato avra il senso della molteplicita e della distinzione. «Si condanna in blocco il passato quando non si riesce a differenziarsene 0 almeno Ie differenziazioni sono di carattere secondario e si esauri scono quindi nell'entusiasmo declamatorio» 28. Costretto a trasferire la propria attivita su un piano diverso, nei quaderni Gramsci tende soprattutto a una storia della tradizio ,gt:c:ulturale italiana vista nel concreto della vita dei gruppi intel lettuali allo scopo di definire una 'concezione del mondo'. «La fondazione di una classe dirigente - egli scrive - (e cioe di uno State) equivale alla creazione di una Weltanschauung», che, d'al .tra parte, non e solo «elaborazione 'individuale' di concetti siste 28
.m!.ticamente coerenti, rna inoltre e specialmente [...J lotta cultura le per"trasformare' la 'mentalita popolare' e diffondere le innova -zioni filosofiche che si dimostreranno 'storicamente vere' nella .misura in cui diventeranno concretarnente cioe storicamente e "iOClalmente universali» 29. Ove la «traduzione» di cui s'e detto si presenta come inserimento attivo di una 'visione della vita' in una situazione 'nazionale', ossia come esame critico di tutta una tradi zione, in modo che la nuova concezione ne appaia la risoluzione vitale. Ne-.imp-orta che J~risQluzione"possa:presentarsi come totale rifiuto (<
P. 34, 63, 131.
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giudizi non e che l'altra faccia della loro storicita: e, mentre l'impegnarsi nel tempo e il segno della responsabilita di un dibatti to, il discorso polemico col piu efficace, a cui percio stesso si lega, e anche il lavoro storicamente piu costruttivo - il solo veramente costruttivo. Sarebbe ben difficile negare oggi, nella spostarsi di una discus sione, che certe valutazioni gramsciane di importanti movimenti sono particolarmente insufficienti 0 almena discutibili: bastereb be pensare all'atteggiamento di fronte al positivismo, e, per altro verso, all'apprezzamento del modernismo. Nel primo caso, anche se probabilmente converrebbe andar molto cauti, per non incorre re in frettolose revisioni, e tenerdistinte cose distinte, e rendersi ragione di pur sempre validi temi polemici (e and are magari a rileggersi il Marx di Loria, del 1902) 30, e certo che Gramsci risenti di tutto que1 moto culturale che caratterizzo i primi due decenni del secolo, e in cui la «Critica» ebbe tanta parte. COSI come, viceversa, negli accenni all'importanza dei 'modernisti' ita liani, a guardar da vicino, c'e da chiedersi quanta pesasse - que sta volta - la polemica antigentiliana. Ne, per fare un altro esem pio, par sostenibile il peso specifico attribuito una volta al movi mento vociano, rilevante soprattutto come espressione paradigma tica di una singolare confusione di idee. II discorso potrebbe continuare, rna per esser davvero utile dovrebbe estendersi - e
questo non e possibile qui ora - a tutta la rete, fittissima, di rapporti e dibattiti che travagliarono la cultura italiana del primo Novecen to, ove la voce di Gramsci - come, per altro verso, quella di Gobetti (e, prima ancora, di Salvemini) - inserirono, proprio sulle linee piu avanzate, una nota originale, che appare oggi, nell'esaurirsi di altri temi, singolarmente stimolante. Ed e proprio in questi toni che piu giova affermare il significato della meditazione gramsciana. «L'Italia - osserva Gramsci - ebbe e conserve [...] una tradi zione culturale che non risale all'antichita classica, rna al periodo dal Trecento al Seicento, e che fu ricollegata all'eta classica dal l'Umanesimo e dal Rinascimento», ossia aggiungeremmo noi, at traverso un preciso programma pedagogico-politico 31. Fedele a questa impostazione, Gramsci venne articolando la sua visione della storia italiana intorno a Machiavelli e al Rinascimento, al Risorgimento e alla lotta culturale del primo Novecento. E pro prio nella sua analisi di questi punti nodali, e nei suoi debiti verso interpreti e critici (che per Machiavelli, ad esempio, vanno dal De Sanctis al Croce e al Russo), si colgono bene le differenze della sua posizione, e la sua originalita 32, CM, se amo singolar mente Dante, fu in rapporto a Machiavelli che venne precisando metodi e posizioni. Mentre la concezione politica di Dante gli apparve «importante solo come elemento della sviluppo persona Ie di Dante», in Machiavelli «una fase del mondo moderno e gia riuscita a elaborare Ie sue questioni e Ie soluzioni relative in modo gia molto chiaro e approfondito». D'altra parte a valutare esattamente Ie riflessioni gramsciane su Machiavelli sarebbe ne cessario un lavoro preliminare - che manca - in cui avesse risalto quello che il terna Machiavelli fu in Italia fra la prima guerra mondiale e il fascismo. Impegnarsi su Machiavelli non era analiz zare un momenta qualsiasi della cultura italiana: significava prendere posizione su tutte Ie questioni fondamentali della storia e della politica italiana. E forse non e senza significato che pro prio Croce abbia sl detto piu volte la sua opinione (e soprattutto sul «machiavellismo»), rna un saggio di ampio respiro su Machia velli non l'abbia scritto mai; ov'e, in certo modo, la verifica della
JO Cfr. A. Loria, Marx e La sua dottrina, Sandron, Palermo 1902, p. 64 (da un art. del I' aprile 1883): «Carlo Marx [...j e la produzione fatale dell'eta [...]. Era it 1840. La vecchia metafisica era morente, it nuovo positivi smo non era ancor nato. Era dunque troppo tardi per essere metafisico, troppo presto per essere positivista. Studioso della filosofia hegeliana, ei ten to ringiovanirla, associandola all'indagine delle scienze storiche e giuridi che; e pili tardi, quando it nuovo indirizzo della scienza. ebbe vasto trionfo, egli si immerse nell'investigazione realistica, studio la vita sociale, e tento di innestare nel tronco delle sue teorie filosofiche le immense nozioni positive, che aveva acquistate. Ma l'antico indirizzo del suo pensiero e de' suoi studi non fu cancellato. Malgrado la sua cognizione meravigliosa della vita reale, ei rimane un metafisico in mezzo a una generazione di positivisti, vagheg giando la determinazione dell'Idea fra genti che non ne comprendevano it nome». Presso 10 stesso editore, nella «Biblioteca di scienze sociali e politi che», n. 32, nel 1900, Croce aveva riunito i suoi «saggi critici» su Materiali smo storieo ed economia marxista; e nella stessa collana it liliale 'positivista' Tarozzi si incontrava con l'ineffabile Enrico Ferri. I sarcasmi di Engels, 0 di Labriola, erano ben lontani dal raggiungere l'arnena leggerezza di quei valenuiomini: nel confronto dei quali - non si dimentichi - si collocava Croce. Del resto sui «positivisrno- e da rileggere sempre tutta la lettera di Labriola a Engels del '94 (Rorna 1949, pp. 146-50).
31 P. 16 (cfr. I. 28 sgg.; L.V.N. 204-205; R. 6 sgg.). " Cfr. L. 144 «
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tesi gramsciana dell'erasmismo di Croce - anche se e da chiedersi se non si tratti piuttosto di un Voltaire senza I'ironia crudele di Voltaire, con la maschera di Erasmo (e di un Erasmo un po' convenzionale) 33. Gramsci sa che Machiavelli e esemplare; sa che non si inten de se non si lega a una situazione storica; si rende conto che «10 stesso richiamo aRoma e meno astratto di quanta non paia, se collocato puntualmente nel clima dell'Umanesimo e del Rinasci mento», D'altra parte, mentre e fortemente condizionato da De Sanctis - da una svalutazione moralistica del Rinascimento accoglie paradossalmente intepretazioni di tipo toffaniniano per un'ulteriore condanna del mota umanistico. Di contro ha anche il senso di una potente positivita, che tuttavia non riesce a giustifica reo Si rende conto di quello che possono significare Alberti, Casti glione 0 Della Casa - dei tratti che li avvicinano a Machiavelli rna un'immagine artificiosa dell'uomo del Rinascimento gli preclu de un'adeguata valutazione di due secoli decisivi per la storia d'Italia 34. Su Machiavelli, invece, e veramente originale e sugge stivo. «Bisogna considerare - premette - il Machiavelli come espressione necessaria del suo tempo [...]. Non solo l'Arte della guerra deve essere connessa al Principe, sibbene anche le Istorie fiorentine, che devono servire appunto come un'analisi delle con dizioni reali ed europee da cui scaturiscono Ie esigenze immediate contenute nel Principe [ ...]. La dottrina di Machiavelli non era, al tempo suo, una cosa puramente 'Iibresca', un monopolio di pensa tori isolati, un libro segreto che circola fra iniziati. Lo stile del Machiavelli non e quello di un trattatista sistematico [...] e stile di uomo d'azione, di chi vuole spingere all'azione, e stile di 'manife sto' di partito» 35. Manifesto e profezia: dover essere che si fa 3J Le due «figure» Gramsci-Machiavelli, Croce-Erasmo hanno un valore paradigmatico. Cio non toglie che, mentre la 'passione' di Machiavelli e bene afferrata per conoscenza diretta, l'Erasmo gramsciano e sfocato (e un Erasmo quale 10 potev.a delinea~e I?~ ~uggiero) .. Del Croce e da rileggere proprio qu~llo che ~~rtve sulla politica del M. intorno al '25, e subito dopo (cfr. Etica e politica, ed. 1943, pp. 251 e 246: «e risaputo che il M. scopre la necessita e I'autonomia della politica, della politica che e di la, 0 piuttosto di qua, dal bene e dal male morale, che ha Ie sue leggi a cui e vane ribellarsi che non si pub esorcizzare e cacciare dal mondo con l'acqua benedetta [...] 11 problema del Rousseau non e di questa sorta, e, in fondo, non e un problema che si riferisca all'indagine della realta»). 34 Mach. 6, 9, 141; P. 34; I, 34-35.
35 Mach. 9, 13, 15.
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costruttivo dell'essere. Gramsci a proposito di Machiavelli pone due rapporti illuminanti: con Savonarola e con Rousseau. «L'opposizione Savonarola-Machiavelli, scrive, non e l'opposi zione tra essere e dover essere [...] rna tra due dover essere, quello astratto [ ...] del Savonarola, e quello realistico del Machia velli, realistico anche se non diventato realta», perche Machiavel li non fu capo di uno Stato, ne capitano di un esercito: rna SI «uorno di parte, di passioni poderose, un politico in atto, che vuol creare nuovi rapporti di forze e percio non pUG non occuparsi del dover essere», Machiavelli non e mai «un mero scienziato»; «si fa popolo; [e] non con un popolo genericamente inteso, rna col popolo di cui egli diventa e si sente cosciente espressione». Ed ecco che nei termini di Rousseau il Principe diventa la volonta generale nel momento del contrasto e dell'autorita, mentre i Di scorsi rappresentano il momento del consenso 36. Anche se talora sembrano affiorare parole diverse, Gramsci respinge l'idea di un Machiavelli fondatore della scienza politica, primo annunziatore dell'autonomia della politica, e scopritore dell'economico. 'Mora le' e il principato, 'morale' e la repubblica. 11 Principe prende il posto, nella coscienza, della divinita 0 dell'imperativo categorico, diventa la base del laicismo moderno e di una completa laicizza zione di tutta la vita - per la res publica si «perde I'anima»; alla volonta generale si sacrifica tutto 37. Tragica nel momenta dell'au torita-principato: armonica in quello del consenso-repubblica, la situazione umana, la natura umana e sempre un movimento stori camente concreto: «non esiste una astratta 'natura umana', fissa e immutabile (concetto che deriva dal pensiero religioso e dalla trascendenza); [...] la natura umana e[...] un fatto storieo accerta bile [ ...] coi metodi della filologia e della critica [...]». Che son parole che andranno messe a confronto con le altre su Kant: «la formula kantiana, analizzata realisticamente, non supera [un] qualsiasi ambiente dato, con tutte Ie sue superstizioni e i suoi costumi barbarici; e statica, e una vuota forma che pub essere riempita di qualsiasi contenuto storico attuale e anacronistico (con le sue contraddizioni). La formula kantiana sembra superio re perche gl'intellettuali la riempiono delloro particolare modo di vivere e di operare [...]» 38. Nella «staticita» formale kantiana, ,. Mach. 10, 40. 37 Mach. 147 (e 117). 38
P. 202.
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opposta al non velleitario dover essere di Machiavelli, al suo dannarsi per la terrestre res publica; nella dialettica Principe-Di scorsi; nella figura Machiavelli-Rousseau; in Machiavelli rivolu zionario, si trova puntualizzata la posizione di Gramsci e la sua distanza da Croce. Non si trattava solo di rovesciare la formula crociana di Marx «Machiavelli del proletariato» in un Machiavel li-Marx del «popolo» fiorentino e italiano del '500. Con la procla mata «moralita» del Principe si rifiutava cosl la «distinzione» di tipo crociano come l'idea teologale ad essa congiunta di una «na tura» umana, per risolvere con forza ogni «forma» trascendentale nella societa umana pacificata: e questa nel punta stesso in cui il dover essere della res publica si poneva come norma di un rigori smo e di un'intransigenza di riformatore religioso. Per Ia res publi ca, per una Iegge non formale di giustizia, si sacrifica - parados salmente - anche l'anima: che e una forma di ascesi che invano si cercherebbe nella tradizione italiana, non solo fra le anime belle e le anime pie, 0 fra i molti salvatori di anime proprie ed altrui, rna anche fra i piu rigorosi e seri moralisti. Quanto di se stesso Gramsci prestasse a questa Machiavelli, non e difficile vedere: saldato, non a un qualunque popolo, rna al suo popolo, non a qualunque cultura, rna alIa cultura italiana del suo tempo; intellettuale non veUeitario, rna uomo di passione che dei suoi scritti fa un manifesto; realistico anche se condannato a n~n realizzare, perche ha in mana solo una penna e non il potere; di un rigorismo morale intransigente e amaramente disincantato; ecco il profilo dell'intellettuale non separato, che vive col suo popolo per esprimerlo, e non in una casta soprarazionale; che salda il sapere al fare, che al posta dell'atteggiamento oracolare e del piglio pontificale pone la verita come ricerca e lavoro comu ne. Nella «figura» di Machiavelli, forse meglio che in ogni altro suo scritto, Gramsci ha fissato iI proprio pensiero, e la propria lontananza non solo da Croce rna dal tipo di cultura che Croce ha incarnato. Non a caso Gramsci colloea dopo Machiavelli la decisi va «separazione» degli intellettuali italiani - come non a caso egli insiste sulla corrispondenza simbolica Croce-Erasmo. Troppo facile sarebbe nella storia degli intellettuali italiani delineata da Gramsei enumerare con mentalita notarile difficolta d'ogni sorta; altrettanto facile quanta sottolinearne suggerimenti e giudizi di una singolare penetrazione, che oltrepassano i lirniti impostigli dalle fonti a cui era costretto ad attingere. Perche non 114
sarebbe difficile rintracciare nella storiografia crociana, 0 dei cro ciani (da De Ruggiero a Omodeo), proprio le radici di queUe posizioni di Gramsci che menD soddisfano: da un Erasmo conven zionale allo scarso rilievo dato alIa tradizione scientifica dal '500 in poi; dalI'atteggiamento di fronte agli illuministi del '700 alIa svalutazione di non poche posizioni dell'800. Una serie di ricer che in questa direzione sarebbe certo giovevole, rna non destinata a incidere sensibilmente sulla prospettiva cost origin ale in cui I'opera di Gramsci si colloca. Quando piu volte, a proposito della filosofia della prassi, si richiama a Hegel; quando si collega a De Sanctis - e soprattutto quando cosi Iargamente 10 utilizza -; quan do reca su Labriola quel giudizio tanto notevole circa la possibili ta di un'elaborazione autonoma della filosofia della prassi; quan do, infine, polemizza con egual vigore contro i 'mistificatori' del marxismo, siano essi kantiani, 0 idealisti, 0 sociologi positivisti, Gramsci precisa con sieura consapevolezza la propria posizione. De Sanctis e Labriola, piuttosto che Spaventa - e Croce per quanta contribui a man tenere vivi i primi due. Ma dalla guerra mondiale in poi Gramsci ripercorrera a ritroso, sempre pili chiara mente, nella lotta prima, nella chiusa meditazione dopo, il carnmi no crociano; Croce aveva ritrovato, nel distacco da Labriola e nella revisione dell'hegelismp, una direzione «kantiana» di «for me» non storicizzabiIi: un 'sistema' della 'filosofia della spirito', una 'natura umana' assoluta. Gramsci, al contrario, non si limite ra a rifiutare I'atto spirituale taumaturgico, e solo retoricamente operoso, per ritrovare il positivo e il concreto processo storico, vivo e rea Ie nel lavoro delle societa umane. Anche I'ultimo «aro ma speculativo» svanira: nella critica alla doppia mistificazione del marxismo - sia in direzione idealistica che materialistiea - e nella elaborazione di una originale 'concezione del mondo' si consolidera nitidissimo un integrale umanismo storico: uomini veri, reali, che vivono convivendo in reali rapporti: mobili, in un processo condizionato insieme e libero. Limpido e preciso qui Gramsci e veramente nostro 39, ossia di quanti credono nel compito critico di una cultura volta a liberare gli uomini in terra, per costruire una citta giusta: per la sua moralita impietosa; per la sua ironiea lucidita: per il suo atteggia mento di lotta in un tempo di lotta. Della sua «zuffa» continua 39
Cfr. Croce. «Ouaderni della Critica», 8, 1947, p. 86.
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con Croce, come dell'essersi consapevolmente calato tutto nella tradizione culturale italiana piu viva, non c'e persona seria che -'possa dubitare. E a caratterizzare la sua distanza da posizioni a -cui pure, in origine, era vicino, nulla giova quanto la sua ripetuta _()sservazione sul carattere delle due celebri 'storie d'Europae d'Italia': Croce non e storico .dei momenti rivoluzionari; Croce e storieo degli istituti e delle 'forrn~'l:ia conservare, non delle liber ta reali da conquistare. La storia etico-politiea potra anche essere riassunta riel momento -del consenso: nella' crudelta: della 'lotta, quando si chiede piuttosto il giustiziere che il giustificatore, quan do essere ingiusti e necessario, e bisogna dannarsi e non salvarsi, l'olimpiea serenita goethiana e piuttosto irritante che consolante. Gramsci - l'aveva gta notato Gobetti (che per questa gli fu vici no) - e invece l'espressione dell'intransigenza morale piu aspra nel campo della cultura : l'imperativo piu forte alla lotta per la Iiberta 40, anche a costa di perdere l'anima, a costa di riuscire odiosi alle anime belle: perche l'umanita si serve nella volonta ferma di costruire un mondo comune oltre le scomuniehe, perche la verita e cosa comune, con un linguaggio comune. Ed e questa verita comune, non oracolare e non fuori del tempo, rna che nella storia si costruisce e nella storia si consuma, tutta umana, di uomini e per uomini, quella che Gramsci cerca e per cui lotta: per questo, oltre le parti, egli e di quanti in Italia intendono lavorare insieme intorno a problemi precisi (alle «piecole cose»), con semplicita, con quanti piu uomini e possibile. Sara indulgen za alIa retorica, rna come non concludere con la conclusione di quell'ultima lettera al figlio?
ll.on piacere, piu di.ognialtra cosa».
SESSANTA ANNI DOPO*
40 P. Gobetti, La rivoluzione liberale, Torino 1950, p. 117: «La figura di Lenin gli appariva come una volonta eroica di liberazione: i motivi ideali che costituiscono il mite bolscevico [...J dovevano agire [...] come l'incitamen to a una libera iniziativa operante dal basso».
* Questo saggio concesso dall'editore Maria Paci,?-i Fazzi di Lucca tratto dalla rivista «Iride. Filosofia e discussione pubblica», n. 2, 1989. 116
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1. Ho incontrato ufficialmente la «filosofia» nel 1923, studente di «prima» al Liceo-ginnasio classieo «Galileo Galilei» di Firen ze, dove ho fatto tutti gli studi secondari. Come e noto, in quel l'anno entravano in vigore i nuovi programmi di filosofia introdot ti dalla Riforma Gentile: lettura, nei tre anni di liceo, di alcune (quattro) opere di grandi filosofi (antichi, medievali, moderni e contemporanei) con un sobrio commento storieo. Era un program ma saggio, che poteva riuscire molto fecondo, anche perche i testi indicati erano davvero grandi testi (con qualche singolare eccezio ne, che pero era agevole evitare), e facili a collegarsi con opere e problemi che si studiavano in altre materie. Furono invece moIti gli insegnanti che, per pigrizia 0 impreparazione, rimpiansero il precedente insegnamento sistematico, di elementi di psicologia, logiea ed etica, distribuiti nei tre anni delliceo: un insegnamento fatto su manuali spesso sciagurati, oppure troppo complessi e poco adatti (per esempio quello di Filippo Masci, arduo anche per l'Universita). 11 mio professore al «Galilee», Arturo Linaker, che di filosofi co aveva soprattutto una gran barba bianca, e che aveva studiato con qualche successo i pedagogisti italiani dell'Ottocento, dichia ro subito che non avrebbe seguito i nuovi programmi. «A Kant confesso - non ci sono ancora arrivato». Si mise invece a dettare - come del resto aveva sempre fatto - una sorta di suo «ristretto» di psicologia, nel qua le cominciava con 10 svelare che la sensazio ne era qualcosa di assai misterioso che metteva in rapporto il mistero del soggetto con quello del mondo esterno. Ne molto di pili aveva da dire, nel secondo anno, sulla logica, a parte le figure del sillogismo 0 le caratteristiche del dilemma cornuto. 119
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Avevo deciso di presentarmi alIa «maturita» dopo due anni, «saltando» il terzo. COS! studiai per conto mio i tre anni di filoso fia secondo i nuovi programmi, e di Arturo Linaker ricordo solo, oltra la barba e la statura imponente, la noia infinita delle lezioni «sotto dettatura», l'amicizia con Vilfredo Pareto di cui si vantava ogni momento, e la bonarieta tollerante di chi forse oscuramente sapeva .di non sapere quello che insegnava. Devo tuttavia aggiungere che proprio al licea, a quel licea, senza quasi accorgermene, incontrai quella che e poi rimasta per me la vera filosofia, la grande filosofia. La incontrai altrove, e in un modo che credo abbia lasciato in me un segno profondo, incancellabile. La incontrai a lezione di greco e di latino, con un professore di cui divenni, tanti anni dopo, collega alIa Facolta di Lettere di Firenze: Ugo Enrico Paoli. Fu lui che mi mise in mana il testo greco dell'edizione Teubner della Repubblica di Platone, costringendomi a tradurre il libro decimo. Fu una fatica improba, nonostante il ricorso a traduzioni, e fu probabilmente un errore didattico. In compenso fui io stesso a leggermi, dopo, il resto della Repubblica, e a scegliere come testo per l'esame di maturita anche il Teeteto, in filosofia greca. COS! come incontrai i dialoghi di Seneca a lezione di latino, e fui indotto a leggere per mio conto Lucrezio. Quella la mia prima vera esperienza di una lettura filosofica, legata ai classici, e allo studio del mondo elassico, rna non solo a quello: pill in generale agli studi storici e letterari. La sollecitazio ne a leggere il Breviario di estetica di Croce mi venne dalla letteratura italiana, COS! come il primo stimolo a riflettere sui grandi problemi di morale e di filosofia della storia mi venne, senza che me ne accorgessi, dalla lettura di romanzi, soprattutto dei grandi romanzi russi allora di gran moda fra i giovani. Guerra e pace, Delitto e castigo e i Karamazoff furono esperienze che non si cancellano: soprattutto Guerra e pace letto e riletto non so pill quante volte. E quando, non molto dopo, all'Universita, sentii dire dal professore di filosofia morale con cui poi mi sarei laurea to, e che incise profondamente sulla mia formazione, che tra le grandi opere di filosofia dell'Ottocento erano da porre, a parer suo, innanzitutto alcuni grandi romanzi, ne fui confortato a mette re in discussione non pochi luoghi comuni, e a vedere sfumare molte barriere fra discipline. Imparai - cominciai a imparare - a non cercare la filosofia solo nei libri che si proelamavano libri di
filosofia. Cominciai a capire che la filosofia - come lessi pill tardi in Bertrand Russell - non si nutre di se stessa, e che una delle vie d'accesso al filosofare e proprio la riflessione sugli aspetti esem plari delle varie forme dell'esperienza umana. Nell'autunno del '25 mi iscrissi, senza perplessita, alIa facolta fiorentina di Lettere, e scelsi subito il corso di studi filosofici, attirato in modo particolare dalla filosofia morale, allora insegna ta da Ludovico Limentani. Le stesse esigenze storiche, che in me erano molto forti, trovarono larga soddisfazione nelle sue lezioni, e nel suo modo di far lezione. Allievo di Ardigo e di Marchesini, del positivismo era fedele al metodo quanto diffidente nei con fronti di ogni tentazione «rnetafisica». Ma prima di tentare di analizzare quella che fu la mia esperienza universitaria, e come ne rimanessi segnato, vorrei sottolineare alcune cose. E, innanzi tutto, che una scuola universitaria, almeno fino al '68, era non solo, e non tanto, un nueleo di insegnamenti, e magari qualche autentico maestro: era un ambiente, un clima; erano i compagni, con gli amici e i «nemici»; erano le discussioni, le letture suggeri te, le esperienze comuni, gli orientamenti religiosi e politici; era no legami a volte destinati a durare una vita. Erano tradizioni culturali accettate 0 respinte, lontane e vicine. Era il senso, lenta mente acquisito, di muoversi dentro, poco importa se pro 0 con tro, un tutto estremamente complesso, facendone parte e in qual che modo contribuendo al suo stesso movimento. Nel 1925, e non del tutto saggiamente, il vecchio Istituto di Studi Superiori, nato con l'Unita, e con un passato ben caratterizza to, aveva lasciato il posta all'Universita. La Facolta di Lettere e Filosofia, almena nei primi anni, non cambia molto. Gli stessi, 0 quasi, i professori, a parte Gaetano Salvemini, cacciato dal fasci smo per ragioni politiche, e fra i rimpianti di molti, scolari e colleghi. Restava il nueleo forte degli studi elassici, con Giorgio Pasquali, Ettore Bignone, e, sia pur per poco, Ermenegildo Pistelli. Era ancora vivo Domenico Comparetti, della cui splendida bibliote ca di It a non molto la Facolta sarebbe stata erede, unendola a quella di Felice Tocco, e, domani, a quella, molto specializzata, di Girolamo Vitelli. CM anche questa conta, per chi si avvia agli studi: ritrovare, nel volume delle opere latine inedite di Giordano Bruno, a cura di Tocco e Vitelli, le correzioni e le aggiunte, intro dotte via via dai curatori nel lora esemplare, e come sorprendere gli studiosi al lavoro, e averne una lezione eloquente.
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Vedevamo Vitelli venire regolarmente ogni mattina, e conti nuo per anni, al gabinetto dei papiri. In biblioteca si vedeva an cora Pio Rajna, delle cui Fonti dell'Orlando Furioso solo qual che crociano un po' sciocco ridacchiava con scarso seguito. A filosofia teoretica Francesco De Sarlo manteneva viva la polemica con Croce e Gentile (sono del '25 le Lettere di un superato), e proprio nel '26 era costretto a sospendere quasi per un anna i corsi in seguito agli incidenti sollevati da un suo discorso sulla liberta della ricerca e dell'insegnamento, pronunciato al Congres so di filosofia di Milano del '26, rna gia anticipato alIa Biblioteca filosofica di Firenze. A sollecitare l'intervento delle autorita politi che e dei fascisti era state Armando Carlini, cattedratico pisano e, allora, idealista ortodosso. Fedele al metodo storico Luigi Foscolo Benedetto faceva delle lezioni su Montaigne che interessavano anche qualche studente di filosofia. Sopravvivevano, della un giorno fiorente sezione asiati ca, alcuni insegnamenti di lingue e letterature orientali, come ebraico con Umberto Cassuto e sanscrito con Paolo Emilio Pavoli ni. Pill tardi tenne i suoi corsi Belloni Filippi interessato soprattut to alIa letteratura filosofica. Non era spenta, insomma, l'eredita del metodo di Pasquale Villari e l'impianto che aveva dato alIa vecchia classe di lettere dell'Istituto di Studi Superiori. L'ondata «idealistica» si faceva sentire - a parte qualche eco dell'estetica crociana in Ernesto Giacomo Parodi, che pero era scornparso gia nel '23 - oltre che come bersaglio polemico di alcuni professori, come tentazione per alcuni studenti che leggeva no «La Critica» spinti anche dalla tensione politica, 0 che si avvicinavano a Gentile storico della filosofia, soprattutto sollecita ti dalle voci presenti all'allora Istituto di Magistero, e dalle pill raccolte e quasi iniziatiche riunioni della Biblioteca Filosofica. A Lettere, tuttavia, in quasi tutte le discipline, all'insegna della filo logia, si affermava un rigoroso metodo storico, aperto piuttosto aIle seduzioni dell'alta erudizione che aIle tentazioni dell'attuali smo. Si aggunga la persistenza di una tradizione sempre forte all'Istituto di Studi Superiori: la particolare considerazione della «scienza» tedesca. La conoscenza del tedesco era indicata come essenziale per gli studi; tedesche le grandi opere di consultazione pre senti nella vecchia sala di studio a San Marco, dalla Pauly-Wis sowa sacra' agli studenti di antichita classica a Die Kultur der Gegenwart della Teubner, il cui volume Systematische Philoso 122
phie si apriva con le 72 dure pagine del Das Wesen der Philoso phie di Oilthey. . Nella stessa direzione,del'resto, si orientavano anche molti studenti stranieri, soprattutto ebrei, che dai paesi dell'Est veniva no spesso a studiare a Firenze, e che si legavano ai compagni italiani per cui erano Fonte di stimoli e di informazioni preziose. COS! ricordo nei vecchi corridoi di San Marco Oiringer come Rubinstein approdati poi in Inghilterra. Come non so dimentica re, decisiva nei miei studi, l'amicizia di una vita con Jacob Tei cher, un ebreo polacco che preparava con Cassuto una tesi sulla filosofia di Crescas e il pensiero ebraico medievale, e che si e spento qualche anna fa a Cambridge dove aveva trovato rifugio in seguito alIa persecuzione razzista del '38, rna che a Firenze rimase legato fino alIa fine. A lui, a una conversazione per anni quasi quotidiana, devo una iniziazione non convenzionale alIa filosofia medievale, e in particolare ai grandi testi arabi ed ebrei, da Averroe a Maimonide, da Avicebron a Crescas. Come a lui debbo la prima conoscenza degli scritti kabbalistici di Gerhard Scholem. Professori, compagni di studio; incontri e scontri, letture d'ogni genere, confronto anche con studenti di altre facolta, di altri paesi (Firenze negli anni Venti era an cora molto frequentata da non italiani). 11 numero allora assai piccolo degli iscritti fre quentanti facilitava i rapporti anche con i professori, con alcuni almeno, che non sdegnavano incontri amichevoli, e magari passeg giate comuni sui colli con piccoli gruppi di allievi, anche di mate rie diverse. Si distingueva, in questo, Pasquali, pieno di curiosita umane e ricchissimo di cultura nei campi pill vari. Anche chi come chi scrive - non riusciva a vincere ogni diffidenza nei confronti di alcuni suoi atteggiamenti, non poteva non profittare di stimoli, di osservazioni, di giudizi, di preziose indicazioni di metodo. Anche per chi filologo non era, e non voleva diventare, la presenza di Pasquali incideva, nel tempo, a fondo, per riemer gere nelle forme pill impensate. Infine, 0 in principio, quella data: il 1925 e l'agonia della democrazia in Italia. Erano gli ultimi sussulti delle liberta che andavano scomparendo. Fra i testi che Limentani aveva scelto per le «esercitazioni» di filosofia morale, La Liberti! di John Stuart Mill, stampata da Piero Gobetti con la prefazione di Luigi Einaudi, Ricordo che a quelle lezioni veniva anche qualche «udi 123
tore» e non so dimenticare un giovane laureato che aveva scritto su «Rivoluzione liberale», e che si sarebbe, di li a non molto, tolta la vita: Piero Burresi. Devo a lui, alle sue conversazioni, il primo incontro col Max Weber de L'etica protestante e 10 spirito del capitalismo che aveva tradotto. La Facolta, specialmente a filosofia, aveva fama di antifascismo: Salvernini cacciato, rna rim pianto dagli allievi; De Sarlo costretto a tacere; molti i professori firmatari del «manifesto» Croce (anche se non pochi, piu tardi, i pentiti). La politica, in forme varie, che gia spesso tendevano a farsi allusive, pesava fortemente, quasi senza che ci si rendesse conto a pieno, su scelte e letture, che, a volte, aprivano la strada a esiti imprevisti. COS! sulla forte simpatia che alcuni di noi matura rona allora per l'opera di Piero Martinetti peso un atteggiamento politico coerente e coraggioso. D'altra parte Martinetti significava anche Kant, un Kant mirabilmente conosciuto ed esposto (in forme fortemente tendenziose) - e Kant fu allora per alcuni di noi un'esperienza fondamentale, con cui non si poteva evitare di fare i conti (un po' quello che, anni dopo, fu per altri Hegel). Ma il Kant di Martinetti, il Kant del suo commento ai Prolegomeni e di alcuni efficacissimi saggi morali, era un Kant che per un verso portava con se Platone, e per un altro Schopenhauer, e che insi nuava, quasi senza che uno se ne accorgesse, tante altre cose che andavano molto lantana dalle trasparenti letture che ne andava facendo Lamanna. Del resto le nostre tumultuose letture filosofi che di quegli anni, se in parte erano legate alle solllecitazioni dei corsi universitari, e alle esigenze degli esami, in parte erano dovu te a influenze d'ogni sorta, non ultime certe offerte «editoriali» di chiara matrice politica, che univano le mode teoretiche di ieri all'insofferenza pratica di oggi. COS!, a volte, l'ingenua metafisica de I primi principi di Spencer andava a collocarsi sui nostro tavolo di lavoro accanto a Schopenhauer e a Nietzsche, e magari a tutto Stirner. Non esiste, credo, rna metterrebbe conto farla, un'analisi siste matica e approfondita della complessa attivita editoriale, anche economica e «popolare», fra la fine della prima guerra mondiale e la prima meta degli anni Trenta, soprattutto per quello che concerne aspetti significativi del pensiero filosofico e scientifico, rna anche opere letterarie fortemente caratterizzate dal punta di vista ideologico, Eppure chi ha fatto quella esperienza, sa quanta importanza alcune di quelle pubblicazioni avessero in anni cari 124
chi di tensione, fra censure e conformismi crescenti sui piano culturale, Del resto qualche documento caratteristico eben pre sente nei Quaderni gramsciani. Se torno ai miei ricordi, a parte una curios ita che mi spingeva a letture d'ogni genere, resta preciso il mio debito filosofico nei confronti di alcuni insegnamenti, ben delimitati, della Facolta fiorentina: un debito che, oltre a qualche spunto di «psicologia» dovuto a Enzo Bonaventura, e ad alcune letture e orientamenti fondamentali suggeriti da Francesco De Sarlo, comprende soprat tutto quella che fu per me la lezione a cui sono rimasto sempre in qualche modo legato: la lezione di «filosofia morale» di Ludovico Limentani. Nessuno ha mai finora dato il giusto rilievo all'atto con cui, all'inizio del secolo, sulla cattedra da cui per decenni erano disce se le omelie edificanti del pio Augusto Conti, la Facolta fiorentina chiamo un medico-filosofo, uno psichiatra, che aveva seguito a Napoli gli ultimi corsi di Bertrando Spaventa e ascoltato Angiulli, che aveva esordito scrivendo sui darwinismo, che aveva civettato col positivismo, e che, con l'appoggio di Villari, avrebbe fatto funzionare un gabinetto di psicologia sperimentale con apparec ehiature venute di Germania, alimentando una scuola psicologica importante in Italia. Tale Francesco De Sarlo, titolare di filosofia teoretica, «il flebotomo mancato» di papiniana memoria, ehe tut tavia dovette dar voce a una reazione diffusa. D'altra parte sem brava attuarsi il piano di Villari, che a un certo punto aveva disegnato di far venire a Firenze addirittura Ardigo. In compenso il giovane De Sarlo univa a una cultura filosofica molto aggiorna ta una solida preparazione scientifica e bene affiancava uno stori eo della filosofia come Felice Tocco. Del resto 10 stesso Croce, da principio, non mostro ostilita alla «psicologia» a cui guardava De Sarlo, anche se poi ebbe eon lui una polemic a durissima. Nel '25, appunto quando mi iscrissi alla Facolta, De Sarlo pubblicava contro Gentile e Croce le Lettere filosofiche di un «superato», un libro tutto sommato malinconico, che prendeva atto di una scon fitta. E se il tono era molto aspro nei confronti di Gentile, era tutt'altro nei confronti del Croce (« 10 non ho bisogno di ricordare le sue grandi benemerenze quale suscitatore di idee e quale pro motore di reali progressi negli studi»). Al Croce, poi, l'avrebbe riavvicinato l'avversione al fascismo. De Sarlo sentiva la necessita di chiarire tutta la distanza della sua «psicologia» dalla croci ana 125
«filosofia della spirito», rna sentiva anche la difficolta di precisa re una buona volta con tutta chiarezza il rap porto psicologia/filo sofia. Era partito all'inizio del secolo con due punti ben fermi: il nesso scienza/filosofia, e la tesi del rapporto privilegiato fra la psicologia come scienza e la filosofia. Subito Croce l'aveva messo in guardia sul1e possibilita di equivoci che potevano annidarsi in quella psicologia «scientifica» e nel suo rapporto con la «filosofia della spirito». Proprio nel suo tentativo di andare a fondo nel problema della psicologia, e dei suoi caratteri, De Sarlo si era incontra to con Fancesco Brentano, che fino alIa guerra del '15 era vissuto a Firenze e col quale aveva stretto amicizia. Nella Psicologia da un punto di vista empirico del Brentano, e soprattutto nella Classifi cazione delle attivita psichiche aggiunta alIa seconda edizione della Psicologia del 1911, De Sarlo aveva creduto di trovare moti vi di convergenza. Proprio nel periodo in cui ho seguito Ie sue lezioni e le sue «esercitazioni» De Sarlo venne approfondendo appunto i temi che aveva svolto in una memoria lincea del '24, i Lineamenti di una fenomenologia della spirito (che ristampo nel '28 dedicandola alIa memoria del Brentano). Ricordo non solo l'insistenza su alcuni motivi, quali l'intenzionalita, rna il richiamo a Husserl fino a spingermi a leggere, anche se allora con scarsi risultati, il primo volume delle Ricerche logiche. Non si spense, peraltro, l'interesse per Husserl, riacceso dalle Meditations carte siennes del '29, e poi, nel '36, dall'inizio della Krisis (nella rivista «Philosophia» di Belgrado), non tanto processo alIa scienza mo derna, quanto atto di accusa contro quella crisi del pensiero occi dentale che era culminata nel nazismo. L'altro pun to allora emergente nell'insegnamento del De Sarlo era il dibattito su scienza e filosofia, a cui pure dedico un corso che seguii, la cui essenza pubblico poi, nel '30, in due articoli di «Scientia», la rivista di Enriques. Era chiaro che, in Italia, al centro della discussione era Croce, rna a De Sarlo non sfuggiva, come a tanti critici d'oggi, che Croce si muoveva in un contesto europeo molto ampio. Piu ancora che negli articoli nelle lezioni la discussione di De Sarlo chiamava in causa Bergson, mentre tutto il problema veniva da lui ricollocato in una situazione diffu sa fra Ottocento e Novecento. Di formazione scientifica, De Sarlo amava trattare le grandi teorie che avevano rinnovato la scienza moderna ripercuotendosi
nei dibattiti filosofici. Tali le dottrine dell'evoluzione a cui era dedicato l'ultimo corso di lui che ho sentito, di grande interesse nella esposizione storica, piu stanco nelle conc1usioni generali, di gusto «rnetafisico», che presero poi forma nell'ultimo suo libro Vita e psiche. Saggio di una filosofia della biologia, uscito nel 1935, cost deludente e arcaico nelle conc1usioni. Piu tardi, ritor nando a studiare sistematicamente tutta l'opera sua, mi resi conto di dovergli la sollecitazione a leggere autori, in Italia, allora, non molto frequentati (per esempio Bradley), rna soprattutto capii di avere tratto dalle sue lezioni la consapevolezza di tutta la difficol ta e la problematicita del rapporto filosofia/scienza, e questa pro prio a proposito di quella psicologia che egli aveva considerata accesso privilegiato al filosofare, rna che gli si era venuta svelan do un groviglio di problemi non risolti (mentre si contendevano il campo le «filosofie della spirito», Ie «scienze della spirito», le «fenomenologie», con tutti i lora equivoci). La psicologia come la biologia: aveva cominciato con giovanile baldanza nel 1903 con una grande opera I dati dell'esperienza psichica per dimostrare che la psicologia «e essenzialmente scienza filosofica», l'anello di congiunzione fra la scienza e la filosofia, e si era visto dinanzi un po' alla volta il dissolversi, nei metodi e negli oggetti, proprio di quella psicologia e di quella psiche. Aveva finito nel '35 con l'illusione di una «filosofia della biologia» capace di armonizzare «filosoficamente» Vita e psiche, in una «romantica» visione d'in sieme non meno fallimentare della sua psicologia «filosofica», Comunque, nel '25, quando entrai alIa sua scuola, 10 sforzo del De Sarlo di trovare una via d'uscita nella direzione di una «fenomenologia della spirito», ebbe il merito di avvicinarci attra verso Brentano a Husserl, che anni dopo avremmo ritrovato sul nostro cammino. D'altra parte, nell'insegnamento di psicologia sperimentale, Enzo Bonaventura, scolaro del De Sarlo, in quegli anni medesimi tratto con molto seguito la psicoanalisi e Freud, inserendolo in una serie di limpide lezioni in un ampio panorama molto stimolante. Anche a «filosofia morale», la disciplina che scelsi molto presto per la tesi di laurea, la psicologia era di casa, rna come riferimento costante al concreto dell'esperienza. La prima «eserci tazione» che, «matricola», mi fu assegnata da Ludovico Limenta ni fu un'esposizione critica della Psicologia dei sentimenti di Ri bot, un libro che m'indusse a leggere, fra l'altro, i Principi di
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James. Limentani era state allievo a Padova di Ardigo e Marchesi nit rna un allievo inquieto e curioso che aveva avuto corrisponden za col Vailati che ne aveva apprezzato La previsione dei fatti sociali del 1907, un'opera singolarmente acuta e interessante, aperta alIa problematica pragmatista. Aveva studiato nel 1905 l'Einleitung in die Geisteswissenschaften di Dilthey difendendone l'importanza con Vailati; conosceva bene Simmel, specialmente l'Einleitung in die Moralwissenschaft, molto utilizzata e discussa nella sua opera maggiore, I presupposti formali dell'indagine etica del 1913, d'altronde attenta agli inglesi, soprattutto al Sidgwick dei Methods of Ethics. Cia che colpiva subito, cosi nelle sue lezioni e conversazioni come nei suoi scritti, era l'intreccio fra una problematica non convenzionale di grande attualita e il richia mo agli «autori»: illegame inscindibile fra una filosofia immersa nei «conflitti» della vita individuale e sociale, e la ricchezza del divenire storico. I suoi corsi erano punta di partenza per esplorazioni e indagi ni d'ogni genere: ne ricordo su Giordano Bruno di cui fu studio so acuto quanta erudito, su Smith e su Rousseau, su Feuerbach, sulla morale della simpatia e sui conflitti morali. Rispettoso al massimo delle opinioni anche ingenue 0 gratuite dell'interlocuto re, era tuttavia un assai sottile e fine dialettico, e semina tore di dubbi piuttosto che distributore di certezze. Fu Limentani che nelle lezioni, nelle conversazioni e nei libri, e poi in un'amicizia durata fino alIa sua scomparsa nel '40, nell'amarezza della campa gna razziale, mi dette il senso di un modo di fare filosofia e di affrontarne la storia, al cui spirito ho cercato di mantenermi fedele.
2. AlIa fine di giugno del '29 discutevo la tesi di laurea in filoso fia morale con un lavoro storico su Joseph Butler, anzi sui sermo ni morali del Butler. Soprattutto negli ultimi due anni universitari avevo concentra to gran parte delle mie letture su filosofi inglesi del Seicento e Settecento, incoraggiato da Limentani che aveva scritto un libro importante sulla «morale della simpatia» di Smith. La mia attenzione, tuttavia, era rivolta a un node proble matico un po' diverso, che mi sembrava fondamentale nel Sette cento inglese: il nesso politica-morale-religione, legato a una pro blematizzazione sempre piu sottile e radicale dell'unita dell'io, del soggetto, dell'uomo.
Matricola, avevo scelto come «classico» per l'esame di filoso fia morale Hobbes. Limentani si contentava del Leviathan, rna io lessi e rilessi, anche se spesso senza intendere a fonda, quanto piu potei, preso dalla centralita di Hobbes nel dibattito morale e politico, e non solo inglese, ne solo morale e politico. Ricordo che non a caso fu in quell a occasione che lessi tanto Spinoza, e scoprii le Passioni di Descartes, un testo che mi sernbro - e continua a sembrarmi - straordinario, e che tanti anni dopo avrei addirittura cercato di tradurre in italiano. Cominciai cost a studia re sistematicamente gli inglesi, maggiori e minori, servendomi come di guida per il Settecento, oltre che delle pagine del Sid gwick, dei due volumi di Leslie Stephen History of English Thought in 18th Century, un'opera che via via venni apprezzando sempre di piu, e che mi indusse a leggere gli altri lavori storici della Stephen. Scoprii un mondo di problemi e di dibattiti la cui ricchezza non sospettavo, e cosl diverso da quelli di cui gia sape yo, anche se in modo insufficiente e frammentario: voglio dire la cultura filosofica francese e tedesca. Nello stesso tempo mi trovai innanzi un modo diverso di fare storia della filosofia, lontano da quello usato dal Carlini nel suo libro su Locke, per un verso piu che espositivo riassuntivo, e per un altro piu che intepretativo trasfigurante e, alIa fine, falsificante. Usando la storiografia ingle se dell'Ottocento, col suo gusto per la biografia, mi trovai indotto a leggere, oltre i grandi consacrati (Hobbes, Locke, Berkeley, Hume), autori di singolare rilievo, rna tra noi trascurati, qualcu no, come Shaftesbury, anche formalmente splendido, altri, come Mandeville, di singolare forza critica, alcuni infine, come Samuel Clarke, piuttosto grevi rna decisivi per mettere a fuoco anche non poche posizioni newtoniane. Furono incontri durevoli. Su Mande ville sono tomato piu volte inseguendone le tracce nel Settecento; Shaftesbury ho continuato a cercar di tradurre fino ad anni recenti. Certo quando ripenso oggi aIle pagine che scrissi fra il '29 e il '42 su Butler, Clarke, Mandeville, Edwards, Burke, fino a un tentativo di libro d'insieme nel '42, sono ben consapevole dei limiti di quel lavoro: lacune, ingenuita, fragilita, incertezza di metodo, e cosi via. Ma ho capito anche che il silenzio con cui quei saggi furono accolti, e la totale indifferenza con cui furono lasciati cadere, non dipendevano solo da quegli indiscutibili difet ti, rna per un verso dall'argomento, e per un altro dal modo in cui
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venivano affrontate le questioni e dallo sforzo di battere un'altra strada per fare storia della filosofia. Senza dubbio non era «attua le» l'argomento: non I'
Nessuno si accorse, 0 si interesso allora del Butler, anche se poi (fra il 1969 e il '71) tutte le sue opere vennero elegantemente tradotte in italiano, e gli venne dedicata una monografia (dal Babolin, quarant'anni dopo). 10, comunque, ero sempre pili preso dalle analisi del «sentimento», delle «passioni», che gli inglesi erano venuti facendo, riprendendo, rna con eccezionale originali ta, l'onda di riflessione e di ricerche stimolata dal ritorno rinasci mentale dello stoicismo. N6 ero meno interessato dalla dissoluzio ne dell'io-sostanziale, dalla messa in discussione dell'eidentita per sonale», dall'ondata di scetticismo che, dopo le conquiste scientifi che di Newton, sembro investire in Europa tutto il sapere. Si aggiunga che una pili attenta lettura di certi testi, dai Platonici di Cambridge a Clarke, da Clarke a Newton e alla Siris di Berkeley, mi sembrava imporre un ulteriore lavoro di scavo proprio nel retroterra della scienza e della filosofia in Europa fra Cartesio e Newton. Cosi, agli inizi degli anni Trenta, mi buttai a studiare sempre pili intensamente il Rinascimento e la sua eredita, parten do proprio da Cudworth e da More. Avevo, ancora all'Universita, e in occasione di un corso di Limentani sui «Dialoghi morali» di Bruno, letto molte opere bru niane, scoprendo, e proprio a proposito delle ricerche che allora veniva facendo Limentani, la questione di Bruno in Inghilterra. Vidi cost quanta Fosse legata all'opera del Ficino, e pili in genera le quale eccezionale rilievo avesse avuto Ficino nella diffusione europea del platonismo fino all'Ottocento, quando ancora si ri stampava la sua versione di Plotino. D'altra parte chi conosca le edizioni delle traduzioni ficiniane dei platonici, da Platone a Pro do e a Giamblico, sa quanta Fieino passasse nei lettori attraverso quelle pagine, folte di esposizioni, prologhi, commenti, illustrazio ni e cosi via. E sa anche quanto composito Fosse quel platonismo, e quanta «ermetismo» vi Fosse filtrato, per usare un termine reso pili tardi familiare dai libri di Frances Yates. N6 posso dimentica re l'impressione che mi fece la History of Philosophy di Thomas Stanley, uscita nel 1655 e tante volte ristampata, e tradotta in latino, che per integrare l'esposizione di Platone presenta la ver sione compendiata del Commento di Giovanni Pico della Miran dola a una canzone d'amore di Girolamo Benivieni (A Platonick Discourse, written by John Earl of Mirandula, in Explication of a Sonnet by Hieronymo Benivieni). Solo pili tardi lessi la bella traduzione libera che dell'Oratio, sempre del Pico, faceva nel medesimo giro d'anni un poeta come Thomas Traherne.
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Deeisi cosi di approfondire una figura in qualche modo emble matiea, accompagnata nei secoli quasi da una leggenda, e che in Inghilterra aveva destato subito interesse, se Tommaso Moro ne aveva tradotto la biografia scritta dal nipote. Nel '31, a Palermo dove ero andato a insegnare filosofia e storia al Liceo seientifico, comineiai a studiare sistematieamente Giovanni Pieo, a cui avrei dedicato anni di lavoro. A dire il vero in partenza mi aveva interessato molto anche il nipote Gian Francesco, e proprio per il suo sforzo di rimettere in discussione tutto il sapere antico attra verso una sorta di critiea sistematica della conoscenza sia sensibi Ie che razionale, utilizzando per un verso Sesto Empirieo, e per la critiea alIa fisiea di Aristotele Crescas, di cui si eta fatto tradurre dall'ebraieo in latino Ie discussioni di Or Adonai, come proprio nel 1929 aveva dimostrato Harry Austrin Wolfson. D'altra parte una seria discussione di Gian Francesco presuppone un'approfon dita lettura di Giovanni da cui partiva. Per questa mi impegnai a studiare il primo dei Pieo. La storia della filosofia del Rinaseimento a Firenze era di casa, sulle orme della grande opera di Felice Tocco. Proprio con Tocco vi si era avviato Mondolfo. II 18 novembre 1921 Limenta ni dava inizio al suo insegnamento all'Istituto di Studi Superiori di Firenze con una prolusione a un corso su La morale di Giorda no Bruno, a cui poi avrebbe dedieato un libro. Per suo suggeri mento avevo studiato molto presto i bei saggi di Dilthey su L'ana lisi dell'uomo e l'intuizione della natura, nel '27 tradotti in italia no, e, sempre nel '27, l'affaseinante libro del Cassirer Individuum und Kosmos in der Philosophie der Reinassance, nelle Studien della Bibliothek Warburg. Proprio sotto l'influenza dell'opera del Cassirer e delle letture bruniane, avevo rivolto una partieolare attenzione a Cusano, che mi parve tuttavia molto lontano da Fieino e da Pieo. Mi sarebbe stato molto diffieile allora, e, forse, ancor pill oggi, dire in che misura peso sulla mia «conversione» dal mondo di Shaftesbury a quello di Pico e Fieino la produzione di Cassirer di quegli anni. Dopo Individuum und Kosmos del '27, infatti, nel '32, usci di Cassirer, sempre nelle Studien del War burg, Die platonische Reinassance in England und die Schule von Cambridge, facendo seguito all'artieolo Shaftesbury und die Rei nassance des Platonismus in England (<
do via via sempre pill profonda, del peso grande che certe temati che caratteristiehe del Rinaseimento italiano conservarono a lun go su vari piani della cultura europea. Quando mi detti a studiare Pico, non ricca era la letteratura su di lui, ne in Italia, ne fuori; non agevole orientarsi sulle sue fonti, soprattutto kabbalistiche, ne familiarizzarsi con la sua straordinaria biblioteca, purtroppo dispersa e, in gran parte, pro babilmente- distrutta. Non era ancora useito il bel libro di Pearl Kibre, The Library of Pico della Mirandola, pubblicato a New York nel '36, e che ebbi quando il mio libro era appena stampato, constatando tuttavia con soddisfazione che Ie mie tanto pill brevi pagine, fondate sull'inventario del 1498 dell'Archivio di Stato di Modena, e sui richiami e Ie eitazioni nelle opere, mantenevano la lora validita. Consapevolmente cercai di rieostruire Ie sue letture, i suoi incontri, i suoi interlocutori, gli ambienti che aveva frequentato. Attraverso Ie lettere (di lui e a lui), e con l'aiuto degli inediti risalendo quando era possibile dalle stampe (spesso postume) ai manoscritti che conservavano Ie redazioni originali, tentai non solo di rimettere a fuoco un contesto, rna anche di ripercorrere un itinerario. Soprattutto fui costretto a riflettere a quello che face YO, allavoro della storieo della filosofia, ai metodi di una diseipli na che, allora, piuttosto che discutere se stessa amava abbando narsi ad affermazioni generali. In realta, oltre Ie etiehette di ideali smo e positivismo, oltre Ie accuse di filologia e di erudizione, il lavoro storiografico oscillava fra esposizioni piatte delle opere, e del «sistema», e rieostruzioni violente e falsificanti del «vero» autore, 0 della «verita» dell'autore, ossia di quanto poteva rientra re negli schemi prefabbricati di una progressiva conquista della verita (de claritate in claritatem: da Talete a Hegel, 0 a Gentile, 0 al neotomismo; cio che e vivo e cio che e morto ecc.). Questo, ovviamente, non escludeva dellavoro eccellente, soprattutto nelle indagini speeifiche, dove meno pesavano Ie concezioni d'insieme dei compiti e del signifieato della filosofia nel suo sviluppo. La tradizione dei Fiorentino e dei Tocco, quando io comineiai a lavorare, aveva dei degni continuatori nei Nardi e nei Mondolfo, 0, nonostante la sua retorica, nel Bignone, per rieordare anche uno storico del pensiero antieo che aveva fatto parlare non poco del suo Epieuro, e pill avrebbe fatto parlare dell'Aristotele perduto.
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3. Che i problemi generali della storiografia filosofica mi siano venuti incontro suI campo della ricerca, ha pesato poi sempre suI mio lavoro, se in bene 0 in male non so; certo ha pesato fortemen teo L'autore su cui mi ero fermato, Giovanni Pico, si era scontrato molto presto, per Ie idee che sosteneva, con posizioni dottrinali ufficialmente imperanti COS! nella Scuola come nella Chiesa, ma era entrato in polemica anche con Ie correnti pili radicali del rinnovamento umanistico. Pico e condannato dalla Chiesa roma na, ma e anche in lotta, non si dimentichi, con Ficino da una parte e col Barbaro dall'altra, col Platone del primo e con l'Aristo
tele del secondo. La cosa poneva allo studioso due ordini di proble mi, e quindi di ricerche: in primo luogo, e piu in generale, circa il nesso fra l'indagine, sia essa scientifica 0 filosofica, che il singolo conduce e gli istituti ufficiali esistenti - nel caso specifico, Scuole universitarie e Chiesa romana. In secondo luogo, ma non meno rilevante, si imponeva la questione del rapporto con Ie posizioni, non solo tradizionali (filosofia «scolastica») ma anche critiche e innovatrici (1'umanesimo, e Ie istanze che ne derivavano). Credere, come certuni continuano a fare, che si possa «legge re» l'opera di un pensatore come Pico, a prescindere dai suoi progetti anche pratici (il «congresso» universale di Roma per l'incontro e la pacificazione filosofico-religiosa; l'uso della kabba lah ebraica, e dei suoi metodi, per la dimostrazione dell'unita ebraico-cristiana), e, a dir poco, palesemente assurdo. Come e assurdo pensare che un processo c1amoroso come il processo romano, una condanna e un arresto, nonche una sorta di assegna zione a confino, passassero senza lasciare tracce profonde suI piano dottrinale. Uno storico serio non puo non cercare di mette re a fuoco, per un verso, la polemica aspra contro il Barbaro (ma domani ripresa a lungo da Melantone) sullinguaggio dei filosofi (1a filosofia non e questione linguistica), e, per un altro verso l'adesione finale del filosofo al movimento savonaroliano: ossia una lotta per il rinnovamento spirituale che continua su un altro piano. Non intendo, sia ben chiaro, difendere ora, dopo piu di cin quant'anni, una interpretazione dei cui limiti sono tanto convinto che non ho mai voluto ristampare quel libro d'allora. Voglio pero cercare di mettere a fuoco l'avvio di un modo di lavorare: il nesso costantemente cercato fra storia delle idee, della scienza, della filosofia, e storia degli uomini (biografia) e delle realta e degli istituti in mezzo a cui questi uomini hanno cercato e lottato; il rifiuto, su tutti i piani, della concepibilita di una storia - che storia, poi, non sarebbe - in cui Ie idee generino virginalmente Ie idee in ritmi logici puri, Che e rifiuto di una pseudostoria insieme «logica» e progressiva: dalle idee alle idee attraverso Ie idee, de claritate in claritatem; rifiuto della storia della filosofia come rischiaramento progressivo e ascesa costante, nel singolo pensato re e nel complesso della ricerca. Le conseguenze di un orientamento di questa genere, avviato faticosamente, lentamente, fra dubbi e oscillazioni, sono state per
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Fra la fine degli anni venti e gli anni trenta, tuttavia, mentre l'attualismo era in crisi, anche la storiografia filosofica era costret ta a riflettere su se stessa. Ricordo l'impressione che mi fece, proprio nel '30, la pagina che Guido De Ruggiero premise alIa sua ripresa dell'ambizioso disegno di una storia generaIe della filosofia. L'aveva avviata da Laterza nel '18, e continuata nel '20 fino a tutto il Medioevo (in cinque volumi complessivi). Nel '30, presentando due volumi pro prio suI Rinascimento (anzi su Rinascimento, Riforma e Controri forma), non solo mostrava di rendersi conto di quanta complesso fosse il compito (<
me tante, ma spesso sconcertanti e contraddittorie.jlnnanzitntto e caduta l'idea di una storia.dellafilosofia come ricostruzionedi un suo progressivo crescere su .se.stessa.nella scoperta della.xerita, mentre_o£e.!~_':l~E1:in~!.~'PpiJ . flQ.n .._sax~bJ2erQ ...che.<:Icci.d.elltLda ~tere .c1a.par!e,CQme peruna.sona di paradosso 10 studio.del mito della «prisca..thoolegia))e della perdita prcgressiva.della Verita tuttariyelata in principia;..sembraza svelare l:equiv o co .del ...!!li!() simmetrico della Verita totale collocata «alIa fine» dellungo ~l!J:iD.
Fu anzi proprio nella sforzo di ricostruire il dialogo di cui Pico fu un interlocutore, che mi resi conto della necessita di rimettere in discussione, almeno sui piano della cultura filosofico scientifica, tutto quel moto di civilta in cui si collocava: il Rinasci mento, appunto, 0 quello che ormai si chiamava cosi, Godeva, allora, di una certa fortuna di discussioni l'opera di Giuseppe Toffanin, che aveva avuto it merito di scorgere difficolta non piccole nelle vedute tradizionali dell'eta dell'eumanesimo», ma che aveva poi il gran torto di ridurre i problemi pill seri nei termini generici di facili contrapposizioni verbali: Roma e il seco 10 senza Roma, retorica e filosofia, Ie scienze e Ie lettere. Giusta, invece, l'esigenza di ripensare tutti i termini della questione, di rileggere i testi, di approfondire, come secolo-chiave, il Quattro cento, proprio per determinare i rapporti col Medioevo. Fu COS! che fra gli anni Trenta e il principio degli anni Qua ranta accompagnai it mio libro e i miei studi su Pico a una serie di tentativi di approfondimento di problemi che non solo mi sembravano eentrali, ma ehe toeeavano alcuni temi chiave del Rinascimento. Innanzitutto cercai di vedere pill chiaro nel rappor to col pensiero filosofieo classico, che significassero sui serio il «ritorno dei filosofi antichi», le nuove traduzioni dal greco, la lettura di pensatori ebrei e arabi. Tentai insieme di stabilire un pill soddisfacente rapporto con la cultura medievale, studiando scuole, insegnamento, libri di testo. Nel 1977 un saggio del «Journal of the History of Ideas» su A Medieval View of Human Dignity cominciava la nota bibliografi ca iniziale con un mio studio del 1938 che indicava nella letteratu ra patristica greca e latina (e nei testi ermetici) Ie fonti, del resto dichiarate, di uno dei temi centrali - divenuto un luogo comune della letteratura rinascimentale. Quasi contemporaneamente (1940) richiamavo l'attenzione sulle fonti ermetiche, su cui tanti anni dopo Frances Yates avrebbe COS! largamente insistito, e ten tavo (1939) di far vedere come la diseussione, e in molti casi il rifiuto di Aristotele, non potessero disgiungersi dall'accettazione di un Aristotele riletto e commentato in forme diverse, alIa luce di commentatori greci diversi, 0 diversamente letti, che fu poi idea feconda svolta da Charles B. Schmitt. Contemporaneamente mi davo a ripubblicare, 0 a pubblicare, ma soprattutto a tradurre e a commentare, testi rinascimentali, specialmente quattrocenteschi: un lavoro a cui ho atteso per de 137
4. Finito e consegnato nel '34 (rna pubblicato solo nel '37 per le difficolta in conseguenza della guerra etiopica), il volume su Giovanni Pico (uscito fra Ie pubblicazioni della Facolta di Lettere di Firenze) ebbe una sorte curiosa. In Italia 10 recensi ampiamen te e positivamente Carlo Dionisotti sul «Giornale Storico della Letteratura Italiana» mentre Gentile pubblico sul «Giornale Criti co della Filosofia Italiana» una recensione ampia e di fondamen
tale consenso del Kristeller. Cassirer, che ebbe il volume a Gate borg, subito me ne scrisse e ne prese nel '38 10 spunto per discute re ampiamente del Pico, tenendo conto delle mie ricerche, in un saggio che usci nel '42 (sul «Journal of the History of Ideas», in due puntate e con qualche taglio), e che si colloco in parallelo col saggio sul Ficino di Kristeller, del '45. Nonostante la guerra che di Ii a poco travolse il mondo, il libro, e la sua impostazione, destarono maggior interesse fuori d'Italia, e presso studiosi non italiani. In Italia, per fare un solo esempio, De Ruggiero si interesse all'argomento rna ignore il mio lavoro. Altri disse che si trattava di ricerca meramente filologica. In compenso Giovanni Pico, e specialmente la celebre «orazione» sull'uomo, conobbero una nuova circolazione e nuova fortuna. 10 stesso ne pubblicai due volte il testo con traduzione. Un'edizione commentata e tradotta ne pubblico Bruno Cicognani. Nel '40 a Amsterdam (Pantheon Akademische Verlagsanstalt) esce una nuo va traduzione tedesca, con alcuni altri scritti, a cura di H.W. Russel, troppo presto scomparso in anni tragici, che nello stesso anna (1940) pubblica un volume Gestalt eines christlichen Huma nismus (che nel 1945 Einaudi pubblichera nella traduzione di Giuseppe Rensi). L'esaltazione, senza dubbio dai risvolti «retorici», della liber ta umana, l'appello alla pace religiosa e filosofica fra tutti gli uomini, la celebrazione dei valori «spirituali» in tempi di razzi smo sfrenato, tutto destava echi in altri momenti non sospettati. La tesi stessa, che e al centro di tanta parte dell'opera del Pico, dell'uomo come essere dalla natura indeterminata, libero di co struirsi come vuole, padrone del suo destino, che non ha ne una «forma» predeterminata ne una «specie», sembrava potersi do mani incontrare con Ie istanze estreme dell'umanismo sartriano. Mentre infuriavano odi, massacri, le dottrine della razza; in un mondo in cui gli scienziati inseguivano a gara Ie tecniche piu raffinate dello sterminio totale, una voce che ricollocava l'uomo al centro di infiniti orizzonti di liberta e di valore, poteva sembra re terribilmente inattuale, rna ritrovava pure una sua capacita di seduzione. L'umanismo rinascimentale era si terribilmente lonta no, rna offriva la possibilita di riflettere con serieta sulle origini del mondo moderno, sulla politica, sulla morale, sulla scienza. Quando oggi, quasi mezzo secolo dopo, si ripensa a quella produ zione storiografica come a quegli orientamenti filosofici, sarebbe
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cenni: un lavoro modesto, certo non privo di mende (puntualmen te rilevate da chi lavorava sul gia fatto), che non ha mai preteso di dare edizioni critiche, rna solo testi leggibili, quasi sempre accom pagnati da non malvage versioni italiane, e spesso da commenti anche estesi. Sono tuttavia convinto che i miei volumi delle opere di Pico, e soprattutto la traduzione e il commento dei libri contro gli astrologi, hanno aiutato a Ieggere e a rendere familiari pagine altrimenti pressoche ignote, 0 chiuse da sette sigilli. Cosi ho pub blicato opere inedite, perfino sconosciute, dal Salutati all'Alberti, da Poggio al Ficino, in genere di qualche rilievo, fino alIa rinnova ta versione (1987) del Liber de sapiente del Bovelles (che Einaudi aveva dato alIa luce nel 1943) 0 all'opuscolo anticopernicano del Tolosani (1546/1547), utilizzato dal Caccini per la denuncia di Galileo, e che gli storici, nostrani e no, avevano ignorato. Sono molte migliaia di pagine, inedite e no, a volte, se non erro, di grande bellezza (per esempio quelle dell'Alberti), spesso di notevo le altezza teorica e rilevanza storica: pagine che pochi conosceva no (a volte, nessuno), e che pure possono dare altro colore al volta di un secolo. Cosi, almeno, mi e sembrato. Sono comunque i docu menti su cui, fondatamente 0 meno, si appoggia il mio lavoro. Con Ie note a pie' di pagina dei saggi, intendono offrire le basi per un confronto: per accettare 0 respingere, rna a ragion veduta (e non in generiche condanne per la presunta appartenenza a questa 0 quell'orientamento generale). Infine una postilla sugli inediti, che solo per buoni motivi andrebbero editi per intero. Eben difficile, infatti, apprezzare le immani fatiche impiegate per dare integralmente alIa luce, in edizioni critiche, esercitazioni metriche senza ispirazione ne respi ro, che non dicono nulla e non significano nulla, mentre docu menti fondamentali di storia e di cultura restano a volte inattingi bili, magari in stampe pili rare di manoscritti.
bene non dimenticare che cosa fu quell'Europa tormentata fra le due guerre, e poi nella seconda guerra mondiale - e che cosa fu il clima italiano fra il '35 e il '45, dalla guerra etiopica alIa catastro fe, e poi alIa Liberazione. Ero tornato a Firenze, da Palermo, nel '35, a insegnare al Liceo scientifico e, ben presto, contemporaneamente, per incarico, alIa Facolta di Lettere in un impegno molto faticoso che sarebbe durato fino al '49. E tuttavia alIa doppia funzione di insegnante liceale e universitario, che ebbi per quasi quindici anni, so di dovere molte cose, dall'obbligo di un'estrema chiarezza alIa co scienza del circolo riflessione-comunicazione. So bene che sono possibili, magari auspicabili, altre strade, ma e certo che, allora, quel circolo funzionava. Ne i tempi erano facili, fra il momenta di maggior consenso al fascismo e la crisi sempre pili tragica, dalla guerra di Spagna alIa catastrofe, con momenti amarissimi ancora nel ricordo, per chi consapevolmente li visse. Fra gli altri, partico larmente avvilenti, oltreche dolorosi, quelli della campagna razzia le, allorquando fummo condannati a essere collocati con i persecu tori. Tornare, allora, a un'epoca della tradizione nazionale domina ta dal valore dell'uomo, dall'appello alla pace culturale e all'incon tro religioso, non era davvero privo di senso. Ricordo ancora l'ani mo con cui, nel '39, lessi e recensii il volume di Marcel Bataillon (del '37) Erasme et l'Espagne, un monumento di dottrina, ma che allora ebbe un suono che non ebbe mai pili. Non e certo il caso, neppure sarebbe possibile qui, tentare di rievocare quegli anni nella scuola e negli studi, con i fondi anti chi delle biblioteche e degli archivi sfollati per la minaccia belli ca, in una tensione che dava a tutto toni e colori diversi. II dramma del presente si riverberava suI passato: ci aiutava - pen savamo - a vedere il passato. Nel '43 lessi alIa «Colombaria», che si specchiava ancora in Arno nel vecchio palazzo fatto saltare dai tedeschi, la lunga memoria su Coluccio Salutati, che anticipava i miei studi suI Cancelliere di vari anni dopo, e cost pure l'altro studio su «vita attiva e contemplativa». Non era possibile capire quegli uomini, quei tempi, quella cultura, a prescindere dalle vicende politiche e morali. Non dipendevano certo, quei lavori, da Hans Baron, che aveva, sl, scritto alcuni articoli - pubblicati, fra l'altro, a Firenze, e in riviste a cui mi trovavo a collaborare contemporaneamente anche io. Non dicevamo neppure Ie stesse cose, anche se, lungo vie di svolgimento diverse, ci incontravamo
nel valorizzare figure, temi e problemi molto vicini. Erano modi simili di approccio all'eta dell'Umanesimo, che nei decenni succes sivi avrebbero trovato, pur nella differenza, crescenti punti di contatto. Era il rilievo dato, anche nel campo della filosofia, al linguaggio, alIa politica, alIa storia, aIle discipline morali. Cost, fra il '43 e il '44, mi trovai spesso a discorrere del Quattrocento italiano con Ernesto Grassi, e a leggere con lui testi di scrittori del Quattrocento e del Cinquecento, discutendo l'imma gine che dell'Umanesimo italiano egli cercava di costruire nel suo confronto con Heidegger, che ben conosceva. Nei medesimi anni Enrico Castelli veniva disegnando per dopa, se mai ci fosse state un dopa, una edizione dei filosofi italiani di cui spesso veniva a parlare a Firenze con me, che dedicavo Ie mie ore libere a stende re quella Storia della filosofia italiana, che sarebbe uscita nel '47 (e poi, di nuovo, rimaneggiata, da Einaudi nel '66). Se Grassi discuteva con Heidegger sull'eumanismo», e Castel li, a suo modo, ripercorreva per vie originali itinerari «esistenzia li», nel variegato panorama «esistenzialistico» si traducevano in una babelica molteplicita di linguaggi la crisi profonda della cultu ra e il senso della tragedia del mondo. Pur nella superficialita di tanti dibattiti, fino all'inchiesta del '43 di Bottai su «Primate», emergevano, con l'insoddisfazione ormai dilagante delle certezze «idealistiche», i problemi che rimettevano in discussione il senso stesso e la funzione del filosofare, la sua possibilita di sopravvi venza nel premere di urgenze politiche e di tematiche religiose, la sua autonomia espressiva e il suo posto nei confronti della grande arte, della letteratura, del teatro. L'accento batteva sui grandi problemi morali, 0 induceva a riflettere pili a fondo sulla storia dell'uomo, suI senso del suo lavoro. Non a caso, mi parve, Cesare Luporini, che nel '42 aveva pubblicato negli «Studi filosofici» diretti dal Gentile un volume molto significativo (Situazione e liberta nell'esistenza umana), che si collocava alIa «confluenza» dell'«idealismo italiano», della «filosofia della vita» e della «filo sofia esistenziale», in una prefazione alIa second a edizione datata Firenze, agosto-novembre 1944 (Ia data va sottolineata, perche e l'inizio di una nuova «liberta»), batteva non solo sull'equivocita dell'esistenzialismo, ma anche sull'intrinseca contraddittorieta del la filosofia «
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e un ampio campo d'indagine, mentre gli sviluppi delle moderne scienze della natura e dell'uomo, nonche delle discipline logiche, facevano sentire pili urgente la messa in discussione della loro origine e delloro divenire, della lora funzione e del lora destino. D'altra parte nel '45 urgeva un esame di coscienza che inve stisse alle radici non solo fascismi e nazismi, rna quasi mezzo secolo di vita europea, per cercare di capire come tuttoera stato possibile: come si era giunti a quello che gia allora sembrava un punto di non ritorno. Nel 1983 concludevo l'ultimo dei miei libri su Ottocento e Novecento con un lungo capitolo che cominciava con le illusioni dell'inizio del secolo, a cui uomini come Croce e Musil avevano dato un volta pieno di speranza e di gioia, lieto di trionfi e di felicita, e approdava non solo alle immagini atroci di Buchenwald e di Auschwitz rna alle visioni apocalittiche di Hiro shima e Nagasaki. Citavo Anders e il «nulla sotto spirito» delle pagine heideggeriane «ad uso delle studentesse di scuola second a ria» contrapposto a un mondo in cui «non ci sono pili confini all'uccidere», e in cui l'uomo si avvia consapevolmente alla distru zione totale di se e di quanta 10 circonda. Nel '45, a dir vero, c'era ancora la speranza. Anche se l'orrore dell'assurda strage di Nagasaki aveva distrutto le ultime illusioni, restava la fiducia di un possibile incontro umana su un piano di ragionevolezza comu ne. Diceva Anders che se «dobbiamo rinunciare consapevolmente a voler andare fino in fondo» resta «i] nostro dovere di trovare un denominatore comune accettabile». Nel '45 poteva sembrare una buona premessa a una nuova vita in un mondo nuovo render si conto di quello che veramente era accaduto nei tempi amari che avevano preceduto la catastrofe e, insieme, capire meglio Ie radici del nostro mondo moderno.
5. II '44-'45 fu, per molti di quelli che appartengono alla mia generazione, un anna difficile e complicato: di riflessioni e, innan zitutto, di conti con se stessi. La fine del regime dittatoriale, la «liberta», imponevano non poche revisioni e non pochi ripens a menti. Ci fu chi, diverso per eta, per esperienze, per atteggiarnen to verso la vita, le sue scelte aveva gia fatto, e le conserve intatte. II fascismo apparteneva al passato, e quel passato era chiuso. II prezzo pagato per il riscatto, chiunque l'avesse pagato, compensa va largamente non solo i guasti, rna anche i peccati di omissione,
e copriva antiche debolezze e colpe che il fascismo avevano provo cato, favorito, alimentato. Era tempo di dimenticare, di fare come se nulla Fosse stato, e di costruire un futuro tutto diverso. Taluni, invece, ritennero che il fascismo, anche rifiutato, aves se tuttavia contribuito a deformare le prospettive - tutte le pro spettive; che avesse radici profonde nella storia e nella cultura italiana. Di qui, per chi era in questa posizione, la necessita di un lungo ripensamento, di una lenta rilettura di testi, di una intensa e seria meditazione. Poiche appartengo a questa categoria, dedi cai molti anni a tentare di rendermi conto di quella che era stata l'esperienza alIa quale ero stato condannato, e nella quale mi ero formato. La mia produzione del decennio '45-'55 rispecchia fede1mente quello che per me non fu un lavoro facile, e che si svolse lungo tre linee precise: 10 sforzo di portare a compimento l'ambizioso disegno di una storia della filosofia in Italia; il tentative di formu lare una visione d'insieme, sia pur provvisoria, del Rinascimento italiano come momenta decisivo nella formazione dell'Europa mo derna; una sorta di bilancio delle discussioni filosofiche in Italia nel Novecento. Ognuna di queste ricerche si concluse con un'ope ra d'insieme di una certa mole, rna ognuna di queste opere fu preceduta e accompagnata da una grande quantita di saggi, di edizioni di testi e documenti, secondo un modo di lavorare a cui ho sempre cercato di restare Fedele. Siccome, d'altra parte, queste linee di riflessione e di indagine sono in me rimaste costanti, cerchero di accennare a ciascuna in modo specifico. Devo aggiungere che un gran peso sul mio modo di vedere la storia culturale italiana ebbe una lettura attenta degli scritti di Antonio Gramsci, via via che venivano pubblicati i volumi delle opere, nella forma, appunto, in cui vennero inizialmente presenta ti. Anche la dove mi ero gia formato un concetto preciso, anche quando - per esempio sull'eta del Rinascimento - mi trovavo a dissentire nettamente, le osservazioni di Gramsci ebbero su di me un peso via via crescente. Sulla storia intellettuale italiana attra verso i secoli i termini principali di confronto, a parte figure 0 momenti specifici, erano stati per me specialmente Croce e Genti le, e lora gli interlocutori costanti. In Gramsci, fin dal principio, vidi un lettore acuto degli stessi storici, rna con una carica critica non comune, e con continue indicazioni feconde, di cui cercai di accogliere sempre di pili stimoli e suggerimenti. Non so quanta
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questa sia riuscito e si colga, rna fu certo per me un'esperienza decisiva che duro a lungo. Come ho detto, lavoro ambizioso rna avviato senza molta convinzione fu la Storia della filosofia italiana. L'aveva comincia ta agli inizi del secolo Gentile per la Storia dei Generi Letterari Italiani che l'Editore Vallardi pubblicava a dispense. L'impresa aveva avuto un avvio vivace.intornoal 1904 (uscirono le dispen se 10, 17,35,41,192 pagine, recensite ne11908 sul «II Rinnova mento», II, 3, pp. 413-14, da Giovanni Boine, che non a torto cominciava: «Pochi si sono fin qui accorti che Giovanni Gentile, nonostante la guerra santa mossa dal suo compagno d'armi Bene detto Croce contro i generi letterari, ha impreso a scrivere nella Storia dei generi letterari, edita dal Vallardi, nientemeno che [...]»). Nel 1915 erano uscite ancora due dispense (pp. 193-296) fino a Valla compreso, all'epicureismo del Valla. Poi piu nulla. Dopo che ebbi pubblicato il volume su Pico e vari studi sul Rinascimento, Gentile propose al VaIlardi di affidare a me un secondo volume della Storia, di cui egli avrebbe conc1uso il pri mo volume. Cosi cominciai il lavoro dal Cinquecento, dall'aristo telismo e da Pomponazzi, e continuai. Poi la guerra ando precipi tando. Gentile scomparve tragicamente. Quando ripresi il lavoro, con grande esitazione e per le sollecitazioni dell'Editore, cornin ciai col ripropormi il problema di una filosofia «italiana» naziona Ie, risolvendomi a trattare l'eta medievale come una sorta di am pia introduzione al Trecento. Avendo accettato di compilare io tutta l'opera, una parte almena della problematica tradiziona1e sulla «nazionalita» della filosofia mi sernbro sfocata. Se infatti apparivano nitide certe linee unitarie di interessi e di ricerche, di linguaggi e di tradizioni, ~e.r@yan9_n~n~!~~SO tempo _~2Q_t~tta chiare~~a le difficolta di supporre unita di problemi e di sviluppo, .2 nessi fra soluzioni, attraverso secoli lontani. Mentre iTegami culturali fra discipline e campi diversi in un determinato periodo si imponevano, I'identita delle discipline nei lunghi periodi si presentava come assai problematica. Caduto il comodo rifugio delle sorti necessariamente progressive, ossia di un processo linea re e omogeneo de claritate in claritatem, anche nel campo limitato della «filosofia italiana» unita e continuita si facevano spesso evanescenti, mentre diventava via via evidente l'opportunita di cercare la «filosofia» nella letteratura, nelle scienze della natura, nel diritto, nelle scienze morali. 144
Accettato alIa fine una specie di compromesso, come capitava in opere del genere - quando ancora si facevano -, intorno al '46 conc1usi un panorama abbastanza ampio di cio che per consuetu dine si considerava tradizione filosofica italiana, rna tenendo co me punti di forza i secoli dalla meta del XIV al XVI, l'eta di Vico e l'illuminismo, alcuni aspetti dell'Ottocento, cercando di cornpen sare con l'informazione del gia fatto, e una larga citazione di testi, approfondimenti incompiuti, 0 allora impossibili. Ne ebbi, insie me, confermata I'idea della fine.di.unsgenerezjIe__ «grandia.sto ...ri.e__cl~li~Ji1Qt>ofia ~_.0..E~.t'a di un solo autor~!Jega!e all'ideadi.uno __sviluppo «logico», di una conquista «progressiva» della «Verita», in cui il «particolare», a cominciare dalla vitae dalla personalita derpensatori trattati, fino aIle situazioni storiche concrete.calla, «reale» circolazione delle idee, sono accidentali. Che e poi l'imma gine convenziona1e, e un po' sprovveduta, che della storia della filosofia hanno spesso taluni «filosofi» che della questione vanno scrivendo e disputando. II libro tuttavia ebbe una qualche circolazione, tanto che, quando passe nel '66 a Einaudi, in una nuova edizione aggiunsi un lungo epilogo a proposito della «rinascita dell'idealismo», ri maneggiandolo tutto e aggiornando 1a bibliografia, cosa che feci ancora nel '78, ma considerandolo sempre come una specie di parentesi che mi era costata una grande fatica. In realta il mio interesse continuava ad essere rivolto, per un verso alIa cultura del Rinascimento, per un altro al dibattito italiano contempora neo. Nel '47 usciva in tedesco a Berna presso l'editore Francke, in veste molto e1egante, un volume mio di quasi trecento pagine dal titolo Der italienische Humanismus, che presentava, da Petrarca a Giordano Bruno, quelli che mi sembravano gli aspetti rilevanti del pensiero italiano quali si erano venuti affermando nell'eta in cui la cultura italiana aveva toccato una delle sue punte piu alte, II libro usciva, forse mette conto ricordarlo, in una eolIana «De berlieferung und Auftrag», diretta da Ernesto Grassi e Wilhelm Szilasi, distinta in due serie, Schriften e Probleme und Hinweise. Proprio quando nella serie Schriften usciva il mio libro, nell'altra serie usciva di Martin Heidegger, con la ristampa di Platons Leh re von der Warheit (scritto nel '40 e gia uscito ne1 '42), il Brief iiber den «Humanismus», in risposta a Jean Beaufret (del '46). Erano, al di Iii di ogni confronto, mondi diversi e lontanissimi. L'eumanesimo» di cui parlavo io accentuava al massimo il concre 145
to dell'«umanesimo storico», batteva sull'impegno civile dell'uo mo, suI senso terreno e politico dell'operare umano. Non a caso Ie mie pagine partivano da una rea Ita storica, da quella che si presentava come interpretazione valida di una realta storica ori~ntata verso una concreta attivita mondana. Le battute heideg: genane sull' «umanesimo» sia classico che del Rinascimento (cdie sogenannte Reinassance des 14. und 15. Jahrhunderts in Italien ist eine renascentia romanitatis [... ]»), prese per se, non erano che banalita, in un discorso che era altro e mirava ad altro. Quanto al mio libro, qualunque cosa valesse, si collocava c~nsap~vo~men~e suI ve~sante storiografico di un complesso di discussioni sull «umanesimo», storico 0 no, che si intrecciavano spesso n.el clima culturale del tempo, mentre pili 0 meno diretta ~ente riprendevano non pochi problemi e spunti allora assai diffusi: dal significato della retorica alle tesi sull'umanesimo civi le, dalle origini della dialettica alle radici della rivoluzione scienti fica. Ricordo gli «incontri», ideali e reali, con Hans Baron per un verso e con Chaim Perelman per un altro, con Frances Yates e l?P. Walker; i colloqui con Robert Klein, l'utilizzazione delle ricerche di storici dell'arte come Ernst H. Gombrich e Andre Chaste!. II volume sull'Umanesimo italiano ripubblicai nel '52 in italia no da Laterza, che divenne allora il mio principale editore. L'ave vo ampliato, ci avevo aggiunto alcune parti. Al titolo avevo fatto s~guire un sottotitolo: Filosofia e vita civile nel Rinascimento. ~ opera, che ha avuto una dozzina di ristampe, e stata tradotta in inglese come in giapponese, in polacco come in rumeno e fu spesso avvicinata inpositivo come in negativo alle ricerche del ~a:~n, con cui, come ho gia accennato sopra, talora senza dubbio SI e incontrata. In realta, giunta a talune conclusioni sirnili per vie auton~me,. te~de a mettere a fuoco il composito formarsi degIi asp~ttl s~~le~tI della mentalita modema. Piuttosto che opera con clusiva d mSl~me, .come spesso e stata letta, essa ha costituito per me una ~pecte di programma di lavoro, le cui varie parti ho c~rcat~ dl approfondire in vari decenni: dal rapporto Medioevo RmasClmento al nodo di questioni intorno aile origini della scien za modema. Lontanissimo, anzi profondamente avverso alia tesi cara al Kristeller di un umanesimo del Rinascimento come fatto sostan zialmente grammaticale, di un Rinascimento speculativamente 146
continuatore del Medioevo, e come tale, in verita inconsistente, ho cercato al contrario di individuarne la peculiarita proprio nel nesso profondo dei suoi molteplici aspetti, e soprattutto nella concezione della vita, dell'uomoe della sua attivita: nell'arte co me nella politica, nella sviluppo delle tecniche come nel contribu to al risveglio scientifico. Qui, appunto, Ie complesse radici della civilta moderna, senza negare i profondi legami con l'eta prece dente, rna senza neppure attenuare Ie non meno profonde diffe renziazioni. Non e il caso di riprendere qui certe discussioni. Esse sono consegnate a una serie di ricerche, qualunque cosa valgano, durate decenni, con 10 scopo di affrontare in termini non generi ci, campo per campo, proprio la questione dei rapporti del Rina scimento con l'eta precedente e col mondo classico. Non casualmente nel '54, dopo avere pubblicato nel '52, per i Classici Ricciardi, una grossa raccolta di Prosatori latini del Quat trocento, vedeva la luce iI libro di cui, forse, sono poi rimasto meno insoddisfatto: Medioevo e Rinascimento. Si trattava di una raccolta molto sistematica di saggi; in realta un tentativo di anda re a fondo su alcuni punti chiave del rap porto fra i due momenti storici. Fra questi uno ve n'era su cui sono poi tomato con insi stenza: ermetismo, magia e astrologia. Gli studi suI Pico mi aveva no costretto a riflettere suI problema. Pico, critico dell'astrologia, sotto certi aspetti COS! favorevole aIle «scienze», e pure capace di apprezzare la magia naturale come parte pratica della scienza della natura. La laboriosa preparazione dei due volumi delle pi chiane dispute contro gli astrologi, della loro versione e del loro commento, mi fecero quasi toccare con mano la complessita dei problemi da Lynn Thorndike sfiorati in capitoli fra i meno felici della sua History of Magic and Experimental Science, nei quali la sua allergia alIa riflessione filosofica sembra toccare punte estreme. D'altronde proprio li, in quello strano intreccio di ermetismo e razionalita, si coglie in pieno l'esigenza di trattare con estrema delicatezza un node di ragione e no, in cui per altro rimasero presi uomini come Keplero e Newton. Certo Frances Yates ha poi esagerato con l'ermetismo, rna non ha esagerato meno chi ha creduto di poter parlare di Ficino quasi dimenticando il posta eminente che nella sua opera ha avuto l'ermetismo, e nelle sue forme piu torbide. Ne esagera meno chi, a qualsiasi prezzo, anche della «sollecitazione» dei testi, tenta di espungere alcuni aspetti 147
di tali influenze specialmente notevoli dalla venuta del Pletone in poi. Che e questione della cui importanza gia mi rendevo con to negli anni Cinquanta, e che affrontai allora (Studi sui piatonismo medievaie, 1958), in ricerche da rettificare e integrare, rna che in molti punti ritengo ancora valide.
, . 6. 11 terzo argomento -su cui lavorai intensamente neldecennio '45·'55, e in cui mi impegnai forse con maggior passione, fu la discussione filosofica italiana nel Novecento. Gli uomini di cui \ trattare erano in gran parte uomini con cui avevamo parlato, di i, cui avevamo conosciuto mutamenti repentini, faticose conversio ~_.~ebolezzee, talora, vilta. E nei tempi andati era pili rara : l'indulgenza per le debolezze dei «filosofi», soprattutto di quelli che amavano ancora presentarsi come maestri di saggezza. r--~egli anni del!a dittatur~, ~'e~a chi. aveva sce!to prog~ammati ; camente, su alcuni argomenti, il silenzio, raccoghendo gh appunti dalle letture e sugli eventi, in una specie di diario. Subito dopo la fine della guerra, nel '46, nella piccola rivista di informazione bibliografica «Leonardo», messa insieme con alcuni amici, comin ciai a pubblicare una serie di articoli sul pensiero italiano del '900, in cui richiamavo, credo fra i primi (se non il primo dopo la f guerra), l'attenzione su Vailati, mentre recensivo lungamente il libro di Preti su Idealismo e positivismo uscito nel '43. «LeonarII do» ebbe vita breve, rna nel '51 e nel '53, sul «Giornale critico I della filosofia italiana», pubblicai sei nutrite puntate di Cronache \ dellafilosofia italiana (1900-1943). Era illavoro che usci in volu \ me nel 1955, e che nel 1 era pronto, a. parte alcuni particolari. L... Ero, confesso, molto mcerto se pubbhcarlo, e non solo perche ne vedevo i limiti d'ogni genere, rna perche mi rendevo conto che ne sarebbero rimasti feriti un po' tutti, ne d'altra parte avevo intenzione di modificarne ne la forma ne la sostanza. Ricordo che nel '51 fu incuriosito dalle prime puntate anche Benedetto Croce che, dopo averle lette, me ne scrisse richiamando i primi tempi della «Critica», gli scritti di Gentile sui filosofi italiani contempo ranei, e i suoi pensieri d'allora su come fare storia della filosofia. Proprio leggendo il suo giudizio anche troppo affettuoso, mi chie si se l'avrebbe mantenuto uguale fino alla fine. COSl. illibro rima se fra Ie mie carte fino al '55, quando Vito Laterza vinse Ie mie perplessita, e il libro comparve.
Dei suoi difetti sono sempre state consapevole, anche se sono convinto che erano intrinseci al suo stesso «genere». Poteva non essere pubblicato, rna, ai miei occhi, per le mie esperienze, non doveva essere corretto. Era il diario di uno che quegli anni aveva attraversato, con quell'animo. La stessa conclusione, che Roderi go di Castiglia su «Rinascita» giudico in fondo piuttosto deluden te, non solo non correggerei neppur oggi, rna la mia immagine della filosofia e rimasta nell'essenza quella d'allora: degli ultimi capoversi dell'edizione del '55, ivi compresa la citazione dei Mini ma Moralia di Adorno. Scrivevo allora: «ritrovare l'umanita del filosofare non in un distacco aperto 0 nascosto dalla realta nella sua "corpulenta" definitezza, rna nella umanizzazione della realta e degli strumenti con cui si possiede si elabora e si trasforma: nel difendere il senso della presenza umana, non esaltandola illusoria mente al di fuori delle cose, rna con esse e fra esse, come coscien za di un centro, perduto il quale tutto perderebbe colore. "Senza l'uomo, cosa significherebbe la realta dell'universo?'?». Ove non si dice che senza l'uomo I'universo non sarebbe, rna, si, che que sto universo non sarebbe. «Ove non si affaccia un'estrema difesa romantica, [...] rna l'impegno a determinare, e quindi a difendere, l'umanita di ogni strumento, di ogni tecnica, di ogni opera, in una "storia" esatta e fedele, ossia in una visione chiara delle guise dell'attivita umana colte nelloro articolato sviluppo, alla sorgente della lora mobile dispersione nell'opera. [...] Che e, del filosofare, un'immagine senza dubbio modesta, dopo tante superbe pretese; rna che al virtuosismo di un ragionare sterile e astratto, e a costru zioni fantastiche senza verita e senza bellezza, sostituisce un lavo ro pulito e utile, innanzitutto, come sforzo di consapevolezza criti ca entro la molteplicita delle attivita umane; utile alle varie ricer che, illustrando, nella discussione dei procedimenti logici e delle forme espressive, possibilita di convergenze e d'incontri, e difficol ta e fonti d'errore, e limiti reciproci e fondamentali unita: utile "moralmente", distruggendo non le speranze rna i miti, non le pos sibilita rna la trasposizione dei desideri in una fittizia realta», Certo, oggi, non scriverei COSl., e la forma stessa mi spiace, rna non molto diversa la visione del filosofare, dei suoi compiti, dei suoi limiti, della sua funzione critica nei confronti, non solo delle attivita e delle costruzioni, rna delle pretese e delle illusioni del l'uomo. Non continuai le Cronache. Nonostante il titolo, era un libro
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legato a un'esperienza ben definita e, come tale, conclusa. Qual che anna dopo, nel '62, a un volume su La cultura italiana Ira '800 e '900 aggiunsi un lungo scritto di ben oltre cento pagine dal titolo Ouindici anni dopo. 1945-1960, che fu poi aggiunto come appendice all'edizione delle Cronache del '66 (e poi di nuovo nel '75). In realta era opera diversa, nell'origine e negli intenti. Era nata per un invito di Lelio Basso a scrivere un articolo per i «Problemi del socialismo» su alcuni aspetti della cultura «di sini stra» in Italia. Anche se 10 scritto si era poi trasformato per strada diventando altra cosa anche per mole, aveva conservato non poco del timbro iniziale, di intervento «politico» in un dibat tito in atto nella cultura italiana. E questa del resto emerse dai toni aspri che assunse la discussione di quel libro, e sui quali non e il caso di tornare. Ma proprio a chiarimento della questione, non so dimenticare che quel testo si chiudeva con una citazione di Giulio Preti, da una sua pagina molto vivace con cui, su «Pae se Sera» (Suppl. libri del 10/11 novembre 1961), aveva cornmen tato il rilancio dell'ultimo Husserl a opera di Paci. Per Preti si trattava del tentativo di «riportare sul mercato filosofico una for ma piu esperta e piu moderna del vecchio idealismo, come con traltare spiritualistico e retorico a forme piu avanzate di pensiero quali il neopositivismo, il pragmatismo, il marxismo», Preti, in realta, aveva insieme ragione e torto: aveva ragione quando nella ripresa della fenomenologia vedeva un ritorno di fiamma del l'idealismo; aveva torto quando non 10 vedeva in molti dei modi in cui in Italia circolava il marxismo, 0 quando dava per scontata la superiorita di un neopositivismo 0 di un pragmatismo non meglio precisati, 0, peggio ancora, quando si serviva di contrappo sizioni quali «logica» e «retorica». A commento di quanto aveva detto del ritorno dell'ultimo Husserl, io osservavo: «dopo quindi ci anni, sul terreno ideologico, e negli istituti in cui si educano gl'italiani, l' "idealismo" in forme piu 0 meno rammodernate conti nua a sopravvivere». Ma soggiungevo (con ragione, penso) che a certe insidie nessuno sfuggiva, a cominciare da Giulio Preti, e non solo negli scritti giovanili. II suo libro del '68, Retorica e logica. Le due culture, per una parte notevole polemico proprio con me, non mi sembra davvero che riuscisse a superare difficolta ed equivoci. Purtroppo nel '72 Preti scomparve anzi tempo, e con lui Ie sue provocazioni. In qualche modo, quasi concludendo, sono tor
nato sull'argomento nell'85 col saggio Agonia e morte dell'ideali e discutibile nella sfiduciato quadro finale della filosofia attuale, e probabilmente ben fondato per quanto riguarda la chiusura di un lungo periodo del dibattito culturale italiano col '68 (e dintorni), invece che col '45. In cio mi conforta anche il ricordo di Giulio Preti e di quello che fu per lui il '68, delle sue reazioni e dei suoi giudizi, nelle radici e nelle manifesta zioni COS! diversi dai miei. Del movimento studentesco del '68, quale 10 sperimentai in prima persona a Firenze, ho dato sempre una valutazione del tutto negativa, anche se ero convinto, e non . 10 nascosi mai, delle colpe gravissime dei pubblici poteri e di una parte del corpo docente, che mai, dopo la fine del fascismo, avevano voluto dar mana a un rinnovamento effettivo della scuo la, ne avevano voluto tenere conto, per provvedervi, della trasfor mazione in atto dell'universita e della ricerca. Che poi l'esplosio ne studentesca, giusta nelle sue ragioni, prendesse di fatto vie completamente sbagliate, e destinte a peggiorare la situazione, e in non piccola parte da riportarsi, di nuovo, ai modi spesso sciagu rati con cui si credette di fronteggiarla. Ma questa e un altro discorso e riguarda, fra l'altro, la fine di un tipo di scuola univer sitaria. Quanto a me, passata l'ondata di piena durante la quale rima si al mio posta facendo una serie di esperienze tanto istruttive quanta malinconiche, nel '74 ottenni di passare alla Scuola Nor male Superiore di Pisa dove, negli ultimi dieci anni del mio insegnamento, ritrovai quel rapporto di umana collaborazione e amicizia, senza il quale scuola non si da.
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7. Fra la seconda meta degli anni Cinquanta e gli anni Settanta all'insegnamento fiorentino intrecciai una costante attivita di ricer ca e di riflessione sui metodi della indagine storica. Frutto di una collaborazione nata a scuola con piu giovani studiosi furono i volumi, composti a piu mani, di testi e studi, pubblicati nel '53 e nel '55, sull'ermetismo e sulla retorica, a cui dettero il lora contri buto, fra gli altri, Paolo Rossi, Cesare Vasoli e Paola Zambelli. Li ricordo, non solo perche hanno lasciato una qualche traccia nel l'ambito di tali studi, maperche mi fecero toccare con mana la possibilita di un fecondo lavoro comune nella scuola universitaria anche nella ricerca storico-filosofica. Comunita di lavoro che lun
go quegli anni realizzai a Firenze anche con colleghi e amiei di diverse discipline, come Delio Cantimori prima ed Ernesto Ragio nieri poi. Dal '53 avevo cominciato a partecipare agli incontri che, au spice Abbagnano, un gruppo di «filosofi» aveva regolarrnente, a Torino, Milano, e poi a Firenze, per discutere questioni che inte ressavano tutti. Erano amici e colleghi che avevano in comune alcuni orientamenti generali, e cioe che: «1. la ricerca filosofica deve evitare atteggiamenti che Ie impediscano un'apertura verso tutti i problemi della cultura moderna e verso [ ...] l'uso delle ricerche e delle tecniehe specifiche elaborate nei vari campi del sapere. 2. [...] deve porre continuamente in problema i propri resultati e i propri metodi, mutandoli e perfezionandoli secondo Ie esigenze di una critiea spregiudicata e radicale. 3. Si stabilisca fra filosofia e scienza una connessione artieolata [ ...] cap ace di sgombrare la filosofia da problemi e concezioni derivanti da fasi arretrate della ricerca scientifica, e capace di dare un contributo positivo alIa critiea e al rinnovamento delle strutture di fondo delle scienze. 4. Si affermi la responsabilita politiea inerente al l'impostazione aperta dellavoro filosofico, e l'impegno di difende re e promuovere le condizioni di Iiberta che rendono possibile tale lavoro». Fu in quest'ambito che nel '58, in un incontro sulla dialettica aperto da Abbagnano e chiuso da Bobbio (su la dialettica in Marx), esposi in una re1azione il «giuoco» fra retorica e dialettiea dal secolo XII ai principi dell'eta moderna. A Firenze, nell'aprile del '56, insieme a Dal Pra e Paci, in uno di tali incontri si discusse, invece, della storia della filosofia e dei suoi metodi, in realta di alcune «categoric» della storiografia «idealistica»: unita (Garin), superamento (Dal Pra), precorrimento (Paci). La discus sione fu molto vivace, soprattutto per la «stroncatura» che Preti offri delle mie posizioni, oltre che per il contrasto con Paci, e per la generale sufficienza dei «filosofi» nei confronti della «storico» che non chiedeva perdono della sua condizione di inferiorita, Ne trassi conforto per le mie posizioni: e cioe che la storia della filosofia come io la intendevo, e cercavo di farla, era 10 sforzo di portare alIa luce i procedimenti autentici, e quindi i1 senso di un pensatore, analizzando sul serio - sui documenti - i suoi tentati vi, i suoi sviluppi, le sue contraddizioni, le varie sue risposte aIle domande che emergevano nella situazione in cui si muoveva. 152
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Solo cosl la storia mi dava l'altro con cui confrontarmi, e dalla cui frequentazione imparare. A Preti e a Paci, anche se in modi diversi, non interessano affatto ne l'autenticita ne l'autentica alte rita. Importava sistemare Platone 0 Leibniz nel lora discorso, indicarne magari Ie contraddizioni, collocarli al lora posto, e so prattutto metterli al pill presto «a posto» nella problematica attua le, poco importa se a lora del tutto estranea. Ricordo che, per mio conforto, dopo la requisitoria del Preti, mi rilessi, di Preti, Il Cristianesimo universale di Leibniz del 1953, e, di seguito, di Jean Baruzi, Leibniz et l'organisation reli gieuse de la terre, del 1907, che Preti neppure menziona, per ritrovare la differenza che passa fra un gran libro di storia e di filosofia, e una gradevole esposizione scolastica di quasi tutto Leibniz, cominciando dal giorno della nascita. Pill tardi, nel primo fascicolo del '59 del «Giornale critieo della filosofia italiana» usciva un mio ampio saggio suI problema (Osservazioni preliminari a una storia della filosofia) a cui tenne dietro una lunga discussione con studiosi eminenti, con una con clusione da me pubblicata nel '60. Sempre nel '59 riunivo i vari scritti miei (e un intervento di Paci) da Laterza in un volume La filosofia eome sapere storieo che, di proposito, si chiudeva con un saggio su Antonio Grarnsci, che era poi la relazione d'apertura del convegno su Gramsci del gennaio 1958. Di proposito, ripeto, perche non intendevo solo sottolineare il peso che la riflessione di Gramsci aveva avuto sul mio pensiero, rna anche i1 debito per un grande insegnamento. 11 volume ebbe allora qualche risonanza (ne scrisse perfino Luigi Sturzo). Presto esaurito, non l'ho mai voluto riprendere. Proprio perche continuavo a essere convinto della bonta della sua tesi di fondo (che facendo sul serio storia della filosofia si fa filosofia), ho preferito continuare nel lavoro di storieo. In questa momenta COSt poco felice per gli studi di storia della filosofia, mi viene spontaneamente fatto di ripetere quanto scrivevo quaran t'anni fa chiudendo quel saggio: visto che fra l'ottuso profeta e l'onesto somaro abbiamo scelto la com pagnia del secondo, lascia teci lavorare in pace!
8. Come ho gia detto, le discussioni di metodo non diminuirono il mio lavoro di ricerca, innanzitutto sui Rinascimento che rimane 153
va per me un momenta decisivo per intendere il mondo rnoderno. Cost, se non trascurai Ie occasioni di presentarlo nel suo insieme, venni particolarmente insistendo nell'indagine su punti deter minati. SuI piano dei tentativi di sintesi pubblicati nel '64, per la «Propylaen-Weltgeschichte» di . Golo Mann e August Nitschke, Die Kultur der Reinassance, che abbracciava le vicende europee e che ebbe una sua diffusione anche in edizioni autonome. Nel '66, per la Storia della letteratura italiana del Cecchi e del Sapegno curai un'ampia Letteratura degli Umanisti. II mio interesse mag giore, tuttavia, mi spingeva a proseguire il mio lavoro di scavo, e innanzitutto su quello che mi appariva, e mi appare tuttora, un punta decisivo: l'educazione, la formazione umana, il mutamento delle scuole e dei metodi di insegnamento, il cambiamento dei libri di scuola, e, su altro livello, la crisi delle universita, la trasformazione degli istituti di ricerca, la nascita delle accademie, lanuova encic1opedia. Nel '57 pubblicavo un libro ambizioso L'educazione in Europa. 1400-1600. Problemi e programmi (al l'edizione francese fece la prefazione Philippe Aries), accompa gnato nel '58 da una gross a opera ancor pili ambiziosa It pensiero pedagogico dell'umanesimo, una raccolta sistematica di testi e documenti, dagli Auctores octo al materiaIe pressoche completo dell'attivita di Vittorino da Feltre, alle lettere di Guarino e a testi della sua scuola, e cost via. Erano gli anni di pili vivi dibattiti in Italia sulla «riforma della scuola» e l'organizzazione della cultura, e un mio discorso a Roma del gennaio del '60, edito nei «libri bianchi» Einaudi, non rnanco di provocare, piuttosto che discussioni su proposte e orien tamenti, «piccole» reazioni «politiche» di benpensanti. Ma nel '60-'61 - sia ricordato per incidenza - ero destinato a raggiungere il massimo dell'impopolarita durante le celebrazioni per il Cente nario dell'Unita d'ltalia, soprattutto per il discorso dell'aprile del '61 al Comune di Bologna e per quello del 27 ottobre, a Torino, a Palazzo Madama, sull'emancipazione femminile (troppo «rivolu zionario» il primo, e troppo «femminista» il secondo). Non per questo fui distolto dal mio lavoro, diretto a mettere sempre meglio in evidenza il rapporto Medioevo-Rinascimento iL'eta nuova, 1969), la complessita delle tematiche in discussione (La cultura filosofica del Rinascimento italiano, 1961), i lora sviluppi fino all'Illuminismo iDal Rinascimento all'Illuminismo,
1970; Rinascite e rivoluzioni, 1975), l'intreccio delle discipline (Umanisti, artisti, scienziati nel Rinascimento italiano, 1989). Con particolare insistenza ho cercato di mettere a fuoco i legami fra cultura umanistica e scienze della natura, in fruttuosa discus sione con Klein (1961), analizzando Leonardo e Galileo, e presen tando architetti e urbanisti (Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, 1965). Ho ripreso i problemi della circolazione e tradu zione dei testi greci, dopo le mie lontane indagini sulle versioni di Platone e di Aristotele (II ritorno dei [ilosofi antichi, 1983); sono tomato sulla non immacolata nascita della scienza modema esa minando gli ambigui giuochi dell'astrologia, della magia e dell'er metismo (Ermetismo del Rinascimento, 1988). Mi sono divertito a insistere sulla nascita rinascimentale dei concetti di «Eta buia» (delle tenebre) e di Rinascimento, rna battendo sulle incertezze circa la durata di que lIe tenebre (da qualche secolo a mille anni), e sulla presenza delle filosofie della storia legate alIa teoria astro logica delle grandi congiunzioni (Lo zodiaco della vita. La polemi ca sull'astrologia dal Trecento al Cinquecento, 1976). Nelle mie peregrinazioni fra manoscritti e vecchi libri mi sono pili volte imbattuto in testi singolari, ignorati 0 ritenuti smarriti, talora importanti. Ho tuttavia avuto la rara fortuna, nel 1964, di imbattermi, riconoscere e rimettere in circolazione quello che per me e uno dei testi pili belli e significativi del Quattrocento: un folto gruppo di dialoghi latini (Intercenali) di Leon Battista Alber ti, che si credevano perduti: un ritrovamento che mi ha largamen te ricompensato di molte faticose ricerche e che nella mia memo ria resta legato alIa scuola, e ad alcuni dottissimi allievie amici del Convento dei Domenicani di Pistoia, al P. Armando Verde, storico impareggiabile della Studio Fiorentino nel Rinascimento, al P. Salvatore Camporeale, studioso eccellente del Valla, e non solo del Valla. Furono loro che mi fecero vedere, e mi chiesero di quel manoscritto senza nome d'autore della biblioteca del loro convento, e in cui riconobbi subito Ie pagine albertiane. Era l'AI berti su cui avevo insistito fino dal '50, del Momus, del Fatum et fortuna (che avevo riedito e tradotto), del Defunctus, rna anche del Theogenius: un Alberti segreto, disincantato, di un pessimi smo cupo, che la pacatezza delle opere pili note sembra sottolinea re, e che svela quanto complessa e profonda e alta sia l'ispirazio ne quattrocentesca. Quell'Alberti poi sempre ha accompagnato gli ultimi vent'anni dei miei studi sull'eta dell'Umanesimo, dalla ri
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flessione sulla trasfigurazione di Luciano agli studi e alle traduzio ni di Erasmo, che sempre piu sono convinto che conoscesse que sto Alberti, non a caso imitato anche da Ariosto. Di que lie Interce nali detti subito un'edizione, tra il '64 e il '65, come sapevo. Altri poi ha migliorato il mio testo, parecchi anni dopo, da buon filolo go. 10 misi subito a disposizione degli studiosi un testo leggibile, che a mio parere deve ormai essere tenuto presente da chiunque scriva sul Quattrocento, un testo sul quale sono tornato molte volte e a lungo, apprezzandolo sempre di piu. Di pari passo con l'approfondimento e l'estensione degli studi sul Rinascimento sono venuto ampliando anche le mie ricerche sul pensiero europeo fra 600 e 700, ritornando in qualche modo al mio punto di partenza, a proposito di quello che e stato l'inces sante moto delle idee pur nelle differenti oscillazioni da tempo a tempo. Di Descartes mi ero occupato da sempre, rna sulla fine degli anni Sessanta, preparandone un'ampia raccolta di scritti, non solo 10 rilessi tutto, rna ne stesi un profilo che, uscito nel '67 insieme alle opere, rivide la luce, corretto sistematicamente, come volume a se stante nel 1984. Era una strada che avevo gia tentato piu volte con «ritratti» - come li avevo chiamati (Ritratti di umanisti, 1967) - di grandi figure dei secoli XV e XVI, fino al profilo «popolare» di Giordano Bruno del '66, quasi contemporaneo, nella stesura, al Cartesio. E chiaro, ne c'e bisogno di sottolinear 10, che dietro una scelta del genere ci sono complessi problemi di metodo, e consapevoli scelte teoriche che non e possibile discute re qui. Resta il fatto che il taglio biografico nel caso di Descartes e stato voluto consapevolmente, e polemicamente, per sottolinea re temi e problemi che troppo spesso monografie tese a ricostru zioni sistematiche di opere e dottrine lasciano nell'ombra (Descar tes selon l'ordre des raisons, come dice il titolo di un libro ben noto). Devo aggiungere che 10 stesso stato attuale degli studi cartesiani (a cominciare da quelli sul linguaggio e sullo stile) ha moltiplicato il numero dei problemi, tanto complessi quanta fe condi. Dai «sogni» agli enigmatici frammenti giovanili, dai viaggi ai rapporti con i Rosacroce, dalla «stratificazione» di opere come Ie Regulae alIa composizione del Discours e degli Essais, Descar tes presenta problemi che solo certa improvvida superficialita di sedicenti «filosofi» pub credere di risolvere facilmente in sede metodologica.
Non meno appassionante 10 studio di Rousseau (1971), del l'opera sua e della vicenda umana, con i suoi riflessi continui nei suoi scritti, 0 quello, a cui pure ho lungamente atteso, di Male branche (1983) e della Recherche, un testo fondamentale per avvicinarsi aIle discussioni anche italiane, scientifiche non meno che filosofiche, fra 600 e 700, rna soprattutto decisivo per com prendere il groviglio di problemi che un'opera del genere pone. Avviata nel 1668, stampata la prima volta nel '74, e poi di nuovo senza posa, mutata, accresciuta progressivamente, rivista, corret ta, tagliata, con gli Eclaircissements in continua trasformazione, fino al 1712, ormai con l'attenzione tesa agli sviluppi della teoria newtoniana della luce. Come disse Fontenelle all'Accademie des Sciences il 22 aprile 1716, era ancora il sistema di Descartes, rna anche qualcosa del tutto diverso. Studiare, non diro Malebran che, rna la sola Recherche, e la sua circolazione europea, che fu eccezionale, vuol dire studiare quarant'anni di storia della filoso fia e delle scienze, e non un'opera rna tante opere, uscite in tanti anni diversi. COSt ho studiato Condillac (1977), e non solo il Trattato dei sistemi, sempre piu preoccupato di vedere con maggiore chiarez za la circolazione delle idee, appunto dal Rinascimento all'Illumi nismo, integrando il moto nella successione temporale con quello «spaziale» nella contemporaneita, Per questo ho inseguito in Ita lia Cartesio a Napoli in Tommaso Cornelio, e poi Cartesio e Bayle in Vico, e su Vico mi sono fermato a lungo, a piu riprese, discutendone anche l'indiscutibile «solitudine», rna senza riuscire a persuadermi di avere torto. Perseverare diabolicum!
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9. Proprio l'impostazione che ho sempre cercato di dare al mio modo di fare storia della filosofia (non, come e stato detto, ridur re la filosofia a storiografia, rna storia della filosofia come filoso fia), ha importato un circolo costante fra presente e passato, legan do strettamente la problematica del presente alla riflessione suI passato, rna senza mai schiacciare l'uno sull'altro. Di qui una costante attenzione alIa riflessione filosofica piu vicina, consegna ta a lavori d'insieme sulla fenomenologia (1960), su Filosofia e scienze del Novecento (1978), sullo storicismo (1983). Per quanto riguarda piu strettamente il pensiero italiano, dopo aver pubblica to nel '55 quelle Cronache che cercavano di ripercorrere la vicen
da di questa secolo, uno dei temi su cui piu mi sono fermato e stato il positivismo, la sua affermazione nell'Ottocento, la sua crisi, il suo tramonto, il suo rapporto con la cosiddetta «rinascita dell'idealismo». Di fronte a certe sue indiscriminate rivalutazioni indebitamente connesse con una rivalutazione delle scienze (di cui le scienze proprio non avevano bisogno), in tutta una serie di ricerche ho cercato di distinguere, nel positivismo ottocentesco, una feconda linea critica e metodologica, con chiare risonanze di Mill, quale si espresse in Pasquale Villari, da ambigue forme di superficiale scientismo e di metafisica naturalistica di sapore spen ceriano, cosl come nel Novecento ho piu volte sottolineato la validita dei Vailati e dei Calderoni, 0 delle ricerche nell'ambito delle scienze morali e storiche. Nello stesso tempo, anche a propo sito della polemica sul positivismo, ho cercato di rileggere pensa tori come Antonio Labriola 0 Rodolfo Mondolfo, ripercorrendo le discussioni sul marxismo e la diffusione del socialismo in Italia. D'altra parte a chi aveva vissuto la sua giovinezza sotto il fascismo non era possibile evitare di riflettere di continuo suI rapporto fra fascismo e cultura. Libri come La cultura italiana fra '800 e '900 (1962), Intellettuali italiani del ventesimo secolo (1974, 1987), Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l'Unita (1983), con l'insistente ritorno su Croce, Gramsci, Salve mini, Mondolfo, Banfi, Russo, Codignola, e altri molti, maestri e amici, vogliono di proposito intrecciare la lotta delle idee e la vicenda degli uomini.
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INDICI
INDICE DEI NOMI
Abbagnano, N., 3n, 14 e n, 34, 91, 152. Abbate, M., 96n. Acri, F., 80, 87-8. Actis Perinetti, L., 21. Adorno, Th., 149. Agnelli, G., 96. Agostino, S., 72. Alberti, L.B., 112, 138, 155-6. Alfieri, V.E., 78n, 92. Anders, G., 142. Angiulli, A., 125. Antoni, C., 33, 91. Ardigo, R., 89, 121, 125, 128. Aries, Ph., 154. Ariosto, L., 156. Aristotele, 6, 13, 38 e n, 45-6, 48n, 49n, 81, 96, 132-4, 137, 155. Averroe, 123. Avicebron, 123. Avicenna, 86n.
Berlin, I., SOn. Berti, L., 99. Bianchi Bandinelli, R., VIII. Bignone, E., 90, 121, 133. Bini, C., 98. Bloch, M., 82-3. Bobbio, N., Sin, 52n, 91, 96n, 152. Bodrero, E., 89. Boine, G., 144. Bonaventura, E., 125, 127. Bottai, G., 141. Bovelles, Ch, de, 138. Bracciolini, P., 138. Bradley, F.H., 127. Brehier, E., 6n, 16n, 58-9, 61, 68, 70-1. Brentano, F., 126-7. Bruno, G., 13, 38, 49n, 121, 128, 131, 145, 156. Brunschvicg, L., 14, 30, 8On, 83. Burke, E., 129. Burresi, P., 124. Butler, J., 128-31.
Babolin, A., 131.
Bandini, L., 130.
Banfi, A., 4n, 41n, Sin, 90-1, 158.
Barbaro, E., 134-5.
Baron, H., 140, 146.
Baruzi, J., 153.
Barzellotti, G., 89.
Basso, L., 150.
Bataillon, M., 140.
Bayle, P., 157.
Beaufret, J., 145.
Benedetto, L.F., 122.
Belloni Filippi, F., 122.
Benivieni, G., 131.
Benni, A.S., 96.
Bergson, M., 58, 126.
Berkeley, G., 4, 129-31.
Caccini, T., 138. Calamandrei, P., 28. Calderoni, M., 158. Calogero, G., 10, 90-1. Campanella, T., 46n. Camporeale, S., 155. Cantimori, D., 15n, 34n, 39n, 73n, 152. Cantoni, R., Sin, 53n, 56n, 61n, 91. Capizzi, A., 4n, 86n. Carlini, A., 6n, 122, 129. Cartesio, 6, 15n, 45, 46n, 60, 68, 71-2, 129, 131, 156-7. Cassirer, E., 27, 29, 42n, 90, 132, 134, 139.
161
Einaudi, L., 105, 123, 138. Engels, F., 27n, 47n, 11On. Enriques, F., 126. Epicuro, 70, 133. Erasmo da Rotterdam, 112 e n, 114-5, 156. Euclide, 29.
Cassuto, V., 122-3. Castelli, E., 91, 141. Castiglione, B., 112. Cattaneo, C., 103 e n. Cavour, C. Benso, conte di, 107. Cecchi, E., 154. ' Chastel, A., 146. Chiodi, P., 19, 66n. Ciardo, M., 92. Cicognani, B., 139. Clarke, S., 129-30. Codignola, E., 3n, soo, 90, 158. Codino, F., 46n. Collingwood, R.G., 38n. Comparetti, D., 121. Condillac, E.B., 157. Conti, A., 87, 125. Cornelio, T., 157. Corsano, A., lOn, 92. Cosmo, V., 95, I11n. Cousin, Y., 45n. Crescas, H., 123, 132. Croce, B., 3n, 5, 25n, 28, 36n, 37n, 44n, 56, 78n, 89, 95, 96 e n, 97 e n, 98 e n, 100-2, l06n, 109, 11On, 111, 112 e n, 114, 115 e n, 116, 120, 122, 124-6, 130, 142-4, 148, 158. Cudworth, R., 131. Curtius, E.R., 134. Cuvier, G., 5, 7, 11.
Facchi, P., 14n, 91. Fazio Allmayer, V., 5 e n, 11, 34, 35n. Febvre, L., 61, 83 e n. Ferri, E., liOn. Feuerbach. L.A., 6, 32, 50-1, 53, 128. Fichte, J.G" 45. Ficino, M., 131-2, 134, 138-9, 147. Fiorentino, F" 87-8, 133-4. Fontenelle, B., Le Bouvier de, 157. Freud, S., 127. Frondizi, R., 91. Galilei, Galileo, 72-3, 138, 155. Galli, G., 44n, 90. Gentile, G., 5 e n, 7-8, 10-1, 28, 35n, 40, 41n, 44, 55n, 88-90, 95-6, 122, 125, 133-4, 138, 141, 143-4, 148. Geymonat, L., 16n, 23, 91, 103n. Giamblico, 131. Gilson, E., 8 e n, 9-11, 59, 60 e n, 83,90. Giolitti, G., 107. Giuliano, B., 96n. Gobetti, P., 34, 103 e n, 111, 116 e n, 123. Goethe, T.W., 38n. Goldschmidt, V., 7n. Goldschmidt, W., 90. Gombrich, E.H., 146. Gouhier, H., 8n, 15n, 60 e n, 91. Gramsci, A" VII·VIII, 15n, 93-6, 97 e n, 98-102,103 e n, 105-11, 112 e n, 113-6, 143, 153, 158. Grassi, E., 141, 145. Guarini, G., 154. Gueroult, M., 6n, 91. Gusdorf, G., 91. Guzzo, A., 5n, 90.
Dal Pra, M., VII, lOn, 24, Sin, 91, 152. Dante Alighieri, 111. De Corte, M., 91. Della Casa, G., 112. Del Noce, A., 91. Dempf, A., 91. Denti, A., 61n. De Ruggiero, G., 90, 112n, 115, 130, 134, 139. De Sanctis, F., 97 e n, 103, 111-2, 115. Desanti, J.T., 49n, 74n. De Sarlo, F., 122, 124-7. De Yleeschauwer, H.J., 6n. Dilthey, W., 31, 65 e n, 69n, 70, 74n, 85, 90, 123, 128, 132, 134. Dionisotti, C., 138. Diringer, D., 123. Droysen, J.G., 73n. Duns Scoto, J., 28.
Halbwachs, M., 70 e n. Hartmann, N., 39 e n, 61-2, 63 e n, 64, 65n, 66 e n, 67, 69. Hegel, G.W.F., 6-7, 27, 33, 39, 44n, 45-6, 48 e n, 49n, 50-1, 52 e n,
Edel, A., 91. Edwards, J., 129.
162
53, 66n, 78n, 87-9, 102-3, 115, 124, 133. Heidegger, M., 19, 66n, 69n, 141, 145. Heisenberg, W., 19. Herbert di Cherbury, 130. Hobbes, Th., 38n, 129. Hoffding, H., 90, 134. Hume, D., 47, 55-6, 129-30. Husserl, E., 21, 68 e n, 69 e n, 85, 91, 126-7, 150.
Martinetti, P.,124. Marx, K., 6n, 19, 27n, 46n, 51 en, 52, 56, 66n, 74, 78n, 82, 94, 101 e n, 102-3, liOn, 114, 152. Masci, F., 119. Massolo, A., 3n, 92. Masterman, M., 63n. Mehring, F., 47n. Meinecke, F., 36n. Melantone, F., 135. Merleau-Ponty, M., 25n, 29. Messineo, A" son. Misch, G., 69n. Mondolfo, R., 13, 14n, 47n, 48n, 49n, 55n, 72, 76 e n, 89, 90-1, 132-3, 158. Montaigne, M.E., 122. Morandi, R., 35n. Moro, T., 131-2. Morpurgo-Tagliabue, G., 91. Musil, R., 142.
James, W., 128. Jaspers, K., 19. Kant, 1., 4, 6, 8-9, 12, 24, 27, 29, 38n, 45-6, 68, 107, 113, 119, 124. Keplero, G., 147. Kibre, P., 133. Klein, R., 146, 155. Kristeller, P.O., 91, 139, 146.
Nardi, B., 33 e n, 133. Newton, 1., 72, 131, 147. Nicolini, F., 25n. Nietzsche, F.W., 124. Nitschke, A., 154. Nohl, H., 65n.
Labriola, A., 97, 102, 103 e n, 11On, 115, 158. Lamanna, P.E., 124. Laterza, V., 5, 148. Lauer, Q., 68n, 69n. Leibniz, G.W., 72, 153. Lenin, N., lOin, l06n, 116n. Leonardo da Vinci, 86n, 155. Licitra, C., Sn., 89. Limentani, L., 103n, 121, 123, 125, 127-9, 130-2. Linaker, A., 119-20. Locke, J., 129-30. Lombardi, F., lOn, 91. Loria, A., 110 e n. Lovejoy, A.O., 12, 13n, 91. Lucrezio, 120. Luporini, C., 141. Lutero, M., 75, 83.
Occam, G., 83. Oggioni, E., 34n. Olgiati, F., 5, 7, 11 e n, 92. Omodeo, A., 85, 115. Paci, E., VII·VIII, 18n, 25 e n, 31, 34n, 44n, 47n, 53n, 69n, 91, 150, 152-3. Paoli, V.E., 120. Pareto, V., 120. Pareyson, L., 5n, 92. Parodi, E.G., 122. Pascal, B., 83. Pasquali, G., 121, 123. Patrizi, F., 49n. Pavolini, P.E., 122. Pegis, A.C., 10. Perelman, Ch., 146. Petrarca, F., 145. Pico della Mirandola, G.F., 132. Pica della Mirandola, G., 131-2, 134-5, 137-9, 144, 147. Pistelli, E., 121. Platone, 4, 6, 8, 12-3, 15n, 38n, 49n, 58, 60, 68, 70, 78n, 8Q-l, 96, 120, 124, 131, 134, 153, 155.
Macchiavelli, N., 83, 102-3, 111 e n, 112 e n, 113-4, Maimonide, M., 123. Malebranche, N. de, 157. Mandeville, B. de, 129-30. Mann, G., 154. Mannheim, K., 65n. Marcel, G., 31. Marchesini, G., 121, 128. Marinoni, A., 86n. Marrou, H.T., 8On.
163
Pletone (Gemisto), G., 148. Plotino, 131. Pomponazzi, P., 144. Preti, G., 4 e n, 7, 8n, 12,74 en, 91, 148, ISO-I, 153. Proclo, 131. Protagora, 4. Rabelais, F., 83. Radota, S., 103n. Ragionieri, E., 152. Rajna, P., 122. Rensi, G., 139. Ribot, Th., 127. Robespierre, M.-F.-I., 30, 75, 107. Romagnosi, G.D., 103. Rosmini, A., 10. Rossi, M.M., 4n, 130. Rossi, Paolo, 91, 151. Rossi, Pietro, 14n, 69n, 76n, 91-2. Rossi-Landi, F., 31. Rousseau, J.-J., 112n, 113-4, 128, 157. Rubinstein, N., 123. Russel, B., 121. Russel, H.W., 139. Russo, L., 111, 158.
INDICE DEL VOLUME
Spinoza, B., 27, 30, 78n, 129. Spirito, U~, VIII, 35n, 36n, 91. Stanley, Th., 131. . Stendhal, H.B., 8On. Stephen, L., 129. Stirner, M., 124. Stuart Mill, J., 123, 158. Sturzo, L., 153. Szilasi, W., 145.
Talete, 7, 27, 55n, 133. Tarozzi, G., lIOn. Tatarkiewicz, L., 6n. Teicher, J., 123. Thorndike, L., 147. Tocco, F., 88-9, 121, 125, 132-4. Toffanin, G., 137. Togliatti, P., lOIn. Tolosani, G.M., 138. Tolstoi, L.N., 80n. Tommaso, s., 72. Traherne, Th., 131. Treves, C., 97n. Troeltsch, E., 90, 134. Troilo, E., 86n. Ungari, P., 103n. Vailati, G., 103n, 128, 148, 158. Valla, L., 144, 155. Valori, P., 91. Vasa, A., 91. Vasoli, C., 151. Verde, A., 155. Verra, V., 73n. Viano, C.A., 14n, 76n, 91-2. Vico, G.B., 72-4, 136, 145, 157. Villari, P., 122, 125, 158. Vitelli, G., 121-2. Vittorino da Feltre, 154. Voltaire, F.M.A., 112.
Sabetti, A., sOn. Salinari, C., 93n. Salutati, C., 138, 140. Salvemini, G., 37n, 43n, 97n, 103n, Ill, 121, 124, 158. Sanna, G., 3n, SOn. Santucci, A., 65n. Sapegno, N., 154. Sasso, G., 92. Savonarola, G., 113. Schmitt, Ch. B., 137. Scholem, G., 123. Schopenhauer, A., 124. Seneca, L.A., 120. Serra, R., 97 e n, 101. Sestan, E., 37n. Sesto Empirico, 132. Shaftesbury, A.A.C. conte di, 129 130, 132. Sidgwick, H., 128-9. Simmel, G., 128. Smith, A., 128. Socrate, 8, 28, 31, 68, 70. Spaventa, B., 87, lIS, 125, 134. Spencer, H., 124. Spinella, M., 93n.
Wagner, A., 91. Walker, D.P., 146. Weber, M., 25n, 124. Weisenger, H., 55n. Wiener, Ph.P., 91. Windelband, W., 12, 90, 134. Wolfson H.A., 132. Wust, P., 69 e n. Yates, F., 131, 137, 146-7. Yorck von Wartenberg, P., 69n. Zambelli, P., 151. Zeller, E., 90.
164
Avvertenza
V
Avvertenza alia prima edizione
VII
La filosofia eome sapere storieo L'«Unita» nella storiografia filosofica Appendice
Filosofia e antifilosofia (Una discussione con Enzo Paci)
3
18
Osservazioni preliminari a una storia della filosofia
33
Postilla bibliografica
87
Gramsci nella cultura italiana
93
Sessanta anni dopo
117
Indice dei nomi
161
Sagittari Laterza 1. 2. 3. 4. 5.
Paolo Sylos Labini Le classi sociali negli anni '80 Giuliano Toraldo di Francia Le cose e i lora nomi Franco Ferrarotti La storia e il quotidiano Antonio Gambino Vivere con la bomba Ludovico Geymonat - Giulio Giorello Le ragioni della
scienza 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24.
Ludwig Wittgenstein Diari segreti Aldo Rizzo Guerra e pace nel Duemila Omar Calabrese L 'eta neobarocca William Barrett La morte dell'anima Franco Ferrarotti II ricordo e la temporalita Jiirgen Habermas II discorso filosofico della modernita Cesare Merlini Fine dell'atomo? Grahame Clark L 'uomo oltre la natura Achille Ardigo Per una sociologia oltre it post-mo derno Morris N. Eagle La psicoanalisi contemporanea Aldo G. Gargani Sguardo e destino Maria Luisa Dalla Chiara - Giuliano Toraldo di Francia La scimmia allo specchio. Osservarsi per conoscere Ralf Dahrendorf Per un nuovo liberalismo Antonio Cassese I diritti umani nel mondo con tempo raneo Jerome Bruner La mente a pili dimensioni Franco Ferrarotti La sociologia alla riscoperta della qualita David I. Kertzer Riti e simboli del potere Paolo Sylos Labini Nuove tecnologie e disoccupazione Carlo Sini I segni dell'anima
25. Mirko D. Grmek Aids. Storia di una epidemia at tuale 26. Alberto e Anna Oliverio Nei labirinti della mente 27. Paul K. Feyerabend Dialogo sui metodo 28. Ralf Dahrendorf II conflitto sociale nella moder nita
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