Jasper Fforde. C'È DEL MARCIO (Something Rotten 2004) Per Maddy, Rosie, Jordan e Alexander con tutto il mio amore aprile 2004 PERSONAGGI Thursday Next: Ex agente della sede di Swindon di OPS-27, reparto Detective Letterari, e attualmente a capo di GiurisFiction, il corpo di polizia che agisce all'interno della narrativa per salvaguardare la stabilità della parola scritta. Friday Next: Figlio di Thursday, due anni. Nonna Next: Residente della casa di riposo "Dolce Crepuscolo" della Goliath, a Swindon. Ha centodieci anni e non può morire finché non ha letto i dieci classici più noiosi di tutti i tempi. Wednesday Next: Madre di Thursday. Vive a Swindon. Landen Parke-Laine: Marito di Thursday; non esiste da quando la Goliath Corporation lo sradicò nel 1947 per ricattare Thursday. Mycroft Next: Inventore, zio di Thursday. Le ultime notizie lo danno in tranquillo ritiro sullo sfondo delle storie di Sherlock Holmes. Creatore, tra l'altro, del Portale della Prosa e del rilevatore preventivo di sarcasmo. Marito di Polly. Colonnello Next: Cavaliere errante e viaggiatore del tempo, fu sradicato dalla CronoGuardia, una sorta di corpo di polizia temporale. Ciononostante, è ancora in circolazione e di tanto in tanto passa a trovare Thursday. Gatto, precedentemente noto come "del Cheshire": Il superbibliotecario della Grande Biblioteca, già del Paese delle meraviglie. E agente di GiurisFiction. Pickwick: Dodo domestico con pochissimo cervello. Bowden Cable: Collega di Thursday nel reparto Detective Letterari di Swindon. Victor Analogy: Capo dei Detective Letterari di Swindon. Braxton Hicks: Comandante in capo delle Operazioni Speciali di Swindon. Daphne Farquitt: Scrittrice di romanzi rosa il cui talento è inversamente proporzionale alle vendite. Goliath Corporation: Smisurata multinazionale senza scrupoli che punta al dominio spirituale e globale. Comandante Trafford Bradshaw: Amato protagonista di avvincenti romanzi di avventura per ragazzi degli anni Venti, ormai fuori catalogo, e importante agente di GiurisFiction.
Signora Melanie Bradshaw: Una gorilla, moglie del comandante Bradshaw. Mrs Tiggy-winkle, imperatore Zhark, la Regina Rossa, Falstaff, Vernham Deane: Agenti speciali di GiurisFiction. Yorrick Kaine: Uomo politico Whig e magnate dei media. Nonché cancelliere d'Inghilterra e presto dittatore. Personaggio letterario e nemico giurato di Thursday Next. Presidente George Formby: Ottuagenario presidente d'Inghilterra, che si oppone fermamente a Yorrick Kaine e a tutto quello che rappresenta. Galles: Una repubblica socialista. Lady Emma Hamilton: Moglie dell'ammiraglio Horatio Nelson e ubriacona. Sconvolta da quando il marito morì inspiegabilmente all'inizio della battaglia di Trafalgar. Vive nella stanza degli ospiti di Mrs Next. Amleto: Un principe danese incline all'indecisione. OPS: Abbreviazione di Operazioni Speciali, i reparti speciali che affrontano tutto ciò che è troppo problematico perché se ne occupi la polizia ordinaria. Qualsiasi cosa dal viaggio nel tempo al buon gusto. Bartholomew Stiggins: Meglio conosciuto come Stig. Neandertal risequenziato dopo l'estinzione, è a capo di OPS-13 (sede di Swindon), il reparto responsabile delle specie risequenziate, come i mammut, i dodo, le tigri dai denti a sciabola e le chimere. Chimera: Qualsiasi "forma di vita non evoluta" priva di autorizzazione creata da sequenziatori genetici dilettanti. Illegale e da eliminare senza pietà. San Zvlkx: Un santo del Tredicesimo secolo le cui Rivelazioni hanno una sconcertante tendenza ad avverarsi. Superhoop: La finale della Lega mondiale croquet. Spesso violenta, sempre controversa. Lola Vavoom: Un'attrice che non compare in questo romanzo, ma che deve essere menzionata nell'elenco dei personaggi per obblighi contrattuali. Minotauro: Essere mezzo uomo e mezzo toro, figlio di Pasifae, regina di Creta. Fuggito dalla sua prigione e quindi ufficialmente PageRunner. Attuale ubicazione ignota. 1 Un minotauro cretese in Nebraska GiurisFiction è il nome del corpo di polizia che opera all'interno dei libri. Con la collaborazione dei servizi informativi della Centrale testi, i numerosi agenti delle Risorse della Prosa lavorano instancabilmente per mantenere la continuità della narrazione nelle pagine di tutti i libri di tutti i tempi. È un compito ingrato, a volte: gli agenti di GiurisFiction devono saper improvvisare, nel tentativo di conciliare i desideri originali dell'autore e le aspettative dei lettori, nell'ambito di un complesso rigido e spesso insensato di direttive emanate dal Consiglio dei generi letterari. Sono stata per più di due anni a capo di GiurisFiction e mi sono sempre stupita
della varietà del lavoro: un giorno cercavo di convincere Darcy, incredibilmente timido, a uscire dal gabinetto e il giorno dopo sventavo l'ultimo tentativo dei marziani di invadere Barnaby Rudge. Era stimolante e pieno di sorprese straordinarie. Ma quando l'insolito e il bizzarro diventano la norma, si comincia ad aspirare alla banalità. THURSDAY NEXT Cronache giurisfictionarie Il minotauro stava creando problemi sproporzionati rispetto alla sua importanza letteraria. Prima evadendo dal libro prigione fantasy La spada degli Zenohiani, poi costringendoci a inseguirlo in giro per buona parte della narrativa, eludendo tutti i tentativi di riacciuffarlo. Il mitico essere mezzo uomo e mezzo toro, figlio della regina Pasifae di Creta, era stato avvistato all'interno di I cavalieri della valle purpurea solo un mese dopo la sua evasione. All'epoca desideravamo ancora prenderlo vivo, e così lo avevamo colpito con un dardo caricato con una piccola dose di Farsa. In teoria, per trovare l'uomo bestia antropofago sarebbe bastato far caso alla comparsa improvvisa, all'interno della letteratura, di scene con torte in faccia e gente che sbatte contro un lampione mentre cammina. Era un'idea sperimentale e, purtroppo, anche un fallimento completo. A parte la famosa scena di Tutto è bene quel che finisce bene in cui Lafeu menziona un tale che salta nella crema e il ridicolo episodio del Circolo Pickwick con il calesse a quattro ruote, non notammo molto. O la dose di Farsa non era stata abbastanza forte, o era stata diluita dalla naturale avversione del Mondo dei libri alle gag visive. Insomma, in capo a due anni dalla sua fuga, lo stavamo ancora cercando nel western, in mezzo alle transumanze che il minotauro trovava tanto rilassanti . Ed era per questa ragione che il comandante Bradshaw e io arrivammo in testa di pagina 73 di un oscuro romanzo pulp intitolato Morte al ranch della doppia x. «Che ne pensi, ragazza mia?» chiese Bradshaw, i cui copricapo coloniale e sahariana si adattavano perfettamente alla torrida estate del Nebraska. Era più basso di me di quasi tutta la testa, ma aveva quasi quarant'anni di più; la pelle seccata dal sole e i baffi bianchissimi erano un retaggio dei molti anni trascorsi nella narrativa coloniale ambientata in Africa: era stato il protagonista dei ventitré romanzi della serie "Il comandante Bradshaw", ripubblicati per l'ultima volta nel 1932 e letti per l'ultima volta nel 1963. Molti personaggi letterari vivono solo in funzione della loro popolarità, il comandante Bradshaw no. Dopo aver trascorso una vita avventurosa e interamente di fantasia a difendere l'Africa Orientale Britannica contro una folla di avversari improbabili e a uccidere quasi tutti gli animali che è possibil e uccidere, ora si godeva la pensione ed era molto richiesto da GiurisFiction: la sua impassibilità di fronte al nemico e la sua conoscenza del Mondo dei libri ne facevano uno degli agenti più preziosi. Stava indicando un cartello semidistrutto dalle intemperie che spiegava che la cittadina a meno di un chilometro da noi era nota con l'ottimistico nome di Providence e vantava 2.387 abitanti. Mi schermai gli occhi dal sole e mi guardai attorno. Un tappeto di arbusti di artemisia si stendeva ininterrottamente fino alle montagne, a una decina di chilometri di distanza. La vegetazione si ripeteva periodicamente, rivelando le sue origini letterarie. La natura caotica del Mondo reale che ci dà colline dalle curve morbide e chiazze casuali di bosco e di siepi all'interno della narrativa era sostituita da un paesaggio composto da campionature sistematiche della descrizione iniziale fatta dall'autore. Nel mondo fittizio in cui risiedevo, una foresta aveva solo otto alberi diversi, una spiaggia solo cinque ciottoli diversi, un cielo dodici nuvole diverse. Una siepe si
ripeteva identica a sé stessa ogni due metri e mezzo, una catena montuosa ogni sei vette. All'inizio non mi dava particolarmente fastidio, ma dopo due anni vissuti nella narrativa cominciava a mancarmi un mondo in cui ogni albero, ogni sasso, ogni collina, ogni nuvola avevano una forma e un'identi tà unica. E i tramonti. Mi mancavano più di ogni altra cosa. Anche quelli descritti meglio non reggevano neanche lontanamente il paragone con i tramonti veri. Non vedevo l'ora di ammirare di nuovo le sfumature delicate del cielo mentre il sole scendeva sotto l'orizzonte. Dal rosso all'aran cione, al rosa, all'azzurro, al blu, al nero. Bradshaw guardò nella mia direzione e inarcò un sopracciglio con fare interrogativo. Nel mio ruolo di Banditore - capo di GiurisFiction - non sarei dovuta andare in missione sul campo, ma non sono mai stata un tipo da scrivania e catturare il minotauro era importante. Aveva ucciso uno dei nostri, era un conto da regolare. Nel corso dell'ultima settimana lo avevamo cercato senza successo in tre romanzi epici sulla guerra civile, tre storie di frontiera, ventotto western di buona qualità e novantasette novelle di valore dubbio, prima di ritrovarci all'interno di Morte al ranch della doppia x, al confine estremo di quella che si poteva definire prosa accettabile. Avevamo fatto sempre cilecca. Niente minotauro, neppure l'odore e, credetemi, di odore ne lasciano. «Ne varrà la pena?» chiese Bradshaw, additando il cartello di Providence. «Proviamo» risposi, inforcando gli occhiali da sole e consultando la mia lista di possibili nascondigli del minotauro. «Se va buca anche qui ci fermiamo a mangiare, prima di buttarci in Oklahoma Kid». Bradshaw annuì, aprì la culatta del fucile da caccia e inserì una cartuccia. Era un'arma convenzionale, ma caricata con munizioni non convenzionali. La nostra posizione di corpo di polizia all'interno della narrativa ci dava accesso alla tecnologia letteraria. Un colpo dell'eraserhead dal fucile di Bradshaw e il minotauro sarebbe stato ridotto ai componenti elementari della sua esistenza letteraria: testo e una nebbiolina azzurra, tutto quello che rimane quando vengono recisi i legami che tengono insieme testo e significat o. Non potevano accusarci di crudeltà, visto che all'ultimo censimento dei mostri risultava più di un milione di minotauri quasi identici, tutti al sicuro all'interno di centinaia di libri, graphic novel e urne che li raffiguravano. Il nostro era diverso, era un fuggitivo. Un PageRunner. Via via che ci avvicinavamo ci raggiungevano i suoni di un'animata città di confine del Nebraska. Stavano innalzando un nuovo edificio e il rumore delle martellate si alternava a quello degli zoccoli dei cavalli, al tintinnìo dei finimenti e al rombo delle ruote dei carri sulla terra battuta. Il tintinnio metallico del martello del fabbro si mescolava alle note lontane di un coro dalla chiesa in legno, e tutt'attorno si sentiva il generico chiacchiericcio dei cittadini affaccendati. Arrivammo all'angolo della Stalla di Eckley e buttammo uno sguardo cauto lungo la strada principale. Providence, come la vedevamo adesso, si stava godendo felicemente un tranquillo antefatto, in attesa paziente dell'ingresso del protagonista, di lì a due pagine. Non ci tenevamo a piombare nella narrazione principale e a farci coinvolgere dalla storia, e dal momento che anche il minotauro evitava la fase dell'azione, avevamo qualche possibilità di imbatterci in lui solo in luoghi come questo. Ma se, per qualsiasi ragione, la storia si fosse avvicina ta troppo, non sarei stata colta alla sprovvista: avevo in tasca un Rilevatore di prossimità narrativa che avrebbe suonato l'allarme se la trama fosse passata troppo vicino. Avremmo potuto nasconderci in attesa che si allontanasse di nuovo. Un cavallo ci superò mentre percorrevamo il porticato scricchiolante
lungo la facciata del saloon. Fermai Bradshaw quando arrivammo alle porte a battente, proprio nell'istante in cui l'ubriaco locale veniva scaraventato in strada. Il barista uscì a sua volta, pulendosi le mani con uno straccio. «E non farti vedere finché non puoi pagare!» urlò, fissandoci sospettoso. Mostrai al barista il mio distintivo di GiurisFiction mentre Bradshaw si muoveva circospetto. Il genere western aveva di gran lunga troppi pistoleri: c'era stato un equivoco sulla quantità inserita nel modulo di richiesta in fase di impostazione. Lavorando in un western potevano toccarti fino a ventinove sparatorie all'ora. «GiurisFiction» dichiarai. «Lui è Bradshaw, io sono Next. Stiamo cercando il minotauro». Il barista mi lanciò uno sguardo freddo. «Mi sa che sei nel genere sbagliato, bella» disse. Tutti i personaggi o i Generici di un libro sono classificati da A a D, da 1 a 10. Quelli di categoria A sono i Gatsby e le Jane Eyre, quelli di categoria D sono le comparse impiegate per le scene di strada e le stanze affollate. Il barista pronunciava qualche battuta, quindi doveva essere un 02. Abbastanza intelligente da poterci rispondere, ma non al punto di avere un vero carattere. «Forse si fa chiamare Norman Johnson» proseguii, mostrandogli una foto. «Alto, corpo da uomo, testa da toro, gli piace mangiare la gente...» «Non vi ci posso aiutare» disse, scuotendo la testa lentamente mentre guardava la foto. «Niente episodi di farsa?» chiese Bradshaw. «Guantoni da boxe che saltano fuori da una scatola, pesi da sedici tonnellate che cascano in testa alla gente, cose così?» Il barista rise. «Pesi che cascavano non ne ho visti, ma mi hanno detto che lo sceriffo s'è beccato una padellata in faccia, martedì scorso». Bradshaw e io ci scambiammo un'occhiata. «Dove possiamo trovare lo sceriffo?» domandai. Seguimmo le indicazioni del barista e camminammo lungo il porticato di legno superando la bottega di un barbiere e due cercatori d'oro brizzolati che parlavano animatamente in autentico gergo incomprensibile di frontiera. Fermai Bradshaw quando arrivammo a un vicolo. C'era una sparatoria in corso. O meglio, ci sarebbe stata una sparatoria se non fosse scoppiata una discussione a proposito degli orari riservati ai rispettivi scontri. Entramb e le coppie di pistoleri - due con abiti di colore chiaro e due in scuro, cinturoni calati in basso e decorati con file di cartucce lucenti - stavano liti gando a proposito del programma delle sparatorie, sotto gli sguardi ansiosi di due donne identiche. Intervenne il sindaco, dichiarando che se avessero continuato così, si sarebbero giocati il turno entrambi e avrebbero dovuto ripresentarsi l'indomani, al che i pistoleri si rassegnarono a lanciare una moneta. I vincitori trotterellarono sulla strada principale, e tutti gli alt ri diligentemente al riparo. I duellanti si fronteggiarono a venti passi di distanz a, con le mani che fluttuavano sopra le Colt 45. Ci fu un attimo di movimenti frenetici, due spari fragorosi: uno dei pistoleri in nero finì a terra e il vincitore distolse, torvo, lo sguardo. Il colpo dell'avversario si era limitato a fargli volar via drammaticamente il cappello. La sua donna corse ad abbracciarlo mentre lui mulinava il revolver e lo rinfoderava. «Che mucchio di frescacce» borbottò Bradshaw. «Il vero West non era così!» Morte al ranch della doppia x era ambientato nel 1875 ed era stato scritto nel 1908. Abbastanza vicino da essere storicamente accurato, si sarebbe potuto pensare, e invece no. La maggior parte dei western tendevano a mostrare una versione agghindata del vecchio West che non era mai esistita. Nel vero West una sparatoria era una rarità, colpire qualcuno con una Colt
45 a canna corta a distanza maggiore di pochi metri era pressoché impossibile: la polvere da sparo, verso il 1870, generava un mucchio di fumo; due colpi in un bar affollato e tutti cominciavano a tossire, senza vederci quasi più. «Non è questo il punto» risposi mentre trascinavano via il pistolero morto. «La leggenda è più facile da comprendere, e non dimenticare che ci troviamo in un pulp, al momento - la scrittura scadente è molto più comune di quella buona - e sarebbe troppo sperare che il nostro amico taurino si nasconda in Zane Grey o in Owen Wister». Proseguimmo oltre l'Hotel Majestic quando in una nuvola di polvere arrivò rombando una diligenza. Il cocchiere faceva schioccare la lunga frusta sulle teste dei cavalli. «Di qua» disse Bradshaw, indicando un edificio dall'altra parte della strada che si distingueva dal resto della cittadina di legno per essere fatto di mattoni. Sopra la porta era dipinta la scritta "Sceriffo". Attraversammo rapidamente: il nostro abbigliamento non western era un po' fuori luogo in mezzo agli abiti lunghi, le cuffie e le brache, le giacche, gli spolverini, i panciotti, i cinturoni e le cravatte sottili. Solo gli agenti di GiurisFiction acquartierati stabilmente si prendevano la briga di vestirsi in modo adeguato, e molti di quelli in servizio nei western erano personaggi dei libri che pattugliavano, e quindi non avevano bisogno di travestirsi. Bussammo ed entrammo. Dentro era buio rispetto all'esterno luminoso e battemmo le palpebre per un po' prima di abituarci alla penombra. Sul muro alla nostra destra c'era una bacheca generosamente coperta di manifesti di "Wanted", che non si riferivano solo al Nebraska, ma al Mondo dei libri in generale; un foglio ingiallito offriva trecento dollari per informazioni che aiutassero a rintracciare Big Martin. Sotto c'era una tazza da caffè scheggiata su una stufa di ghisa, e sul muro di sinistra un armadietto per le armi. Un gatto tigrato era adagiato su un grande cassettone. La parete di fondo era formata dalle sbarre delle celle, in una delle quali un ubriaco russava rumorosamente su una branda. In mezzo alla stanza c'era un'ampia scrivania su cui erano impilate scartoffie: circolari dell'Assemblea del Nebraska, alcuni emendamenti alle leggi sulla narrativa del Consiglio dei generi letterari, il bollettino di una società di esperti di campane e un catalogo Sears / Roebuck aperto alla pagina "Accessori e bigiotteria". Sulla scrivania c'era anche un paio di stivali di cuoio consumati, con dentro due piedi attaccati a loro volta allo sceriffo. Ai suoi abiti, perlopiù neri, non avrebbe fatto male una lavata. Portava una stella di latta appuntata al panciotto e tutto quello che si vedeva del viso erano le estremità di un gran paio di baffi grigi che spuntavano dallo Stetson abbassato sulla faccia. Dormiva profondamente in equilibrio precario sulle gambe posteriori di una sedia che scricchiolava a ritmo con il suo russare. «Sceriffo?» Nessuna risposta. «SCERIFFO!» Si svegliò di soprassalto, fece per alzarsi, si sbilanciò e cadde all'indietro. Rovinò pesantemente a terra e urtò il cassettone, su cui si trovava per caso una brocca d'acqua. La brocca si rovesciò e il suo contenuto inzuppò lo sceriffo, che ruggì dalla sorpresa. Il rumore spaventò il gatto, che si svegliò stridendo e saltò sulle tende, che piombarono fragorosamente sulla stufa di ghisa, versando il caffè e facendo prendere fuoco alla stoffa asciutta e infiammabile. Mi lanciai a spegnerla e urtai la scrivania, smuovendo il revolver carico del tutore dell'ordine, che cadde a terra, sparando un colpo che recise il cordone a cui era appesa una testa d'alce impagliata che finì addosso a Bradshaw. Ed eccoci, tutti e tre: io che cercavo di spegnere il fuoco, lo sceriffo grondante e Bradshaw che sbatteva contro i mobili nel tentativo di sfilarsi la testa d'alce. Era esattamente quello che stavamo cercan do: un'esplosione di farsa esagerata e del tutto inappropriata.
«Sceriffo, non sa quanto mi dispiace» borbottai in tono di scusa, dopo aver spento il fuoco, dealcizzato Bradshaw e aiutato un tutore dell'ordine molto bagnato a rimettersi in piedi. Era alto un metro e ottanta, aveva una faccia avvizzita e occhi di un blu carico. Mostrai il distintivo. «Thursday Next, capo di GiurisFiction. Questo è il mio collega, il comandante Bradshaw». Lo sceriffo si rilassò e riuscì perfino ad abbozzare un lieve sorriso. «Credevo che eravate altri di quei Baxter» disse, spolverandosi e asciugandosi i capelli con un canovaccio Bordelli di Dawson City. «Mi è andata bene. GiurisFiction, eh? È un secolo che non vi si vede... piantala, Howell». L'ubriaco, Howell, si era svegliato e chiedeva un goccetto "per rimettersi in sesto". «Stiamo cercando il minotauro» spiegai, mostrando la foto allo sceriffo. Si passò una mano sulla barba ispida, pensoso, e scosse la testa. «Non mi dice niente 'sto ceffo, Mrs Next». «Abbiamo ragione di credere che sia passato da poco nel suo ufficio: è stato marcato con una dose di Farsa». «Ah!» esclamò lo sceriffo. «Me lo stavo proprio chiedendo, che succedeva. È un sacco che io e Howell, qui, inciampiamo e caschiamo. Vero, Howell?» «Ti ci puoi giocare la buccia» disse l'ubriaco. «Forse è travestito e agisce sotto falso nome» suggerii. «Il nome Norman Johnson le dice nulla?» «Mi sa proprio di no, signora. Abbiamo ventisei Johnson qui, ma sono tutti C-7. Troppo poco importanti per avere un nome di battesimo». Disegnai uno Stetson sulla foto del minotauro, e poi uno spolverino, un panciotto e un cinturone. «Oh!» fece lo sceriffo, riconoscendolo improvvisamente. «Questo Johnson!» «Sa dove si trova?» «Eccome. Ce l'ho avuto in gattabuia giusto la settimana scorsa con l'accusa di essersi mangiato un ladro di bestiame». «E che cosa è successo?» «Ha pagato la cauzione ed è stato rilasciato. Non c'è scritto da nessuna parte nelle leggi del Nebraska che non ti puoi mangiare un ladro di bestiame. Un attimo». Si era sentito uno sparo, seguito da varie grida di passanti spaventati. Lo sceriffo controllò la Colt, aprì la porta e uscì. Solo, in mezzo alla strada, ad affrontarlo c'era un giovanotto dall'aria concentrata, la mano a mezz'aria sopra la pistola, con l'elegante fondina legata alla coscia: segno certo di un'a ltra sparatoria imminente. «Vattene a casa, Abe!» gridò lo sceriffo. «Oggi non è una buona giornata per morire». «Hai ucciso il mio paparino» urlò il giovanotto «e il paparino del mio paparino. E il paparino del suo paparino. E i miei fratelli Jethro, Hank, Hoss, Red, Peregrine, Marsh, Junior, Dizzy, Luke, Peregrine, George e tutti gli altri. Ti sfido, sbirro». «Hai detto due volte Peregrine». «Era un tipo speciale». «Abel Baxter» bisbigliò lo sceriffo a mezza bocca «uno dei Baxter. Si fanno vivi regolari come un orologio e io li ammazzo regolare uguale». «Quanti ne ha uccisi?» sussurrai di rimando. «L'ultima volta che li ho contati, più o meno sessanta. Vattene a casa, Abe, non te lo ripeto più!» Il giovane fece caso a Bradshaw e a me e chiese: «Nuovi vicesceriffi? Ne avrai bisogno, sceriffo!» E fu in quel momento che ci accorgemmo che Abel Baxter non era solo. Dalle stalle di fronte uscirono quattro personaggi dall'aria losca. Ne fui allar mata.
Sembravano in qualche modo fuori posto all'interno di Morte al ranch della doppia x. Per cominciare, nessuno di loro era vestito di nero, né avevano doppi cinturoni di cuoio lavorato con revolver cromati. I loro speroni non tintinnavano mentre camminavano e le loro fondine erano semplici e portate in alto sui fianchi. Le armi che questi tipi avevano scelto erano fucili Winchester. Notai con un tremito che a uno degli uomini mancava un bottone dal panciotto liso e aveva la suola di uno stivale scollata sulla punta. Attorno alle loro facce sporche e imbrattate ronzavano le mosche, e i segni di sudore sui cappelli li avevano scoloriti fino a metà altezza. Questi non erano pistoleri generici 02 del romanzetto pulp, ma A-7 ben caratterizzati di un romanzo con descrizioni di buona qualità. E se erano bravi a sparare quanto il loro autore a crearli, eravamo nei guai. Se ne era reso conto anche lo sceriffo. «Dove li hai pescati i tuoi amici, Abe?» Uno degli uomini, che teneva il fucile poggiato nell'incavo del gomito, rispose con una parlata del Sud molto strascicata: «Ci ha mandato Johnson». E aprirono il fuoco. Senza attesa, senza senso del pathos, senza ritmo narrativo. Bradshaw e io avevamo già cominciato a muoverci: fronteggiare uno scagnozzo armato di fucile sembrerà una cosa da uomini veri, ma ai fini della sopravvivenza non dà nessuna chance. Purtroppo lo sceriffo non se ne rese conto finché non fu troppo tardi. Se fosse sopravvissuto fino a pagina 164, come era destinato a fare, si sarebbe preso una pallottola, sarebbe rotolato a terra due volte dopo un crescendo drammatico di due scene e sarebbe vissuto abbastanza da dare un caloroso addio alla fidanzata, che lo avrebbe stretto tra le braccia negli ultimi, incruenti momenti. Niente del genere. In Morte al ranch della doppia x stava facendo il suo sgradito ingresso la vera morte violenta. Il proiettile di grosso calibro penetrò nel torace dello sceriffo e uscì dalla schiena, lasciando un foro d'uscita delle dimensioni di un piattino. Franò senza eleganza sulla faccia e rimase perfettament e immobile con un braccio piegato in fuori a un'angolazione impossibile per un vivo e l'altro ripiegato sotto il corpo. E nemmeno si sdraiò: restò sulle ginocchia col sedere per aria. I pistoleri smisero di sparare appena non ebbero più un bersaglio, ma Bradshaw, con l'istinto da cacciatore all'erta, aveva già preso di mira l'assassin o dello sceriffo e aveva sparato. Ci fu una detonazione incredibile, un lampo e una grossa nuvola di fumo. L'eraserhead andò a segno e il pistolero si disintegrò a metà di un passo in un rapido crisantemo di testo che si sparse per la via, mentre il significato delle parole si disfaceva in una nebbiolina celeste che fluttuò vicino al suolo per qualche momento prima di evaporare. «Che cosa stai facendo?» chiesi, infastidita dalla sua irruenza. «Lui o noi, Thursday» rispose Bradshaw risoluto, abbassando la leva del suo fucile Martini-Henry per ricaricarlo, «lui o noi». «Hai visto di quanto testo era composto?» replicai con rabbia. «Era lungo quasi un capoverso. Solo i personaggi con un ruolo vero e proprio hanno una descrizione del genere. Ora c'è un libro a corto di un personaggio!» «D'accordo» ribatté Bradshaw in tono risentito «ma come facevo a saperlo prima di sparargli?» Scossi la testa. Forse Bradshaw non aveva notato il bottone mancante, le chiazze di sudore e le scarpe malconce, ma io sì. Cancellare un personaggio effettivo significava troppe scartoffie per gusto mio. Dai moduli F36/34 (Disinventariamento di eraserhead) e B9/32 (Sostituzione di personaggio) fino al modulo P13/36 (Valutazione del danno narrativo), mi ci sarebbero voluti due giorni sani. Pensavo che la burocrazia fosse d'intralcio nella vita vera, ma qui nel mondo di carta era onnipresente. «E allora che facciamo?» domandò Bradshaw. «Chiediamo gentilmente se per cortesia si arrendono?» «Sto pensando» risposi, tirando fuori il notofono e premendo il pulsante
con scritto Gatto. Nella narrativa, il mezzo di comunicazione più diffuso erano le note a piè di pagina, ma quaggiù... «Dannazione!» dissi di nuovo. «Non c'è campo». «Il ripetitore più vicino si trova in Il Virginiano» osservò Bradshaw mentre sostituiva la cartuccia usata e richiudeva la culatta prima di affacciars i sulla strada. «E non si può saltare direttamente da un romanzo pulp a un classico». Aveva ragione. Erano quasi sei giorni che passavamo da un libro all'altro e, anche se in caso di emergenza avremmo potuto fuggire, questo avrebbe dato al minotauro tutto il tempo per sparire di nuovo. Le cose non stavano andando bene, ma neanche male... per ora. «Ehi!» gridai dall'ufficio dello sceriffo. «Vogliamo parlare!» «Sul serio?» si sentì una voce nitida da fuori. «Johnson dice che non ha più niente da dire, se non gli offrite un'amnistia». «Ne possiamo parlare!» risposi. Un cicalino mi suonò in tasca. «Dannazione» bofonchiai, consultando il Rilevatore di prossimità narrativa. «Bradshaw, la trama si sta dirigendo qui da est, è a duecentocinquanta metri in avvicinamento. Pagina 74, riga 6». Bradshaw aprì rapidamente la sua copia di Morte al ranch della doppia x e scorse la riga col dito. "...McNeil entrò a cavallo nella città di Providence, in Nebraska, con in tasca cinquanta centesimi e in testa la voglia di uccidere..." Mi affacciai cautamente alla finestra. In effetti un uomo su un cavallo baio stava entrando lentamente in città. Nella sostanza, non sarebbe importato molto se avessimo modificato leggermente la storia, visto che questo romanzo era stato letto solo sedici volte negli ultimi dieci anni, ma il codice che seguivamo era ferreo. "Mantenete la storia come l'ha voluta l'autore!" era una massima che mi era stata inculcata fin dall'inizio del mio addestramento . L'avevo infranta una volta e ne stavo pagando le conseguenze: non volevo rifarlo. «Devo parlare con Johnson» urlai tenendo un occhio su McNeil, che era ancora abbastanza lontano. «Nessuno parla con Johnson se non lo decide Johnson» ribatté la voce «ma a me mi ha detto che se gli offrite un'amnistia, se la prende e promette di non mangiarsi più nessuno». «'A me mi'?» si indignò Bradshaw. «Intollerabile!» «Non patteggiamo se non mi fate incontrare Johnson!» gridai a mia volta. «Allora non se ne fa niente!» risposero. Guardai di nuovo fuori e vidi apparire altri tre pistoleri. A quanto pareva, il minotauro si era fatto un sacco di amici da quando si trovava nel western. «Ci servono rinforzi» mormorai. Chiaramente Bradshaw la pensava allo stesso modo. Aprì il suo manuale giurisfictionario e tirò fuori qualcosa che somigliava a una pistola lanciarazzi. Era un segnatesto, che poteva essere usato per mandare segnali agli altri agenti di GiurisFiction. Il manuale giurisfictionario era dimensionalmente molteplice: l'apparecchio era più grande del libro che lo conteneva. «GiurisFiction sa che ci troviamo nel genere pulp western; è solo che non sanno dove. Mando un segnale». Impostò il segnatesto che avrebbe piazzato usando una manopola sul retro della pistola; arrivò alla porta, puntò in aria e fece fuoco. Si sentì un colpo sordo e il proiettile sfrecciò verso l'alto. Esplose senza rumore e per un attimo vidi il testo della pagina in grigio pallido contro l'azzurro del ciel o. Le parole erano proiettate da dietro, ovviamente, e guardando la copia di Bradshaw di Morte al ranch della doppia x notai che nella parola ProVIDence erano apparse delle maiuscole. Presto sarebbero arrivati i rinforzi: avremmo affrontato i pistoleri come si doveva. La domanda era: il minotauro
se la sarebbe data a gambe o avrebbe combattuto fino all'ultimo? «I fischiabotti non ci fanno paura, bella» disse di nuovo la voce. «Esci fuori o dobbiamo venire a prenderti?» Guardai Bradshaw, che stava sorridendo. «Che c'è?» «È uno spasso, non trovi?» chiese il comandante, ridacchiando come uno scolaretto appena sorpreso a sgraffignare mele. «Molto più divertente che andare a caccia di elefanti, lottare corpo a corpo con i leoni e restituire ninnoli tribali rubati da stranieri senza scrupoli». «Lo pensavo anch'io» dissi tra i denti. Due anni di missioni come questa erano stati piacevoli e stimolanti, ma non privi di momenti di terrore, incertez za e panico. E avevo un bambino di due anni che aveva bisogno di più attenzioni di quante riuscissi a dargliene. La tensione di dirigere GiurisFiction ormai si stava facendo sentire da parecchio e avevo bisogno di tornare nel Mondo reale, per un bel po'. Me ne ero resa conto circa sei mesi prima, subito dopo l'avventura meglio conosciuta come Il grande fallimento del caso Samuel Pepys, ma avevo lasciato correre. Ora quella sensazione stava tornando, più forte che mai. Cominciò a sentirsi dall'alto un rombo sordo e profondo. Le finestre tremavano nelle intelaiature e cadeva polvere dai cornicioni. Si aprì una crepa nell'intonaco e una tazza vibrò fino al bordo del tavolo e cadde a terra. Un vetro si frantumò e un'ombra piombò sulla strada. Il rombo profondo aumentò di intensità, coprendo gli ululati lamentosi del Rilevatore di prossimità narrativa, fino a diventare così forte che non sembrava neanche più un suono: solo una vibrazione che scuoteva l'ufficio dello sceriffo con tanta violenza che mi si confondeva la vista. Poi, quando l'orologio si staccò dal muro e andò in pezzi, mi resi conto di che cosa stava succedendo. «Oh... NO!» urlai seccata mentre il rumore calava verso un sordo ruggito. «Altro che sparare con un cannone a una mosca!» «L'imperatore Zhark?» chiese Bradshaw. «Chi altri oserebbe pilotare un incrociatore da battaglia zharkiano in un pulp western?» Guardammo fuori: l'immane astronave stava passando sopra di noi; i propulsori orientabili si rivolgevano verso il basso emettendo uno sbuffo incandescente concentrato che sollevò una tempesta di polvere e rifiuti e incendiò le stalle. L'enorme mole dell'incrociatore da battaglia rimase sospesa per un momento quando si aprì il carrello d'atterraggio, poi toccò delicatamente il suolo... esattamente su McNeil e il suo cavallo, che furono spiaccicati fino a raggiungere lo spessore di una monetina. Mi caddero le braccia, pensando alle scartoffie da compilare che aumentavano esponenzialmente. Gli abitanti della città correvano in preda al panico, i cavalli si imbizzarrivano, e i pistoleri sparavano inutilmente contro lo scafo corazzato dell'astronave. Nel giro di qualche attimo dall'incrociatore da battaglia interstellare era sbarcato un piccolo esercito di soldati con le più avanzate armi zharkiane. Gemetti. Non era la prima volta che l'imperatore si faceva prendere la mano in situazioni del genere. Protagonista malvagio degli otto libri della serie "L'imperatore Zhark", il più temuto imperatore-dio tirannico signore della parte nota della galassia non sembrava avere ben chiaro il concetto di "moderazione". Nel giro di pochi minuti era tutto finito. Gli A-J erano stati uccisi o messi in fuga nei rispettivi libri, e i marines zharkiani erano partiti alla ricerca del minotauro. Si sarebbero potuti risparmiare lo sforzo. Il minotauro sarebbe sparito per un bel po'. Avremmo dovuto capire da dove venivano gli A-7 e McNeil e sostituirli, ristrutturare tutto il libro per eliminare l'incroci atore da battaglia del Ventiseiesimo secolo che era giunto senza invito nel Nebraska del 1875. Era una clamorosa violazione del Codice contro la contaminazione dei generi che cercavamo di far rispettare all'interno della narrativa. Non me ne sarebbe importato più di tanto se fosse stato un caso
isolato, ma Zhark lo faceva troppo spesso per lasciar correre. Non riuscivo quasi a controllarmi, mentre l'imperatore scendeva dalla sua astronave insieme a un bizzarro seguito di alieni e Mrs Tiggy-winkle, anche lei agente di GiurisFiction. «COSA CREDI DI FARE?!?» «Oh!» fece l'imperatore, colto alla sprovvista dalla mia irritazione. «Pensavo che ti avrebbe fatto piacere vederci!» «La situazione era brutta ma non irrimediabile» dissi, indicandogli la città. «Ti rendi conto di che cosa hai fatto!» Si guardò attorno. I passanti spaventati cominciavano a riaffacciarsi tra i resti degli edifici. Non accadeva niente di così strano in un western da quando un succhiacervelli alieno era fuggito dalla fantascienza ed era stato catturato all'interno di La mesa del cavallo selvaggio. «Me lo fai ogni volta! Non hai idea di che cosa siano la discrezione e la sottigliezza?» «In effetti, no» rispose l'imperatore, guardandosi nervosamente le mani. «Mi dispiace». Il suo seguito di alieni, per evitare di rimanere in giro e rischiare di prendersi anche loro una lavata di capo, rientrarono camminando, strisciando o fluttuando nell'astronave di Zhark. «Avevate mandato un segnatesto...» «E allora? Non riesci a entrare in un libro senza distruggere tutto quello che incontri?» «Calmati, Thursday» disse Bradshaw, posandomi una mano sul braccio per placarmi, «abbiamo chiesto aiuto, e se il più vicino era il nostro caro Zhark, non puoi prendertela con lui per averci aiutato. Dopotutto, se consideri che è abituato a devastare intere galassie, incendiare solo la città di ProVIDence e non tutto il Nebraska è stata un'impresa...» La voce gli si affievolì prima di aggiungere: «...per lui». «AHHH!» gridai esasperata, tenendomi la testa. «Qualche volta penso di essere...» Mi interruppi. Di tanto in tanto perdo la calma, ma raramente con i miei colleghi, e quando succede vuol dire che si sta mettendo male. Quando avevo cominciato questo lavoro mi divertivo molto: per Bradshaw era ancora così. Per me, ultimamente, il divertimento era scomparso. Non andava bene. Ne avevo abbastanza. Avevo bisogno di tornare a casa. «Thursday?» chiese Mrs Tiggy-winkle, preoccupata per il mio silenzio improvviso. «Stai bene?» Si avvicinò troppo e mi punse con un aculeo. Gemetti, massaggiandomi il braccio, e lei saltò indietro cercando di nascondere l'imbarazzo. I porcospini alti un metro e ottanta hanno la loro etichetta. «Sto benissimo» risposi cercando di ricompormi. «È solo che le cose stanno, be', schizzando fuori controllo». «Che cosa intendi?» «Che cosa intendo? Che cosa intendo? Be', stamattina stavo dando la caccia a una bestia mitologica seguendo una scia di torte in faccia per il vecchio West, e oggi pomeriggio un incrociatore da battaglia del Ventiseiesimo secolo atterra a ProVIDence, Nebraska. Non ti suona un po' folle?» «Siamo nella narrativa» disse candidamente Zhark «devono succedere cose strane». «Non a me» dichiarai con un tono che non ammetteva repliche. «Voglio vedere qualche parvenza di... di realtà nella mia vita». «Realtà?» fece eco Mrs Tiggy-winkle. «Un posto dove i porcospini non parlano e non fanno il bucato?» «Ma chi dirigerà GiurisFiction?» chiese l'imperatore. «Sei la migliore che abbiamo mai avuto!» Scossi la testa, alzai gli occhi al cielo e raggiunsi il punto in cui il suolo era disseminato del testo del pistolero A-7. Raccolsi una D e me la rigirai tra le mani. «Ripensaci, ragazza mia» disse il comandante Bradshaw, che mi aveva
seguito. «La realtà è ampiamente sopravvalutata». «Mai abbastanza, Bradshaw» risposi alzando le spalle. «Spesso il ruolo più ambito non è il più facile». «Riposa a disagio una testa che cinge una corona» mormorò Bradshaw, che probabilmente era quello che mi capiva meglio. Lui e sua moglie erano i migliori amici che avessi nel Mondo dei libri; Mrs Bradshaw e mio figlio erano praticamente inseparabili. «Sapevo che non saresti rimasta per sempre» continuò Bradshaw, abbassando la voce in modo che gli altri non potessero sentire. «Quando te ne andrai?» Mi strinsi tra le spalle. «Appena posso. Domani». Guardai attorno a me la distruzione seminata da Zhark in Morte al ranch della doppia x. Mi aspettava un gran lavoro di ripristino, una montagna di scartoffie. E si rischiava un provvedimento disciplinare se il Consiglio dei generi letterari subodorava che cosa era successo. «Direi che prima dovrò completare le pratiche burocratiche per questo disastro» mormorai. «Facciamo tre giorni». «Hai promesso di sostituire Giovanna d'Arco mentre frequentava il corso di aggiornamento per martiri» aggiunse Mrs Tiggy-winkle, che si era avvicinata alla chetichella. Me n'ero dimenticata. «Una settimana, allora. Me ne andrò tra una settimana». Rimanemmo tutti in silenzio, io pensando al mio ritorno a Swindon, gli altri valutando le conseguenze della mia partenza, tranne l'imperatore Zhark, che probabilmente stava meditando di invadere il pianeta Thraal, così, per divertimento. «Hai proprio deciso?» chiese Bradshaw. Annuii lentamente. Avevo anche altre ragioni per tornare nel Mondo reale, più pressanti della follia guerrafondaia di Zhark. Avevo un marito che non esisteva e un figlio che non poteva passare tutta la vita racchiuso nei libri. Mi ero ritirata nella vecchia Thursday, quella che preferiva le certezze in bianco e nero della polizia letteraria alle sfumature ambigue di grigio delle emozioni. «Sì, ho deciso» risposi sorridendo. Guardai Bradshaw, l'imperatore e Mrs Tiggy-winkle. Nonostante tutti i loro difetti, mi aveva fatto piacere lavora re con loro. Non era stato poi così male. In GiurisFiction avevo visto e fatto cose che non avrei mai creduto. Avevo visto grammassiti in volo sopra il palazzo dei piaceri di Xanadu, contemplato tigri in fiamme nelle foreste della notte... Avevo cavalcato a pelo gli unicorni delle fitte foreste di Zenobia e giocato a scacchi con Ozymandias, il re dei re. Avevo volato insieme a Biggles sul fronte occidentale, incrociato le lame con Long John Silver ed esplorato il sentiero mai battuto per camminare sulle verdi montagne d'Inghilterra. Ma nonostante tutti questi momenti di meraviglia e piacere, il mio cuore apparteneva ancora a Swindon e a un uomo di nome Landen Parke-Laine. Era mio marito, il padre di mio figlio, non esisteva, e io lo amavo. 2 Che bello essere a casa Swindon, Wessex, Inghilterra, era il posto in cui ero nata e in cui ero vissuta finché non mi ero arruolata nei Detective Letterari a Londra. Ero tornata dopo dieci anni e avevo sposato il mio fidanzato storico, Landen Parke-Laine. Ma lui poi fu ucciso all'età di due anni dalla Goliath Corporation, che in seguito decise di ricattarmi. Cedetti, li aiutai, ma non riottenni mio marito. Curiosamente mio figlio Friday rimase: era una di quelle bizzarrie paradossali dei viaggi nel tempo che mio padre capisce e io no. A distanza
di due anni Landen era ancora morto, e se non avessi fatto qualcosa in fretta, rischiava di rimanerlo per sempre. THURSDAY NEXT Una vita nelle Operazioni Speciali Era una mattina limpida e luminosa di metà luglio quando, due settimane dopo, mi ritrovai a Swindon, all'angolo di Broome Manor Lane, davanti alla casa di mia madre, con un pargolo nel passeggino, due dodo, il principe di Danimarca, il cuore in pena e un taglio di capelli decisamente troppo corto. Il Consiglio dei generi letterari non aveva preso molto bene le mie dimissioni. Anzi, le avevano rifiutate concedendomi piuttosto un congedo illimitato, con la malriposta speranza che potessi tornare se la riattualizzazione di mio marito "non avesse avuto successo". Mi suggerirono anche di provare a occuparmi di Yorrick Kaine, un personaggio letterario evaso con cui in passato mi ero già scontrata due volte. Amleto si era aggiunto ai miei progetti all'ultimo momento. Sempre più preoccupato dei resoconti secondo cui all'Esterno veniva bollato come eterno indeciso, aveva chiesto una licenza per verificare con i suoi occhi. Era insolito: i personaggi immaginari si preoccupano raramente di come vengono recepiti dal pubblico, ma Amleto si sarebbe preoccupato di non aver niente di cui preoccuparsi, se non avesse avuto niente di cui preoccuparsi, e dato che era indubbiamente la star del canone scespiriano e ancora una volta era arrivato secondo, alle spalle di Heathcliff, al premio annuale "Mondo dei libri" per l'Eroe romantico più tormentato, il Consiglio dei generi letterari aveva creduto bene di fare qualcosa per tenerlo tranquillo. Inoltre GiurisFiction stava cercando di persuaderlo a supervisionare il teatro elisabettiano da quando Sir John Falstaff si era ritirato per motivi di "salute fin troppo buona", e si era pensato che un viaggio all'Esterno avrebbe potuto convincerlo ad accettare. «È invero strano!» mormorò, fissando a turno il sole, gli alberi, le case e il traffico. «Fa mestieri ch'io intessa una ridda di parole forsennate per far giustizia a tutto ciò cui assisto!» «Qui devi parlare come i comuni mortali». «Per descrivere queste cose per benino» spiegò Amleto, gesticolando in direzione di un'innocua strada di Swindon, «servirebbero milioni di parole!» «Hai ragione. Servirebbero. È questa la magia della tecnologia Plasmaimmagini per i libri» gli dissi. «Poche decine di parole evocano un quadro completo. Ma in realtà è il lettore a fare il grosso del lavoro». «Il lettore? Che c'entra?» «Be', ogni interpretazione di un evento, un'ambientazione o un personaggio è unica per la persona che sta leggendo, che riveste la descrizione dell'autore con le proprie esperienze. Ogni personaggio incontrato da un lettore è in realtà una commistione complessa di persone che ha conosciuto, letto o visto in precedenza: ben più reale di quello che potrebbe essere solo in base al testo sulla carta. Dato che le esperienze di ogni lettore sono diverse, ogni libro è unico per ogni lettore». «Allora» ribatté il danese riflettendo «stai dicendo che più il personaggio è complesso e apparentemente contraddittorio e più sono varie le possibili interpretazioni?» «Sì. Anzi, sono convinta che un libro cambia ogni volta che la stessa persona lo rilegge, perché le sue esperienze sono mutate, o si trova in uno stato d'animo differente». «Be', questo spiega perché nessuno riesce a capirmi. Dopo quattrocento anni nessuno ha ancora stabilito quali siano esattamente le mie motivazioni interiori». Tacque per un momento e sospirò affranto. «Neanch'io. Diresti che sono religioso, con tutte le storie che faccio per non uccidere zio Claudio mentre prega e così via, no?» «Certo». «Lo pensavo anch'io. Ma allora perché pronuncio una battuta da miscredente
come 'Perché non v'è nulla di buono né di cattivo che il pensiero non renda tale?' Come la mettiamo?» «Vuoi dire davvero che non lo sai?» «Fidati: sono più confuso di chiunque altro». Fissai Amleto, che alzò le spalle. Speravo che mi desse qualche risposta a proposito delle incoerenze all'interno della sua tragedia, ma ora non ne ero più tanto sicura. «Forse» commentai pensierosa «è per questo che ci piace. A ciascuno il suo Amleto». «Mah» sbuffò infelice il danese «per me è un mistero. Pensi che entrare in terapia mi aiuterebbe?» «Non ci giurerei. Stammi a sentire, siamo quasi a casa. Ricorda: a parte i parenti, per tutti gli altri sei... chi sei?» «Il cugino Eddie». «Bene. Andiamo». La casa della mamma era una villetta unifamiliare di discrete dimensioni a sud della città, senza particolari attrattive a parte quelle che mi derivavano dal tempo che ci avevo trascorso. Per i primi diciotto anni della mia vita avevo vissuto qui, e ogni dettaglio della casa mi era familiare. Dall'albero da cui ero caduta incrinandomi la clavicola, al vialetto del giardino dove avevo imparato ad andare in bicicletta. Non l'avevo mai notato prima, ma l'empatia nei confronti delle cose familiari diventa più forte via via che passano gli anni. Questa vecchia casa mi sembrava più accogliente che mai. Inspirai profondamente, sollevai la valigia e attraversai la strada spingendo il passeggino. Il mio dodo Pickwick mi seguiva, e il suo figlio ribelle Alan le zampettava scontrosamente dietro. Suonai il campanello della mamma e dopo circa un minuto un vicario lievemente sovrappeso con i capelli castani corti e gli occhiali venne ad aprire la porta. «Cretinetti...?» disse quando mi vide, prorompendo subito in un enorme sorriso. «Per la DGS, sei veramente tu, Cretinetti!» «Ciao, Joffy. È un sacco che non ci si vede». Joffy era mio fratello. Era un sacerdote della Chiesa della Divinità Globale Standard, e anche se in passato avevamo avuto qualche dissapore, ormai era tutto dimenticato. Ero contenta di vederlo, e lui di vedere me. «Ehi!» fece. «Che cos'è quello?» «È Friday» spiegai. «Tuo nipote». «Wow!» rispose Joffy, slacciando Friday dal passeggino e prendendolo in braccio. «Ha sempre i capelli così appiccicosi?» «Saranno gli avanzi della colazione». Friday fissò Joffy per un attimo, si tirò fuori le dita dalla bocca, se le strofinò sulla faccia, poi le rimise dentro e offrì a Joffy il suo orso polare, Poley. «Carino, carino» disse Joffy, scuotendolo e lasciandosi afferrare il naso. «Ma un po', be', appiccicoso. Parla?» «Non molto. In compenso pensa un sacco». «Come Mycroft. Che ti è successo alla testa?» «Ti riferisci al mio taglio di capelli?» «Ah, ecco che cos'era!» mormorò Joffy. «Pensavo che ti fossi fatta abbassare le orecchie, o qualcosa del genere. Un tantino, ehm... estremo, non trovi?» «Ho dovuto prendere il posto di Giovanna d'Arco. È sempre un problema trovarle un sostituto». «Non mi stupisce» esclamò Joffy, continuando a fissare incredulo il mio taglio a scodella. «Perché non te li tagli del tutto e ricominci da capo?» «Lui è Amleto» dissi, presentandolo prima che cominciasse a sentirsi a disagio, «ma è qui in incognito, così dirò a tutti che è mio cugino Eddie». «Joffy» disse Joffy «fratello di Thursday».
«Amleto» replicò Amleto «principe di Danimarca». «Danese?» chiese Joffy sussultando. «Non lo direi troppo in giro, fossi in voi». «Perché?» «Tesoro!» esclamò mia madre, comparendo dietro Joffy. «Sei tornata! Cielo! I tuoi capelli!» «Stile Giovanna d'Arco» spiegò Joffy «è molto di moda. Le martiri vanno fortissimo nelle sfilate, sai? Ti ricordi quel look alla Edith Cavell / Tolpuddle nell'ultimo numero di 'La talpa Donna'?» «Sta parlando di nuovo a vanvera, vero?» «Sì» rispondemmo io e Joffy all'unisono. «Ciao, mamma» le dissi abbracciandola «ti ricordi il tuo nipotino?» Lo prese in braccio e fece un commento su quanto fosse cresciuto. Era estremamente improbabile che rimpicciolisse, ma sorrisi lo stesso, da brava. Avevo cercato di venire in visita nel Mondo reale il più spesso possibile, ma non ci riuscivo da almeno sei mesi. Dopo essere quasi svenuta a forza di iperventilare facendo "Oooh" e "Aaah" e dopo che Friday ebbe smesso di guardarla perplesso, mia madre ci invitò a entrare. «Tu rimani qui fuori» intimai a Pickwick «e non permettere ad Alan di comportarsi male». Troppo tardi. Alan, nonostante le dimensioni ridotte, aveva già terrorizzato e sottomesso Mordecai e gli altri dodo. Tremavano dalla paura, nascosti dietro le ortensie. «Ti trattieni per molto?» domandò mia madre. «La tua stanza è esattamente come l'hai lasciata». Intendeva esattamente come l'avevo lasciata a diciannove anni, ma mi sembrava scortese dirlo. Spiegai che mi sarebbe piaciuto rimanere almeno finché non mi fossi trovata un appartamento, presentai Amleto e chiesi se poteva rimanere anche lui per qualche giorno. «Certamente! Lady Hamilton è nella stanza degli ospiti e Bismarck è in soffitta: lui può stare tranquillamente nello sgabuzzino». Mia madre prese la mano di Amleto e la strinse cordialmente. «Come sta, Mr Amleto? Di dove ha detto di essere principe?» «Danimarca». «Ah! Niente visitatori dopo le sette e la colazione viene servita solo fino alle nove in punto. I miei ospiti si rifanno il letto da soli e se ha panni da lavare li può lasciare nella cesta sul pianerottolo. Molto lieta. Sono Mrs Next, la madre di Thursday». «Anch'io ho una madre» disse Amleto tetro, mentre faceva un inchino e baciava la mano a mia madre. «Divide il letto con mio zio». «Allora dovrebbero comprarne un altro» rispose mia madre, pragmatica come sempre. «Pare che all'Ikea ci siano ottime offerte. Io non ci vado perché non mi piace montare i mobili da sola. Insomma, che senso ha pagare una cosa che poi ti devi costruire tu? Ma gli uomini ne vanno entusiasti proprio per questo motivo. Le piace la Battenberg?» «Wittenberg?» «No, no. Battenberg». «Sul fiume Eder?» chiese Amleto, confuso dal balzo di mia madre dall'arredamento faidaté alle torte. «No, sciocchino, su una fortiera, e con sopra il marzapane». Amleto si chinò verso di me. «Mi sa che tua madre è folle. E io ne so qualcosa». «Ti abituerai a capire di che cosa sta parlando» dissi, dandogli un colpetto sul braccio per rassicurarlo. Attraversando l'anticamera raggiungemmo il soggiorno dove, dopo avere districato le dita di Friday dalla collana della mamma, ci accomodammo. «Allora, raccontami tutte le novità!» esclamò mia madre mentre mi guardavo rapidamente in giro per la stanza, cercando di individuare le numerose possibili insidie per un bambino di due anni. «Da dove vuoi che cominci?» chiesi, spostando il vaso di fiori da sopra
il televisore prima che Friday avesse la possibilità di tirarselo in testa. «Ho avuto un'infinità di cose da fare prima di andarmene. Due giorni fa ero a Camelot per ricomporre una lite coniugale e il giorno prima - tesoro, non toccare - stavo negoziando una vertenza salariale con il sindacato degli orchi». «Cielo!» rispose mia madre. «Morirai dalla voglia di una tazza di tè». «Grazie. Il Mondo dei libri sarà una pacchia quanto a caratterizzazione dei personaggi e a narrazioni appassionanti, ma non si rimedia una tazza di tè decente per tutto il whisky di Hemingway». «Lo preparo io!» disse Joffy. «Vieni, Amleto, raccontami qualcosa di te. Ce l'hai una ragazza?» «Sì, ma è sciroccata». «In senso buono o in senso cattivo?» Amleto alzò le spalle. «Nessuno dei due. Sciroccata e basta. Ma suo fratello... fulmini e saette! Salta su per un nonnulla...!» Quando sparirono in cucina non li sentii più. «Non dimenticate la Battenberg» gridò mia madre. Aprii la valigia e tirai fuori alcuni sonaglietti che mi aveva dato Mrs Bradshaw. Melanie si era presa cura molte volte di Friday; lei e il comandante Bradshaw non avevano figli per via del fatto che lei è una gorilla, e così si era molto affezionata a Friday. La cosa aveva i suoi vantaggi - Friday mangiava sempre la verdura e adorava la frutta - ma sospettavo che in mia assenza si arrampicassero sui mobili, e una volta ho sorpreso Friday a cercare di sbucciare una banana con i piedi. «Come ti va la vita?» chiesi. «Meglio, ora che ti vedo. Mi sento sola, con Mycroft e Polly al quattordicesimo Convegno annuale degli scienziati pazzi. Se non fosse per Joffy e il suo compagno Miles che fanno un salto qui ogni giorno, Bismarck ed Emma, Mrs Beatty che abita qui accanto, gli Sradicati anonimi, il mio corso di lavorazione delle lamiere e quella orribile Mrs Daniels, sarei completamente sola. È giusto che Friday stia in quella credenza?» Mi girai, schizzai in piedi, afferrai Friday per le bretelle della salopette e liberai delicatamente dalla sua avida presa due calici di cristallo. Gli diedi i suoi giocattoli e lo misi seduto in mezzo alla stanza. Se ne stette buono per circa tre secondi, prima di incamminarsi barcollando verso DH82, il tilacino sfaticato della mamma, che dormiva su una sedia. DH82 guaì quando Friday, per gioco, gli tirò i baffi. Il tilacino si alzò, sbadigliò e andò a cercare la sua ciotola. Friday lo seguì. E io seguii Friday. «...nell'orecchio?» disse Joffy mentre entravo in cucina. «Funziona?» «A quanto pare. Lo abbiamo trovato morto stecchito nel frutteto». Presi in braccio Friday, che stava per farsi una scorpacciata del cibo di DH82, e lo riportai in soggiorno. «Scusa» spiegai «in questo momento gli interessa tutto. Dimmi di Swindon. È cambiata molto?» «Non tanto. Le luminarie natalizie sono decisamente migliorate, c'è una linea della soprelevata che passa proprio attraverso il centro commerciale Brunel e Swindon è arrivata ad avere ventisei supermercati diversi». «Gli abitanti mangiano tanto?» «Facciamo del nostro meglio». Joffy sopraggiunse con Amleto e ci posò di fronte il vassoio con tutto il necessario per il tè. «Quel tuo piccolo dodo è una furia. Ha cercato di beccarmi mentre non guardavo». «Devi averlo spaventato. Come sta papà?» Joffy, per cui papà era un argomento delicato, decise di non unirsi alla conversazione e di giocare con Friday. «Dai, giovanotto» disse «ubriachiamoci e tiriamo qualche palla in buca». «È un po' che tuo padre cerca di mettersi in contatto con te» mi comunicò mia madre appena Joffy e Friday si furono allontanati. «Come probabilmente
immagini, ha di nuovo problemi con Nelson. Spesso viene a casa letteralmente intriso di cordite, e non mi fa davvero piacere che ronzi attorno a quella Emma Hamilton». Mio padre era una specie di cavaliere errante che viaggiava nel tempo. Era stato membro di OPS-12, il reparto che vigila sui confini temporali: la CronoGuardia. Ne era uscito in seguito a disaccordi sulla gestione dei tempi storici e si era messo in proprio. La Crono-Guardia aveva deciso che era troppo pericoloso e lo aveva sradicato bussando alla porta in un momento ben preciso, la notte del suo concepimento; al suo posto era nata mia zia Aprii. «Allora, Nelson è morto durante la battaglia di Trafalgar?» chiesi ricordando i problemi che papà aveva avuto con la storia. «Sì» rispose «ma non sono sicura che dovesse andare così. È per questo che, a quel che dice tuo padre, deve lavorare a stretto contatto con Emma». Emma, ovviamente era Lady Emma Hamilton, moglie di Nelson. Era lei che aveva avvertito mio padre dello sradicamento di Nelson. Un attimo prima era sposata da più di dieci anni con Lord Nelson, un attimo dopo era un'ubriacona senza un soldo a Calais. Doveva essere stato un vero choc. Mia madre si fece più vicina. «Detto tra me e te, comincio a pensare che Emma sia un po' una sguald... Emma! Che piacere averti qui!» Sulla porta c'era una donna alta dalla faccia arrossata con addosso un abito di broccato che aveva visto giorni migliori. Nonostante fosse provata da una lunga e dannosa familiarità con la bottiglia, conservava ancora tratti di grande bellezza e fascino. Da giovane doveva togliere il fiato. «Salve, Lady Hamilton» dissi alzandomi per stringerle la mano «come sta suo marito?» «Ancora morto». «Anche il mio». «Cribbio». «Ah!» esclamai, chiedendomi dove Lady Hamilton avesse imparato questa parola, anche se a ripensarci doveva saperne di peggiori. «Le presento Amleto». «Emma Hamilton» tubò, facendo gli occhi dolci al danese, indiscutibilmente bello, e porgendogli la mano. «Lady». «Amleto» disse lui baciando la mano che gli veniva offerta. «Principe». Emma batté le ciglia per un attimo. «Un principe? E di dove, se posso chiedere?» «Danimarca, si dà il caso». «Il mio... defunto compagno bombardò Copenaghen senza troppa pietà nel 1801. Sosteneva che i danesi gli avevano dato filo da torcere». «Noi danesi non disdegniamo una bella zuffa, Lady Hamilton» rispose il principe con molto charme «anche se io non vengo da Copenaghen. Sono di una piccola città sulla costa, Elsinore. Abbiamo un castello. Non molto grande. A malapena sessanta stanze e una guarnigione di neanche duecento uomini. Un po' tetro, in inverno». «Ci sono fantasmi?» «Solo uno, che io sappia. Che cosa faceva il suo defunto compagno quando non bombardava i danesi?» «Oh, non molto» disse sbrigativa «combatteva i francesi e gli spagnoli, lasciava parti del corpo in giro per l'Europa... all'epoca era di rigore». Ci fu un momento di silenzio in cui si fissarono. Emma cominciò a sventagliarsi. «Cielo!» mormorò. «Tutto questo parlare di parti del corpo mi fa sentire così accaldata!» «Insomma!» fece mia madre balzando in piedi. «Ora basta! Non tollero queste allusioni indecenti in casa mia!» Amleto ed Emma si stupirono di questo scatto, ma io riuscii a trarla in disparte e bisbigliai: «Mamma! Non essere così severa. Dopotutto sono entrambi single, e l'interessamento di Amleto per Emma la può distogliere da qualcun altro».
«Qualcun... altro?» Le si sentivano quasi ruotare gli ingranaggi in testa. Dopo un lungo silenzio inspirò profondamente, si girò verso di loro e fece un ampio sorriso. «Miei cari, perché non fate una passeggiata in giardino? C'è una piacevole brezza rinfrescante e la niche d'amour nel roseto è affascinante in questo periodo dell'anno». «Magari è anche un buon momento per bere qualcosa?» chiese Emma speranzosa. «Forse» rispose mia madre, che evidentemente stava cercando di tenere Emma lontano dalla bottiglia. Emma non ribatté. Offrì il braccio ad Amleto, che lo prese elegantemente e la scortò in giardino. «Come dicevo» riprese mia madre sedendosi «Emma è una carissima ragazza. Torta?» «Grazie». «Ecco» fece porgendomi il coltello «serviti pure». «Dimmi» esordii mentre tagliavo con attenzione la Battenberg «Landen è tornato?» «Il tuo marito sradicato, intendi?» domandò con gentilezza. «No, temo di no». Sorrise incoraggiante. «Dovresti venire a una delle riunioni degli Sradicati anonimi: ci troviamo domani sera». In comune con mia madre, avevo un marito la cui esistenza era stata cancellata dal qui e ora. A differenza di mia madre, il cui marito tornava ancora di quando in quando dal flusso del tempo, io avevo un marito, Landen, che sopravviveva solo nei miei sogni e nei miei ricordi. Nessun altro ne conservava conoscenza o memoria. La mamma sapeva di Landen solo perché gliene avevo parlato io. Per tutti gli altri, compresi i genitori di Landen, io ero vittima di qualche bizzarra allucinazione. Ma il padre di Friday era Landen, nonostante la sua inesistenza, proprio come io e i miei fratelli eravamo nati nonostante il fatto che mio padre non esisteva. Il viaggio nel tempo è così. Pieno di paradossi inspiegabili. «Lo riporterò indietro» dissi tra me. «Chi?» «Landen». Joffy riapparve dal giardino con Friday che, come molti bambini piccoli, non capiva perché gli adulti non potessero passare la giornata a fargli fare l'aeroplanino. Gli diedi una fetta di Battenberg, che lui fece cadere nella fretta di mangiarla. DH82, di solito torpido, aprì un occhio, mangiò la torta e si riaddormentò in meno di tre secondi. «Lorem ipsum dolor sit amet!» gridò indignato Friday. «Sì, incredibile, vero?» confermai. «Scommetto che non hai mai visto Pickwick muoversi così veloce, neanche per un marshmallow». «Nostrud laboris nisi et commodo consequat» rispose Friday indignatissimo. «Excepteur sint cupidatat non proident!» «Ben ti sta» gli dissi. «Ecco, prendi un tramezzino con i cetrioli». «Che ha detto mio nipote?» chiese mia madre fissando Friday, che stava cercando di ingurgitare il tramezzino in un solo boccone e offriva uno spettacolo indecoroso. «Oh, lui farfuglia in Lorem Ipsum. Non parla altro». «Lorem... che?» «Lorem Ipsum. È il testo senza senso che usano grafici e tipografi per fare esempi di impaginazione. Non so dove l'abbia imparato. Dipenderà dal fatto di vivere nei libri, immagino». «Capisco» disse mia madre, senza capire. «Come stanno i cugini?» domandai. «Al momento Wilbur e Orville gestiscono la Mycro-Tech» rispose Joffy passandomi una tazza di tè. «Avevano commesso qualche sbaglio mentre zio Mycroft non c'era, ma credo che ora li tenga a bacchetta». Wilbur e Orville erano i figli di mia zia e mio zio. Sebbene avessero due dei più brillanti genitori in circolazione, erano fatti di mogano massiccio
dal collo in su. «Mi passi lo zucchero, per favore? Qualche sbaglio?» «Un bel po', in effetti. Ricordi la macchina di Mycroft per cancellare la memoria?» «Sì e no». «Be', hanno aperto una catena di centri di cancellazione della memoria chiamati Pr$èt-à-oublier. Ci si poteva andare a farsi eliminare i ricordi spiacevoli». «Redditizio, immagino». «Estremamente redditizio... fino al momento in cui hanno commesso il primo sbaglio. Che non si trattava, conoscendoli, di un se ma di un quando». «Non oso chiedere che cosa è successo». «Credo che equivalga a mettere per sbaglio un aspirapolvere su 'espelli'. Una certa Mrs Worthing è andata alla succursale di Swindon di Pr$èt-àoublier per farsi asportare tutti i ricordi del suo disastroso primo matrimonio». «E...?» «Be', le hanno accidentalmente inserito le memorie indesiderate di settantadue avventure di una notte, numerose liti tra i fumi dell'alcol, quindici vite buttate e quasi mille puntate di 'Come si chiama questo frutto?' Voleva querelarli, ma poi si è accontentata di farsi dare nome e indirizzo di un uomo le cui imprese erano ora parte della sua memoria. A quel che ne so si sono sposati». «Mi piacciono le storie a lieto fine» si inserì mia madre. «A ogni modo» continuò Joffy «Mycroft li ha diffidati dall'usarla ancora e li ha incaricati di commercializzare la CamaleoMobile. Dovrebbe essere presto in vendita, se la Goliath non ruba l'idea prima». «Ah!» biascicai, mangiando un altro pezzo di torta. «Come sta la mia multinazionale meno amata?» Joffy alzò gli occhi al cielo. «Come sempre non combinano nulla di buono. Stanno cercando di trasformarsi in un apparato fideistico a struttura aziendale». «Stanno... diventando una religione?» «L'hanno annunciato proprio il mese scorso su suggerimento della loro profetessa aziendale, sorella Bettina di Stroud. Puntano a commutare la gerarchi a societaria in una struttura politeistica con propri dei, semidei, sacerdoti, luoghi di culto e testi sacri ufficiali. Nella nuova Goliath gli impiegati non saranno pagati con qualcosa di profano come il denaro, ma con fede, sotto forma di cedole che possono essere scambiate con merci e servizi in qualunque negozio gestito dalla Goliath. Tutti i titolari di azioni della Goliath le dovranno convertire, a un tasso molto vantaggioso, in queste 'fedole', e tutti potranno adorare i pezzi grossi della Goliath». «E ai 'fedeli' che cosa ne viene in cambio?» «Be', un caloroso senso di appartenenza, protezione dai mali del mondo e una ricompensa nell'aldilà... ah, e mi pare che a un certo punto si era parlato anche di una maglietta». «Tipico della Goliath». «Vero?» Joffy sorrise. «Culto nei templi di Consumilandia. Più spendi più ti avvicini al loro 'dio'». «Ripugnante!» esclamai. «Buone notizie non ne hai?» «Certo! Gli Swindon Mallets batteranno i Reading Whackers e quest'anno vinceranno il Superhoop». «Stai scherzando!» «Niente affatto. La vittoria di Swindon al Superhoop del 1988 è l'argomento dell'incompiuta settima Rivelazione di san Zvlkx. Dice così: 'Vi sarà una vittoria in casa sui campi da giuoco di Swindonne nel mille e novecento e ottantotto, e in conseguenza di...' Manca il resto, ma non mi sembra che ci siano dubbi». San Zvlkx era il santo locale di Swindon, e ogni bambino andato a scuola qui lo conosceva, me compresa. Nel corso degli anni si erano fatte molte
ipotesi sulle sue Rivelazioni, e non c'era da stupirsene: erano incredibilmente accurate. Nonostante tutto ero scettica: specialmente se si trattava di una vittoria degli Swindon Mallets al Superhoop. La squadra cittadina, nonostant e il suo arrivo a sorpresa, pochi anni prima, al Superhoop e l'innegabile talento del capitano Roger Kapok, era probabilmente la peggiore del Paese. «È un po' improbabile, no? Voglio dire, san Zvlkx è scomparso nel, quando... 1292?» Ma Joffy e mia madre non ci trovavano niente di divertente. «Sì» disse Joffy «ma possiamo chiedergli di confermarlo». «Ah sì? Come?» «Secondo la sua sesta Rivelazione, risorgerà spontaneamente dopodomani alle nove e dieci». «Questo sì che è notevole!» «Notevole ma non privo di precedenti» rispose Joffy. «I veggenti del Tredicesimo secolo stanno rispuntando dappertutto. Diciotto negli ultimi sei mesi. Zvlkx interesserà ai fedeli e a noi degli Amici, ma le reti nazionali probabilmente neppure ne parleranno. Lo share della seconda venuta di Fratel Velobius, la settimana scorsa, non ha nemmeno lontanamente battuto quello della replica di Bonzo Cangrande, il magnifico segugio sull'altro canale». Ci pensai su in silenzio per un momento. «Basta parlare di Swindon» disse mia madre che aveva un debole per i pettegolezzi, specialmente quelli su di me. «Come ti vanno le cose?» «Quanto tempo hai a disposizione? Quello che mi è successo riempirebbe vari libri». «Allora... cominciamo dal perché sei tornata». Così spiegai lo stress di essere a capo di GiurisFiction, e quanto a volte i libri potessero risultare molesti, e Friday, e Landen, e le origini immaginarie di Yorrick Kaine. Sentendolo, Joffy sobbalzò. «Kaine è... un personaggio inventato?» Annuii. «Come mai ti interessa? L'ultima volta che sono venuta era un ex membro fallito dei Whig». «Ora non più. Da che libro viene?» Alzai le spalle. «Magari lo sapessi. Perché? Che cosa succede?» Joffy e la mamma si scambiarono occhiate nervose. Quando mia madre si interessa alla politica vuol dire che le cose vanno davvero male. «C'è del marcio in Inghilterra» mormorò mia madre. «E quello che c'è di marcio è il cancelliere d'Inghilterra Yorrick Kaine» aggiunse Joffy «provare per credere. Apparirà su Rete Rospo News a 'Schiva la domanda', qui a Swindon, stasera alle otto. Andiamo e lo vedremo con i nostri occhi». Parlai ancora per un po' di GiurisFiction, e Joffy in cambio mi riferì tutto allegro che i frequentatori della Chiesa della Divinità Globale Standard erano aumentati da quando aveva accettato di farsi sponsorizzare dall'Ente per la promozione dei toast, una struttura che sembrava raddoppiata in dimension i e importanza dall'ultima volta che ero stata qui. Avevano allargato la loro rete al di là del pane riscaldato, e ora avevano partecipazioni anche nelle marmellate, nelle brioche e nelle paste. Mia madre, per non essere da meno, mi raccontò che riceveva a sua volta una piccola sponsorizzazione dalla pasticceria di Mr Rudyard, anche se mi rivelò in via confidenziale che la Battenberg che aveva servito in realtà era fatta da lei. Poi mi raccontò in gran dettaglio gli interventi chirurgici a cui si erano sottoposti i suoi attempati amici, resoconti di cui avrei fatto volentieri a meno, e nel momento in cui riprendeva fiato tra l'appendicectomia di Mrs Stripling e i problemi "idraulici" di Mr Walsh, una figura alta e imponente entrò nella
stanza. Indossava un elegante tight d'epoca, portava dei baffi vistosi che avrebbero fatto impallidire quelli del comandante Bradshaw, e aveva un aspetto imperioso e volitivo che mi faceva pensare all'imperatore Zhark. «Thursday» annunciò mia madre senza fiato «ti presento il cancelliere prussiano, Herr Otto Bismarck: tuo padre e io stiamo cercando di sistemare la questione dello Schleswig-Holstein del 1863-4. Lui è andato a prendere la controparte danese di Bismarck, così possono discutere. Otto... voglio dire, Herr Bismarck, mia figlia, Thursday». Bismarck batté i tacchi e mi baciò la mano con gelida cortesia. «Fräulein Next, piacere è tutto mio» enunciò con forte accento tedesco. I curiosi ospiti di mia madre, normalmente morti da tempo, avrebbero dovuto sorprendermi, e invece no. Non più. Da quando, a nove anni, conobbi Alessandro Magno. Un tipo niente male, ma a tavola non sapeva proprio comportarsi. «Allora, le piace il 1988, Herr Bismarck?» «Mi ha colpito particolarmente il concetto di lavaggio a secco» rispose il prussiano «e prevedo un grande futuro per il motore a benzina». Si girò verso mia madre. «Ma soprattutto non vedo l'ora di parlare con il Primo ministro danese. Dove sarà mai?» «Credo che abbiamo un piccolissimo problema a rintracciarlo» spiegò mia madre, gesticolando con il coltello della torta. «Le andrebbe piuttosto una fetta di Battenberg?» «Ah!» fece Bismarck, addolcendosi. Scavalcò delicatamente DH82 per sedersi accanto a mia madre. «La miglior Battenberg che io abbia mai assaggiato!» «Oh, Herr B» disse confusa mia madre «adulatore!» Ci fece cenni del tipo "smammare" senza farsi vedere da Bismarck e noi, da figli obbedienti, ci allontanammo dal soggiorno. «Ma guarda!» commentò Joffy dopo aver chiuso la porta. «Chi se lo sarebbe immaginato? Alla mamma è venuta voglia di un po' di pomiciata teutonica!» Alzai un sopracciglio e lo fissai. «Non credo proprio, Joff. Papà non si vede spesso, e non è così facile trovare una compagnia maschile intelligente». Joffy sghignazzò. «Solo buoni amici, eh? Va bene, ecco che ti dico: scommettiamo un deca che la mamma e il Cancelliere di ferro si scateneranno entro una settimana esatta». «Affare fatto». Ci stringemmo la mano e, con Emma, Amleto, Bismarck e mia madre tutti impegnati, chiesi a Joffy di dare un'occhiata a Friday per poter uscire un momento di casa a prendere una boccata d'aria. Andai verso sinistra e vagai per Marlborough Road, rimirando i cambiamenti intervenuti in due anni di assenza. Per quasi otto anni avevo fatto questa strada per andare a scuola, e ogni muro e albero e casa mi erano familiari come un vecchio amico. Su Piper's Way era apparso un nuovo albergo e qualche negozio nella città vecchia aveva cambiato gestione o era stato ammodernato. Sentivo tutto molto familiare, e mi domandai se il mio desiderio di appartenenza sarebbe rimasto, o sarebbe via via svanito come il mio attaccamento a Cime di Caversham, il libro in cui avevo vissuto gli ultimi anni. Scesi per Bath Road, svoltai a destra e mi ritrovai nella strada dove avevamo vissuto io e Landen, prima che venisse sradicato. Un pomeriggio ero tornata a casa e ci avevo trovato sua madre e suo padre che ci abitavano come se nulla fosse. Visto che non sapevano chi fossi e ritenevano, comprensibil mente, che fossi matta da legare, decisi che oggi avrei tenuto un basso profilo e mi sarei limitata a passare lentamente dall'altra parte della strada. Non aveva un aspetto molto diverso. Nel portico c'era ancora un grosso
vaso di Tickia orologica avvizzita accanto a un vecchio trampolo a molla, e le tendine della cucina erano sicuramente quelle di sua madre. Andai oltre, poi tornai sui miei passi: la mia determinazione a riportarlo indietro era mista a un certo fatalismo, una sensazione che forse in fondo non ci sarei riuscita e che avrei dovuto prepararmi. Dopotutto, era morto quando aveva due anni, e io non avevo ricordi di come erano andate le cose, ma solo di come avrebbero potuto andare se fosse vissuto. Alzai le spalle e mi rimproverai per la morbosità dei miei pensieri, dopodiché mi avviai verso la casa di riposo "Dolce Crepuscolo" della Goliath, dove stava attualmente mia nonna. Nonna Next era nella sua camera e stava guardando un documentario naturalistico intitolato "Camminare con le papere", quando l'infermiera mi fece entrare. La nonna indossava una camicia da notte di cotone a quadrettini blu, aveva sottili capelli grigi e mostrava tutti i suoi centodieci anni. Si era messa in testa che non si sarebbe sbarazzata del suo involucro mortale finché non avesse letto i dieci libri più noiosi, ma dato che "noioso" era quasi altrettanto impossibile da quantificare quanto "non noioso", era difficile capire come aiutarla. «Shhh!» borbottò appena entrai. «Questo programma è affascinante!» Guardava seria la televisione. «Pensa» proseguì «analizzando le ossa dell'Anas platyrhynchos, un'anatra estinta, riescono a ricostruire il suo modo di camminare!» Fissai il piccolo schermo, su cui uno strano uccello animato camminava dondolando all'indietro, mentre la voce narrante spiegava minuziosamente come fossero riusciti a scoprirlo. «Come fanno a dedurlo semplicemente studiando delle vecchie ossa?» chiesi dubbiosa, avendo capito da molto tempo che un "esperto" era in genere tutt'altro. «Non scherzare, giovane Thursday» rispose la nonna «un gruppo di esperti paleornitologi ha addirittura dedotto che il verso della papera doveva suonare qualcosa tipo 'quock, quock'». «'Quock'? Non mi sembra molto verosimile». «Forse hai ragione» concluse spegnendo il televisore e buttando di lato il telecomando. «Cosa vuoi che ne sappiano gli esperti?» La nonna era in grado di saltare dentro la narrativa, come me. Non sapevo bene come ci riuscissimo, ma ero molto contenta che lo sapesse fare: era stata lei ad aiutarmi a non dimenticare mio marito, quando avevo seriamente rischiato di farlo per colpa di Aornis, la mnemomorfa, naturalmente. Ma la nonna mi aveva lasciato circa un anno fa, affermando che potevo cavarmela da sola e che non avrebbe più sprecato tempo ad affannarsi come una matta per me, il che dimostrava un po' di faccia tosta, visto che in genere ero io a badare a lei. Ma non importava. Era mia nonna e le volevo un bene infinito. «Cielo!» dissi, guardando la sua pelle sottile e rugosa, che mi fece tornare in mente un cucciolo di echidna che avevo visto una volta sul «National Geographic». «Che c'è?» «Niente». «Niente? Stavi pensando a quanto sembro vecchia, vero?» Era difficile negarlo. Ogni volta che la vedevo avrei giurato che non potesse sembrare più vecchia di così, ma la volta dopo, con regolarità sbalorditiva, venivo smentita. «Quando sei tornata?» «Stamattina». «E come hai trovato le cose?» La aggiornai sulle novità. Emise suoni di disapprovazione quando le dissi di Amleto e Lady Hamilton e suoni ancora più forti quando accennai a mia madre e Bismarck. «È rischioso». «La mamma e Bismarck?» «Emma e Amleto».
«Lui è un personaggio letterario e lei è un personaggio storico. Che c'è che non va?» «Stavo riflettendo» disse lentamente, inarcando un sopracciglio, «su che cosa succederebbe se lo venisse a sapere Ofelia». Non ci avevo pensato: aveva ragione. Amleto era una persona difficile, ma Ofelia era impossibile. «Ho sempre creduto che il motivo per cui Sir John Falstaff ha abbandonato la supervisione del teatro elisabettiano fosse sfuggire alle richieste spesso irragionevoli di Ofelia» dissi tra me «come disporre di animaletti da compagnia, un'abbondante scorta di acqua minerale e sushi fresco ogni volta che lavorava a Elsinore. Pensi che dovrei insistere per far tornare Amleto in Amleto?» «Forse non subito» rispose la nonna, tossendo nel fazzoletto. «Facciamogli capire com'è la vita vera. Gli può giovare vedere che non servono cinque atti per prendere una decisione». Cominciò di nuovo a tossire, così chiamai l'infermiera, che mi disse che forse avrei fatto meglio a lasciarla tranquilla. La salutai e uscii pensierosa dalla casa di riposo, cercando di elaborare una strategia per i giorni successiv i. Non osavo pensare all'ammontare del mio scoperto in banca, e se volevo catturare Kaine sarebbe stato meglio stare dentro le OPS che fuori. Non c'era alternativa: avevo bisogno del mio vecchio lavoro. Avrei tastato il terreno l'indomani e sarei ripartita da lì. Bisognava sicuramente fare qualcosa per Kaine, e avrei improvvisato quella sera nello studio televisivo. Poi dovevo trovare un logopedista per Friday per cercare di svezzarlo dal Lorem Ipsum e poi, naturalmente, c'era Landen. Come si faceva anche solo a cominciare a riportare nel qui-e-ora qualcuno che era stato cancellato dal lì-e-allora da un ufficiale crono-corrotto della CronoGuardia, in teoria incorruttibile? Fui scossa bruscamente dai miei pensieri mentre mi avvicinavo a casa della mamma. Sembrava che ci fosse qualcuno appostato nel vialetto della casa di fronte. Mi infilai nel giardino più vicino, passai di corsa tra due case, attraversai due cortili posteriori e salii su un bidone per sbirciare cautamente da sopra un muro. Avevo ragione. C'era effettivamente qualcuno che teneva d'occhio la casa di mia madre. Era vestito troppo pesante, considerando che era estate, ed era mezzo nascosto tra la buddleja. Mi scivolò un piede dal bidone e feci rumore. Lo spione si guardò attorno, mi vide e cominciò a scappare. Saltai oltre il muro e lo inseguii. Fu più facile di quel che pensassi. Non era particolarmente in forma e lo raggiunsi mentre cercava in modo piuttosto patetico di arrampicarsi su un muro. Tirando giù l'uomo, gli rovesciai la sacca da viaggio e ne volò fuori un assortimento di taccuini malconci, una macchina fotografica, un piccolo binocolo e varie copie del bollettino di OPS-27, pesantemente annotate in rosso. «Ahi, ahi, ahi, si levi!» disse. «Mi fa male!» Gli torsi un braccio e cadde in ginocchio. Lo stavo perquisendo per vedere se era armato, quando un altro uomo, vestito in modo simile, si lanciò alla carica uscendo da dietro una macchina abbandonata, brandendo un ramo sopra la testa. Girai su me stessa, schivai il colpo e mentre per inerzia lui proseguiva in avanti gli assestai una pedata e lui batté la testa contro il muro, cadendo svenuto. Il primo uomo era disarmato e mi sincerai che anche il suo amico svenuto lo fosse, e che non soffocasse col suo stesso sangue, o con un dente, o simili. «So che non fate parte delle OPS» osservai «perché siete di gran lunga troppo imbranati. Goliath?» Il primo uomo si rialzò lentamente. Mi stava guardando incuriosito, massaggiandosi il braccio che gli avevo torto. Era una persona massiccia ma apparentemente non priva di gentilezza. Aveva capelli scuri e corti e un
grosso neo sul mento. Gli avevo rotto gli occhiali; non sembrava della Goliath, ma mi era già capitato di sbagliarmi. «Sono molto lieto di conoscerla, Miss Next. È tanto che la aspetto». «Sono stata via». «Dal gennaio 1986. Sono quasi due anni e mezzo che aspetto di vederla». «E perché mai?» «Perché» rispose l'uomo estraendo un distintivo dalla tasca e mostrandomelo «io sono il suo stalker ufficiale». Controllai il distintivo. Era vero, era stato assegnato a me. Tutto legale al cento per cento, e non avevo voce in capitolo. La questione degli stalker era gestita da OPS-33, il reparto Accoglienza e agevolazioni, che aveva concordato regole specifiche con la Confederazione generale degli stalker, che decidevano chi aveva il permesso di tampinare chi. Ciò aiutava a regolamentare un'attività storicamente torbida e assegnava categorie agli stalker in base alla loro abilità e perseveranza. Il mio stalker era addirittura di prima categoria, di quelli autorizzati ad assillare le celebrità veramente importa nti. E la cosa mi insospettì. «Prima categoria?» chiesi. «Devo sentirmi lusingata? Me ne sarei aspettata al massimo uno di ottava categoria». «Neanche quello, in realtà» confermò lo stalker «semmai di dodicesima categoria. Ma ho il presentimento che diventerà importante. Stavo appiccicato a Lola Vavoom negli anni Sessanta, quando faceva appena una particina in Le strade di Wootton Bassett e la seguii per diciannove anni, praticamente una vita. La lasciai solo per passare a Buck Stallion. Quando lo seppe mi mandò un boccale di vetro con inciso 'Grazie al mio grande stalker'. L'ha mai incontrata di persona?» «Una volta, Mister...» guardai sull'autorizzazione prima di ridargliela «...de Floss. Nome interessante. Parente di Candice?» «La scrittrice? Magari» rispose lo stalker alzando gli occhi al cielo. «Ma visto che vorrei che fossimo amici, mi chiami Millon, la prego». «Vada per Millon». E ci stringemmo la mano. L'uomo a terra gemette e si mise seduto, massaggiandos i la testa. «Chi è il tuo amico?» «Non è mio amico» disse Millon «è il mio stalker. Gran rottura di palle, per essere sinceri». «Aspetta... tu sei uno stalker e hai uno stalker?» «Certo!» Millon rise. «Dall'uscita della mia autobiografia Stalk on the Wild Side, sono diventato io stesso una piccola celebrità. Sono persino sponsorizzato dai montgomery Compass Rose . È il mio status di celebrità che permette ad Adam, qui, di assillare me. Ora che ci penso, è uno stalker di terza categoria, e quindi è possibile che abbia a sua volta un suo stalker... ha in mente la poesia?» Prima che potessi fermarlo iniziò a declamare: ...e come dicon sempre i rotocalchi, avrà ogni stalker qualcun che lo stalki, che da uno stalkerino è inseguito, e così via, fino all'infinito... «No, non l'avevo mai sentita» dissi tra i denti mentre il secondo stalker si premeva un fazzoletto sul labbro sanguinante. «Miss Next, le presento Adam Gnusense. Adam, Miss Next». Mi rivolse un debole cenno, guardò il fazzoletto insanguinato e sospirò afflitto. Improvvisamente mi sentii in colpa. «Mi dispiace di averla colpita, Mr Gnusense» dissi contrita. «Non sapevo che cosa steste facendo, voi due». «Rischi del mestiere, Miss Next».
«Ehi, Adam» fece Millon, in uno scatto di entusiasmo «tu hai già un tuo stalker?» «Da qualche parte» rispose Gnusense guardandosi attorno «un fallito di trentaquattresima categoria. Quel bastardello l'altra sera stava frugando nella mia spazzatura. Vera preistoria!» «Questi ragazzini... tsk» commentò Millon. «Negli anni Sessanta non se ne poteva fare a meno, ma lo stalker moderno è molto più sottile. Lunghe veglie, appunti abbondanti, tempi di ingresso e uscita, foto col teleobiettivo». «Viviamo in tempi grami» confermò Adam, scuotendo la testa con tristezza. «Devo andare. Ho promesso a un amico di tenere d'occhio Adrian Lush». Si alzò e uscì dal vicolo trascinando i piedi, inciampando sulle lattine di birra vuote. «Il vecchio Adam non è un gran conversatore» sussurrò Millon «ma rimane attaccato alla sua vittima come una mignatta. Non si abbasserebbe mai a frugare nei bidoni della spazzatura, a meno che non debba fare lezione ai giovincelli, naturalmente. Mi dica, Miss Next, dove è stata negli ultimi due anni e mezzo? Qui c'era da annoiarsi... dopo i primi diciotto mesi ho ridotto i miei appostamenti a tre sere la settimana». «Non mi crederesti mai». «Sarebbe sorpresa delle cose che sono in grado di credere. Oltre a fare lo stalker ho finito il mio primo libro: Breve storia delle Operazioni Speciali. Sono anche il direttore della rivista 'Cospirazioni oggi'. Tra un servizio sul legame evidente tra la Goliath e Yorrick Kaine e uno sull'esistenza di un misterioso animale noto solo come Cricetzilla, abbiamo pubblicato vari articoli dedicati esclusivamente a lei e alla storia di Jane Eyre. Mi piacerebbe tanto scrivere anche qualcosa sulle invenzioni di suo zio Mycroft. Anche se non sappiamo quasi niente, l'ambiente delle cospirazioni si ciba di ricche mezze verità, menzogne e supposizioni. Ha veramente costruito un apparecchio a cristalli liquidi per mimetizzare le automobili?» «Più o meno». «E la carta carbone che traduce?» «L'ha chiamata Carta di Rosetta». «E l'ovinatore? 'Cospirazioni oggi' ha dedicato varie pagine di congetture senza fondamento solo a questa invenzione». «Non so. Un tipo di macchina per cuocere le uova, forse? C'è qualcosa che tu non sappia sulla mia famiglia?» «Non molto. Sto pensando di scrivere una sua biografia. Che ne dice di Thursday Next - Una biografia?» «Il titolo? Troppo fantasioso». «Allora ho il suo permesso?» «No, ma se metti insieme un dossier su Yorrick Kaine ti racconto tutto su Aornis Hades». «La sorella minore di Acheron? Affare fatto! È sicura che non posso scrivere la sua biografia? Ho già cominciato». «Sicurissima. Se scopri qualcosa, vienimi a trovare». «Non posso. Tutti i membri della Confederazione generale degli stalker sono sottoposti a un'ingiunzione. Devo rimanere ad almeno cento metri dalla sua residenza». Sospirai. «Bene, allora fammi un cenno quando esco». De Floss accolse con entusiasmo quest'idea e lo lasciai mentre riordinava i suoi taccuini, il binocolo e la macchina fotografica, e prendeva abbondanti appunti sul suo primo incontro con me. Non mi sarei liberata di questo sciocco, ma uno stalker poteva, forse, rivelarsi un alleato. 3 Schiva la domanda
I PERFIDI DANESI "NOSTRI NEMICI STORICI", AFFERMA STORICO PAZZO "In tutta franchezza, sono veramente senza parole okmole-pole" ha affermato ieri il più importante storico pazzo inglese. "L'attacco portato dai danesi nell'Ottavo secolo sulla nostra flippe-flappe isola scettrata è una storia di invasione, sottomissione, saccheggi e sfruttamento che sarebbe rimasta blee-blee-baaaaa insuperata fino a quando molti anni dopo ci provammo noi". Le conclusioni dello storico, confuso e ben poco coerente, sono state confermate da un altro accademico altrettanto vacillante, che ieri ci ha detto: "L'invasione danese cominciò nel 786, quando i danesi fondarono un regno nell'East Anglia. E non usavano neppure i loro nomi. Preferivano fare il loro sporco lavoro sotto pseudonimi come Angli, Bruti e Flinni". Grazie a ulteriori ricerche è emerso che i danesi sono rimasti per più di quattrocento anni e sono stati rispediti a casa solo grazie al valido aiuto dei nostri nuovi amiconi, i francesi. Articolo apparso nel «Nuovo oppressore», organo ufficiale del partito Whig Come ha fatto Kaine a prendere il potere così rapidamente?» chiesi incredula mentre Joffy e io, quella sera, eravamo pazientemente in fila davanti agli studi di Rete Rospo News di Swindon. «L'ultima volta che sono stata qui, Kaine e i Whig erano praticamente finiti, dopo la storiaccia del Cardenio». Joffy si fece serio e accennò alla massa di seguaci di Kaine in uniforme che aspettavano in silenzio il loro glorioso capo. «Le cose non si sono messe bene, Thurs, Kaine ha riottenuto il suo seggio in parlamento dopo l'assassinio di Samuel Pring. I Whig hanno stretto un'alleanza con i Liberal e hanno eletto Kaine a loro capo. Sprigionava una specie di magnetismo: le masse che presenziano alle sue manifestazioni aumentano sempre più. Il suo programma di Unificazione della Gran Bretagna sta ottenendo molto sostegno, perlopiù tra gli stupidi che non fanno la fatica di pensare con la loro testa». «Una guerra contro il Galles?» «Non l'ha detto in questi termini, ma il lupo non perde il vizio. Ha ottenuto una vittoria schiacciante, dopo che il governo precedente è caduto per lo scandalo dei 'lama d'oro'. Appena è salito al potere si è proclamato cancelliere. L'anno scorso, la sua legge per le 'sriforme' ha limitato il voto ai possidenti». «Come è possibile che il parlamento l'abbia approvata?» mormorai, sbigottita.
«Non lo sappiamo per certo» rispose Joffy con tristezza. «A volte il parlamento si comporta in modo buffo. Ma Kaine non si accontenta di essere il cancelliere. Ora afferma che le commissioni e i revisori dei conti servono solo a rallentare le cose e se la gente vuole veramente che i treni arrivino in orario e i carrelli dei supermercati vadano dritti, l'unica è che un uomo solo detenga il potere esecutivo in modo incontrastato: un dittatore». «E che cosa lo trattiene?» «Il presidente» disse pacato Joffy. «Formby ha detto a Kaine che se farà pressioni per essere nominato dittatore prenderà posizione contro di lui, e Yorrick sa bene che Formby la spunterebbe: è più popolare che mai». Ci riflettei per un momento. «Quanti anni ha il presidente Formby?» «È questo il problema. Ne ha compiuti ottantaquattro lo scorso maggio». Rimanemmo per un momento in silenzio, avanzando lentamente con il resto della fila fino all'ingresso; due brutti ceffi di OPS-6 ci controllarono i documenti e ci fecero entrare. Ci sedemmo in fondo e aspettammo pazienti che cominciasse lo spettacolo. Era difficile credere che Kaine fosse riuscito a farsi strada fino al vertice della politica inglese esclusivamente in virtù del suo fascino, ma, pensai, a un personaggio di fantasia può succedere di tutto, e a quanto pareva Yorrick sfruttava al massimo questa caratteristica. «Vedi quel tale dall'aspetto sgradevole sul bordo del palcoscenico?» chiese Joffy. «Sì» risposi, guardando dove indicava Joffy e notando un uomo tarchiato con i capelli corti e apparentemente senza collo. «È il colonnello Fawsten Gayle, il capo della sicurezza di Kaine. Non ci si scherza. Corre voce che sia stato espulso da scuola per essersi inchiodato la testa a una panchina per scommessa». Accanto a Gayle c'era un uomo cadaverico dal volto emaciato con un paio di occhialetti rotondi. Aveva una valigetta rossa malconcia e indossava una giacca sportiva sgualcita e pantaloni di velluto a coste. «Quello chi è?» «Ernst Stricknene. Il consigliere personale di Kaine». Li fissai per un po' e notai che, sebbene stessero a neanche mezzo metro l'uno dall'altro, non si scambiavano neanche una parola o uno sguardo. Nella fazione di Kaine le cose erano tutt'altro che tranquille. Se mi fossi potuta avvicinare, avrei afferrato Yorrick e sarei saltata direttamente con lui in uno dei numerosi libri prigione di GiurisFiction, e sarebbe finita lì. A quanto pareva, ero tornata a casa giusto in tempo. Consultai la copia omaggio del «Nuovo oppressore» che avevo trovato sulla mia poltroncina. «Perché Kaine incolpa i danesi dei guai della nazione?» chiesi. «Perché abbiamo seri problemi economici dopo essere stati sconfitti dalla Russia nella guerra di Crimea. Non solo si sono presi Tunbridge Wells come riparazione di guerra, ma anche un bel mucchio di soldi. Il Paese è sull'orlo della bancarotta, Kaine vuole rimanere al potere, e così...» «...indirizza altrove lo scontento». «Centro. Dà la colpa a qualcun altro». «Ma perché proprio i danesi?» «Si vede che non sa davvero che pesci pigliare, eh? La nostra nazione se la prende da troppo tempo con gallesi e francesi, e ora che i russi sono fuori causa se n'è venuto fuori con questa storia dei danesi come nemico pubblico numero uno. Usa le incursioni dei vichinghi del Nono secolo e il dominio danese sull'Inghilterra dell'Undicesimo come scusa per fomentare un po' di xenofobia negli ignoranti». «Ridicolo!» «Certo. Da un mese i giornali sono pieni di propaganda antidanese. Tutti gli stereo Bang & Olufsen sono stati ritirati dal commercio per motivi di 'sicurezza' e i giocattoli della Lego sono stati proibiti in attesa di un'inchie sta
sui 'rischi derivanti dall'ingerimento'. L'elenco degli scrittori danesi messi all'indice si fa sempre più lungo. Le opere di Kierkegaard sono già state dichiarate illegali in base alla legge sulla letteratura danese indesidera bile e saranno bruciate. Mi hanno detto che il prossimo sarà Hans Christian Andersen, e poi forse anche Karen Blixen». «Devono passare sul mio cadavere per togliermi la mia copia di La mia Africa». «Anche sul mio. Fa' in modo che Amleto non dica a nessuno da dove viene. Shhh. Mi sembra che stia succedendo qualcosa». Stava davvero succedendo qualcosa. Era comparso il direttore di scena per spiegare nel dettaglio che cosa avremmo dovuto fare. Dopo una lunga serie di controlli tecnici, apparve tra gli applausi il conduttore dello spettac olo. Era Tudor Webastow del «Gufo», che aveva fondato la sua carriera sul fatto di essere abbastanza indiscreto da risaltare nella stampa politica, ma non tanto indiscreto da finire nel Tamigi con le sovrascarpe di cemento. Sedette al centro di un tavolo con due sedie vuote ai lati e riordinò gli appunti. Contrariamente al solito, "Schiva la domanda" aveva due ospiti anziché quattro, ma questa era una serata speciale: Yorrick Kaine si sarebbe confrontato con il suo avversario politico, Redmond van de Poste, del Partito del buonsenso. Webastow si schiarì la gola e cominciò a parlare. «Buonasera e benvenuti a 'Schiva la domanda', il più importante talk show di attualità nazionale. Stasera, come ogni sera, importanti personaggi pubblici eviteranno di rispondere alle domande del pubblico e si atterranno alle direttive del loro partito». Ci furono applausi, e Webastow proseguì: «Ci troviamo a Swindon, nel Wessex. Definita talvolta la terza capitale d'Inghilterra, o la 'Venezia sulla M4', la Swindon di oggi è una potenza finanziaria e industriale e i suoi abitanti sono uno spaccato della classe professionale e artistica politicamente rappresentativa della nazione nella sua interezza. A questo punto sono lieto di ricordare che 'Schiva la domanda' è offerto da Marmitte Neat-Fit®, lo scappamento da preferire». Fece una pausa e sistemò le sue carte. «Siamo onorati di avere con noi stasera due ospiti molto diversi, agli estremi opposti dello schieramento politico. Ecco a voi un uomo che due anni fa era politicamente morto, ma è riuscito a risollevarsi fino alla seconda carica della nazione con un seguito di molti milioni di fedelissimi, non tutti pazzi. Signore e signori, il cancelliere Yorrick Kaine!» Mentre Kaine appariva sul palco, le reazioni furono eterogenee: sorrise e fece un cenno in direzione del pubblico. Mi sporsi in avanti sulla sedia. Dall'ultima volta che l'avevo visto, ormai due anni prima, non sembrava minimamente invecchiato, come ci si poteva aspettare da un personaggio di fantasia. Con il suo aspetto di uomo poco meno che trentenne e i capelli neri pettinati accuratamente su un lato, avrebbe potuto fare il modello per una rivista di uncinetto. Sapevo che non lo era. Avevo controllato. «Molte grazie» esordì Kaine sedendosi al tavolo, giungendo le mani davanti a sé. «Permettetemi di dire che per me Swindon è come una seconda patria». Dalle prime file del pubblico si levò un breve cinguettio deliziato, perlopiù da vecchine che consideravano Kaine il figlio che non avevano mai avuto. Webastow proseguì: «Dall'altra parte, siamo onorati di dare il benvenuto anche a Mr Redmond van de Poste del Partito del buonsenso». Gli applausi furono più scarsi all'ingresso di van de Poste. Aveva almeno trent'anni più di Kaine, il suo aspetto era stanco e macilento, portava occhiali tondi con la montatura di corno e aveva una fronte bombata, lucida quando era colpita dalla luce. Si guardò attorno furtivo prima di sedersi rigidame nte. Intuii la ragione. Indossava uno spesso giubbotto antiproiettile sotto la giacca, e ne aveva ben donde. Gli ultimi tre leader del Buonsenso
erano andati tutti incontro a morti misteriose. Il suo predecessore era stata Mrs Fay Bentoss, morta dopo essere stata investita da un'automobile. Niente di insolito, si potrebbe pensare, se non fosse che al momento dell'incide nte era nel suo salotto. «Grazie, signori, e benvenuti. La prima domanda viene da Miss Pupkin». Una donna minuta si alzò e disse timidamente: «Buongiorno. Questa settimana Qualcuno ha fatto una Cosa terribile e vorrei chiedervi se la condannate». «Un'ottima domanda» commentò Webastow. «Mr Kaine, vuole dare il calcio d'inizio?» «Grazie, Tudor. Sì, condanno assolutamente e completamente la Cosa Terribile con la massima fermezza. Noi del partito Whig siamo indignati da come sia possibile che nella nostra grande nazione accadano Cose Terribili senza che si prendano le dovute misure nei confronti del Qualcuno che le ha commesse. Vorrei anche segnalare che l'attuale ondata di Cose Terribili che si riversa sulle nostre città e paesi è un fardello che abbiamo ereditato dal Partito del buonsenso, e vorrei segnalare che in termini reali l'incidenza di Cose Terribili è scesa di oltre il ventotto per cento da quando siamo al governo». Il pubblico applaudì. Webastow diede la parola a van de Poste. «Be'» disse Redmond sospirando «chiaramente il mio erudito amico non ha ben presenti i fatti. Secondo il nostro modo di manipolare le cifre, le Cose Terribili stanno invece aumentando. Ma vorrei per un momento smettere di fare il politicante e chiarire che nonostante questa sia naturalment e una grande tragedia personale per le persone coinvolte, condannare queste azioni senza pensarci su non ci permette di capire perché sono avvenute, e occorre fare di più per arrivare alle radici di...» «Ancora una volta» interruppe Kaine «ancora una volta vediamo che il Partito del buonsenso rifugge dalle sue responsabilità e si guarda dall'agire con decisione nei confronti di difficoltà imprecisate. Spero che tutte le persone non menzionate che si sono trovate a sopportare problemi non definiti chiaramente capiranno...» «L'ho detto, che condanniamo la Cosa Terribile» si interpose van de Poste «e potrei aggiungere che stiamo conducendo uno studio sull'intera gamma di Cose Terribili "dall'A malapena fastidioso" "all'Orrendamente atroce" e che agiremo sulla base delle risultanze... se torneremo al potere!» «Tipico dei Buonsensisti fare le cose a metà!» sbeffeggiò Kaine, palesemente a suo agio in questo tipo di discussioni. «Arrivando solo all'Orrendamente atroce, Mr van de Poste cerca di cavarsela con poco. Noi Whig abbiamo analizzato il problema delle Cose Terribili e proponiamo tolleranza zero già nei confronti di azioni Vagamente sconvenienti. Solo così sarà possibile fermare i Qualcuno che commettono Cose Terribili prima che passino ad azioni che siano Oscenamente perverse». Ci furono altri applausi, presumibilmente mentre il pubblico cercava di decifrare se A malapena fastidioso fosse peggio di Vagamente sconveniente. «Riassumendo» annunciò Webastow «al termine del primo turno assegno tre punti a Mr Kaine per un'eccellente condanna non specifica, più un punto extra per aver dato la colpa al governo precedente e un altro per essere riuscito a trasformare la domanda in modo da promuovere il suo partito. Mr van de Poste riceve un punto per una risposta ferma, ma solo due punti per la sua condanna, dato che ha cercato di inserire un'osservazione imparziale e intelligente. Così, alla fine del primo turno, Kaine è in testa con cinque punti, e van de Poste è a tre». Il pubblico applaudì di nuovo, mentre apparivano i punteggi sul tabellone. «Passiamo alla prossima fase dello spettacolo, il turno che chiamiamo 'Non rispondere alla domanda'. Abbiamo una domanda da Miss Ives». Una donna di mezz'età alzò la mano e chiese: «I signori ritengono che si debba mettere lo zucchero nella torta di rabarbaro, oppure la mancanza di
dolcezza deve essere compensata in altro modo, ad esempio con la crema?» «Grazie, Miss Ives. Mr van de Poste, vuole essere il primo a non rispondere alla domanda?» «Be'» disse Redmond, tenendo d'occhio eventuali assassini in mezzo al pubblico, «questa domanda colpisce al cuore il governo, e vorrei prima di tutto puntualizzare che il Partito del buonsenso, quando era al potere, si è sforzato di trovare soluzioni più di qualsiasi altro partito a memoria d'uomo, e pertanto è arrivato più vicino al modo giusto di fare qualcosa, anche se all'epoca non lo sapevamo». Il pubblico applaudì e Joffy e io ci scambiammo un'occhiata. «Poi migliora?» bisbigliai. «Aspetta che parlino della Danimarca». «Respingo con forza» cominciò Kaine «l'insinuazione che non stiamo facendo le cose nel modo giusto. Per dimostrarlo, vorrei cambiare completamente argomento e parlare della riorganizzazione del sistema sanitario che lanceremo l'anno prossimo. Vogliamo sostituire l'obsoleto stile sanitario 'preventivo' portato avanti incessantemente da questa nazione con un sistema chiamato Aspetta che le cose vadano davvero male, che si rivolgerà a quelli che hanno veramente bisogno di cure mediche: i malati. Gli esami periodici per tutti i cittadini verranno eliminati e saranno sostituiti da un regime diagnostico terziario che farà risparmiare tempo e risorse». Ancora una volta il pubblico applaudì. «Bene» annunciò Webastow «assegno a van de Poste tre punti per essere riuscito a non rispondere affatto alla domanda, ma cinque punti a Kaine che non solo ha ignorato la domanda, ma l'ha usata come punto di partenza per esporre il suo programma politico. Quindi, con ancora sei turni davanti, abbiamo Kaine a dieci punti e van de Poste a sei. La prossima domanda, prego». Un giovanotto con i capelli tinti di rosso che sedeva nella nostra fila alzò la mano. «Vorrei suggerire che i danesi non sono nostri nemici, e si tratta solo di una mossa cinica da parte dei Whig per scaricare su qualcun altro la colpa dei nostri problemi economici». «Ah!» fece Webastow. «La controversa questione danese. Farò evitare questa domanda per primo a Mr van de Poste». Sembrava che van de Poste si sentisse improvvisamente poco bene; gettava occhiate nervose nella direzione da cui Stricknene e Gayle lo guardavano con occhio torvo. «Penso» dichiarò lentamente «che, se i danesi sono come li descrive Mr Kaine, non posso che offrire il mio sostegno alle sue iniziative». Si asciugò la fronte con un fazzoletto, mentre Yorrick cominciava: «Quando sono salito al potere, l'Inghilterra era una nazione nella morsa del declino economico e dei mali della società. All'epoca non se ne rendeva conto nessuno e mi presi l'incarico di far vedere con tutti i mezzi a mia dispos izione l'abisso in cui era sprofondata questa grande nazione. Con il sostegno dei miei seguaci sono riuscito a dimostrare in maniera ragionevolmente chiara che le cose non vanno bene come pensavamo, e quella che ritenevamo una condizione di pace e di coesistenza con i nostri vicini era in realtà un miraggio illusorio e paranoico. Chiunque pensi...» Mi chinai verso Joffy. «La gente crede a queste frescacce?» «Temo di sì. Mi sa che si basa sul principio 'È molto più facile che la gente creda a una bugia grossa che a una piccola'. Non smette mai di sorprenderm i». «...chiunque interferisca con questa missione» snocciolava Kaine «è un nemico del popolo, che siano simpatizzanti dei danesi o gallesi desiderosi di sovvertire la nazione, o pazzi mal informati che non meritano di votare né di parlare». Ci furono applausi, ma anche proteste. Vidi che il colonnello Gayle si
appuntava su un pezzo di carta chi stava gridando contro di loro, contando i posti nelle file. «Ma perché i danesi?» ribatté l'uomo dai capelli rossi. «Hanno un sistema parlamentare notoriamente corretto, un rispetto impeccabile dei diritti umani e un'ottima reputazione per il sostegno a opere di assistenza nel Terzo mondo. Io penso che le sue siano menzogne, Mr Kaine!» Molti sussultarono e restarono senza fiato, ma ci fu pure chi annuì. Persino, credo, van de Poste. «Almeno per il momento» riprese Kaine in tono conciliante «ciascuno ha diritto di esprimere la propria opinione, e ringrazio il nostro amico per la sua schiettezza. Comunque vorrei portare l'attenzione del pubblico su una questione che non c'entra per nulla, ma ha un forte richiamo emotivo e allontanerà la discussione dalle imbarazzanti pecche del mio governo per ricondurla nell'arena della politica populista. E cioè: i casi sciagurati di morte di cagnolini e micetti quando era al potere il Partito del buonsenso». A sentir parlare di cagnolini e micetti che muoiono i più anziani tra il pubblico lanciarono gridolini di allarme. Soddisfatto per aver cambiato argoment o, Kaine proseguì: «Allo stato attuale, ogni anno più di mille cagnolini e micetti indesiderati vengono soppressi con un'iniezione letale di cui i veterinari in Danimarca dispongono liberamente. Il partito Whig, sostenito re dei valori umani, ha sempre condannato la soppressione degli animali domestici indesiderati». «Mr van de Poste?» chiese Webastow. «Come reagisce alla tattica diversiva di Kaine riguardo agli animali domestici?» «Naturalmente» cominciò van de Poste «la morte di cagnolini e micetti è deplorevole, ma noi del Partito del buonsenso dobbiamo attirare l'attenzione di tutti sul fatto che non si può fare a meno di sopprimere così gli animali indesiderati. Se la gente si comportasse in modo più responsabile con i propri animali domestici, queste cose non accadrebbero». «Tipico dell'approccio Buonsensista!» abbaiò Kaine. «Dare la colpa alla gente come se fossero tutti dei deficienti senza senso della responsabilità personale! Noi del partito Whig non possiamo perdonare un'accusa simile, e siamo sbalorditi per la sparata di Mr van de Poste. Mi impegno personalmente con voi a fare del problema della scarsità di alloggi per cagnolini la mia preoccupazione principale quando sarò dittatore». Ci furono degli urrà fragorosi e io, rattristata, scossi la testa. «Bene» disse allegro Webastow «penso che assegnerò a Mr Kaine cinque punti pieni per il suo abilissimo diversivo, più due punti extra per aver glissato sulla questione danese anziché affrontarla. Mr van de Poste, temo di poterle offrire solo un punto. Non solo si è mostrato tacitamente d'accordo con l'assurda politica estera di Mr Kaine, ma ha risposto al problema degli animali domestici indesiderati in modo onesto. Così, alla fine del terzo turno, Kaine galoppa in testa con diciassette punti, e van de Poste è il fanalino di coda con sette. La prossima domanda viene da Mr Wedgwood». «Sì» disse un uomo molto anziano in terza fila «vorrei sapere se i signori approvano la trasformazione della Goliath in un apparato fideistico a struttura aziendale». E la cosa si trascinò così per quasi un'ora, con Kaine che faceva dichiarazioni assurde e la maggior parte del pubblico che non se ne accorgeva o, peggio ancora, non se ne preoccupava. Fui contentissima quando il programma arrivò alla fine, con Kaine che conduceva con trentotto punti sui sedici di van de Poste, e uscimmo tutti. «E ora?» chiese Joffy. Estrassi dalla tasca il mio manuale giurisfictionario e lo aprii alla pagina in cui era riportato un paragrafo della Spada degli Zenobiani, uno dei molti libri inediti che GiurisFiction usava come prigione. Non avevo che da afferrare la mano di Kaine e leggere.
«Riporto Kaine con me nel Mondo dei libri. È troppo pericoloso per poter rimanere qui». «Sono d'accordo» disse Joffy, accompagnandomi al punto in cui due lunghe limousine aspettavano il cancelliere. «Gli piace incontrare le masse 'adoranti': hai una chance». Individuammo l'assembramento che lo aspettava e ci facemmo strada verso la prima fila. Gran parte del pubblico della trasmissione era qui per vedere Kaine, ma non per il mio stesso motivo. Quando apparve si sentì un cicaleccio elettrizzato. Sorrise serenamente e passò in rassegna gli ammiratori, stringendo mani e ricevendo fiori e bambini da baciare. Al suo fianco c'era il colonnello Gayle con una falange di guardie che tenevano d'occhio la folla per sincerarsi che nessuno provasse a fare qualcosa. Alle loro spalle vidi Stricknene che stringeva a sé la valigetta rossa. Mi nascosi dietro un ammiratore che sventolava una bandierina Whig, perché Kaine non mi vedesse. Ci eravamo già scontrati una volta e sapeva di che cosa ero capace, così come io sapevo di che cosa era capace lui: in occasione del nostro ultimo incontro aveva cercato di farci mangiare tutti dalla Glatisante, un supermostro proveniente dagli abissi della più depravata immaginazione dell'umanità. Se era in grado di evocare esseri immaginari a suo piacimento, meglio stare attenti. Ma poi, quando il gruppetto si avvicinò, cominciai a sentire una curiosa spinta a non catturare Kaine e a unirmi al contagioso entusiasmo. L'atmosfera era elettrica, e farsi trascinare dalla folla sembrava improvvisamente la cosa giusta da fare. Joffy era già caduto vittima dell'incantesimo e stava gesticolando e cantando insieme agli altri. Contrastai una forte pulsione a fermarmi e a concedere a Kaine il beneficio del dubbio. Ora lui e il suo entourage erano vicinissimi. Tese la mano verso la gente. Mi feci forza, diedi un'occhiata alle prime righe degli Zenobiani e aspettai il momento giusto. Avrei dovuto tenerlo stretto mentre leggevo per portare entrambi nel Mondo dei libri, e la cosa non mi preoccupava più di tanto perché l'avevo già fatto molte So volte. A preoccuparmi era il fatto che la mia risolutezza si stava rapidamente indebolendo. Prima che il magnetismo di Kaine potesse impadronirsi totalmente di me inspirai a fondo, afferrai la mano tèsa e mormorai: "Era un'epoca di pace per la Terra degli Zenobiani..." Non mi ci volle molto per saltare nel Mondo dei libri. Nel giro di qualche istante l'animata folla serale nel parcheggio degli studi di Rete Rospo News era scomparsa, per essere sostituita dal tepore di una vallata verdeggiante in cui branchi di unicorni pascolavano pacifici sotto il sole estivo. I grammassiti volteggiavano nei cieli azzurri, cavalcando l'aria calda che si sollevava dalla prateria. «Eccoci!» esclamai, girandomi verso Kaine e provando qualcosa di simile a uno choc. Accanto a me non c'era Kaine, ma un tizio di mezza età che teneva in mano una bandierina Whig e rimirava l'acqua cristallina che gorgogliava da un'apertura tra le rocce. Dovevo aver afferrato la mano sbagliata. «Dove sono?» chiese l'uomo, comprensibilmente confuso. «È un'esperienza di premorte» gli dissi in fretta «che ne pensi?» «È bellissimo!» «Bene. Non ti ci affezionare troppo: ora ti riporto indietro». Lo ripresi per mano, mormorai tra me la parola d'ordine e saltai fuori dal libro, cosa che mi riusciva molto più facile. Atterrammo dietro alcuni bidoni della spazzatura: Kaine e il suo seguito se ne stavano andando. Corsi da Joffy, che stava ancora salutando con la mano, e gli intimai di riscuotersi. «Scusa» disse scrollando la testa. «Che ti è successo?» «Non chiedere. Vieni, torniamo a casa». Ce ne andammo mentre un tale di mezza età, molto emozionato e confuso, cercava di raccontare la sua esperienza di "premorte" a chiunque lo ascoltasse. Andai a letto dopo mezzanotte, con la testa che mi girava per aver provato
l'influsso quasi ipnotico di Kaine. Però non ero a corto di idee. Potevo riprovare a catturarlo o, se non ci riuscivo, usare l'eraserhead che avevo portato di straforo fuori dal Mondo dei libri. Distruggerlo non mi spaventava. Non sarei stata più colpevole di omicidio di uno scrittore che pigia il tasto "cancella". Ma fintantoché Formby gli si opponeva, Kaine non sarebbe diventato dittatore, e quindi avevo un po' di tempo per mettere a punto una strategia. Potevo osservare e fare progetti. "Il tempo passato a 'fare riconoscimento'" mi diceva sempre Mrs Malaprop "non è mai tempo perso". 4 Una città come Swindon FORMBY CONTRO KAINE Il presidente a vita George Formby ha posto ieri il veto ai tentativi del cancelliere Kaine di autonominarsi dittatore d'Inghilterra, durante uno dei dibattiti più accesi che il Paese abbia mai visto. Il decreto sul potere esecutivo totale, già approvato dal parlamento, richiede solo la firma del presidente per diventare legge. Formby, parlando dal palazzo presidenziale a Wigan, ha detto ai giornalisti: "Eeeee, non farei gestire nemmeno una drogheria a uno ***** come quello, figuriamoci un Paese!" Il cancelliere Kaine, adirato dalle osservazioni del presidente, ha definito Formby "troppo vecchio per dire la sua sul futuro della nazione", "fuori dal tempo" e "pessimo cantante"; le proteste generali lo hanno costretto a ritrattare quest'ultima affermazione. Articolo apparso su «Il rospo», 13 luglio 1988 Era la mattina dopo "Schiva la domanda" e io avevo dormito male, svegliandomi prima di Friday, il che era insolito. Fissavo il soffitto e pensavo a Kaine. Avrei dovuto seguirlo nel suo prossimo impegno pubblico senza che lui scoprisse che ero tornata. Stavo pensando a come mai io e Joffy eravamo quasi stati risucchiati nel circo di Yorrick, quando Friday si svegliò e mi lanciò un'occhiata del tipo "colazione". Mi vestii velocemente e lo portai di sotto. "Benvenuti a 'Colazione a Swindon col Rospo'" annunciò il presentatore alla TV mentre entravo in cucina "con il sottoscritto, Warwick Fridge, e la splendida Leigh Onzolent..." "Buongiorno..." "...che vi terranno compagnia con due ore di notizie e opinioni, divertimento e giochi fino a giorno fatto. 'Colazione a Swindon col Rospo' è sponsorizzata da Maniglie Arkwright, i migliori accessori per porte del Wessex". Warwick si voltò verso Leigh, che era di gran lunga troppo affascinante
per le otto del mattino. Sorrise e continuò: "Stamattina parleremo con il capitano della squadra di croquet, Roger Kapok, delle chance di Swindon nel Superhoop '88, e anche con un radioascoltatore che afferma di avere visto degli unicorni durante un'esperienza di premorte. Il nostro uomo che sussurra ai dodo, qui a Rete Rospo, sarà a vostra disposizione per i problemi psichiatrici dei vostri animaletti domestici, mentre la nostra gara di lettura al contrario dell'Otello raggiunge i quarti di finale. Più tardi parleremo con Joffy Next della possibile resurrezione di san Zvlkx, prevista per domani, ma prima le notizie. L'amministratore delegato della Goliath ha annunciato che gli obiettivi di contrizione sono raggiungibili nel corso..." «'Giorno, figlia mia» disse mia madre, che era appena entrata in cucina «non sei mai stata un tipo mattiniero». «Non lo ero finché non è apparso l'erede» risposi indicando Friday che stava occhieggiando impaziente il pentolino del porridge «se c'è una cosa che sa fare è mangiare». «Era quello che sapevi fare meglio anche tu alla sua età. Oh» aggiunse mia madre distrattamente «ti devo dare una cosa». Uscì rapidamente dalla stanza e tornò con un fascio di carte dall'aria ufficiale. «Le ha lasciate per te Mr Hicks». Braxton Hicks era il mio vecchio capo alle OPS di Swindon. Me n'ero andata all'improvviso, e dall'aspetto della sua lettera di accompagnamento non sembrava che lui ne fosse molto contento. Ero stata degradata a Detective Letterario ricercatore e nella lettera mi si chiedeva di restituire la pistola e il distintivo. La seconda lettera era un mandato d'arresto relativo a un'accusa infondata di detenzione di modica quantità di formaggio di contrabbando acquisito illegalmente. «Il formaggio ha ancora prezzi esagerati?» chiesi a mia madre. «Criminali!» borbottò. «È tassato più del cinquecento per cento. E non solo il formaggio. Hanno esteso le tasse a tutti i derivati del latte, persino lo yogurt». Sospirai. Probabilmente avrei dovuto presentarmi alle OPS e giustificarmi. Potevo implorare perdono, andare dagli stressologi e convincerli che soffrivo di uno stress postraumatico o di Xplkqulkiccasia o di qualcos'altro e chiedere di riavere il mio posto. Forse se avessi preso la mano con un ferro 9 avrei potuto sistemare le cose col mio capo, appassionato di golf. Se volevo dare la caccia a Yorrick Kaine o fare pressione sulla Crono-Guar dia per riottenere mio marito, non mi conveniva rimanere fuori dalle OPS; avere accesso ai database delle OPS e della polizia mi avrebbe aiutato. Sfogliai le carte. A quanto pareva, ero stata giudicata colpevole per la storia del formaggio e mi avevano condannato a una multa di cinquemila sterline più le spese. «L'hai pagata?» chiesi a mia madre mostrandole l'ingiunzione del tribunale. «Sì». «Allora devo ridarti i soldi». «Non serve» rispose, aggiungendo, prima che potessi ringraziarla: «Ho attinto dal tuo conto in banca, che ora è un bel po' in rosso». «Come... sei stata premurosa». «Figurati. Bacon e uova?» «Sì, grazie». «Arrivano. Prendi tu il latte?» Andai all'ingresso per prendere il latte e mentre mi chinavo per raccoglierlo si sentì lo "zing-tump" di un proiettile che mi sfrecciava a un soffio dall'orecchio e finiva nello stipite della porta, accanto a me. Stavo per chiudere di scatto la porta ed estrarre l'automatica, quando ebbe il sopravvento un'inspiegabile lentezza, una bonaccia improvvisa. Sopra di me un piccione rimase sospeso a mezz'aria, con le punte delle ali tese verso il basso. Un motociclista era immobile in un equilibrio normalmente impossibile, e i pedoni erano rigidi e statici come statue. Persino Pickwick si era
fermata a metà di uno dei suoi passi da papera. Il tempo, almeno per il momento, si era arrestato. Conoscevo solo una persona che aveva una faccia in grado di fermare gli orologi in questo modo: mio padre. La domanda era, dove si trovava? Guardai su e giù per la strada. Niente. Visto che stavo per essere assassinata, pensai che potesse essere utile sapere chi fosse l'assassino, e così attraversai il giardinetto e la strada ed entrai nel vicolo in cui il giorno prima de Floss si era nascosto così maldestramente. Fu qui che trovai mio padre che osservava una donna bionda, minuta e molto graziosa, alta non più di un metro e mezzo, immobilizzata a metà dello smontaggio di un fucile da cecchino. Doveva avere poco meno di trent'anni e portava i capelli raccolti in una coda di cavallo legata con un nastro a fiori. Notai con un certo distacco divertito che al guardamano del fucile era attaccato un pupazzetto portafortuna e che il calcio era coperto di pelliccia rosa. Papà sembrava più giovane di me, ma lo riconobbi immediatamente. La natura bizzarra del lavoro col tempo faceva sì che gli agenti vivessero vite non lineari: ogni volta che lo incontravo aveva un'età diversa. «Ciao, papà». «Avevi ragione» disse, confrontando i lineamenti della donna immobilizzata con quelli su una serie di fotografie, «è proprio un'assassina». «Ma lascia perdere, per ora!» gridai felice. «Come stai? Sono anni che non ti vedo!» Si girò e mi fissò. «Cara figliola, abbiamo parlato poche ore fa!» «No di certo». «Ma sì!» «Ma no!» Mi fissò per un attimo e guardò l'orologio, lo scosse, lo ascoltò e lo scosse di nuovo. «Ecco» dissi porgendogli l'orologio che portavo al polso «prendi il mio». «Molto gentile, grazie. Ah! Come non detto. Fra tre ore. È un errore che si commette facilmente. Ti è venuto in mente niente su quella faccenda che dicevamo?» «No, papà» risposi esasperata «non è ancora successo, ricordi?» «Sei sempre così lineare» bofonchiò, riprendendo a confrontare le foto con l'assassina. «Dovresti provare ad ampliare un pochino i tuoi orizzonti... eureka!» Aveva trovato la foto che ritraeva la mia assassina e lesse la scritta sul retro. «'Sicaria molto quotata che agisce tra il Wiltshire e Oxford. Ha un aspetto minuto e delicato, ma è letale come pochi. È nota nell'ambiente come Senza scampoli'». Si interruppe. «Non dovrebbe essere Senza scrupoli?» «Avevo sentito dire che Senza scampoli era letale» osservai. «Ti affidano a lei e sei cibo per i vermi». «L'ho sentito dire anch'io» commentò pensieroso mio padre. «Sessantasette vittime; sessantotto se è stata lei a fare fuori Samuel Pring. Deve averti mancato intenzionalmente. È l'unica spiegazione. A ogni modo, il suo vero nome è Cindy Stoker». Questa fu una sorpresa. Cindy era la moglie di Spike Stoker, un agente di OPS-17 con cui avevo lavorato un paio di volte. Gli avevo pure dato qualche consiglio sul modo migliore per confessare a Cindy che si guadagnava da vivere dando la caccia ai licantropi. Non è la professione più ambita per un potenziale marito. «La mia assassina è Cindy? Senza scampoli è Cindy?» «La conosci?» «Non di persona. È la moglie di un buon amico». «Be', non affezionarti troppo. Proverà ad ammazzarti tre volte, senza mai riuscirci. La seconda volta lunedì, con una bomba sotto la tua macchina, poi venerdì prossimo alle undici del mattino. Ma fallirà e alla fine deciderai
che deve morire. Non dovrei dirtelo, ma come ti accennavo abbiamo ben altre gatte da pelare». «Quali gatte da pelare?» «Tesoro» disse con la sua voce seria alla "fidati di papà" «non intendo certo ricominciare tutto da capo. Ora devo tornare al lavoro: c'è un TempoFone che si sta addensando nel Medioevo e se non lo prendiamo in tempo ci toccherà raccattare anacronismi per un secolo». «Aspetta... lavori per la CronoGuardia?» «Ti ho già spiegato ogni cosa! Cerca di stare attenta: questa settimana dovrai fare appello a tutte le tue risorse. Ora torna a casa, che faccio riparti re il mondo». Non era in vena di chiacchiere, ma dal momento che lo avrei rivisto più tardi e avrei scoperto di che cosa avevamo appena parlato, non mi sembrava il caso di insistere, così lo salutai e mentre riattraversavo il giardinetto il tempo fece uno schiocco e tornò normale. Il piccione volò via, il traffico riprese a scorrere e tutto andò avanti come al solito. Il tempo si era fermato così completamente che la conversazione con mio padre non aveva occupato alcun tempo. Ma perlomeno non avrei dovuto guardarmi in continuazione le spalle, sapendo già quando Cindy avrebbe cercato di uccidermi. Badate bene, ero tutt'altro che impaziente di provocare la sua morte. Spike si sarebbe seccato da matti. Tornai in cucina, dove la mamma era ancora indaffarata a prepararmi uova e bacon. Per lei e Friday erano passati meno di venti secondi. «Che cos'era quel rumore quando ti sei affacciata alla porta, Thursday?» «Una marmitta difettosa, immagino». «Buffo» osservò «avrei giurato che fosse un proiettile ad alta velocità che si infiggeva nel legno. Un uovo o due?» «Due, grazie». Presi il giornale, che in un servizio di cinque pagine rivelava che i danesi, intesi come paste, erano stati in realtà portati in Danimarca da fornai viennesi emigrati nel Sedicesimo secolo. "In quali altri modi" tuonava l'articol o "ci hanno preso in giro i disonesti danesi?" Scossi la testa tristemente e voltai pagina. La mamma disse che poteva occuparsi di Friday fino all'ora del tè, cosa che le feci promettere prima che si rendesse completamente conto di ciò che comportava il cambio di pannolini e che vedesse quanto fosse riprovevole il comportamento di Friday a colazione. Gridò: «Ut enim ad vernam!», che probabilmente significava: "Guardate quanto lancio lontano il porridge!" mentre una cucchiaiata di avena volava attraverso la cucina, con grande soddisfazione di DH82, che aveva imparato ben presto che indugiare all'ora dei pasti vicino a marmocchi pasticcioni era un passatempo molto fruttuoso. Amleto scese a fare colazione, seguito, dopo un cauto intervallo, da Emma. Si augurarono a vicenda il buongiorno in modo così ostentato che solo il loro atteggiamento serioso mi trattenne dallo scoppiare a ridere. «Ha dormito bene, Lady Hamilton?» chiese Amleto. «Sì, grazie. Vede, la mia camera è rivolta a est, prende la prima luce». «Ah!» fece Amleto. «La mia invece no. Credo che un tempo fosse lo sgabuzzino. Ha una gaia carta da parati rosa e una lampada sul comodino a forma di canarino Titti. Non che io ci abbia fatto molto caso, ovviamente, visto che mi sono addormentato presto, da solo». «Ovviamente». «Ti voglio far vedere una cosa» disse la mamma dopo la colazione. La seguii di sotto, nel laboratorio di Mycroft. Alan aveva tenuto tutta la notte in ostaggio i dodo della mamma nel capanno degli attrezzi e ancora
adesso minacciava di beccare chiunque "cercasse di fare il furbo". «Pickwick!» esclami seria. «Permetti a tuo figlio di fare il bullo con questi dodo?» Pickwick guardò dall'altra parte e fece finta che le prudesse un piede. A essere sinceri, non riusciva a tenere sotto controllo Alan più di quanto ci riuscissi io. Solo mezz'ora prima aveva cacciato il postino fuori dal giardino con un rabbioso "plink-plink-plink"; lo stesso postino ammise che "non s'era mai visto". La mamma aprì la porta secondaria del grande laboratorio ed entrammo. Era qui che lo zio Mycroft lavorava alle sue invenzioni. Era qui, tra le altre cose, che aveva fatto esperimenti con la carta carbone traduttiva, un apparecchi o per la rilevazione anticipata del sarcasmo, la Geometria nextiana e, fondamentale per me, il Portale della Prosa, con cui ero entrata per la prima volta nella letteratura. La mamma era sempre nervosa nel laboratorio di Mycroft. Molti anni fa aveva sviluppato della carta quadridimensionale: l'idea era stampare più e più volte sullo stesso foglio, isolando le varie stampe in zone temporali lievemente diverse che poi si potevano leggere con l'ausilio di occhiali temporali. Scendendo al livello dei nanosecondi, si poteva immagazzinare su un singolo foglio, in un solo secondo, un milione di pagine di testo o di illustrazioni. Un'idea brillante, sennonché la carta sembrava in tutto e per tutto un comune foglio A4, e si innescò una disputa famigliare lunga e snervante quando mia madre usò il prototipo insostituibile per foderare il secchio dei rifiuti organici. Non c'era da meravigliarsi che da allora in presenza delle invenzioni di Mycroft mia madre usasse la massima cautela. «Che cosa volevi mostrarmi?» Sorrise e mi fece strada fino in fondo al laboratorio. Lì, accanto alle mie cose, recuperate dal mio appartamento, si vedeva la sagoma inconfondibile della mia Porsche 356 Speedster nascosta sotto un telo. «Ho acceso il motore ogni mese e ho continuato a pagare il bollo. Le ho pure fatto fare un giro, un paio di volte». Tirò via il telo con uno svolazzo. L'automobile aveva un aspetto lievemente malconcio dopo tante traversie, ma era proprio come piaceva a me. Sfiorai i fori dei proiettili sparati da Hades tanti anni prima e il parafango anteriore ammaccato da quando ero finita nel Fiume Severn. Aprii la porta del garage. «Grazie, mamma. Sicura che non ti crea problemi tenere Friday?» «Fino alle quattro del pomeriggio. Ma mi devi promettere una cosa». «Che cosa?» «Che stasera vieni al mio gruppo di Sradicati anonimi». «Mamma...!» «Ti farà bene. Ti divertirai. Potresti conoscere qualcuno. Magari dimentichi Linden». «Landen. Si chiama Landen. E non devo né voglio dimenticarlo». «Allora il gruppo ti aiuterà. E poi potresti imparare qualcosa. Oh, ti dispiace portare con te Amleto? Mr Bismarck è fissato con i danesi per tutta quella insulsa faccenda dello Schleswig-Holstein». Strinsi gli occhi. Che Joffy avesse ragione? «Ed Emma? Vuoi che mi porti via anche lei?» «No. Perché?» «Mmm... no, niente». Sollevai Friday e gli diedi un bacio. «Fa' il bravo, Friday. Oggi stai con la nonna». Friday mi guardò, guardò la mamma, si mise un dito nel naso e disse: «Sunt in culpa qui officia id est laborum?» Gli passai una mano tra i capelli e lui mi mostrò una caccola che aveva trovato. Non accettai il regalo, gli pulii la mano con un fazzolettino e andai a cercare Amleto. Lo trovai in giardino che si esibiva in colpi e parate di scherma a beneficio di Emma e Pickwick. Persino Alan aveva smesso di
vessare gli altri dodo e guardava in silenzio. Chiamai Amleto, che arrivò di corsa. «Scusa» disse il principe mentre aprivo la porta del garage. «Davo una dimostrazione pratica della lezione che impartisco a quell'idiota di Laerte». Gli feci vedere come entrare nella Porsche, mi misi al volante, avviai il motore e imboccai la discesa verso il Brunel Centre. «Mi sembra che tu ed Emma andiate molto d'accordo». «Chi?» chiese Amleto, simulando indifferenza. «Lady Hamilton». «Ah, lei. Una ragazza simpatica. Abbiamo molto in comune». «Per esempio...?» «Be'» fece Amleto, pensandoci su, «entrambi abbiamo un caro amico che si chiama Orazio». Superammo la "rotatoria magica" e indicai il nuovo stadio con i quattro tralicci per i riflettori che sovrastavano la bassa costruzione. «Quello è il nostro stadio di croquet» dissi «trentamila posti. Ci gioca la squadra degli Swindon Mallets». «Il croquet è uno sport nazionale, da queste parti?» «Eccome» risposi, parlando a ragion veduta, visto che in passato ci giocavo anch'io. «Si è molto evoluto rispetto a un tempo. Per cominciare le squadre sono più numerose, dieci contro dieci nei campionati mondiali. I giocatori devono far passare le palle attraverso gli archetti nel minor tempo possibile, quindi a volte il gioco è un po' violento. Una palla vagante dà una bella botta, e se una mazza vola via può essere letale. La federazione obbliga a indossare protezioni e a installare barriere di plexiglas per gli spettatori». Svoltai a sinistra, su Manchester Road, e parcheggiai dietro una Griffin6 Lowrider. «E ora?» «Mi taglio i capelli. Non crederai che intenda passare le prossime settimane conciata come Giovanna d'Arco?» «Ah!» disse Amleto. «Era un po' che non ne parlavi, e così non ci facevo più caso. Se per te va bene, rimango qui e scrivo una lettera a Orazio. 'Corsaro' si scrive con la 's' o con la 'z'?» «Con la 's'». Entrai dal parrucchiere della mamma. Le stiliste guardarono i miei capelli come in preda allo choc, finché Lady Volescamper che, insieme al suo sempre più eccentrico marito, ormai sindaco di Swindon, costituiva la più vistosa aristocrazia della città, improvvisamente mi additò e disse: «Ecco come li voglio. Qualcosa di nuovo. Qualcosa di retrò... Qualcosa che faccia parlare al ballo del municipio!» Mrs Barnet, parrucchiera titolare nonché capopettegola ufficiale di Swindon, trattenne uno sguardo orripilato e rispose: «Certo. E mi permetta di aggiungere che l'audacia di Vostra Grazia è pari al suo buon gusto». Lady Volescamper tornò alla sua rivista «La talpa Donna», apparentemente senza riconoscermi, il che era tanto di guadagnato: l'ultima volta che ero andata a Vole Towers un mostro proveniente dagli abissi più oscuri dell'immaginazione umana aveva devastato l'atrio. «Ciao, Thursday» disse Mrs Barnet, avvolgendomi attorno un telo con uno svolazzo esperto, «è un bel po' che non ci vediamo». «Sono stata via». «In prigione?» «No... via e basta». «Ah. Come li vuoi? So da fonti certe che il look alla Giovanna d'Arco andrà fortissimo, quest'estate». «Lo sai che non ho mai seguito le mode, Gladys. Fa' solo sparire questo taglio assurdo, ok?» «Ogni suo desiderio è un ordine». Canticchiò a bocca chiusa per un momento, e poi chiese: «Vacanze, quest'anno?»
Tornai alla macchina mezz'ora dopo e trovai Amleto a colloquio con una vigilessa, che era così presa da quello che le stava dicendo da essersi dimenticat a della multa. «E a questo punto» disse Amleto quando arrivai a portata di voce, facendo il gesto di infilzare qualcosa, «gridai: 'Un topo, un topo!' e uccisi il vecchio nascosto. Ciao Thursday... cielo, sono proprio corti, eh?» «Sempre meglio di com'erano. Vieni, devo andare a riprendermi il mio vecchio lavoro». «Lavoro?» domandò Amleto mentre ripartivamo lasciandoci dietro una vigilessa indignatissima, che voleva sapere come proseguiva la storia. «Sì. Da queste parti servono i soldi, per vivere». «Io ne ho un sacco» disse Amleto generosamente. «Prendine un po' dei miei». «Ho come l'impressione che kroner fittizie provenienti da un secolo imprecisato non avrebbero molto successo alla Banca Goliath... e metti via quel teschio. Qui all'Esterno non è un accessorio molto comune». «Dalle parti mie è l'ultimo grido». «Be', qui no. Infilalo in questo sacchetto della Tesco». «FERMA!» Inchiodai facendo stridere i freni. «Che c'è?» «Là. Sono io!» Prima che potessi obiettare, Amleto era saltato giù dalla macchina e attraversand o di corsa la strada aveva raggiunto un apparecchio automatico all'angolo della strada. Parcheggiai la Speedster e lo raggiunsi. Guardava deliziato lo scatolone, la cui metà superiore era trasparente; dentro c'era un manichino in costume, visibile dalla vita in su. «Si chiama William parlante» dissi porgendogli un sacchetto. «Ecco, mettici il teschio come ti ho chiesto». «Che cosa fa?» «Ufficialmente si chiama Distributore automatico di soliloqui scespiriani» spiegai. «Ci metti due scellini e ti fa ascoltare un breve brano tratto da Shakespeare». «Una cosa detta da me?» «Sì» risposi «da te». Perché, naturalmente, era un William parlante di Amleto, e l'Amleto manichino se ne stava con lo sguardo sbarrato rivolto verso l'Amleto in carne e ossa al mio fianco. «Possiamo sentirlo un pochino?» chiese Amleto entusiasta. «Se ci tieni. Ecco». Tirai fuori una moneta e la inserii nella macchina. Si sentì ronzare e ticchettar e mentre la macchina si animava. "Essere, o non essere" cominciò il manichino con voce cupa e metallica. L'apparecchio era stato costruito negli anni Trenta e ora era piuttosto malridot to. "Questo è il problema; s'egli sia più nobile soffrire..." Amleto era affascinato, come un bambino che ascolta per la prima volta una registrazione della propria voce. «Sono veramente io?» domandò. «Le parole sono le tue, ma gli attori lo fanno molto meglio». "...o prender armi contro un mare di guai..." «Attori?» «Sì. Attori che interpretano Amleto». Sembrava confuso. "...che son retaggio della carne..." «Non capisco». «Dunque» cominciai, guardandomi attorno per sincerarmi che nessuno
ci ascoltasse, «sai di essere Amleto dell'Amleto di Shakespeare?» «Sì?» "...morire e dormire! Dormire, forse sognare..." «Be', è un'opera teatrale, e qui nell'Esterno viene rappresentata nei teatri». «Con me?» «Su di te. Fingendo di essere te». «Ma io sono il vero me?» "...chi vorrebbe portar fardelli..." «In un certo senso». «Aaah» fece dopo aver riflettuto intensamente per qualche momento «capisco. È come tutta la faccenda dell'Assassinio di Gonzago. Mi sono sempre chiesto come funzionasse. Possiamo andarmi a vedere, una volta?» «S-sì... penso di sì» risposi a disagio. «Ci tieni?» "...dal cui confine nessun viaggiatore ritorna..." «Certo. Ho sentito dire che nell'Esterno c'è gente che pensa che io sia un eterno indeciso incapace di prendere posizione, anziché un condottiero dinamico, e questa storia della rappresentazione mi mostrerà come stanno le cose». Cercai di ricordare in quale film era meno indeciso. «Possiamo procurarci una videocassetta della versione di Zeffirelli». «Chi mi interpreta?» «Mel Gibson». "...Così la coscienza ci fa tutti vili..." Amleto mi fissò a bocca aperta. «Ma è incredibile!» esclamò entusiasta. «Sono un fan assoluto di Mel!» Stette un attimo a pensare. «Allora... Orazio dev'essere interpretato da Danny Glover, vero?» "...resa malsana dalla pallida cera del pensiero..." «No, no. Stammi a sentire: la serie di Arma letale non ha niente a che fare con Amleto». «Veramente» ribatté il principe con fare riflessivo «su questo potresti sbagliarti. Il personaggio di Martin Riggs all'inizio è pieno di dubbi e medita il suicidio per la perdita di una persona amata, ma progressivamente diventa un uomo d'azione e ammazza tutti i cattivi». Tacque un momento. «Proprio come in Mad Max, ora che ci penso. Ofelia è interpretata da Patsy Kensit?» «No» risposi, cercando di essere paziente, «Helena Bonham Carter». Al sentirlo si ringalluzzì. «Sempre meglio! Quando lo dirò a Ofelia perderà la testa... se non l'ha già persa». «Forse» dissi pensierosa «è meglio se vedi la versione con Laurence Olivier. Vieni, abbiamo da fare». "...deviano le loro correnti e perdono il nome d'azione..." Il William parlante di Amleto smise di ticchettare e ronzare e rimase di nuovo muto, in attesa del prossimo fiorino. 5 Amleto e Cheese LE SETTE MERAVIGLIE DI SWINDON ANNUNCIATA LA PROCEDURA PER LA SELEZIONE Dopo cinque anni di attenta riflessione, la giunta comunale di Swindon ha annunciato l'iter per la selezione delle più amate Sette meraviglie della città. La procedura in ventisette punti è l'opera burocratica
più costosa e complicata che la città abbia mai congegnato e potrebbe essere inclusa essa stessa tra le meraviglie. Il progetto sarà intrapreso dalla Commissione speciale per le meraviglie di Swindon che prenderà in considerazione le proposte approntate dal Partito del lavoro delle Sette meraviglie, sulla base della selezione operata da sei distinte sottocommissioni. Una volta scelte, le meraviglie saranno ulteriormente esaminate da otto diverse commissioni di supervisione prima di essere adottate. Questo sistema bizantino e inutilmente dispendioso è già candidato alla vittoria dell'ambito Disco rosso assegnato da «Burocrazia oggi». Articolo tratto dallo «Swindon Globe News», 12 giugno 1988 Arrivata nel parcheggio sopra il Brunel Centre, ritirai lo scontrino e notai come il prezzo fosse quasi triplicato dall'ultima volta che ero venuta qui. Guardai nel portafogli. Avevo quindici sterline, tre scellini e un vecchio biglietto della soprelevata. «A corto di soldi?» chiese Amleto mentre scendevamo le scale che portavano alla strada. «Diciamo che per ora sono molto 'ricca di debiti'». Nel Mondo dei libri il denaro non era mai stato un problema. Tutti i dettagli pratici della vita erano affidati a una cosa chiamata "presunzioni narrative". Il lettore presumeva che avevi fatto la spesa, o che eri andato al gabinetto, o che ti eri spazzolato i capelli, e quindi lo scrittore non aveva mai bisogno di dirlo esplicitamente, il che in effetti funzionava a meraviglia. Mi ero dimenticata del tutto delle banalità della vita vera, e adesso me le stavo godendo appieno: erano una bella distrazione. «Qui c'è scritto» disse Amleto, che stava leggendo il giornale, «che la Danimarca ha invaso l'Inghilterra e ha giustiziato senza processo migliaia di cittadini inglesi innocenti!» «Sono stati i vichinghi nel 786, Amleto. Non credo che questo giustifichi il titolo 'La furia dei danesi assetati di sangue'. E poi, all'epoca non erano più danesi di quanto noi fossimo inglesi». «Quindi non siamo i nemici storici dell'Inghilterra?» «No di certo». «E mangiare filetti d'aringa marinati non provoca disfunzioni erettili?» «No. E abbassa la voce. Tutte queste persone sono vere, non generici D7 per fare numero. Da queste parti, tu esisti solo in un dramma». «Va bene» disse, fermandosi davanti alla vetrina di un negozio di elettrodomestici a fissare i televisori. «Quella chi è?» «Lola Vavoom. Un'attrice». «Davvero? Ha mai interpretato Ofelia?» «Molte volte». «È più brava di Helena Bonham Carter?» «Sono brave entrambe; sono solo diverse». «Diverse? Che cosa intendi?» «Hanno dato vita a Ofelie diverse». Amleto rise.
«Stai facendo confusione, Thursday. Ofelia è solo Ofelia». «Qui no. Ascolta, lasciami controllare quanto è grave il mio scoperto in banca». «Come la fate complicata voi Esterni!» borbottò. «Se fossimo in un libro in questo momento si farebbe avanti un avvocato che ti direbbe che è morta una zia ricca e ti ha lasciato montagne di soldi. E poi inizieremmo il capitolo successivo con te che ti avvii verso l'ufficio di Kaine travestita da donna delle pulizie». «Scusi...!» disse un signore in giacca e cravatta pericolosamente simile a un avvocato. «Lei non è Thursday Next?» Lanciai un'occhiata nervosa ad Amleto. «Forse». «Mi permetta di presentarmi. Il mio nome è Mr Wentworth dello studio legale Wentworth, Wentworth & Wentworth. Io sono il secondo Wentworth, in caso le interessi». «E?» «E... mi concederebbe un autografo? Ho seguito con molto interesse le sue peripezie in Jane Eyre», Trassi un sospiro di sollievo e firmai il suo album di autografi. Mr Wentworth mi ringraziò e si allontanò in fretta. «Per un attimo mi hai fatto preoccupare» disse Amleto. «Pensavo di essere io il personaggio di fantasia». Sorrisi. «Lo sei, e non te lo dimenticare». «Ventiduemila sterline?» chiesi alla cassiera. «È sicura?» Lei mi guardò impassibile, poi guardò Amleto che, senza la minima discrezione, era chino su di me. «Sicurissima. 22.308 sterline, quattro scellini e tre penny e mezzo di scoperto» aggiunse, in caso l'avessi dimenticato. «Il suo padrone di casa l'ha querelata per violazione del regolamento condominiale riguardo ai dodo e ha ottenuto un risarcimento di cinquemila sterline. Quando ha chiesto il pagamento, abbiamo innalzato il suo credito, visto che lei non era qui. Poi lo abbiamo innalzato di nuovo per pagare gli interessi». «Come siete premurosi». «Grazie. La Banca Nazionale dell'amicizia Goliath ha a cuore la soddisfazione dei propri clienti». «Sei sicura che non preferivi lo scenario della zia ricca?» domandò Amleto, senza essere molto di aiuto. «No. Shhh». «Sono due anni e mezzo che non riceviamo un deposito da lei» continuò l'impiegata. «Sono stata via». «In prigione?» «No. Allora, il resto del mio scoperto viene da...?» «Interessi sul denaro che le abbiamo prestato, interessi sugli interessi, lettere in cui le chiedevamo denaro che sappiamo che lei non ha, lettere che sapevamo non le sarebbero arrivate in cui chiedevamo il suo indirizzo, lettere in cui chiedevamo se le erano arrivate lettere che sapevamo non avrebbe ricevuto, ulteriori lettere a cui chiedevamo risposta perché abbiamo un bizzarro senso dell'umorismo... alla fine viene fuori una bella sommetta! Possiamo sperare in un assegno nel prossimo futuro?» «Non proprio. Mmm... ci sarebbe la possibilità di innalzare il mio credito?» La cassiera inarcò un sopracciglio. «Posso procurarle un appuntamento con il direttore. Ha un indirizzo a cui possiamo mandarle lettere costose in cui le chiediamo del denaro?» Diedi l'indirizzo della mamma e presi un appuntamento con il direttore. Oltrepassammo la statua di Brunel e la libreria Booktastic, che era ancora aperta, nonostante le varie svendite per cessazione attività, a una delle quali ero stata con Miss Havisham. Miss Havisham. Come mi era mancata la sua guida nei primi mesi in cui ero a capo di GiurisFiction. Con lei mi sarei risparmiata la stupida storia
del calzino in Lake Wobegon Days. «D'accordo, mi arrendo» disse Amleto di punto in bianco. «Come va a finire?» «Come va a finire che cosa?» Allargò le braccia. «Tutto quanto. Tu, tuo marito, Miss Hamilton, il piccolo dodo, la faccenda del Superhoop e quella grossa società... com'è che si chiamava?» «La Goliath?» «Giusto. Come va a finire?» «Non ne ho la più pallida idea. Qui fuori le nostre vite sono decisamente un'incognita». Amleto sembrò sbalordito all'idea. «Come fate a vivere senza sapere che cosa vi porterà il futuro?» «Fa parte del divertimento. Il piacere dell'attesa». «Non c'è nessun piacere nell'attesa» disse accigliato Amleto. «Tranne, forse» aggiunse «quando si tratta di uccidere quell'idiota di Polonio». «È proprio ciò che intendo io» ribattei. «Nel vostro mondo gli eventi sono prestabiliti e tutto quello che ti succede ha qualche ripercussione sul seguito della storia». «Si vede che non leggi l'Amleto da... ATTENTA!» Amleto mi spinse via: un piccolo rullo compressore - uno di quelli che si usano sui marciapiedi e sui vialetti - stava piombando su di noi per poi sfondare la vetrina del negozio davanti a cui c'eravamo fermati. Il rullo compressore si arrestò in mezzo a un'esposizione di apparecchi elettrici, con le ruote posteriori che ancora giravano. «Tutto a posto?» chiese Amleto aiutandomi a rialzarmi. «Sto bene... grazie a te». «Cielo!» esclamò un operaio, correndo verso di noi e ruotando una valvola per spegnere il rullo compressore. «Sta bene?» «Non mi sono fatta niente. Che cos'è successo?» «Non lo so» rispose l'operaio, grattandosi la testa. «È sicura di stare bene?» «Davvero, sto benissimo». Ci allontanammo mentre cominciava a radunarsi una folla. Il proprietario del negozio non sembrava particolarmente sconvolto; di certo stava pensando a tutto ciò che avrebbe potuto farsi pagare dall'assicurazione. «Vedi?» dissi ad Amleto andando via. «Che cosa?» «È esattamente quello che sostengo io. Nella vita vera succedono un sacco di cose senza alcuna ragione. Se fossimo in una storia inventata, questo piccolo episodio rivelerebbe la sua importanza fra una trentina di capitoli; invece qui non significa niente. In fondo non tutto nella vita ha un significato». «Vallo a raccontare agli studiosi che si occupano di me» sbuffò Amleto sprezzante, poi rifletté un momento prima di aggiungere: «Se la vita vera fosse un libro non troverebbe mai un editore. Troppe lungaggini, dettagli che distraggono... e soprattutto senza un finale degno di questo nome». «Magari» dissi pensierosa «è proprio quello che ci piace della vita». Arrivammo all'edificio delle OPS. Aveva un'architettura germanica, essenziale; era stato costruito durante l'occupazione ed era stato qui che, insieme a Bowden Cable e Victor Analogy, avevo fronteggiato il piano di Acheron Hades per rapire Jane Eyre da Jane Eyre. Hades aveva fallito ed era morto nel tentativo. Mi chiesi quanti della sua vecchia banda fossero ancora in giro. Mi vennero improvvisamente dei dubbi e decisi di riflettere un attimo prima di entrare. Forse avrei dovuto elaborare una strategia invece di piombare dentro alla Zhark. «Ti va un caffè, Amleto?» «Grazie». Entrammo nel Café Goliathe dall'altra parte della strada. Era lo stesso verso cui avevo visto camminare Landen, un'ora prima che lo sradicassero.
L'ultima immagine che conservo di lui. «Ehi!» disse un uomo dietro il bancone, dall'aspetto familiare. «Qui non serviamo quei tipi lì!» «Quei tipi come?» «Così danesi!» Evidentemente la Goliath collaborava con Kaine su questa insensatezza. «Non è danese. È mio cugino Eddie di Wolverhampton». «Davvero? Allora perché è vestito come Amleto?» Ragionai rapidamente. «Perché... è matto. Non è vero, cugino Eddie?» «Sì» rispose Amleto, per cui fingere la follia non era un gran problema. «Quando il vento spira da sud, io distinguo un falco da un airone». «Vede?» «Già, tutto a posto, allora». Sussultai. Di colpo avevo capito perché mi sembrava di conoscerlo. Era Mr Cheese, uno degli scagnozzi aziendali della Goliath al servizio di Brik Schitt-Hawse. Lui e il suo socio Mr Chalk mi avevano reso la vita difficile prima che me ne andassi. Non aveva più il pizzetto ma era sicuramente lui. In incognito? Ne dubitavo: il suo nome era sul suo cartellino del Café Goliathe con accanto, notai, due stelle d'oro, una come pulitore di tazzine e l'altra come preparatore di cappuccini. Ma non diede segno di riconoscermi. «Che cosa prendi, Am... voglio dire, cugino Eddie?» «Che cosa c'è?» «Espresso, Mocha, Cappuccino, Macchiato, Cioccolata calda, Decaff, Ricaff, Nocaff, Un po' caff, Extracaff, Goliaccino ... che c'è che non va?» Amleto cominciò a tremare, con uno sguardo di sofferenza e disperazione sul volto, fissando con gli occhi sbarrati l'enorme scelta che gli si stendeva di fronte. «Espresso, o cappuccino: questo è il problema» mormorò, mentre il suo libero arbitrio evaporava velocemente. Avevo chiesto ad Amleto qualcosa che non poteva fornire facilmente: una decisione. «S'egli sia più gustoso scegliere dal menu espresso o macchiato» continuò farfugliando «o una tazza da portar via. O un bicchiere al tavolo, o panna extra, o nulla, e contras tando la scelta infinita porre fine alla doglia del cuore...» «Cugino Eddie!» intimai brusca. «Falla finita!» «Versare, zuccherare, forse bere, sì, lì è...» «Prende un espresso con doppia panna, grazie». Amleto si fermò improvvisamente, una volta che il peso della scelta gli era stato tolto. «Scusa» chiese massaggiandosi le tempie «non so che cosa mi abbia preso. Tutt'a un tratto sono stato sopraffatto da questo desiderio di mettermi a parlare a non finire senza fare niente di concreto. È normale?» «Per me no. Io prendo un caffellatte, Mr Cheese» dissi, studiando attentamente la sua reazione. Continuò a non riconoscermi. Batté lo scontrino e cominciò a preparare i caffè. «Si ricorda di me?» Strinse gli occhi e mi fissò attentamente per qualche istante. «No». «Thursday Next». Sul suo volto comparve un ampio sorriso e mi porse la mano, accogliendomi come una vecchia collega piuttosto che come un'ex nemica. Esitai, e poi lentamente gli strinsi la mano. «Miss Next! Dove è stata? In prigione?» «In giro». «Ah! Ma sta bene?» «Benissimo» risposi sospettosa, riprendendomi la mano. «Lei come sta?» «Non male!» Rise, mi guardò per un momento di sottecchi stringendo
gli occhi. «È cambiata. Che cos'è?» «Il fatto che sono quasi rapata a zero?» «Ecco cos'era. L'abbiamo cercata dappertutto. È stata per quasi diciotto mesi nella lista dei dieci massimi ricercati della Goliath... anche se non è arrivata mai al primo posto». «Non mi riprenderò dal dolore». «Nessuno era mai rimasto per dieci mesi nella lista» continuò Cheese con una sorta di sguardo sognante «il massimo erano state tre settimane. L'abbiamo cercata ovunque!» «Ma poi avete rinunciato?» «No, per carità» rispose Cheese. «La perseveranza è la miglior qualità della Goliath. C'è stata una ristrutturazione della configurazione aziendale e siamo stati riassegnati». «Intende licenziati». «Nessuno viene mai licenziato dalla Goliath» ribatté Cheese scandalizzato. «Dalla culla alla tomba. Sa come dice la pubblicità». «Così è semplicemente passato dalle violenze e le intimidazioni a caffè e cappuccini?» «Non lo sa?» domandò Cheese, scaldando il latte. «La Goliath ha trasformato la sua immagine aziendale da 'prepotente dispotico' a 'pace, amore e comprensione'». «Ne ho sentito parlare ieri sera» risposi «ma mi perdonerà se non sono convinta». «La capacità di perdonare è la migliore qualità della Goliath, Miss Next. La fede è una merce difficile da infondere, ed è per questo che gli scagnozzi violenti e senza scrupoli come me sono stati riassegnati. La nostra profetessa aziendale, sorella Bettina, ha previsto la necessità di trasformarci in un apparato fideistico a struttura aziendale, ma le regole riguardanti le nuove religioni sono molto rigorose: l'azienda deve sottoporsi a cambiamenti significativi e genuini. Per questo il vecchio Servizio di sicurezza dipartimentale della Goliath ora si chiama Siamo sinceramente dispiaciuti... vede, abbiamo pure mantenuto le stesse iniziali in modo da non dover distogliere denaro da cause meritevoli per rinnovare la carta intestata». «O doverla cambiare di nuovo quando la farete finita con questa farsa». «Sa» disse Cheese con un gesto di rimprovero «lei è sempre stata uno zinzimino cinica. Dovrebbe imparare ad avere più fiducia». «Fiducia. Certo. E pensate che dopo quattro decenni di sfruttamento sfrenato il pubblico si berrà queste stronzate sdolcinate alla 'Buon dio, quanto ci dispiace, per favore perdonateci'?» «Sfruttamento sfrenato?» ripeté Cheese in tono sbigottito. «Non credo proprio. Noi diremmo piuttosto 'Maggior produttività fattiva'... e poi sono cinque decenni, non quattro. È proprio sicura che suo cugino Eddie non sia danese?» «Sicurissima». Pensai a Brik Schitt-Hawse, l'odioso agente della Goliath che aveva fatto sradicare mio marito. «E Schitt-Hawse? Dove lavora, adesso?» «Credo che abbia un posto a Goliathopolis. In realtà non ho più a che fare con quell'ambiente. Senta, dovremmo organizzare una rimpatriata tutti insieme e berci una birra! Che ne pensa?» «Penso che preferirei riavere mio marito» risposi accigliata. «Oh!» fece Cheese, ricordando improvvisamente quale particolare scortesia mi avevano fatto lui e la Goliath, e poi aggiunse lentamente: «Deve proprio avercela con noi!» «Più che abbastanza». «Non è possibile. La disponibilità al pentimento è la miglior qualità della Goliath. Ha fatto richiesta di Annullamento di trattamento iniquo?» Lo fissai e inarcai un sopracciglio. «Dunque» cominciò «la Goliath ha permesso ai cittadini scontenti di far domanda perché siano annullate le azioni inique o eccessivamente severe
intraprese contro di loro... ci stiamo scusando in grande stile, in effetti. Se la Goliath deve diventare l'oppio dei popoli, prima dobbiamo espiare i nostri peccati. Vogliamo riparare tutte le ingiustizie, e poi dare un forte abbraccio per far vedere che ci teniamo veramente». «Onde la sua degradazione a barista». «Proprio così!» «Come si presenta la richiesta?» «Abbiamo aperto uno Scusarium a Goliathopolis; può prendere la navetta gratuita dal graviporto di Tarbuck. Le diranno che cosa fare». «Pace armoniosa, eh?» «Il pacifismo è la miglior qualità della Goliath, Miss Next. Deve solo compilare un modulo e parlare con uno dei nostri esperti in scuse. Sono sicuro che le faranno riavere suo marito in un batter d'occhi!» Presi l'espresso con doppia panna e il caffellatte e mi sedetti vicino alla vetrina, fissando in silenzio l'edificio delle OPS. Amleto percepì la mia inquietu dine e cominciò a lavorare a un elenco di cose che voleva dire a Ofelia ma che non pensava sarebbe riuscito a dirle, e poi a un elenco di cose che avrebbe dovuto dirle ma che non le avrebbe detto. Poi a un elenco di tutti i vari elenchi che aveva scritto su Ofelia e infine a una lettera di compl imenti per Sir John Gielgud. «Vado a sistemare alcune questioni» dissi dopo un po'. «Non muoverti da qui e non rivelare a nessuno chi sei veramente. Chiaro?» «Sì». «Chi sei?» «Amleto, principe di... scherzo, sono tuo cugino Eddie». «Bene. E hai la panna sul naso». 6 Le OPS La divisione Operazioni Speciali era la struttura che si occupava di ambiti troppo specialistici per essere affrontati dalla polizia ordinaria. C'erano più di trenta reparti. OPS-1 supervisionava tutti noi, OPS-12 era la CronoGuardia e OPS-13 teneva d'occhio le specie risequenziate. Ops-17 era lo Smaltimento vampiri e licantropi e OPS-32 era l'Agenzia missioni ortofrutticole. Io avevo fatto parte di OPS-27, i Detective Letterari. Dieci anni ad autenticare Milton e a rintracciare manoscritti scespiriani falsificati. Dopo aver veramente lavorato dentro la narrativa, tutto questo sembrava un po' insulso. In GiurisFiction potevo afferrare un cavallo non appena si imbizzarriva, laddove nei Detective Letterari avrei vagato per un campo sterminato armata solo di una cavezza e della foto di una carota. THURSDAY NEXT Diari privati Aprii la porta della centrale ed entrai. L'edificio ospitava anche la polizia ordinar ia ed era leggermente più malconcio di come lo ricordavo. Le pareti avevano la stessa sfumatura triste di verde e si sentiva un vago odore di cavoli bolliti dalla mensa del secondo piano. A dire il vero, la mia permanenza qui alla fine del 1985 non era stata molto lunga: la maggior parte della mia carriera nelle OPS si era svolta a Londra. Arrivai alla scrivania dell'ingresso, aspettandomi di vedere il sergente Ross. Era stato sostituito da qualcuno che sembrava troppo giovane per essere un agente di polizia, e tanto meno un sergente.
«Sono qui per riavere il mio vecchio lavoro» annunciai. «Qual era?» «Detective Letteraria». Ridacchiò. Poco cortese, pensai. «Deve parlare con il comandante» rispose senza distogliere lo sguardo dal quaderno in cui stava scribacchiando. «Nome?» «Thursday Next». Nella sala calò lentamente il silenzio, a cominciare dalle persone più vicine a me e allargandosi come le increspature su un laghetto, via via che veniva sussurrato il mio nome. Nel giro di qualche istante mi fissavano ammutoliti almeno due dozzine di agenti assortiti della polizia e delle OPS, un paio di imitatrici della Gaskell e un falso Coleridge. Sorrisi imbarazza ta e guardai un viso vacuo dopo l'altro, cercando di capire se dovevo scappare, lottare, o cos'altro. Il cuore mi batté più veloce quando un giovane agente accanto a me infilò una mano in tasca e ne estrasse... un taccuino. «Per piacere» domandò «potrei avere il suo autografo?» «Be', certo». Trassi un sospiro di sollievo, e presto mi arrivarono pacche sulla spalla e congratulazioni per tutta la vicenda di Jane Eyre. Avevo dimenticato gli effetti della celebrità, ma notai anche che alcuni agenti in sala erano interessat i a me per altri motivi: erano di OPS-1, presumibilmente. «Devo vedere Bowden Cable» dissi al sergente, rendendomi conto che se qualcuno mi poteva aiutare, era il mio vecchio collega. Il sergente sorrise, sollevò un telefono, mi annunciò e compilò un pass; mi chiese di raggiungere la sala colloqui numero 16, al terzo piano. Ringraziai i miei nuovi amici, mi feci strada fino all'ascensore e salii al terzo piano. Quando le porte dell'ascensore si aprirono sferragliando mi affrettai verso la stanza 16. A metà strada mi venne incontro Bowden che mi prese sottobraccio e mi fece entrare in un ufficio vuoto. «Bowden!» esclamai contenta. «Come stai?» Non era cambiato molto negli ultimi due anni. Meticolosamente ordinato, indossava il solito completo gessato ma senza giacca: evidentemente aveva fretta di venirmi incontro. «Sto bene, Thursday, benissimo. Ma dove diavolo sei stata?» «Sono stata...» «Me lo dirai dopo. Grazie alla DGS sono il primo a vederti! Non abbiamo molto tempo. Cielo! Che hai fatto ai capelli?» «Dunque, Giovanna d'...» «Me lo dirai dopo. Hai mai sentito parlare di Yorrick Kaine?» «Certo! Sono qui per...» «Non c'è tempo per le spiegazioni. Non ti vuole affatto bene. Ha un consigliere personale che si chiama Ernst Stricknene che ci chiama ogni giorno per sapere se sei tornata. Ma questa mattina... non ha chiamato!» «E allora?» «E allora significa che sa che sei tornata. Tra l'altro, perché il cancelliere si interessa a te?» «Perché è un personaggio letterario e voglio riportarlo nel Mondo dei libri, da cui proviene». «Se me lo dicesse chiunque altro scoppierei a ridere. È proprio vero?» «Quanto è vero che sono qui». «Be', la tua vita è in pericolo, io so solo questo. Hai mai sentito parlare di una sicaria soprannominata...» «Senza scampoli?» «Come lo sai?» «Ho le mie fonti. Hai idea di chi l'abbia assunta?» «Be', chiunque sia, ha fatto uccidere sessantasette persone - sessantotto se sono stati loro a far fuori Samuel Pring - e sicuramente ha fatto la festa a Gordon DuffRolecks, dalla cui morte ha tratto vantaggio solo...»
«Kaine». «Esattamente. Devi stare particolarmente attenta. E soprattutto, abbiamo bisogno di te come membro attivo dei Detective Letterari. Abbiamo due o tre problemini da sistemare, nel reparto». «Allora, che facciamo?» «Tu risulti assente ingiustificata, nella migliore delle ipotesi, e contrabbandie ra di formaggio nella peggiore. Così, per coprirti, abbiamo congegnato una storia di tale bizzarra complessità e stravagante audacia che non può non essere vera. Eccola: in un universo parallelo dominato dalle aragoste tu...» Ma in quella la porta si aprì ed entrò una figura familiare. Dico familiare, ma non esattamente benvenuta. Era Braxton Hicks, il comandante delle OPS di Swindon. Mi sembrò quasi di sentire il cuore di Bowden saltare un battito, e così il mio. Se Hicks aveva ancora un lavoro era merito mio, ma non mi aspettavo molta gratitudine. Era un amministratore, uno che doveva far tornare i conti, più affezionato al suo prezioso bilancio che a qualsiasi altra cosa. Non me ne aveva mai fatta passare una liscia, e non mi illudevo che avrebbe cominciato adesso. «Ah, eccola!» disse il comandante in tono serio. «Miss Next. Mi avevano riferito che era arrivata. Ci ha proprio fatto girare in tondo!» «È stata...» cominciò Bowden. «Sono sicuro che Miss Next è in grado di spiegarsi da sola, non crede?» «Sì, signore». «Bene. Chiuda la porta, uscendo». Bowden mi rivolse un sorriso pallido e sgattaiolò fuori dalla stanza. Braxton sedette, aprì la mia pratica e si lisciò i baffoni con aria pensosa. «Assenza ingiustificata per più di due anni, degradazione diciotto mesi fa, omessa riconsegna di proprietà delle OPS: arma, distintivo, righello, matita, otto penne e un dizionario». «Posso spiegare...» «Poi c'è la faccenda del formaggio di contrabbando che abbiamo rinvenuto sotto una Hispano-Suiza durante un suo picnic due anni e mezzo fa. Ho le deposizioni giurate di tutti i presenti: lei era sola, li ha raggiunti sul luogo e il formaggio era suo». «Sì, ma...» «E la polizia stradale sostiene di averla vista complice e alleata di una nota guidatrice pericolosa recidiva sulla A419 a nord di Swindon». «Quella era...» «Ma quel che è peggio è che lei mi ha mentito sistematicamente da quando è una mia sottoposta. Ha dichiarato che avrebbe imparato a giocare a golf, mentre non ha neanche mai preso in mano un putter». «Ma...» «E ho le prove delle sue menzogne. Ho visitato personalmente tutti i circoli di golf e in nessuno hanno mai fatto giocare qualcuno che corrisponda alla sua descrizione... neanche nei campi per l'allenamento. Questo come lo spiega, eh?» «Be'...» «Sparisce nel nulla due anni e mezzo fa. Nemmeno una parola. L'ho dovuta degradare. Un'agente decorata. I giornali si leccavano i baffi. La mia battuta ne ha risentito per settimane». «Mi dispiace di aver nuociuto al suo golf, signore». «Si trova proprio nei guai, signorina». Mi fissò esattamente come il mio professore di inglese a scuola, e mi venne una voglia improvvisa e pericolosamente irresistibile di scoppiare a ridere. Per fortuna non lo feci.
«Che cos'ha da dichiarare a sua discolpa?» «Posso spiegare, se mi permette di farlo». «Ragazza mia, ci sto provando da cinque...» La porta si riaprì ed entrò il colonnello Flanker di OPS-1 insieme a un altro agente. Flanker era a capo degli Affari interni, la polizia delle OPS. Era benvenuto all'incirca quanto un mal di denti: un'altra delle mie vecchie bestie nere. Se Hicks era male, Flanker era peggio. Braxton si limitava a volermi sottoporre a qualche fesseria disciplinare, ma Flanker avrebbe voluto rinchiudermi per sempre, e dopo che li avessi portati da mio padre. «Ecco!» disse appena mi vide. «Era vero. Grazie, Braxton, la prendo in consegna. Agente Jodrell, la ammanetti». Jodrell mi si avvicinò, mi prese un polso e mi girò il braccio dietro la schiena. Non aveva senso cercare di scappare: vedevo altri tre agenti di OPS-1 che incombevano sulla porta. Pensai a Friday. Se solo Bowden mi avesse raggiunto qualche minuto prima...! «Un attimo, Mr Flanker» disse Braxton chiudendo la mia pratica. «Che crede di fare?» «Arresto Miss Next per diserzione, abbandono di servizio e detenzione illegale di formaggio di contrabbando... per cominciare». «Era in missione per OPS-23» dichiarò Braxton, guardandolo negli occhi, «sotto copertura, per conto della Squadra formaggi». Non potevo crederci. Braxton che mentiva? Per me? «La Squadra formaggi?» ripeté Flanker sorpreso. «Sì» replicò Braxton che, una volta cominciato, evidentemente trovava appassionante il sotterfugio e l'uso spregiudicato della sua autorità. «È stata due anni sotto copertura in Galles per un'operazione segreta di spionaggio, per tenere d'occhio le fabbriche di formaggio abusive. Il formaggio con le sue impronte digitali era parte di un carico che aveva attraversato il confine illegalmente e che lei ha contribuito a sequestrare». «Sul serio?» domandò Flanker, la cui fiducia in sé stesso stava tentennando. «Parola mia. Non è in arresto, mi stava facendo rapporto. Pare che l'operazione fosse diretta da Joe Martlet. Può avere tutti i dettagli da lui». «Sa perfettamente che Joe è stato ammazzato dalla mafia del formaggio due settimane fa». «È stata una tragedia» ammise Braxton. «Un brav'uomo, Martlet, uno dei migliori. Andava in buca in tre sotto il par e non imprecava se la palla finiva nell'erba alta, ed ecco che ricompare Miss Next» aggiunse senza interromper si. Non ho mai visto nessuno mentire così bene. Neppure io. Neppure Friday quando scoprii che aveva fatto un'incursione nel barattolo dei biscotti con l'aiuto di Pickwick. «È vero?» chiese Flanker. «Due anni sotto copertura in Galles?» «Ydy, ond dydy hi ddim wedi bwrw glaw pob dydd!» risposi nel mio miglior gallese. Flanker strinse gli occhi e mi fissò per un momento senza parlare. «La stavo riassegnando ai Detective Letterari proprio quando siete entrati» aggiunse Braxton. Flanker guardò Braxton, quindi me, poi di nuovo Braxton. Fece un cenno a Jodrell, che mi lasciò andare. «Molto bene. Ma voglio un rapporto dettagliato sulla mia scrivania entro martedì». «Lo avrà venerdì, Mr Flanker. Sono un uomo molto impegnato». Flanker mi lanciò un'occhiataccia e poi si rivolse a Braxton: «Dato che Miss Next è di nuovo nei Detective Letterari, forse vorrà avere la bontà di nominarla ufficiale di collegamento con OPS-14 per il Sequestro libri danesi. I miei ragazzi sono molto bravi a sequestrare roba, ma devo ammettere che nessuno di loro è in grado di distinguere un Mark Twain da un Samuel Clemens». «Non sono sicura di voler...» cominciai. «Dovrebbe farle piacere potermi assistere, Miss Next. Un'ottima opportunità
di rimediare alle sue malefatte passate». Braxton rispose per me. «Sono certo che Miss Next sarà lieta di assisterla al meglio delle proprie possibilità, Mr Flanker». Flanker concesse un raro sorriso. «Bene. Il comando di OPS-14 si metterà in contatto con lei». Si rivolse a Braxton. «Ma mi serve ancora quel rapporto per martedì». «Lo avrà» rispose Braxton «venerdì». Flanker ci guardò torvo e senza aggiungere altro marciò fuori dalla stanza seguito dai suoi scagnozzi. Quando la porta si richiuse, trassi un sospiro di sollievo. «Signore, io...» «Non voglio più sentirne parlare» mi interruppe Braxton seccamente, raccogliendo i suoi incartamenti. «Vado in pensione tra due mesi e volevo fare qualcosa che desse un senso a tutta la mia carriera fatta di scartoffie da compilare, tenere un basso profilo, scaldare una sedia. Non so che cosa succederà al reparto DLett con tutta questa follia dei roghi di libri danesi, ma quello che so è che gente come lei deve rimanere qui. Faccia del suo meglio per farli diventare matti, signorina. Quanto a me posso avviluppare Flanker nelle maglie della burocrazia più o meno per sempre». «Braxton» dissi, abbracciandolo d'impulso, «lei è un tesoro!» «Fesserie!» esclamò burbero, e appena appena imbarazzato. «Ma mi aspetto qualcosa in cambio». «E cioè?» «Be'» disse lentamente, abbassando lo sguardo a terra, «mi chiedevo se lei e io potremmo...» «Potremmo che cosa?» «Potremmo... giocare a golf questa domenica. Qualche buca». Gli luccicavano gli occhi. «Solo per farle provare il gusto. Mi creda, appena impugnerà il manico di una mazza da golf ne sarà presa per sempre! Non occorre che Mrs Hicks lo sappia. Allora?» «Sarò lì alle nove» gli promisi, ridendo. «Aspetterà un bel po': io arrivo alle undici». «Vada per le undici». Gli strinsi la mano e uscii dalla stanza: ero una donna libera. A volte l'aiuto arriva da dove meno te lo aspetti. 7 I Detective Letterari LA GOLIATH CORPORATION PUBBLICA UN'AMPIA SMENTITA La Goliath Corporation ha cercato ieri di stroncare illazioni fastidiose e dannose con la più ampia smentita mai rilasciata. "In buona sostanza, smentiamo tutto" ha detto Mr Toedee, il responsabile delle pubbliche relazioni della Goliath, "compresa qualsiasi storia possiate aver sentito su di noi ora o in futuro". La tattica d'urto della Goliath riflette il crescente disagio nei confronti della sua mancanza di trasparenza, soprattutto per quanto riguarda il reparto
Armi avanzate. "È molto semplice" ha proseguito Mr Toedee "fintantoché non avremo raggiunto il rango di fede, quando qualsiasi cosa potrà essere negata con la scusa: 'La Goliath agisce per vie misteriose', neghiamo espressamente di possedere e di avere a che fare in alcun modo con l'ovinatore, la tecnologia anticastigo divino, i pomodori Crescisvelto o i diatryma selvatici che scorrazzano per la New Forest. Anzi, non sappiamo proprio che cosa siano, tutte queste cose". Tra grida di "Che cos'è un ovinatore?" e "Pomodori?", Mr Toedee ha dichiarato conclusa la conferenza stampa, ha benedetto i presenti e se n'è andato. Articolo apparso su «Il rospo della domenica», 3 luglio 1988 Trovai Bowden in ansia nell'ufficio dei DLett e gli raccontai che cos'era successo. «Bene, bene» disse alla fine «penso che il vecchio Braxton si sia preso una bella cotta». «Oh, piantala!» L'ufficio in cui ci trovavamo sembrava una grande biblioteca di una casa di campagna. Era alto due piani, con scaffali zeppi di libri che ricoprivano ogni centimetro quadro delle pareti. Una scaletta a chiocciola portava a una passerella che correva lungo tutta la parete, dando accesso ai livelli superiori. Era ordinato e curato, ma c'era meno animazione di quel che ricordavo . «Dove sono finiti i colleghi?» «Quando te ne sei andata avevamo un organico di otto persone. Ora siamo solo Victor, Malin e io. Tutti gli altri sono stati riassegnati o lasciati a casa». «Vale per tutti i reparti delle OPS?» Bowden rise. «Certo che no! I teppisti di OPS-14 sono in forze e agli ordini di Yorrick Kaine. Neanche in OPS-1 ci sono stati molti tagli...» «Thursday, che splendida sorpresa!» Era Victor Analogy, il mio ex capo ai DLett di Swindon. Era un anziano gentiluomo con folte basette in un elegante completo di tweed con tanto di papillon di seta. Si era tolto la giacca per via del caldo estivo, ma era ancora un figurino, nonostante l'età avanzata. «Victor, ti trovo benissimo!» «E io te, cara ragazza. A che diavolerie ti sei dedicata dall'ultima volta che ci siamo visti?» «È una lunga storia». «Sono le migliori. Vediamo se indovino: dentro la letteratura?» «Al primo colpo». «Come ci si trova?» «Piuttosto bene. A tratti ci si sente confusi, e ci sono momenti di estremo sovraccarico dell'immaginazione, ma non manca la varietà e il tempo è perlopiù buono. Qui possiamo parlare tranquillamente?» Victor annuì e ci sedemmo. Raccontai di GiurisFiction, del Consiglio dei
generi letterari e di tutto quello che mi era successo facendo il Banditore. Raccontai persino, per sommi capi, del mio coinvolgimento in La soluzione di Edwin Drood, che li divertì da matti. «Me l'ero sempre chiesto» rifletté Victor. «Ma sei sicura che Yorrick Kaine sia un personaggio letterario?» Glielo confermai. Si alzò e andò alla finestra. «Ti sarà molto difficile avvicinarlo» disse Victor pensieroso. «Sa che sei tornata?» «Eccome» rispose Bowden. «Allora minacci la sua posizione come dittatore d'Inghilterra quasi quanto il presidente Formby. Starei sul chi vive, ragazza mia. Possiamo fare qualcosa per aiutarti?» Ci pensai un momento. «Credo di sì. Non riusciamo a capire da che libro è fuggito Yorrick Kaine. Probabilmente agisce sotto falso nome; bisognerebbe rintracciare un lettore in grado di risalire dalle buffonate più peregrine del cancelliere a un oscuro personaggio incrociato da qualche parte. A GiurisFiction abbiamo passato in rassegna tutta la Grande Biblioteca, ma non ne abbiamo cavato un ragno dal buco: nessun personaggio della narrativa manca all'appello». «Faremo quello che possiamo, Thursday. Quando tornerai tra noi?» «Non so» risposi lentamente «devo riavere mio marito. Ricordate che è stato sradicato dalla CronoGuardia?» «Sì. Lindane, vero?» «Landen. Se non fosse per lui, forse sarei rimasta dentro la letteratura». Restammo in silenzio per un momento. «Allora» ripresi allegra «che cos'è successo nel mondo dei DLett?» Victor aggrottò le sopracciglia. «Non concordiamo con questa trovata di Kaine di bruciare i libri. Hai sentito dell'ordine di cominciare a dar fuoco alla letteratura danese?» Annuii. «Proprio in queste ore stanno requisendo le opere di Kierkegaard. Ho detto a Braxton che se ci ordinassero di fare qualcosa del genere daremmo le dimissioni». «Oh... ah». «Non so se mi è piaciuto il tono con cui l'hai detto». Trasalii. «Ho accettato di fare da ufficiale di collegamento con OPS-14 per il Sequestro libri danesi per Flanker... mi dispiace. Non avevo altra scelta». «Secondo me è un'ottima notizia» fece Bowden. «Li puoi mandare a perquisire luoghi in cui non troveranno nessun libro danese. Ma stai attenta. Flanker è sospettoso da quando gli abbiamo detto che eravamo troppo impegnati per occuparci di chi cercava di mettere in salvo copie di Il concetto dell'angoscia trafugandole per portarle in Galles». Bowden rise e abbassò la voce. «Non era una scusa». Ridacchiò. «Eravamo veramente troppo impegnati: radunavamo copie di libri proibiti per trasportarle in Galles!» Victor fece una smorfia. «Non voglio sentirne parlare, Bowden. Se vi scoprono facciamo tutti una brutta fine!» «Ci sono cose per cui vai la pena finire in prigione, Victor» rispose Bowden in tono pacato. «Come DLett abbiamo giurato di sostenere e difendere la parola scritta, non di assecondare le peggiori fantasie paranoiche di un politicante pazzo». «Sì, ma stai attento». «Certo» replicò Bowden «il piano potrebbe saltare se non troviamo un sistema per trafugare i libri dall'Inghilterra: il confine gallese non è un proble ma perché il Galles è schierato con la Danimarca. Non è che hai qualche idea su come superare la dogana inglese?»
«Non saprei» risposi. «Quante copie di libri proibiti volete contrabbandare?» «Circa quattro camion». Fischiai. La merce, come per esempio il formaggio, di solito veniva contrabband ata in Inghilterra. Non sapevo come fare per portare i libri proibiti fuori. «Ci penserò su. Che altro succede?» «Solite cose» disse Bowden. «Milton, Jonson, Swift falsi... Bande di Capuleti e Montecchi per le strade... qualcuno ha scoperto una prima bozza di Il mulino sulla Floss intitolata Sguazzare tra le chiuse. E poi la Libreria specializzata Daphne Farquitt è andata a fuoco». «Truffa assicurativa?» «No, l'ennesimo atto dimostrativo antiFarquirt». La Farquitt aveva scritto il suo primo romanzo storico-erotico nel 1932 e da allora riscriveva sempre più o meno lo stesso romanzo. Amata da molti e odiata da una minoranza agguerrita, la Farquitt era la più grande scrittrice inglese di romanzi rosa. «C'è anche stato un notevole incremento nell'uso di sostanze per migliorare le prestazioni, da parte dei romanzieri» aggiunse Victor. «L'anno scorso il vincitore del Booker per la scrittura rapida è stato squalificato perché è risultato positivo al Cartandromin. E giusto la settimana scorsa Handley Paige ha rischiato seriamente di essere sospeso per due anni dalla scrittura per aver fallito un test antidoping». «Qualche volta mi chiedo se non abbiamo troppe regole» mormorò pensoso Victor, e rimanemmo tutti e tre in silenzio, annuendo meditabondi per un po'. Bowden ruppe il silenzio. Tirò fuori un pezzo di carta macchiata chiuso in una busta di plastica trasparente e me lo passò. «Che ne pensi?» Lo lessi, senza riconoscere le parole, ma riconoscendo lo stile. Era un sonetto di Shakespeare, e pure bello. «Shakespeare... non è elisabettiano, come si intuisce dall'allusione ai Monty Python, ma ne ha il tono. Che ne dice l'Analizzatore del verso e della metrica?» «Novantuno per cento di probabilità che l'autore sia Will» rispose Victor. «Dove l'avete trovato?» «Addosso a un barbone di nome Shaxtper ucciso martedì sera. Pensiamo che qualcuno stia clonando Shakespeare». «Shakespeare clonati? Sicuri? Non potrebbe essere semplicemente uno di quei 'rapimenti temporali' della CronoGuardia?» «No. L'analisi del sangue dice che alla nascita sono stati tutti vaccinati contro rosolia, orecchioni e via dicendo». «Aspetta... ce n'è più d'uno?» «Tre» rispose Bowden. «Ultimamente abbiamo avuto un picco». «Quando torni al lavoro, Thursday?» chiese Victor con solennità. «Come vedi abbiamo bisogno di te». Tacqui un momento. «Adesso mi serve una settimana per rimettere in carreggiata la mia vita, signore. Ci sono alcune questioni pressanti di cui mi devo occupare». «Che cosa, se posso permettermi» domandò Victor «è più importante delle bande di Capuleti e Montecchi per le strade, degli Shakespeare clonati, del contrabbando di Kierkegaard e degli scrittori che usano sostanze illecite?» «Trovare una persona fidata a cui lasciare un bambino». «Cielo!» esclamò Victor. «Congratulazioni! Devi portare qui la piccola peste, qualche volta. Dico bene, Bowden?» «Senz'altro». «In effetti questo è un problema» mormorò Victor. «Non possiamo averti qui a pieno regime, se devi correre a casa alle cinque per preparare il tè al pargolo. Forse è meglio se sistemiamo tutto da soli». «No» dissi con una decisione che li fece sobbalzare entrambi. «No, torno
al lavoro. Devo solo sistemare alcune faccende. Le OPS hanno un nido?» «No». «Ah. Be', vorrà dire che mi farò venire in mente qualcosa. Se riesco a far tornare indietro mio marito non ci saranno problemi. Vi chiamo domani». Ci fu un momento di silenzio. «Non possiamo che rispettare la tua decisione, immagino» dichiarò Victor solennemente. «Siamo felici che tu sia tornata. Vero, Bowden?» «Sì» rispose il mio ex collega «felicissimi». 8 Il tempo non aspetta nessuno Ops-12 è la CronoGuardia, il reparto che si occupa della stabilità temporale. Il loro compito è mantenere l'integrità della Progressione Storica Standard (PSS) e pattugliare la corrente del tempo per evitare modifiche o impieghi non autorizzati. Le loro operazioni più brillanti passano inosservate perché le svolte del passato è come se ci fossero sempre state. Non è insolito che in un singolo turno della CronoGuardia la storia si deformi macroscopicamente prima di tornare alla PSS. Un paio di volte a settimana si prospettano cataclismi in grado di distruggere l'intero pianeta, ma vengono scrupolosamente depistati dagli abili agenti della CronoGuardia. La cittadinanza non si accorge mai di nulla, il che è tanto di guadagnato. COLONNELLO NEXT, QT, CG (INESIST.) A monte e a valle nel gran fiume del tempo (inedito) Non avevo ancora finito con le OPS. Dovevo chiarire quello che mi aveva detto mio padre durante il nostro primo incontro. Rintracciare un viaggiatore del tempo può essere irto di difficoltà, ma dato che stavo passando accanto all'ufficio della CronoGuardia esattamente tre ore dopo il nostro ultimo incontro, sembrava il posto più ovvio in cui cercare. Bussai alla porta e, non sentendo risposta, mi affacciai. Quando lavoravo alle OPS sentivamo parlare raramente i membri lievemente eccentrici dell'elite dei viaggiatori del tempo, ma se uno si occupa professionalmente del tempo, non lo perde in chiacchiere: è troppo prezioso. Mio padre diceva sempre che il tempo è di gran lunga la merce di maggior valore che abbiamo e che lo sperpero temporale dovrebbe essere un reato, il che farebbe di chi guarda "Scambio di reni tra VIP" O legge Daphne Farquitt un criminale. La stanza era vuota e, a quel che si vedeva, lo era da vari anni. Almeno, così sembrava quando vi sbirciai per la prima volta. Un secondo dopo alcuni imbianchini la stavano dipingendo ex novo, il secondo successivo era abbandonata, poi piena, poi di nuovo vuota. Sotto i miei occhi, la stanza continuava a saltare da una fase all'altra della sua storia senza attardarsi mai più di pochi secondi in un momento specifico. Gli agenti della CronoGuardia erano solamente macchie di luce che si muovevano e vorticavano, rendendosi provvisoriamente visibili quando balzavano dal passato al futuro e dal futuro al passato. Se fossi stata un'agente addestrata dalla CronoGuardia forse avrei capito meglio che cosa succedeva, ma non lo ero, e quindi non capivo. C'era un unico mobile che rimaneva immutato mentre tutto il resto correva, si spostava e sfumava in una confusione incessante. Era un tavolino con un vecchio telefono a candeliere. Entrai nella stanza e sollevai il ricevito re. «Pronto?» "Salve" disse una voce registrata "state parlando con la CronoGuardia di Swindon. Per potervi assistere, vi offriamo una serie di opzioni. Se avete subito una flessione temporale, scegliete 1. Se volete segnalare un'anomalia
temporale, scegliete 2. Se ritenete di essere stati coinvolti in un cronocrimine..." Mi enumerò molte altre scelte, ma nessuna che mi indicasse come contattare mio padre. Infine, al termine di una lunga lista, mi offrì l'opzione di parlare con un agente, e così scelsi quella. In un attimo l'indistinto movimento all'interno della stanza si fermò e tutto apparve al suo posto, ma con mobili e accessori più consoni agli anni Sessanta. Un agente sedeva alla scrivania, un uomo alto e innegabilmente bello con l'uniforme blu della CronoGuardia e il grado di capitano sulle spalle. Come aveva previsto lui stesso, era mio padre, tre ore dopo e tre ore più giovane. Sulle prime non mi riconobbe. «Salve» disse «posso aiutarla?» «Sono io, Thursday». «Thursday?» ripeté, spalancando gli occhi mentre si alzava. «Mia figlia Thursday?» Annuii e lui si avvicinò. «Perdiana!» esclamò esaminandomi con grande interesse. «Che cosa meravigliosa rivederti! Quanto tempo è passato? Sei secoli?» «Due anni» dissi, non volendo confondere ulteriormente una situazione già confusa, menzionando la nostra conversazione di quella mattina. «Ma come mai lavori di nuovo per la CronoGuardia? Non ti eri dato alla macchia?» «Ah!» rispose, facendomi cenno di avvicinarmi e abbassando la voce. «C'è stato un cambio al vertice e mi hanno assicurato che avrebbero esaminato attentamente le mie rimostranze, se avessi lavorato per loro nel corpo Conservazione storica. Ho dovuto accettare la degradazione e non verrò riconcretizzato finché non saranno sistemate le scartoffie, ma per il resto sta andando piuttosto bene. Tuo marito è ancora sradicato?» «Purtroppo sì. C'è qualche possibilità...?» Fece una smorfia. «Mi piacerebbe molto, tesoro, ma per alcuni decenni devo veramente stare molto attento a quello che faccio. Ti piace l'ufficio?» Guardai l'arredamento anni Sessanta dello stanzino. «Un po' piccolo, no?» Mio padre, che evidentemente era di umore esuberante, sorrise. «Eh sì, e ci lavoriamo in più di settecento. Visto che non possiamo starci tutti insieme, basta stiracchiare l'uso dell'ufficio lungo il flusso del tempo come se fosse un elastico». Allargò le braccia per mostrarmelo. «La chiamiamo multitemporalità». Si strofinò il mento e si guardò attorno. «Quando siamo, qui?» «È il 14 luglio 1988». «Questo è un colpo di fortuna» disse abbassando ulteriormente la voce. «Meno male che ti sei fatta viva. Mi hanno attribuito la responsabilità della guerra del 1864 tra Germania e Danimarca». «Era colpa tua?» «No, è stato quel testone di Bismarck. Ma non importa. Mi hanno trasferito a un altro reparto all'interno del corpo Conservazione storica per darmi un'altra chance. La mia prima missione si svolge nel luglio del 1988, quindi un po' di informazioni locali sono una mano santa. Hai mai sentito parlare di un certo Yorrick Kaine?» «È il cancelliere d'Inghilterra». «Tutto torna. È risorto san Zvlkx, domani?» «Forse». «Bene. Chi ha vinto il Superhoop?» «È sabato prossimo» spiegai. «Non è ancora successo». «Non è strettamente vero, tesoro. Tutto quello che facciamo in realtà è successo molto, molto tempo fa, anche questa conversazione. Il futuro c'è già. I pionieri che tracciarono i primi solchi della storia sulla linea temporale vergine sono morti eoni fa: noi ci limitiamo a cercare di mantenerla
grosso modo come dovrebbe essere. A proposito, hai mai sentito parlare di un certo Winston Churchill?» Ci pensai un momento. «Era un uomo politico inglese che si è seriamente macchiato la reputazione durante la Grande Guerra, poi è morto investito da un tassì nel 1932». «Quindi, non ha avuto un forte impatto?» «Non particolarmente. Perché?» «Ah, così. Una mia piccola teoria. Comunque, tutto è già successo. Altrimenti non servirebbe gente come me. Ma ci sono dei problemi. Nel normale corso degli eventi il tempo vola avanti e indietro dalla fine dell'allor a all'inizio dell'ora come la spola di un telaio, tessendo insieme i fili della storia. Se incontra un ostacolo, si può deformare leggermente e non si nota nessun cambiamento. Ma se l'ostacolo è grande abbastanza -e Kaine è grande più che abbastanza, credimi - allora la storia parte per la tangente. Ed è a questo punto che dobbiamo aggiustarla. Sono stato trasferito al reparto Prevenzione Armageddon, e c'è un disastro apocalittico di livello III, potenzialmente devastante per la vita, che si dirige verso di voi». Ci fu un momento di silenzio. «Tua madre lo sa che porti i capelli così corti?» «Deve veramente accadere?» «I tuoi capelli?» «No, l'Armageddon». «Niente affatto. Questo ha un indice di Probabilità definitiva di appena il ventidue per cento: 'non molto probabile'». «Niente di simile alla storia del Dream Topping, quindi» osservai. «Quale storia?» «Niente». «D'accordo. Bene, visto che sono in prova - più o meno - hanno pensato di farmi cominciare dalla minutaglia». «Ancora non capisco». «È semplice» iniziò mio padre. «Due giorni dopo il Superhoop, il presidente Formby morirà per cause naturali. Il giorno successivo Yorrick Kaine si proclamerà dittatore d'Inghilterra. Due settimane dopo, sbrigate le tradizionali abolizione della stampa ed esecuzione sommaria degli ex alleati, Kaine dichiarerà guerra al Galles. Due giorni dopo una lunga battaglia tra carri armati negli acquitrini del Galles, i Clan Uniti di Scozia lanceranno un attacco su Berwick-upon-Tweed. In un moto di stizza Kaine bombarderà a tappeto Glasgow e l'Impero svedese si schiererà con la Scozia. La Russia si alleerà con Kaine dopo il saccheggio del loro avamposto coloniale di Fetlar, nelle Shetland, così la guerra si trasferirà nell'Europa Continentale. A quel punto ci sarà un'escalation verso un corpo a corpo apocalittico tra le superpotenze africane e americane. In meno di tre mesi, della Terra rimarrà solo brace radioattiva fumante. Naturalmente» aggiunse «questa è la peggiore delle ipotesi. Probabilmente non succederà mai, a condizione che tu e io facciamo bene il nostro lavoro». «Non puoi semplicemente uccidere Kaine?» «Non è così facile. Il tempo è la colla del cosmo, tesoro, e dev'essere smontato con cautela. Saresti sorpresa se sapessi con quanta forza la linea temporale storica si prende cura dei suoi tiranni. Perché pensi che dittatori come Pol Pot, Bokassa e Idi Amin hanno avuto vite così lunghe, mentre gente come Mozart, Jim Henson e Madre Teresa ci sono stati tolti quando erano ancora relativamente giovani?» «Non mi sembra che Madre Teresa fosse esattamente giovane». «Al contrario: avrebbe dovuto vivere centoventotto anni». Ci fu un momento di silenzio. «Va bene, papà: qual è il piano?» «Dunque. È incredibilmente complesso e anche inaspettatamente semplice. Per impedire a Kaine di prendere il potere dobbiamo danneggiare seriamente
il suo sponsor, la Goliath Corporation. Senza di loro il suo potere è nullo. Per far ciò dobbiamo far sì... che Swindon vinca il Superhoop». «Come?» «È un fatto di connessioni causali. Piccoli eventi hanno grandi conseguenze. Vedrai». «No, voglio dire, come diavolo faccio a portare Swindon alla vittoria? A parte Kapok, Aubrey Jambe e forse 'Biffo' Mandible, i giocatori sono, be', delle schiappe, tanto per non andare troppo per il sottile. Soprattutto se parag onati ai loro avversari, i Reading Whackers». «Sono sicuro che ti verrà in mente qualcosa, ma tieni d'occhio Kapok: sarà il loro primo obiettivo. Dovrai fare tutto da sola, tesoro, io ho già i miei problemi. A quanto pare l'uccisione di Nelson all'inizio della battaglia di Trafalgar in realtà non era affatto opera dei revisionisti storici francesi. Ho parlato con qualcuno che conosco alla ChronoGendarmerie: loro considerano buffa l'idea che i revisionisti possano anche solo provarci. Nei modelli più avanzati della corrente temporale in cui Napoleone è l'imperatore di tutta l'Europa, la Francia non se la passa troppo bene; alla lunga per loro è meglio che le cose restino come dovevano essere». «E allora chi è che ammazza Nelson?» «Ebbene, Nelson stesso. Non mi chiedere il motivo. Ora, perché mi volevi vedere?» Ci dovetti pensare con attenzione. «Be'... niente, in realtà. Ti ho incontrato tre ore fa e tu mi hai detto che avremmo parlato e così sono venuta qui a cercarti, quindi penso di doverti chiedere di indagare su chi sta cercando di ammazzarmi questa mattina, cosa che non avresti potuto fare se non ti avessi visto questa mattina, e ti ho visto questa mattina solo perché adesso ti ho appena detto che potrei essere assassinata...» Papà rise. «È un po' come avere una centrifuga in testa, tesoro. Qualche volta non so se sto allorando o adessando. Ma sarà meglio dare un'occhiata a questo assassino, in ogni caso». «Sì» dissi più confusa che mai «mi sa proprio di sì». 9 Sradicati anonimi LA GOLIATH APPOGGIA KAINE E IL PARTITO WHIG La Goliath Corporation ha rinnovato ieri il suo sostegno al cancelliere Kaine nel corso di un party in onore del leader inglese. Durante una cena a cui hanno presenziato più di cinquecento personalità del governo e dell'economia, la Goliath si è impegnata a continuare ad appoggiare il cancelliere. In risposta Mr Kaine ha espresso la sua gratitudine per il supporto e ha annunciato un pacchetto di misure che assisteranno la Goliath nel suo difficile ma apprezzatissimo passaggio a struttura aziendale fideistica, nonché finanzieranno vari progetti di
armamenti in corso, i cui dettagli sono stati dichiarati top secret. Articolo tratto da «Il rospo», 13 luglio 1988 Amleto e io rincasando trovammo una troupe del telegiornale di don-5 in attesa al cancello. «Miss Next» disse la giornalista «ci può rivelare dove è stata ultimi due anni?» «No comment». «Potete intervistare me» si offrì Amleto, rendendosi conto che una sorta di celebrità. «E lei chi è?» chiese la giornalista, perplessa. Gli lanciai un'occhiata che lo lasciò senza parole. «Sono... sono... suo cugino Eddie». «Bene, cugino Eddie, ce lo può dire lei dove è stata Miss Next ultimi due anni?» «No comment». E percorremmo il vialetto d'ingresso fino alla porta.
Swinin questi qui era
in questi
«Dove sei stata?» domandò mia madre ancora prima che entrassimo. «Scusa il ritardo, mamma. Come va con l'ometto?» «È sfibrante. Dice che sua zia Mel è una gorilla che sa sbucciare le banane con i piedi mentre si tiene appesa al lampadario». «Ha parlato?» Friday stava facendo il millenario gesto internazionale dei bambini per essere presi in braccio - tendere le braccia verso l'alto - e come lo accontenta i mi diede un bacio bagnato e attaccò un chiacchiericcio inintelligibile. «Be', non è che l'ha proprio detto» ammise la mamma «ma mi ha fatto un disegno di zia Mel che non lascia dubbi». «Zia Mel una gorilla?» risi, guardando il disegno che rappresentava indiscutibilmen te... be', una gorilla. «Che immaginazione, eh?» «Direi proprio. L'ho trovato in piedi sulla credenza pronto ad appendersi alle tende. Quando gli ho detto che non si fa ha indicato il disegno di zia Mel: penso che intendesse che lei glielo lascia fare». «Che tipa! Cioè, che tipo!» Pickwick entrò ostentando grande scontento, con in testa un cappellino di carta tenuto insieme con lo scotch. «Pickwick è una compagna di giochi molto tollerante» commentò mia madre, che evidentemente non era molto abile a interpretare lo stato d'animo dei dodo. «Bisognerà che lo porti al nido. Gli hai cambiato il pannolino?» «Tre volte. Ma lasciano passare tutto, eh?» Gli annusai una gamba della salopette. «Già, a quanto pare». «Bene, devo andare al corso di lavorazione delle lamiere» mi comunicò mettendosi il cappellino e prendendo dall'attaccapanni la borsetta e gli occhial i da saldatore «ma sarà il caso che cerchi una soluzione migliore per il bambino, cara. Ogni tanto posso tenerlo per un'oretta, ma non per giornate intere. E sicuramente non voglio più sentir parlare di pannolini». «Pensi che Lady Hamilton se ne occuperebbe?» «È possibile» rispose mia madre con quel tono che significa il contrario «glielo puoi sempre chiedere». Aprì la porta e si prese uno stridio rabbioso da parte di Alan, che era di cattivo umore e stava estirpando i fiori dal giardino. Con una velocità incredibil e
lei lo afferrò per il collo e, mentre lui strideva e sgambettava furente, lo ripose senza cerimonie nel ripostiglio per gli attrezzi e chiuse a chiave la porta. «Maledetto uccellaccio!» gridò mia madre, dando un bacio a me e a Friday. «Ho preso il borsellino?» «È nella borsetta». «Ce l'ho il cappellino?» «Sì». Sorrise, mi disse che Bismarck non doveva essere disturbato e che non dovevo comprare niente dai venditori porta a porta a meno che non fosse veramente un affare, e se ne andò. Cambiai Friday e poi lo lasciai gironzolare in cerca di qualcosa da fare. Preparai il tè per me e Amleto, che aveva acceso la televisione sul canale Shakespeare di Tele Talpa. Mi sedetti sul divano e guardai fuori dalla finestra. L'ultima volta che ero stata qui, il giardino era stato distrutto da un mammut, e notai che la mamma l'aveva riallestito con piante poco appetitose per i proboscidati, cosa saggia, considerando le migrazioni. Pickwick passò dondolando, forse chiedendosi che fine avesse fatto Alan. Come giorno di lavoro, non avevo combinato molto. Ero ancora una Detective Letteraria, ma con un debito di ventimila sterline e senza nuove speranze di riavere Landen. Mia madre tornò alle otto e i suoi primi amici degli Sradicati anonimi comparvero alle nove. Erano in dieci, e cominciarono a chiacchierare di quelli che chiamavano i loro "scomparsi" appena entrati. Emma Hamilton e io non eravamo le uniche ad avere un marito con un problema di esistenza. Eppure, nonostante il mio Landen e l'Horatio di Emma fossero ben presenti nella nostra memoria, c'era chi non sembrava altrettanto fortunato. Alcuni avevano solo vaghe sensazioni su qualcuno di cui avevano l'impressione che dovesse esserci ma non c'era. A essere onesti, avrei fatto volentieri a meno di partecipare, ma l'avevo promesso a mia madre e vivevo a casa sua, e questo chiudeva la faccenda. «Grazie, signore e signori» esordì mia madre battendo le mani «se gentilmente prendete posto possiamo cominciare questo incontro». Tutti si sedettero, con il tè e una fetta di Battenberg in mano, pieni di attesa. «Prima di tutto vorrei dare il benvenuto nel gruppo a un nuovo membro. Come sapete mia figlia è stata via per un paio d'anni: non in prigione, che sia ben chiaro!» «Grazie, mamma» mormorai tra i denti mentre il gruppo rise educatamente, dando subito per scontato che la prigione fosse proprio dove ero stata. «E ha gentilmente acconsentito a unirsi a noi e a dire qualche parola. Thursday?» Inspirai profondamente, mi alzai e dissi in fretta: «Salve a tutti. Mi chiamo Thursday Next e mio marito non esiste». Tutti applaudirono e qualcuno commentò: «Ben detto, Thursday», ma non mi venne in mente nient'altro da aggiungere, né avevo voglia di farlo, e così mi sedetti. Tutti mi fissarono in silenzio, aspettando educatamente che andassi avanti. «Questo è quanto. Fine della storia». «Propongo un brindisi!» saltò su Emma, volgendo uno sguardo sconsolato verso l'armadietto dei liquori, chiuso a chiave. «Sei molto coraggiosa» commentò Mrs Beatty, che era seduta accanto a me. Mi diede dei colpetti gentili sulla mano. «Come si chiamava?» «Landen. Landen Parke-Laine. È stato ucciso dalla CronoGuardia nel 1947. Domani andrò allo Scusarium della Goliath per cercare di far annullare il suo sradicamento». Ci fu un mormorio. «Che cosa succede?» «Devi capire» spiegò un uomo alto e spaventosamente magro che finora
era rimasto in silenzio «che per fare progressi all'interno di questo gruppo devi cominciare ad accettare che questo è un problema della tua memoria: non c'è nessun Landen, tu ti limiti a pensare che ci sia». «C'è un'aria molto secca qui, vero?» borbottò Emma senza grande finezza, continuando a fissare l'armadietto dei liquori. «Un tempo ero come te» sospirò Mrs Beatty che aveva smesso di darmi colpetti sulla mano ed era tornata al suo lavoro a maglia. «Avevo una vita meravigliosa insieme al mio Edgar e poi, una mattina, mi svegliai in una casa diversa con Gerald sdraiato al mio fianco. Non mi credette quando gli spiegai il problema, e sono stata in cura per dieci anni, finché non sono venuta qui. Solo adesso, grazie alla vostra presenza, sto arrivando a rendermi conto che è solo una malattia della mente». Ero inorridita. «Mamma?» «È una cosa che dobbiamo provare ad affrontare, mia cara». «Ma papà viene a trovarti, no?» «Be', credo che lo faccia» rispose, pensandoci su, «ma naturalmente dopo che se n'è andato è solo un ricordo. Non c'è una vera prova del fatto che sia mai esistito». «E io? e Joffy? e lo stesso Anton? Come saremmo nati senza papà?» Liquidò con un'alzata di spalle il paradosso. «Forse si è trattato, dopotutto, di sciocchezze giovanili che ho rimosso dalla mente». «Ed Emma? Ed Herr Bismarck? Come spieghi che si trovano qui?» «Be'» rispose mia madre sforzandosi di riflettere «sono sicura che c'è una spiegazione razionale... da qualche parte». «È questo il frutto delle vostre riunioni?» domandai con rabbia. «Imparare a negare i ricordi delle persone amate?» Guardai attorno a me i membri di quel gruppo che, a quanto pareva, si erano arresi di fronte al paradosso senza speranza che vivevano ogni minuto della loro vita. Aprii la bocca per cercare di descrivere con eloquenza quanto sapessi che Landen era stato sposato con me, quando mi resi conto che stavo sprecando il mio tempo. Non avevo niente, ma proprio niente, per dimostrare che non fosse solo nella mia mente. Sospirai. A essere sinceri, era nella mia mente. Non era successo. Avevo solo i ricordi di come avrebbe potuto accadere. L'uomo alto e magro, il realista, stava cominciando a convincere tutti che non erano vittime di uno spostamento temporale, ma di allucinazioni. «Volete una dimostrazione...» Fui interrotta da un concitato bussare alla porta. Chiunque fosse, non perse tempo; entrò direttamente in casa e nel soggiorno. Era una donna di mezza età con un vestito a fiori che teneva per mano un uomo confuso e dall'aspetto enormemente imbarazzato. «Salve, gruppo!» esclamò felice. «È Ralph! L'ho riavuto!» «Ah!» fece Emma. «Bisogna festeggiare!» Tutti la ignorarono. «Sono spiacente» disse mia madre «è sicura che questa sia la casa giusta? O il gruppo di autoaiuto giusto?» «Sì, sì» confermò la donna. «Sono Julie, Julie Aseizer. Partecipo a queste riunioni ogni settimana da tre anni!» Il gruppo tacque. Si sentiva solo il tranquillo sferruzzare di Mrs Beatty. «Io non l'ho mai vista» dichiarò l'uomo alto e magro. Si guardò attorno. «Qualcuno riconosce questa persona?» I membri del gruppo scossero la testa perplessi. «Immagino che lei lo trovi davvero divertente, no?» domandò l'uomo magro incollerito. «Questo è un gruppo di autoaiuto per persone con seri problemi di memoria e sinceramente non penso che sia né divertente né utile che dei burloni si prendano gioco di noi! E adesso, per piacere, se ne vada!» La donna rimase silenziosa per un momento, mordendosi un labbro, finché non fu suo marito a parlare.
«Vieni, cara, ti riporto a casa». «Ma aspetta...!» disse lei. «Ora che lui è tornato tutto è come era prima e non avrei avuto bisogno di venire nel vostro gruppo, e quindi non l'ho mai fatto... eppure ricordo...» La voce le si affievolì e il marito la abbracciò mentre lei scoppiava in singhiozzi. La condusse fuori, continuando a scusarsi profusamente. Appena se ne furono andati, l'uomo magro tornò a sedersi indignato. «Che situazione incresciosa!» borbottò. «Pensano tutti che questo vecchio scherzo sia divertente» aggiunse Mrs Beatty «è la seconda volta, questo mese». «Mi ha fatto venire una sete pazzesca» aggiunse Emma. «Qualcuno...» «Forse» suggerii «dovrebbero dar vita a un loro gruppo di autoaiuto: potrebbero chiamarlo Sradicati anonimi anonimi». Nessuno lo trovò divertente e io nascosi un sorriso. Forse c'era qualche speranza per me e Landen, dopotutto. Il mio apporto fu trascurabile, da quel momento in poi, e la conversazione presto si allontanò dagli sradicamenti e passò a questioni più quotidiane, come l'ultima ondata di spettacoli televisivi che erano venuti alla ribalta durante la mia assenza. In quel periodo furoreggiava "Come si chiama questo frutto? - versione VIP", presentato da Frankie Saveloy, così come "Tostapane infernali" e "Ok, graffettato!", una scelta dei più gustosi incidenti con articoli di cancelleria. Ormai Emma aveva rinunciato a ogni tentativo di allusione e stava forzando la serratura dell'armadietto con un cacciavite, mentre Friday lanciava una di quelle grida ultrasoniche che solo i genitori percepiscono - ecco come fanno le pecore a sapere quale agnellino è di chi - e io mi congedai con sollievo. Era in piedi sul lettino e scuoteva le barre, così lo tirai fuori e gli lessi qualcosa finché ci addormentammo entrambi profondamente. 10 Mrs Tiggy-winkle LA CERIMONIA DEL ROGO DEI LIBRI DI KIERKEGAARD COMPROVA L'IMPOPOLARITÀ DEL FILOSOFO DANESE Il cancelliere Yorrick Kaine ha celebrato ieri sera il primo rogo di letteratura danese incenerendo otto copie di Timore e tremore, una quantità ben inferiore alle "trenta o quaranta tonnellate" attese. Alle domande sull'apparente mancanza di entusiasmo da parte della cittadinanza nei confronti del dare alle fiamme la filosofia danese, Kaine ha spiegato che "chiaramente Kierkegaard è meno popolare di quanto pensassimo, e a ragione: prossima fermata Hans Christian Andersen!" Kierkegaard non si è reso disponibile per un commento, essendosi permesso irrispettosamente di morire alcuni anni fa. Articolo tratto da «Il rospo», 14 luglio 1988
Stavo sognando che un grosso elefante armato di sega elettrica era seduto su di me quando, alle due del mattino, mi svegliai. Ero ancora completamente vestita e avevo un Friday addormentato e ronfante sul petto. Lo misi nel suo lettino e voltai la lampada sul comodino verso la parete perché facesse meno luce. Mia madre, per motivi noti solo a lei, aveva mantenuto la mia camera da letto esattamente com'era all'epoca in cui me n'ero andata di casa. Mi ispirava nostalgia, ma era anche molto preoccupante vedere che cosa mi interessava poco prima dei vent'anni. A quanto pareva erano i ragazzi, la musica, Jane Austen e la lotta al crimine, non necessariamen te in quest'ordine. Mi svestii e mi infilai una lunga T-shirt; contemplai la sagoma addormentata di Friday, che con le labbra accennava il gesto di succhiare. «Psss!» fece una voce vicinissima. Mi girai. Lì, nella penombra, c'era un'enorme porcospina in grembiulino e cuffietta. Teneva d'occhio la porta e dopo avermi rivolto un debole sorriso scivolò verso la finestra e guardò fuori. «Wow!» sussurrò entusiasta. «La luce dei lampioni è arancione. Non lo avrei mai pensato!» «Mrs Tiggy-winkle» protestai «sono via da appena due giorni!» «Mi dispiace disturbarti» disse, facendo una rapida riverenza e piegando sovrappensiero la camicia che avevo buttato sullo schienale di una sedia, «ma ci sono una o due cose che stanno succedendo che dovresti sapere... e avevi detto che se avevo qualche domanda dovevo fartela». «D'accordo. Ma non qui; finiremo per svegliare Friday». Così scendemmo cautamente in cucina. Abbassai gli scuri prima di accendere le luci perché una porco-spina di un metro e ottanta in scialle e cuffietta avrebbe potuto far inarcare un sopracciglio a qualche vicino. Al giorno d'oggi a Swindon nessuno portava la cuffietta. Offrii a Mrs Tiggy-winkle una sedia. Anche se lei, l'imperatore Zhark e Bradshaw erano stati incaricati di dirigere GiurisFiction in mia assenza, nessuno di loro aveva sufficiente attitudine al comando. E finché il Consiglio dei generi letterari si rifiutava di ammettere che la mia assenza non era solo un "congedo concesso per gravi motivi familiari", non sarebbe stato eletto un nuovo Banditore al mio posto. «Allora, che succede?» chiesi. «Oh, Miss Next!» piagnucolò, con gli aculei che le si rizzavano dal nervoso. «Per piacere, ritorna!» «Ho delle cose da sistemare qui fuori» spiegai «lo sapete tutti!» Sospirò. «È vero, ma l'imperatore Zhark si è messo a fare le bizze quando gli ho suggerito di passare un po' meno tempo a conquistare l'universo e un po' di più a GiurisFiction, la Regina Rossa non vuol avere a che fare con niente di successivo al 1867 e Vernham Deane è impegnatissimo con l'ultimo romanzo di Daphne Farquitt. Il comandante Bradshaw si fa i suoi comodi, quindi ricade tutto su di me. E stamattina qualcuno ha lasciato un piattino con pane e latte sulla mia scrivania». «Probabilmente era solo uno scherzo». «Be', non mi ha fatto ridere» rispose Mrs Tiggy-winkle indignata. «A proposito» dissi appena mi venne in mente «avete scoperto da che libro è evaso Yorrick Kaine?» «Temo di no. Attualmente il Gatto sta perlustrando i romanzi inediti nel pozzo delle trame perdute, ma ci potrebbe mettere un bel po'. Hai presente il caos che c'è laggiù». «Fin troppo bene» sospirai, pensando alla mia vecchia casa dentro la narrativa inedita con un misto di affetto e sollievo. Il Pozzo è il luogo in cui i libri sono effettivamente costruiti, dove i tramaioli creano le storie che gli autori credono di scrivere. Si possono comprare trovate narrative a prezzi stracciati e verbi a un tanto al chilo. È un posto strano, poco ma sicuro. «D'accordo» dissi alla fine «sentiamo che cosa sta succedendo». «Dunque» iniziò Mrs Tiggy-winkle contando i punti sulla zampa «stamattina
nel Mondo dei libri si vociferava di una possibile modifica delle leggi sul diritto d'autore». «Non capisco come nascano queste voci» risposi stanca. «C'era qualcosa di vero?» «Per niente». Era un argomento controverso per gli abitanti del Mondo dei libri. Il passaggio al pubblico dominio è sempre stato uno spauracchio per i personaggi letterari, e, nonostante i gruppi di sostegno e i corsi di aggiornamento per attutire il colpo, ci voleva del tempo per abituarsi alla "menopausa narrativa". Il problema è che le leggi sul diritto d'autore variano da Paese a Paese e qualche volta i personaggi sono di pubblico dominio su un mercato ma non su un altro, il che può disorientare. Poi c'è la possibilità che la legge cambi e che i personaggi che si erano abituati al pubblico dominio si ritrovino sotto diritti o viceversa. Nel Mondo dei libri, la tensione per questo problema è palpabile; basta una minuscola scintilla per scatenare disordini. «Quindi è finito tutto bene?» «Più o meno». «Ottimo. C'è altro?» «La Starbucks vuole aprire l'ennesimo caffè nei romanzi degli Hardy Boys». «Ancora?» chiesi piuttosto sorpresa. «Ce ne sono già sedici. Quanto caffè pensano che possano bere? Di' loro di aprirne uno in La signora Dalloway e altri due in L'età della ragione. Dopodiché, basta. Che altro?» «Il sarto di Gloucester ha bisogno di tre metri di seta color ciliegia per finire la giacca ricamata del sindaco, ma è raffreddato e non può uscire». «E chi siamo noi? Il DHL? Digli di mandare Simpkin, il suo gatto». «D'accordo». Ci fu un momento di silenzio. «Non sei venuta fin qui solo per darmi cattive notizie su Kaine, sul panico per i diritti d'autore e sulla seta color ciliegia, vero?» Mi guardò e sospirò. «C'è un problemino con Amleto». «Lo so. Ma ora sta facendo un favore a mia madre. Lo rimanderò indietro tra qualche giorno». «Hm» rispose la porcospina nervosamente «la situazione è un tantino complicata. Sarà il caso che tu lo trattenga qui un po' più a lungo». «Qual è il problema?» chiesi insospettita. «Non è colpa mia!» proruppe, cercando il fazzoletto. «Pensavo che la richiesta di Revisione interna della trama riguardasse le imprecisioni stagionali! La morte nel frutteto, poi l'inverno, poi i fiori...» «Che cos'è successo?» la incalzai. Mrs Tiggy-winkle aveva un'espressione veramente infelice. «Be', sai che all'interno di Amleto molti hanno bofonchiato quando Rosencrantz e Guildenstern hanno avuto un dramma tutto loro?» «Sì?» «Subito dopo che te ne sei andata, Ofelia ha cercato di fare un colpo di stato approfittando dell'assenza di Amleto. Ha fatto venire un Amleto B-6 dai racconti dei Lamb tratti da Shakespeare e lo ha convinto a reinterpretare alcune delle scene più importanti in versione più filoOfelia». «E?» «L'hanno intitolata La tragedia della vaga Ofelia, resa folle dal cinico Amleto, principe di Danimarca». «Ne pensa sempre una, eh? Glielo do io 'Lerì lerà trallerallera'. Dille di rimettere tutto a posto, o le appioppiamo un'Infrazione Letteraria di secondo grado così velocemente che le facciamo girare la testa». «Ci abbiamo provato, ma Laerte è tornato da Parigi e si è associato alla rivolta. Insieme hanno fatto ulteriori cambiamenti e l'hanno chiamata La tragedia del nobile Laerte, che vendica sua sorella la vaga Ofelia, condotta alla follia dal cinico e sanguinario Amleto, principe di Danimarca». Mi misi le mani in quello che mi rimaneva dei capelli.
«Allora... arrestarli entrambi?» «Troppo tardi. Polonio, loro padre, era in vena di novità e si è unito a loro. Ha apportato a sua volta dei cambiamenti, e insieme l'hanno chiamata La tragedia del molto arguto e neppure lontanamente tedioso Polonio, padre del nobile Laerte, che vendica la sua vaga sorella Ofelia, condotta alla follia dal cinico, sanguinario e oltraggiosamente sfrontato Amleto, principe di Danimarca». «Com'è?» «La versione con Polonio? Molto... verbosa. Potremmo sostituirli tutti» proseguì Mrs Tiggy-winkle «ma cambiare tanti personaggi importanti in un colpo solo potrebbe provocare danni irreparabili. L'ultima cosa che ci serve, adesso, è che torni indietro Amleto e dica la sua. Lo sai come dà in escandescenze quando uno si limita anche solo a ipotizzare di cambiare una parola». «Già» dissi «ecco cosa possiamo fare. Tutto questo sta succedendo nell'edizione in folio del 1623, vero?» Mrs Tiggy-winkle annuì. «Bene. Spostiamo Amleto - o come si chiama adesso - in un Motore codificastorie in disuso e accendiamo l'Amleto pubblicato dalla Penguin, così nell'Esterno leggeranno tutti quello. Ci darà tempo di riprendere fiato evitando che qualcuno veda la versione 'polonizzata'. Non renderà al meglio, ma ci accontenteremo. Orazio sarà ancora dalla parte di Amleto, no?» «Assolutamente». «Allora arruolalo temporaneamente in GiurisFiction e digli di convincere la famiglia di Polonio ad accettare un arbitrato. Fammi sapere. Cercherò di tenere Amleto di buonumore qui fuori». Prese un appunto. «È tutto?» chiesi. «Se non vuoi che ti faccia il bucato». «Ho una madre che farebbe a botte con te, per farmelo. Ora, per favore, Mrs Tiggy-winkle, devi lasciarmi sistemare Kaine e ritrovare mio marito!» «Hai ragione» ammise dopo un momento di silenzio. «Cercheremo di cavarcela da soli». «Bene». «D'accordo». «Ottimo... buonanotte, allora». «Sì» rispose la porcospina «buonanotte». Rimase lì in piedi, in cucina, battendo le zampe e fissando il soffitto. «Tiggy, che c'è?» «Si tratta di Mr Tiggy-winkle!» proruppe alla fine. «Ieri sera è tornato a casa tardissimo: era stravolto e puzzava di gas di scarico e sono tanto preoccup ata!» Erano circa le tre del mattino, quando finalmente rimasi sola con i miei pensieri, un figlio addormentato e un fazzoletto inzuppato di lacrime di porcospina. 11 La grandezza di san Zvlkx LA GOLIATH CORPORATION DÀ IL VIA AL PROGRAMMA DI RIDUZIONE DELLE DISTRAZIONI Si fanno sempre più insistenti le accuse alla multinazionale di attentare ai diritti civili, nella sua spinta all'aumento della produttività. La Goliath ha negato con forza e ha commentato: "Consideriamo
l'aver murato all'incirca un milione di finestre nelle nostre diecimila sedi di lavoro solo un passo avanti positivo. Eliminando le finestre, aspiriamo ad aiutare il lavoratore che possa soffrire di 'disordine da deficit di interesse per il lavoro' a raggiungere livelli più alti di consapevolezza e produttività. Pensiamo che così si risparmieranno anche migliaia di litri di Vetril e si eviteranno le morti, stimate in seicento ogni anno, degli addetti alla pulizia delle finestre". L'accusa alla società di essere "solo un gruppo di prepotenti" è stata controbattuta con trecento pagine di dettagliata denuncia per diffamazione, consegnata personalmente da grossi energumeni tatuati. Articolo apparso su «Il rospo della domenica», 3 luglio 1988 Dalle sue umili origini nel 1289 all'incendio fatale dell'autunno del 1536, la bellezza torreggiante della Grande cattedrale di Swindon uguagliava un tempo quella di Canterbury o di York, ma ora non più. Il sito della cattedrale, già riedificato quattro volte da allora, è attualmente occupato da un tempio di natura diversa: un supermercato Tesco. Dove un tempo procedevano lentamente monaci assorti in preghiera sotto le volte del convento, ora si possono comprare le videocassette di ginnastica di Lola Vavoom; dove le mirabili vetrate del lato est muovevano alle lacrime anche il cuore più gelido, ora si trova la vetrinetta refrigerata che può vantare cinque diverse varietà di salsiccia affumicata. Cercai un posto dove sedermi e mi misi Friday in grembo. Si dimenava mentre io mi guardavo attorno. Il parcheggio era pieno di spettatori impazienti. Qualcuno, come me, era seduto su tribune allestite per l'occasione, gli altri stavano in piedi dietro le transenne. Ma tutti, seduti o in piedi, era no rivolti verso una piccola area recintata tra il punto di riconsegna dei carrelli e i bancomat. Questa piccola area conteneva un portale segnato dalle intemperie, il solo resto visibile del monastero di Swindon, un tempo così grande. «Come va?» chiese Joffy che, oltre a essere un sacerdote della DGS e di varie altre confessioni minori, era anche a capo degli Amici Idolatri di san Zvlkx. «Bene. Quella non è Lydia Startright?» Indicavo una giornalista ben vestita che si preparava per la diretta. «Sta per intervistarmi. Come vado?» «Molto... ecclesiastico». «Grazie. Scusami». Si raddrizzò il collarino bianco e andò verso Lydia. Accanto a lei c'era il regista, un omino di rara bruttezza con una mentalità talmente limitata da considerare ancora cool e desiderabile per chi lavora nei media vestire di nero. «A che ora deve apparire il vecchio Zvlkx?» domandò il produttore a Joffy.
«Fra circa cinque minuti». «Bene. Lyds, siamo pronti». Lydia si sistemò, diede un'ultima occhiata ai suoi appunti, aspettò il segnale del regista, fece un sorriso di benvenuto e iniziò. «Buongiorno, signore e signori, vi parla Lydia Startright per Rete Rospo News in diretta da Swindon. Fra meno di cinque minuti si verificherà, in diretta sulla TV regionale, la resurrezione di san Zvlkx, l'oscuro e a volte controverso santo del Tredicesimo secolo». Si voltò a indicare le pietre invecchiate dal tempo, finora ignorate da migliaia di clienti del supermercato, ma adesso al centro dell'attenzione. «In questo luogo si ergeva la Grande cattedrale di Swindon, fondata da san Zvlkx nel Tredicesimo secolo. Dove ora c'è il banco del pesce, san Zvlkx vergò il suo Libro delle Rivelazioni che conta sette gruppi di profezie, cinque dei quali si sono già avverati. Per guidarci nel ginepraio di verità e controverità abbiamo con noi il molto irriverendo Joffy Next, capo della Chiesa della Divinità Globale Standard di Swindon, portavoce degli Amici Idolatri di san Zvlkx ed esperto in materia zvlkxiana. Salve, Joffy, benvenuto». «Grazie, Lydia» disse Joffy «noi della DGS siamo tutti suoi grandi fan». «Grazie. Allora, ci spieghi, che cosa sono esattamente le Rivelazioni?» «Dunque» cominciò «i dettagli, comprensibilmente, sono vaghi, ma san Zvlkx scrisse numerose predizioni in un libriccino, prima di sparire nel 'fuoco purificatore' del 1292. Una copia incompleta delle Rivelazioni si trova nella biblioteca cittadina di Swindon, ma a differenza delle predizioni di molti altri veggenti, che si lanciano in generalizzazioni vaghe e aperte a qualsivoglia interpretazione, quelle di san Zvlkx sono piacevolmente specifiche». «Può farci un esempio?» «Certamente. Parte della prima Rivelazione di san Zvlkx recita così: 'Il figlio di un umile macellaio della città di Ipswich arriverà a essere Lord cancelliere. Il suo nome è Tommy Wolsey, ed entrerà in carica la vigilia di Natale, e riceverà un solo regalo, non due come sarebbe suo diritto...'» «È straordinariamente preciso!» sussurrò Lydia. «Infatti: conserviamo alcune lettere del cardinale Wolsey in cui si dice 'contrariato e irritato' per il fatto di doversi accontentare di un solo regalo, cosa di cui parlava spesso e che potrebbe aver contribuito, molti anni dopo, al suo insuccesso nel persuadere il Papa ad accordare a Enrico VIII l'annullamen to del suo matrimonio con Caterina d'Aragona». «Notevole» disse Lydia. «Che altro?» «Dunque» continuò Joffy «la seconda Rivelazione di san Zvlkx annunciava: '... sarà nota come 'la flotta del secolo': un'armada di più di cento navi puzzolenti di paella attraverserà la Manica. Fuoco e vento cospireranno per distruggerle, l'Inghilterra rimarrà libera...'» «Non proprio alla stessa altezza». «Condivido» rispose Joffy. «La paella fu inventata soltanto dopo l'Invencible Armada spagnola. Ci sono degli errori qua e là, ma anche così la sua precisione è sbalorditiva. Non solo le sue Rivelazioni contengono nomi e date, ma anche, in una particolare occasione, un numero di telefono sicuro per spassarsela a Leeds. Alla fine del Sedicesimo secolo, a san Zvlkx era stato concesso quel raro contrassegno di sfrenato apprezzamento elisabettiano: il piatto commemorativo. All'epoca della sua successiva Rivelazio ne, un secolo e mezzo dopo, i suoi seguaci e sostenitori si erano ridotti a una manciata. Ma quando arrivò, questa terza Rivelazione riportò san Zvlkx alla ribalta internazionale: 'Nel 1776 un Giorgio re, terzo di numero, perderà il senno, la colonia più estesa e i calzini. La colonia crescerà fino a diventare la più grande potenza mondiale, ma il senno e i calzini non si ritroveranno...'»
«E la quarta?» «'... un uomo che si chiama come una calzatura impermeabile sbaraglierà un francese basso in Belgio...'» «Chiaramente Waterloo... e la quinta?» «'... gli aggressori malvagi, ma dalle uniformi ineccepibili, detti Natzi, il terrore per i quali ha polarizzato la nazione, saranno espulsi da queste isole da' e so che questo suona veramente strano 'la colonia menzionata nella terza previsione. E Denis Compton totalizzerà 3.816 run in un singolo campionato per la squadra di croquet del Middlesex...'» «Incredibile» mormorò Lydia. «Come faceva un monaco del Tredicesimo secolo a sapere che Compton avrebbe giocato per il Middlesex?» «Era, e forse è ancora, il più grande dei veggenti» disse Joffy. «Sappiamo che la sua sesta Rivelazione era una previsione della sua seconda venuta, ma quello che entusiasmerà gli appassionati di sport di Swindon sarà la settima Rivelazione». «Proprio così» rispose Joffy. «Secondo l'incompleto Codex Zvlkxus, 'Vi sarà una vittoria in casa sui campi da giuoco di Swindonne nel mille e novecento e ottantotto, e in conseguenza di...' Probabilmente c'era ancora qualcosa, ma è andato perduto. Glielo possiamo chiedere quando riappare». «Tutto ciò è affascinante, irriv. Next! Solo una domanda. Lui dov'è?» Guardai l'orologio mentre Friday, in piedi sulle mie gambe, fissava la coppia dietro di noi con lo sguardo inquietante dei bambini di due anni. San Zvlkx era già in ritardo di tre minuti e notai che Joffy si mordeva nervosamen te il labbro. S'era fatto tanto parlare delle predizioni del Grand'uomo, e se ora non si fosse fatto vivo la cosa sarebbe stata piuttosto imbaraz zante, nonché costosa. Joffy aveva speso buona parte dei risparmi della mamma per imparare l'Old English alla scuola serale. «Mi dica, irriv. Next» proseguì Lydia, cercando di rimpolpare l'intervista, «è vero che l'Ente per la promozione dei toast ha un contratto di sponsorizzazione con san Zvlkx?» «Esatto» rispose Joffy «noi Amici Idolatri di san Zvlkx abbiamo concluso a suo nome un accordo molto vantaggioso con l'Ente toast, che desiderava avere l'esclusiva della sua immagine e della sua sapienza, se ne ha». «Ma pare che anche la Goliath fosse interessata». «Non proprio. La Goliath ha perso un po' di entusiasmo da quando la loro divisione abbigliamento sportivo ha pagato più di un quarto di milione per sponsorizzare in esclusiva Santa Bernadette da Lincoln. Ma dal suo ritorno, sei mesi fa, non ha fatto altro che murarsi in una stanza e pregare in silenziosa introspezione, il che non si presta molto a vendere scarpe da corsa. L'Ente per la promozione dei toast, invece, non ha avanzato richieste del genere: si accontentano di vedere che cosa Zvlkx intende fare per loro». Lydia si rivolse alla telecamera. «Stupefacente. Se vi siete appena messi in ascolto, stiamo trasmettendo in diretta la seconda venuta di Thomas Zvlkx, santo del Tredicesimo secolo». Guardai di nuovo l'orologio. Zvlkx adesso era in ritardo di cinque minuti. Lydia andò avanti con la sua diretta, intervistando varie altre persone per guadagnare tempo. Il pubblico si fece un po' impaziente e dal silenzio carico di attesa cominciò a levarsi un basso mormorio. Lydia aveva appena chiesto a un guru della moda che tipo di vestiti c'era da aspettarsi che Zvlkx indossasse, quando fu interrotta da un urlo. Stava succedendo qualcosa appena fuori da Tesco, tra l'elefante volante a monete per bambini e la cassetta delle lettere. Joffy scavalcò la transenna della zona riservata alla stampa e corse verso una colonna di fumo che saliva da una spaccatura che si era aperta nell'area del parcheggio riservata alle mamme con bambini. Il cielo si oscurò, gli uccelli smisero di cantare e i clienti che uscivano dalle porte girevoli erano attoniti, mentre un fulmine si abbatté sull'antica arcata di pietra e la frantumò. Si sentì un grido impaurito collettivo, quando dal nulla si sollevò il vento. Le bandiere che pubblicizzavano i nuovi prodotti
super risparmio, che pendevano dalle aste, si staccarono con uno schiocco, e una massa vorticante di polvere e cartacce si diffuse per il parcheggio facend o tossire molti dei presenti. Nel giro di pochi minuti era tutto finito. Seduto in terra, con addosso una rozza tonaca cinta alla vita da una corda, c'era un uomo sudicio, con la barba ispida e i denti straordinariamente mal ridotti. Batté le palpebre e si guardò intorno incuriosito. «Benvenuto» disse Joffy, il primo ad avvicinarsi, «rappresento gli Amici Idolatri bi san Zvlkx e bi offro protezione e guida». Il monaco del Tredicesimo secolo lo rimirò con occhi scuri, poi guardò la folla che gli si era radunata attorno: tutti parlavano e lo indicavano e gli chiedevano se potevano farsi una foto accanto a lui. «Il vostro accento non è malaccio» rispose lentamente san Zvlkx. «Santo nel 1988?» «Sì, mio signore. Ho stipulato per voi una sponsorizzazione con l'Ente per la promozione bei toast». «Moneta sonante?» Joffy annuì. «Te ne sono grato» disse Zvlkx. «La birra è migliorata da quando me ne sono andato?» «Non molto. Ma c'è più scelta». «Non vedo l'ora! Puppì-poppì! Chi è quella pupa con la camicetta attillata?» «Mr Next» si intromise Lydia, che era riuscita a portarsi in prima fila «potremmo chiederle la cortesia di tradurci le parole di Mr Zvlkx?» «Gli ho... hmm... dato il benvenuto nel Ventesimo secolo e gli ho detto che abbiamo molto da imparare da lui per quanto riguarda l'apicoltura e l'arte perduta della fabbricazione dell'idromele. Lui ha... hmm... appena detto che è stanco per il viaggio e desidera solo la pace nel mondo, la fratellanz a tra i popoli e ospitalità per orfani, gattini e cuccioli». La folla si aprì improvvisamente per far passare il sindaco di Swindon. san Zvlkx riconosceva il potere quando lo vedeva e salutò con un sorriso Lord Volescamper, che si fece avanti per stringere la mano sporca del frate. «Ecco qui, benvenuto nel Ventesimo secolo, vecchio lupo di mare» disse Volescamper, pulendosi la mano con il fazzoletto. «Che te ne pare?» «Benvenuto nella nostra epoca» tradusse Joffy «il vostro soggiorno è piacevole?» «Uno sballo, vecchio puttaniere» tagliò corto il santo. «Dice molto bene, grazie». «Riferisca al degnissimo sant'uomo che gli abbiamo preparato un kit di benvenuto nella suite presidenziale dell'Hotel Finis. Conoscendo la sua avversio ne per il comfort, ci siamo presi la libertà di eliminare tappeti, tende, lenzuola e asciugamani e di rifare i letti con sacchi di canapa riempiti di sassi». «Che blatera il coglione?» «Non lo buoi sapere». «San Zvlkx può dirci qualcosa sulla settima Rivelazione, quella incompleta?» chiese Lydia. Joffy tradusse rapidamente e san Zvlkx frugò nelle pieghe della coperta fino a tirarne fuori un libriccino rilegato in pelle. Sulla folla calò il silenzio mentre si leccava un dito sudicio, cercava la pagina e leggeva: «Vi sarà una vittoria in casa sui campi da giuoco di Twinbonne nel mille e novecento e ottantotto, e in conseguenza bi ciò un grande tiranno e la Società bi nome Goliathe crolleranno». Tutti puntarono gli occhi su Joffy, che tradusse. La gente rimase con il fiato sospeso e cominciò una raffica di domande. «Mr Zvlkx» disse un inviato della «Talpa», che fino a quel momento si era annoiato a morte, «intende dire che per la Goliath sarà finita se Swin-
don vince il Superhoop?» «È esattamente quel che ha detto» rispose Joffy. Ci fu un ulteriore vocio da parte dei giornalisti riuniti mentre io mi sforzavo di immaginare le ripercussioni di questa nuova informazione. Papà mi aveva spiegato che una vittoria di Swindon al Superhoop avrebbe evitato un Armageddon e, se si fosse avverato quello che prevedeva san Zvlkx, un successo sabato prossimo avrebbe avuto precisamente questo effetto. La domanda era: come? Non c'era alcun nesso, per quel che ne potevo capire. Mi stavo ancora chiedendo come una finale di croquet potesse scalzare un quasi dittatore e distruggere una delle più potenti multinazionali del pianeta, quando Lord Volescamper intervenne e zittì la rumorosa folla di giornalisti con un cenno della mano. «Mr Next, ringrazi il cortese santo per le sue parole. Ci sarà tempo a sufficienza per riflettere sulla sua Rivelazione, ma ora mi piacerebbe che incontrasse alcuni membri della camera di commercio di Swindon che, se posso ricordarlo, è sponsorizzata dagli Zuccherini colorati san Biddulph®, la 'decorazione per dolci che fa per te'. Dopodiché potremo prendere tè e torta di carote. Il santo è d'accordo?» Joffy tradusse ogni parola e Zvlkx sorrise lieto. «Senta, san Zvlkx» disse Volescamper mentre si dirigevano verso il gazebo in cui erano stati approntati tè e focaccine «com'era il Tredicesimo secolo?» «Il sindaco vuole sapere com'era il Tredicesimo secolo. E bada a conte parli, bello!» «Sporco, umido, pieno di malattie e puzzolente». «Dice che era come Londra, Vostra Grazia». San Zvlkx guardò l'arcata rovinata dalle intemperie, l'unico resto visibile della cattedrale un tempo così grande, e chiese: «Che cos'è successo alla mia cattedrale?» «Bruciata quando furono chiusi molti monasteri». «Maledizione» borbottò, sollevando le sopracciglia, «Dovevo aspettarmelo». «Duis aute dolor in fugiat nulla pariatur» mormorò Friday, indicando la sagoma di san Zvlkx che si stava allontanando, scomparendo rapidamente in mezzo a una folla di ammiratori e giornalisti. «Non ne ho idea, tesoro, ma ho l'impressione che le cose stiano giusto per diventare interessanti». «Bene» ricapitolò Lydia alla telecamera «una Rivelazione che potrebbe significare la rovina per la Goliath Corporation e per...» Il regista gesticolò vistosamente perché non collegasse, "tiranno" con "Kaine" in diretta. «...un tiranno ancora senza nome. Buona serata da Lydia Startright, che vi ha presentato un evento miracoloso in diretta per Rospo News. E ora una parola dal nostro sponsor, la Goliath Farmaceutici, il creatore di Haerrmarelief». 12 Spike e Cindy L'agente Spike Stoker faceva parte di OPS-17, Smaltimento vampiri e licantropi, senza dubbio il reparto più solitario delle Operazioni Speciali. Gli agenti di OPS-17 lavoravano nel mondo in penombra dei semimorti, mutaforma, vampiri, licantropi ed esseri in generale più malvagi che no. Spike aveva ricevuto più decorazioni di quante volte io avessi letto Tre uomini in barca; d'altronde era l'unico impalettatore del Sudovest dell'Inghilterra, e nessuna persona sana di mente avrebbe fatto quello che faceva lui per la paga delle OPS, tranne me. E anch'io, solo quando avevo bisogno disperato di soldi.
THURSDAY NEXT Una vita nelle Operazioni Speciali Guidai Friday verso la macchina, pensierosa. La posta in gioco era stata alzata di molto e le mie chance di riuscire a influenzare l'esito del Superhoop erano drasticamente calate. Con la Goliath e Kaine direttamente interessati alla sconfitta degli Swindon Mallets, la nostra probabilità di vincere era passata da "altamente inverosimile" a "pressoché impossibile". «Questo spiega» disse una voce «perché la Goliath si trasformi in apparato fideistico a struttura aziendale». Mi girai e vidi il mio stalker, Millon de Floss, che mi camminava alle spalle. Doveva essere importante, per fargli violare l'obbligo di tenersi a distanza. Mi fermai un momento. «Perché lo pensi?» «Una volta diventati una religione non saranno più una 'società di nome Goliathe', come recita la Rivelazione di Zvlkx» osservò Millon «e così possono evitare l'avverarsi della profezia. Sorella Bettina, la loro profetessa aziendale, deve aver previsto qualcosa del genere e deve averli messi in guardia». «Questo significa» chiesi lentamente «che prendono sul serio san Zvlkx?» «Fa previsioni troppo accurate per non prenderlo sul serio, Miss Next, per quanto ora sembri inverosimile. Adesso che conoscono la settima Rivelazione per intero, cercheranno di fare di tutto per impedire alla squadra di Swindon di vincere. E continueranno con la storia della religione per sicurez za». Aveva senso, più o meno. Papà doveva averlo saputo, questo o qualcosa di simile. Nulla di tutto ciò prometteva molto bene, ma mio padre aveva detto che la probabilità di questo Armageddon era solo del ventidue per cento, e così da qualche parte doveva esserci la soluzione. «Oggi pomeriggio vado a Goliathopolis» dissi pensierosa. «Scoperto niente su Kaine?» Millon si frugò in tasca, trovò un taccuino e ne sfogliò le pagine, che sembravano piene di numeri. «È qui da qualche parte» disse scusandosi «mi piace collezionare numeri di serie di aspirapolvere e stavo studiando un raro esemplare di Hoover XB-23E quando è arrivata la chiamata. Ecco qui. Questo Kaine è una pacchia per gli amanti delle cospirazioni. È apparso cinque anni fa senza un passato, senza genitori, niente di niente. Ha un codice fiscale solo dal 1982 e a quanto pare prima di diventare deputato aveva lavorato soltanto nella sua casa editrice». «Non c'è molto su cui basarsi, quindi». «Non ancora, ma continuo a scavare. Le interesserà sapere che è stato visto in varie occasioni insieme a Lola Vavoom». «Fosse l'unico!» «D'accordo. Voleva informazioni su Schitt-Hawse? È a capo della divisione Tecnologia della Goliath». «Sei sicuro?» Per un attimo Millon parve dubbioso. «Nel settore cospirazioni la parola sicuro ha una certa elasticità, ma diciamo di sì. Abbiamo una talpa a Goliathopolis. In effetti lavora alla mensa, ma sarebbe sorpresa da quante informazioni delicate si origliano servendo biscotti di pastafrolla. Pare che Schitt-Hawse sia impegnato in qualcosa chiamato Progetto Ovitron. Non ne siamo sicuri, ma potrebbe essere un'evoluzione dell'ovinatore di suo zio. Potrebbe avere a che fare con Qualcuno volò sul nido del cuculo?» «Spero proprio di no». Presi qualche appunto, ringraziai Millon e mi mossi verso la macchina, con la testa piena di futuri possibili, ovinatori e Kaine.
Dieci minuti dopo eravamo nella mia Speedster, diretti a nord, verso Cricklade. Mio padre aveva detto che Cindy avrebbe fallito tre volte nel tentativo di uccidermi e poi sarebbe morta, ma era possibile che il futuro non si sarebbe svolto così: dopotutto, in un futuro alternativo, ero già stata uccisa da un cecchino delle OPS, eppure ero ancora vivissima. Non vedevo Spike da più di due anni, e mi aveva rallegrato scoprire che si era trasferito dal suo appartamentino squallido in una casa nuova a Cricklade. Trovai facilmente l'indirizzo; era un edificio in pietra che alla luce del sole rifletteva una calda tonalità ocra. Mentre passavamo in rassegna i numeri civici, Friday si rendeva utile indicando cose interessanti. «Ipsum» disse additando un'automobile. Speravo che Spike non ci fosse, per parlare a quattr'occhi con Cindy, ma fui sfortunata. Parcheggiai dietro la sua macchina di servizio delle OPS e scesi. Spike in persona era seduto su una sdraio nel prato e mi sentii mancare quando vidi che non solo aveva sposato Cindy, ma avevano anche una figlia: una bambina di circa un anno giocava sull'erba accanto a lui al riparo di un ombrellino. Imprecai tra me, mentre Friday mi si nascondeva dietro una gamba. Sperai che Cindy mi avrebbe assecondato; l'alternativa non era buona per lei, ed era ancora peggiore per Spike e per la bambina. «Ehi!» gridò Spike, chiedendo alla persona con cui stava parlando al telefono di aspettare un attimo e alzandosi per abbracciarmi. «Come stai, Next?» «Tutto bene, Spike. Tu?» Allargò le braccia, a mostrare i paramenti di un quartiere residenziale inglese: le finestre con i doppi vetri, il prato ben tenuto, il vialetto, il can cello in ferro battuto col sole nascente. «Guarda qua, sorella! Non è il massimo?» «Ipsum» disse Friday, indicando un vaso con una pianta. «Che ragazzino sveglio. Entra pure. Ti raggiungo tra un momento». Entrai in casa e trovai Cindy in cucina. Indossava un grembiule e aveva i capelli raccolti. «Ciao» dissi cercando di avere il tono più normale possibile «tu devi essere Cindy». Mi guardò dritto negli occhi. Non sembrava un'assassina professionista che aveva ucciso sessantasette volte - sessantotto se era stata lei a far fuori Samuel Pring - ma quelli veramente bravi non ne hanno mai l'aspetto. «Bene, bene, Thursday Next» scandì lentamente, chinandosi per svuotare la lavatrice e giocherellando con un orecchio di Friday. «Spike ti stima moltissimo». «Allora sai perché sono qui?» Posò il bucato, raccolse un ragno a rotelle della Fisher Price che minacciava di far inciampare qualcuno e lo passò a Friday che si sedette per esaminarlo con la massima attenzione. «Direi proprio di sì. Bel ragazzino. Quanto ha?» «Ha compiuto due anni il mese scorso. E vorrei ringraziarti per avermi mancato, ieri». Fece un sorriso pallido e uscì dalla porta sul retro. La raggiunsi mentre cominciava a stendere il bucato. «È Kaine che mi vuole morta?» «Rispetto sempre la riservatezza dei miei clienti» rispose pacatamente «e non posso mancarti all'infinito». «Allora lascia perdere» suggerii. «Perché lo fai?» Appese una tutina blu. «Due motivi: primo, non intendo smettere di lavorare solo perché sono sposata e ho una bambina; secondo, porto sempre a termine un impegno, a qualunque costo. Se non rispetto un contratto i clienti vogliono essere rimborsa ti. E Senza scampoli non rimborsa».
«Ecco» feci «ero curiosa. Perché 'Senza scampoli'?» Mi rivolse uno sguardo gelido. «Il tipografo ha sbagliato la carta da lettere e sarebbe costato troppo rifarla. Non ridere». Appese una federa. «Onorerò il mio contratto, Miss Next, ma non oggi, così hai tempo per organizzarti e lasciare la città per sempre. Vai in un posto dove non posso trovarti. E nasconditi bene: sono molto brava nel mio mestiere». Lanciò uno sguardo verso la cucina. Appesi una maglietta molto grande di OPS-17. «Lui non lo sa, vero?» domandai. «Spike è un brav'uomo» rispose Cindy «solo non particolarmente perspicace. Tu non glielo dirai e lui non lo saprà mai. Mi aiuti con il lenzuolo, per favore?» Presi l'estremità del lenzuolo asciutto e lo piegammo insieme. «Non vado proprio da nessuna parte, Cindy» le dissi «e farò il possibile per difendermi». Ci fissammo per un momento. Sembrava un tale spreco. «Rinuncia!» «Mai!» «Perché?» «Perché mi piace e mi riesce bene. Posso offrirti del tè, Thursday?» Spike era arrivato in giardino con la bambina. «Allora, come stanno le mie due signore preferite?» «Thursday mi stava aiutando con il bucato, Spikey» rispose Cindy, in cui la professionalità fredda come l'acciaio era stata sostituita da un atteggiame nto da ragazzina un po' svampita. «Metto l'acqua sul fuoco. Due zollette, Thursday?» «Una». Saltellò dentro casa. «Che ne pensi?» domandò Spike a bassa voce. «Non è la persona più dolce del mondo?» Era come un quindicenne innamorato per la prima volta. «È simpatica, Spike, sei un uomo fortunato». «Lei è Betty» disse Spike, agitando il braccino della bambina con la sua manona. «Ha un anno. Avevi ragione a consigliarmi di essere onesto con Cindy: non le secca che io abbia a che fare con quella mer... voglio dire roba vampiresca. Anzi, mi sa che è orgogliosa di me». «Sei un uomo fortunato» ripetei, riflettendo su come evitare di rendere lui un vedovo e la bimba farfugliante un'orfana. Tornammo in casa, dove Cindy era indaffarata in cucina. «Dove sei stata?» chiese Spike posando Betty accanto a Friday. «In prigione?» «No. In un posto strano. In un altro posto». «Ci tornerai?» domandò Cindy con fare innocente. «Ma è appena tornata!» esclamò Spike. «Non vogliamo che scompaia di nuovo». «Che scompaia... certo che no» ribatté Cindy posando sul tavolo una teiera. «Sedetevi. Ci sono degli Hobnob in quella scatola di biscotti a forma di dodo». «Grazie. Allora» continuai «come va con i vampiri?» «Così così. Ultimamente stanno tranquilli, e anche i lupi mannari. Ho sistemato qualche zombie in centro, l'altra sera, ma il contenimento del Supremo Essere Malvagio è stato risolutivo. Hanno avvistato qualche mangiatore di cadaveri, babau e fantasma a Winchester, ma non è precisamente il mio settore. Si parla di chiudere il reparto e poi di ingaggiarmi come freelance in caso di necessità». «È male?» «Tutto sommato no. Quando i vampiri vanno a caccia posso chiedere quanto mi pare, tirerei un po' la cinghia solo nei tempi di magra. Non vorrei
che Cindy fosse costretta a lavorare a tempo pieno, sai». Rise e Cindy rise con lui, porgendo un biscottino a Betty. La bimba gli diede un morso molto convinto con la bocca sdentata e si stupì che la cosa non sortisse alcun effetto. Friday glielo prese e le mostrò come si faceva. «E allora, che combini adesso?» chiese Spike. «Non molto. Sono passata a salutare prima di partire per Goliathopolis: mio marito non è ancora tornato». «Hai sentito della Rivelazione di san Zvlkx?» «Ero lì». «Allora la Goliath ha bisogno di tutto il perdono che riesce a ottenere. Non troverai un momento migliore per costringerli a ridartelo». Chiacchierammo per dieci minuti o poco più finché non fu ora di andarsene. Anche se non ebbi occasione di parlare ancora da sola con Cindy, le avevo già detto quello che volevo. Speravo che mi desse ascolto, ma purtroppo ne dubitavo. «Se mai avrò degli incarichi da freelance, ti va di venire con me?» domandò Spike riaccompagnandomi alla porta, mentre Friday finiva di mangiare i biscotti. Pensai allo scoperto in banca. «Sì, grazie». «Bene» rispose Spike «ci sentiamo». Presi la M4 fino al Saknussum International, dove dovetti affrettarmi per imbarcarmi sul Gravitube per il graviporto James Tarbuck di Liverpool. Friday e io pranzammo rapidamente prima di prendere la navetta per Goliathopolis. La Goliath mi aveva tolto mio marito, ed era in loro potere ridarme lo. E se si ha un reclamo, conviene presentarlo il più in alto possibile. 14 Lo Scusarium
della Goliath
IL MINISTRO DI KAINE DEFINISCE "TRAPPOLE MORTALI" LE MACCHINE DANESI Robert Edsel, il ministro per la sicurezza stradale del governo Kaine, ha attaccato ieri la società automobilistica danese Volvo, affermando che i loro veicoli tozzi e antiestetici, finora considerati tra le automobili più sicure sul mercato, sono invece l'opposto: trappole mortali per chiunque sia così stupido da comprarne una. "Le Volvo hanno ottenuto pessimi risultati nei test con i lanciagranate" ha affermato ieri Mr Edsel nel corso di una conferenza stampa "e i proprietari e i loro bambini rischiano danni permanenti alla spina dorsale quando vengono lasciati cadere dentro una di queste automobili, già da un'altezza di venti metri". Mr Edsel ha continuato a denigrare il fiore
all'occhiello dell'industria automobilistica danese rivelando che i filtri per l'aerazione delle Volvo offrono "una protezione inadeguata" contro flussi piroclastici, esalazioni velenose e altri fenomeni vulcanici comuni. "A chiunque intenda acquistare questo infimo prodotto danese raccomando caldamente di ripensarci" ha detto Mr Edsel. Quando il ministro degli Esteri danese ha fatto notare che le Volvo, in realtà, sono svedesi, Mr Edsel ha accusato i danesi di cercare ancora una volta di scaricare sui vicini la propria inettitudine industriale. Articolo tratto da «Il rospo della domenica», 16 luglio 1988 L'Isola di Man era uno stato aziendale indipendente all'interno dell'Inghilterr a da quando era stato annesso per il bene fiscale comune nel 1963. Il Mare d'Irlanda circostante era fittamente minato come deterrente per i visitatori indesiderati e i cieli erano protetti dai più sofisticati sistemi antia erei. Aveva ospedali e scuole, un'università, il proprio reattore a fusione e persino, sulla tratta da Douglas al graviporto Kennedy di New York, l'unico Gravitube del mondo gestito privatamente. L'isola aveva quasi duecentomila residenti che non facevano altro che lavorare per, o lavorare per chi lavorava per, la società che monopolizzava la piccola isola: la Goliath Corporation. La vecchia città di Laxey era stata ribattezzata Goliathopolis e adesso era la Hong Kong dell'arcipelago britannico, una foresta di torri di vetro che si inerpicava per il pendio che sale verso il Monte Snaefell. Il più grande di questi grattacieli si innalzava ancor più in alto della vetta alle sue spalle e lo si vedeva scintillare al sole fin da Blackpool, tempo permettendo. In questo edificio era ospitato il sancta sanctorum dell'enorme multinazionale, la crema degli amministratori della Goliath. Un impiegato poteva passare la vita sull'isola e non superare mai neppure il banco dell'ingresso. Ed era al piano terra di questo edificio, nel cuore della multinazionale, che trovai lo Scusarium della Goliath. Mi accodai a una breve fila di fronte a una moderna scrivania col ripiano in vetro dove due sorridenti impiegate della Goliath distribuivano questionari e tagliandi numerati. «Salve!» disse una delle impiegate, una ragazzina col sorriso asimmetrico. «Benvenuta all'Emporio del perdono della Goliath Corporation. Mi scuso per l'attesa. Come posso aiutarla?» «La Goliath Corporation ha ucciso mio marito». «Ma è davvero tremendo!» rispose cercando goffamente e insinceramente di mostrare comprensione. «Mi dispiace tanto! Noi della Goliath, nell'ambito della nostra trasformazione in apparato fideistico a struttura aziendale, ci impegniamo a revocare tutte le questioni spiacevoli in cui possiamo essere stati coinvolti in precedenza. Deve compilare questo modulo, quest'altro modulo - e la sezione D di quest'ultimo - e accomodarsi. Uno dei nostri chiedoscusa specializzati la riceverà appena possibile». Mi porse vari lunghi moduli e un numeretto, e mi indicò una porta. La aprii ed entrai nello Scusarium. Era un'enorme sala con pareti di vetro da
cui si godeva una veduta serena del Mare d'Irlanda. Su un lato erano allineati una ventina di séparé in ognuno dei quali un chiedoscusa in giacca e cravatta ascoltava attentamente quello che gli veniva detto con la stessa espressione triste e contrita. Dall'altra parte c'erano file e file di sedili di legno su cui aspettavano ansiosamente cittadini vittime di un sopruso, che stringevano speranzosi il proprio numero in attesa del proprio turno. Guardai il mio tagliando. Era il numero 6.174. Il tabellone mi informò che in questo momento stavano ascoltando il numero 836. «Carissimi!» disse una voce da un altoparlante. «La Goliath è profondamente dispiaciuta per tutti i danni che vi possa aver inavvertitamente provocato in passato. Qui allo Scusarium della Goliath saremo lieti di occuparci dei vostri problemi, per piccoli che siano...» «Senta!» chiesi a un uomo che mi passava accanto zoppicando verso l'uscita «è soddisfatto del pentimento della Goliath?» «Be', in realtà non avevano niente di cui pentirsi» rispose sommessamente. «Ero io dalla parte del torto; anzi, mi sono scusato per aver fatto perdere loro tempo prezioso!» «Che cosa avevano fatto?» «Avevano cosparso il mio quartiere di radiazioni ionizzanti, poi l'hanno negato per diciassette anni, nonostante alla gente cadessero i denti e a me fosse spuntato un terzo piede». «E lei li ha perdonati?» «Certo. Ora ho capito che è stato veramente un incidente e la cittadinanza deve accettare qualche rischio, se vogliamo avere energia pulita, cibo senza limiti ed elettrodeframmentatori domestici». Aveva con sé una pila di carte: non i moduli che dovevo compilare, ma pieghevoli su come entrare nella Nuova Goliath. Non da consumatore, ma da fedele. Sono sempre stata molto diffidente nei confronti della Goliath, ma questa storia del "pentimento" puzzava più di tutto quello che avevo visto sino ad allora. Mi voltai, strappai il numeretto e mi incamminai verso l'uscita. «Miss Next!» mi chiamò una voce conosciuta. «Senta, Miss Next!» Mi si parò di fronte un uomo basso, dai lineamenti tirati e la testa tonda con i capelli drasticamente a spazzola. Indossava un abito scuro e pesanti gioielli d'oro ed era forse la persona che aborrivo di più: era Jack Schitt, già massimo guru degli armamenti della Goliath ed ex prigioniero del Corvo di Poe. L'uomo che aveva cercato di prolungare la guerra di Crimea per speculare sull'ultima super arma della Goliath, il fucile al plasma. Dentro di me montò rapidamente la rabbia. Voltai Friday dall'altra parte perché la sua giovane mente non si facesse idee sbagliate circa l'uso della violenza, quindi afferrai Schitt per il collo. Fece un passo indietro, inciampò e si accasciò sotto di me con un guaito. Rendendomi conto di essermi già trovata in questa situazione, lo lasciai andare e misi la mano sul calcio della mia automatica, aspettandomi di essere attaccata da un esercito di gorilla . Ma intorno a me c'erano solo cittadini tristi che osservavano la scena con sguardo affranto. «Nessuno verrà in mio aiuto» disse Jack Schitt, rialzandosi lentamente. «Oggi sono stato aggredito otto volte, e mi è andata bene. Ieri sono state almeno ventitré». Lo guardai e notai solo ora che aveva un occhio nero e un taglio sul labbro. «Niente gorilla?» feci eco. «Come mai?» «È la mia espiazione nei confronti di coloro che ho maltrattato e ingannato in passato, Miss Next. L'ultima volta che ci siamo incontrati ero a capo della divisione Armi avanzate della Goliath, ed ero il numero 329 della gerarchia aziendale». Sospirò. «Ora, grazie alla sua sbandierata denuncia del fallimento del nostro fucile al plasma, la società ha deciso di degradarmi. Sono un addetto alle scuse di seconda classe, numero 12.398.219 della gerarchia. I potenti sono caduti, Miss Next».
«Niente affatto» replicai «sei semplicemente stato messo in un posto adeguato alle tue competenze. È un peccato. Meritavi di peggio». Socchiuse gli occhi: si stava arrabbiando. Tornò per un attimo il vecchio Jack, quello dagli istinti omicidi. Ma l'impulso fu di breve durata e gli si afflosciarono nuovamente le spalle quando si rese conto che senza il sostegno del servizio di sicurezza della Goliath il suo potere su di me era minimo. «Forse ha ragione» disse semplicemente. «Non deve aspettare il suo turno, Miss Next, mi occuperò personalmente del suo caso. È suo figlio?» Si chinò per vederlo da vicino. «Un tipetto in gamba, eh?» «Eiusmod tempor incididunt adipisicing elit» disse Friday sospettoso, guardando storto Jack. «Che cosa significa?» «'Se mi tocchi, la mia mamma ti rompe il naso'». Jack si rialzò di scatto. «Capisco. La Goliath e io personalmente le porgiamo le nostre piene scuse, con sincerità e incondizionatamente». «Per che cosa?» «Non lo so. Lo consideri un acconto. Mi vuole seguire nel mio ufficio?» Indicò la porta, uscimmo, attraversammo un cortile con una grande fontana, passammo accanto ad alcuni funzionari della Goliath che chiacchieravano in un angolo e, superata un'altra porta, percorremmo un ampio corridoio pieno di impiegati che andavano avanti e indietro tenendo faldoni sottobraccio. Jack aprì la porta, mi fece entrare, mi offrì una sedia e si sedette a sua volta. Era un ufficetto squallido, privo di tocchi personali tranne un calendari o malconcio di Lola Vavoom alla parete e una pianta morta in un vaso. L'unica finestra dava su un muro. Sistemò alcune carte sulla scrivania e parlò nell'interfono. «Mr Higgs, mi può portare la pratica Thursday Next, per cortesia?» Mi guardò con sollecitudine e inclinò un po' la testa, come se cercasse di esibire un contegno contrito. «Nessuno di noi si era reso conto» cominciò con quel tono blando che usano gli impresari di pompe funebri quando cercano di vendervi la bara più costosa «di quanto fossimo disgustosi, finché non abbiamo cominciato a chiedere alla gente se aveva qualcosa da ridire sulla nostra condotta». «Vediamo di piantarla con queste str...» guardai Friday, che guardava me, «...con queste, con queste... assurdità e passiamo direttamente al momento in cui cercate di espiare le vostre colpe». Sospirò e mi fissò per un momento, e poi disse: «Molto bene. Che cosa abbiamo fatto che non andava?» «Non te lo ricordi?» «Io faccio molte cose che non vanno, Miss Next, mi perdonerà se non ricordo tutti i dettagli». «Avete sradicato mio marito» sibilai digrignando i denti. «Certo! E come si chiamava lo sradicato?» «Landen» risposi freddamente «Landen Parke-Laine». In quel momento arrivò un impiegato con un faldone contrassegnato "Segretissimo" e lo posò sulla scrivania. Jack lo aprì e cominciò a sfogliarlo. «Gli atti mostrano che all'epoca in cui secondo lei suo marito fu sradicato chi si occupava del suo caso era l'agente Schitt-Hawse. Qui risulta che la spinse a liberare l'agente Schitt - cioè me - dalle pagine del Corvo, utilizzando un anonimo agente della CronoGuardia che offrì volontariamente i suoi servizi. Pare che lei ottemperò, ma la nostra promessa dovette essere revocata a causa di un'imprevista e commercialmente necessaria proroga di ricatto». «Vale a dire avidità aziendale». «Non sottovaluti l'avidità, Miss Next, è la principale forza motrice del commercio. In questo caso, la decisione era probabilmente connessa al nostro progetto di usare il Mondo dei libri per smaltirvi scorie nucleari e
vendere i nostri pregevoli beni e servizi ai personaggi letterari. In seguito lei venne imprigionata nella nostra segreta più inaccessibile, da cui è fuggita: metodo ignoto». Chiuse la pratica. «Ciò significa, Miss Next, che noi l'abbiamo rapita, abbiamo cercato di ucciderla e poi l'abbiamo avuta per più di un anno sulla nostra lista di persone a cui sparare a vista. Lei ha diritto a un generoso risarcimento in denaro». «Non voglio denaro, Jack. Avete mandato qualcuno indietro nel tempo per ammazzare Landen, ora potete fare la stessa cosa per deammazzarlo!» Jack Schitt tacque un momento e tamburellò le dita sul tavolo. «Non è così che funziona» rispose stizzito. «Le regole sulle scuse e i risarcimenti sono molto chiare: per pentirci, dobbiamo concordare sulla nostra colpa, e nel nostro rapporto non c'è menzione di manovre illegali col tempo a carico della Goliath. Dato che i registri della Goliath sono periodicame nte sottoposti a cronorevisione, risulta evidente che qualora sia stata commessa qualche cronosciocchezza, è dovuta alla CronoGuardia: l'operato cronologico della Goliath è ineccepibile». Diedi un pugno sul tavolo e Jack sobbalzò. Senza i suoi scagnozzi attorno era un codardo, e ogni volta che lui faceva una smorfia di paura, io diventavo più forte. «È una grandissima str...» Guardai di nuovo Friday. «...idiozia, Jack. La Goliath e la CronoGuardia hanno sradicato mio marito. Avete avuto la possibilità di eliminarlo: ora potete riportarlo indietro». «Non è possibile». «RIDATEMI MIO MARITO!» In Jack riaffiorò la rabbia. Anche lui si alzò e puntò un dito accusatore contro di me. «Ha idea di quanto costi corrompere la CronoGuardia? Molto più di quanto abbiamo intenzione di spendere per quella specie di misero perdono poco convinto che ci può offrire lei. E un'altra cosa: io... mi scusi». Aveva suonato il telefono e lui rispose: ogni tanto il suo sguardo scattava verso di me mentre ascoltava. «Sì, la cosa... Sì, lei... Sì, noi... Sì, lo faccio». Spalancò gli occhi. «È un vero onore, signore... No, non c'è nessun problema, signore... Sì, sono sicuro di convincerla, signore... no, è quello che vogliamo tutti... Un'ottim a giornata anche a lei, signore. Grazie». Riabbassò la cornetta e andò a prendere uno scatolone vuoto da un armadietto, mostrando una rinnovata energia. «Buone notizie!» esclamò, raccogliendo un po' di paccottiglia dalla scrivania e riponendola nello scatolone. «Il direttore generale della Nuova Goliath si è interessato al suo caso e garantirà personalmente il ritorno di suo marito». «Mi sembrava di aver capito che non avevate niente a che fare con le cronosciocchezze, o mi sbaglio?» «A quanto pare ero stato mal informato. Saremo molto lieti di riconcretizzare Libner». «Landen». «Ecco». «Dov'è la fregatura?» chiesi sospettosa. «Non c'è nessuna fregatura» rispose Jack, prendendo la targhetta col suo nome e posandola nello scatolone accanto al calendario, «vogliamo solo che lei ci perdoni e ci voglia bene». «Volervi bene?» «Sì. O perlomeno che finga. Non è tanto difficile, vero? Basta che firmi questo Modulo concessione perdono standard, quaggiù in fondo, e riconcretizzeremo suo marito. Semplice, no?» Ero ancora sospettosa.
«Dubito che abbiate veramente intenzione di riportare indietro Landen». «Va bene, allora» concluse Jack recuperando alcuni faldoni da un armadietto e buttandoli nello scatolone «non firmi e non lo saprà mai. Come ha detto lei stessa, Miss Next, noi lo abbiamo eliminato e noi possiamo riportarlo indietro». «Mi hai già imbrogliato una volta, Jack. Come faccio a sapere che non lo rifarai?» Jack interruppe il suo inscatolamento e parve lievemente in apprensione. «Firma?» «No». Jack sospirò e cominciò a svuotare lo scatolone e a rimettere le cose a posto. «Bene» mormorò «addio promozione. Ma ascolti bene: che lei firmi o meno, esce di qui da donna libera. La Nuova Goliath non ha più nulla contro di lei. In fondo, che cos'ha da perdere?» «Io voglio solo» risposi «riavere mio marito. Non firmo nulla». Jack tirò fuori la targhetta col suo nome dallo scatolone e la risistemò sulla scrivania. Il telefono suonò di nuovo. «Sì, signore... No, non firma, signore... Ci ho provato, signore... molto bene, signore». Appoggiò la cornetta e riprese in mano la targhetta; la tenne sospesa sopra lo scatolone. «Era il direttore generale. Desidera scusarsi personalmente con lei. Vuole andare?» Esitai. Vedere il boss della Goliath era un evento quasi senza precedenti per chi non era un funzionario della multinazionale. Se c'era qualcuno che poteva riportare indietro Landen, era lui. «D'accordo». Jack sorrise, lasciò cadere la targhetta nello scatolone e poi ci buttò dentro in fretta tutto il resto. «Bene» continuò «devo scappare: sono stato appena promosso di tre posizioni nella gerarchia. Vada alla reception e qualcuno verrà a prenderla. Non dimentichi il Modulo concessione perdono standard, e se le capitasse di menzionare il mio nome le sarei veramente grato». Mi porse i miei moduli non firmati mentre si apriva la porta ed entrava un altro agente della Goliath, a sua volta con uno scatolone pieno. «E se non me lo ridate indietro?» «Be'» fece, guardando l'orologio, «se ha delle lamentele sulla qualità del nostro pentimento, si rivolga al chiedoscusa che le verrà assegnato. Io non lavoro più qui». Sorrise altezzosamente, si mise il cappello e se ne andò. «Bene!» esclamò il nuovo chiedoscusa mentre girava attorno alla scrivania e cominciava a sistemare le sue cose nell'ufficio. «C'è qualcosa per cui vorrebbe che ci scusassimo?» «La vostra esistenza» bofonchiai. «Pienamente, apertamente e incondizionatamente» rispose il chiedoscusa nel più sincero dei toni. 15 Incontro con il direttore generale "...Cinquant'anni fa eravamo solo una piccola multinazionale con a malapena settemila dipendenti. Oggi abbiamo più di trentotto milioni di dipendenti in quattordicimila aziende che trattano più di dodici milioni di prodotti e servizi diversi. Le dimensioni della Goliath ci garantiscono stabilità sufficiente per affermare con fiducia che ci occuperemo di voi per molti anni a venire. Nel 1980
il nostro fatturato era pari al prodotto interno lordo complessivo del settantadue per cento delle nazioni del pianeta. Quest'anno assisteremo al nuovo grande balzo in avanti della Goliath: diventare una religione pienamente riconosciuta con i propri dei, semidei, sacerdoti, luoghi di culto e testi sacri. Le azioni della Goliath daranno diritto ad accedere al nostro nuovo apparato fideistico a struttura aziendale, in cui voi (i fedeli) adorerete noi (gli dei) in cambio della protezione dai mali del mondo e di una ricompensa nell'aldilà. So che vi unirete a me in questo sforzo come avete fatto per tutti gli sforzi passati. Presto sarà disponibile un pieghevole esauriente che spiegherà come potrete aiutare ulteriormente gli interessi dell'azienda. La Nuova Goliath. Sempre al vostro servizio. Sempre a vostra disposizione. Sempre". Da una pubblica dichiarazione del direttore generale della Goliath Corporation, 1988 Arrivai alla scrivania nell'atrio e diedi il mio nome all'impiegata che, inarca ndo le sopracciglia alla mia richiesta, chiamò il 110mo piano, mostrò una certa sorpresa e mi chiese di attendere. Spinsi Friday verso un'area di attesa e gli diedi una banana che avevo in borsa. Sedetti e guardai gli impiegat i della Goliath che camminavano spediti avanti e indietro sul pavimento di marmo lucido, tutti con l'aspetto indaffaratissimo, ma senza fare presumibilmente nulla. «Miss Next?» Di fronte a me c'erano due individui. Uno era vestito col blu scuro degli alti funzionari della Goliath; l'altro era un valletto in livrea che portava un vassoio di argento lucido. «Sì?» dissi alzandomi. «Il mio nome è Mr Godfrey, l'assistente dell'assistente personale del direttore generale. Se vuol essere così gentile...» Indicò il vassoio. Capii la richiesta, sfoderai l'automatica e la posai. Il valletto aspettò educata mente. Afferrai il messaggio e consegnai anche i due caricatori di riserva. Fece un inchino e si ritirò silenziosamente, mentre il funzionario della Goliath mi guidò silenziosamente verso un ascensore cinto da un cordone in fondo all'atrio. Spinsi dentro il passeggino con Friday e le porte si chiusero sibilando dietro di noi. Era un ascensore di vetro che saliva all'esterno dell'edificio: da quassù, mentre venivamo innalzati con dolcezza verso il cielo, vedevo tutti gli edifici di Goliathopolis che, lungo la costa, arrivavano quasi fino a Douglas. Da nessun'altra prospettiva ci si rendeva conto di quanto immense fossero le proprietà della multinazionale: e tutti questi edifici servivano solo ad amministrare le migliaia di società e i milioni di dipendenti in tutto il mondo. In un altro stato d'animo, forse le dimensioni e la grandeur della Goliath mi avrebbero impressionata. Così, mi parevano solo guadagni disonesti. Gli edifici più piccoli si persero nella distanza man mano che salivamo, finché anche i grattacieli più alti scomparvero. Fissavo affascinata il panorama spettacolare quando, senza preavviso, il mondo fu improvvisamente nascosto da una foschia chiara. Sull'esterno dell'ascensore si formarono goccioline d'acqua e non si vide nulla finché, pochi secondi più tardi, uscimmo dalla nuvola e riemergemmo nella luce accecante del sole e nel cielo di un blu carico. Ammirai dall'alto le nuvole, che si estendevano in lontananza, ininterrotte. Ero così incantata dallo spettacolo che non mi resi conto che l'ascensore si era fermato. «Ipsum» disse Friday, affascinato a sua volta, e mi additò la vista in caso mi fosse sfuggita.
«Miss Next?» Mi girai. Dire che la sala del consiglio di amministrazione della Goliath era imponente non le renderebbe giustizia. Le pareti e il soffitto erano di vetro scurito; in una giornata limpida da qui si poteva guardare il mondo dall'alto come un dio. Oggi sembrava di galleggiare in un mare di ovatta. L'edificio e la sua ubicazione, al di sopra del pianeta sia geograficamente che moralmente, riflettevano alla perfezione la supremazia e il potere della corporation. In mezzo alla sala c'era un lungo tavolo con una trentina di membri del CdA della Goliath, ognuno in piedi accanto al proprio posto, a scrutarmi in silenzio. Nessuno parlò, e stavo per chiedere chi era il capo, quando notai un uomo alto che guardava fuori dalla finestra tenendo le mani dietro la schiena. «Ipsum!» disse Friday. «Mi consenta» cominciò il mio accompagnatore «di presentarle il direttore generale della Goliath Corporation, John Henry Goliath V, bisbisnipote del nostro fondatore, John Henry Goliath». Il personaggio che guardava fuori dalla finestra si girò verso di me. Doveva superare i due metri ed era massiccio anche per la sua statura. Era grande, imponente, torreggiante. Non aveva ancora cinquant'anni; i suoi penetranti occhi verdi sembravano passarmi attraverso e mi rivolse un sorriso così caloroso che mi sentii immediatamente a mio agio. «Miss Next?» chiese con una voce simile a un tuono lontano. «È un bel po' che desidero incontrarla». La sua stretta di mano era calorosa e amichevole; era facile dimenticare chi era e che cosa aveva fatto. «Sono in piedi per lei» annunciò indicando il consiglio di amministrazione. «Lei ci è costata più di un miliardo di sterline in contanti e almeno quattro volte tanto in mancati introiti. Un avversario simile dev'essere ammirato, non disprezzato». I membri del CdA applaudirono per dieci secondi, dopodiché si sedettero ai propri posti. Notai tra di loro Brik Schitt-Hawse, che mi fece a sua volta un cenno. «Se non sapessi già la risposta le offrirei un posto nel nostro consiglio di amministrazione» disse il direttore generale sorridendo. «Stavamo concludendo la riunione, Miss Next. Tra pochi minuti sarò a sua disposizione. Si rivolga pure a Mr Godfrey, se gradisce qualcosa da bere per sé o per suo figlio». «Grazie». Chiesi a Godfrey del succo d'arancia in un bicchiere di plastica per Friday, lo tirai fuori dal passeggino e mi sedetti insieme a lui in una poltrona per assistere alla riunione. «Punto 76» annunciò un omino che indossava un abito Goliath standard di colore blu cobalto «l'Antartide. C'è stata una certa opposizione al nostro acquisto del continente da parte di una piccola minoranza di benintenzionati che crede che l'uso che ne faremo sia tutt'altro che benevolo». «E questo, Mr Jarvis, sarebbe un problema perché...?» domandò John Henry Goliath V. «Nessun problema, solo un'osservazione, signore. Suggerisco, per prevenire qualsiasi pubblicità negativa, di rendere noto di aver acquistato il continente solo per creare nuovi posti di lavoro legati all'ecoturismo in un'are a tradizionalmente povera di opportunità occupazionali». «Sia» tuonò il direttore generale. «Che altro?» «Be', visto che prenderemo molto sul serio il nostro ruolo di 'ecoguardiani', propongo di inviare una flotta di dieci navi da guerra per proteggere il continente dai vandali che cercano di nuocere alla popolazione di pinguini, trafugare ghiaccio e neve e in generale provocare 'guai'». «Le navi da guerra incidono pesantemente sui margini di profitto» fece notare un altro membro del CdA. Ma Mr Jarvis aveva già considerato il
problema. «No, se appaltiamo la gestione della sicurezza a una potenza straniera desiderosa di fare affari con noi. Ho messo a punto un progetto secondo il quale le Nazioni Caraibiche Unite pattuglieranno il continente in cambio di tutto il ghiaccio e la neve che vogliono. Con l'acquisto dell'Antartide possiamo battere la concorrenza delle nazioni dell'Alleanza Settentrionale nell'esportazi one di neve. Compreremo la loro neve invenduta a quattro penny la tonnellata, la scioglieremo e la scambieremo con sabbia per uso edile con il Marocco. La esporteremo in nazioni povere di sabbia, per un profitto complessivo del dodici per cento. Troverà tutto nel mio rapporto». Attorno al tavolo si levò un mormorio di assenso. Il direttore generale annuì pensieroso. «Grazie, Mr Jarvis. La sua idea riscuote il favore del consiglio. Ma che mi dice dell'importante materia prima per cui abbiamo veramente acquistato l'Antartide?» Jarvis schioccò le dita e si aprirono le porte dell'ascensore. Apparve uno chef che entrò spingendo un carrello con sopra un vassoio argentato coperto. Si fermò accanto al direttore generale, tolse il coperchio e posò sul tavolo un piattino che conteneva qualcosa di simile a fettine di carne di maiale. Un valletto sistemò accanto al piatto un coltello, una forchetta e un tovagliolo inamidato e si allontanò. Il direttore generale prese una forchettata e la mise in bocca. Spalancò gli occhi per il disgusto e risputò il boccone. Il valletto gli passò un bicchier d'acqua. «Ripugnante!» «Infatti, signore» rispose Jarvis «praticamente immangiabile». «Dannazione! Mi sta dicendo che abbiamo acquistato un intero continente con una produzione potenziale di cibo di dieci milioni di unità pinguino l'anno, solo per scoprire che è impossibile mangiarli?» «È solo un piccolo contrattempo, signore. Se aprite il rapporto a pagina 72...» Tutti i membri del CdA aprirono simultaneamente il faldone. Jarvis prese in mano il rapporto e si avvicinò alla finestra per leggerlo. «Il problema di vendere pinguini come arrosto domenicale si può articolare in due aspetti: primo, i pinguini sanno di catrame e, secondo, molta gente ha l'idea erronea che i pinguini siano in qualche modo 'carini' e 'teneri' e 'in pericolo'. Per affrontare subito la prima questione suggerisco, come parte del lancio di questo nuovo, abbondante alimento, di mandare in onda una trasmissione speciale sulla preparazione del pinguino su GoliathChannel 16, all'interno di una divertentissima campagna pubblicitaria con l'orecchia bile slogan: 'P-p-p-prepara un p-p-pinguino'». Il direttore generale annuì pensieroso. «Suggerisco poi» proseguì Jarvis «di finanziare uno studio indipendente che dimostri che gli uccelli marini in generale fanno bene alla salute. I risult ati di questo studio indipendente e del tutto imparziale saranno che la dose settimanale raccomandata di pinguino per persona dovrebbe essere... un pinguino». «E il secondo punto?» chiese un altro membro del CdA. «La percezione positiva e l'atteggiamento protettivo nei confronti dei pinguini?» «Non è insormontabile, signore. Come ricorderete, ci fu un problema simile per il marketing degli hamburger di cucciolo di foca, che ora sono uno dei nostri prodotti più popolari. Suggerisco di mostrare i pinguini come animali cinici e insensibili che si ostinano ad allevare i figli in una specie di congelatore. Inoltre il problema dell'essere 'in pericolo' può essere usato a nostro vantaggio con una strategia pubblicitaria del tipo 'Sbrigatevi a mangiarli prima che spariscano!'» «Oppure» disse un altro membro del CdA «'Un pinguino sulla lingua /
Prima che si estingua'». «La metrica non è un granché» intervenne un terzo. «Che ne pensate di 'Per un pasto più distinto / Un uccello quasi estinto' ?» «Mi piaceva di più il mio». Jarvis si sedette e aspettò l'opinione del direttore generale. «Sia. Perché non usiamo come motto 'Antartide: la nuova Artide'? Incaricate i ragazzi della pubblicità di allestire la campagna. La riunione è conclusa». I membri del CdA chiusero i loro faldoni in un unico movimento sincronizzato e sfilarono ordinatamente verso un'estremità della sala, dove una scala a chiocciola portava al piano inferiore. Nel giro di pochi minuti rimasero solo il direttore generale e Brik Schitt-Hawse. Quest'ultimo posò la sua ventiquattr'ore di pelle rossa sulla scrivania, di fronte a me, e mi guardò con calma, senza dire nulla. Se qualcuno come Schitt-Hawse, che amava il suono della propria voce, si comportava così, era chiaro che il direttore generale li controllava in modo ferreo. «Che ne pensa?» chiese Goliath. «Che ne penso?» risposi. «Vediamo, 'moralmente riprovevole' ?» «Credo che si renderà conto che non esistono un Bene o un Male morale, Miss Next. La moralità può essere stabilita soltanto dopo un sereno intervallo di vent'anni o più. I parlamenti hanno una vita troppo breve per fare del Bene a lungo termine. Spetta alle grandi società fare ciò che è meglio per tutti. La durata di una legislatura è di cinque anni; noi possiamo durare vari secoli, e non siamo intralciati da tutti quei doveri di rendere conto delle nostre azioni. La transizione della Goliath allo status di religione è il successivo passo logico». «Non ne sono convinta, Mr Goliath» gli dissi. «Pensavo che steste diventando una religione per eludere la settima Rivelazione di san Zvlkx». Mi scrutò con i suoi penetranti occhi verdi. «Evitare, non eludere, Miss Next. Una differenza linguistica trascurabile, ma con grandi implicazioni legali. Possiamo tentare legalmente di evitare il futuro, ma non di eluderlo. Fintantoché possiamo dimostrare che c'è una probabilità del quarantanove per cento che i nostri tentativi di modifica del futuro falliscano, siamo legalmente a posto. La CronoGuardia è molto rigorosa sulle regole e saremmo stupidi a cercare di infrangerle». «Non mi ha fatto venire qui per disquisire di definizioni legali, Mr Goliath». «No, Miss Next. Volevo avere l'opportunità di spiegarci con lei, che è uno dei nostri avversari più eloquenti. Anche io ho dubbi, e se riuscirò a farmi capire da lei, mi sarò convinto che ciò che stiamo facendo è buono e giusto. Si accomodi». Mi sedetti, fin troppo docile. Mr Goliath aveva una personalità forte. «Gli esseri umani sono plasmati dall'evoluzione in modo da ragionare a breve termine, Miss Next» continuò. La sua voce risuonava profonda e sembrava riecheggiarmi in testa. «Ci è sufficiente portare i nostri figli all'età in cui possono riprodursi per aver avuto successo da un punto di vista biologico. Dobbiamo andare oltre. Se vogliamo considerarci come residenti a lungo termine di questo pianeta, dobbiamo fare anche piani a lungo termine. La Goliath ha per sé stessa un piano millenario. La responsabilità di questo pianeta è troppo importante per essere lasciata a un gruppo frammentato di governi che litigano in continuazione per i confini e guardano solo ai propri interessi. Noi della Goliath non ci consideriamo una corporation o un governo, ma una forza al servizio del Bene. Una forza al servizio del Bene in attesa. Attualmente abbiamo trentotto milioni di dipendenti ; non è difficile vedere i vantaggi di averne tre miliardi. Immagini che tutti gli abitanti del pianeta lavorino per uno stesso fine: l'abolizione dei governi e la creazione di un'impresa il cui unico scopo è di gestire il pianeta, con la gente del pianeta, per la gente del pianeta, in modo paritetico e sostenibile per tutti. Non la Goliath, ma la Terra s.p.a. Una società di cui ogni essere umano detiene un'unica, uguale partecipazione».
«È per questo che state diventando una religione?» «Diciamo solo che il suo amico Mr Zvlkx ci ha spronato verso una linea di azione che avremmo già dovuto intraprendere da tempo. Lei ha usato la parola religione, ma noi la vediamo più come una singola fede unificatrice che farà avvicinare tutta l'umanità. Un mondo, una nazione, un popolo, un fine. Non vede anche lei la portata di tutto questo?» La cosa strana era che quasi la vedevo. Senza nazioni non ci sarebbero più state dispute per i confini. La guerra di Crimea, da sola, era durata quasi centotrentadue anni, e c'erano almeno cento conflitti minori in corso. Improvvisamente la Goliath non sembrava più così cattiva, anzi era nostra amica. Ero stata una sciocca a non rendermene conto prima. Mi massaggiai le tempie. «Allora» continuò il direttore generale con voce profonda e delicata «vorrei offrirle subito un ramoscello d'ulivo e desradicare suo marito». «In cambio» aggiunse Schitt-Hawse, parlando per la prima volta, «vorremmo che lei accettasse le nostre scuse piene, sincere e incondizionate e firmasse il nostro Modulo concessione perdono standard». Li guardai entrambi, uno dopo l'altro, poi il contratto che mi avevano messo davanti, poi Friday, che si era infilato le dita in bocca e mi stava fissa ndo con aria curiosa. Dovevo riavere mio marito, e ridare a Friday suo padre. Non sembrava che ci fosse alcuna buona ragione per non firmare. «Voglio la sua parola che lo riavrò indietro». «Ce l'ha» disse il direttore generale. Presi la penna che mi veniva offerta e firmai in fondo al modulo. «Benissimo!» mormorò il direttore generale. «Riconcretizzeremo suo marito appena possibile. Buona giornata, Miss Next, è stato un vero piacere conoscerla». «E per me conoscere lei» risposi, sorridendo e stringendo la mano a entrambi. «Devo ammettere che sono molto lieta di quello che ho sentito oggi. Potrete contare sul mio sostegno quando diventerete una religione». Mi diedero alcuni pieghevoli su come aderire alla Nuova Goliath, che accettai entusiasticamente. Pochi minuti dopo fui accompagnata fuori; la navetta per il graviporto di Tarbuck era stata trattenuta per me. Prima di arriv are a Tarbuck mi era sparito il sorriso fisso dal volto; prima di arrivare a Saknussum ero incerta; in macchina verso Swindon sospettavo che qualcosa non fosse del tutto a posto; quando arrivai a casa della mamma ero furiosa. Ero stata turlupinata dalla Goliath. Di nuovo. 16 Quella sera I TOAST POSSONO NUOCERE ALLA SALUTE È questa la dichiarazionechoc rilasciata da un gruppo di ricerca congiunto Kaine / Goliath che ha iniziato i suoi lavori martedì mattina. "Le nostre ricerche hanno dimostrato che in certe circostanze mangiare toast può portare il consumatore a contorcersi soffrendo indicibilmente e con la schiuma alla bocca, fino al pietoso sopraggiungere della morte". Gli scienziati hanno proseguito riferendo
che, anche se i loro risultati non sono assolutamente completi, c'è ancora molto da lavorare prima che i toast possano essere considerati sicuri. L'Ente per la promozione dei toast ha reagito con indignazione e ha sottolineato che la fetta di toast "a rischio" usata nell'esperimento era stata cosparsa di stricnina e che questi test "scientifici" sono solo un nuovo tentativo per infangare il buon nome dell'ente e quello del suo patron, il leader dell'opposizione Redmond van de Poste. Articolo tratto da «La talpa», 16 luglio 1988 Tutto bene?» chiese la mamma, porgendomi una tazza di tè. Friday era esausto per la lunga giornata e si era addormentato mentre mangiava la sua salsina al formaggio. Lo lavai e lo misi a letto prima di mangiare qualcosa a mia volta. Amleto ed Emma erano andati al cinema o da qualche altra parte, Bismarck ascoltava Wagner con il walkman, e così la mamma e io avevamo un momento tutto per noi. «Insomma» risposi lentamente. «Non riesco a dissuadere un'assassina dall'ammazzarmi, Amleto qui non è al sicuro, ma non posso rimandarlo indietro, e se non faccio in modo che Swindon vinca il Superhoop finisce il mondo. La Goliath ha ottenuto il mio perdono con il raggiro, ho un mio stalker personale e devo anche farmi venire un'idea su come portare fuori da questo Paese i libri proibiti a cui dovrei dare la caccia. E Landen non ritor na». «Ah sì?» fece, senza aver ascoltato una parola di quello che le avevo detto. «Mi è venuta un'idea su cosa fare con quel fastidioso figlio di Pickwick». «Un'iniezione letale?» «Non fa ridere. No, la mia amica Mrs Beatty conosce un uomo che sussurra ai dodo in grado di fare meraviglie con i cuccioli ribelli». «Mi stai prendendo in giro, vero?» «Niente affatto». «Vale la pena provarle tutte, penso. Non capisco perché sia un tipo così difficile: Pickers è un tesoro». Rimanemmo in silenzio per un momento. «Mamma?» dissi alla fine. «Sì?» «Che ne pensi di Herr Bismarck?» «Otto? Be', molta gente lo ricorda per la sua retorica 'sangue e ferro', le discussioni per l'unificazione e le guerre, ma pochi riconoscono che è stato il primo in Europa a concepire un sistema di previdenza sociale». «No, voglio dire... intendo... non è che tu...» Ma in quel momento si sentì imprecare e una porta che sbatteva. Dopo alcuni urti e tonfi, Amleto fece irruzione nel soggiorno tallonato da Emma. Si fermò, si ricompose, si strofinò la fronte, guardò in alto, sospirò profondamente e poi disse: «O! così questa troppo troppo solida carne potesse fondersi, dimoiare e disciogliersi in rugiada!» «C'è qualcosa che non va?» chiesi. «O che l'Eterno non avesse stabilito la sua legge contro l'uccisione di sé!» «Preparo una tazza di tè» disse mia madre, che aveva un sesto senso per
questo genere di cose. «Le va una fetta di Battenberg, Mr Amleto?» «O Dio! o Dio! come tediosi, vieti, insipidi e non profittevoli - sì, grazie - sembrano a me tutti gli usi di questo mondo!» La mamma annuì e si allontanò. «Che cosa c'è?» domandai a Emma. Amleto marciava avanti e indietro per il soggiorno, percuotendosi il capo disperato. «Ecco, siamo andati all'Alhambra a vedere Amleto». «Capperi!» mormorai. «Non l'ha... mm... presa molto bene, se ho ben capito». «Be'» rifletté Emma mentre Amleto continuava la sua esibizione «a teatro non è andata troppo male, a parte che Amleto ha gridato un paio di volte che Polonio non doveva essere buffo e che Laerte non era neanche lontanamente bello. La direzione non ci ha fatto molto caso: c'erano almeno dodici Amieti tra il pubblico e ognuno aveva qualcosa da ridire». «Come l'ho a schifo! O schifo! è un giardino non sarchiato che va in seme; piantacce andate in rigoglio e grossolane lo posseggono tutto...!»4 «No» proseguì Emma «è stato quando noi e gli altri dodici Amieti siamo andati a bere qualcosa con la compagnia, che le cose hanno preso una brutta piega. Piamo Keyes, che interpretava Amleto, si è offeso per le critiche di Amleto alla sua recitazione; Amleto ha detto che aveva calcato troppo sulla sua indecisione. Keyes ha risposto che Amleto sbagliava, che Amleto era un uomo tormentato dall'incertezza. Allora Amleto ha detto che lui era Amleto e quindi lo sapeva meglio lui; uno degli altri 'Amleto' non era d'accordo , ha ribattuto che lui era Amleto e che secondo lui Keyes era bravissimo. Vari 'Amieti' gli hanno dato ragione e sarebbe potuta finire lì, ma Amleto ha detto che se Keyes insisteva a voler interpretare Amleto doveva dare un'occhiata a come lo faceva Mel Gibson e migliorare così la sua interpretazi one». «Oh santo cielo». «Sì» disse Emma «oh santo cielo. Keyes ha perso le staffe. 'Mel Gibson?' ha sbraitato. 'Quella testa di ***** di Mel Gibson? Tutti a rompere con questa ***** di storia!' e ha cercato di tirare un pugno sul naso ad Amleto. Amleto è stato rapidissimo, ovviamente, e ha puntato lo stiletto alla gola di Keyes prima che lui potesse accorgersene, e allora uno degli altri Amieti ha proposto una gara tra Amieti. Le regole erano semplici: ognuno doveva recitare il monologo 'Essere o non essere' e i clienti del pub avrebbero assegnato un punteggio da uno a dieci». «E...?» «Amleto è arrivato ultimo». «Ultimo? Come ha fatto ad arrivare ultimo?» «Be', ha preteso di recitare il monologo non come un interrogativo esistenziale sulla vita, la morte e la possibilità di un aldilà, ma come se parlasse di un'utopia negativa in cui teppisti motorizzati armati di balestre cercano di ammazzare la gente per rubarle la benzina». Mi girai verso Amleto, che si era un po' calmato e stava cercando nella raccolta di videocassette di mia madre l'Amleto di Olivier per vedere se era meglio di quello di Gibson. «Non c'è da stupirsi che si sia imbufalito». «Ecco qui!» disse mia madre, rientrando con un grande vassoio con il tè e i dolci. «Non c'è niente di meglio di una bella tazza di tè, quando qualcosa va storto!» «Umph» grugnì Amleto fissandosi i piedi. «Non è che le è rimasta un po' di quella torta, vero?» «L'ho tenuta da parte per lei!» Mia madre sorrise e tirò fuori la Battenberg con un gesto plateale. E aveva ragione. Dopo qualche tazza e una fetta di torta, Amleto era di nuovo quasi umano. Lasciai Emma e Amleto a discutere con mia madre se guardare Amleto con Olivier oppure Grandi momenti della storia del croquet e andai in cucina a fare il bucato. Mi sforzai di capire che razza di tecnica di lavaggio
del cervello avessero usato su di me quelli della Goliath per farmi firmare il loro modulo. Stranamente continuavo ad avere dei flashback proGoliath. Se ero sovrappensiero non li trovavo poi malaccio, e dovevo fare uno sforzo di volontà per ricordarmi consciamente che lo erano. In compenso c'era la possibilità che davvero riconcretizzassero Landen, ma non sapevo quando sarebbe successo, o come. Mi stavo chiedendo se un ammollo in acqua fredda avrebbe tolto le macchie di ketchup meglio del lavaggio in acqua calda, quando si sentì nell'aria un lieve crepitio, come di cellofan accartocciato. Divenne via via più forte; verdi filamenti elettrici cominciarono ad avvolgere il frullatore Kenwood, poi crebbero di intensità finché un bagliore verdastro simile a un fuoco di sant'Elmo fluttuò attorno al forno a microonde. Ci fu una luce abbagliante e un rombo di tuono, e nella cucina si materializzarono progressivam ente tre sagome. Due di esse portavano una corazza e impugnavano dei fulminatori ridicolmente grandi; la terza sagoma era alta e indossava una veste dall'ampio collo, nera come l'ebano, che da una parte toccava terra e dall'altra era abbottonata fin sul mento. Aveva la carnagione pallida, gli zigomi pronunciati e un pizzetto piccolo e molto curato. Rimase a fissarmi a braccia incrociate, inarcando un sopracciglio con fare autoritario. Era veramente un tiranno tra i tiranni, un crudele condottiero galattico che aveva sterminato miliardi di esseri nella sua ricerca interminabile e mai adeguatamente illustrata del potere assoluto sulla galassia. Era... l'impera tore Zhark. 17 L'imperatore Zhark Gli otto romanzi della serie "L'imperatore Zhark" furono scritti negli anni Settanta da Handley Paige, un autore tra le cui opere precedenti si annoverano Stazione spaziale Z-5 e La vendetta dei Thraal. Con Zhark è riuscito a costruire un pastiche di tutto ciò che dovrebbe essere un brutto romanzo di fantascienza: mondi bizzarri, alieni tentacolati, viaggi spaziali e guerrieri dalla mascella quadrata che si battono con un imperatore da operetta, la cui vita ha l'unico scopo di portare il Male e la discordia nella galassia. Il suo avversario abituale è il colonnello Brandt dell'Armata spaziale, accompagnato dal suo socio alieno Ashley. Sono stati prodotti due film su Zhark con Buck Stallion come protagonista, Zhark il distruttore e Giorno maledetto a Big Rock, nessuno dei quali era un gran che. MILLON DE FLOSS I libri di H. Paige È proprio necessario?» chiesi. «Necessario cosa?» rispose l'imperatore. «Un ingresso così inutilmente a effetto. E che ci fanno qui quei due scagnozzi?» «Chi ha parlato?» domandò una voce soffocata dall'interno dell'elmetto opaco di un suo gorilla. «Qua dentro non si vede un accidente». «Chi è che sarebbe uno scagnozzo?» aggiunse l'altro. Zhark rise, ignorandoli entrambi. «È così per contratto. Ho un nuovo agente che sa come gestire al meglio un personaggio del mio livello. In ogni libro in cui compaio mi devono dedicare una descrizione di ottanta parole minimo, e almeno due capitoli devono finire col mio arrivo». «Hai ottenuto di comparire nel titolo del libro?» «Ci abbiamo rinunciato in cambio del titolo del capitolo. Se questo fosse un romanzo avrebbero dovuto iniziare un nuovo capitolo appena sono apparso». «Meno male che non lo è» risposi. «Se mia madre fosse stata qui, probabilmente
le sarebbe preso un accidente». «Oh!» fece l'imperatore guardandosi attorno. «Anche tu vivi con tua madre?» «Che cosa c'è? Problemi a GiurisFiction?» «Riposatevi un po', ragazzi» disse Zhark alle guardie, che andarono tastoni per la cucina finché trovarono due sedie e si sedettero. «Mi manda Mrs Tiggy-winkle» sussurrò. «È impegnata con la riunione generale dei personaggi di Beatrix Potter, ma voleva aggiornarti sulla situazione a GiurisFiction». «Chi c'è con te, tesoro?» gridò mia madre dal soggiorno. «Un maniaco omicida che punta a dominare la galassia» gridai in risposta. «Ottimo, cara». Mi rivolsi nuovamente a Zhark. «Allora, che c'è di nuovo?» «Max de Winter di Rebecca» disse Zhark pensieroso. «Il Dipartimento di giustizia del Mondo dei libri lo ha arrestato di nuovo». «Snell non lo aveva scagionato dall'accusa di omicidio?» «Sì. Ma il dipartimento gli sta ancora addosso. Lo hanno arrestato, non ci crederai, per truffa ai danni dell'assicurazione. Ricordi la barca in cui fa affondare la moglie?» Annuii. «Bene, pare che abbia chiesto il risarcimento all'assicurazione, e così pensano di riuscire a incastrarlo». Non era un evento tanto insolito, per il Mondo dei libri. Il nostro mandato dal Consiglio dei generi letterari era di mantenere le storie il più stabili possibile. Fintantoché gli eventi si svolgevano come li avevano voluti gli autori, gli assassini andavano a piede libero e i tiranni restavano al potere: era questo il nostro compito. Tendevamo a ignorare piccole violazioni che non erano evidenti ai lettori. Però, come capolavoro di burocrazia, il Consiglio dei generi letterari aveva anche istituito un Dipartimento di giustizia che doveva occuparsi dei singoli reati. La condanna di David Copperfield per l'assassinio della sua prima moglie era la loro maggior cause célèbre prima che ci fossi io, tengo a precisare - e GiurisFiction, non potendo salvarlo , non poté fare altro che addestrare un altro personaggio che prendesse il posto di Copperfield. Avevano già cercato di arrivare a Max de Winter, ma eravamo sempre riusciti a evitarlo. Truffa ai danni dell'assicurazione. Non potevo crederci. «Avete avvisato il Grifone?» «È impegnato con l'ennesimo appello di Fagin». «Fate in modo che se ne occupi lui. Non possiamo lasciare la cosa a un dilettante. E Amleto? Posso rimandarlo indietro?» «Non... proprio» rispose Zhark esitante. «Comincia a creare problemi» ammisi «e i danesi rischiano di essere arrestati. Non posso distrarlo per sempre facendogli vedere i film di Mel Gibson». «Mi piacerebbe che Mel Gibson interpretasse me» disse pensieroso Zhark. «Non penso che Gibson interpreti i cattivi» gli feci notare. «Probabilmente verresti interpretato da Geoffrey Rush o qualcuno così». «Mica male. Quella torta la mangia qualcuno?» «Serviti pure». Zhark si tagliò una grossa fetta di Battenberg, le diede un morso e proseguì: «D'accordo, ecco come stanno le cose: siamo riusciti a convincere la famiglia di Polonio ad accettare un arbitrato a proposito della loro riscrittura non autorizzata di Amleto». «Come avete fatto?» «Abbiamo promesso a Ofelia un libro completamente suo. È tutto tornato a posto, il problema è risolto». «Allora... posso rimandare indietro Amleto?»
«Ancora no...» rispose Zhark, cercando di nascondere il disagio fingendo di trovare della lanugine sul suo mantello. «Vedi, a Ofelia ora gira storto per una delle infedeltà di Amleto: una tizia che secondo lei dovrebbe chiamarsi Henna Appleton. Ne sai niente?» «No. Nulla. Assolutamente nulla. Per niente. Non l'ho mai neppure sentita nominare, Henna Appleton. Perché?» «Speravo di saperlo da te. Le aveva dato di volta il cervello e minacciava di annegarsi nel primo atto anziché nel terzo. Dovremmo essere riusciti a sistemare le cose. Ma nel frattempo c'è stata un'acquisizione ostile». Imprecai ad alta voce e Zhark sussultò. Non ne andava mai liscia una nel Mondo dei libri. Le fusioni di libri, in cui un libro si univa a un altro per incrementare il vantaggio narrativo complessivo di due trame banali, fortunatame nte erano rare, ma ogni tanto si verificavano. La fusione più famosa tra le opere di Shakespeare fu l'unione delle due tragedie Le figlie di Lear e I figli di Gloucester in Re Lear. Altre possibili fusioni come Molto rumore per Verona e Bisbetica di una notte di mezza estate furono bloccate in fase di progettazione e non hanno avuto luogo. Potevano volerci mesi per districare le due trame, ammesso che ci si riuscisse. Re Lear resistette con tanta forza al dipanamento che lo lasciammo così. «Che cosa si è fuso con Amleto?» «Be', adesso si chiama Le allegre comari di Elsinore e narra di Gertrude che viene rincorsa da Falstaff per tutto il castello, mentre viene gabbata dalla moglie di Page, da Ford e da Ofelia. Laerte è il re delle fate e Amleto è relegato in una trama secondaria di sedici versi in cui è convinto che il dottor Caio e Fenton abbiano complottato per uccidere suo padre per settecento sterline». Gemetti. «Com'è l'insieme?» «Ci mette un sacco di tempo a diventare divertente, e quando finalmente ci riesce muoiono tutti». «D'accordo» concessi «cercherò di trattenere Amleto. Quanto vi ci vorrà per districare il dramma?» Zhark fece una smorfia e inspirò attraverso i denti come gli idraulici quando devono fare il preventivo per una caldaia nuova. «Be', è questo il problema, Thursday. Non sono sicuro che ci riusciremo. Se fosse successo altrove, e non nell'originale, ci saremmo limitati a cancellar lo. Hai presente i problemi che abbiamo avuto con il Re Lear? Ecco, non penso che sarà più facile con Amleto, principe di Danimarca». Mi sedetti e mi presi la testa tra le mani. Niente Amleto. La perdita era quasi troppo grande per potersene capacitare. «Quanto tempo abbiamo prima che Amleto cominci a cambiare?» chiesi senza alzare lo sguardo. «Circa cinque giorni, sei al massimo» rispose Zhark a bassa voce. «Dopodiché il cedimento sarà sempre più veloce. Fra due settimane la tragedia che conosciamo avrà cessato di esistere». «Ci deve essere qualcosa che possiamo fare». «Le abbiamo provate praticamente tutte. Siamo fregati, a meno che non ti ritrovi un William Shakespeare di scorta a portata di mano». Mi tirai su. «Come hai detto?» «Siamo fregati?» «Dopo». «Un William Shakespeare di scorta a portata di mano?» «Sì. Come ci aiuterebbe?» «Dunque» disse Zhark pensoso «dato che non esistono i manoscritti originali né di Amleto né delle Comari, un testo scritto di pugno dall'autore diventerebbe il manoscritto originale, e lo potremmo usare per riavviare da zero il Motore codificastorie. È molto semplice, in realtà».
Sorrisi, ma Zhark mi guardò sconcertato. «Thursday, Shakespeare è morto nel 1616!» Mi alzai e gli diedi un colpetto sul braccio. «Torna in ufficio e fa' in modo che le cose non peggiorino ulteriormente. A Shakespeare ci penso io. Ora, qualcuno ha capito da che libro viene Yorrick Kaine?» «Ci stiamo lavorando con tutte le risorse disponibili» rispose Zhark, ancora un po' confuso, «ma ci sono un sacco di romanzi da esaminare. Ci sai dare qualche dritta?» «Be', non è molto multidimensionale, e quindi non andrei a cercare in niente di troppo letterario. Comincerei dai thriller di ambientazione politica e mi muoverei verso lo spionaggio». Zhark prese appunti. «Bene. Altri problemi?» «Sì» spiegò l'imperatore «Simpkin sta facendo i capricci nel Sarto di Gloucester. A quanto pare il sarto ha lasciato fuggire tutti i topi e ora Simpkin non gli vuole consegnare il filo di seta color ciliegia. Se la giacca del sindaco non è pronta per Natale, saranno guai seri». «Fa' fare la giacca ai topi. Non stanno combinando niente». Sospirò. «Va bene, tenterò». Guardò l'orologio. «Bene, sarà meglio che vada. Devo disintegrare il pianeta Thraal alle quattro e sono già in ritardo. Secondo te è meglio se uso il mio fidato raggio della morte zharkiano e li friggo vivi in un millisecondo oppure se sospingo un asteroide nella loro orbita, dando così l'avvio a sei capitoli drammatici in cui cercano una soluzione ingegnosa per sconfiggermi?» «L'asteroide promette bene». «Lo pensavo anch'io. Perfetto, ci vediamo». Lo salutai mentre lui e le sue due guardie si teletrasportavano via dal mio mondo per tornare nel loro, che sicuramente era il miglior posto in cui potessero trovarsi. Avevamo già abbastanza tiranni nella vita vera. Mi stavo chiedendo come poteva essere Le allegre comari di Elsinore, quando si sentì un altro crepitio e la cucina fu di nuovo invasa dalla luce. Ed ecco, sguardo autoritario, veste dall'ampio collo eccetera, eccetera: l'imperatore Zhark. 18 Di nuovo l'imperatore Zhark IL PRESIDENTE GEORGE FORMBY INAUGURA UNA FABBRICA DI MOTOCICLETTE Il presidente ha inaugurato ieri a Liverpool la nuova fabbrica di motociclette BroughVincent-Norton, che porta nuovi apprezzatissimi posti di lavoro nella regione. Il modernissimo impianto, che mira a produrre fino a mille veicoli da turismo e da corsa ogni settimana, è stato definito dal presidente come "una vera forza!" Il presidente, da sempre sostenitore del motociclismo, ha guidato una delle nuove moto da corsa Super Shadow della Vincent per la pista di prova superando, a quel che viene riferito, i 190
km/h, destando nel suo seguito un'ovvia preoccupazione per la salute dell'ottuagenario presidente. Il nostro George si è poi prodotto in un'allegra versione di "Riding in the TT Races", ricordando ai presenti di quando vinse il Tourist Trophy dell'Isola di Man su un prototipo della Rainbow. Articolo tratto da «Il rospo», 9 luglio 1988 Dimenticato qualcosa?» chiesi. «Sì. Che cos'era quella torta di tua madre?» «Si chiama Battenberg». Prese una penna e se l'appuntò sul polsino. «Perfetto. Allora, è tutto». «Bene». «Perfetto». «C'è altro?» «Sì». «E...?» «È che... che...» «Che cosa?» L'imperatore Zhark si morse il labbro, si guardò intorno nervosamente e si avvicinò. Anche se in passato avevo avuto buoni motivi per rimproverarlo, e in due occasioni lo avevo addirittura sospeso da GiurisFiction per "grossolana incompetenza", in realtà gli ero affezionata. Nell'immunità dei suoi libri era un mostro sadico che sterminava gente a milioni con spietatezza sconcertante, ma qui fuori aveva la sua dose di preoccupazioni, demoni interiori e abitudini peculiari, in gran parte frutto della severa educazione impartitagli da sua madre, l'imperatrice Zharkeena. «Dunque» esordì, incerto su come procedere, «lo sai che il sesto libro della serie dell'imperatore Zhark è in corso di stesura proprio in questo momento?» «Zhark: la fine dell'impero? Sì, ne ho sentito parlare. Qual è il problema?» «Ho appena letto le anticipazioni sulla trama e sembra che sarò sconfitto dall'Alleanza per la libertà galattica». «Scusami, imperatore, ma non sono sicura di capire che cosa vuoi dirmi: ti dispiace perdere il tuo impero?» Si avvicinò ancora di più. «Se è questo che richiede la trama, va bene. Ma ho qualche perplessità su quello che mi succede alla fine. Non mi importerebbe se mi lasciassero andare alla deriva sullo yacht imperiale o mi abbandonassero su un pianeta deserto, ma il mio autore ha previsto... un'esecuzione pubblica». Mi fissò sconvolto dall'enormità della cosa. «Se è quello che ha deciso...» «Thursday, non capisci. Verrò ucciso, eliminato! Non credo di riuscire a sopportare questo tipo di rifiuto». «Imperatore» dissi «se un personaggio ha concluso il suo percorso, ha concluso il suo percorso. Che cosa vuoi che faccia? Che vada a dissuadere l'autore?» «Lo faresti?» rispose Zhark spalancando gli occhi. «Lo faresti sul serio?» «No. Non esiste che i personaggi cerchino di suggerire ai loro autori che cosa devono scrivere nei loro libri. E poi all'interno dei tuoi romanzi sei veramente malvagio, e devi essere punito». Zhark si rizzò in tutta la sua altezza. «Capisco» disse alla fine. «Bene, potrei decidere di prendere iniziative drastiche se non provi neppure a convincere Paige. E invece, non sono veramente cattivo, è che mi scrivono così». «Se sento ancora assurdità simili» ribattei cominciando a seccarmi «ti
faccio mettere sotto arresto librario e incriminare per esortazione all'ammutina mento, per quello che hai appena detto». «Oh, perbacco» disse, sgonfiandosi improvvisamente, «lo faresti sul serio, vero?» «Sì. Non lo farò perché non ne vale la pena. Ma se ne sento parlare ancora una volta agirò di conseguenza. È chiaro?» «Sì» rispose Zhark mitemente, e senza più aprire bocca sparì. 19 Caccia al Will clonato IL CAPO DELL'OPPOSIZIONE CRITICA BLANDAMENTE KAINE Ieri il capo dell'opposizione Mr Redmond van de Poste ha vagamente attaccato il governo guidato da Yorrick Kaine per il suo possibile insuccesso nell'affrontare adeguatamente i crucci economici della nazione. Mr van de Poste ha avanzato l'ipotesi che i danesi siano "non più colpevoli degli svedesi di aver aggredito questo Paese" e ha proseguito mettendo in dubbio l'indipendenza di Kaine, dati i suoi stretti rapporti di sponsorizzazione con la Goliath Corporation. In risposta, il cancelliere Kaine ha ringraziato van de Poste per averlo messo sul chi vive nei confronti degli svedesi che "senza dubbio hanno in mente qualcosa" e ha fatto notare che lo stesso Mr van de Poste è sponsorizzato dall'Ente per la promozione dei toast. Articolo apparso su «Il tafano», 17 luglio 1988 In teoria la domenica avrebbe dovuto essere un giorno di riposo, e invece non lo fu per niente. La mattina giocai a golf con Braxton: fuori dal lavoro era il gentiluomo più affabile che potessi sperare di incontrare. Era felice di potermi illustrare i rudimenti del golf, e una o due volte colpii la palla piuttosto bene: quando fece quel bel suono "twack" e schizzò via come un missile, capii improvvisamente perché poteva entusiasmare. Non fu tutto rose e fiori, comunque: Braxton aveva subito pressioni da Flanker che, immagino, aveva subito pressioni da qualcuno più in alto. Tra le prove di putting e un tentativo di tirare fuori la mia pallina da un bunker, Braxton mi confidò che non avrebbe potuto tenere a bada Flanker per sempre con la sua promessa di un rapporto sulla mia presunta missione riguardante il formaggio gallese, e se avevo cara la pelle dovevo almeno provare a cercare i libri proibiti insieme a OPS-14. Promisi che l'avrei fatto e presi un drink con lui alla diciannovesima buca, dove un omone col naso rosso che era, evidentemente, il membro più anziano, ci intrattenne amabilmente.
Lunedì mattina fui risvegliata da un suono farfugliante di Friday. Stava in piedi nel suo lettino e cercava di afferrare la tenda, che era fuori dalla sua portata. Disse che, ora che ero sveglia, non mi costava niente portarlo di sotto dove avrebbe potuto giocare mentre io preparavo un po' di colazione. Be', non usò queste precise parole, naturalmente; era piuttosto qualcosa come: "Reprehenàerit in voluptate velit id est mollit", ma sapevo che cosa intendeva. Non mi venne in mente alcuna ragione per non farlo, e così mi misi la vestaglia e portai di sotto l'ometto, chiedendomi se e chi avrebbe badato a lui, oggi. Considerando che avevo quasi messo le mani addosso a Jack Schitt, forse non era il caso che assistesse a tutto quello che faceva la sua mamma. Mia madre era già in piedi. «Buongiorno, mamma» la salutai allegra «come stai oggi?» «Temo di no in mattinata» rispose, indovinando istantaneamente la mia domanda non formulata, «ma forse mi posso organizzare dall'ora del tè in poi». «Lo apprezzo» dissi dando un'occhiata alla «Talpa» mentre mettevo il porridge sul fuoco. Kaine aveva dato un ultimatum ai danesi: se il governo della Danimarca non avesse posto fine ai suoi tentativi di destabilizzare l'Inghilterra e di minare la nostra economia, l'Inghilterra sarebbe stata costre tta a richiamare il proprio ambasciatore. I danesi avevano risposto che non sapevano di che cosa stesse parlando Kaine e avevano richiesto la cessazione dell'embargo contro i prodotti danesi. Kaine si era infuriato, aveva lanciato ulteriori accuse di tutti i generi, imposto una tassa del duecento per cento sull'importazione del bacon danese e interrotto tutte le comunicazioni . «Duis aute irure dolor est!» gridò Friday. «Resisti» risposi «è quasi pronto». «Plink!» fece Alan con rabbia, gesticolando indignato verso la sua ciotola. «Aspetta il tuo turno» gli intimai. «Plink, PLINK!» ribatté, avvicinandosi e aprendo il becco con fare bellicoso. «Prova a mordermi» lo minacciai «e ti cercherai un nuovo padrone dalla vetrina di Pete & Dave!» Alan si rese conto che facevo sul serio e chiuse il becco. Pete & Dave era il negozio di animali risequenziati del quartiere, e io non stavo scherzando . Aveva già cercato di mordere mia madre, e persino i cani della zona facevano il giro largo quando passavano vicino a casa nostra. In quel momento Joffy aprì la porta sul retro ed entrò. Ma non era solo. Era insieme a qualcosa che potrei descrivere solo come un sacco trasandato di ossa sottili coperte da pelle sporca e da una stoffa sciupata. «Ah!» fece Joffy. «Mamma, sorellina. Perfetto. Vi presento san Zvlkx. Vostra Grazia, bi presento mia madre,Mrs Next, e mia sorella, Thurshap». San Zvlkx mi guardò sospettoso da dietro una pesante cortina di capelli neri unti. «Benvenuto a Swindon, Mr Zvlkx» disse mia madre, facendo educatamente la riverenza. «Desidera fare colazione?» «Parla solo Old English» spiegò Joffy. «Ora traduco». «Chi, vecchio maiale, vuoi mangiare o cosa?» «Ahh!» esclamò il monaco, e si sedette a tavola. Friday lo fissò un po' dubbioso, poi cominciò a farfugliargli qualcosa in Lorem Ipsum, e fu il turno del monaco di guardarlo dubbioso. «Come vanno le cose?» chiesi. «Piuttosto bene» rispose Joffy, versando il caffè per sé e san Zvlkx. «Questa mattina gira uno spot per l'Ente per la promozione dei toast e alle quattro apparirà "all'Adrian Lush Show". È stato anche invitato a parlare al Congresso di dermatologia che si tiene all'Hotel Finis; sembra che alcuni
dei suoi problemi alla pelle siano ignoti alla scienza. Ho pensato di farvelo conoscere: straripa di saggezza, sai». «Sono appena le otto del mattino!» esclamò la mamma. «San Zvlkx si alza all'alba per fare penitenza» spiegò Joffy. «Ha trascorso tutta la domenica spingendo una nocciolina col naso in giro per il Brunel Centre». «Io l'ho passata a giocare a golf con Braxton Hicks». «Come è andata?» «Bene, direi. Sapendo giocare a croquet non ho fatto la figura dell'imbranata completa. Ti rendi conto che Braxton ha sei figli?» «Allora, si può avere un po' di saggezza?» domandò mia madre allegramente. «Sono una grande ammiratrice della sagacia del Tredicesimo secolo». «D'accordo» disse Joffy. «Chi! Renditi utile e dacci un po' di saggezza, coglione». «Ficcatela in culo, la saggezza». «Che cosa ha detto?» «Eee... ha detto che ci avrebbe meditato su». «Bene» disse mia madre, che sicuramente era ospitale e che in linea di massima era in grado di preparare la colazione senza consultare il ricettario «dato che è nostro ospite, Mr Zvlkx, che cosa gradisce per colazione?» San Zvlkx la fissò. «Mangiare» ripeté mia madre, facendo il gesto di mordere. Sembrò funzionare. «Tua madre ha un seno sodo, per essere una donna di mezza età; è sferico e sfida la gravità. Mi piacerebbe giocarci, come il fornaio gioca con l'impasto». «Che cosa ha detto?» «Dice che accetterebbe con gratitudine uova e bacon» rispose rapidamente Joffy, girandosi verso san Zvlkx e intimandogli: «Altre stronzate cosi, bello, e ti chiudo in cantina anche stanotte». «Che cosa gli hai detto?» «L'ho ringraziato perché onora casa tua della sua presenza». «Ah». La mamma mise una padella sul fornello e ci ruppe delle uova, seguite da grandi fette di bacon. Presto il profumo di bacon si diffuse per casa, cosa che attrasse non solo un DH82 sonnambulo, ma anche Amleto e Lady Hamilton, che avevano smesso di fingere di non dormire insieme. «Puppí -puppí» fece san Zvlkx appena entrò Emma «chi è quella gnocca con due bocce da leccarsi i baffi?» «Augura a entrambi voi... hmm... il buongiorno» disse Joffy, visibilmente scosso. «San Zvlkex, ti presento Lady Lamilton e Amleto, principe di Danimarca». «Se hai intensione di dare via uno di quei cuccioli» continuò san Zvlkx fissando la scollatura di Emma «mi prendo quello con il naso marrone». «Buongiorno» disse Amleto senza sorridere. «Se vi sento ancora proferire linguaggio sconveniente di fronte alla buona Lady Hamilton, vi porterò fuori e firmerò la vostra quietanza con un semplice pugnale». «Che cosa ha detto il principe?» chiese san Zvlkx. «Sì» disse Joffy «che cosa ha detto?» «È Courier Grassetto» gli risposi «il linguaggio tradizionale del Mondo dei libri. Ha detto che verrebbe meno al suo dovere di gentiluomo se permettesse a Zvlkx di mancare di rispetto a Lady Hamilton». «Che cosa ha detto tua sorella?» domandò san Zvlkx. «Ha detto che se insulti ancora la pupa di Amleto, lui ti spalma il naso su tutta la faccia». «Oh». «Bene» commentò mia madre «si sta rivelando una mattinata piacevolissima!» «Se è così» disse Joffy, ritenendo che fosse il momento giusto, «ti dispiace se san Zvlkx rimane qui fino a mezzogiorno? Devo tenere un sermone alle Sorelle della Puntualità Eterna alle dieci, e se faccio tardi mi tirano i messali in testa». «Niente da fare, mio adorato figliuolo» disse mia madre girando il
bacon. «Perché non porti san Zvlkx con te? Sono sicura che le suore saranno colpite dalla sua devozione». «Qualcuno ha parlato di suore?» domandò san Zvlkx guardandosi intorno con interesse. «Come hanno fatto a farti santo non lo so proprio» lo rimbrottò Joffy. «Fiata ancora una volta e ti rimando io personalmente nel Tredicesimo secolo a calci in culo». San Zvlkx alzò le spalle, divorò uova e bacon usando le mani e ruttò sonoramente. Friday fece lo stesso e fu preso da un attacco di ridarella. Poco dopo se ne andarono tutti. Joffy non si sarebbe occupato di Friday, e sicuramente Zvlkx non poteva, e così non c'era niente da fare. Appena la mamma ebbe trovato il cappello, la giacca e le chiavi e fu uscita, corsi di sopra, mi vestii e balzai leggendo dentro Bradshaw sfida il Kaiser per chiedere a Melanie se poteva badare a Friday fino all'ora del tè. La mamma aveva detto che sarebbe stata fuori tutto il giorno e, dato che Amleto sapeva già che Melanie era una gorilla e né Emma né Bismarck potevano avere molto da ridire essendo a loro volta personaggi storici morti da tempo, mi sembrava che non ci fossero problemi. Era contro le regole, ma visto che Amleto e il mondo si trovavano a fronteggiare un futuro incerto, non me ne importava più di tanto. Melanie ne fu ben contenta, e appena ebbe indossato un vestito giallo a pois la portai dal Mondo dei libri al soggiorno di mia madre, che trovò molto elegante, specialmente le veneziane. Stava tirando il cordino per guardare le veneziane alzarsi e abbassarsi, quando entrò Emma. «Lady Hamilton» dissi «Melanie Bradshaw». Mel offrì la manona ed Emma la strinse con nervosismo, come se temesse che Melanie potesse morderla. «P-piacere di conoscerla» balbettò. «Non mi hanno mai presentato una scimmia, finora». «Scimmia è generico» la corresse Melanie gentilmente. «Molte scimmie hanno la coda, sono arboricole e appartengono alle famiglie Hylobatidae, Cebidae e Cercopithecidae. Lei e io e tutti i primati antropomorfi siamo Pongidae. Io sono un gorilla. Be', a rigore, appartengo ai gorilla di montagna - Gorilla beringei beringei - che vivono sulle pendici dei vulcani Virunga: la chiamavamo Africa Orientale Britannica, e non so bene come si chiami ora. C'è mai stata?» «No». «Un luogo affascinante. È lì che Trafford - mio marito - e io ci siamo conosciuti. Si stava facendo strada nella boscaglia insieme ai suoi portatori nell'antefatto di Caccia grossa per Bradshaw (Collins, 1878, 4 scellini e 6 penny, illustrato), quando scivolò dal sentiero e cadde per sei metri nel burrone in fondo al quale stavo facendo il bagno». Sollevò Friday tra le sue braccia massicce e lui ridacchiò felice. «Ero tremendamente imbarazzata. Voglio dire, me ne stavo lì in mezzo al ruscello senza neanche uno straccio addosso, ma - non lo scorderò mai Trafford si scusò educatamente e si girò dall'altra parte per permettermi di infilarmi tra i cespugli e vestirmi. Ne uscii per chiedergli se aveva bisogno di indicazioni per tornare in mezzo alla civiltà: all'epoca, l'Africa era piuttost o inesplorata, sa. E così ci siamo messi a chiacchierare. Be', una cosa tira l'altra, e prima che me ne rendessi conto mi aveva già invitato a cena. Stiamo insieme da allora. Lo trova buffo?» Emma pensò a come il suo legame con l'ammiraglio Lord Nelson fosse impietosamente irriso dalla stampa. «No, mi sembra molto romantico». «Bene» dissi battendo le mani «sarò di ritorno per le tre. Non uscire, e se passa qualcuno, manda Amleto o Emma ad aprire. D'accordo?» «Certo» rispose Melanie «non uscire, non aprire la porta. Semplice». «E non ti appendere alle tende o ai lampadari: non ti reggerebbero».
«Stai dicendo che sono un po' grossa?» «Niente affatto» mi affrettai a precisare «è solo che le cose sono diverse qui, nella vita vera. C'è molta frutta sul tavolo e banane in frigorifero. D'accordo?» «Tutto a posto. Buona giornata». Andai in centro e, schivando vari giornalisti desiderosi di intervistarmi, entrai nell'edificio delle OPS che, notai, era stato ridipinto di fresco dall'ul tima volta che ero venuta. Color lilla era un po' più ameno, ma non di molto. «Agente Next?» disse un giovane agente di OPS-14 molto calato nella parte, e che indossava un'uniforme nera ben inamidata, con tanto di giubbotto di kevlar, anfibi e armi ben in vista. «Sì?» Salutò militarmente. «Mi chiamo maggiore Drabb, OPS-14. Mi hanno comunicato che lei è stata assegnata a noi per tenere sotto controllo questa perniciosa letteratura danese». La sua ansia di fare il suo dovere mi raggelò. Bisogna ammettere, a suo vantaggio, che sarebbe stato altrettanto efficiente nell'aiutare le vittime di un'alluvione; si limitava a obbedire agli ordini senza far domande. Uomini come questo avevano compiuto azioni peggiori che distruggere libri danesi. Per fortuna ero preparata. «Lieta di conoscerla, maggiore. Ho ricevuto una soffiata: a questo indirizzo potrebbero essere nascosti alcuni esemplari di libri proibiti». Gli passai un foglietto e lui lo lesse con impazienza. «La biblioteca Albert Schweitzer? Ci portiamo subito lì». Salutò di nuovo rigidamente, si girò sui tacchi e se ne andò. Arrivai all'ufficio dei DLett e trovai Bowden intento a imballare le varie raccolte di racconti di Karen Blixen in una scatola di cartone. «Ciao!» esclamò, chiudendo la scatola con uno spago. «Come va?» «Abbastanza bene. Rieccomi al lavoro». Bowden sorrise, posò le forbici e lo spago e mi strinse la mano. «È un'ottima notizia! Hai sentito l'ultima? Daphne Farquitt è stata aggiunta all'elenco degli scrittori danesi proibiti». «Ma... la Farquitt non è danese!» «Il nome di suo padre era Farquittsen, e quindi è abbastanza danese per Kaine e i suoi idioti». Era una novità interessante. I libri della Farquitt erano piuttosto penosi, ma bruciarli era troppo. Di poco. «Hai trovato un modo per far uscire dall'Inghilterra tutti questi libri proibiti?» chiese Bowden, passando il nastro adesivo attorno a una scatola di copie di La mia Africa. «Con i libri della Farquitt e tutta la roba che sta arrivando, penso che avremo bisogno di almeno dieci camion». «Ci sto pensando» dissi, non avendo ancora combinato nulla in proposito. «Benissimo! Vorremmo far partire un'autocolonna appena ci dai il via. Ora, su che cosa vuoi che ti aggiorni prima? L'ultima sparatoria per strada tra Capuleti e Montecchi o quali saranno i prossimi autori a essere sottoposti al test antidoping?» «Nessuna delle due» risposi. «Dimmi tutto quello che sai sugli Shakespeare clonati». «Non è tra le nostre priorità. È un fatto curioso, certo, ma senza rilevanza dal punto di vista del mantenimento dell'ordine: chiunque sia coinvolto nel loro risequenziamento sarà troppo morto o troppo vecchio per essere processato». «Riguarda più il Mondo dei libri» spiegai «ma è importante, te lo assicuro». «Be', in questo caso» cominciò Bowden, che mi conosceva troppo bene per pensare che potessi far perdere tempo a lui o a me, «in questo momento abbiamo all'obitorio tre Shakespeare, tutti tra i cinquanta e i sessanta... mi metti quegli Hans Christian Andersen in quella scatola, per piacere? -
Se veramente sono clonati, è successo nel periodo sregolato degli anni Trenta, quando si vedevano in giro tutte quelle assurdità, quando si pensava di poter creare corridori olimpici con quattro gambe, nuotatori con pinne vere, quel tipo di cose. Ho dato una rapida occhiata in archivio. Il primo WillClone confermato è apparso nel 1952 quando qualcuno sparò accidentalmente a un certo Shakstpear a Tenbury Wells. Poi ci sono le morti misteriose di uno Shaxzpar nel 1958, uno Shagxtspar nel 1962 e uno Shogtspore nel 1969. Ce ne sono anche altri...» «Nessuna teoria sul perché?» «Ho idea» spiegò Bowden lentamente «che qualcuno stesse cercando di sintetizzare il Bardo per fargli scrivere altri grandi drammi. Illegale e moralm ente riprovevole, naturalmente, ma potenzialmente di grandissima utilità per tutti gli studiosi di Shakespeare. Il fatto che non compaiano Shakespeare giovani mi fa pensare che si tratti di un esperimento abbandonato da tempo». Ci fu un momento di silenzio mentre ci pensavo su. Clonare interi esseri umani era severamente vietato: nessuna società commerciale di bioingegneria avrebbe osato farlo, eppure solo una grande azienda avrebbe le strutture per provarci. Ma se questi cloni di Shakespeare erano sopravvissuti, c'era la possibilità che ce ne fossero altri. E visto che quello vero era morto da tempo, il suo alter ego risequenziato era la nostra unica risorsa per districare Le allegre comari di Elsinore. «Non rientra nelle competenze di OPS-13?» domandai alla fine. «Ufficialmente sì» ammise Bowden «ma OPS-13 è a corto di fondi quanto noi e l'agente Stiggins è troppo preso dalle migrazioni di mammut e dalle chimere per potersi occupare di drammaturghi elisabettiani clonati». Stiggins era il Neandertal a capo della vigilanza anticlonazioni. Risequenziato legalmente dalla Goliath, era la persona ideale per guidare OPS13. «Ci hai parlato?» chiesi. «È un Neandertal» rispose «non parlano, a meno che non sia assolutamente necessario. Ci ho provato un paio di volte, ma mi fissa in modo strano e mangia scarafaggi vivi da un sacchetto di carta... bleah». «Con me parlerà» dissi. Ne ero sicura. Gli dovevo ancora un favore per la volta che mi aveva aiutato a cavarmi d'impaccio con Flanker. «Vediamo se c'è». Alzai il telefono, consultai l'elenco interno e composi un numero. Guardai Bowden mentre imballava altri libri proibiti. Se si fosse fatto scoprire, per lui sarebbe stata la fine. Il paradosso di un Detective Letterario che finisce in prigione per aver protetto Canone d'amore della Farquitt... gli volevo ancora più bene per questo. Nessun Detective Letterario avrebbe fatto del male a un libro. Avremmo tutti dato le dimissioni prima di bruciarne uno qualsiasi. «Bene» dissi posando la cornetta «pare che sia giunta la segnalazione di una chimera al Brunel Centre: dovremmo trovarlo lì». «In che parte del centro commerciale?» «Se si tratta di una chimera, basta seguire le urla». 20 Chimere e Neandertal L'esperimento Neandertal fu concepito per creare quelli che venivano chiamati eufemisticamente "supporti per test medici", esseri viventi che fossero il più possibile simili agli esseri umani senza esserlo veramente ai sensi di legge. L'esperimento fu un successo - e un fallimento - senza precedenti. Il Neandertal era quello che tutti desideravano. Un nostro cugino stretto ma non un essere umano, fisiologicamente quasi identico, e con meno diritti
civili di un ghiro. Ma purtroppo per la Goliath persino il più incallito dei ricercatori esitava di fronte a esperimenti condotti su esseri intelligenti e parlanti, così il primo lotto di Neandertal fu addestrato come "unità di combattimento sacrificabili", un progetto archiviato non appena emerse la mancanza di istinti aggressivi dei Neandertal. Successivamente furono distribuiti tra la popolazione come forza lavoro a basso costo e si prestarono a fantastiche detrazioni fiscali. È stato uno dei casi in cui l'Homo sapiens è stato meno sapiente. GERHARD VON SQUID Uomini di Neandertal - Di ritorno dopo una breve assenza Il Brunel Centre era affollatissimo, come al solito. La gente faceva shopping passando da un negozio di catena all'altro, alla ricerca di un affare in luoghi in cui prodotti identici avevano prezzi fissati da uffici centrali vari mesi prima. Ma nessuno si lasciava scoraggiare. «Allora, perché ti interessano i Bardi fotocopiati?» chiese Bowden mentre attraversavamo il canale. «Abbiamo un'emergenza nel Mondo dei libri». Gli descrissi per sommi capi che cosa stava succedendo al dramma precedentement e noto come Amleto e Bowden fece tanto d'occhi. «Accipicchia!» disse dopo un momento. «E io che pensavo che il nostro fosse un lavoro insolito ! » Non ci volle molto per trovare Mr Stiggins. Dopo pochi minuti sentimmo l'agghiacciante grido di terrore di una donna spaventata. Seguì un secondo urlo, e improvvisamente una folla impazzita fuggiva dall'incrocio tra Canal Walk e Bridge Street. Camminammo controcorrente, calpestando acquisti abbandonati e scarpe spaiate. La causa del panico fu presto evidente. Accanto a un cestino per la spazzatura, in cerca di uno spuntino, c'era una bizzarra creatura ibrida: nel gergo di OPS-13, una chimera. La rivoluzione genetica che ci aveva dato organi di scorta senza limiti e la possibilità di creare dodo e altri animali estinti con i kit per la clonazione domestica aveva un lato oscuro: collage perversi di animali, dovuti non al lavorio dell'evoluzione, bensì a genetisti dilettanti che non trovavano di meglio da fare che giocare a fare dio nell'intimità dei loro ripostigli. Mentre la folla si allontanava rapidamente, Bowden e io fissavamo la strana creatura che barcollava e sbavava, rovistando nel cestino. Era circa delle dimensioni di una capra, di cui aveva le zampe posteriori ma non molto altro. La coda e le zampe anteriori erano di rettile, la testa quasi felin a. Aveva vari tentacoli e succhiava rumorosamente un foglio di giornale che aveva contenuto patate fritte; dalla bocca sdentata la saliva colava copiosa sul pavimento. Il prodotto più comune dell'ingegneria genetica abusiva erano uccelli ibridi, visto che gli uccelli sono abbastanza imparentati tra loro da dare un risultato decente per quanto maldestro possa essere il clonatore dilettante. Era persino possibile creare un canevolpelupo passabile o un gattoleopardo domestico con i semplici rudimenti di biologia del liceo. No, erano gli abominii tra classi diverse che portarono al divieto assoluto delle clonazioni domestiche, i pasticci rettile/mammifero che superavano i limiti di quello che era socialmente accettabile. Ma lo sport non si fermò: continuò clandestinamente. La creatura frugava nel cestino con l'unico braccio funzionante. Trovò i resti di uno SmileyBurger, lo fissò con i cinque occhi e se lo cacciò in bocca. Poi si lasciò cadere al suolo e avanzò, un po' arrancando e un po' strisciando, fino al cestino successivo, continuando nel frattempo a soffiare come un gatto e a battere tra loro i tentacoli. «Santo cielo» disse Bowden «ha un braccio umano». Proprio così. Era la presenza di parti umane riconoscibili a rendere le
chimere più impressionanti: un tentativo fallito di rimpiazzare una persona amata morta, o un genetista dilettante che provava a farsi un figlio. «Ripugnante?» chiese una voce vicina. «La creatura o il creatore?» Mi girai e mi ritrovai di fronte un Neandertal tarchiato e con l'arcata sopraccilia re sporgente, che portava un completo chiaro e un cappello di feltro in cima alla testa bombata. Ci eravamo già incontrati varie volte. Era Bartholomew Stiggins, a capo di OPS-13 del Wessex. «Tutti e due» risposi. Stiggins annuì quasi impercettibilmente mentre arrivò, facendo stridere i freni, una Land Rover blu di OPS-13. Un agente in uniforme saltò giù e cominciò a spingerci via. Stiggins disse: «Sono con me». Il Neandertal fece qualche passo avanti, io e Bowden lo raggiungemmo all'altezza della chimera, che era così vicina da poterla toccare. «Rettile, capra, felino, uomo» mormorò il Neandertal, chinandosi e studiando la creatura, che stava passando la sottile lingua rosa biforcuta su un pacchetto di patatine. «Gli occhi sembrano di insetto» osservò l'agente di OPS-13, tenendo sottobraccio un fucile lanciadardi. «Troppo grandi. Somigliano più agli occhi della chimera che stava sul palco dell'orchestra. Si ricorda? Quella che sembrava un grosso criceto». «Stesso creatore?» Il Neandertal alzò le spalle. «Stessi occhi. Lo sa che amano fare scambi». «Ne prenderemo un campione e li confronteremo. Ci può fornire una traccia. Quello sembra un braccio umano, no?» Il braccio della creatura era rosso e chiazzato, non più grande di quello di un bambino. Per afferrare qualcosa le dita annaspavano e si muovevano a caso finché facevano presa e stringevano energicamente. «Ci dà un'idea dell'età» disse Stiggins «forse cinque anni». «Lo vuole prendere vivo, signore?» chiese l'agente di OPS-13, preparandosi a caricare il fucile. «No. Mandiamolo a casa». L'agente inserì un dardo e richiuse la culatta. Prese la mira con cura e sparò. La chimera non fece una smorfia - un sistema nervoso completo è difficile da progettare e ben al di là delle capacità anche dei più dotati genetisti dilettanti - ma smise di staccare a morsi la corteccia di un albero e dopo qualche spasmo si accasciò e rallentò la respirazione. Il Neandertal si avvicinò e le tenne la mano sudicia mentre la vita svaniva. «Qualche volta» sussurrò «qualche volta gli innocenti devono soffrire». «DENNIS!» Una voce ansiosa si alzò dalla folla riunita, che era ammutolita mentre il respiro della creatura rallentava sempre di più. «Dennis, papà è preoccupato! Dove sei?» La scena stava prendendo una piega decisamente drammatica. Un uomo con la barba e una maglietta bianca senza maniche corse nello spazio vuoto attorno alla creatura morente e ci fissò con uno sguardo di orrore inebetito. «Dennis?» Cadde in ginocchio accanto alla sua creazione, che ora respirava con brevi singulti. L'uomo aprì la bocca ed emise un gemito straziato che mi fece rimescolare. Una simile manifestazione di dolore non può essere simulata; viene dall'anima, dal profondo. «Non c'era bisogno di ammazzarlo» mormorò, abbracciando la bestia morente, «non c'era bisogno di ammazzarlo...!» L'agente in uniforme fece per allontanare il creatore di Dennis, ma Stiggins lo fermò. «No» gli intimò con voce grave «lo lasci per un momento». L'agente fece spallucce e tornò alla Land Rover per prendere il sacco di plastica per cadaveri. «Ogni volta è come ammazzare uno di noi» mormorò Stiggins. «Dove è stata, Miss Next? In prigione?»
«Perché tutti pensano che io sia stata in prigione?» «Perché l'ultima volta che ci siamo visti sembrava diretta verso la morte o verso la prigione, e non è morta». Il creatore di Dennis si dondolava avanti e indietro, piangendo la scomparsa della sua creatura. L'agente tornò con il sacco e una collega donna che con delicatezza separò l'uomo dalla creatura e declinò i diritti di rito a orecchie che non prestavano ascolto. «Basta una firma su un pezzo di carta perché anche i Neandertal vengano distrutti, proprio come lui» disse Stiggins indicando la creatura. «Possono aggiungerci all'elenco delle creature proibite e considerarci chimere senza nemmeno bisogno di una legge». Ci allontanammo mentre gli altri due agenti aprivano il sacco e ci facevano rotolare dentro il cadavere della chimera. «Si ricorda di Bowden Cable?» chiesi. «Il mio collega DLett». «Certamente» rispose Stiggins «ci siamo conosciuti al suo matrimonio». «Come va?» domandò Bowden. Stiggins lo fissò. Era uno di quei convenevoli degli esseri umani di cui i Neandertal non si curavano. «Bene, grazie» disse Stig, forzandosi a dare la risposta standard. Bowden non lo sapeva, ma stava solo facendo ulteriormente pesare a Stiggins il fatto che si trovava in una società dominata dai sapiens. «Non è animato da cattive intenzioni» dissi schiettamente, come ai Neandertal piace che si parli. «Abbiamo bisogno del suo aiuto, Stig». «Allora saremo lieti di darglielo, Miss Next». «Quali cattive intenzioni?» chiese Bowden mentre andavamo verso una panchina. «Te lo spiego dopo». Stig si sedette e guardò sopraggiungere un'altra Land Rover di OPS-13, seguita da due automobili della polizia che dispersero la folla di curiosi. Estrasse un involto di carta oleata chiuso con cura, che conteneva il suo pranzo: due mele, un sacchetto di insetti vivi e un grosso pezzo di carne cruda. «Un insetto?» «No, grazie». «Allora, che cosa posso fare per i Detective Letterari?» chiese cercando di mangiare uno scarafaggio che non voleva saperne e dovette essere inseguito due volte intorno alla mano di Stig prima di essere raggiunto e divorato. «Che mi dice di questo?» domandai mentre Bowden gli porgeva una foto del cadavere di Shaxtper. «È un essere umano morto» rispose Stig. «Sicuri di non volere uno scarafaggio? Sono molto croccanti». «No, grazie. E di questo?» Bowden gli passò una foto di un secondo clone morto, e poi di un terzo. «Lo stesso essere umano morto visto da un'altra angolazione?» «Sono tutti cadaveri diversi, Stig». Smise di prendere a morsi la costoletta d'agnello cruda e mi fissò, poi si pulì le mani con un grande fazzoletto e guardò più attentamente le foto. «Quanti?» «Che noi sappiamo, diciotto». «Clonare interi esseri umani è sempre stato illegale» mormorò Stig. «Possiamo vederli di persona?» L'obitorio di Swindon era a due passi dagli uffici delle OPS. Si trovava in un vecchio palazzo vittoriano che in un'epoca più illuminata sarebbe stato abbattuto. Sapeva di formaldeide e di umidità; gli addetti avevano tutti un aspetto infelice, e probabilmente coltivavano strani hobby che era meglio non conoscere. Il lugubre patologo capo, Mr Rumplunkett, guardò con vivo interesse Mr Stiggins. Dato che uccidere un Neandertal non era tecnicamente un omicidio,
non veniva mai praticata un'autopsia, e Mr Rumplunkett era per sua natura un uomo curioso. Non disse nulla, ma Stiggins sapeva esattamente che cosa stava pensando. «Dentro siamo quasi uguali a voi, Mr Rumplunkett. Dopotutto, è per questo che siamo stati messi al mondo». «Mi dispiace...» cominciò imbarazzato il patologo capo. «No, non le dispiace» ribatté Stig «il suo interessamento è puramente professionale e a vantaggio della conoscenza. Non siamo offesi». «Siamo qui per dare un'occhiata a Mr Shaxtper» intervenne Bowden. Fummo accompagnati nella sala principale per le autopsie, in cui vari cadaveri giacevano coperti da lenzuola, con etichette appese all'alluce. «Sovraffollamento» disse Mr Rumplunkett «ma non si lamentano troppo. È questo?» Sollevò il lenzuolo. La salma aveva la testa bombata, occhi infossati, baffetti e il pizzetto. Somigliava molto al William Shakespeare dell'incisione di Droeshout che compare sul frontespizio del First folio. «Che ne pensi?» «In effetti» risposi lentamente «ha l'aspetto di Shakespeare, ma se Victor portasse i capelli così, lo avrebbe anche lui». Bowden annuì. Era ineccepibile. «È quello che ha scritto il sonetto con i Monty Python?» «No, quel sonetto in particolare è stato scritto da questo qui». Con uno svolazzo Bowden tolse il lenzuolo da un'altra salma, mostrando un cadavere identico al primo, appena un anno o due più giovane. Li guardai attentamente entrambi, mentre Bowden ne scopriva un altro ancora. «Quindi quanti Shakespeare hai detto che abbiamo?» «Ufficialmente nessuno. Abbiamo uno Shaxtper, uno Shakespoor e uno Shagsper. Solo due di loro avevano addosso fogli scritti, hanno tutti le dita sporche di inchiostro, sono tutti identici geneticamente, e sono tutti morti di malattia o di assideramento causati da scarsa cura di sé». «Barboni?» «Eremiti si avvicina di più». «A parte il fatto che hanno solo occhi sinistri e dita dei piedi tutte delle stesse dimensioni» disse Stig, che stava esaminando minuziosamente i cadaveri, «sono veramente molto ben fatti. Sono anni che non vediamo un'abilità simile». «Sono copie di un drammaturgo che si chiamava William Shakes...» «Conosciamo Shakespeare, Mr Cable» lo interruppe Stig. «Apprezziamo particolarmente Calibano, della Tempesta. Hanno fatto un lavoro di recupero estremo. Ricostruiti da un pezzo di pelle rinsecchita o da un capello presi da una maschera mortuaria, o qualcosa del genere». «Quando e dove, Stig?» Ci pensò per un momento. «Probabilmente sono stati creati negli anni Trenta» annunciò. «All'epoca ci saranno stati a dir tanto dieci laboratori in tutto il mondo in grado di farl o. Pensiamo di poter affermare che ci troviamo di fronte a uno dei tre più grandi laboratori di ingegneria genetica d'Inghilterra». «Non è possibile» disse Bowden. «I registri delle strutture di York, Bognor Regis e Scunthorpe sono di pubblico dominio; sarebbe inconcepibile riuscire a tenere segreto un progetto di questa portata». «Eppure esistono» rispose Stig, indicando i cadaveri e neutralizzando rapidamente l'obiezione di Bowden. «Avete i referti genomici e le valutazioni spettroscopiche degli oligoelementi?» aggiunse. «Un'analisi più accurata può rivelare qualcosa». «Non è la procedura standard delle autopsie» rispose Rumplunkett. «Ho i miei problemi di bilancio». «Se esegue anche una sezione trasversale del molare, quando moriremo doneremo il nostro corpo a questo istituto». «Provvedo immediatamente; potete attendere qui» disse Mr Rumplun-
kett. Stig si girò verso di noi. «Ci serviranno quarantotto ore per studiare i risultati. Ci vediamo a casa nostra? Saremmo onorati della vostra presenza». Mi guardò negli occhi. Avrebbe capito se avessi mentito. «Mi farebbe veramente piacere». «Anche a noi. Mercoledì a mezzogiorno?» «Ci sarò». Il Neandertal salutò togliendosi il cappello, emise un lieve grugnito e se ne andò. «Bene» disse Bowden appena Stig non fu più a portata di voce «spero che ti piaccia mangiare scarafaggi e fili d'erba». «Anche a te, Bowden: vieni pure tu. Se avesse voluto me da sola, me l'avrebbe proposto in privato. Ma sono sicura che preparerà qualcosa di più vicino ai nostri gusti». Quando riemergemmo alla luce del sole mi feci pensierosa. «Bowden?» «Sì?» «Stig non ha detto niente che ti sia suonato strano?» «Mi sembra proprio di no. Vuoi sapere il mio piano per infil...» Bowden si interruppe a metà frase mentre il mondo frenava fino a fermarsi. Il tempo aveva cessato di esistere. Ero bloccata tra un istante e il successivo. Poteva essere solo mio padre. «Ciao, tesoro» mi salutò allegro abbracciandomi «come è andato il Superhoop?» «È sabato prossimo». «Oh!» fece guardando l'orologio e aggrottando le sopracciglia. «Non mi deluderai, vero?» «Come faccio a non deluderti? Qual è il collegamento tra il Superhoop e Kaine?» «Non posso dirtelo. Gli eventi devono svolgersi in modo naturale, o saranno guai seri. Fidati di me». «Sei venuto fin qui per non dirmi nulla?» «Niente affatto. Il problema è Trafalgar. Ho provato in tutti i modi, ma Nelson si ostina a non sopravvivere. Ora penso di aver capito, ma ho bisogno del tuo aiuto». «Ci vorrà molto?» chiesi. «Ho un sacco da fare e devo tornare a casa prima che la mamma scopra che ho affidato Friday a una gorilla». «Ti posso garantire» rispose mio padre sorridendo «che non ci vorrà neppure un attimo. E anche meno, se preferisci!» 21 Vittoria sulla Victory FIGLIA DELL'AMORE PER L'AMMIRAGLIO LIBERTINO Le nostre fonti rivelano in esclusiva per questo giornale che l'ammiraglio Lord Nelson, l'amato e pluridecorato eroe di guerra, ha avuto una figlia da Lady Emma Hamilton, la moglie di Sir William Hamilton. La relazione va avanti da tempo e pare che ne siano a conoscenza sia Sir William sia Lady Nelson, da cui l'eroe del Nilo si è separato. Dettagli, a pagina 2; editoriale,
a pagina 3; incisioni sensazionaliste, alle pagine 4, 7 e 9; commenti moralistici ipocriti, a pagina 10; vignette sconce che raffigurano una Lady Hamilton sovrappeso, alle pagine 12 e 13. Inoltre, in questo numero: Resoconti delle sconfitte della Francia e della Spagna a Cape Trafalgar, a pagina 32, quarta colonna. Articolo apparso su «Il giornalaccio di Portsmouth», 28 ottobre 1805 Ci fu un susseguirsi di luci lampeggianti, dopodiché ci ritrovammo sul ponte di una nave da guerra in piena attività che avanzava maestosa con il vento in poppa. Il ponte era sgombro e pronto per l'azione; si percepiva nell'aria un senso di attesa. Accanto a noi veleggiavano alla stessa velocità altri due vascelli da guerra, e tra noi e la costa una colonna di navi francesi avanzava seguendo una rotta che ci avrebbe presto portato a scontrarci. Gli uomini gridavano, il fasciame delle navi scricchiolava, le vele si tendevano e le bandiere garrivano nella brezza. Eravamo a bordo dell'ammiraglia di Nelson, la Victory. Mi guardai attorno. Sul ponte di comando si trovava un gruppo di uomini, ufficiali in uniforme con giacche blu scuro, calzoni color crema e cappelli con la coccarda. Tra di loro un uomo più basso aveva una manica dell'uniforme infilata dentro la giacca tappezzata di medaglie e decorazioni. Non avrebbe potuto essere un bersaglio migliore. «Sarebbe difficile mancarlo» mormorai. «Continuiamo a ripeterglielo, ma è cocciuto e non cede: dice che sono onorificenze militari e che non teme di mostrarle al nemico. Ti va una caramella ?» Mi porse un sacchetto di carta che rifiutai. La nave si inclinò su un fianco e osservammo in silenzio mentre i due velieri si avvicinavano. «Non mi stancherei mai di starli a guardare. Li vedi, quelli?» Seguii il suo sguardo e notai tre persone accovacciate dietro una grossa gomena arrotolata. Uno indossava l'uniforme della CronoGuardia, un altro aveva un blocco per appunti e il terzo teneva sulla spalla qualcosa che somiglia va a una telecamera. «Documentaristi del Ventiduesimo secolo» spiegò mio padre, salutando il collega della CronoGuardia. «Ciao, Malcolm, come va?» «Bene, grazie!» rispose l'agente. «Ho passato un po' di guai quando ho perso quel cameraman a Pompei. Non ha saputo rinunciare a un'ultima inquadratura ravvicinata». «Una bella seccatura, vecchio mio, una bella seccatura. Golf dopo il lavoro?» «Senz'altro!» esclamò Malcolm, tornando a quello che stava facendo. «Non male essere di nuovo al lavoro» ammise mio padre girandosi verso di me. «Sei proprio sicura di non volere una caramella contro la nausea?» «No, grazie». Dalla nave francese più vicina si vide un lampo e un'improvvisa nuvola di fumo. Un secondo dopo due palle di cannone finirono innocue in acqua. Non si muovevano velocemente come mi sarei aspettata: le si poteva seguire in volo. «E ora?» chiesi. «Eliminiamo i cecchini in modo che non possano sparare a Nelson?» «Non li troveremmo mai tutti. No, dobbiamo barare un po'. Ma adesso è ancora presto. È essenziale cogliere il momento giusto». Così aspettammo pazientemente mentre la battaglia si faceva più intensa.
Nel giro di qualche minuto sei o sette navi stavano facendo fuoco sulla Victory; i colpi di cannone squarciavano le vele e il sartiame. Uno tagliò addirittura a metà un uomo sul ponte di comando, e un altro disperse un gruppetto di quelli che sembravano marinai pronti per l'arrembaggio, e che si allontanarono rapidamente. Durante tutto ciò il minuscolo ammiraglio, il suo capitano e un piccolo seguito andavano su e giù per il ponte di comando. Il fumo dei cannoni fluttuava nell'aria, il calore delle esplosioni si sentiva sul viso e gli scoppi quasi ci assordavano. La ruota del timone fu disintegrata da un colpo che la attraversò; nel divampare della battaglia ci spostavamo per il ponte, seguendo la conoscenza infinitamente precisa che mio padre aveva degli eventi. Ci facevamo da parte quando sfrecciava una palla di cannone, ci spostavamo in un'altra zona del ponte quando dagli alberi cadeva un pesante pezzo di legno, poi in un'altra ancora quando le palle di moschetto fischiavano nel punto in cui eravamo stati accovacciati. «Conosci la battaglia molto bene!» gridai al di sopra del frastuono. «Ci mancherebbe» gridò in risposta «ci sono stato più di sessanta volte». Le navi francesi e britanniche si accostarono sempre più, finché la Victory fu così vicina alla Bucentaure che si intravedevano le facce degli inservient i nelle cabine degli ufficiali. Si sentì una fragorosa bordata dei cannoni e la poppa della nave francese fu divelta dalle palle dei cannoni britannici che la traversarono e dilagarono nel ponte dei cannoni. Nel successiv o istante di quiete, mentre i cannoni venivano ricaricati, udimmo le grida in varie lingue dei feriti. Avevo combattuto in Crimea, ma non avevo mai visto niente del genere. Scontri tanto ravvicinati con armi talmente devasta nti da ridurre in un istante gli uomini a brandelli; le disgrazie dei sopravvissuti erano peggiorate dalla consapevolezza che le cure mediche che avrebbero ricevuto sarebbero state rudimentali e brutali. Per poco non caddi quando la Victory entrò in collisione con una nave francese che seguiva immediatamente la Bucentaure, e quando ripresi l'equilibrio mi resi conto di quanto fossero vicine tra loro le navi in questo tipo di battaglie. Non è che fossero a distanza di un lancio di gomena: si toccavano letteralmente. Il fumo dei cannoni ci fluttuava attorno facendomi tossire, e lo "zip" dei colpi di moschetto dimostrava che qui il pericolo era reale. Ci fu un'altra detonazione assordante quando la Victory fece fuoco e la nave francese sembrò tremare sull'acqua. Mio padre si tirò indietro per lasciar passare una grossa scheggia di metallo, e poi mi porse un binocolo. «Papà?» Si stava frugando in una tasca per tirarne fuori niente meno che una fionda. La caricò con una palla di piombo che stava rotolando per il ponte e la tese, puntandola su Nelson attraverso le volute di fumo. «Vedi il tiratore scelto sulla piattaforma più vicina a prora, sull'alberatura francese?» «Sì?» «Appena mette il dito sul grilletto conta fino a due e poi di' 'fuoco'». Fissai l'alberatura francese, trovai il cecchino e lo tenni attentamente d'occhio. Era a meno di quindici metri da Nelson. Era il tiro più facile del mondo. Vidi il suo dito sfiorare il grilletto, e... «Fuoco!» La palla di piombo schizzò via dalla fionda e colpì Nelson dolorosamente su un ginocchio; lui si accasciò sul ponte mentre il colpo che lo avrebbe ucciso si conficcò nell'albero alle sue spalle. Il capitano Hardy ordinò ai suoi uomini di portare Nelson sottocoperta, dove sarebbe stato trattenuto per il resto della battaglia. Hardy avrebbe affron tato le sue ire il mattino dopo e sarebbe stato esonerato dall'incarico per aver disobbedito agli ordini. Mio padre salutò il capitano Hardy e il capitano Hardy ricambiò il saluto. Hardy si era rovinato la carriera, ma aveva
salvato il suo ammiraglio. Ne valeva la pena. «Bene» disse mio padre rimettendosi in tasca la fionda «sappiamo tutti come va a finire. Vieni!» Mi prese la mano e cominciammo ad accelerare nel tempo. La battaglia finì in fretta e il ponte della nave venne ripulito; giorno e notte si susseguivan o a ritmo frenetico mentre noi tornavamo velocemente in Inghilterra, dove la folla radunata sui moli ci accolse festosa. Poi la nave ripartì, questa volta diretta a Chatham, dove rovinò, perse l'alberatura, la riebbe e ripartì di nuovo, solo per raggiungere Portsmouth, i cui edifici ci crebbero attorno mentre arrivavamo a velocità smodata nel Ventesimo secolo. Quando decelerammo eravamo di nuovo nel presente, ma ancora nello stesso punto del ponte: la nave ora era in un bacino privo di acqua ed era affollata di scolari con i quaderni in mano, pronti a farsi scortare da una guida. «E fu in questo punto» spiegava la guida indicando una targa sul ponte «che l'ammiraglio Nelson fu colpito alla gamba da un colpo di rimbalzo che probabilmente gli salvò la vita». «Bene, anche questa è fatta» disse papà, rialzandosi e spolverandosi le mani. Guardò l'orologio. «Devo andare. Grazie per l'aiuto, tesoro. Ricorda: la Goliath potrebbe cercare di corrompere gli Swindon Mallets, specialmente il capitano, per manipolare l'incontro: stai sul chi vive. Di' a Emma voglio dire a Lady Hamilton - che la passo a prendere domani alle otto e trenta del suo tempo, e da' un bacio a tua madre da parte mia». Sorrise, ci fu un altro rapido lampo e mi ritrovai fuori dall'obitorio con Bowden, che stava finendo la frase che aveva cominciato quando arrivò papà. «...trarci tra i Montecchi?» «Scusa?» «Dicevo, vuoi sapere il mio piano per infiltrarci tra i Montecchi?» Arricciò il naso. «Sei tu che puzzi di cordite?» «Ho paura di sì. Ascolta, mi devi scusare: temo che la Goliath abbia intenzione di corrompere Roger Kapok, e senza di lui abbiamo ancora meno speranze di vincere il Superhoop». Rise. «Bardi fotocopiati, Swindon Mallets, mariti sradicati. Hai un debole per le missioni impossibili, vero?» 22 Roger Kapok I TASSI DI CONTRIZIONE NON HANNO ANCORA RAGGIUNTO GLI OBIETTIVI Questa è la dichiarazione choc rilasciata da Mr Tork Armada, portavoce dell'OFGOD, l'autorità che concede le licenze alle istituzioni religiose. "Nonostante i continui sforzi della Goliath per attestarsi sui livelli di pentimento richiesti da questa autorità" ha dichiarato ieri Mr Armada nel corso di una conferenza stampa "non hanno raggiunto nemmeno la metà dei requisiti minimi di santità previsti". Le affermazioni di Mr Armada
sono state accolte con sorpresa dalla Goliath, che aveva sperato di essere ammessa rapidamente e senza opposizione. "Stiamo cambiando la nostra strategia, rivolgendoci a coloro che più aborriscono la Goliath" ha dichiarato Mr Schitt-Hawse, portavoce della Goliath. "Abbiamo appena ottenuto il perdono di una persona che ci ha profondamente disprezzato, cosa che conta venti volte tanto nelle regole dell'OFGOD sulla contrizione. Altri come lei seguiranno presto". Mr Armada non si è mostrato colpito e si è limitato a commentare: "Bene, vedremo". Resoconto pubblicato su «Goliath oggi!», 17 luglio 1988 Mi avviai di buon passo verso lo stadio da croquet da trentamila posti, molto impensierita. Quella mattina erano stati pubblicati i tassi di contrizione della Goliath e grazie a me e al Progetto di Scusa di Massa per la Crimea la loro transizione allo status di religione adesso era non solo possibil e ma probabile. L'unico aspetto positivo era che quasi sicuramente non sarebbe successo fino a dopo il Superhoop, il che però comportava la possibilità - confermata da mio padre -che la Goliath cercasse di corrompere i giocatori della squadra di Swindon. E puntare sul capitano, Roger Kapok, era probabilmente la mossa giusta. Superai il parcheggio riservato ai VIP, con la sua rassegna di automobili costose, e mostrai il mio distintivo delle OPS a un annoiato addetto alla sicure zza. Entrai nello stadio e salii su uno degli spalti, da cui osservai il campo. Da quella distanza gli archetti erano quasi invisibili, ma le loro posizi oni erano contrassegnate da grandi cerchi bianchi dipinti sull'erba. Le linee delle dieci iarde attraversavano il campo da un'estremità all'altra e gli "ostacoli naturali", il giardino incassato all'italiana, gli arbusti di rododend ro e le aiuole fiorite, risaltavano distintamente. Ogni ostacolo era allestito scrupolosamente in conformità con le specifiche della Lega mondiale croquet. L'altezza dei rododendri veniva misurata rigorosamente prima di ogni partita, le delimitazioni vegetali erano formate con arbusti identici, e il giardino incassato con i suoi gigli e la sua fontana ornamentale a forma di Minerva era uguale in ogni campo del mondo, da Dallas a Poona, da Nairobi a Reykjavik. Sotto di me vedevo gli Swindon Mallets impegnati in una faticosa seduta di allenamento. Tra loro Roger Kapok abbaiava ordini, mentre correvano avanti e indietro, mulinando le mazze pericolosamente vicini gli uni agli altri. Il croquet con quattro palle può essere uno sport pericoloso, e l'abilità di eseguire manovre ravvicinate senza provocare infortuni seri era considerata prerogativa della Lega croquet. Scesi di corsa i gradini degli spalti, sfiorando il disastro; a metà scalinata scivolai su una buccia di banana abbandonata e, se non fosse stato per un abile saltello, sarei finita a testa in giù contro i gradini di cemento. Imprecai tra me, lanciai un'occhiataccia a un addetto alla manutenzione ed entrai
in campo. «Dunque» stava argomentando Kapok «sabato c'è la grande partita e nessuno deve pensare che vinceremo solo perché l'ha detto san Zvlkx. Fratel Tommaso di York aveva previsto una vittoria di venti punti per i Battersea Chargers, la settimana scorsa, e sono stati stracciati, quindi in campana . Non voglio che contiate sul destino per vincere questo incontro: si vince con il lavoro di squadra, l'impegno e la tattica». Ci furono grugniti e cenni di assenso da parte dei giocatori, e Kapok proseguì: «Swindon non ha mai vinto un Superhoop, e voglio che questo sia il primo. Biffo, Smudger e Aubrey guideranno l'attacco, come al solito, e che nessuno si sogni di ruzzolare giù per il giardino incassato come nell'allenamento di martedì scorso. Gli ostacoli servono per far perdere palla all'avversario con colpi puliti e leciti, e non voglio vederli usati per nessun altro scopo». Kapok era un omone con i capelli cortissimi e un naso malconcio portato con orgoglio. Cinque anni prima aveva preso in faccia un palla da croquet, quando caschi e protezioni non erano ancora obbligatori. Stava nella squadra di Swindon da più di dieci anni e ormai, a trentacinque anni, aveva raggiunto i limiti d'età per il croquet professionistico. Lui e il resto della squadra erano leggende locali e a memoria d'uomo non avevano mai dovuto pagarsi una birra nei pub di Swindon. Ma fuori da Swindon erano esimi sconosciuti. «Thursday Next» dissi avvicinandomi e presentandomi. «OPS. Posso parlarle?» «Certo. Cinque minuti di pausa, ragazzi». Strinsi la mano a Roger e ci incamminammo verso la siepe adiacente alla linea delle quaranta iarde, vicino al rullo per giardino che, per via di un orribile incidente l'anno prima, nel corso della Coppa Panpacifica, ora era coperto da un'imbottitura. «Sono un suo grande ammiratore, Miss Next» disse Roger con un ampio sorriso che rivelò vari denti mancanti. «Quello che ha fatto con Jane Eyre è incredibile. Amo i romanzi di Charlotte Bront..é. Non trova che i personaggi di Ginevra Fanshawe in Villette e di Bianche Ingram in Jane Eyre presentino delle somiglianze?» L'avevo notato, naturalmente, perché erano proprio la stessa persona, ma non pensavo che Kapok o altri dovessero essere informati sulle strategie economiche del Mondo dei libri. «Sul serio?» chiesi. «Non ci avevo fatto caso. Vengo subito al punto, Mr Kapok. Qualcuno ha cercato di dissuaderla dal giocare sabato?» «No. E probabilmente mi ha appena sentito dire alla squadra di ignorare la settima Rivelazione. Vogliamo vincere per noi e per Swindon. E vinceremo, ha la mia parola!» Sorrise con quell'abbagliante sorriso ricostruito "Roger Kapok" che avevo visto tante volte sui cartelloni in giro per Swindon, per pubblicizzare qualsiasi cosa, dal dentifricio al linoleum. La sua sicurezza di sé era contagiosa e improvvisamente mi sembrò che battere i Reading Whackers fosse passato da "totalmente impossibile" a "profondamente improbabile". «E lei?» chiesi, ricordando l'avvertimento di mio padre sul fatto che lui sarebbe stato il primo che la Goliath avrebbe cercato di corrompere. «Io che cosa?» «Rimarrà con la squadra qualunque cosa succeda?» «Certamente!» rispose. «Neanche trainandomi via con un cavallo selvaggio potrebbero impedirmi di portare i Mallets alla vittoria». «Promesso?» «Sul mio onore. È in ballo il codice dei Kapok. Solo la morte mi terrebbe fuori dal campo, sabato». «Deve stare in guardia, Mr Kapok» mormorai «la Goliath le tenterà tutte per assicurarsi che il Reading vinca il Superhoop». «So badare a me stesso». «Non ne dubito, ma deve lo stesso stare in guardia».
Tacqui un momento, mentre venivo colta da un desiderio infantile. «Le dispiacerebbe... se provassi un colpo?» Indicai la sua mazza e lui posò una palla blu a terra. «Giocava?» «Per la mia università». «Roger!» chiamò uno dei giocatori alle nostre spalle. Si scusò e io fronteggiai la palla. Erano anni che non giocavo, ma solo per mancanza di tempo. Era un gioco frenetico ed energico, molto diverso dal suo antenato, anche se gli ostacoli naturali, come i rododendri e altre strutture da giardino, risalivano all'epoca in cui era solo un elegante sport da giardino. Assestai la palla con il piede per sospingerla bene nell'erba. Il mio allenatore di croquet era un ex giocatore professionista di nome Alf Widdershaine, che mi diceva sempre che la concentrazione era la dote dei migliori giocatori di croquet: e Alf ne doveva sapere qualcosa, visto che aveva giocato per gli Slough Bombers e si era ritirato dopo aver messo a segno complessivamente 7.892 archetti, primato tuttora imbattuto. Puntai attraverso il campo l'archetto posteriore destro sulle quaranta iarde. Da qui non sembrava più grande di un mio polpastrello. Alf segnava anche da cinquanta iarde di distanza, ma io al massimo arrivavo a venti. Mi concentrai mentre le dita stringevano il manico coperto di cuoio, sollevai la mazza e accompagnai con il corpo una battuta energica. Si sentì un "clack" soddisfacente e la palla sfrecciò via in un arco elegante... dritta in mezzo ai rododendri. Dannazione. Se fosse successo durante una partita, avrei perso palla fino al tempo successivo. Mi guardai attorno per controllare se qualcuno mi aveva visto, per fortuna non c'era nessuno. Ma sembrava che ci fosse una lite in corso tra alcuni uomini della squadra. Lasciai la mazza e mi avvicinai in fretta. «Non te ne puoi andare!» gridava il difensore Aubrey Jambe. «Come faremo con il Superhoop?» «Ve la caverete benissimo anche senza di me» cercava di convincerlo Kapok «sul serio!» Era accanto a due uomini in giacca e cravatta che non sembrava proprio si occupassero di sport. Mostrai il mio distintivo. «Thursday Next, OPS. Che cosa succede?» I due si guardarono. Fu quello più alto a rispondere. «Siamo osservatori dei Gloucester Meteors e pensiamo che a Mr Kapok faccia piacere venire a giocare per noi». «Meno di una settimana prima del Superhoop?» «Avevo bisogno di un cambiamento, Miss Next» disse Kapok guardandosi intorno nervosamente. «Biffo guiderà la squadra molto meglio di me. Eh, Biffo?» «E tutti quei discorsi sul 'cavallo selvaggio' e il 'codice dei Kapok'?» chiesi. «Aveva promesso!» «Devo passare più tempo con la mia famiglia» mormorò Kapok, alzando le spalle e chiaramente desideroso di non rimanere nello stadio neppure un secondo più del dovuto. «Andrà tutto bene: non lo ha previsto san Zvlkx?» «I veggenti non hanno sempre ragione al cento per cento, lo ha detto lei stesso! Chi siete veramente, voi due?» «Noi non c'entriamo» disse l'uomo alto in giacca. «Ci siamo limitati a fare un'offerta: è Mr Kapok a decidere se rimanere o andarsene». Kapok e i due si girarono per avviarsi. «Kapok, per l'amor di dio!» urlò Biffo. «I Whackers faranno a pezzi la squadra se non ci sei tu a guidarci!» Ma Kapok continuò a camminare, guardato con disgusto dai suoi ex compagni di squadra, che brontolarono e imprecarono per un po', finché non arrivò il commissario tecnico dei Mallets, un tipo esile con baffetti sottili e la carnagione chiara, che chiese cosa stesse succedendo. «Ah!» fece una volta saputa la novità. «Mi dispiace molto, ma visto che siete tutti qui penso che sia il momento giusto per annunciarvi che mi ritiro per motivi di salute».
«Quando?» «Adesso» rispose, e corse via. Quella mattina la Goliath stava facendo gli straordinari. «Bene» commentò Aubrey appena il commissario tecnico se ne fu andato «ora che facciamo?» «Ascoltate» dissi «non vi posso dire perché, ma è fondamentale per la storia che vinciate questo Superhoop. Vincerete questa partita perché dovete vincerla. Tutto qui. Può fare lei il capitano?» chiesi, rivolgendomi a un giocatore corpulento chiamato Biffo. Lo avevo visto fare dei "passaggi alla cieca" attraverso gli arbusti di rododendro con precisione incredibile, e il suo classico colpo sul picchetto dalla linea delle sessanta iarde, durante la partita di lega contro il Southampton, fu innegabilmente uno dei "Dieci più grandi momenti del croquet" di tutti i tempi. Naturalmente questo era successo più di dieci anni fa, prima che un brutto contrasto gli rovinasse un ginocchio. Ormai giocava in difesa, proteggendo gli archetti dagli attaccanti avversari. «Io no» rispose con aria rassegnata. «Smudger?» Smudger giocava in attacco e aveva fatto dei rimbalzi presi a mezz'aria il suo cavallo di battaglia. Si parlava ancora del suo celebre doppio archetto nella partita di play-off Swindon-Gloucester del 1978, anche se non era bastato per vincere. «No». «Qualcun altro?» «Lo faccio io, il capitano, Miss Next». Era Aubrey Jambe. Era stato il capitano finché una campagna mediatica lo aveva fatto estromettere in seguito ad alcune insinuazioni su di lui e uno scimpanzé. «Bene». «Ma avremo bisogno di un nuovo commissario tecnico» disse lentamente Aubrey «e visto che lei ci tiene tanto, penso che sia la persona più adatta». Quasi senza rendermene conto avevo accettato, il che a quanto pare fu molto gradito ai giocatori. Il morale si era un po' risollevato. Presi per un braccio Aubrey e facemmo due passi verso il centro del campo per discutere la strategia. «Allora» dissi «in parole povere, Jambe, quante possibilità abbiamo?» «È pressoché impossibile» rispose schietto Aubrey. «Abbiamo dovuto vendere i nostri giocatori migliori ai Glasgow per poter pagare le modifiche al campo richieste dalla Lega mondiale croquet. Come se non bastasse il nostro difensore principale, Lauren de Rematte, ha vinto un viaggio in Africa irrinunciabile in un concorso pubblicitario di quelli che ti arrivano per posta. Senza Kapok siamo in dieci, non abbiamo riserve, e abbiamo perso il nostro miglior attaccante. Biffo, Smudger, Snake, George e Johnno sono bravi giocatori, ma gli altri sono delle mezze cartucce». «E che cosa ci servirebbe per vincere?» «Se tutti i giocatori del Reading morissero stanotte e venissero sostituiti con dei ragazzini malaticci di nove anni, potremmo avere qualche chance». «Troppo difficile e probabilmente illegale. Che altro?» Aubrey mi guardò cupo. «Cinque giocatori di buon livello e se ne può parlare». Era una richiesta impossibile. Se erano arrivati a Kapok, potevano offrire "incentivi" a qualunque altro giocatore disposto a venire da noi. «D'accordo» dissi «ci penso io». «Ha un piano?» «Certo» mentii, sentendo la cappa da organizzatrice che mi si posava sulle spalle, «fate come se i nuovi giocatori avessero già firmato. Dopotutto» aggiunsi, con un bel po' di convinzione fasulla, «abbiamo una Rivelazione da proteggere». 23
Nonna Next I READING WHACKERS SICURI DI VINCERE IL SUPERHOOP Oggi pomeriggio, in seguito all'improvviso ritiro dalla squadra di croquet degli Swindon Mallets sia di Roger Kapok che di Gray Ferguson, i Whackers si sono mostrati quasi certi di vincere il Superhoop di sabato prossimo, incuranti della profezia di san Zvlkx. Nonostante questa notizia, gli allibratori sono cauti e hanno abbassato la quotazione dei Mallets a 700 a 1. Miss Thursday Next, nuovo commissario tecnico dei Mallets, ride di qualsiasi previsione di sconfitta e ha ribadito ai giornalisti in attesa che Swindon trionferà. Interrogata su come ciò sia possibile, ha dichiarato conclusa l'intervista. Articolo apparso su «Chiacchiera della sera - Swindon», 18 luglio 1988 Sei il commissario tecnico dei Mallets?» chiese incredulo Bowden. «Che cos'è successo a Gray Ferguson?» «Comprato, corrotto, intimidito... chi lo sa?» «Ti piace tenerti impegnata, eh? Significa che non mi aiuterai a portare i libri proibiti fuori dall'Inghilterra?» «Non temere» lo rassicurai «troverò un modo». Mi sarebbe piaciuto provare la fiducia che mostravo. Dissi a Bowden che ci saremmo visti l'indomani e uscii, solo per essere trattenuta dall'iperzelante maggiore Drabb, che mi comunicò con grande efficienza che lui e la sua squadra avevano perquisito la Biblioteca Albert Schweitzer da cima a fondo, ma non avevano trovato neppure un libro danese. Mi congratulai per la sua diligenza e gli dissi di tornare da me il giorno dopo. Salutò rigidamen te, mi consegnò un rapporto di trentadue pagine e si allontanò. La nonna era nel giardino della casa di riposo "Dolce Crepuscolo" della Goliath, quando passai di lì tornando a casa. Indossava un abito di cotone a quadrettini blu e stava annaffiando i fiori. «Ho appena sentito la notizia alla radio. Congratulazioni!» «Grazie» dissi senza entusiasmo, lasciandomi cadere in una grande sedia di vimini. «Non so proprio perché mi sono offerta di dirigere i Mallets. Non ho idea di come si gestisca una squadra di croquet!» «Forse» rispose la nonna, protendendosi per togliere i fiori appassiti da un rosaio, «servono solo fiducia e convinzione: due settori in cui, mi permetto di aggiungere, ritengo che tu eccella». «La fiducia non farà apparire dal nulla cinque giocatori di croquet di livello internazionale». «Saresti sorpresa di sapere che cosa può fare la fiducia, mia cara. Dopotutto hai dalla tua la Rivelazione di san Zvlkx».
«Il futuro non è prefissato, nonna. Possiamo perdere, e probabilmente perderemo». Mi zittì. «Suvvia! Come sei lamentosa, oggi! Che importa se perdiamo? È solo un gioco, dopotutto!» Sprofondai ulteriormente nella sedia. «Se fosse solo un gioco non mi preoccuperei. Mio padre la vede così: Kaine si proclama dittatore lunedì prossimo, non appena muore il presidente Formby. Una volta che avrà in pugno il potere esecutivo si lancerà in un programma guerrafondaio che porterà a un Armageddon di livello III, potenzialmente letale per ogni forma di vita. Non possiamo evitare che il presidente muoia, ma possiamo, secondo mio padre, evitare la Guerra mondiale semplicemente vincendo il Superhoop». La nonna venne a sedersi in una sedia di vimini accanto a me. «E poi c'è Amleto» continuai massaggiandomi le tempie. «Il suo dramma ha subito un'acquisizione ostile da parte delle Allegre comari di Windsor e se non trovo un clone di Shakespeare prima di subito non ci sarà un Amleto a cui Amleto possa tornare. La Goliath mi ha fregato ancora una volta. Non so che cosa abbiano fatto, ma ho avuto l'impressione che mi risucchia ssero la forza di volontà attraverso i globi oculari. Hanno detto che mi avrebbero ridato Landen, ma francamente ho i miei dubbi. E devo contrabbandar e fuori dall'Inghilterra dieci camion di libri proibiti». Conclusa questa tirata, sospirai e restai in silenzio. La nonna era rimasta pensierosa per un po', e con l'aria di chi è arrivato a una grave decisione annunciò: «Sai che cosa dovresti fare?» «Che cosa?» «Togli Smudger dalla difesa e fanne l'ala dell'archetto centrale. Jambe dovrebbe fare l'attaccante come al solito, ma Biffo...» «Nonna! Non hai sentito una parola di quello che ti ho detto, vero?» Mi diede dei colpetti sulla mano. «Certo che ti ho sentito. Amleto sta facendo contrabbandare fuori dall'Inghilterr a le sue allegre comari risucchiandosi i globi oculari, il che porta a un Armageddon e alla morte del presidente. Giusto?» «Fa niente. Come ti vanno le cose? Hai trovato i dieci libri più noiosi?» «In effetti sì» rispose «ma sono restia a finire di leggerli perché sento che c'è un ultimo momento epifanico della mia vita, che mi sarà rivelato appena prima di morire». «Che tipo di momento epifanico?» «Non so. Ti va di giocare a Scarabeo?» Così la nonna e io giocammo a Scarabeo. Pensavo di vincere, finché lei compose "cazique" con una lettera sulla casella che triplica il valore della parola e da lì in poi capitolai. Persi 503 a 319. 24 Di nuovo a casa LA DANIMARCA INCOLPATA DELLA MALATTIA DELL'OLMO OLANDESE "La malattia dell'olmo olandese non è affatto olandese" hanno dichiarato la settimana scorsa a sorpresa alcuni dei più illustri dendrologi. "Per molti anni abbiamo attribuito agli olandesi la responsabilità della malattia dell'olmo
olandese" ha affermato Jeremy Acorn, primo portavoce del Centro ricerche arboree di Knotty Pine. "La cosiddetta malattia dell'olmo olandese, un virus degli alberi che ha ucciso quasi tutti gli olmi d'Inghilterra a metà degli anni Settanta, era ritenuta originaria dell'Olanda: di qui il nome". Ma nuovi studi hanno messo in dubbio questa consolidata ipotesi. "Usando tecniche che non avevamo a disposizione negli anni Settanta abbiamo scoperto nuove prove che suggeriscono che la malattia dell'olmo olandese è originaria della Danimarca". Mr Acorn ha proseguito: "Non abbiamo prove dirette del fatto che la Danimarca sia impegnata nello sviluppo e nella proliferazione di armi arboree, ma dobbiamo tenerlo in considerazione. Oggi in Inghilterra ci sono numerose querce e betulle bianche che non sono protette da eventuali attacchi". Guerra arborea: dobbiamo preoccuparci? servizio a pagina 9. Articolo apparso su «Tempi arborei», 17 luglio 1988 Mi affrettai a casa per arrivare prima di mia madre, perché non ero sicura di come avrebbe reagito scoprendo che Friday veniva accudito da una gorilla. Era possibile che la cosa non le creasse alcun problema, ma preferivo non metterla alla prova. Rabbrividii quando vidi che mia madre era arrivata prima di me, e non era sola. Un nutrito capannello di giornalisti si era riunito davanti a casa sua ad aspettare il ritorno del nuovo commissario tecnico dei Mallets, e solo dopo aver risposto mille volte "no comment" riuscii a raggiungerla, proprio mentre stava per infilare la chiave nella serratura. «Ciao, mamma» dissi col poco fiato che mi rimaneva. «Ciao, figlia». «Stai entrando?» «È quello che faccio di solito quando arrivo a casa». «Non ti andrebbe di andare a fare compere?» suggerii. «Che cosa mi nascondi?» «Niente». «Bene». Inserì la chiave nella toppa e aprì la porta con una buffa espressione. La precedetti di corsa in soggiorno, dove Melanie stava dormendo sul divano, con i piedi sul tavolino, mentre Friday russava felice adagiato sul suo torace. Chiusi rapidamente la porta. «Dorme!» sussurrai a mia madre. «Che tesoruccio! Vediamo». «No, meglio lasciarlo tranquillo. Ha il sonno molto leggero». «So guardare molto silenziosamente». «Forse non abbastanza» «Allora spio attraverso il passavivande». «No...!» «Perché no?»
«È incastrato. Proprio bloccato. Te lo volevo dire stamattina, ma mi è passato di mente. Ricordi quando Anton e io giocavamo ad arrampicarci? Hai dell'olio?» «Il passavivande non si è mai bloccato...» «Che ne dici di un po' di tè?» chiesi tutta allegra, tentando un diversivo che mia madre avrebbe dovuto trovare irresistibile. «Voglio parlarti di un cruccio sentimentale su cui potresti darmi una mano!» Purtroppo mi conosceva fin troppo bene. «Adesso so per certo che mi stai nascondendo qualcosa. Fammi entrare...!» Cercò di passare, ma ebbi un lampo di genio. «No, mamma, li metteresti in imbarazzo... e anche te stessa». Si fermò. «Che cosa intendi?» «C'è Emma». «Emma? Che c'entra Emma?» «Emma... e Amleto». Si mostrò scandalizzata e si coprì la bocca con la mano. «Lì dentro? Sul mio divano?» Annuii. «Fanno... insomma... Tutti e due... insieme?» «E molto nudi, ma prima hanno ripiegato le fodere» aggiunsi, per non scandalizzarla veramente troppo. Scosse la testa tristemente. «Non è bene, sai, Thursday». «Lo so». «Molto immorale». «Tantissimo». «Be', prendiamoci quel tè, così mi puoi parlare di quel tuo problema affettivo... si tratta di Daisy Mutlar?» «No... non ho nessun problema affettivo». «Ma avevi detto...?» «Sì, mamma, ma era una scusa per impedirti di sorprendere Emma e Amleto». «Ah» fece, afferrando l'idea. «Be', beviamoci lo stesso una tazza di tè». Trassi un sospiro di sollievo e la mamma entrò in cucina... dove Amleto ed Emma chiacchieravano lavando i piatti. Mia madre si immobilizzò e li fissò. «È disgustoso!» sbottò alla fine. «Scusi?» chiese Amleto. «Quello che state facendo in soggiorno, sul mio divano». «Che cosa stiamo facendo, Mrs Next?» domandò Emma. «Che cosa state facendo?» ribatté innervosita mia madre, alzando sempre di più la voce. «Ve lo dico io che cosa state facendo. Anzi, meglio di no perché è troppo... ecco, venite a guardare con i vostri occhi». E prima che la potessi fermare aprì la porta che dava sul soggiorno, mostrando... Friday, solo, che dormiva sul divano. Mia madre sembrò confusa e mi fissò. «Thursday, che cosa sta succedendo?» «Non saprei neanche da dove cominciare per spiegarlo» risposi, chiedendomi che fine avesse fatto Melanie. Era una stanza grande, ma sicuramente non abbastanza da nasconderci una gorilla. Mi affacciai e vidi che la porta finestra era socchiusa. «Devo aver visto un riflesso». «Un riflesso?» «Sì. Posso?» Chiusi la porta finestra e rimasi paralizzata vedendo Melarne attraversare in punta di piedi il prato, perfettamente visibile attraverso la finestra della cucina. «Come fa a essere un riflesso?» «Veramente non lo so» balbettai. «Hai cambiato le tende, qui? Sembrano diverse».
«No. Perché non volevi che guardassi in soggiorno?» «Perché... perché... avevo chiesto a Mrs Beatty di tenere Friday e sapevo che non eri d'accordo, ma ora se n'è andata e va tutto bene». «Ah!» fece mia madre, finalmente soddisfatta. Trassi un sospiro di sollievo. Me l'ero cavata. «Perbacco!» disse Amleto indicando fuori. «Non è un gorilla, quello là in giardino?» Tutti gli occhi fissarono il giardino, dove Melanie si era bloccata a metà di un passo, sopra i garofani dei poeti. Rimase ferma un momento, sorrise imbarazzata e salutò con la mano. «Dove?» domandò mia madre. «Vedo solo una donna molto pelosa che cammina in punta di piedi tra i miei garofani dei poeti». «È Mrs Bradshaw» mormorai, lanciando un'occhiataccia ad Amleto. «Ha badato al bambino». «Be', dille di non vagare per il giardino, Thursday, falla entrare!» La mamma posò i suoi acquisti e riempì il bollitore. «Povera Mrs Bradshaw, penserà che siamo orribilmente inospitali. Forse gradisce una fetta di Battenberg». Amleto ed Emma mi fissarono e io alzai le spalle. Feci cenno a Melanie di entrare in casa e la presentai a mia madre. «Molto lieta» disse Melanie «ha un nipotino dolcissimo». «Grazie» rispose mia madre, come se fosse tutto merito suo. «Faccio del mio meglio». «Sono appena tornata da Trafalgar» dissi rivolta a Lady Hamilton. «Papà ha ripristinato tuo marito e passa a prenderti domani alle otto e trenta». «Oh!» fece, non proprio entusiasta quanto avrei sperato. «È... è una notizia stupenda». «Sì» aggiunse Amleto più cupo «una notizia stupenda». Si guardarono. «Sarà meglio che vada a preparare le valigie» disse Emma. «Sì» rispose Amleto «ti do una mano». E uscirono entrambi dalla cucina. «Che cos'hanno?» chiese Melanie, prendendo la fetta di torta che le veniva offerta e sedendosi su una sedia che scricchiolò in modo inquietante. «Innamorati» spiegai. E sono convinta che lo fossero davvero. «Allora, Mrs Bradshaw» iniziò mia madre, assumendo un tono da affarista, «proprio ultimamente mi sto occupando di certi prodotti di bellezza, molti dei quali sono assolutamente inadatti a persone calve... se capisce che cosa intendo». «Ooooh!» esclamò Melanie, avvicinandosi. Aveva effettivamente un problema di peluria facciale - sarebbe stato strano il contrario, essendo una gorilla - e non aveva mai avuto la fortuna di parlare con un esperto di cosmetic i. Probabilmente la mamma avrebbe finito col cercare di venderle anche qualche Tupperware. Andai di sopra, dove Amleto ed Emma stavano litigando. A quanto pareva lei diceva che il suo "caro ammiraglio" aveva bisogno di lei più di qualsiasi cosa al mondo, e Amleto ribatteva che doveva andare a vivere con lui a Elsinore e "al diavolo Ofelia". Emma rispose che non era proprio il caso e allora Amleto fece un discorso lungo e incomprensibile che penso significasse che al mondo nulla procedeva in modo semplice e lineare e che rimpiangeva il giorno in cui aveva abbandonato la sua tragedia e che era sicuro che Ofelia se l'intendeva con Orazio appena lui girava la testa. Allora Emma fraintese e pensò che stesse attaccando il suo Orazio, e quando lui spiegò che si riferiva al suo amico Orazio lei cambiò idea e disse che sarebbe andata con lui a Elsinore, ma a quel punto Amleto pensò che forse dopotutto non era un'idea così buona e fece un altro discorso lunghissimo finché persino Emma non si annoiò e sgattaiolò di sotto a prendersi una birra e tornò prima che lui si fosse accorto che lei se n'era andata. Dopo un po', a forza di parlare, si ritrovò a un punto morto senza
aver preso nessuna decisione, il che in fondo era un bene, visto che non aveva più una tragedia a cui fare ritorno. Mi stavo chiedendo se sarei mai riuscita a trovare uno Shakespeare clonato, quando sentii un minuscolo gemito. Tornai di sotto e trovai Friday che mi guardava battendo le palpebre dalla porta del soggiorno, arruffato e sonnolento. «Dormito bene, ometto?» Ripose: «Sunt in culpa qui officia deserunt moliti», che interpretai come: "Ho dormito molto bene e ora ho bisogno di uno spuntino per sopravvivere alle prossime due ore". Entrai in cucina, mentre un tarlo mi tormentava. Qualcosa che aveva detto la mamma. Qualcosa che aveva detto Stiggins. O forse Emma? Diedi a Friday del pane spalmato di cioccolata, che lui procedette a spandersi sulla faccia. «Sono sicura che abbiamo esattamente il colore che fa per lei» proclamò mia madre, trovando una sfumatura di smalto grigio che stava bene con la pelliccia nera di Melanie. «Accidenti! Che unghie forti!» «Non scavo più come un tempo» rispose Melanie in tono nostalgico. «A Trafford non fa piacere. Ritiene che dia da parlare ai vicini». Il cuore mi saltò un battito e gridai senza rendermene conto: «AHHHHHHHHH!» Mia madre sobbalzò, tracciando una riga di smalto sulla mano di Melanie e rovesciandole la boccetta sul vestito a pois. «Guarda cosa mi hai fatto fare!» mi rimproverò. Neanche Melanie sembrava molto contenta. «Posh, Murray Posh, Daisy Posh, Daisy Mutlar... perché hai... menzionato Daisy Mutlar, poco fa?» «Be', perché pensavo che ti desse fastidio che fosse ancora in circolazione». Bisogna sapere che Daisy Mutlar è la persona che Landen stava per sposare durante la nostra separazione forzata di quasi dieci anni. Ma questo non era importante. L'importante era che senza Landen non ci sarebbe stata nessuna Daisy. E se Daisy era in circolazione, voleva dire che c'era anche Landen... Mi guardai la mano. Al mio anulare c'era... un anello. Una fede. La spinsi in avanti verso la nocca rivelando un solco chiaro. Sembrava che fosse sempre stata lì. E se era così... «Dov'è ora Landen?» «A casa sua, suppongo» rispose mia madre. «Ci sei, a cena?» «Allora... non è sradicato?» Sembrò perplessa. «Buon dio, no!» Strinsi le palpebre. «Quindi non ho mai partecipato a una riunione degli Sradicati anonimi?» «Certo che no, cara. Lo sai che io e Mrs Beatty siamo le uniche che ci vanno... e Mrs Beatty ci viene solo per confortarmi. Di che stai parlando? Ehi, torna indietro! Dove stai...» Aprii la porta e avevo già fatto due passi nel vialetto del giardino quando mi ricordai che avevo lasciato Friday, così tornai a prenderlo, scoprii che si era sporcato la maglietta di cioccolata nonostante il bavaglino, gli misi una felpa, vidi che era tutta sbrodolata, ne trovai una pulita, gli cambiai il panno lino e... niente calzini. «Che stai facendo, cara?» mi chiese mia madre mentre frugavo nel cesto della biancheria. «Landen» balbettai emozionata «era stato sradicato e ora è di nuovo qui ed è come se non se ne fosse mai andato e voglio che veda Friday, ma Friday è troppo appiccicoso per farlo vedere a suo padre». «Sradicato? Landen? Quando?» domandò mia madre incredula. «Sei sicura?» «Non è proprio così che funziona lo sradicamento?» risposi dopo aver trovato sei calzini, ciascuno diverso da tutti gli altri. «Non lo sa mai nessuno.
Ti sorprenderebbe sapere che c'è stato un momento in cui gli Sradicati anonimi erano frequentati da quaranta persone e più. Quando ci sono venuta io erano meno di dieci. Sei stata bravissima, mamma. Ti sarebbero veramente grati, se solo se lo ricordassero». «Oh!» fece mia madre in un raro momento di lucidità completa. «Allora... quando gli sradicati tornano è come se non se ne fossero mai andati. Ergo: il passato si riscrive automaticamente per tenere conto del nonsradicamento». «Be', sì, più o meno». Infilai due calzini spaiati ai piedi di Friday - che non facilitava le cose allargando le dita - poi trovai le scarpe, una sotto il divano e l'altra in cima alla libreria: quindi alla fin fine Melanie si era veramente arrampicata sui mobili. Trovai una spazzola e gli sistemai i capelli, cercando disperatamente di appiattire un ciuffo solido che odorava in modo sospetto di fagioli. Dovetti rinunciare, poi gli lavai la faccia, cosa che non gli piacque neanche un po'. Finalmente mi stavo avviando verso la porta, quando mi vidi allo specchio e tornai di corsa di sopra, mollai Friday sul letto, mi misi un paio di jeans puliti e una maglietta e cercai di fare qualcosa - qualsiasi cosa - ai miei capelli corti. «Che ne pensi?» chiesi a Friday, che ora era seduto su un tavolino e mi fissava. «Aliquippa ex consequat». «Spero che significhi: 'Sei adorabile, mamma'». «Mollit anim est laborum». Mi infilai la giacca, uscii dalla stanza, tornai indietro per lavarmi i denti e prendere l'orsetto bianco di Friday, poi fui di nuovo fuori dalla porta, dopo aver detto a mia madre che forse non sarei tornata, quella sera. 2/2 Il cuore mi galoppava ancora mentre me ne andavo, ignorando i giornalisti; sistemai Friday nel sedile del passeggero della Speedster, abbassai la capote - tanto valeva arrivare in grande stile - e gli allacciai la cintura di s icurezza. Infilai la chiave e... «Non partire, mamma». Friday parlava. Rimasi senza parole per un secondo, con la mano immobile sulla chiave. «Friday?» dissi. «Stai parlando...?» Poi mi calò il gelo nel cuore. Mi osservava con lo sguardo più serio che avessi mai visto in un bambino di due anni prima o dopo di allora. E compresi il perché. Cindy. Era il giorno del secondo tentativo di assassinio. In mezzo alla confusione lo avevo completamente dimenticato. Lentamente e con molta attenzione tolsi la mano dalla chiave lasciandola dov'era, con i lampeggianti innestati e le spie dell'olio e della batteria acces e. Liberai delicatamente Friday e poi, per non aprire nessuna portiera, mi issai con ogni cautela dall'alto, portandolo con me. C'era mancato poco. «Grazie, pupo, te ne devo una. Ma perché hai aspettato proprio adesso per dire qualcosa?» Non rispose: si limitò a mettersi le dita in bocca e a succhiarsele innocentement e. «Un duro che non parla, eh? Forza, bimbo-meraviglia, chiamiamo OPS14». La polizia chiuse la strada e venti minuti dopo arrivarono gli artificieri, tra l'entusiasmo dei giornalisti e delle troupe televisive. Andarono immediatame nte in diretta, collegando l'intervento degli artificieri con il mio nuovo incarico come commissario tecnico dei Mallets, colmando le lacune dei loro servizi con le congetture o, in un caso, con invenzioni colorite. I due chili di esplosivo erano stati collegati al motorino di avviamento.
Ancora un secondo e Friday e io avremmo bussato alle porte del paradiso. Fremevo dall'impazienza mentre rilasciavo la mia deposizione. Non dissi che era il secondo di tre tentativi di assassinio, né che ce ne sarebbe stato un terzo alla fine della settimana. Ma me lo scrissi sulla mano, per non dimenti carmene. «Senza scampoli» dissi loro «sì, con la A e la M; no, non so perché. Be', sì, ma sessantotto se contiamo anche Samuel Pring. Il motivo? Chi lo sa. Sono la Thursday Next che ha cambiato il finale di Jane Eyre. Mai letto? Della Bront..é preferisce Il professore? Non importa. Lo troverà nel fascicolo che mi riguarda. No, sono di OPS-27. Victor Analogy. Si chiama Friday. Due anni. Sì, è molto carino. Ah, sì? Congratulazioni. No, mi farebbe molto piacere vedere le foto. Sua zia? Davvero? Ora posso andare?» Dopo un'ora dissero che potevo andarmene e così posai Friday nel passeggino e lo spinsi velocemente fino a casa di Landen. Arrivai un po' affannata e dovetti fermarmi a riprendere fiato e raccogliere le idee. La casa era ridiventata come me la ricordavo. Il grosso vaso di Tickia orologica era svanito insieme al trampolo a molla. All'interno, dietro le tendine più raffinate del mondo, intravedevo qualcuno che si muoveva. Mi aggiustai la maglietta, cercai di ravviare i capelli a Friday, percorsi il vialetto e suonai il campanello. Mi sentivo le mani calde e sudate e non riuscivo a controllare un sorriso stupido spalmato su tutta la faccia. Per fare più effetto tenevo Friday in braccio, e lo passai sull'altra anca perché cominciava a pesare. Dopo un tempo che sembrò varie ore ma fu, sospetto, meno di dieci secondi, la porta si aprì e apparve... Landen, perfettamente alto e bello e grande come avevo desiderato vederlo in tutti questi anni. Non era come me lo ricordavo: era molto meglio. Il mio amore, la mia vita, il padre di mio figlio, in carne e ossa. Sentii le lacrime premere negli occhi e cercai di dire qualcosa, ma tutto quello che venne fuori fu uno stupido sbuffo simile a un colpo di tosse. Mi fissò e io fissai lui, poi mi fissò ancora un po' e io fissai lui ancora un po', poi pensai che forse non mi aveva riconosciuta con i capelli corti, e allora cercai di farmi venire in mente qualcosa di veramente spiritoso ed efficace e arguto da dire ma non ci riuscii, così passai Friday sull'altra anca perché pesava ancora di più ogni secondo che passava e dissi, un po' stupidamente: «Sono Thursday». «Lo so chi sei» ribatté in modo sgarbato. «Hai proprio una bella faccia tosta, eh?» E mi sbatté la porta in faccia. Rimasi stordita per un momento e dovetti riprendermi prima di suonare di nuovo il campanello. Ci fu un'altra attesa che mi sembrò lunga un'ora, ma sospetto fosse solo lievemente superiore alla precedente - tredici secondi, al massimo - e la porta si aprì di nuovo. «Bene» disse Landen «guarda un po': Thursday Next». «Con Friday» risposi «tuo figlio». «Mio figlio» ribatté Landen evitando ostentatamente di guardarlo «certo». «Che cosa succede?» chiesi, mentre gli occhi ricominciavano a riempirsi di lacrime. «Pensavo che saresti stato contento di vedermi!» Emise un lungo sospiro e si massaggiò la fronte. «È difficile...» «Che c'è di difficile? Come può esserci qualcosa di difficile?» «Be'» iniziò «due anni e mezzo fa sei sparita dalla mia vita, di te nemmeno più l'ombra. Niente cartoline, niente lettere, niente telefonate, nulla. E poi ti fai viva a casa mia come se non fosse successo niente e io dovrei essere contento di vederti!» Trassi un sospiro di sollievo. O qualcosa del genere. Sotto sotto avevo sempre immaginato il desradicamento di Landen come una specie di semplice incontro dopo una lunga assenza. Non avevo mai pensato che Landen non sapesse di essere stato sradicato. Quando non c'era, nessuno sapeva che era esistito, e ora che era tornato nessuno sapeva che era sparito. Neppure lui.
«Mai sentito parlare di sradicamenti?» domandai. Scosse la testa. Inspirai a fondo. «Bene, due anni e mezzo fa un agente cronocorrotto di OPS-12 ti ha ucciso in un incidente all'età di due anni. Fu un tentativo di ricatto da parte di un membro della Goliath Corporation di nome Brik Schitt-Hawse». «Mi ricordo di lui». «Bene. Voleva che tirassi fuori il suo fratellastro dal Corvo di Poe, in cui Bowden e io lo avevamo intrappolato». «Ricordo anche questo». «Perfetto. Così, da un momento all'altro, hai smesso di esistere. Tutto quello che abbiamo fatto insieme non è mai successo. Ho cercato di riportarti indietro risalendo con mio padre al tuo incidente nel 1947, mi hanno sbaragliato e così ho deciso di trasferirmi all'interno della narrativa per far nascere il piccolo Friday e tornare quando fossi stata pronta. Cioè adesso. Fine della storia». Ci fissammo per un altro lungo istante che avrebbe anche potuto essere un'ora ma probabilmente durò solo venti secondi, passai di nuovo Friday sull'altra anca e infine Landen disse: «Il problema, Thursday, è che ora le cose sono cambiate. Te n'eri andata dalla mia vita. Sparita. Dovevo andare avanti». «Che cosa intendi?» chiesi, sentendomi improvvisamente molto a disagio. «Be', il fatto è» proseguì lentamente «che non pensavo che saresti tornata. Così ho sposato Daisy Mutlar». 25 Difficoltà pratiche relative ai desradicamenti DANESE RICERCATO Un uomo dall'aspetto danese è ricercato da ieri per una rapina a mano armata presso la Banca Goliath di Banbury. L'uomo, definito "di aspetto danese", è entrato nella banca alle 9:35 e ha intimato al cassiere di consegnargli tutto il denaro. Sono state rubate cinquecento sterline e una piccola quantità di corone danesi dal settore cambiavalute. La polizia considera la piccola somma in corone come "particolarmente significativa" e ha assicurato che la minaccia della criminalità danese verrà spazzata via quanto prima. La cittadinanza dovrà prestare particolare attenzione a chiunque abbia un aspetto danese e comunicare alla polizia la presenza di danesi dal fare sospetto o, a ogni buon conto, di qualsiasi danese. Articolo apparso su «Il rospo», 15 luglio 1988 Hai fatto che cosa?» «Be', sei sparita senza lasciare traccia... che cosa
dovevo fare?» Non potevo crederci. Lo stronzetto si era consolato tra le braccia di un'ochett a che non sarebbe stata degna di portargli la borsa, figuriamoci di diventare sua moglie. Lo fissai senza parole. Mi sarebbe potuta cadere la mascella, e mi stavo chiedendo se scoppiare in lacrime, ucciderlo a mani nude, sbattere la porta, urlare, imprecare o tutte queste cose insieme. Poi notai che Landen stava facendo la faccia che fa quando cerca di non ridere. «Razza di bastardo con una gamba sola» gli dissi, sorridendo per il sollievo, «non lo hai fatto davvero!» «Però ci eri cascata, eh?» Sorrise. Ora sì che ero arrabbiata. «Come ti è venuto in mente di farmi questo scherzo idiota? Lo sai che sono armata e instabile!» «Non era più stupido della tua farneticazione sullo sradicamento!» «Non è una farneticazione». «Ma sì. Se fossi stato sradicato veramente non ci sarebbe nessun ragazzino...» La voce gli si affievolì e improvvisamente tutti i nostri battibecchi svanirono, mentre Friday divenne il centro dell'attenzione. Landen guardò Friday e Friday guardò Landen. Io li guardai entrambi a turno, finché, togliendosi le dita dalla bocca, Friday disse: «Culo». «Che cosa ha detto?» «Non saprei. Dev'essere una parola che ha imparato da san Zvlkx». Landen schiacciò il naso di Friday. «Bip» fece Landen. «Tette» disse Friday. «Sradicato, eh?» «Sì». «È la storia più assurda che io abbia mai sentito in vita mia». «Su questo non ho dubbi». Tacque per un momento. «Il che mi sa che la rende troppo strana per non essere vera». Ci muovemmo l'uno verso l'altra nello stesso momento e battei con la testa contro il suo mento. La bocca gli si richiuse di scatto, i denti diedero un colpo secco e lui gemette per il dolore: doveva essersi morso la lingua. Aveva proprio ragione Amleto. Nella vita vera nulla è mai semplice e lineare. Per lui era un problema, per me un motivo in più per amarla. «Che c'è da ridere?» chiese. «Niente» risposi «è solo una cosa che ha detto Amleto». «Amleto? Qui?» «No, a casa di mia madre. Aveva una relazione con Emma Hamilton, il cui compagno, l'ammiraglio Nelson, ha cercato di suicidarsi». «In che modo?» «Usando la marina francese». «No... no» disse Landen scuotendo la testa. «Procediamo con una storia ridicola alla volta. Ascolta, sono uno scrittore, ma non riuscirei mai a inventa re il tipo di str... di assurdità in cui vieni coinvolta tu». Friday riuscì a sfilarsi una scarpa nonostante gli sforzi che avevo profuso nei doppi nodi e ora si stava tirando via il calzino. «Un bell'ometto, eh?» disse Landen dopo un po'. «Ha preso da suo padre». «Noo, da sua madre. Quel dito resta sempre infilato nel naso?» «Più o meno. Si chiama 'La ricerca'. Un piccolo passatempo divertente che appassiona i bambini piccoli dall'alba dei tempi. Basta, Friday». Tirò fuori il dito quasi facendo "pop" e porse a Landen il suo orsetto bianco. «Ullamco laboris nisi ut aliquip». «Che cosa ha detto?» «Non lo so» risposi «è una cosa chiamata Lorem Ipsum, una specie di
pseudolatino che usano i tipografi per formare blocchi di testo realistici». Landen alzò un sopracciglio. «Vuoi scherzare?» «È molto usato nel pozzo delle trame perdute». «Il che?» «È il posto in cui tutta la narrativa...» «Basta!» esclamò Landen, battendo le mani. «Non puoi andare avanti a raccontare storie ridicole in piedi sulle scale. Vieni a raccontarmele dentro». Scossi la testa e lo fissai. «Che c'è?» «Mia madre dice che Daisy Mutlar è in città». «Pare che abbia trovato lavoro qui». «Sul serio?» chiesi sospettosa. «Che ne sai?» «Lavora per il mio editore». «E non siete usciti insieme?» «No di certo!» «Giurin giurello?» Alzò una mano. «Parola di boy scout». «Bene» dissi lentamente «ti credo». Mi diedi un colpetto sulle labbra. «Non entro finché non me ne dai uno qui». Sorrise e mi prese tra le braccia. Ci baciammo molto teneramente e mi vennero i brividi. «Consequat est laborum» disse Friday, unendosi all'abbraccio. Entrammo in casa e posai in terra Friday. Analizzò attentamente la casa in cerca di qualcosa da tirarsi addosso. «Thursday?» «Sì?» «Ammettiamo per comodità che io sia stato sradicato». «Hm?» «Allora tutto quello che è successo dall'ultima volta che ci siamo lasciati all'interno dell'edificio delle OPS non è successo veramente?» Lo abbracciai forte. «È successo, Land. Non avrebbe dovuto, ma è successo». «Allora il dolore che ho provato era reale?» «Sì. L'ho provato anch'io». «E mi sono perso il tuo pancione... hai qualche foto, a proposito?» «Non penso. Ma se giochi bene le tue carte ti potrei mostrare le smagliature». «Non vedo l'ora». Mi baciò di nuovo e guardò Friday con un sorriso beota stampato in faccia. «Thursday?» «Che c'è?» «Ho un figlio!» Decisi di correggerlo. «No: abbiamo un figlio!» «Giusto. Bene» disse strofinandosi le mani. «È ora di pensare alla cena. Ti piace ancora il timballo di pesce?» Si sentì uno schianto: Friday aveva trovato un vaso da abbattere in soggiorno. Raccolsi i cocci e mi scusai, Landen disse che non era un problema, ma chiuse lo stesso la porta del suo ufficio. Ci preparò la cena e mi aggiornò su che cosa aveva fatto mentre non era sradicato - se ha senso dire così - e io gli raccontai di Mrs Tiggy-winkle, delle tempeste di parole, di Melanie e di tutto il resto. «Quindi un grammassita è una forma di vita parassitaria che vive all'interno dei libri?» «Grosso modo». «E se non trovi un clone di Shakespeare perdiamo l'Amleto?» «Già». «E il Superhoop è cruciale per evitare una guerra termonucleare?»
«Proprio così. Posso tornare a vivere qui?» «Ho lasciato il cassetto dei calzini come piaceva a te». Sorrisi. «In ordine alfabetico, da sinistra a destra?» «No, seguendo l'ordine dell'arcobaleno, col violetto a destra... ma forse così era come piaceva a Daisy... Ahi! Scherzavo! Non hai nessun senso del... Ahi! Ferma! Scendi! No! Oh!» Ma era troppo tardi. Lo avevo steso al suolo e stavo cercando di fargli il solletico. Friday si succhiava le dita e ci guardava disgustato, mentre Landen riusciva a sfuggirmi, a rigirarmi e a fare il solletico a me, cosa che non mi piaceva affatto. Dopo poco entrambi collassammo tra matte risate. «E allora, Thursday» disse aiutandomi a rialzarmi «rimani qui, stanotte?» «No». «No?» «No. Mi trasferisco qui e ci rimango per sempre». Sistemammo Friday nella cameretta degli ospiti, allestendogli una specie di lettino. Si addormentava tranquillamente quasi ovunque, purché avesse con sé il suo orsetto bianco. Aveva dormito da Melanie e una volta a casa di Mrs Tiggy-winkle, che era calda e accogliente e sapeva di muschio, rametti e detersivo. Aveva persino passato un notte sull'Isola del Tesoro, una volta che ci ero andata, un anno prima, per risolvere il problema della capra di Ben Gunn: Long John aveva parlato a Friday fino a farlo addormentare, cosa in cui era molto bravo. «Eccoci qui» disse Landen mentre andavamo nella nostra camera «un uomo ha molte esigenze...» «Fammi indovinare! Vuoi che ti massaggi la schiena?» «Grazie. Proprio qui in fondo, dove ti veniva così bene. Mi è veramente mancato». «Nient'altro?» «No, niente. Perché, avevi in mente qualcosa?» Ridacchiai mentre mi attirava vicino a sé. Inspirai il suo profumo. Ricordavo bene il suo aspetto e la sua voce, ma non il suo odore. Lo riconobbi immediatamente appena premetti il viso contro le pieghe della sua camicia, e mi riportò ricordi di corteggiamento, di picnic, di passione. «Mi piacciono i tuoi capelli corti» disse Landen. «Be', a me no» risposi «e se me li scompigli ancora, potrebbe venirmi voglia di infilarti un dito in un occhio». Ci sdraiammo sul letto e lui mi sfilò la felpa molto lentamente. Si impigliò nell'orologio e ci fu un attimo di imbarazzo in cui lui tirò leggermente, cercando di mantenere il romanticismo del momento. Non riuscii a trattenermi e mi misi a ridacchiare. «Oh, sii seria, per piacere, Thursday!» disse, continuando a tirare la felpa. Ridacchiai ancora un po' e cominciò anche lui, poi mi chiese se per caso avevo delle forbici e finalmente mi tolse il capo d'abbigliamento incriminato. Cominciai a slacciargli i bottoni della camicia e lui mi passò le labbra sulla nuca, il che mi diede un fremito piacevole. Provai a togliermi velocemente le scarpe, ma erano allacciate e quando finalmente una venne via senza slacciarla, schizzò dall'altra parte della stanza e colpì lo specchio sul muro opposto, che cadde e si frantumò. «Cavolacci!» esclamai. «Sette anni di guai». «Era solo uno specchio da due anni» spiegò Landen. «Al negozio dove costa tutto una sterlina non ti danno quelli completi da sette anni». Cercai di sfilarmi l'altra scarpa e scivolai, colpendo lo stinco di Landen, il che non era un problema, dato che aveva perso una gamba in Crimea e l'avevo già fatto varie volte. Ma non si sentì il solito "bong!" cavo. «Gamba nuova?» «Sì! La vuoi vedere?» Si tolse i pantaloni, rivelando un'elegante protesi che sembrava progettata da un designer italiano: tutta curve, metallo lucido e giunti ammortizzati.
Un capolavoro. La regina delle gambe. «Wow!» «Me l'ha fatta tuo zio Mycroft. Ti piace?» «Eccome. Hai tenuto quella vecchia?» «È in giardino. Ci ho piantato dentro un ibisco». «Di che colore?» «Blu». «Blu chiaro o blu scuro?» «Chiaro». «Hai cambiato qualcosa in questa stanza?» «Sì. Mi sono procurato uno di quei raccoglitori con campioni di carte da parati, ma non riuscivo a sceglierne una, e così ho preso i campioni e li ho usati tutti. Un effetto interessante, non trovi?» «Non sono sicura che le decorazioni floreali stile Reggenza vadano d'accordo con Bonzo Cangrande, il magnifico segugio». «Forse» ammise «ma era molto economico». Ero nervosa da matti, e anche lui. Parlavamo di tutto tranne di quello di cui avremmo veramente voluto parlare. «Shh!» «Che c'è?» «Era Friday?» «Non ho sentito niente». «L'udito di una madre è perfettamente sintonizzato. Intercetto un gemito di mezzo secondo a dieci scaffali di supermercato di distanza». Mi alzai e andai a vedere, ma dormiva sodo, naturalmente. La finestra era aperta e una brezza fresca muoveva appena le tende di garza, proiettandogli le ombre dei lampioni sul viso. Quanto gli volevo bene, e quanto era piccolo e vulnerabile. Mi rilassai e ripresi il controllo di me. A parte una stupida scappatella in preda all'alcol, che per fortuna non era andata a parare da nessuna parte, negli ultimi due anni e mezzo i miei coinvolgimenti emotivi con un uomo erano stati esattamente pari a zero. Erano secoli che aspettavo questo momento. E ora mi comportavo come una sedicenne innamorata per la prima volta. Feci un bel respiro e mi avviai verso la nostra camera da letto, togliendomi la maglietta, i pantaloni, la scarpa rimanen te e i calzini mentre camminavo, zoppicavo e saltellavo lungo il corridoio. Mi fermai appena fuori dalla camera. C'era silenzio e la luce era spenta. Questo facilitava le cose. Entrai nuda in camera da letto, passai silenz iosamente sul tappeto, mi infilai nel letto e mi accoccolai contro Landen. Indossava un pigiama e aveva un odore diverso. Si accese la luce e l'uomo accanto a me lanciò un grido spaventato. Non era Landen bensì il padre di Landen, e accanto a lui c'era sua moglie Houson. Mi guardarono, ricambiai lo sguardo, balbettai: «Scusate, ho sbagliato camera» e corsi fuori dalla stanza, afferrando i miei vestiti dal mucchio fuori dalla porta. Ma non ero nella camera sbagliata, e l'assenza della fede confermò quello che temevo. Landen mi era stato restituito, solo per essermi tolto di nuovo. Qualcosa era andato male. Il desradicamento non aveva retto. «Ci conosciamo?» chiese Houson, che era uscita dalla camera e mi stava fissando mentre recuperavo Friday dalla cameretta per gli ospiti, in cui era accoccolato accanto alla zia di Landen, Ethel. «No» risposi «sono entrata nella casa sbagliata. Succede spesso». Lasciai le scarpe e corsi di sotto reggendo Friday con un braccio, presi la giacca appesa a una sedia diversa in un soggiorno arredato diversamente e corsi nella notte, con le lacrime che mi inondavano il viso. 26 Colazione con Mycroft
AMICO PIUMATO TROVATO INCATRAMATO Il misterioso maniaco che a Swindon soffoca nel catrame gli uccelli marini ha colpito di nuovo. Questa volta la vittima è una procellaria trovata in una traversa di Commercial Road. L'uccello senza nome è stato rinvenuto ieri, coperto da uno spesso rivestimento colloso che gli esperti della scientifica hanno confermato trattarsi di petrolio greggio. È la settima aggressione di questo genere in meno di una settimana e la polizia di Swindon sta cominciando a farci caso. "È la settima aggressione in meno di una settimana" ha dichiarato stamattina un poliziotto di Swindon "e stiamo cominciando a farci caso". L'ineffabile incatramatore di uccelli non è ancora stato individuato, ma un esperto dell'Ente protezione uccelli ha fatto sapere ieri alla polizia che il sospetto potrebbe avere un dislocamento di duecentottantamila tonnellate, essere coperto di ruggine ed essere incagliato in uno scoglio nelle vicinanze. Nonostante le ricerche della polizia nella zona, non è ancora stato trovato un sospetto che corrisponda alla descrizione. Articolo apparso su «La sguerciata quotidiana», 18 luglio 1988 La mattina dopo ero seduta al tavolo della cucina a fissarmi l'anulare e l'assenza completa di una vera. Entrò la mamma con una vestaglia e i bigodini in testa, diede da mangiare a DH82, liberò Alan dal ripostiglio in cui eravamo costretti a rinchiuderlo e sospinse fuori casa il piccolo delinquent e con uno spazzolone. Lui emise un "plink" arrabbiato e aggredì lo zerbino. «Che c'è che non va, tesoro?» «È Landen». «Chi?» «Mio marito. Ieri sera era stato riattualizzato, ma solo per due ore». «Povera cara! Dev'essere stato molto imbarazzante». «Imbarazzante? Estremamente. Sono entrata nuda nel letto di Mr e Mrs Parke-Laine». Mia madre si fece grigia in volto e lasciò cadere un piattino. «Ti hanno riconosciuta?» «Penso di no». «Sia ringraziata la DGS!» esclamò ansimando, molto sollevata. Temeva
le figuracce più di ogni altra cosa al mondo, e avere una figlia che si infilava nel letto dei mecenati della Lega pro-toast di Swindon era probabilmente il peggior passo falso che potesse immaginare. «Buongiorno, tesoro» disse Mycroft, entrando stancamente in cucina e sedendosi al tavolo della colazione. Era il mio brillantissimo zio inventore, ed evidentemente era appena tornato dal Convegno annuale degli scienziati pazzi del 1988, noto come MadCon '88. «Zio» dissi, probabilmente con minor entusiasmo di quanto avrei dovuto mostrare, «mi fa piacere rivederti!» «Anche a me, mia cara» ricambiò gentilmente. «Sei tornata per sempre?» «Non saprei» risposi, pensando a Landen. «Zia Polly sta bene?» «Che meglio non si potrebbe. Siamo stati al MadCon: mi hanno assegnato un premio alla carriera per qualcosa, ma potessi morire se ho capito per che cosa». Era un'affermazione tipica di Mycroft. Nonostante la sua indiscutibile genialità, non riteneva mai di fare qualcosa di intelligente o utile: gli piaceva solo giocare con le sue idee. Fu grazie a una sua invenzione, il Portale della Prosa, che avevo avuto la possibilità di entrare nei libri. Si era stabilito all'interno del corpus testuale di Sherlock Holmes per sfuggire alla Goliath, ma poi ci era rimasto chiuso dentro finché non lo liberai, circa un anno prima. «La Goliath ti ha più dato fastidio?» chiesi. «Dopo che sei tornato, intendo». «Ci hanno provato» rispose a bassa voce «ma senza risultato». «Non hai voluto dire niente?» «No, meglio. Non ho potuto. Vedi, non mi ricordo neanche una virgola di nessuna delle invenzioni di cui volevano che parlassi». «Come è possibile?» «Dunque» spiegò Mycroft sorseggiando il tè «non ne posso essere certo, ma stando alla logica devo aver inventato un apparecchio per cancellare la memoria o qualcosa di simile e devo averlo usato selettivamente su me e Polly: lo chiamiamo il Grande Vuoto. È l'unica spiegazione possibile». «Quindi non ricordi come funziona di preciso il Portale della Prosa?» «Il che?» «Il Portale della Prosa. Un apparecchio per entrare nella narrativa». «Mi hanno fatto domande su qualcosa del genere, ora che mi ci fai pensare. Sarebbe molto interessante provare a svilupparlo da capo, ma Polly dice che è meglio lasciar perdere. Il mio laboratorio è pieno di congegni di cui ignoro completamente lo scopo. Un ovinatore, per esempio: chiaramente ha a che fare con le uova, ma che cosa fa?» «Non so». «Be', probabilmente è meglio così. Ormai lavoro solo a fini pacifici. L'intelletto non serve a nulla se non viene usato per migliorare tutti noi». «Su questo sono d'accordo con te. Che cosa hai presentato al MadCon '88?» «Matematica teorica nextiana, soprattutto» rispose Mycroft, appassionandosi all'argomento a cui teneva di più, il suo lavoro. «Ti ho detto tutto della Geometria nextiana, vero?» Annuii. «Bene, la Teoria dei numeri nextiana le è strettamente imparentata, e nella sua forma più semplice permette di andare all'indietro per scoprire i fattori originari da cui si è ottenuto un certo prodotto». «Eh?» «Dunque, diciamo che hai i numeri 12 e 16. Li moltiplichi e ottieni 192. Ora, nella matematica convenzionale se ti dessero il numero 192 non sapresti come è stato ottenuto. Avrebbero potuto ricavarlo anche moltiplicando 3 per 64 o 6 per 32, o persino sottraendo 2 da 194. Ma non lo sapresti partendo solo dal numero, no?» «Credo di no». «Credi male» disse Mycroft, sorridendo. «La Teoria dei numeri nextiana funziona in modo inverso rispetto alla matematica ordinaria: permette di
scoprire la domanda precisa a partire da una certa risposta». «E quali sono le applicazioni pratiche?» «Centinaia». Tirò fuori dalla tasca un pezzo di carta e me lo passò. Lo aprii e vidi che c'era solo un numero: 2216091-1 cioè due elevato alla duecentosedicimilanovantunesima potenza, meno 1. «Sembra un numero grande». «È un numero medio» mi corresse. «E allora...?» «Be', se ti dessi un racconto di diecimila parole, ti chiedessi di dare un valore a ogni lettera e a ogni segno di punteggiatura e poi di scriverli, otterr esti un numero di sessantacinquemila cifre o giù di lì. A questo punto ti serve solo un modo più semplice per esprimerlo. Usando una branca della Matematica nextiana che chiamo FactorZip possiamo ridurre qualunque numero usando una notazione compatta». Guardai di nuovo il numero che avevo in mano. «Quindi questo è...?» «Una versione FactorZippata di Sleepy Hollow. Sto lavorando a un modo per ridurre qualsiasi libro mai scritto a un numero con meno di cinquanta cifre. Dà da pensare, eh? Invece di comprare il giornale ogni giorno, basterebbe segnarsi il numero del giorno e inserirlo nel Calcolatore nexpandente per leggerlo». «Ingegnoso!» mormorai. «Siamo ancora ai primordi, ma spero di essere in grado, un domani, di prevedere una causa guardando solo l'evento. Dopodiché, ricostruire domande ignote dalle risposte note». «Per esempio?» «Be', la risposta: 'Buon dio, no, tutto il contrario!' Ho sempre voluto sapere qual era la domanda». «Già» feci, cercando ancora di immaginare come si potesse capire, considerando il numero 9, se era stato ottenuto come 3 al quadrato o come radice quadrata di 81. «Già, vero?» disse sorridendo, ringraziando mia madre per le uova con il bacon che gli aveva appena messo davanti. La partenza di Lady Hamilton alle otto e trenta rattristò solo Amleto. Assunse uno stato d'animo cupo e si lanciò in un lungo soliloquio su come il suo cuore dolesse fin quasi a spezzarsi e su quanto fossero crudeli le carte servitegli dal fato. Disse che Emma era il suo unico vero amore e che la sua partenza rendeva la sua vita completamente desolata; una vita che non aveva significato e che sarebbe stato meglio concludere... e così via finché Emma fu costretta a interromperlo e ringraziarlo, ma doveva veramente andarsene o sarebbe arrivata in ritardo a qualcosa di non meglio specificato. Così lui le lanciò contumelie per cinque minuti, la accusò di essere una sgualdrina e se ne andò, bofonchiando chissà cosa sui camaleonti. Una volta che se ne fu andato, ci potemmo scambiare i saluti. «Addio, Thursday» disse Emma tenendomi la mano «sei sempre stata molto gentile con me. Spero che riuscirai a riavere tuo marito. Mi permetteresti una piccola osservazione che potrebbe esserti utile?» «Certamente». «Non permettere a Smudger di monopolizzare gli archetti avanzati. Lavora meglio in difesa, soprattutto se viene appoggiato da Biffo. E attacca, se vuoi vincere». «Grazie» risposi lentamente «sei molto gentile». La abbracciai e la abbracciò anche mia madre, un po' imbarazzata perché non si era mai del tutto liberata dal sospetto che Emma se la intendesse con mio padre. Poi, un attimo dopo, Emma sparì: evidentemente è quello che si vede quando mio padre arriva e ferma l'orologio per qualcun altro. «Bene» fece mia madre pulendosi le mani sul grembiule «se n'è andata. Sono contenta che abbia riavuto suo marito».
«Sì» annuii con un po' di diffidenza, e uscii a cercare Amleto. Era fuori, seduto sulla panchina vicino alle rose, immerso nei pensieri. «Tutto bene?» domandai sedendomi accanto a lui. «Sii sincera, Miss Next. Sono una persona indecisa?» «Be'... non proprio». «Ti ho chiesto di essere sincera!» «Forse... un pochino». Amleto gemette e si nascose la faccia tra le mani. «Oh, che furfante e bifolco son io! Schiavo di questo dramma con contraddizioni così innumerevoli che gli studiosi scrivono volumi su volumi cercando di interpretarmi. Un momento amo Ofelia, quello dopo la tratto con crudeltà. Sono di volta in volta un adolescente petulante e un uomo maturo, un solitario malinconico e un brillantone che insegna agli attori il loro mestiere. Non riesco a decidere se sono un filosofo o un teenager imbroncia to, un poeta o un assassino, un procrastinatore o un uomo d'azione. Forse sono veramente matto, oppure un sano di mente che finge di essere matto, o addirittura un matto che si finge savio. A quel che risulta, mio padre era un mostro guerrafondaio: l'assassinio perpetrato da Claudio era poi così grave? Ho visto davvero lo spettro di mio padre, o era Fortebraccio travestito che cercava di seminare zizzania in Danimarca? Quanto tempo ho trascorso in Inghilterra? Quanti anni ho? Ho visto sedici diverse trasposizio ni cinematografiche di Amleto, due messinscene, ho letto tre fumetti e ne ho ascoltato un adattamento radiofonico. Tutto, da Olivier a Gibson, da Barrymore a William Shatner nell'episodio La magnificenza del re». «E?» «Ognuno è diverso da tutti gli altri». Cercò attorno a sé, pacatamente disperato, il suo teschio, lo trovò e lo fissò con fare meditabondo per qualche istante, prima di proseguire: «Ti rendi conto della pressione a cui sono sottoposto in qualità di massimo enigma drammatico del mondo?» «Dev'essere insostenibile». «Infatti. Mi sentirei peggio se qualcun altro mi avesse decifrato, ma non ci sono riusciti. Lo sai quanti libri ci sono su di me?» «Centinaia?» «Migliaia. E le calunnie che scrivono! La questione edipica è di gran lunga la più offensiva. Il bacio della buonanotte con la mamma è diventato sempre più lungo. Quel tal Freud, se lo incontro, gli faccio un occhio pesto. La mia tragedia è un pasticcio completo e assoluto: quattro atti di chiacchiere e uno di azione. Perché c'è chi si prende la briga di vederla?» Incurvò le spalle e sembrò che singhiozzasse in silenzio. Gli posai una mano sulla spalla. «È per assistere alla tua complessità e alla tua introspezione filosofica che paghiamo: tu sei il modello di ogni figura tragica, ti interroghi su ogni cosa, metti a nudo le vergogne e i tradimenti della vita. Se volessimo solo azione, ci limiteremmo a guardare i film di Chuck Norris. È il viaggio che intraprendi per affrontare i tuoi demoni che fa del dramma il tour de force di procrastinazione che è». «Tutte le quattro ore e mezzo?» «Sì» dissi, attenta a non ferirlo, «tutte le quattro ore e mezzo». Scosse la testa con tristezza. «Vorrei essere d'accordo con te, ma mi servono ulteriori risposte, Orazio». «Thursday». «Sì, anche lei. Ulteriori risposte e nuove sfaccettature nel mio personaggio. Meno chiacchiere, più azione. Perciò ho assunto un... consulente per la soluzione dei conflitti». Non prometteva niente di buono. «Soluzione dei conflitti? Sicuro che sia una cosa sensata?» «Mi può aiutare a risolvere i problemi con mio zio... e con quel babbeo
di Laerte». Ci pensai su per un momento. Un Amleto tutto azione non era una grande idea, ma dato che non aveva un dramma in cui tornare, almeno avrei avuto qualche giorno in più. Decisi di non intervenire, per ora. «Quando vai a parlarci?» Alzò le spalle. «Domani. O forse dopodomani. I consulenti per la soluzione dei conflitti sono molto richiesti, sai». Trassi un sospiro di sollievo. Fedele a sé stesso, Amleto era ancora titubante. Ma si era rasserenato per essere arrivato a una specie di decisione e continuò in tono più allegro: «Basta parlare di me. Come ti vanno le cose?» Gli feci un breve riassunto, cominciando con il risradicamento di Landen e finendo con la necessità di trovare cinque buoni giocatori per aiutare la squadra di Swindon a vincere il Superhoop. «Hmm» rispose appena ebbi finito «ho un piano per te. Lo vuoi sentire?» «Purché non riguardi dove deve giocare Biffo». Scosse la testa, si guardò attorno con cautela e poi abbassò la voce. «Fingiti pazza e parla molto. Poi - e questa è la parte importante - non fare proprio nulla a meno che tu non sia assolutamente costretta. A quel punto fa' in modo che muoiano tutti». «Grazie» dissi dopo un po' «lo terrò presente». «Plink!» fece Alan, che stava zampettando scontrosamente per il giardino. «Penso che quell'uccello stia cercando rogne» osservò Amleto. Alan, a cui chiaramente non piaceva l'atteggiamento di Amleto, decise di attaccarlo e si lanciò in un affondo sulla sua scarpa. Non fu una mossa saggia. Il principe di Danimarca balzò in piedi, sguainò la spada e prima che potessi fermarlo portò un violento fendente in direzione di Alan. Era un abile spadaccino e non fece altro danno che staccargli le piume in cima al cocuzzolo. Il piccolo dodo, che ora aveva la testa pelata, spalancò gli occhi e guardò con un misto di orrore e timore reverenziale le piccole piume che gli fluttuavano attorno. «Fammene un'altra, mio buon amico piumato» annunciò Amleto rinfoderando la spada «e ti cucino con il curry!» Pickwick, che era rimasta ad assistere da un angolo al sicuro vicino al mucchio dei rifiuti organici, si fece avanti con decisione e si piazzò con aria di sfida tra Alan e Amleto. Non l'avevo mai vista comportarsi con coraggio, ma evidentemente Alan era suo figlio, anche se era un teppista. Alan, atterrito o esasperato, rimase completamente immobile, a becco spalancato. «Telefono per te» gridò mia madre. Entrai in casa e presi la cornetta. Era Aubrey Jambe. Mi chiese di convincere Alf Widdershaine a rientrare in attività, e voleva anche sapere se avevo trovato qualche nuovo giocatore. «Ci sto lavorando» risposi, sfogliando le Pagine Gialle alla voce "Agenti sportivi". «Ti richiamo. Non disperare, Aubrey». Sbuffò e riattaccò. Chiamai Wilson Lonsdale & soci, i più importanti agenti sportivi d'Inghilterra, e fui lieta di apprendere che c'era un gran numer o di giocatori di croquet di livello mondiale disponibili; purtroppo l'interessame nto svanì appena menzionai che squadra rappresentavo. «Swindon?» chiese uno dei soci. «Ripensandoci, non abbiamo neanche un giocatore nei nostri elenchi». «Mi sembrava che avesse detto di sì». «Dev'essere stato un errore. Buona giornata». Riattaccò. Ne chiamai vari altri e ottenni da tutti reazioni simili. A quanto pareva, la Goliath e Kaine stavano giocando a tutto campo. Poi telefonai al mio vecchio allenatore, Alf Widdershaine, e dopo una lunga chiacchierata riuscii a convincerlo a venire allo stadio e a fare quello che poteva. Richiamai Jambe per dargli la buona notizia su Alf, anche se ritenni prudente sorvolare temporaneamente sulla mancanza di nuovi giocatori.
Pensai per un momento al problema dell'esistenza di Landen e trovai il numero di Julie Aseizer, la donna degli Sradicati anonimi che aveva riavuto suo marito. La chiamai e le spiegai la situazione. «Oh, sì!» disse incoraggiante. «Il mio Ralph andava e veniva come una lampadina difettosa finché il desradicamento ha tenuto!» La ringraziai e riattaccai, e poi controllai se avevo l'anello al dito. Ancora niente. Buttai uno sguardo in giardino e vidi Amleto che passeggiava per il prato immerso nei suoi pensieri, con Alan che lo seguiva a distanza di sicurezza. A un certo punto Amleto si girò verso di lui e gli lanciò un'occhiataccia. Il piccolo dodo si fece tutto umile e posò la testa a terra con fare supplichevole. Evidentemente Amleto non era solo un principe di Danimarca letterario, ma anche una specie di dodo alfa. Sorrisi tra me e andai in soggiorno, dove Friday stava erigendo un castello con le costruzioni e Pickwick lo aiutava. Naturalmente in questo contesto "aiutare" significa "osservare". Guardai l'orologio. Ora di andare al lavoro. Proprio quando mi avrebbe fatto bene un po' di rilassante costruzioniterapia. La mamma accettò di badare a Friday, e io lo salutai con un bacio. «Fa' il bravo». «Culo». «Che cosa hai detto?» «Pilone». «Se sono parolacce in Old English, san Zvlkx non sa che cosa lo aspetta, e anche tu, giovanotto. Mamma, sicura che te la senti?» «Certamente. Lo portiamo allo zoo». «Bene. No, aspetta... 'portiamo'?» «Bismarck e io». «Mamma!?» «Che c'è? Una donna più o meno vedova non può godersi di tanto in tanto un po' di compagnia maschile?» «Be'» farfugliai, sentendomi stranamente a disagio, «non vedo perché no». «Bene. Va' pure. Dopo lo zoo potremmo fare un salto alla sala da tè. E poi a teatro». Aveva cominciato a sciogliersi in fantasticherie, e così me ne andai, scandalizzata non solo dal fatto che mia madre potesse anche solo prendere in considerazione una scappatella con Bismarck, ma soprattutto che Joffy potesse aver ragione. 27 Fenomeni raccapriccianti sulla M4 George Formby nacque a Wigan nel 1904; il suo vero nome è George Hoy Booth. Seguì suo padre nel mondo del music hall, adottò l'ukulele come tratto distintivo e quando scoppiò la guerra era una stella del varietà, della pantomima e del cinema. Durante i primi anni di guerra fu spesso in tournée con sua moglie Bervi per intrattenere le truppe e per girare una serie di film di grande successo. Quando l'invasione dell'Inghilterra si fece inevitabile, molti personaggi influenti e celebrità furono spediti in Canada. Lavorando in clandestinità con la resistenza inglese e con vari valorosi reggimenti dei Locai Defence Volunteers, Formby gestì Radio san Giorgio, che era stata proibita, e trasmise canzoni, scenette e messaggi segreti rivolti ad ascoltatori in tutto il Paese. I Formby usarono i loro numerosi contatti al Nord per far fuggire nel Galles neutrale aviatori alleati e per formare nuclei di resistenza che diedero del filo da torcere agli invasori nazisti. Nell'Inghilterra repubblicana
del dopoguerra fu nominato presidente non esecutivo a vita. JOHN WILLIAMS La straordinaria carriera di George Formby Evitai i capannelli di giornalisti in agguato davanti all'edificio delle OPS e parcheggiai sul retro. Entrando nell'atrio trovai il maggiore Drabb che mi aspettava. Mi salutò impettito ma questa mattina notai in lui una lieve reticenza. Gli porsi un altro pezzo di carta. «Buongiorno, maggiore. La missione di oggi è il Museo del romanzo americano a Salisbury». «Molto... bene, agente Next». «Qualcosa che non va, maggiore?» «Be'» disse, mordendosi nervosamente il labbro, «ieri mi ha mandato a perquisire la biblioteca di un famoso belga e oggi il Museo del romanzo americano. Non dovremmo perquisire... be', strutture danesi?» Lo trassi in disparte e abbassai la voce. «È esattamente quello che si aspettano da noi. Questi danesi sono furbi. Non crederà che nascondano i loro libri in un luogo ovvio come la Biblioteca danese del Wessex, no?» Sorrise e si toccò il naso con il dito. «Molto astuto, agente Next». Drabb salutò di nuovo, batté i tacchi e se ne andò. Sorrisi tra me e chiamai l'ascensore. Se Drabb non faceva rapporto a Flanker, potevo andare avanti così tutta la settimana. Bowden non era solo. Stava parlando con l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere in un ufficio dei DLett: Spike. «Ciao, Thursday» mi salutò. «Ciao, Spike». Non sorrideva. Temevo che ci fosse di mezzo Cindy, ma sbagliavo. «I nostri amici di OPS-6 dicono che c'è un fenomeno raccapricciante in atto sulla M4» spiegò «e quando qualcuno dice 'fenomeno raccapricciante' chiamano...» «...te». «Centro. Ma lo specialista di fenomeni raccapriccianti questa volta non ce la fa da solo, e così chiama...» «...me». «Centro». Con loro c'era un altro agente. Indossava l'abito scuro tipico dei reparti superiori delle OPS e guardava platealmente l'orologio. «Il tempo è cruciale, agente Stoker». «Di che si tratta?» chiesi. «Già» replicò Spike. Ci voleva un po' ad abituarsi al suo atteggiamento rilassato nei confronti delle situazioni di vita o di morte. «Di che si tratta?» L'agente in giacca e cravatta ci guardò impassibile. «Top secret» annunciò «ma sono autorizzato a dirvi questo: se non riusciamo a recuperare ?????? in meno di ???? ore, ?????? prenderà il ?????? completo e potrete ????? addio a qualsiasi parvenza di ??????». «????? c'è poco da scherzare» disse Spike girandosi verso di me. «Ci sei?» «Ci sono». Arrivammo senza spiegazioni alla rotatoria dell'uscita 16 della M4. OPS-6 era la Sicurezza nazionale, il che dava luogo ad alcuni interessanti conflitti di interesse. Il reparto che proteggeva Formby proteggeva anche Kaine. E la maggior parte degli agenti di OPS-6 che proteggevano Formby agivano contro gli agenti di OPS-6 a favore di Kaine, che avrebbero preferito
veder scomparire. Ci sono sempre state lotte tra le varie fazioni delle OPS, ma raramente all'interno dello stesso reparto. Kaine aveva molto di cui rendere conto. In ogni caso, a me non piacevano e neanche a Spike, e qualunque cosa volessero doveva essere estrema. Nessuno chiama Spike se non dopo aver preso in considerazione tutte le altre strade. Lui è l'ultimo baluardo prima che la razionalità cominci a sgretolarsi. Ci fermammo sul ciglio della strada, dove ci aspettavano due grandi limousine Bentley nere. Accanto a esse erano parcheggiate sei auto della polizia, i cui occupanti sembravano annoiati e in attesa di ordini. Stava succedendo qualcosa di grosso. «Chi è la donna?» chiese un agente alto dall'aria decisamente antipatica, quando scendemmo dall'automobile. «Thursday Next» risposi «OPS-27». «Detective Letterari?» sogghignò. «L'ho chiamata io» disse Spike. «Se non posso avere chi dico io ve la potete vedere voi con il vostro fenomeno raccapricciante». L'agente di OPS-6 ci scrutò uno dopo l'altro. «Distintivo». Glielo mostrai. Lo prese, lo guardò un momento e me lo restituì. «Mi chiamo colonnello Parks» disse l'agente. «Responsabile della sicurezza del presidente. Lui è Dowding, il secondo in comando». Spike e io ci scambiammo un'occhiata. Il presidente. Non c'era davvero da scherzare. Dowding, un tipo laconico vestito di scuro, fece un cenno di saluto mentre Parks proseguiva: «Prima di tutto devo sottolineare a entrambi che siamo di fronte a un problema di rilievo nazionale e stiamo chiedendo la vostra assistenza solo perché siamo disperati. Ci troviamo in una condizione di deficit di capo dello stato in virtù di un accadimento situazionale ad alto potenziale di altromondità, e speriamo che voi siate in grado di effettuarne una reversione». «Falla breve» disse Spike «che succede?» Parks si mostrò abbattuto e si tolse gli occhiali scuri. «Abbiamo perso il presidente». Mi sentii mancare. Questa sì che era una brutta notizia. Una notizia veramente brutta. A quel che ne sapevo, il presidente non sarebbe dovuto morire fino al lunedì seguente, dopo che Kaine e la Goliath fossero stati neutralizzati. Una scomparsa o una morte prematura avrebbe permesso a Kaine di prendere il potere e innescare la Terza guerra mondiale una settimana prima del previsto, e questo non rientrava di certo nei piani. Spike ci pensò su un momento e poi disse: «Cacchio». «Proprio». «Dove?» Parks tese il braccio verso il traffico che sfrecciava fitto sull'autostrada. «Da quelle parti». «Quando?» «Dodici ore fa. Il cancelliere Kaine lo è venuto a sapere e sta facendo pressioni perché il parlamento voti la sua nomina a dittatore, stasera alle sei. Abbiamo meno di otto ore». Spike annuì pensieroso. «Mostratemi il luogo preciso in cui l'avete visto per l'ultima volta». Parks schioccò le dita e una Bentley nera si accostò. Salimmo e la limousine si immise sulla M4 in direzione ovest; le auto della polizia si allargarono dietro di noi formando un blocco stradale mobile. Nel giro di pochi chilometri la nostra corsia dell'autostrada trafficata era deserta e silen ziosa. Mentre procedevamo Parks ci spiegò che cosa era successo. Il presidente Formby stava andando da Londra a Bath lungo la M4, e a un certo punto, tra le uscite 16 e 17 - dove ci trovavamo adesso - era sparito. La Bentley rallentò e si fermò sulla strada sgombra.
«L'automobile del presidente era al centro di un corteo di tre veicoli» spiegò Parks quando fummo scesi. «L'ultima era l'automobile di Saundby, io ero davanti con Dowding, e Mallory guidava quella del presidente. In questo preciso punto mi sono girato e ho notato che Mallory aveva messo la freccia. Li ho visti superare il bordo della strada e abbiamo immediatamente accostato». Spike annusò l'aria. «E poi che cos'è successo?» «Non abbiamo più visto l'automobile. Pensavamo che fosse finita nel fosso, ma una volta arrivati lì... niente. Neppure un cespuglio fuori posto. L'automobile era semplicemente sparita». Ci portammo sul ciglio e guardammo in basso. L'autostrada era rialzata su un terrapieno rispetto alla campagna circostante; c'era una china ripida coperta di vegetazione incolta che scendeva per circa cinque metri, fino a un recinto. Al di là c'erano un campo, un ponte di cemento sopra un canale di scolo e più oltre, a circa un chilometro, una fila di case bianche. «Niente sparisce e basta» affermò alla fine Spike. «C'è sempre una spiegazione. Solitamente è semplice, qualche volta è strana: ma c'è sempre una spiegazione. Dowding, lei che ci può raccontare?» «Grosso modo lo stesso. L'automobile ha cominciato ad accostarsi al bordo, dopodiché è semplicemente, be', sparita». «Sparita?» «In effetti direi più dissolta» disse Dowding, confuso. Spike si massaggiò il mento pensierosamente e si chinò a raccogliere una manciata di detriti al lato della strada. Frammenti di vetro, piccole schegge di metallo e filamenti dall'interno di uno pneumatico. Rabbrividì. «Che c'è?» chiese Parks. «Credo che il presidente Formby sia andato... di là». «Ma allora dov'è il corpo? E se è per questo, dov'è l'automobile?» «Ci sono tre tipi di morti» spiegò Spike enumerandoli sulle dita. «Morti, nonmorti e semimorti. I morti sono quelli che tecnicamente chiamiamo 'deprivati spiritualmente': la forza vitale è estinta. Sono i fortunati. I nonmort i sono gli 'handicappati spiritualmente' con cui, a quel che sembra, ho più spesso a che fare. Vampiri, zombie, babau e compagnia bella». «E i semimorti?» «'Ambigui spiritualmente'. Quelli che passano da uno stato a un altro o sono in un limbo spirituale: quelli che lei e io generalmente chiamiamo spettri». Parks rise forte e Spike inarcò un sopracciglio, l'unico segno di indignazione che gli abbia mai visto mostrare. «Non l'ho fatta venire qui per ascoltare frescacce sul Fantasma formaggino, agente Stoker». «Non sempre si riesce a spalmarlo sul panino» ribatté Spike. «Non immagina cosa possono fare i fantasmi se non li si spalma abbastanza in fretta». «Dica quello che vuole. Per come la vedo io, c'è un solo tipo di morto ed è il 'non vivente'. Insomma, è in grado di dare un contributo sensato a questa indagine o no?» Spike non rispose. Fissò serio Parks per un attimo e poi scese il pendio verso un albero avvizzito. I suoi rami privi di foglie avevano un aspetto incong ruo in mezzo al verde dell'estate, e i sacchetti di plastica impigliati tra i suoi rami si muovevano pigramente nella brezza. Parks e io ci guardammo un momento, dopodiché lo raggiungemmo. Trovammo Spike intento a esaminare con molto interesse l'erba corta. «Se ha una teoria farebbe bene a esporla» disse Parks, appoggiandosi all'albero. «Cominciano ad annoiarmi i suoi deliri New Age». «Tutti noi visitiamo il regno dei semimorti, prima o poi» proseguì Spike, frugando il terreno con le dita come uno scimpanzé che spulcia un compagno, «ma per la maggior parte di noi si tratta solo di un millisecondo in cui
passiamo da un regno a un altro. Un battito di palpebre e ci è sfuggito. Ma ci sono altri. Altri che indugiano per anni nel mondo dei semimorti. Gli ambigui spiritualmente che non sanno di essere morti o che, come nel caso del presidente, ci si ritrovano accidentalmente». «E...?» chiese Parks, che sembrava provare meno simpatia per Spike ogni secondo che passava. Spike continuava a rovistare tra la terra, e così l'agente di OPS-6, rassegnato, fece spallucce e cominciò a risalire il pendio. «Non si è fermato ai gabinetti della stazione di servizio di Membury né a Chieveley, vero?» annunciò Spike ad alta voce. «Forse non ci è andato neppure a Reading». Parks si fermò e il suo atteggiamento cambiò di colpo. Slittò maldestramente giù per il pendio e tornò vicino a noi. «Come fa a saperlo?» Spike guardò verso i campi sgombri. «Qui c'è una stazione di servizio». «Avrebbe dovuto essercene una» lo corressi «ma dopo che è stata costruita quella di Kington St... voglio dire Leigh Delamare, hanno pensato che non fosse più necessaria». «È qui lo stesso» ribatté Spike «anche se è occultata alla nostra vista. Ecco che cosa è successo: il presidente deve andare al bagno e dice a Mallory di fermarsi alla prossima stazione di servizio. Mallory è stanco e la sua mente è aperta a quelle cose che solitamente ci sono nascoste. Vede quella che pensa sia la stazione di servizio e accosta. Per una frazione di secondo i due mondi si toccano - la Bentley del presidente passa dall'uno all'altro - e poi si separano di nuovo. Temo, signore e signori, che il presiden te Formby abbia accidentalmente attraversato un portale verso l'aldilà: un vivo alla deriva nella dimora dei morti». Calò un silenzio di tomba. «Questa è la storia più delirante e idiota che mi abbiano mai costretto ad ascoltare» affermò Parks, che non voleva perdere il contatto con la realtà neppure per un secondo. «Se stessi a sentire un branco di pazzi per un mese intero non sentirei un'idea più assurda». «Vi sono più cose tra cielo e terra, Parks, di quante ne contenga la tua filosofia». Ci fu un momento di silenzio, mentre l'agente di OPS-6 vagliava i fatti. «Pensa di poterlo riportare indietro?» «Temo di no. Gli spiriti dei semimorti si affolleranno attorno a lui come falene attorno a una luce, cercando di nutrirsi della sua forza vitale e di esse re loro a tornare nel mondo dei vivi. Un viaggio simile sarebbe quasi certamente un suicidio». Parks sospirò con forza. «Bene. Quanto?» «Dieci testoni. Un lavoretto nel regno dei morti ha un costo extra». «A testa?» «Già che ci siamo, perché no?» «D'accordo, allora» disse Parks con un lieve sogghigno «avrete i vostri maledetti soldi... ma solo a risultato ottenuto». «E quando, se no?» Spike mi fece cenno di seguirlo e scavalcammo di nuovo il recinto. Gli agenti di OPS-6 ci fissavano, incerti se essere colpiti, farci interdire o che altro. «Si sono davvero spaventati!» sibilò Spike mentre ci arrampicavamo su per il terrapieno, tra frammenti di paraurti e schegge di sagome di plastica. «Non c'è niente che metta la tremarella come un po' di storie paurose sul passaggio nel mondo degli spiriti». «Vuoi dire che ti sei inventato tutto?» chiesi, non senza una certa dose di nervosismo nella voce. Avevo assecondato Spike in due occasioni. La prima volta fui lì lì per essere azzannata da un vampiro, la seconda fui quasi mangiata dagli zombie.
«Me lo auguro» rispose «ma se lo facciamo sembrare troppo facile non sputano i verdoni. Sarà una passeggiata! Dopotutto, che cosa abbiamo da perdere?» «La vita?» «Buuuuuuh! Ti devi sciogliere un po', Thursday. Considerala un'esperienza, un dettaglio del ricco affresco della vita. Sei pronta?» «No». «Bene. Andiamo a colpire quei semimorti dove fa più male!» Dopo aver fatto cinque volte il giro tra le uscite 16 e 17 senza aver neppure intravisto nient'altro che automobilisti annoiati e una o due mucche, cominciai a domandarmi se Spike sapeva veramente quello che stava facendo. «Spike?» «Mmm?» borbottò mentre si concentrava sul campo vuoto che secondo lui conteneva il portale per il regno dei morti. «Che cosa stiamo cercando, di preciso?» «Non ne ho la più pallida idea, ma se il presidente può entrarci senza morire, lo possiamo fare anche noi. Sei sicura di non voler mettere Biffo in attacco sull'archetto centrale? È sprecato in difesa. Potresti promuovere Johnno ad attaccante e usare Jambe e Snake per imbastire la difesa». «Se non trovo altri cinque giocatori, non ha nessuna importanza» risposi. «Però sono riuscita a convincere Alf Widdershaine a tornare in attività per allenarli. Tu giocavi a croquet nel campionato di contea, vero?» «Non se ne parla nemmeno, Thursday». «Su, dai». «No». Ci fu un lungo silenzio. Fissavo il traffico fuori dal finestrino mentre Spike si concentrava sulla guida, e ogni tanto gettava un'occhiata speranzosa ai campi a lato della strada. Mi resi conto che sarebbe stata una lunga giornata, e quindi era un momento come un altro per tirare fuori l'argomento Cindy. Non ci tenevo ad ammazzarla e Spike, ne ero certa, non sarebbe stato proprio entusiasta di vederla morta. «Allora... quand'è che tu e Cindy avete fatto il grande passo?» «Circa un anno e mezzo fa. Sei mai stata nel regno dei morti?» «Una volta ho preso un caffè con Orfeo che me ne ha descritto la versione greca, ma per sommi capi. Cindy... hmm... lavora?» «Fa la bibliotecaria» rispose Spike «part time. Ci sono stato un paio di volte; non è neanche lontanamente spaventosa quanto si crederebbe». «La biblioteca?» «La dimora dei morti. Orfeo avrà pagato il traghetto, ma in realtà è un imbroglio. Si può fare benissimo da soli; quei gommoni gonfiabili della Argos funzionario a meraviglia». Cercai di visualizzare Spike che a forza di remi si avvicinava all'aldilà su un gommone dai colori vivaci, ma cancellai rapidamente l'immagine. «Senti... in che biblioteca lavora Cindy?» «Ad Highclose. C'è anche il nido, è molto comodo. Io vorrei un altro bambino, ma Cindy è indecisa. Come sta tuo marito, a proposito? Ancora sradicato?» «Attualmente oscilla tra T'essere' e il 'non essere'». «Quindi c'è qualche speranza?» «C'è sempre speranza». «Ben detto. Mai avuto un'esperienza di premorte?» «Sì» risposi, ricordando la volta in cui un tiratore scelto della polizia mi sparò in un futuro alternativo. «Come è stato?» «Buio». «Si direbbe un'esperienza di premorte standard» replicò allegro Spike. «Ne ho in continuazione. No, ci serve qualcosa di un po' meglio. Per passare nel reame oscuro dobbiamo arrivare a tanto così dal tristo mietitore e rimanere lì sospesi, appena al di fuori della sua portata». «E come si fa?»
«Non ne ho idea». Lasciò l'autostrada imboccando l'uscita 17 e prese lo svincolo che portava alla carreggiata opposta per fare un altro giro. «Che cosa faceva Cindy prima che vi sposaste?» «Faceva già la bibliotecaria. Viene da una lunga stirpe di esperti bibliotecari siciliani. Suo fratello fa il bibliotecario per la CIA». «La CIA?» «Sì, è sempre in giro per il mondo: cataloga i loro libri, suppongo». Evidentemente Cindy cercava di dirgli che cosa faceva davvero, ma non trovava il coraggio. La verità frontale su di lei avrebbe potuto sconvolgerlo, così pensai bene di limitarmi a insinuare qualche dubbio. Se ci fosse arrivato da solo sarebbe stato di gran lunga meno doloroso. «Si guadagna bene a fare la bibliotecaria?» «Eccome!» esclamò Spike. «Qualche volta la chiamano per un lavoro da freelance - riordinamento urgente di schede o qualcosa del genere - e la pagano in banconote usate, intere valigette. Non chiedermi come, ma lo fanno». Sospirai e lasciai perdere. Facemmo il giro ancora due volte. Parks e gli altri tizi sinistri di OPS-6 si erano stufati e se ne erano andati da un pezzo, e anch'io stavo cominciando a stancarmi. «Per quanto dobbiamo girare?» domandai quando imboccammo per la settima volta la rotatoria dell'uscita 16, mentre il cielo si rabbuiava e sul parabrezza apparivano goccioline di pioggia. Spike attivò i tergicristalli, che cigolarono in segno di protesta. «Perché? Hai qualche impegno?» «Ho promesso alla mamma che non avrebbe dovuto occuparsi di Friday dopo le cinque». «A che servono le nonne? E poi stai lavorando». «Non funziona così» risposi. «Se si secca può decidere di non tenerlo più». «Ti dovrebbe essere grata. I miei genitori sono felicissimi di tenere Betty, invece quelli di Cindy purtroppo non ci sono più. Sono stati entrambi uccisi da tiratori scelti della polizia mentre facevano i bibliotecari». «Non ti sembra un po' strano?» Alzò le spalle. «Con il lavoro che faccio, è difficile sapere che cosa è strano». «Non dirlo a me. Sicuro che non ti va di giocare nel Superhoop?» «Piuttosto devitalizzerei un dente a un lupo mannaro». Spinse a fondo l'acceleratore e fece lo slalom in mezzo al traffico delle auto in attesa di confluire nella M4 verso ovest. «Ne ho piene le tasche. Morte, ricoprici col tuo nero manto!» L'automobile di Spike schizzò in avanti e prese velocità lungo lo svincolo mentre un diluvio estivo si riversava improvvisamente sull'autostrada, così fitto che anche con i tergicristalli alla massima velocità era difficile vedere. Spike accese i fari e rientrammo in autostrada a velocità smodata, attraversando la nube di schizzi lasciata da un bisonte della strada prima di guadagnare la corsia di sorpasso. Buttai uno sguardo sul tachimetro. La lancetta rasentava i centocinquanta. «Non pensi che sarebbe meglio rallentare?» urlai, ma Spike si limitò a un ghigno maniacale e sorpassò una macchina passando all'interno. Andavamo a quasi centosessanta quando Spike indicò fuori dal finestrino e gridò: «Guarda!» Aguzzai la vista verso i campi deserti; non si scorgeva altro che una cortina di pioggia fitta che scendeva dal cielo plumbeo. All'improvviso intravidi una scheggia di luce fioca come un fuoco fatuo. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, ma agli occhi esperti di Spike era esattamente quello che stavamo cercando: uno spiraglio nel sipario oscuro che separa i vivi dai morti. «Eccoci!» gridò Spike, e sterzò bruscamente. Il ciglio della M4 ci venne
incontro in un lampo e feci giusto in tempo a vedere il terrapieno, i rami bianchi dell'albero morto e la pioggia che mulinava alla luce dei fari dopodiché le ruote piombarono nel canale di scolo e non fummo più sulla strada. D'un tratto non si sentirono più urti: eravamo a mezz'aria e mi tenni forte in attesa dell'atterraggio brusco. Non ci fu. Un attimo dopo ci ritrovammo ad avanzare lentamente in un'area di servizio in piena notte. La pioggia era cessata e il cielo nerissimo era privo di stelle. Eravamo arrivati. 28 L'area di servizio di Dauntsey L'arte resta, ma il tempo svanisce e il nostro cuore, per quanto saldo e forte come un sordo tamburo scandisce la marcia funebre verso la morte. HENRY WADSWORTH LONGFELLOW A Psalm of Life Entrammo lentamente e parcheggiammo accanto alla Bentley di Formby, vuota, con le chiavi nel cruscotto. «Forse siamo ancora in tempo. Qual è il tuo piano?» «Be', pare che una lira possa tornare utile, e c'entra anche il non voltarsi indietro». «È opzionale, a mio avviso. La mia strategia è questa: localizziamo il presidente e ci diamo. Chiunque cerchi di fermarci viene mazzolato. Che ne dici?» «Wow!» mormorai. «Hai proprio pensato a ogni più minuto dettaglio!» «Ha il pregio della semplicità». Spike guardò la gente che entrava nell'edificio dell'area di servizio. Scese dall'automobile. «Questo accesso non è solo per gli incidenti stradali» commentò, aprendo il bagagliaio ed estraendone un fucile a pompa. «Dal numero di persone direi che serve gran parte del Wessex e anche un pezzo di Oxfordshire. Anni fa non sarebbe stato necessario un posto così. Schiattavi, e andavi su o giù. Tutto qui». «E poi che cos'è cambiato?» Spike aprì una scatola di cartucce e le inserì una a una nel fucile. «L'affermazione del laicismo ci ha messo lo zampino, ma c'entrano soprattutto le tecniche di rianimazione. La morte ti afferra e vieni qui; qualcuno ti rianima e te ne vai». «Già. E allora che ci fa qui il presidente?» Spike si riempì le tasche di cartucce e infilò il fucile a canne mozze in una tasca interna dello spolverino. «Un evento fortuito. Non dovrebbe affatto essere qui, e nemmeno noi. Ce l'hai un pezzo?» Annuii. «Allora andiamo a vedere che succede. E fa' la morta: non vorremmo attirare l'attenzione?» Attraversammo lentamente il parcheggio. Ci passavano accanto carri attrezzi che portavano via le automobili vuote dei dipartiti e sparivano nella nebbia che avvolgeva la rampa d'uscita. Aprimmo le porte ed entrammo, ignorando un tale dell'Automobile club che cercava svogliatamente di convincerci a iscriverci. L'interno era ben illumi nato e arioso, sapeva vagamente di disinfettante ed era pressoché identico a tutte le altre aree di servizio in cui ero stata. A fare la differenza erano i visitatori. Conversavano a voce bassa e attutita e i loro movimenti erano languidi, come se il fardello della vita gravasse sulle loro spalle. Notai
anche che mentre molta gente entrava dall'ingresso principale, molta meno ne usciva. Superammo i telefoni, tutti fuori servizio, e ci avviammo verso la tavola calda, che odorava di tè riscaldato e pizza. La gente sedeva a gruppi, parlando sottovoce, leggendo giornali vecchi o bevendo caffè. Alcuni dei tavoli avevano un numero su un supporto, che indicava che era stato ordinato del cibo e ancora non era stato servito. «Sono tutti morti?» chiesi. «Quasi. Ricorda che questo è solo un accesso. Da' un'occhiata laggiù». Spike mi tirò da una parte e mi indicò il ponte che collegava noi - la zona sud dell'area - con l'altra parte, la zona nord. Attraverso le finestre sporche si vedeva il ponte pedonale che con un arco allungato passava sopra la strada e finiva nel nulla. «Non ne torna nessuno?» «La Terra inesplorata da cui nessun viaggiatore ha fatto ritorno» rispose Spike. «È l'ultimo viaggio che faremo». La cameriera chiamò un numero. «32?» «Eccoci!» disse una coppia vicino a noi. «Grazie, la zona nord ora è pronta a ricevervi». «Zona nord?» ripeté la donna. «Ci dev'essere un errore. Abbiamo ordinato due porzioni di pesce, patate fritte e piselli». «Potete passare per quel ponte pedonale. Grazie!» I due bofonchiarono e mormorarono un po' tra sé, poi finirono per alzarsi, salirono lentamente i gradini che portavano al ponte e si accinsero ad attravers arlo. Sotto i miei occhi, le loro sagome si fecero sempre più indistinte, fino a svanire completamente. Rabbrividii e per riconfortarmi guardai verso il mondo dei vivi e l'autostrada. Intravedevo la M4 in cui scorreva il traffico dell'ora di punta, con i fari delle auto che si riflettevano sull'as falto bagnato dalla pioggia. I vivi, che andavano a casa dalle persone amate. Che cosa diamine ci facevo io qui? Spike mi distolse dai miei pensieri dandomi una gomitata nelle costole e indicandomi qualcosa. Dalla parte opposta della tavola calda c'era un vecchietto fragile seduto da solo. Avevo visto una o due volte il presidente Formby, ma non negli ultimi dieci anni. Secondo papà sarebbe morto di lì a sei giorni di cause naturali, e non sarebbe una scortesia dire che sembrava quasi pronto. Era spaventosamente magro e gli occhi erano sprofondati nelle orbite. I denti, che erano uno dei suoi tratti distintivi, erano più sporgen ti che mai. Una vita nello spettacolo può essere massacrante, mezza vita in politica pure di più. Teneva duro per impedire a Kaine di prendere il potere e a quel che pareva stava perdendo e ne era consapevole. Feci per alzarmi, ma Spike mormorò: «Forse è troppo tardi. Guarda il suo tavolo». Il presidente aveva davanti un cartellino con scritto "33". Sentii Spike tendersi e abbassare le spalle, come se avesse individuato qualcuno che conosceva, e non volesse farsi vedere. «Thursday» bisbigliò «porta il presidente in automobile con qualunque mezzo prima che torni la cameriera. Devo sistemare una faccenda. Ci vediamo fuori». «Che cosa? Ehi, Spike!» Ma si era già alzato, e camminava lentamente tra le anime perdute che si aggiravano attorno all'edicola finché non lo persi di vista. Feci un bel respiro, mi alzai e andai al tavolo di Formby. «Salve, signorina!» esclamò il presidente. «Dove sono finite le mie guardie del corpo?» «Non ho tempo di spiegarle, signor presidente, ma deve venire con me». «Oh, va bene» rispose ben disposto «se lo dice lei... ma ho appena ordinato
un pasticcio di carne con patate. Ho una fame che mi mangerei un cavallo, e magari lo faccio sul serio!» Sorrise e rise debolmente. «Dobbiamo andare» insistetti. «Le spiegherò tutto, prometto!» «Ma ho già pagato...!» «Tavolo 33?» disse la cameriera, che si era avvicinata silenziosamente alle mie spalle. «Siamo noi» rispose allegro il presidente. «C'è un problema con la sua ordinazione. Per il momento deve andarsene, ma la terremo in caldo per lei». Trassi un sospiro di sollievo. Non avrebbe dovuto morire e il personale lo sapeva. «Ora possiamo andare?» «Non me ne vado se non mi ridanno i soldi» affermò ostinato. «La sua vita è in pericolo, signor presidente». «È stata in pericolo tante di quelle volte, signorina... non mi muovo di qui finché non rivedo il mio deca». «Glielo ripago io» risposi «ora muoviamoci». Lo alzai di peso e lo feci camminare fino all'uscita. Mentre aprivamo le porte e uscivamo incespicando, dalle ombre emersero tre uomini dall'aria poco raccomandabile. Erano tutti armati. «Bene, bene!» disse il primo uomo, che indossava un'uniforme delle OPS molto vecchia e malandata. Aveva la barba sfatta, i capelli unti ed era pallido come un cadavere. In una mano impugnava un'antiquata rivoltella d'ordinanza delle OPS e l'altra se la teneva saldamente sopra la testa. «Sembra che abbiamo dei viventi, qui!» «Butta la pistola» intimò il secondo. «Te ne pentirai per tutta la vita» lo minacciai, e mi resi conto della stupidità del commento appena lo ebbi pronunciato. «Ormai è troppo tardi!» rispose. «La pistola, per favore». Obbedii e lui afferrò Formby e lo riportò dentro. Il primo uomo raccolse la mia pistola e se la mise in tasca. «Ora tu» disse «dentro. Dobbiamo fare un piccolo scambio e il tempo passa». Non sapevo dove fosse Spike, ma si era reso conto del pericolo, questo era sicuro. Immaginavo che avesse un piano e forse sarebbe stato utile guadagnare tempo. «Che cosa volete?» «Niente di speciale». L'uomo che si teneva la mano sulla testa rise. «Solo... la tua anima». «E sembra pure una buona anima» aggiunse il terzo uomo, che aveva in mano un misterioso rilevatore ronzante e me lo stava puntando contro, «c'è un sacco di vita. Al vecchio rimangono solo sei giorni: non ne caviamo granché». Tutto ciò non mi piaceva, nemmeno un po'. «Muoviti» disse il primo uomo indicando le porte. «Dove?» «A nord». «Dovete passare sul mio cadavere». «È proprio que...» Il terzo uomo non finì la frase. La parte superiore del torso gli esplose in mille frammenti friabili che puzzavano di verdura andata a male. Il primo uomo si girò su sé stesso e sparò in direzione della tavola calda e io ne approfittai per correre verso il parcheggio e trovare riparo dietro un'automobile parcheggiata. Dopo qualche istante mi affacciai cautamente a guardare. Spike era all'interno e scambiava colpi con il primo uomo, che era ancorato dietro la Bentley presidenziale e continuava a tenersi la mano sulla testa. Mi maledissi per aver ceduto la pistola, ma mentre assistevo alla scena, l'ora notturna, l'area di servizio, si risvegliò in me una sensazione di déjà vu. Anzi, era qualcosa di più forte: ero veramente già stata qui, durante
un balzo nel tempo quasi tre anni prima. Mi guardai attorno. Dietro di me un uomo e una donna - che poi erano Bowden e la sottoscritta - stavano saltando dentro una Speedster: la mia Speedster. Sorrisi e mi misi in ginocchio, cercando l'arma sotto lo pneumatico. Strinsi le mani attorno all'automatica, tolsi la sicura e mi allontanai dall'automobile cominciando a sparare. Il primo uomo mi vide e corse a cercare riparo tra la folla in moviment o che si sparpagliò terrorizzata. Entrai cautamente nell'edificio che ora sembrava deserto e raggiunsi Spike appena dentro il locale. Da qui tenevamo sotto controllo le scale che portavano al ponte; nessuno poteva andare a nord senza passarci davanti. Lasciai cadere il caricatore vuoto e ricaricai. «Il tizio alto è Chesney, mio ex collega di OPS-17» spiegò Spike mentre ricaricava il fucile a pompa. «La cravatta gli nasconde il taglio con cui l'ho decapitato. Si deve tenere la testa per evitare che cada». «Ah. Mi stavo chiedendo perché lo facesse. Ma perdere la testa... lo rende morto, no?» «In genere sì. Deve aver corrotto i custodi del portale. Immagino che abbia organizzato qualche truffa legata al recupero delle anime». «Aspetta, aspetta» dissi «vai piano. Il tuo ex collega Chesney - che è morto - ora controlla un traffico per trafugare le anime dall'aldilà?» «Sembrerebbe. Alla morte non interessano i singoli: le basta raggiungere le quote di produttività. Dopotutto, un'anima dipartita somiglia molto a qualsiasi altra». «Quindi...» «Esatto. Chesney scambia l'anima di un morto con quella di qualcun altro vivo e vegeto». «Vorrei pensare che mi stai prendendo in giro, ma ho la sensazione che non sia così». «Magari. Un'attività molto proficua, questo è certo. Pare che sia questa la fine che ha fatto Mallory, l'autista di Formby. Bene, ecco il piano: organizz iamo uno scambio di ostaggi per salvare il presidente e una volta che sei nelle loro mani porto al sicuro Formby e torno a prenderti». «Ho un'idea migliore» replicai «che ne dici se mandiamo te al posto di Formby e vado io a cercare aiuto?» «Pensavo che sapessi tutto dell'aldilà dal tuo amichetto Orfeo» controbatté Spike, lievemente infastidito. «Erano due chiacchiere mentre prendevamo il caffè, e poi tu qui ci sei già stato. Com'era quella storia di te che andavi nell'aldilà con un gommone della Argos?» «Be'» disse lentamente Spike «quella era più che altro un'ipotesi di viaggio, in effetti». «Non hai la più pallida idea di quello che stai facendo, vero?» «No. Ma per dieci testoni sono disposto a correre qualche rischio». Non c'era il tempo di discutere: ci stavano sparando addosso. Si sentì un cliente urlare terrorizzato quando un proiettile fece a coriandoli un espositore di riviste. Prima che me ne rendessi conto, Spike aveva sparato sul soffitto, dove abbatté alcune lampadine, provocando una pioggia di scintille. «Chi ci ha sparato?» chiese Spike. «L'hai visto?» «Penso di poter dire che non sono state le lampadine». «A qualcosa dovevo sparare. Coprimi». Saltò su e sparò. Io lo seguii, nella più totale incoscienza. Avevo accettato di gettarmi in un'impresa senza la minima preparazione convinta che Spike sapesse vagamente quel che faceva. Ora che avevo scoperto che non era così, la fuga sembrava proprio una buona idea. Dopo aver esploso inutilmente vari colpi verso il corridoio ci fermammo e ripiegammo dietro l'angolo. «Chesney!» gridò Spike. «Ti voglio parlare!» «Che cosa vuoi?» rispose una voce. «Questa è la mia zona!»
«Non fare il testone!» disse Spike soffocando un risolino. «Sono sicuro che possiamo metterci d'accordo!» Ci fu una pausa, dopodiché risuonò di nuovo la voce di Chesney: «Non sparare. Stiamo uscendo». Chesney apparve accanto all'elicottero a gettoni e al William parlante del Coriolano. Insieme a lui c'era l'unico scagnozzo rimasto, che teneva il presiden te. «Ciao, Spike» disse Chesney. Era un uomo alto che sembrava non avere una goccia di sangue in tutto il corpo. «Non ti ho mai perdonato di avermi ucciso». «Uccidere vampiri è il mio mestiere, Dave. Lo eri diventato. Ho dovuto». «Dovuto?» «Certo. Stavi per affondare i denti nel collo di una vergine diciottenne per trasformarla in un involucro senza vita pronto a obbedire a ogni tuo ordine». «Tutti hanno un hobby». «Posso tollerare i trenini elettrici» rispose Spike «spargere il seme del vampirismo è un'altra storia». Fece un cenno verso il collo di Chesney. «Hai proprio un brutto graffio». «Molto divertente. Che proponi?» «Semplice. Rivoglio indietro il presidente Formby». «E in cambio?» Spike mi puntò contro il fucile. «Vi do Thursday. Le rimane un sacco di vita. La pistola, dolcezza». «Cosa?» gridai indignata, tentando di apparire credibile. «Fa' come ti dico. Il presidente dev'essere protetto a ogni costo. Me l'hai spiegato tu stessa». Consegnai la pistola. «Bene. Ora muoviti». Percorremmo lentamente l'atrio; i presenti rannicchiati ci guardavano con una sorta di attrazione morbosa. Ci fermammo a dieci metri da Chesney, vicino alla sala giochi. «Fa' venire qui il presidente». Chesney fece un cenno al suo scagnozzo, che lo lasciò andare. Formby, che ora era un po' confuso, barcollò verso di noi. «Ora dammi Thursday». «Ehi!» disse Spike. «Usi ancora quella vecchia rivoltella delle OPS? Prendi la sua automatica, tanto a lei non serve più». E lanciò la mia pistola al suo ex collega. Chesney, in un attimo di distrazione, fece per prenderla, ma con la mano che usava per tenersi la testa. Non più trattenuta, la testa oscillò pericolosamente. Cercò di afferrarla ma peggiorò solo le cose e la testa gli scivolò tra le mani frenetiche e cadde al suolo con il rumore di un grosso cavolo. Questa situazione indecorosa aveva distratto il complice di Chesney, che fu disarmato da un colpo di fucile di Spike. Non vedevo perché dovesse divertirsi solo lui, e così corsi a prendere di rimbalzo la testa di Chesney e con un calcio ben assestato la spedii attraverso la porta della sala giochi, dove centrò il canestro del gioco SlamDunk!, totalizzando trecento punti. Spike aveva tirato un pugno nello stomaco a Chesney, confuso e decapitato, e aveva recuperato entrambe le mie automatiche. Afferrai il presidente e ci lanciammo verso il parcheggio, mentre Chesney ne gridava di tutti i colori dal canestro dello SlamDunk! Spike sorrise quando raggiungemmo l'automobile. «Be', Chesney ha veramente perso la...» «No» lo interruppi «non lo dire. È troppo banale». «Siamo in un parco tematico?» chiese Formby mentre lo facevamo salire nella macchina di Spike. «Qualcosa del genere, signor presidente» risposi. Uscimmo in retromarcia dal parcheggio con stridio di pneumatici e ci
precipitammo verso la rampa d'uscita. Nessuno cercò di fermarci e un paio di secondi dopo battevamo le palpebre alla luce del giorno - e sotto la pioggia - sulla M4 in direzione ovest. Erano le 17:03, avevamo tutto il tempo per portare il presidente fino a un telefono perché potesse opporsi alla votazione per Kaine in parlamento. Porsi la mano a Spike che me la strinse calorosamente e mi rese la pistola, ancora coperta della polvere essicca ta del complice di Chesney. «Hai visto che faccia ha fatto quando gli è sfuggita di mano la testa?» chiese Spike ridacchiando. «Cavolo, io vivo per momenti così!» 29 Il gatto precedentemente noto come del Cheshire CLAMOROSO FIASCO DI RE DANESE NEL CONTROLLO DELLE MAREE I nostri inviati riferiscono che, dando l'ennesima dimostrazione dell'incredibile stupidità dei danesi re Canuto di Danimarca ha cercato di usare la sua autorità per fermare la marea montante. La marea non ha obbedito, ovviamente, e il re Tonto si è inzuppato. Le autorità danesi hanno rapidamente smentito e si sono precipitate con fretta disgustosa a infangare l'eccellente e imparziale stampa inglese con le seguenti menzogne: "Prima di tutto non era Canuto, ma Knut" inizia la delirante invettiva, per niente convincente, del ministero danese per la propaganda. "Voi inglesi lo avete ribattezzato per sminuire il fatto di essere stati governati da stranieri per duecento anni. Poi Knut non cercò di dare ordini al mare: voleva mostrare ai suoi cortigiani, che eccedevano nell'adulazione, che la marea non sottostava al suo volere. E il tutto è successo novecento anni fa, sempre che sia mai successo". Re Canuto non ha voluto rilasciare commenti. Articolo apparso su «Il rospo», 18 luglio 1988 Raccontammo al presidente che sì, aveva ragione, si trattava di una specie di parco tematico ispirato alle aree di servizio. Dowding e Parks furono sinceramente contenti di riavere indietro il presidente, e Yorrick Kaine sospese il voto in parlamento. Al suo posto indisse una preghiera silenziosa per ringraziare la provvidenza per averci ridato Formby. Quanto a Spike e me, ci consegnarono un assegno postdatato per uno e ci assicurarono che
avremmo ricevuto l'onorificenza del "Banjolele con foglie di quercia" per il nostro indefesso attaccamento al dovere. Spike e io ci salutammo dopo l'estenuante giornata lavorativa e tornai all'uffi cio delle OPS, dove incontrai un maggiore Drabb lievemente seccato, che mi aspettava vicino alla mia automobile. «Ancora una volta niente libri danesi, agente Next!» disse a denti stretti, porgendomi il suo rapporto. «Un altro insuccesso e dovrò riferire a chi di competenza». Lo guardai male, mi avvicinai di un passo e, rabbiosa, lo colpii al torace con la punta delle dita. Dovevo tenere Flanker alla larga, quanto meno fino al Superhoop. «Dà a me la colpa dei suoi fallimenti?» «Be'» rispose, esitando e facendo un nervoso passo indietro mentre mi avvicinavo ulteriormente, «voglio dire...» «Raddoppi gli sforzi, maggiore Drabb, o la farò rimuovere dalla sua posizione. Sono stata chiara?» Le ultime parole le gridai, cosa che avrei preferito evitare, ma ero prossima alla disperazione. Ci mancava solo di avere Flanker sul collo, con tutto quello che stava succedendo. «Certo» gracchiò Drabb «mi assumo la completa responsabilità del mio insuccesso». «Bene» dissi, raddrizzandomi. «Domani perquisirà la sede dell'associazione scrittori australiani a Wootton Bassett». Drabb si asciugò la fronte e salutò di nuovo. «Signorsì, Miss Next». Cercai di aggirare il mucchio assortito di giornalisti e troupe del telegiornal e, ma erano più che insistenti e così mi fermai a dire qualche parola. «Miss Next» iniziò un inviato di RospoSport, sgomitando con cinque o sei altri canali per ottenere l'inquadratura migliore, «qual è la sua reazione alla notizia che cinque dei Mallets si sono ritirati dalla squadra in seguito a minacce di morte?» Per me era una novità, ma non lo diedi a vedere. «Stiamo per acquisire nuovi giocatori...» «Miss commissario tecnico, avendo solo cinque giocatori in squadra, non pensate che sia meglio ritirarvi?» «Giocheremo, ve lo assicuro». «Come commenta la voce secondo cui i Reading Whackers hanno ingaggiato il fuoriclasse 'Spaccaossa' McSneed per farlo giocare sull'archetto avanzato?» «Come sempre: il Superhoop sarà una vittoria memorabile per Swindon». «E che ne dice della notizia che è stata dichiarata 'inadatta a fare il commissario tecnico' per via della sua decisione di mettere Biffo in difesa?» «Le posizioni sul campo devono ancora essere stabilite e saranno assegnate da Mr Jambe. Ora, se mi volete scusare...» Riavviai il motore e mi allontanai dall'edificio delle OPS, mentre i giornalist i ancora gridavano domande dalla distanza. Ero di nuovo in prima pagina, e la cosa non mi piaceva. Arrivai a casa appena in tempo per risparmiare alla mamma di dover preparare altro tè per Friday. «Otto bastoncini di pesce!» mormorò, incredula per la sua voracità. «Otto!» «Questo è niente» replicai, infilando l'assegno in una teiera giocattolo e facendo il solletico su un orecchio a Friday. «Aspetta di vedere quanti fagioli fa sparire».
«Il telefono ha squillato tutto il giorno. Aubrey qualcosa che ti doveva parlare di minacce di morte o simili». «Poi lo chiamo. Com'era lo zoo?» «Oooh!» tubò, si ravviò i capelli e saltellò fuori dalla cucina. Aspettai che se ne fosse andata e poi mi inginocchiai accanto a Friday. «Bismarck e la nonna si sono... baciati?» «Tempor incididunt ut labore» rispose enigmatico «et dolore magna aliqua». «Spero che significhi 'no di certo', tesoro» mugugnai, riempiendogli la tazza. Così facendo, la urtai con la fede, che guardai rassegnata. Landen era tornato di nuovo. La strinsi tra le dita, presi il telefono e composi il numero. «Pronto?» disse la voce di Landen. «Sono Thursday». «Thursday!» esclamò con un misto di sollievo e preoccupazione. «Che ti è successo? Ti aspettavo in camera da letto e poi ho sentito che uscivi di casa. Ho fatto qualcosa che non va?» «No, Land, niente. Sei stato sradicato di nuovo». «Anche adesso?» «Certo che no». Ci fu un lungo momento di silenzio. Troppo lungo, in effetti. Mi guardai la mano. La fede era sparita. Sospirai, rimisi giù la cornetta e tornai da Friday col cuore gonfio. Chiamai Aubrey mentre facevo il bagno a Friday e cercai di rassicurarlo a proposito dei giocatori mancanti. Gli dissi che dovevano continuare ad allenarsi e che ci avrei pensato io. Non avevo idea di come, ma questo non glielo dissi. Aggiunsi solo che era tutto sotto controllo. «Ti saluto» conclusi «devo lavare i capelli a Friday e non ce la faccio con una mano sola». Quella sera, mentre leggevo Pinocchio a Friday, sull'armadio della mia camera da letto apparve un grosso gatto tigrato. E non apparve istantaneamente: si materializzò a partire dalla punta della coda, via via fino al larghissimo sorriso. Quando lavorava in Alice nel paese delle meraviglie era noto come "il gatto del Cheshire", ma le autorità modificarono i confini della contea del Cheshire e così divenne "il gatto del mandamento di Warrington", ma non suonava bene e quindi fu chiamato più affettuosamente "il gatto precedentemente noto come del Cheshire" o, più semplicemente, "il Gatto". Il suo vero nome era Archibald, ma lo chiamava così solo sua madre quando era arrabbiata con lui. Lavorava con noi di GiurisFiction, dirigendo la Grande Biblioteca, un deposito cavernoso e quasi infinito di tutti i libri che siano mai stati scritti . Ma considerare il Gatto un bibliotecario sarebbe un'ingiustizia. Era l'Überbibliotecario: sapeva tutto su tutti i libri della biblioteca. Quando venivano letti, da chi... tutto. Cioè: tutto, tranne quale fosse il libro da cui proveniva Yorrick Kaine. Friday sorrise e indicò il Gatto che finiva di apparire e ci fissava con un ghigno stampato sui lineamenti, intento ad ascoltare la storia. «Salve!» esordì appena ebbi finito, dato un bacio a Friday e spento l'abat-jour sul comodino. «Ho informazioni per te». «Su?» «Yorrick Kaine». Portai il Gatto di sotto, dove si sedette sul forno a microonde mentre io preparavo il tè. «Allora, che cosa hai scoperto?» «Ho scoperto che cremare non significa mettere la crema su un dolce: vuol dire bruciare un cadavere». «Intendo su Kaine». «Ah. Be', ho scandagliato gli archivi e non compare da nessuna parte nelle note di carico dei personaggi, né nella Grande Biblioteca né nel pozzo
delle trame perdute. Da dovunque provenga, non viene da narrativa, poesia, barzellette, saggistica o cartamodelli editi». «Non posso credere che tu sia venuto fin qui per ammettere che hai fallito, Chesh» dissi. «Qual è la buona notizia?» Al Gatto lampeggiarono gli occhi e fremettero le vibrisse. «Autori che pubblicano a proprie spese!» annunciò con uno svolazzo. Era un'intuizione geniale. Non mi era mai passato per la testa che potesse venire da lì. Il regno dei libri pubblicati in proprio era un misto bizzarro di volumi pittoreschi di storia locale, raccolte di poesia, magna opera di gente del tutto priva di talento, e rare gemme. Naturalmente se poi venivano pubblicati in via ufficiale la Grande Biblioteca li accoglieva a braccia aperte, e in questo caso non era successo. «Sei sicuro?» Il gatto mi porse la scheda di un catalogo. «Sapevo che per te è importante e così mi sono rivolto a certe persone che mi dovevano un favore». Lessi la scheda ad alta voce. «Lussuria di lusso, 1931. Tiratura limitata di cento esemplari. Autore: Daphne Farquitt». Guardai il Gatto. Daphne Farquitt. Autrice di quasi cinquecento romanzi d'amore e beniamina del genere rosa. «Prima di diventare famosa scrivendo libri pessimi, scriveva libri pessimi e li pubblicava a proprie spese» spiegò il Gatto. «In Lussuria di lusso Yorrick interpreta un uomo politico locale disposto a tutto per fare carriera. E non è neanche uno dei personaggi principali. Viene menzionato solo due volte e non gli spetta neppure una descrizione». «Mi puoi far entrare nella biblioteca dei libri pubblicati in proprio?» chiesi. «Non esiste» rispose il Gatto facendo spallucce. «Abbiamo i dati e brevi riassunti tratti dai resoconti degli editori a pagamento e dal 'Mensile dell'one sto scribacchino', e ben poco altro. Ma ci basta trovarne una copia ed è nostro». Ghignò di nuovo, e non lo imitai. «Non è così facile, Gatto. Guarda qui». Gli mostrai l'ultimo numero del «Rospo». Il Gatto inforcò con cura gli occhiali e lesse: «'La distruzione dei libri danesi ha raggiunto nuove vette con il rogo dei romanzi della Farquitt, nata a Copenaghen'. «Non capisco» disse il Gatto posando una zampa bramosa su una pubblicità di cibo per gatti Micilizioso «perché si è messo in testa di bruciare tutti i suoi libri?» «Perché» risposi «evidentemente non riesce a trovare tutte le copie originali di Lussuria di lusso e nel dubbio utilizza come copertura questa campagna antidanese. Se è fortunato i suoi idioti bruciatori di libri gli risolver anno il problema. Sono una cretina a non averci pensato. Dopotutto, dove nasconderesti un ramo?» Ci fu un lungo momento di silenzio. «Mi arrendo» disse il Gatto «dove nasconderesti un ramo?» «Nella foresta». Guardai pensierosa fuori dalla finestra. Lussuria di lusso. Ignoravo quante delle cento copie fossero ancora in circolazione, ma visto che continuava no a bruciare i libri della Farquitt, supposi che dovesse essercene almeno una. Un romanzo inedito della Farquitt era la chiave per distruggere Kaine. Chi l'avrebbe mai detto. «Perché dovresti nascondere un ramo nella foresta?» domandò il Gatto, che ci stava meditando in silenzio da qualche istante. «È un'analogia» gli spiegai. «Kaine deve eliminare tutte le copie di Lussuria di lusso, ma non vuole che ci insospettiamo, e quindi prende di mira i
danesi - la foresta - anziché la Farquitt - il ramo. Chiaro?» «Chiaro». «Bene». «D'accordo, sarà meglio che mi muova» annunciò il Gatto, e sparì. Non ci restai male perché il Gatto era solito andarsene così. Versai il tè, ci aggiunsi un po' di latte e misi alcune tazze su un vassoio. Mi stavo chiedend o dove trovare una copia di Lussuria di lusso e, cosa ben più importante, pensavo di chiamare di nuovo Julie per chiederle per quanto tempo suo marito aveva lampeggiato "come una lampadina" quando riapparve il Gatto, in equilibrio precario sul mixer Kenwood. «A proposito» disse «il Grifone mi ha detto che la sentenza per la tua Infrazione Letteraria verrà emessa tra due settimane. Vuoi essere presente?» Si riferiva alla mia modifica al finale di Jane Eyre. Al processo ero stata giudicata colpevole, ma le lungaggini giuridiche del Mondo dei libri si protraevano senza fine. «No» risposi dopo un attimo. «No, digli di venirmi a cercare per comunicarmi la sentenza». «Riferirò. Bene, ciao-ciao» mi salutò il Gatto e sparì, questa volta definitivamente. Aprii con la punta del piede la porta del laboratorio di Mycroft, la tenni aperta perché Pickwick potesse seguirmi dentro e la chiusi prima che entrasse anche Alan. Posai il vassoio su un piano di lavoro. Mycroft e Polly fissavano rapiti un piccolo solido geometrico dalla forma strana, fatto di ottone. «Grazie, cara» disse Polly. «Come ti vanno le cose?» «Fra 'così così' e 'per niente bene', zia». Polly era la moglie di Mycroft da qualcosa come quarantadue anni e, benché si tenesse in disparte, era geniale quasi quanto suo marito. Era una briosa settantenne e sapeva gestire il carattere spesso irascibile e distratto di Mycroft con una pazienza che trovavo illuminante. "Il trucco" mi confidò una volta "è di considerarlo come un bambino di cinque anni con un quoziente di intelligenza di 260". Prese il tè e ci soffiò sopra. «Stai ancora valutando se mettere Smudger in difesa?» «Stavo pensando a Biffo, veramente». «Smudger e Biffo entrambi in difesa sarebbero sprecati» mormorò Mycroft, mentre con una lima faceva qualche piccola modifica a una faccia del poliedro di ottone. «Dovresti metterci Snake, in difesa. Non è esperto, è vero, ma gioca molto bene e ha la giovinezza dalla sua». «Per la verità, sto lasciando la strategia della squadra ad Aubrey». «Spero che sia all'altezza. Che ne pensi?» Mi porse il solido, delle dimensioni di un pompelmo, e me lo rigirai tra le mani. Alcune delle facce erano asimmetriche e alcune simmetriche, e altre, stranamente, sembravano entrambe le cose. I miei occhi avevano qualche problema a capacitarsene. «Molto... grazioso» risposi. «Che cosa fa?» «Fa?» Mycroft sorrise. «Posalo sul tavolo e lo vedrai, che cosa fa!» Lo adagiai sul ripiano, ma lo strano solido, instabile sulla faccia su cui lo avevo posato, cadde su un'altra. Poi, dopo un attimo, barcollò di nuovo e cadde su una terza faccia. Andò avanti con questo movimento a scatti sul piano di lavoro finché finì contro un cacciavite e si fermò. «L'ho chiamato nextoedro» annunciò Mycroft, prendendo in mano il solido e posandolo sul pavimento, dove continuò la sua passeggiata casuale, fissato da Pickwick, che temette che ce l'avesse con lei e corse a nascondersi. «La maggior parte dei solidi irregolari sono instabili solo su una o due facce. Il nextoedro è instabile su tutte le facce: continua a sbilanciarsi e cadere finché qualcosa non gli impedisce di procedere». «Affascinante!» mormorai, sempre sorpresa dall'ingegnosità delle invenzioni di Mycroft. «Ma a che serve?» «Be'» spiegò Mycroft, infervorandosi, «hai presente quei generatori inerziali
che ricaricano un orologio da polso?» «Sì?» «Se ne mettiamo uno più grande dentro un nextoedro che pesa seicento tonnellate, calcolo che potremmo generare fino a cento watt di potenza». «Ma... ma basta giusto per una lampadina!» «Considerando che li ottiene da zero, è un risultato niente male» rispose Mycroft sdegnoso. «Per generare quantità di potenza significative dovremmo dare a qualcosa con una massa considerevole - Marte, per esempio - la forma di un nextoedro, con all'esterno una superficie piana che gli cade addosso, tenuta a contatto dalla gravità. Poi l'energia potrebbe essere trasmessa sulla Terra usando i raggi Tesla e...» Cominciò a farfugliare, buttando giù idee ed equazioni in un quadernetto. Guardai il nextoedro cadere e oscillare e muoversi a scatti in giro per il pavimento finché non sbatté contro un cavo arrotolato. «Parlando sul serio» confidò Polly, posando il suo tè, «potresti darci una mano a identificare alcuni degli apparecchi nel laboratorio. Dato che Mycroft e io siamo in preda al Grande Vuoto, ci saresti d'aiuto». «Ci provo» dissi, guardando i bizzarri oggetti in giro per la stanza. «Quello calcola il numero di semi presenti in un'arancia non sbucciata, quello con un corno è l'Olfattografo per misurare gli odori, e quella scatola piccola laggiù trasforma l'oro in piombo». «E a che scopo?» «Non saprei proprio». Polly prese appunti sull'inventario che stava compilando e passò i successivi dieci minuti a cercare di dare un nome a tutte le invenzioni di Mycroft che conoscevo. Non fu facile. Non mi diceva tutto. «Anche questa mi lascia perplessa» dissi, indicando una piccola macchina all'incirca delle dimensioni di un elenco del telefono posata su un piano di lavoro. «Curiosamente» rispose Polly «di questa sappiamo il nome. È un ovinatore». «Come fate a saperlo se non vi ricordate niente?» «Perché» intervenne Mycroft, che aveva finito di prendere appunti ed era tornato da noi, «porta incisa sull'involucro la scritta 'ovinatore', proprio qui. Pensiamo che sia un apparecchio per fare uova senza bisogno di una gallina o per fare galline senza bisogno di un uovo. Oppure tutt'altra cosa. Ecco, ora lo accendo». Mycroft azionò un interruttore e si accese una lucina rossa. «Tutto qui?» «Sì» rispose Polly, fissando pensierosa la macchina, piccola e non molto avvincente. «Non c'è traccia di uova o galline» osservai. «Nessuna». Mycroft sospirò. «Potrebbe benissimo essere una macchina per far accendere una lucina rossa. Accidenti alla mia memoria perduta! Il che mi ricorda: hai idea di quale sia l'apparecchio che cancella la memoria?» Cercammo in giro per il laboratorio, esaminando apparecchi dall'aspetto insolito, perlopiù privi di nome. Ognuno di essi poteva servire a cancellare i ricordi, ma d'altronde ognuno di essi poteva servire a togliere i torsoli alle mele. Rimanemmo in silenzio per un momento. «Continuo a pensare che dovresti mettere Smudger in difesa» disse Polly, che probabilmente era la più grande appassionata di croquet della famiglia. «Forse hai ragione» capitolai, cominciando a realizzare che era più facile assecondare quello che mi veniva detto. «Zio?» «Polly ne sa di più» rispose. «Sono un po' stanco. A chi va di vedere 'Come si chiama questo frutto?' in TV?» Fummo tutti d'accordo che sarebbe stato un modo rilassante per concludere la giornata e mi ritrovai ad assistere a quel quiz nauseabondo per la
prima volta in vita mia. Capii a metà trasmissione quanto facesse schifo, e andai a letto con le tempie dolenti. 30 La Nazione neandertaliana NEANDERTAL "UTILI" PER LA SCUOLA DI FORMAZIONE POLITICA I Neandertal, proprietà risequenziata della Goliath Corporation, hanno trovato ieri un impiego inatteso nella Scuola di Chipping Sodbury per politici, quando quattro individui sono stati selezionati per il corso di economia della sincerità dei pubblici uffici. I Neandertal, abilissimi a cogliere nei volti il minimo segnale di insincerità, vengono usati dagli studenti per affinare la loro abilità nel mentire, qualità utilissima per un politico compiuto quando è in carica. "Cavoli, 'sti neander beccano tutto!" ha dichiarato Mr Richard Dixon, uno studente del primo anno. "Non si lasciano sfuggire niente, neanche un lieve abbellimento o un'omissione tattica!" I docenti della scuola si sono dichiarati completamente soddisfatti dei Neandertal e in privato hanno ammesso che: "Se il proletariato avesse anche solo metà della loro abilità nell'individuare le bugie, passeremmo guai seri!" Articolo apparso su «Il rospo» (pagine di politica), 4 luglio 1988 La caccia a Lussuria di lusso era andata avanti tutta la mattina, ma con scarso successo. Kaine aveva quasi due anni di vantaggio su di noi. Delle cento copie stampate, sessantadue avevano cambiato proprietario negli ultimi diciotto mesi. All'inizio ciò avveniva per somme modeste, mille sterline o giù di lì, ma nulla batte un misterioso acquirente con fondi illimitati per far schizzare in alto i prezzi, e l'ultima copia fu venduta per settecentove ntimila sterline presso la Casa d'aste Agatha's: una somma senza precedenti, persino per un Farquitt d'anteguerra. La probabilità di trovare una copia di Lussuria appariva sempre più esigua. Chiamai l'agente della Farquitt, che disse che l'intera biblioteca della scrittrice era stata sequestrata e la Farquitt, settantenne, era stata interroga ta a lungo a proposito dell'attivismo politico prodanese prima di essere rilasciata
. Anche una visita alla Biblioteca Farquitt a Didcot fu infruttuosa: il loro manoscritto originale di Lussuria di lusso e una copia autografata erano stati confiscati da "agenti governativi" quasi diciotto mesi prima. La bibliotec aria ci ricevette nella sala marmorea e, dopo averci raccomandato di non parlare a voce così alta, ci riferì che erano stati imballati esemplari di ognuna delle opere della Farquitt ed erano pronti per essere portati via "quando volevamo". Bowden rispose che saremmo partiti per il confine non appena fossero stati messi a punto gli ultimi ' dettagli. Non mi guardò mentre lo disse, ma sapevo che cosa stava pensando. Dovevo ancora trovare un modo per passare la frontiera. Tornammo in silenzio all'ufficio dei DLett, e chiamai subito Landen. La fede, che era apparsa e scomparsa tutta la mattina, era fissa da venti minuti abbondanti. «Ehi, Thursday!» disse con entusiasmo. «Che ti è successo ieri? Stavamo parlando e sei improvvisamente ammutolita». «C'è stato un problema». «Perché non vieni qui a pranzo? Ho bastoncini di pesce, fagioli e piselli. E come dessert, purè di banana e crema». «Hai deciso il menu con Friday?» «Che cosa te lo fa pensare?» «Mi piacerebbe, Land. Ma per il momento sei ancora un po' instabile esistenzialme nte, e riuscirei solo a mettermi di nuovo in imbarazzo davanti ai tuoi. E poi devo andare a parlare di Shakespeare con un tizio». «Qualcuno che conosco?» «Bartholomew Stiggins». «Il Neandertal?» «Sì». «Spero che ti piacciano gli scarafaggi. Chiamami quando esisto di nuovo. Ti a...» La linea tacque. Anche la mia fede era sparita. Ascoltai per un momento il segnale di libero, passandomi pensierosa la cornetta sulla fronte. "Anch'io ti amo, Land" dissi sottovoce. «Il tuo contatto gallese?» chiese Bowden, avvicinandosi con un fax dall'Associazion e ammiratori di Karen Blixen. «Non proprio». «Nuovi giocatori per il Superhoop, allora?» «Magari. La Goliath e Kaine hanno terrorizzato tutti i giocatori del Paese tranne Penelope Hrah, che se la paghiamo gioca e se ne infischia di quello che gli altri possano dire, pensare o fare». «Non aveva perso una gamba anni fa durante la semifinale Newport Strikers-Dartmoor Wanderers?» «Non posso andare troppo per il sottile, Bowd. Se la metto a difendere gli archetti arretrati può ringhiare contro chiunque si avvicini. Pronto per il pranzo?» La popolazione neandertaliana di Swindon ammontava a circa trecento individui, che vivevano tutti in un villaggio a ovest, noto come La Nazione. Grazie alla loro abilità nell'uso degli utensili, avevano ricevuto solo due ettari e mezzo di terreno, collegamenti con l'acqua e con le fognature, ed era stato detto loro di arrangiarsi, come se ci fosse stato bisogno di specif icarlo. I Neandertal non erano esseri umani o nostri discendenti, ma nostri cugini. Si erano evoluti simultaneamente a noi, e poi erano stati costretti a estinguers i, non riuscendo a competere con gli esseri umani, più aggressivi.
Riportati in vita dalla Goliath Bioengineering tra gli anni Trenta e Quaranta, ormai facevano parte della vita di tutti i giorni come i dodo e i mammut. E dato che erano stati risequenziati dalla Goliath, ogni individuo era di proprietà dell'azienda. Un piano di "riacquisto" non particolarmente vantaggioso per poter ricomprare sé stessi non aveva sortito grandi risultati. Parcheggiammo poco lontano dalla Nazione e scendemmo dall'automobile. «Non possiamo parcheggiare dentro?» «Non amano le automobili» spiegai. «Secondo loro non ha senso percorrere grandi distanze. Per la logica neandertaliana, un posto che non possa essere raggiunto in una giornata di cammino non val la pena di essere visitato. Il nostro giardiniere neandertaliano si faceva a piedi più di sei chilometri ogni martedì per venire da noi e altrettanti al ritorno, e rifiutava ogni offerta di un passaggio. Camminare, diceva, 'è l'unico modo dignitoso di muoversi: in macchina ci si perde le conversazioni che si svolgono nelle siepi'». «Capisco che cosa intende» rispose Bowden «ma quando ho bisogno di arrivare in fretta da qualche parte...» «Ecco la differenza, Bowd. Devi dimenticare il modo di ragionare umano. Per i Neandertal, non c'è niente che sia così urgente che non possa essere fatto un'altra volta... o per niente. A proposito, ti sei ricordato di non lavarti, stamattina?» Annuì. Dato che per i Neandertal gli odori sono fondamentali come forma di comunicazione, la pulizia a base di sapone degli esseri umani sembra una sorta di sotterfugio sospetto. Se vi rivolgete a un Neandertal con del profumo addosso, lui penserà immediatamente che abbiate qualcosa da nascondere. Camminammo per il prato all'ingresso della Nazione e incontrammo un Neandertal solitario seduto su una sedia in mezzo al vialetto. Stava leggendo il «Corriere neandertaliano» scritto in caratteri grandi. Ripiegò il giornale e fiutò delicatamente l'aria prima di fissarci per un momento e poi chiederci: «Chi desiderate?» «Next e Cable. Pranzo da Mr Stiggins». Il Neandertal ci fissò ancora per un attimo e poi ci indicò una casa al di là di uno spiazzo erboso con al centro un totem che rappresentava chissà che. C'erano cinque o sei Neandertal che giocavano a croquet sul prato e li guardai con attenzione per un attimo. Non giocavano a squadre: si limitavano a passarsi la palla e a centrare un archetto quando era possibile. Ed erano bravissimi. Vidi uno dei giocatori mandare nell'archetto una palla colpita al volo con la sua da una distanza di quaranta metri. Era un peccato che i Neandertal fossero ferocemente non competitivi: mi avrebbero fatto comodo in squadra. «Noti qualcosa di strano?» chiesi mentre attraversavamo il prato e i giocatori di croquet si muovevano accanto a noi in un mulinare di arti ben coordinati. «Niente bambini?» «Il Neandertal più giovane ha cinquantadue anni» spiegai «i maschi sono sterili. Probabilmente è il loro massimo motivo di scontento nei confronti dei loro proprietari». «Seccherebbe anche a me». Trovammo la casa di Stiggins, aprii la porta ed entrammo. Sapevo qualcosa delle usanze dei Neandertal: non si entrerebbe mai in una casa neandertaliana a meno di non essere attesi, e in questo caso la si trattava come la propria e si entrava senza annunciarsi. La casa era costruita interamente di scarti di legno e spazzatura riciclata; era di forma circolare, con un focola re al centro. Era confortevole, calda e accogliente, non certo la caverna primitiva che immagino Bowden si aspettasse. C'era un televisore e divani, sedie, perfino uno stereo. In piedi accanto al fuoco c'era Stiggins, e accanto a lui una Neandertal leggermente più piccola. «Benvenuti!» disse Stig. «Questa è Felicity; siamo in società». Sua moglie ci si avvicinò in silenzio e ci abbracciò uno dopo l'altro, cogliendo
l'occasione per annusarci, prima l'ascella e poi i capelli. Vidi Bowden accennare a ritrarsi e Stig grugnì un lieve colpo di tosse che era una risata neandertaliana. «Mr Cable, lei è a disagio» osservò Stig. Bowden alzò le spalle. Era a disagio, e ne sapeva abbastanza dei Neandertal da non tentare nemmeno di mentire. «Sì» rispose. «Non sono mai stato in una casa neandertaliana». «È diversa dalle vostre?» «Molto» disse Bowden, guardando la struttura delle travi del tetto, che erano fatte incollando insieme avanzi di legno, piallati per dar loro la forma. «Non c'è neppure una vite, Mr Cable. Ha mai sentito il suono che fa il legno quando gli si caccia dentro una vite? È impietoso». «C'è qualcosa che non vi facciate da soli?» «No. Si insulta la materia prima se non la si sfrutta fino in fondo. Il denaro che guadagniamo serve per ricomprarci. Potremo permetterci di riottenere la proprietà di noi stessi quando staremo per andarcene». «E allora, se mi permette, che senso ha?» «Morire liberi, Mr Cable. Che cosa beve?» Mrs Stiggins apparve con quattro bicchieri fatti con fondi di bottiglia e ce li porse. Stig bevve il suo d'un fiato; io cercai di fare lo stesso e quasi m i strozzai: era come bere benzina. Bowden si strozzò e si portò le mani alla gola come se stesse andando a fuoco. Mr e Mrs Stiggins ci fissarono con curiosità, e poi scoppiarono in una serie irregolare di grugniti e colpi di tosse. «Non sono certo di cogliere lo scherzo» disse Bowden, con gli occhi che gli lacrimavano. «Umiliare gli ospiti è un'usanza neandertaliana» spiegò Stig, togliendoci i bicchieri. «Nei vostri c'era gin di patate, nei nostri solo acqua. La vita è bella. Accomodatevi». Ci sedemmo sul divano e Stig attizzò la brace del focolare. C'era un coniglio su uno spiedo e respirai di sollievo: niente scarafaggi per pranzo. «Quei giocatori di croquet là fuori» cominciai «pensa che qualcosa potrebbe convincerli a giocare per gli Swindon Mallets?» «No. Solo gli esseri umani definiscono sé stessi in termini di conflitto con altri esseri umani. Vincere e perdere per noi non hanno significato. Le cose sono semplicemente come devono essere». Pensai di offrire del denaro. Dopotutto la paga mensile di un giocatore medio equivaleva abbondantemente a mille riacquisti. Ma i Neandertal sono strani per quanto riguarda il denaro, specialmente il denaro che non ritengono di aver guadagnato. Tacqui. «Ha pensato qualcosa a proposito degli Shakespeare clonati?» chiese Bowden. Stig ci rifletté un momento, arricciò il naso, girò il coniglio e poi andò a uno scrittoio e ne tornò con un faldone giallo: il rapporto sul genoma avuto da Mr Rumplunkett. «Sicuramente cloni» disse «e chiunque li abbia realizzati ha nascosto le sue tracce: i numeri di matricola sono abrasi dalle cellule e dal DNA sono assenti le informazioni sul produttore. A livello molecolare avrebbero potuto essere costruiti ovunque». «Stig» intervenni, pensando all'Amleto, «non so spiegarle quanto sia importante che io trovi un clone di Will, e il prima possibile». «Non abbiamo finito, Miss Next. Vede questo?» Mi porse un'analisi spettroscopica dei denti di Shaxtper; guardai il grafico a zigzag senza capire. «Eseguiamo questo esame per valutare l'andamento a lungo termine dello stato di salute. Analizzando una sezione trasversale dei denti di Shaxtper possiamo localizzare l'impianto di clonazione considerando solo la durezza dell'acqua». «Capisco» disse Bowden. «E quindi dove si trova questo tipo di acqua?»
«Semplice: Birmingham». Bowden batté le mani entusiasta. «Vuol dire che c'è un laboratorio segreto di bioingegneria nella zona di Birmingham? Lo troveremo in un batter d'occhi!» «Il laboratorio non è a Birmingham» precisò Stig. «Ma ha detto...» Sapevo esattamente dove voleva arrivare. «Birmingham importa l'acqua» spiegai a bassa voce «dalla valle di Elan, che si trova nella Repubblica Socialista del Galles». La missione era appena diventata decisamente più difficile. La più grande struttura biotecnologica della Goliath si trovava sulle rive del bacino idrico Craig Goch in mezzo alla valle di Elan, prima di essere trasferita sulle Colline Preseli. L'avevano costruita all'estero per via delle leggi più permissive sulla bioingegneria; la smantellarono quando anche il parlamento gallese le rese più severe. Il laboratorio sulle Preseli svolgeva solo lavoro lecito. «Impossibile!» sbuffò Bowden. «Hanno chiuso da decenni!» «Eppure» ribatté lentamente Stig «i vostri Shakespeare sono stati costruiti lì. Mr Cable, lei non prova istintivamente simpatia per i Neandertal e non ha la forza d'animo di Miss Next, eppure è capace di grandi sentimenti». Bowden non si mostrò convinto dall'analisi di Stig. «Come può conoscermi così bene?» Ci fu un momento di silenzio mentre Stig girava il coniglio. «Lei vive con una donna che non ama davvero, ma di cui ha bisogno per avere stabilità. Sospetta che lei frequenti qualcun altro e questa rabbia e questo dubbio gravano pesanti sulle sue spalle. Si sente scavalcato quando vengono assegnate le promozioni, e l'unica donna che ama veramente le è inaccessibile...» «Va bene, va bene» disse accigliato Bowden «ho afferrato il concetto». «Voi esseri umani irradiate emozioni come un fuoco che avvampa, Mr Cable. Siamo sbalorditi da come riusciate a ingannarvi l'un l'altro tanto facilm ente. Noi vediamo tutti gli inganni, e ci siamo evoluti in modo da non averne bisogno». «Questi laboratori» cominciai, desiderosa di cambiare argomento, «ne è sicuro?» «Siamo sicuri» affermò Stig «e non vi furono costruiti solo gli Shakespeare. Anche tutti i Neandertal fino alla versione 2.3.5. Desideriamo tornare lì. Abbiamo un bisogno impellente di ciò che ci è stato negato». «E cioè?» chiese Bowden. «Figli» sospirò Stig. «Avevamo in animo da tempo una spedizione simile, e le vostre caratteristiche sapiens saranno utili. Avete un'impetuosità che noi non potremmo mai avere. Un Neandertal considera ogni mossa prima di compierla ed è geneticamente predisposto alla cautela. Abbiamo bisogno di qualcuno come lei, Miss Next, un essere umano energico, incline alla violenza e pronto a comandare, ma guidato da ciò che è giusto». Sospirai. «Non andremo nella Repubblica Socialista» dissi. «È fuori dalla nostra giurisdizione e se ci sorprendessero ci sarebbero problemi a non finire». «E il tuo piano per portare fuori tutti quei libri, Thursday?» chiese Bowden pacatamente. «Non c'è nessun piano, Bowd. Mi dispiace. E non posso rischiare di venire sbattuta in qualche gattabuia gallese durante il Superhoop. Devo fare in modo che i Mallets vincano. Devo esserci». Stig mi guardò corrugando la fronte. «Strano ! » disse alla fine. «Lei non vuole vincere per un malinteso senso di orgoglio cittadino: noi intravediamo un fine più elevato». «Non posso essere più esplicita, Stig, ma quello che ha intuito è vero. È essenziale per tutti noi che Swindon vinca il Superhoop». Stig guardò in direzione di Mrs Stiggins e i due tennero una conversazione
per cinque minuti buoni, ma fatta solo di espressioni del viso e occasionalmente un grugnito. Quando ebbero finito, Stig disse: «Siamo d'accordo. Lei, Mr Cable e noi penetreremo nei laboratori di risequenziamento abbandonati della Goliath. Voi per trovare i vostri Shakespeare, noi per trovare un modo per fecondare le nostre femmine». «Non posso...» «Anche se falliremo» continuò Stig «la Nazione neandertaliana schiererà cinque giocatori per aiutarvi a vincere il vostro Superhoop. Non riceveranno pagamento né gloria. Siamo d'accordo?» Lo fissai negli occhietti marrone. A giudicare dall'abilità dei giocatori che avevo visto fuori e dalla mia conoscenza dei Neandertal in generale, avremmo avuto una chance, persino se io fossi stata rinchiusa in una prigione gallese. Gli strinsi la mano che mi porgeva. «Siamo d'accordo». «Allora dobbiamo mangiare. Vi piace il coniglio?» Annuimmo entrambi. «Bene. È una nostra specialità. In neanderlese la chiamiamo Rabite'n'bitels». «Suona benissimo» rispose Bowden. «Con che cosa si mangia?» «Patate e una... salsa croccante verdastro-marrone dal sapore pungente». Non vorrei sbagliarmi, ma credo che Stig mi avesse strizzato l'occhio. Non avrei dovuto preoccuparmi. Il pasto fu eccellente e i Neandertal hanno proprio ragione: gli scarafaggi sono enormemente sottovalutati. 31 Riunione di pianificazione I CORMORANI STANNO SCOMPARENDO Uno dei più importanti ornitologi ha affermato ieri che l'incompatibilità orso/uccello è la causa della progressiva diminuzione del numero dei cormorani negli ultimi anni. "Sappiamo da molto tempo che i cormorani depongono le uova nei sacchetti di carta per proteggerle dai fulmini" ha spiegato Mr Daniel Chough "ma la reintroduzione degli orsi in Inghilterra ha creato seri problemi alle abitudini riproduttive di questo uccello. Anche se orsi e uccelli raramente entrano in conflitto per il cibo e le risorse, pare che orsi vagabondi muniti di panino rubino il sacchetto di carta del cormorano allo scopo, secondo le prime ricerche, di metterci le briciole". Le voci secondo cui gli orsi sarebbero di origini danesi non sono ancora confermate. Articolo apparso sulla rivista «Flap!», 20 luglio 1988
Allora, che cosa ne sai di Elan?» domandò Bowden mentre tornavamo in città. «Non molto» risposi, guardando i grafici relativi ai denti di Shaxtper. Stig riteneva che fosse vissuto a Elan molto più a lungo degli altri, forse fino a pochi anni prima. Se lui era sopravvissuto per tanto tempo, non era possibile che un altro fosse ancora vivo? Lungi da me creare false speranze, ma almeno ora sembrava verosimile che potessimo salvare l'Amleto. «Parlavi sul serio quando dicevi che non avevi idea di come entrare?» «Temo di sì. Ma potremmo sempre fingerci tecnici della società dell'acqua di Birmingham o qualcosa del genere». «Perché i tecnici della società dell'acqua dovrebbero avere dieci camionate di libri danesi proibiti?» chiese Bowden non del tutto a sproposito. «Qualcosa da leggere mentre svolgono le loro attività da tecnici dell'acqua?» «Se non portiamo al sicuro questi libri, verranno bruciati, Thursday. Dobbiamo trovare un modo di entrare nella Repubblica». «Mi farò venire un'idea». Passai il resto del pomeriggio ad affrontare le telefonate dei giornalisti sportivi desiderosi di avere novità e di sapere chi avrebbe giocato e in quale posizione. Chiamai Aubrey e gli dissi che avrebbe avuto cinque nuovi giocatori, ma non specificai che erano Neandertal. Non potevo rischiare che lo scoprisse la stampa. Quando tornai a casa della mamma sul mio anulare era di nuovo stabilmente presente la fede. Portai in fretta Friday a casa di Landen e, notando che tutto sembrava normale, bussai due volte. Dall'interno si sentì uno scalpiccio concitato e Landen aprì la porta. «Eccoti!» esclamò felice. «Quando hai riattaccato mi hai messo un po' in ansia». «Non ho riattaccato, Landen». «Sono stato sradicato di nuovo?» «Temo di sì». «Lo sarò ancora?» «Spero di no. Posso entrare?» Misi Friday per terra; lui puntò subito alle scale. «È già ora di andare a dormire, ometto?» chiese Landen, seguendolo mentre si arrampicava sui gradini. Notai che nella cameretta c'erano due cancelletti di sicurezza ancora impacchettati, il che mi tranquillizzò. Aveva comprato anche un lettino e vari giocattoli. «Ho comprato qualche vestito». Aprì un cassetto. Era colmo di vestiti di tutti i tipi per il giovanotto e, nonostante alcuni sembrassero un po' piccoli, non dissi niente. Portammo Friday di sotto e Landen preparò qualcosa per cena. «Così sapevi che sarei tornata?» chiesi mentre tagliava i broccoli. «Oh, sì» rispose «non appena risolti questi fastidiosi problemi di sradicamento. Ti va di preparare il tè?» Andai al lavandino e riempii il bollitore. «Passi avanti sulla strategia per eliminare Kaine?» domandò Landen. «No» ammisi «ripongo tutte le mie speranze nella settima Rivelazione di san Zvlkx». «Quello che non capisco» disse Landen affettando le carote «è perché tutti tranne Formby diano sempre ragione a Kaine. Sono delle maledette pecore, nessuno escluso». «In effetti mi sorprende la mancanza di opposizione ai piani di Kaine» concordai, guardando sovrappensiero fuori dalla finestra della cucina. Aggrottai le sopracciglia: il germe di un'idea cominciava a fermentarmi in mente. «Land?» «Sì?» «Quando è stata l'ultima volta che Formby è stato vicino a Kaine?» «Mai. Lo evita come la peste. Kaine lo vorrebbe incontrare di persona, ma il presidente non vuole avere niente a che fare con lui».
«Ecco!» esclamai, in un improvviso lampo di ispirazione. «Ecco cosa?» «Be'...» Mi fermai perché avevo notato qualcosa in fondo al giardino. «Hai dei vicini impiccioni, Land?» «No». «Allora probabilmente è il mio stalker». «Hai uno stalker?» Lo indicai. «Certo. Proprio lì, in mezzo all'alloro, gesticola verso di me». «Vuoi che mi comporti da duro e lo scacci con un bastone?» «No. Ho un'idea migliore». «Ciao, Millon. Come va lo stalking? Ti ho portato una tazza di tè e una pasta». «Discretamente» rispose segnandosi sul taccuino l'ora in cui mi ero fermata a parlare con lui e spostandosi di lato per farmi posto nel cespuglio di alloro. «Come sta?» «Perlopiù bene. Perché mi facevi cenno?» «Ah!» fece. «Pubblicheremo un servizio sul Tredicesimo secolo su 'Cospirazioni oggi' e le volevo fare qualche domanda». «Prego». «'Non trova strano che almeno ventotto santi del Medioevo abbiano scelto quest'anno per la loro seconda venuta?'» «Veramente non mi ero posta il problema». «Mmm... bene. 'E non la colpisce l'idea che di questi ventotto presunti veggenti solo due - san Zvlkx e sorella Bettina di Stroud - abbiano effettivamen te formulato profezie che si sono anche solo in parte avverate?'» «Che stai dicendo?» «Che san Zvlkx potrebbe non essere affatto un santo del Tredicesimo secolo, ma un criminale che viaggia nel tempo. Fa illecitamente un salto nel Medioevo, mette per iscritto quello che si ricorda della storia e poi, al momento giusto, si catapulta in avanti per vedere avverarsi la sua 'Rivelazione'». «Sei impazzito?» chiesi. «Se quelli della CronoGuardia ne avessero sentore, sarebbe come se non fosse mai nato, letteralmente. Perché rischiare la non-esistenza per ottenere al massimo qualche anno di fama come naufrago del Tredicesimo secolo con un sacco di sgradevoli problemi alla pelle?» Millon alzò le spalle. «Non lo so. Pensavo che potesse essere lei ad aiutare me». Tacque. «Dimmi, Millon: c'è qualche nesso tra Kaine e l'ovinatore?» «Certo! Dovrebbe leggere più spesso 'Cospirazioni oggi'. Anche se molti dei nostri collegamenti tra tecnologia segreta e potentati sono del tutto fumosi , questo è veramente concreto: il suo assistente personale, Stricknene, lavorava con Schitt-Hawse alla divisione tecnologia della Goliath. Se la Goliath ha un ovinatore, può benissimo averlo anche Kaine. Sa che cosa fa, quindi?» Risi. Era esattamente la notizia che volevo sentire. «Vedrai. Dimmi» aggiunsi, di secondo in secondo più speranzosa, «che cosa sai sui vecchi laboratori di bioingegneria della Goliath?» «Huuuh!» fece, emettendo il suono di qualsiasi appassionato invitato a esprimersi sul suo campo di interesse. «Questo si chiama parlare! I vecchi laboratori della Goliath sono ancora in piedi in quella che chiamiamo Area 21, la zona vuota in mezzo al Galles, l'Elan». «Vuota metaforicamente o vuota letteralmente?» «Vuota nel senso che non ci va nessuno tranne i tecnici dell'acqua. E abbiamo dei dati per niente verificati, ma che spacciamo per veri, secondo
cui un numero imprecisato di tecnici è sparito senza lasciare traccia. In ogni caso, l'accesso è vietato e la zona è circondata da un recinto elettrificato». «Per evitare che entri qualcuno?» «No» disse lentamente Millon «per evitare che gli esperimenti genetici a cui stava lavorando la Goliath escano. Tutta l'Area 21 è infestata di chimere. Ho faldoni pieni di storie su gente che è entrata e a quel che si dice non si è più vista. Ma come mai le interessa l'impianto di Elan?» «Esperimenti genetici illegali compiuti clandestinamente su esseri umani da una multinazionale apparentemente innocente». Millon quasi svenne per l'overdose di dietrologia. Quando si riprese mi domandò come poteva aiutarmi. «Mi servono foto, piante, schemi tecnici, qualsiasi cosa possa essere utile per accedervi». Millon sgranò gli occhi e scrisse sul taccuino. «Sta andando nell'Area 21?» «No» risposi «ci stiamo andando tutti e due. Domani. Partiamo da qui alle sette del mattino, in punto. Riesci a trovare quello che ti ho chiesto?» Strinse gli occhi. «Le posso procurare le sue informazioni, Miss Next» disse lentamente e con un luccichio negli occhi «ma a un prezzo. Mi permetta di essere il suo biografo ufficiale». Gli porsi la mano e lui la strinse con gratitudine. «Affare fatto». Rientrai in casa e trovai Landen che parlava con un uomo vestito in modo leggermente pacchiano, con la montatura degli occhiali sgargiante, capelli biondi tinti e un pizzetto infinitesimale conficcato esattamente sotto il labbro inferiore. «Cara» disse, prendendo la mano che gli avevo posato sulla spalla, «ti presento il mio caro amico Handley Paige». Gli strinsi la mano. Somigliava a tutti gli altri scrittori di fantascienza che avevo conosciuto. Un po' nerd ma abbastanza simpatico. «Tu scrivi i libri dell'imperatore Zhark» osservai. Fece una lieve smorfia. «Nessuno parla mai delle cose decorose che scrivo» gemette «mi chiedono solo nuovi libri di Zhark. È nato per scherzo, un pastiche della fantascienza di serie B, e guarda se non è la cosa per cui sono diventato famoso». Ricordai quello che aveva detto l'imperatore Zhark. «Ora lo ucciderai, vero?» Handley sussultò. «Come fai a saperlo?» «Lavora per OPS-27» spiegò Landen «sanno tutto». «Pensavo che voialtri foste fissati con i classici». «Ci occupiamo di tutti i generi letterari» precisai. «Per ragioni che non posso rivelarti, ti suggerisco di abbandonare Zhark su un pianeta deserto piuttosto che sottoporlo all'umiliazione di un'esecuzione pubblica». Handley rise. «Ne parli come se fosse una persona vera!» «Prende il lavoro molto sul serio, Handley» commentò Landen senza neppure un accenno di sorriso. «Ti consiglio di tenere in grande considerazione quello che dice. È tutto un ingranaggio, Handley». Ma Handley era irremovibile. «Lo annienterò in modo talmente assoluto e radicale che nessuno mi chiederà mai un altro romanzo di Zhark. Grazie per il libro, Land. Ora vi saluto». «Handley sta correndo qualche pericolo?» domandò Landen appena se ne fu andato. «È possibile. Non sono sicura che il raggio della morte zharkiano funzioni anche nel Mondo reale, e mi dispiacerebbe se fosse Handley a scoprirlo». «È un arcano del Mondo dei libri, vero? Cambiamo argomento. Che cosa
voleva il tuo stalker?» Sorrisi. «Sai, Landen, le cose cominciano a sistemarsi. Devo chiamare Bowden». Composi rapidamente il numero. «Bowd? Sono Thursday. Ho un'idea su come superare il confine. Prepara tutto per domattina. Appuntamento a Leigh Delamere alle otto... non posso dirtelo... Stig e Millon... ci vediamo lì. Ciao». Chiamai Stig e gli dissi lo stesso, poi baciai Landen e gli chiesi se gli dispi aceva dar da mangiare a Friday. Ovviamente non gli dispiaceva, e scappai a parlare con Mycroft. Tornai in tempo per scrostare il cibo da Friday, leggergli una favola e farlo addormentare. Non era tardi, ma andammo a letto lo stesso. Quella sera non ci fu timidezza o imbarazzo e ci svestimmo rapidamente. Mi spinse sul letto e con le dita... «Aspetta!» gridai. «Che c'è?» «Non riesco a concentrarmi con tutta questa gente...!» Landen si guardò intorno: la camera era vuota. «Che gente?» «Quella gente» ripetei, gesticolando più o meno in tutte le direzioni, «quelli che ci stanno leggendo». Landen mi fissò e inarcò un sopracciglio. Mi sentii stupida, mi rilassai e feci un risolino nervoso. «Scusa. Ho vissuto troppo a lungo dentro la narrativa; qualche volta ho la strana sensazione che tu, io e tutto quanto siamo solo, be', personaggi di un libro o qualcosa del genere». «È palesemente ridicolo». «Lo so, lo so. Scusami. Dove eravamo?» «Proprio qui». 32 Area 21: la valle di Elan LA LEGGE SULLA LIBERTÀ DI ???????????? È ANCORA PIÙ VICINA, ANNUNCIA MR ???? La trasparenza del governo è quasi realtà da ieri, quando Mr ???? ha annunciato che offrirà tutto il suo sostegno alla legge sulla libertà di ????????. La legge, il cui scopo e mettere a disposizione di ???? informazioni di pertinenza del ?????un tempo top????, è stata accolta come "un grande passo avanti da Mr ????, il capo ?????? del ministero degli ?????. II principale avversario del disegno di legge, Mr ???? ha assicurato che quanto è vero che mi chiamo ???? non permetterò che passi questa ????".
Articolo apparso su «Il ????», ?? luglio 19?? Allora, qual è il piano?» chiese Bowden mentre andavamo verso Hayon-Wye, sul confine con il Galles. Erano circa le dieci del mattino, e stavamo viaggiando nella Griffin Sportina di fabbricazione gallese di Bowden, con Millon de Floss e Stig sui sedili posteriori. Ci seguiva un convoglio di dieci autocarri, tutti carichi di libri danesi proibiti. «Dunque» iniziai «non vi siete mai chiesti perché il parlamento se ne sta lì buono e fa tutto quello che chiede Kaine?» «Ho rinunciato anche solo a provare a capire il parlamento» disse Bowden. «Sono tutti lamentosi leccapiedi» commentò Millon. «Già il fatto che abbiate bisogno di un governo» aggiunse Stig «vi rende una forma di vita con difetti irrimediabili». «Anch'io ero perplessa» continuai. «Un parlamento del tutto accondiscendente ai peggiori eccessi di Kaine può significare solo una cosa: un sistema di controllo mentale a corto raggio nelle mani di politicanti senza scrupoli». «Questa sì che è una teoria che fa per me!» esclamò Millon entusiasta. «All'inizio non me ne ero resa conto, ma quando sono stata a Goliathopolis l'ho potuto sperimentare direttamente. Una specie di sensazione di inebetimento che ti invoglia ad assecondare la corrente, seguire il cammino di minima resistenza, per quanto sia insensato o sbagliato. Ne avevo visto l'effetto anche durante le riprese di 'Schiva la domanda': la prima fila pendeva dalle labbra di Kaine, qualunque cosa dicesse». «Qual è il nesso?» «Ho provato le stesse sensazioni nel laboratorio di Mycroft. Ma è solo quando Landen ha fatto un commento sarcastico che mi si è accesa la lampadina. L'ovinatore. Tutti pensavamo che 'ovin' c'entrasse con le uova, e invece no. Ha a che fare con le pecore. L'ovinatore trasmette onde cerebrali subalfa che inibiscono la volontà e instillano tendenze ovine nella mente di chi si trova nelle vicinanze. Può essere sintonizzato sull'utilizzatore che così non ne subisce l'effetto; è possibile che la Goliath ne abbia messo a punto una versione a lungo raggio chiamata Ovitron assieme all'antidoto. Mycroft ritiene di averlo inventato per trasmettere messaggi di pubblica utilità relativi alla salute, ma non se lo ricorda. La Goliath se ne impadronisce, Stricknene lo passa a Kaine: è fatta. Il parlamento fa tutto quello che chiede Kaine. L'unico motivo per cui Formby è ancora antiKaine è perché si tiene alla larga». Nell'automobile calò il silenzio. «Che cosa possiamo fare?» «Mycroft sta lavorando a un ovinegatore che dovrebbe contrastarne l'effetto, e noi portiamo avanti il nostro piano. La valle di Elan, e la vittoria al Superhoop». «Perfino io faccio fatica a crederci» mormorò Millon «e non mi era mai capitato». «E come faremo a uscire dall'Inghilterra?» chiese Bowden. Carezzai la valigetta che tenevo in grembo. «Con l'ovinatore dalla nostra parte, nessuno opporrà resistenza». «Non sono sicuro che sia moralmente accettabile» disse Bowden. «Insomma, non ci rende simili a Kaine?» «Dovremmo fermarci a parlarne» aggiunse Millon. «Un conto è inventarsi storie su esperimenti di controllo mentale, un'altra usarli veramente». Aprii la valigetta e azionai l'ovinatore. «Chi è d'accordo con me sull'idea di andare a Elan, ragazzi?» «Be', d'accordo, insomma» ammise Bowden «penso di essere con te». «Millon?» «Io faccio come dice Bowden». «Funziona veramente, eh?» osservò Stig, con un lieve colpo di tosse. Anch'io ridacchiai tra me.
Oltrepassare il posto di controllo inglese a Clifford fu persino più facile di quanto avessi immaginato. Mi presentai per prima con l'ovinatore nella valigetta e indugiai al posto di blocco, chiacchierando con la guardia e imbeven do per bene lui e la piccola guarnigione per mezz'ora prima che arrivasse Bowden con i dieci camion al seguito. «Che cosa c'è in questi camion?» chiese la guardia con un certo grado di torpore nella voce. «Non c'è bisogno che controlliate i camion» dissi. «Non c'è bisogno che controlliamo i camion» fece eco la guardia di confine. «Possiamo proseguire senza problemi». «Potete proseguire senza problemi». «Sarai più gentile con la tua fidanzata». «Sarò molto più gentile con la mia fidanzata... Andate». Ci fece cenno di proseguire e attraversammo la zona demilitarizzata fino a raggiungere le guardie di confine gallesi, che chiamarono il loro colonnello appena spiegammo che avevamo dieci autocarri pieni di libri danesi da affidare in custodia. Ci fu una telefonata lunga e complessa con qualcuno del consolato danese, e dopo circa un'ora noi e i camion fummo scortati fino a un hangar in disuso nell'aerodromo di Llandrindod Wells. Il colonnello si offrì di farci riaccompagnare al confine, ma azionai di nuovo l'ovinatore e gli dissi che poteva riportare indietro i camionisti ma che doveva lasciarci proseguire per la nostra strada: decise rapidamente che era il piano migliore. Dieci minuti più tardi eravamo diretti a nord, verso l'Elan; ci guidava Millon con una vecchia mappa turistica degli anni Cinquanta. Dopo aver superato Rhaydr, il terreno si fece più irregolare, le fattorie sempre più rare e sulla strada c'erano via via più buche, finché, quando il sole giunse allo zenit e cominciò la sua lenta discesa, raggiungemmo una serie di alti cancelli coperti di filo spinato arrugginito. C'era un vecchio posto di guardia in pietra con due guardie molto annoiate, per le quali bastò una dose piccolissima di ovinatore perché sconnettessero il recinto elettrificato e ci facessero passare. Bowden avanzò con l'automobile e si fermò davanti a un altro recinto a una ventina di metri dal primo. Questo non era elettrificato, quindi lo aprii per far passare l'automobile. All'interno dell'Area 21 la strada era in condizioni ancora peggiori. Grossi ciuffi d'erba crescevano nelle crepe del fondo di cemento e ogni tanto eravamo rallentati da alberi caduti sulla strada. «Ora mi volete spiegare che cosa ci facciamo qui?» chiese Millon, guardando con interesse dal finestrino e scattando fotografie. «Due motivi» risposi, studiando la mappa che Millon aveva ottenuto grazie ai suoi colleghi cospirazionisti, «primo, pensiamo che qualcuno abbia creato cloni di Shakespeare e me ne serve uno con una certa urgenza e, secondo, vogliamo trovare informazioni riproduttive vitali per Stig». «Allora è vero che non potete avere bambini?» A Stig piaceva Millon perché faceva queste domande dirette. «È vero» disse con semplicità, caricando il suo lanciadardi con tranquillanti delle dimensioni di sigari Avana. «Qui gira a sinistra, Bowd». Cambiò marcia, sterzò e ci ritrovammo su un tratto di strada ai cui lati si stendeva una foresta oscura. Proseguimmo in salita, voltammo a sinistra dopo un macigno e ci fermammo. Il passaggio era ostruito da un'automobile arrugginita capovolta. «Rimani in macchina e tieni il motore acceso» dissi a Bowden. «Millon, resta lì. Stig, con me». Stig e io scendemmo e ci avvicinammo cautamente al veicolo capovolto. Era una Studebaker costruita su licenza, che avrà avuto dieci anni. Guardai dentro. I vandali non arrivavano fin qui. Il vetro del tachimetro era intatto, le chiavi arrugginite ancora inserite, il cuoio dei sedili pendeva a brandelli marciti. A terra c'era una valigetta sbiadita dal sole, piena di incartamenti
tecnici relativi all'acqua, completamente spappolati e scoloriti dal vento e dalla pioggia. Non c'era traccia degli occupanti. Avevo pensato che Millon straparlasse con tutte quelle sue storie sulle "chimere che scorrazzano in libertà", ma improvvisamente mi sentii nervosa. «Miss Next!» Era Stig. Era circa dieci metri più avanti e stava accovacciato, con il fucile sulle ginocchia. Lo raggiunsi lentamente, tenendo d'occhio con ansia la fitta foresta ai lati della strada. Era tutto silenzioso. Fin troppo silenzio so. Il suono dei miei passi era assordante. «Che c'è?» Indicò a terra. C'era un'ulna umana sulla strada. Da quell'incidente almeno una persona non era uscita viva. «Ha sentito?» chiese Stig. Ascoltai. «No». «Esatto. Nessun rumore. Ci sembra consigliabile muoverci». Ruotammo l'automobile facendo perno sul tettuccio per sgomberare il passaggio e proseguimmo, adesso molto più lentamente e in silenzio. Oltrepassammo altre tre automobili su quel tratto di strada, due rovesciate su un lato e una spinta sul ciglio della strada. Nessuna di esse mostrava la minima traccia degli occupanti, e la foresta su entrambi i lati sembrava, se possibile, ancora più oscura, fitta e impenetrabile via via che procedevamo. Fui felice quando raggiungemmo la sommità della collina, superammo la foresta e passammo in discesa accanto a una piccola diga e un lago, dopodiché un tratto in salita ci portò in vista dei laboratori di bioingegneria della Goliath. Chiesi a Bowden di fermarsi. Accostò in silenzio e scendemmo tutti per osservare con il binocolo il vecchio stabilimento. Era in una posizione splendida, proprio sulla riva del bacino. Ma al confronto con quello che ci eravamo aspettati assecondando l'immaginazione iperattiva di Millon e vedendo una fotografia malridotta del suo periodo migliore, fu un po' una delusione. L'impianto era stato a suo tempo un complesso vasto e disordinato, costruito nello stile art déco prediletto per le fabbriche negli anni Trenta, ma doveva aver subito, molti anni prima, un tentativo di demolizione, affrettato e perlopiù fallito. Anche se buona parte della costruzione era stata distrutta o era crollata, l'ala est era relativament e indenne. Eppure pareva che non ci fosse stato nessuno da anni, se non da decenni. «Che cos'era?» disse Millon. «Che cos'era cosa?» «Un rumore tipo 'yummy'». «Speriamo che fosse il vento. Andiamo a vedere la fabbrica più da vicino». Scendemmo giù per la collina e parcheggiammo davanti all'edificio. La facciata era ancora imponente nonostante avesse ceduto per metà, e conservava addirittura buona parte delle decorazioni e della piastrellatura esterna di ceramica. Era chiaro che la Goliath aveva in mente grandi cose per questo posto. Ci facemmo strada tra le macerie di cui erano cosparse le scale e raggiungemmo il doppio portone. Entrambe le ante erano state divelte dai cardini e una presentava notevoli solchi simili a scanalature, che interessarono molto Millon. Entrai. Il pavimento dell'atrio ovale era cosparso di pezzi di mobilio e calcinacci. Il controsoffitto in vetro, un tempo stupendo, era crollato da anni e così ora nell'interno altrimenti tenebroso penetrava la luce del giorno. Il vetro strideva e si spezzava al nostro passaggi o. «Dove sono i laboratori principali?» chiesi, desiderosa di non rimanere lì dentro un minuto più del dovuto. Millon aprì uno schema tecnico cianografato. «Dove l'hai trovata, tutta questa roba?» domandò incredulo Bowden. «L'ho avuta in cambio di un piede di yeti del monte Cairngorm» rispose
Millon come se stesse parlando di scambi di figurine. «Di qua». Attraversammo l'edificio, superando pezzi di muri abbattuti e di soffitto crollato, verso l'ala est, quasi intatta. Qui il tetto era più integro e le nostre torce illuminavano di sfuggita uffici e sale di incubazione in cui erano allinea te lungo le pareti file e file di recipienti di liquido amniotico. Sul fondo di molti di essi erano visibili i resti liquefatti di una potenziale forma di vi ta. La Goliath se n'era andata precipitosamente. «Che cosa c'era qui?» domandai con voce poco più forte di un bisbiglio. «Questo» mormorò Millon, consultando la mappa, «era il laboratorio principale per la lavorazione delle tigri dai denti a sciabola. L'ala Neandertal dovrebbe essere in quella direzione, la prima a sinistra». La porta era chiusa a chiave, ma era quasi completamente marcia e non ci volle molto per buttarla giù. C'erano carte sparse ovunque, probabilmente in un fallito tentativo di distruggerle. Ci fermammo sulla soglia e lasciammo che Stig entrasse da solo. La sala era lunga una trentina di metri e larga dieci. Era simile al laboratorio delle tigri, ma con recipienti amniotici più grandi. I tubi di vetro per le sostanze nutritive erano ancora ben visibili: rabbrividii. Per me era un luogo assolutamente inquietante, ma per Stig era la sua prima casa. Lui, insieme a molte migliaia di suoi simili ex estinti, era cresciuto qui. Io avevo sequenziato Pickwick in casa, usando solo utensili da cucina e l'avevo fatta crescere in un uovo d'oca privato del nucleo. Uccelli e rettili erano un conto; lo sviluppo ombelicale dei mammiferi era un altro. Stig si fece strada con cautela tra i tubi deformati e i frammenti di vetro fino a una porta dalla parte opposta e trovò la sala di decantazione in cui i neonati neandertaliani venivano estratti dai recipienti amniotici e respiravano per la prima volta. Più oltre c'era il nido in cui venivano allevati i piccoli. Se37° guimmo Stig. Si fermò a una vetrata che dava sul bacino. «Quando sogniamo, vediamo questo» sussurrò. Poi, evidentemente nel timore di perdere tempo, si diresse di nuovo verso la sala di incubazione e cominciò a rovistare negli schedari e nei cassetti. Gli dissi che lo aspettavamo fuori e raggiunsi Millon, che cercava di orientarsi con la sua mappa. Percorremmo in silenzio varie altre sale con molti altri recipienti amniotici, finché raggiungemmo un'area di massima sicurezza chiusa da cancelli di acciaio. Il cancello era aperto e lo superammo, entrando in quella che era stata la zona più segreta dell'intero impianto. Dopo una decina di passi, arrivammo in un vasto ambiente, e capimmo di aver trovato quello che cercavamo. Nell'ampia sala era stato riprodotto a grandezza naturale il Globe Theatre. Il palcoscenico e lo spazio per gli spettatori erano cosparsi di pagine strappate dalle opere di Shakespeare, annotate abbondantemente in inchiostro nero. In una stanza adiacente trovammo un dormitorio con spazio per duecento letti. Tutte le coperte e i materassi erano accatastati in un angolo, mentre le brande erano a pezzi e deformate. «In quanti pensate che siano passati di qui?» chiese Bowden in un bisbiglio. «Centinaia e centinaia» rispose Millon, mostrando una copia malconcia di I due gentiluomini di Verona con scritto, sull'interno della copertina, "Shaxpreke, W., 769". Scosse la testa con tristezza. «Che ne è stato di loro?» «Morti» disse una voce «morti, ci potete scommettere un ducato!» 33 Shgakespeafe "TUTTO IL MONDO E UN TEATRO" DICHIARA DRAMMATURGO
Questa similitudine riferita alla vita è stata offerta ieri da Mr William Shakespeare in occasione della prima della sua ultima opera, al Globe. Mr Shakespeare ha proseguito paragonando i lavori teatrali con le sette fasi della vita dichiarando che "tutti gli uomini e le donne non sono che attori. Hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, recita parecchie parti". L'ultima proposta di Mr Shakespeare, una commedia dal titolo A piacer vostro, ha ottenuto reazioni eterogenee: la «Southwark Gazette» l'ha definita "una commedia briosa tra le più riuscite", il «Westminster Evening News» "spazzatura pacchiana del cazzone del Warwickshire". Mr Shakespeare si è rifiutato di commentare, mentre è già al lavoro sul seguito. Articolo apparso su «Blackfriars News», settembre 1589 Ci girammo e vedemmo un omino dai capelli scompigliati e incolti, in piedi sulla soglia. Era vestito in abiti elisabettiani che avevano visto giorni molto migliori e aveva i piedi avvolti in strisce di stoffa che fungevano da scarpe rudimentali. Soffriva di vari tic nervosi e teneva un occhio chiuso, ma a parte questo la somiglianza con gli Shakespeare trovati da Bowden era indubbia. Un sopravvissuto. Mi avvicinai. Aveva il viso provato e coperto di rughe, e i denti che gli rimanevano erano marrone e sciupati. Doveva avere almeno settant'anni, ma non importava. Il genio che era stato Shakespeare era morto nel 1616, ma dal punto di vista genetico era lì con noi, in quel momento. «William Shakespeare?» «Sono un William, signore, e il mio nome è Shgakespeafe» corresse. «Mr Shgakespeafe» ricominciai, incerta su come spiegare esattamente quello che mi serviva, «mi chiamo Thursday Next e ho un principe danese che ha urgente bisogno del suo aiuto». Guardò me, Bowden, Milton quindi di nuovo me. Poi tra i suoi lineamenti scavati apparve un sorriso. «O meraviglia!» disse alla fine. «Come è bello il genere umano! O magnifico nuovo mondo che contiene simili abitatori!» Fece un passo avanti e ci strinse calorosamente la mano; sembrava che non vedesse nessuno da un pezzo. «Che è successo agli altri, Mr Shgakespeafe?» Ci fece cenno di seguirlo e partì come una gazzella. Non fu facile tenergli dietro mentre sfrecciava nei corridoi labirintici, evitando agilmente macerie e cocci di vetri. Lo raggiungemmo quando si fermò davanti a una finestra rotta che dava su quello che doveva essere stato un grande campo di addestramento. In mezzo c'erano due tumuli erbosi. Non ci voleva una grande immaginazione per indovinare che cosa vi era sotto. «O cuore, oppresso cuore, perché sospiri senza essere infranto?» mormorò
addolorato Shgakespeafe. «Dopo il massacro di tanti pari per falsità e insidie, quando verranno abbattuti i nostri grandi rigenitori?» «Vorrei poter affermare che i suoi fratelli saranno vendicati» gli dissi con tristezza «ma onestamente gli uomini che hanno fatto tutto questo ora sono morti. Posso solo offrire la mia protezione a lei e a chiunque altro fosse sopravvissuto». Considerò attentamente ogni mia parola e sembrò colpito dalla mia sincerità. Guardai oltre le fosse comuni degli Shakespeare e vidi altri tumuli. Pensavo che ne avessero clonato una ventina, non centinaia. «Ci sono altri Shakespeare, qui?» chiese Bowden. «Solo io: ma la notte riecheggia dei lamenti dei miei cugini» rispose Shgakespeafe. «Li udrete immantinente». Come a conferma delle sue parole si udì uno strano grido dalle colline. Avevamo sentito qualcosa del genere quando Stig aveva ucciso la chimera a Swindon. «Noi non siamo al sicuro, Clarence, non siamo al sicuro, qui» disse Shgakespeafe, guardandosi attorno nervosamente. «Seguitemi, e datemi ascolto, amici». Ci fece strada lungo il corridoio e in una stanza piena di scrivanie disposte in file ordinate, ognuna con una macchina da scrivere. Una sola macchina sembrava vagamente in condizioni di funzionare; attorno c'erano pile e pile di fogli dattiloscritti: il frutto degli sforzi di Shgakespeafe. Ci fece avvicinare e ci porse qualche suo scritto da leggere, osservandoci speranzoso mentre scorrevamo i fogli. Purtroppo non era niente di speciale: solo brani di drammi esistenti ricombinati in nuovi significati. Cercai di immaginare l'intera stanza piena di cloni di Shakespeare che facevano ticchettare le macchine da scrivere, con le teste piene delle commedie del Bardo, mentre gli scienziati passavano tra i tavoli nella speranza di trovarne uno, almeno uno, che avesse anche solo metà del talento dell'originale. Shgakespeafe ci guidò nell'ufficio accanto alla sala di scrittura, e ci mostrò pile e pile di incartamenti, ognuno confezionato in carta da pacchi che riportava su un'etichetta il nome del clone di Shakespeare che lo aveva scritto. Quando la produzione di testi superò la possibilità di valutarli, la gente che lavorava qui poteva solo archiviare quello che era stato scritto e metterlo da parte perché qualche addetto futuro lo esaminasse. Guardai di nuovo il cumulo di carte. Nel magazzino dovevano essercene venti tonnellate o più. C'era un buco nel soffitto e aveva piovuto dentro; buona parte di questa montagna di carta era bagnata, ammuffita e friabile. «Ci vorrebbe un'eternità per analizzare tutto e trovare qualcosa di potenzialmente interessante» rifletté Bowden, che mi era arrivato accanto. Forse, alla fine, l'esperimento aveva avuto successo. Forse c'era qualcuno al livello di Shakespeare tra quelli sepolti nella fossa comune, lì fuori, e le sue opere erano da qualche parte nelle profondità della montagna di testo inintelligibile che avevamo di fronte. Non lo avremmo mai saputo, e se anche fosse successo non ci avrebbe insegnato nulla di nuovo: solo che era possibile farlo e che altri ci avrebbero potuto provare. Mi augurai che il cumulo di carte marcisse lentamente indisturbato. Per cercare la somma arte, la Goliath aveva commesso un crimine che andava al di là di tutto quello che avevo visto finora. Millon scattò alcune fotografie: il suo flash illuminava l'interno buio dello scriptorium. Rabbrividii e decisi che dovevo andarmene da quel luogo opprimente. Bowden e io tornammo all'ingresso dell'edificio e ci sedemmo tra i detriti sulla scalinata, accanto a una statua crollata di Socrate con uno stendardo che proclamava l'importanza della ricerca della conoscenza. «Pensi che avremo problemi a convincere Shgakespeafe a venire con noi?» mi domandò. Come in risposta, Shgakespeafe uscì cautamente dall'edificio. Aveva una valigia logora e batteva le palpebre alla violenta luce del sole. Senza aspettar e che glielo chiedessimo si sedette sul sedile posteriore dell'automobile
e cominciò a scribacchiare in un taccuino con un mozzicone di matita. «Tu cosa ne dici?» Il sole calò dietro la collina di fronte a noi e l'aria si fece improvvisamente più fredda. Ogni volta che proveniva un rumore strano dalle colline Shgakespeafe sobbalzava e si guardava attorno nervosamente, dopodiché riprendeva a scribacchiare. Stavo per andare a chiamare Stig, quando uscì dall'edificio portando tre enormi volumi rilegati in pelle. «Ha trovato quello che le serviva?» Mi passò il primo libro, che aprii a caso. Scoprii che era un manuale della Goliath per costruire un Neandertal. La pagina a cui ero capitata descriveva dettagliatamente la mano neandertaliana. «Un manuale completo» disse lentamente. «Con questo potremo avere bambini». Gli resi il volume e lui lo mise con gli altri nel bagagliaio dell'automobile. Si udì l'ennesimo lamento inumano in lontananza. «Un gemito mortale» mormorò Shgakespeafe, rincantucciandosi sul sedile, «come quando la vita e la morte si sciolgono l'una dall'altra!» «Sarà meglio muoversi» dissi. «C'è qualcosa in giro e ho l'impressione che sia il caso di andarsene prima che diventi troppo curioso». «Una chimera?» chiese Bowden. «Per dirla tutta, non ne abbiamo vista una, da quando siamo qui». «Non le vediamo perché non vogliono farsi vedere» osservò Stig. «Ci sono chimere, qui. Chimere pericolose». «Grazie, Stig» disse Milton asciugandosi la fronte con un fazzoletto «questo mi conforta molto». «È la verità, Mr de Floss». «Be', in futuro se la tenga per sé, la verità». Chiusi lo sportello posteriore appena Stig si fu incuneato in macchina accanto a Shgakespeafe e mi sedetti sul sedile anteriore. Bowden partì a tutta la velocità permessa dall'automobile. «Milton, esiste una strada alternativa che ci eviti di passare per quella zona boscosa dove abbiamo trovato le altre macchine?» Consultò la mappa per un momento. «No. Perché?» «Perché sembrava un buon posto per un agguato». «Di bene in meglio...» «Niente affatto» rispose Stig, che prendeva tutto alla lettera, «non è un bene. Troviamo estremamente sgradevole la prospettiva di essere mangiati dalle chimere». «Sgradevole?» ripeté Milton. «Essere mangiati è sgradevole?» «Precisamente» disse Stig «i manuali di istruzioni neandertaliani sono di gran lunga più importanti di noi». «Questa è la sua opinione» ribatté Milton. «In questo momento non c'è niente di più importante di me». «Tipico degli esseri umani» rispose piatto Stig. Procedemmo a tutto gas, riattraversammo il passaggio vicino alla roccia e ci dirigemmo verso la foresta. «Dal prurito che ai pollici sento» osservò Shgakespeafe con tono sinistro «vien qui qualcosa di cruento!» «Laggiù!» gridò Milton, puntando un dito tremante fuori dal finestrino. Feci in tempo a intravedere un grosso animale prima che sparisse dietro una quercia abbattuta, poi un altro che saltava di albero in albero. Non si nascondevano più. Le vedevamo tutti, mentre percorrevamo la strada in mezzo alla foresta, superando le automobili abbandonate. Si muovevano a balzi tra le piante, creature grottesche, creazioni sperimentali di un'industria non ancora regolamentata. Udimmo un tonfo quando una di esse spuntò dal bosco, saltò sul tettuccio dell'automobile e sparì tra gli alberi con un grido. Guardai dal finestrino posteriore e vidi qualcosa di indicibilment e
sgradevole raspare per la strada alle nostre spalle. Estrassi l'automatica e Stig abbassò il finestrino, tenendo pronto il fucile lanciadardi. Uscimmo da una curva e Bowden inchiodò. Una fila di chimere bloccava la strada. Bowden fece ripartire l'auto in retromarcia, ma alle nostre spalle franò rumorosamente un albero, impedendoci la ritirata. Eravamo finiti in trappola, la trappola era scattata, e ormai all'intrappolatore non restava che sfogarsi liberamente sulla preda. «Quante?» chiesi. «Dieci davanti» disse Bowden. «Un paio di dozzine dietro» aggiunse Stig. «Un sacco sui lati!» tremolò Milton, che era più abituato a inventare fatti che combaciassero con le sue bizzarre teorie cospirazioniste che ad assistervi personalmente. «Che segno di cattiva vita» commentò Shgakespeafe «quando l'avvicinarsi della morte appare terribile!» «D'accordo» mormorai «mantenete la calma e quando ve lo dico aprite il fuoco». «Non sopravvivremo» disse Stig con tono sereno. «Loro sono troppi, noi troppo pochi. Suggeriamo una strategia diversa». «E cioè?» Stig rimase momentaneamente senza parole. «Non lo sappiamo. Solo una diversa». Le chimere sbavavano ed emettevano bassi gemiti mentre si avvicinavano. Ognuna era un caleidoscopio di diverse parti del corpo, come se i loro creatori si fossero sfidati in una perversa gara di assortimento genetico. «Al tre, premi l'acceleratore a tavoletta e parti» dissi a Bowden. «Voialtri aprite il fuoco con tutto quello che abbiamo». Porsi la pistola di Bowden a Floss. «La sai usare?» Annuì e tolse la sicura. «Uno... due...» Mi interruppi perché un grido dalla foresta aveva spaventato le chimere. Quelle che avevano le orecchie le aguzzarono, si fermarono e poi si diedero alla fuga terrorizzate. Non era il caso di provare sollievo. Le chimere erano cattive, ma qualcosa che atterriva le chimere poteva essere solo peggiore. Udimmo di nuovo il grido. «Sembra umano» mormorò Bowden. «Umano come?» aggiunse Millon. Seguirono varie altre grida da più di una direzione, e quando l'ultima delle chimere spaventate sparì nella vegetazione trassi un sospiro di sollievo. Dai cespugli alla nostra destra apparve un gruppo di uomini. Erano tutti molto bassi e indossavano quella che sembrava l'uniforme sbiadita e a brandelli dell'esercito francese. Alcuni portavano cappelli malconci con la coccarda, altri non avevano la giacca ma solo una camicia bianca di lino sporca. Il mio sollievo fu di breve durata. Rimasero sul limitare della foresta a guardarci sospettosi, con pesanti randelli in mano. «Qu'est-ce que c'est?» chiese uno, indicandoci. «Anglais?» domandò un altro. «Les rosbifs? Ici, en France?» disse un terzo con tono scandalizzato. «Non, ce n'est pas possible!» Non serviva un genio per capire chi fossero. «Una banda di Napoleoni» sibilò Bowden. «A quanto pare la Goliath non ha provato solo a perpetuare il Bardo. Il potenziale militare di un Napoleon e clonato nel massimo del suo splendore sarebbe impagabile». I Napoleoni ci fissarono per un momento e poi confabularono tra loro a bassa voce, litigarono, gesticolarono platealmente, alzarono la voce e nel complesso dissentirono l'uno dall'altro. «Andiamo via» bisbigliai a Bowden. Ma appena l'automobile ingranò la marcia i Napoleoni si misero in azione, gridando: «Au secours! Les rosbifs s'échappent! N'oubliez pas Agin-
court! Vite! Vite!» e diedero l'assalto all'automobile. Stig fece partire un colpo e riuscì a piazzare un tranquillante nella coscia di un Napoleone dall'aspet to particolarmente violento. Presero l'automobile a randellate, spaccarono i finestrini e ci seppellirono sotto una cascata di frammenti di vetro. Azionai il blocco centralizzato degli sportelli con un gomito proprio mentre un Napoleone combatteva con la mia maniglia. Stavo per sparare a bruciapelo in faccia a un altro Napoleone, quando ci fu una tremenda esplosione una trentina di metri davanti a noi. La macchina fu scossa dallo spostamento d'aria e fu avvolta per un momento da una nube di fumo. «Sacrebleu.'» strillò Napoleone, interrompendo l'attacco. «Le Grand Nez! Avancez, mes amis, mort aux ennemis de la République!» «Vai!» urlai a Bowden che, nonostante fosse stato colpito di striscio da Napoleone, era ancora più o meno cosciente. L'automobile avanzò traballando e afferrai il volante per evitare una banda di una ventina di Wellington malconci in vario grado che sfrecciavano rasentando la macchina nella fretta di far fuori i Napoleoni. «Alla carica, guardie!» udii gridare Wellington mentre prendevamo velocità in discesa, superando un cannone fumante e le automobili abbandonate che avevamo visto venendo. Nel giro di pochi minuti eravamo lontani dalla foresta e dalle fazioni in lotta, e Bowden rallentò. «State tutti bene?» Risposero tutti affermativamente, anche se non erano incolumi. Milton era terreo e per sicurezza gli tolsi la pistola di Bowden. A Stig stava comparen do un ematoma sulla guancia e io avevo vari tagli sulla faccia. «Mr Shgakespeafe» chiesi «sta bene?» «State attenti» disse cupo «il senso di sicurezza facilita il complotto». Arrivammo ai cancelli, uscimmo dall'Area 21, e via via che scendeva il buio della sera raggiungemmo il confine e infine casa. 34 San Zvlkx e Cindy "KAINE È UN PERSONAGGIO DI FANTASIA" AFFERMA UN TALE DI BOURNEMOUTH Mr Martin Piffco, installatore di cucine a gas, ha fatto ieri questa ridicola affermazione, insinuando che il beneamata leader della nazione sarebbe semplicemente un personaggio di fantasia "diventato reale". Parlando dal Centro di accoglienza per persone troppo strane di Bournemouth, a cui è stato affidato "per la sua sicurezza", Mr Piffco è stato più specifico e ha paragonato Mr Yorrick Kaine a un personaggio secondario dotato di un'opinione eccessiva di sé di un romanzo di Daphne Farquitt intitolato Lussuria di lusso. Il gabinetto del cancelliere ha parlato di "semplice coincidenza", ma ha ugualmente disposto il sequestro
del libro della Farquitt. Mr Piffco, che è stato incriminato con imputazioni imprecisate, ha già fatto parlare di sé l'anno scorso con simili ridicole dichiarazioni circa gli investimenti che Kaine e la Goliath farebbero in "esperimenti per il controllo mentale". Articolo apparso su «Il gazzettino di Bournemouth» 15 marzo 1987 Mi svegliai e guardai Landen alla prima luce del mattino che aveva cominciato a insinuarsi in camera da letto. Russava leggerissimamente e lo tenni tra le braccia a lungo prima di alzarmi, mettermi una vestaglia e passare in punta di piedi davanti alla stanza di Friday, andando di sotto a preparare il caffè. Entrai nello studio di Landen mentre aspettavo che l'acqua bollisse, mi sedetti al pianoforte e suonai pianissimo un accordo. Il sole fece capolino sopra il tetto della casa di fronte in quel preciso istante e proiettò nella stanza un raggio arancione. Sentii scattare il bollitore e tornai in cucina. Versando l'acqua calda sul caffè macinato udii un lieve gemito. Mi fermai per capire se ne seguiva un altro. Un singolo gemito poteva significar e semplicemente che si stiracchiava e non c'era bisogno di intervenire. Due gemiti o più significava: Ragazzino affamato, impaziente di divorare cinque o dieci litri di porridge. Dieci secondi dopo ci fu un secondo gemito e stavo già per muovermi quando sentii un tonfo e qualcosa che sfregava contro il pavimento di sopra: Landen si era messo la gamba e stava percorrendo il corridoio per andare da Friday. Si sentirono altri passi quando tornò in camera, e poi silenzio. Mi rilassai, bevvi un sorso di caffè e rimasi seduta al tavolo della cucina, sprofondata nei pensieri. Il Superhoop sarebbe stato l'indomani e io avevo la mia squadra: la domanda era, sarebbe servito? Non era escluso che trovassimo una copia di Lussuria di lusso, ma non contavo neanche su questo. C'era una mezza probabilità che Shgakespeafe riuscisse a sbrogliare Le allegre comari di Elsinore, e che Mycroft inventasse subito un ovinegatore. Ma nessuno di questi problemi impellenti era al primo posto nella mia mente: per me la cosa più importante era che quella mattina alle undici Cindy avrebbe cercato di uccidermi per la terza e ultima volta. Avrebbe fallito e sarebbe morta. Pensai a Spike e a Betty e sollevai la cornetta. Immaginai che lui avesse il sonno pesante e avevo ragione: rispose Cindy. «Sono Thursday». «Professionalmente questa mossa è molto scorretta» disse Cindy con voce assonnata. «Che ore sono?» «Le sei e mezzo. Ascolta, che ne diresti di rimanere a casa e non andare al lavoro, oggi?» Ci fu un momento di silenzio. «Non posso» rispose infine. «Mi sono organizzata per la bambina e tutto quanto. Ma nulla ti impedisce di lasciare la città e non tornare mai più». «È anche la mia città, Cindy». «Vattene ora, o dovranno dare una spolverata alla tomba di famiglia dei Next». «No». «Allora» concluse Cindy, sospirando, «non c'è più niente di cui discutere. Ci vediamo... anche se dubito che tu vedrai me». Riattaccò e io posai delicatamente la cornetta. Mi sentivo male. Oggi sarebbe morta la moglie di un caro amico e la cosa era dura da mandar giù. «Che succede?» chiese una voce vicina. «Sembri sconvolta».
Era Mrs Tiggy-winkle. «No» risposi «è tutto a posto. Grazie per essere venuta; ho rimediato un William Shakespeare. Non è l'originale, ma gli somiglia abbastanza per fare al caso nostro. È nella credenza». Aprii lo sportello della credenza e un Shgakespeafe spaventato alzò lo sguardo da dove stava scrivendo alla luce di una candela che si era attaccato in testa. La cera aveva cominciato a colargli in faccia, ma lui sembrava non farci caso. «Mr Shgakespeafe, lei è la porcospina di cui le parlavo». Chiuse il suo taccuino e fissò Mrs Tiggy-winkle. Non era minimamente impaurito o sorpreso: dopo gli abominii che aveva evitato quasi quotidianamente nell'Area 21, immagino che una porcospina alta un metro e ottanta fosse un sollievo. Mrs Tiggy-winkle fece un'elegante riverenza. «Molto lieta di fare la sua conoscenza, Mr Shgakespeafe» disse educatamente. «Mi vuole seguire, per favore?» «Chi c'era?» domandò Landen quando scese in cucina poco più tardi. «Era Mrs Tiggy-winkle che prelevava un clone di William Shakespeare per salvare l'Amleto dalla distruzione definitiva». «Non riesci mai a essere seria, eh?» Rise e mi abbracciò. Avevo fatto entrare in casa Shgakespeafe senza che Landen se ne accorgesse. So che bisogna essere onesti e sinceri con il proprio coniuge, ma sospettavo che ci fosse un limite a tutto, e non volevo raggiungerlo troppo presto. Friday venne a fare colazione dieci minuti dopo. Era arruffato, assonnato e un po' scontroso. «Quis nostrud laboris» gemette. «Nisi ut aliquip ex consequat». Gli diedi qualche toast e frugai nel ripostiglio sotto le scale in cerca del mio giubbotto antiproiettile. Ora tutte le mie cose erano di nuovo a casa di Landen come se non me ne fossi mai andata. Le derapate temporali lasciavano perplessi, ma ci si abitua quasi a tutto. «Perché ti metti il giubbotto antiproiettile?» Era Landen. Accidenti. Avrei dovuto mettermelo alla centrale. «Che giubbotto antiproiettile?» «Quello che stai cercando di indossare». «Ah, questo giubbotto antiproiettile. No, niente, così. Ascolta, se a Friday viene fame gli puoi preparare uno spuntino. Gli piacciono le banane; forse è bene comprarne delle altre. E se viene a trovarvi una gorilla, è solo quella Mrs Bradshaw di cui ti ho parlato». «Non cambiare argomento. Perché mai andresti al lavoro indossando un giubbotto antiproiettile 'No, niente, così'?» «È una precauzione». «Una polizza assicurativa è una precauzione. Un giubbotto antiproiettile significa che stai correndo più rischi del dovuto». «Ne correrei di più grossi senza». «Che sta succedendo, Thursday?» Feci un gesto vago con la mano e cercai di buttarla sul ridere. «Solo un assassino. Ma piccolo. Non vale quasi la pena pensarci». «Quale?» «Non mi ricordo. Senza... qualcosa». «Senza scampoli? Quella che se ti prende di mira non vale la pena di iniziare un romanzo? Sessantasette vittime confermate?» «Sessantotto se è stata lei a fare fuori Samuel Pring». «Non è importante. Perché non me l'hai detto?» «Io... io... non volevo che ti preoccupassi». Si passò le mani sulla faccia e mi fissò per un momento, poi emise un sospiro profondo. «Sei la Thursday Next che ho sposato, sì?» Annuii. Mi prese tra le braccia e mi strinse forte. «Starai attenta?» mi bisbigliò all'orecchio.
«Sto sempre attenta». «No, attenta davvero. Il tipo di 'attenta' che devi essere quando hai un marito e un figlio che si scoccerebbero veramente tantissimo se ti perdessero». «Ah» gli bisbigliai in risposta «quel tipo di 'attenta'. Sì, va bene». Ci baciammo e chiusi il giubbotto col velcro, ci misi sopra la camicia e sopra ancora la fondina ascellare. Diedi un bacio a Friday e gli raccomandai di fare il bravo, e poi baciai di nuovo Landen. «Ci vediamo stasera» gli dissi «te lo prometto». Andai a Wanborough a trovare Joffy. Stava officiando un matrimonio con rito DGS e dovetti aspettare nel retro del tempio che avesse finito. Avevo un po' di tempo prima di affrontare Cindy, e capire qualcosa di più su san Zvlkx sembrava un buon modo per usarlo. L'idea di Millon che Zvlkx non fosse un veggente, ma un membro deviato della CronoGuardia coinvolto in qualche tipo di crimine temporale sembrava, a pensarci, improbabile. Non ti puoi nascondere dalla CronoGuardia. Ti trovano sempre. Forse non qui e ora, ma lì e allora: quando meno te l'aspetti. Molto prima che si potesse anche solo pensare di fare qualcosa che non va. Inoltre la CronoGuardia non lascia tracce. Sparito il colpevole, neppure il crimine temporale aveva mai avuto luogo. Un lavoretto pulito. Ma se i resoconti storici erano stati esaminati con tanta attenzione e la CronoGuardia stessa dava a Zvlkx il suo benestare, come diavolo faceva Zvlkx - se veramente era un impostore - a eludere il sistema? «Ciao, Cretinetti!» disse Joffy mentre la coppia felice si baciava davanti alla chiesa in una pioggia di coriandoli. «Qual buon vento?» «San Zvlkx. Dov'è?» «Ha preso l'autobus per Swindon, stamattina. Perché?» Gli spiegai per sommi capi i miei sospetti. «Zvlkx un membro deviato della CronoGuardia? Ma perché? A che scopo? Perché rischierebbe lo sradicamento permanente in cambio di una dubbia fama come veggente del Tredicesimo secolo?» «Quanto ha preso dall'Ente per la promozione dei toast?» «Venticinquemila». «Non è un capitale. Possiamo dare un 'occhiata alla sua stanza?» «Scandaloso!» rispose Joffy. «Sarei colpevole di una vergognosa violazione della fiducia riposta in me, se permettessi una perquisizione in sua assenza. Ecco la chiave». La stanza di Zvlkx era grosso modo come ci si immaginerebbe la cella di un monaco: estremamente spartana. Dormiva su un materasso di paglia e tutto l'arredamento consisteva in un tavolo e una sedia. Sul tavolo c'era una Bibbia. Solo dopo aver iniziato a cercare trovammo un walkman sotto il materasso, insieme ad alcuni numeri di «Grosse e morbide» e di «Cavalli da corsa». «È un appassionato di scommesse?» chiesi. «Alcol, gioco, fumo, puttane: l'intero repertorio». «Le riviste dimostrano che capisce perfettamente la nostra lingua. Che cosa stai cercando, Joff ?» Joffy rovistava sotto il cuscino. «Il suo Libro delle Rivelazioni. Di solito lo nasconde qui». «Allora hai già perquisito la sua stanza! Avevi dei sospetti?» Joffy era a disagio. «Temo di sì. Il suo comportamento è meno da santo che da... be'... rozzo bifolco. Quando faccio da interprete devo introdurre certi... adattamenti». Estrassi il cassetto della scrivania e lo girai. C'era una busta attaccata al fondo. «Eureka!» Conteneva un biglietto del Gravitube di sola andata per Bali. Joffy inarcò le sopracciglia e ci scambiammo occhiate nervose. Zvlkx stava veramente nascondendo qualcosa.
Joffy mi accompagnò a Swindon e battemmo le strade in cerca dell'eccentrico santo. Visitammo il sito della sua vecchia cattedrale, dove adesso sorgeva il Tesco, ma non lo trovammo e così facemmo un giro che comprendeva i tribunali, l'edificio delle OPS e il teatro, prima di passare per l'università e di percorrere Commercial Road. Joffy lo vide arrancare davanti a Pete & Dave. «Eccolo!» «Lo vedo». Lasciammo l'automobile e ci affrettammo per non perdere di vista la sagoma trasandata vestita solo con una coperta. Sfortuna volle che si girò e ci notò. Si lanciò in mezzo alla strada. Non so se i capelli lunghi e incolti gli coprissero gli occhi o se durante la sua permanenza nel Medioevo si fosse dimenticato del traffico, ma non guardò dove stava andando e finì dritto contro un autobus. La testa frantumò il parabrezza e il corpo ossuto fu lanciato di lato sul marciapiede con un tonfo. Joffy e io fummo i primi a raggiungerlo. Un uomo più giovane avrebbe potuto sopravvivere con poco danno, ma Zvlkx, il cui corpo era già indebolito dall'alimentazione scadente e dalle malattie, non aveva nessuna chance. Tossiva e si trascinava con tutta la forza che gli rimaneva verso il negozio più vicino. «Piano, Vostra Grazia» mormorò Joffy, posandogli una mano sulla spalla e impedendogli di muoversi. «Andrà tutto bene». «Sono solo frescacce» disse Zvlkx esasperato «frescacce, frescacce, frescacce. Sono sopravvissuto alla peste per farmi mettere sotto ha un fottuto 23. Cacchio!» «Che ha detto?» «È seccato». «Chi sei?» chiesi. «Sei della CronoGuardia?» I suoi occhi scattarono verso i miei e gemette. Non solo moribondo, ma moribondo e smascherato. Fece un altro tentativo di raggiungere l'ingresso e si accasciò. «Qualcuno chiami un'ambulanza!» gridò Joffy. «È troppo tardi» mormorò Zvlkx. «È troppo tardi per me, è troppo tardi per tutti noi. Non è così che doveva andare; il tempo è scardinato, e non starò io a rimetterlo in sesto. Joffy, prendi questo e usalo saggíamente, come io non avrei fatto. Seppelliscimi sotto la mia cattedrale, e non dire chi ero. Ho vissuto da peccatore ma vorrei morire da santo. Ah, e se una baldracca cicciona di nome Shirley sostiene che le ho promesso un centone, è una fottuta bugiarda». Tossì di nuovo, tremò per un momento e non si mosse più. Gli misi la mano sul collo sporco, ma non si sentiva più il battito. «Che cosa ha detto?» «Qualcosa su una signora sovrappeso di nome Shirley, sul tempo scardinato... e sul fatto di usare le Rivelazioni come meglio credo». «Che cosa intendeva? Che la sua Rivelazione non si avvererà?» «Non so, ma mi ha dato questo». Era il Libro delle Rivelazioni. Joffy sfogliò le pagine ingiallite, che descrivev ano in Old English tutte le presunte profezie di Zvlkx, accanto a qualche operazione aritmetica. Joffy chiuse gli occhi a Zvlkx e con la giacca coprì la testa del santo morto. Si era radunata una folla, tra cui un poliziotto che si mise a dare ordini. Joffy nascose il libro e rimanemmo in disparte mentre si cominciava a sentire in lontananza la sirena di un'ambulanza. Il proprietario del negozio era uscito e ci disse che i vagabondi morti davanti alla porta gli danneggiavano gli affari, ma cambiò idea quando scoprì di chi si trattava. «Ah, però!» esclamò in tono rispettoso. «Ma pensa! Un autentico santo che ci fa l'onore di morire sulla nostra soglia!» Diedi una gomitata a Joffy e gli indicai l'insegna. Era un'agenzia di scommesse.
«Tipico!» sbuffò Joffy. «Se non fosse morto cercando di raggiungere un allibratore, sarebbe successo andando al bordello. Se non l'abbiamo cercato al pub è solo perché a quest'ora sono chiusi». Sussultando guardai l'orologio. Erano le 10:50. Cindy. Avevo pensato tanto a san Zvlkx che mi ero completamente dimenticata di lei. Indietreggiai nel negozio e mi guardai attorno. Non la vidi, naturalmente, ma d'altronde lei era la migliore. All'inizio mi parve un vantaggio che fosse accorsa tanta gente, perché era improbabile che volesse uccidere degli innocenti, ma mi resi conto ben presto che le convinzioni di Cindy sul rispetto per la vita degli innocenti si sarebbero potute trascrivere a lettere molto grandi sul retro di una scatola di fiammiferi. Dovevo allontanarmi dalla folla per evitare che venisse ferito qualcuno. Mi incamminai in fretta lungo Commercial Road e stavo raggiungendo l'angolo con Granville Street quando mi fermai bruscamente. Cindy era sbucata da dietro l'angolo. La mano mi si chiuse d'istinto sul calcio della pistola ma mi fermai, spiazzata. Non era sola. C'era Spike con lei. «Ma guarda!» disse Spike, riferendosi alla confusione in mezzo alla strada dietro di me. «Che sta succedendo?» «La morte di Zvlkx, Spike». Fissavo Cindy, che mi fissava a sua volta. Si vedeva una sola delle sue mani. L'altra era nascosta nella borsetta. Aveva fallito due volte. Dove sarebbe arrivata pur di uccidermi? In pieno giorno e in presenza di suo marito? Me ne stavo lì a disagio con la mano sull'automatica, ancora nella fondina. Dovevo avere fiducia in mio padre. Aveva avuto ragione a proposito del tentativo precedente. Estrassi la pistola e la puntai contro di lei. Vari passanti si spaventarono e corsero via. «Thursday?» gridò Spike. «Che diavolo succede? Mettila via!» «No, Spike. Cindy non è una bibliotecaria, è Senza Scampoli». Spike guardò me, poi la sua esile moglie, e rise. «Cindy un'assassina? Stai scherzando!» «Delira e io ho tanta paura, Spikey» piagnucolò Cindy, con la sua migliore vocetta da ragazzina. «Non so di cosa parli. Non ho mai impugnato un'arma!» «Tira fuori la mano dalla borsetta molto lentamente, Cindy». Ma fu Spike a fare la mossa successiva. Estrasse la sua pistola, e la puntò contro di me. «Abbassa la pistola, Thurs. Ti ho sempre voluto bene, ma se devo scegliere non ho dubbi». Mi morsi il labbro ma non smisi di fissare Cindy. «Non ti sei mai chiesto perché la pagassero in contanti per fare quei lavori da freelance in biblioteca? Perché suo fratello lavora per la CIA? Perché i suoi genitori furono uccisi da tiratori scelti della polizia? Hai mai sentito parlare di bibliotecari uccisi dalla polizia?» «C'è una spiegazione per tutto, Spikey!» gemette Cindy. «Uccidila! È matta!» Avevo capito il suo gioco. Non avrebbe neppure fatto lei il lavoro. Suo marito preme il grilletto in pieno giorno ed è tutto legale: un brav'uomo che difende sua moglie. Era in gamba. Era la migliore. Era Senza Scampoli. Ti assegnavano a lei ed eri morto e sepolto. «Ha firmato un contratto su di me, Spike. Ha già cercato di uccidermi due volte...!» «Metti giù la pistola, Thursday!» «Spikey, ho paura!» «Cindy, tira fuori entrambe le mani!» «BUTTA LA PISTOLA, Thursday!» Avevamo raggiunto una situazione di stallo. Mentre stavo lì con Spike che mi puntava una pistola alla testa e io che puntavo la mia alla testa di Cindy, mi resi conto che era probabilmente la peggiore situazione in assoluto in cui trovarsi. Se avessi abbassato la pistola, Cindy mi avrebbe ucciso.
Se non la avessi abbassata, mi avrebbe ucciso Spike. Per quanto mi sforzassi, non mi veniva in mente uno scenario che non prevedesse la mia morte. Situazione delicata, a voler minimizzare. E fu in quel momento che il pianoforte a coda si abbatté su di lei. Non si era mai visto un pianoforte che rovinava sull'asfalto da dieci metri d'altezza, ma andò esattamente come immaginavo. Una specie di urto musicale che riverberò per tutta la strada. Il caso volle che il pianoforte uno Steinway baby, come appresi in seguito - ci mancasse tutti. Fu lo sgabello a colpire Cindy, che crollò come un sacco di carbone. Un solo sguardo ed entrambi capimmo che non c'era speranza. Una ferita grave alla testa e il collo rotto. Fu un momento di emozioni contrastanti per Spike. Dolore e choc per l'incidente, e la cupa dimostrazione che avevo ragione: ancora stretto nella mano di Cindy c'era un revolver calibro 38 col silenziatore. «No!» urlò Spike, posandole delicatamente una mano sulla guancia pallida. «No! Di nuovo!» Cindy gemette debolmente mentre accorreva il poliziotto che si era occupato di san Zvlkx con due infermieri. «Avresti dovuto dirmelo» mormorò Spike, rifiutandosi di guardarmi. Le sue ampie spalle tremavano lievemente e le lacrime gli scendevano lungo le guance. «Mi dispiace tanto, Spike». Non rispose, ma si spostò per permettere ai soccorritori di fare quel che potevano per tenerla in vita. «Chi è la donna?» chiese il poliziotto. «E chi siete voi due?» «OPS» rispondemmo all'unisono mostrando il distintivo. «E lei è Cindy Stoker» disse Spike con tristezza «la sicaria conosciuta come Senza Scampoli... e mia moglie». 35 Quel che Thursday fece poi IL GOVERNO KAINE FINANZIERÀ LO "SCUDO ANTICASTIGO DIVINO" Mr Yorrick Kaine ha annunciato ieri il progetto per allestire una rete difensiva contro la crescente minaccia dell'ira di Dio nei confronti delle sue creature. I dettagli dello "scudo anticastigo divino" sono ancora top secret, ma gli esperti di armamenti e i maggiori teologi concordano sulla possibilità di allestire un sistema difensivo nel giro di cinque anni. I collaboratori di Kaine additano il castigo divino ai danni della cittadina di Oswestry mediante una "pioggia di fuoco purificatore", l'ottobre scorso, e sulla piaga di rospi della contea di Rutland. "Oswestry e Rutland sono grida d'allarme per la nostra nazione" ha detto Mr Kaine. "Possono esserci stati dei peccatori, ma un castigo definitivo senza che la legge
faccia il suo corso è assolutamente intollerabile. In un mondo come il nostro, dove la definizione comunemente accettata di peccato si è fatta più sfumata, dobbiamo proteggerci da una divinità che con eccessivo zelo promuove un insieme obsoleto di regole. È per questo motivo che stiamo investendo nella tecnologia anticastigo divino". Il contratto da quattordici miliardi di sterline verrà affidato in esclusiva alla Goliath Armi s.p.a. Articolo apparso su «La talpa», luglio 1988 Le troupe televisive ebbero una giornata campale. La morte di san Zvlkx, avvenuta così presto dopo la sua resurrezione, fece inarcare qualche sopracciglio, ma l'incidente piuttosto bizzarro di cui era stata vittima Senza Scampoli durante "una missione" fece scalpore, scalzando persino il Superhoop dai titoli di testa. Incredibilmente, nonostante le serie lesioni intern e e una devastante ferita alla testa, non morì. Fu ricoverata al San Septyk, dove fecero di tutto per trattenerla in vita. Non per ragioni di pura deontologia, naturalmente, ma perché poteva rivelare i sessantasette o sessantotto clienti che l'avevano pagata per i suoi servizi criminosi, un bottino su cui i pubblici ministeri erano ansiosi di mettere le mani. Nel giro di un'ora da quando era uscita dalla sala operatoria, tre boss della malavita avevano già tentato di zittirla per sempre. Fu trasferita nel reparto di sicurezza del manicomio criminale di Kingsdown e lì rimase, in coma, collegata a un respiratore artificiale. «Spike aveva ragione. Avrei dovuto dirglielo prima» confidai alla nonna «o avrei dovuto segnalarlo alle autorità, o qualcosa del genere!» Nonna Next si sentiva meglio. Anche se molto indebolita dall'età avanzata, quella mattina camminò addirittura un po'. Al mio arrivo aveva gli occhiali da lettura ed era circondata da pile di tomi dall'aria vissuta. Il tipo di testi che in genere si legge per studio, e raramente per diletto. «Ma non l'hai fatto» rispose, guardandomi da sopra gli occhiali, «e tuo padre sapeva che non l'avresti fatto, quando te ne ha parlato». «Aveva anche detto che avrei deciso se sarebbe morta o sopravvissuta, ma sbagliava. La faccenda non è più nelle mie mani». Mi grattai la testa e sospirai. «Povero Spike. L'ha presa molto male». «Dove si trova?» «Negli uffici di 0PS-9, sotto interrogatorio. Hanno fatto venire da Londra un agente che dà la caccia a Senza Scampoli da più di dieci anni. Ci sarei anch'io se non fosse per Flanker». «Flanker?» chiese la nonna. «Che cosa ha fatto?» «È venuto a ringraziarmi per aver indirizzato OPS-14 verso un enorme deposito nascosto di letteratura danese». «Ma non stavi cercando di non aiutarli?» Alzai le spalle. «Certo, ma come facevo a sapere che la resistenza danese usava veramente la sede dell'associazione scrittori australiani come nascondiglio?» «Hai rivelato che è stato Kaine a pagarla per ucciderti?» «No» risposi abbassando lo sguardo. «Non so di chi mi posso fidare e
l'ultima cosa di cui ho bisogno è di essere arrestata a scopo di protezione o simili. Se domani non sono a bordo campo per il Superhoop, i Neandertal non giocano». «Ma ci sarà anche qualche buona notizia?» «Sì» dissi illuminandomi. «Abbiamo portato all'estero un po' di libri danesi. Amleto è in corso di riparazione. E ho riavuto Landen». La nonna mi fissò e sollevò il mento con la mano. «Per sempre?» «Già da ventiquattro ore». «Avevano fatto lo stesso anche a me». La nonna sospirò, togliendosi gli occhiali e stropicciandosi gli occhi con le dita ossute. «Fummo molto felici per più di quarant'anni finché non mi fu tolto di nuovo, questa volta in un modo più naturale e inevitabile. Ed è successo più di trent'anni fa». Rimase in silenzio per un momento, e per distrarla le raccontai di san Zvlkx, della sua morte e delle sue Rivelazioni, e di quanto il tutto fosse insen sato. I paradossi dei viaggi nel tempo tendono a farmi girare la testa. «Qualche volta» spiegò la nonna, mostrando la prima pagina della «Gazzetta di Swindon», «i fatti sono di fronte ai nostri occhi: dobbiamo solo disporli nel giusto ordine». Guardai la foto con attenzione. Era stata scattata pochi secondi dopo che il pianoforte era caduto su Cindy. Non mi ero resa conto di quanto lontano si fossero sparsi i frammenti dello Steinway. Poco distante la sagoma solitaria di Zvlkx giaceva ancora sul marciapiede, abbandonata in mezzo agli eventi drammatici. «La posso tenere?» «Certo. Stai attenta, mia cara: ricordati che tuo padre non può avvertirti di tutte le tue possibili morti. L'invulnerabilità è riservata ai supereroi. La finale di croquet è ben lungi dall'essere vinta e nelle prossime ventiquattr'ore può succedere di tutto». La ringraziai per le sue parole gentili, le sprimacciai i cuscini e me ne andai. «Una difesa composta da Neandertal?» ripeterono Aubrey e Alf quando li trovai a fare pratica di colpi sul picchetto nello stadio di croquet. Avevano minacciato di licenziarmi se non avessi rivelato quello che avevo in testa. «Naturalmente qualsiasi squadra pagherebbe milioni per affidarsi a un Neandertal: sono loro a non volerne sapere». «Ce li ho già. Non accetteranno denaro e non so veramente come se la caveranno in squadra con gli esseri umani: ho la sensazione che faranno gruppo a sé all'interno della vostra squadra». «Poco male» disse Aubrey, appoggiandosi alla mazza e gesticolando in direzione della squadra. «Mi ero illuso. Biffo è troppo vecchio, Smudger si attacca alla bottiglia e Snake è psicologicamente instabile. George è a posto e io me la cavo, ma i Whackers hanno ricevuto una trasfusione di talenti. Avranno in campo gente come 'Spaccaossa' McSneed». Non stava scherzando. Un benefattore misterioso -probabilmente la Goliath - aveva dato una somma enorme ai Whackers. Abbastanza per comprarsi praticamente chiunque. La Goliath non voleva correre il rischio che la settima Rivelazione si avverasse. «E allora con i cinque neander abbiamo ancora qualche chance?» «Sì» rispose Aubrey sorridendo «abbiamo ancora qualche chance». Tornando a casa feci un salto a trovare la mamma, ufficialmente per prendere Amleto e i dodo e portarli da Landen. La trovai in cucina con Bismarck che sembrava a metà di una barzelletta. «...e allora cavallo bianco dice lui 'Come, Erich?'» «Oh, Herr B!» disse mia madre con un risolino, dandogli un buffetto sulla spalla. «Che burlone!» Notò che c'ero anch'io.
«Thursday! Va tutto bene? Ho sentito alla radio che c'è stato un incidente con un pianoforte...» «Sto bene, mamma, davvero». Guardai con freddezza il cancelliere prussiano che, decisi, si stava prendendo delle libertà con i sentimenti di mia madre. «Buonasera, Herr Bismarck. Allora, non ha ancora risolto la questione dello Schleswig-Holstein?» «Sto ancora aspettando primo ministro danese» rispose Bismarck, alzandosi per salutarmi, «ma mi sto spazientendo». «Dovrebbe arrivare quanto prima, Herr Bismarck» disse mia madre, mettendo il bollitore sul fornello. «Le va una tazza di tè, mentre aspetta?» Fece di nuovo un inchino cortese. «Solo se con torta Battenberg». «Sono sicura che ne è rimasta una fetta, se quel birichino di Amleto non se l'è mangiata!» Ci restò male quando scoprì che effettivamente quel birichino di Amleto se l'era mangiata. «Accidenti! Le andrebbe magari la torta alle mandorle?» Le sopracciglia di Bismarck tremarono di rabbia. «Ovunque mi giri i danesi irridono la mia persona e la Confederazione germanica» enunciò adirato, battendo il pugno sul palmo aperto. «Incorporazione di Ducato di Schleswig nello stato danese potere ignorare, ma insulto personale di Battenberg giammai. Questo significa guerra!» «Aspetta un attimo, Otto» disse mia madre che, avendo tirato su una famiglia numerosa praticamente da sola, era attrezzatissima per risolvere la questione Battenberg-Schleswig-Holstein «non eravamo d'accordo che non avresti invaso la Danimarca?» «Prima era prima, adesso è adesso» mormorò il cancelliere, gonfiando il petto con tanta aggressività che uno dei bottoni di ottone schizzò attraverso la stanza e colpì di striscio Pickwick sulla nuca. «Di due una: Amleto per suo comportamento chiede scusa a nome del popolo danese, o è guerra!» «Adesso sta parlando con quel bravo consulente per la risoluzione dei conflitti» rispose mia madre con voce ansiosa. «Allora è guerra» annunciò Bismarck, sedendosi a tavola e finendo per prendere una fetta di torta alle mandorle. «Basta con chiacchiere. Voglio tornare nel 1863». Ma in quella si aprì la porta. Era Amleto. Ci guardò tutti e aveva un aspetto, be', diverso. «Ah!» fece, sguainando la spada. «Bismarck! Il suo atteggiamento aggressivo nei confronti della Danimarca è finito. Si prepari... a morire!» La consulenza sulla soluzione dei conflitti evidentemente aveva sortito il suo effetto. Bismarck, per nulla scosso dall'improvvisa minaccia alla sua vita, estrasse una pistola. «Allora! Battenberg lei finisce soppiatto, sì?» E si sarebbero potuti uccidere a vicenda lì per lì se la mamma e io non fossimo intervenute. «Amleto!» esclamai. «Uccidere Bismarck non ti farà riavere tuo padre!» «Otto!» intervenne la mamma. «Uccidere Amleto non farà cambiare opinione agli schleswighesi!» Portai Amleto nell'ingresso e cercai di spiegargli perché le rappresaglie immediate potessero non essere poi la soluzione migliore. «Non sono d'accordo» ribatté, menando fendenti per aria. «La prima cosa che farò appena tornato a casa sarà uccidere quel mio zio assassino, sposare Ofelia e affrontare Fortebraccio. Anzi, invaderò la Norvegia con un attacco preventivo, e poi la Svezia e... cosa c'è lì vicino?» «La Finlandia?» «Ecco, sì». Si mise la mano sinistra sul fianco e fece un affondo violento contro un nemico immaginario. Pickwick fece l'errore di passare per il corridoio in quel preciso istante ed emise un "plooock" terrorizzato quando la punta del fioretto di Amleto si fermò a pochi centimetri dalla sua testa. Sembrò vacillare per un momento, dopodiché svenne.
«Quello specialista di gestione dei conflitti mi ha veramente insegnato un po' di cosette, Miss Next. A quanto pare, il mio problema era un conflitto irrisolto o latente - la morte di mio padre - che persiste e si inasprisce in un individuo - me. Per affrontare i problemi dobbiamo prendere di petto i conflitti e risolverli al meglio delle nostre abilità!» Era peggio di quel che pensassi. «Quindi non ti fingerai matto parlando un sacco, vero?» «Non servirà» rispose Amleto ridendo. «È finito il tempo delle chiacchiere. Anche Polonio avrà la sua parte. Appena avrò sposato sua figlia gli verrà dato il benservito e verrà nominato bibliotecario capo o qualcosa del genere. Sì, ci sarà qualche cambiamento nel mio dramma, vedrai». «E l'idea di costruire tolleranze tra gli avversari per raggiungere una coesisten za duratura, pacifica e in definitiva soddisfacente tra le parti in conflitto?» «Probabilmente pensava di parlarmene nella seconda seduta. Non importa. Domani a quest'ora l'Amleto sarà la storia d'azione sulla vendetta e l'ascesa al potere di un uomo destinato a diventare il più grande re di Danimarca di tutti i tempi. È la fine di Amleto il procrastinatore e l'inizio di Amleto l'uomo d'azione! C'è del marcio in Danimarca e Amleto dice... ora vi aggiusto io!» Si metteva male. Non potevo rimandarlo indietro finché Mrs Tiggywinkle e Shgakespeafe non avessero risistemato la tragedia, e nelle sue condizioni era impossibile prevedere di che cosa sarebbe stato capace. Dovevo pensare rapidamente. «Buona idea, Amleto. Ma prima, penso che dovresti sapere che qui in Inghilterra i danesi vengono insultati e calunniati, e che i libri di Kierkegaar d, Andersen, Branner, della Blixen e della Farquitt finiscono al rogo». Tacque e mi fissò senza parole per l'orrore. «Sto facendo quello che posso per fermare tutto questo» proseguii «ma...» «Bruciano i libri di Daphne?» «La conosci?» «Certo. Sono un suo grande ammiratore. Dovremo pure fare qualcosa durante i lunghi inverni a Elsinore. Anche la mamma è una sua grande ammiratrice, mentre mio zio preferisce Catherine Cookson. Ma bando alle ciance» riprese; il suo nuovo cervello postprocrastinatore antiesitazioni si era rapidamente riattivato. «Che dobbiamo fare?» «Tutto dipende dalla nostra vittoria domani al Superhoop, ma dobbiamo dare una dimostrazione di forza nel caso Kaine tenti qualche mossa. Puoi mettere insieme il maggior numero di filodanesi possibile?» «È molto importante?» «Potrebbe essere vitale». Negli occhi di Amleto balenò una determinazione ferrea. Prese il teschio dal tavolo all'ingresso, mi mise una mano sulla spalla e assunse una posa drammatica. «Per domattina, amica mia, avrai tanti danesi che non saprai che fartene. Ma basta con queste chiacchiere oziose; debbo partire!» E senza dire altro uscì. Da solo-chiacchiere-niente-azione era diventato solo-azione-niente-chiacchiere. Non avrei mai dovuto portarlo nel Mondo reale. «A proposito» disse Amleto, che aveva riaffacciato la testa nella porta, «non dirai di Emma a Ofelia, vero?» «Le mie labbra sono sigillate». Radunai i dodo, li feci salire in macchina e andai a casa. Avevo chiamato Landen per dirgli che ero incolume subito dopo l'incidente di Cindy. Mi rispose che era certo che non mi sarei fatta niente, e gli promisi che da allora in poi avrei evitato per quanto possibile di avere a che fare con assassini. Non potei accostare davanti a casa perché c'erano almeno tre furgoni
dei telegiornali e così parcheggiai sul retro, passai per il vicolo, feci un cenno di saluto a Millon e attraversai il prato fino alla portafinestra. «Lipsum!» disse Friday correndomi incontro per abbracciarmi. Lo presi in braccio mentre Alan studiava la sua nuova casa, cercando di individuare le zone che si sarebbero prestate meglio alle sue birichinate. «Sul tavolo c'è un telegramma per te» disse Landen «e se sei in vena di masochismo la stampa avrebbe piacere di sentirti ripetere che domani vinceranno i Mallets». «Peggio per loro» risposi, aprendo il telegramma. «Come è andata la...» La voce mi si spense leggendo il messaggio. Era chiaro e andava dritto allo scopo: ABBIAMO UNA QUESTIONE IN SOSPESO. VIENI DA SOLA, NIENTE TRUCCHI, HANGAR D, AERODROMO DI SWINDON KAINE «Caro?» chiamai. «Sì?» disse Landen da sopra. «Devo uscire». «Assassini?» «No, tiranno megalomane smanioso di potere globale». «Ti aspetto alzato?» «No, ma Friday deve fare il bagno. E non dimenticare di lavarlo dietro le orecchie». 36 Kaine contro Next PIOVONO CRITICHE SULLA TECNOLOGIA ANTICASTIGO DIVINO Importanti uomini di Chiesa non hanno apprezzato l'uso della tecnologia anticastigo divino da parte di Kaine. "Dubitiamo che Mr Kaine possa porre la sua volontà al di sopra di quella di Dio" ha affermato un vescovo nervoso che ha preferito non essere menzionato "e se Dio decide di castigare qualcuno, riteniamo che probabilmente egli abbia ottime ragioni per farlo". Gli atei non sono rimasti impressionati dai progetti di Kaine, e pensano che la purificazione di Oswestry non sia altro che lo spiacevole effetto della caduta di un meteorite. "Puzza della solita tattica di Kaine per tenerci spaventati e impauriti" ha detto Rupert Smercc di Ipswich. "Mentre la cittadinanza si preoccupa di minacce inesistenti prodotte dal bisogno dell'umanità di dare significato a un mondo oscuro e brutale, Kaine alza le
tasse e dà la colpa di tutto ai danesi". Non tutti sono stati così diretti nelle loro accuse. Mr Pascoe, portavoce ufficiale degli Agnostici Federati, ha dichiarato: "Sotto questa faccenda dei castighi potrebbe esserci qualcosa, ma chi può dirlo". Articolo apparso su «La talpa», luglio 1988 Era notte quando arrivai al deposito di manutenzione dell'aerodromo di Swindon. Anche se dall'altro terminal il ronzio dei dirigibili si diffondeva ancora nel cielo notturno, questa parte del campo era deserta; chi ci lavorava se n'era andato da un bel po'. Mostrai il mio distintivo alla sicurezza, dopodiché seguii le indicazioni lungo la strada perimetrale e superai un dirigibil e ormeggiato i cui fianchi argentei riflettevano la luce della luna. Le porte principali del gigantesco hangar D, alte come un palazzo di otto piani, erano chiuse, ma presto individuai una Mercedes nera sportiva vicino a una porta laterale aperta: mi fermai a una certa distanza e spensi il motore e le luci. Sostituii il caricatore dell'automatica con quello di riserva, che avevo caricato con cinque eraserhead, tutti quelli che ero riuscita a contrabban dare fuori dal Mondo dei libri. Scesi dall'automobile, mi fermai ad ascoltare e, non sentendo nulla, mi incamminai silenziosamente verso l'hangar. Dato che i dirigibili intercontinentali di trecento metri ormai venivano costruiti solo negli Zeppelinwerk in Germania, all'interno dell'hangar, grande come una cattedrale, c'era solo un'aeronave relativamente piccola, da sessanta posti, in costruzione e con l'aspetto di un canestro molto spartano: le costole di alluminio erano tenute insieme da una delicata filigrana di montanti interconnessi, ognuno rivettato con precisione al successivo. Sembrava fin troppo complesso per qualcosa che era essenzialmente così semplice. Perlustrai l'enorme stanzone, ma di Kaine non c'era traccia. Estrassi l'automatica, misi in canna il primo eraserhead e tolsi la sicura. «Kaine?» Nessuna risposta. Sentii un rumore e puntai di scatto la pistola verso alcuni cavalletti su cui era appoggiata la gondola incompleta di un motore. Mi maledii perché ero troppo nervosa e mi resi improvvisamente conto che mi sarebbe piaciuto avere con me Bradshaw. Dopodiché lo percepii: o almeno, ne sentii l'odore. Il puzzo indolente di morte portato da una brezza leggera. Mi girai mentre una scura sagoma fetida mi veniva rapidamente contro. Ebbi una breve visione di orrore ultraterreno prima di premere il grilletto e sentire il rumore sordo del primo eraserhead che andava a segno. La bestia infernale evaporò in una folata di lettere che componevano la sua esistenza. Mi caddero addosso con il lieve tintinnio di decorazioni natalizie che si frantuman o. Udii il lento battimani di una singola persona e notai la silhouette di Kaine in piedi dietro la gondola incompleta. Non esitai un istante e lasciai partire un secondo eraserhead. In un attimo Kaine evocò un personaggio secondario - un omino con gli occhiali - sulla traiettoria del proiettile e fu l'omino a essere cancellato. Yorrick apparve alla luce. Non era invecchiato di un giorno dall'ultima volta che l'avevo visto. Aveva una carnagione perfetta e neppure un capello fuori posto. Solo i personaggi descritti con la massima abilità sono indistinguibi li dalle persone vere; tutti gli altri, e Kaine era tra questi, avevano
una vaga plasticità che tradiva le loro origini romanzesche. «Ti stai divertendo?» gli chiesi sarcastica. «Oh, sì» rispose con un mezzo sorriso. Era un personaggio di serie B in un ruolo di serie A ed era stato innalzato troppo al di sopra delle sue capacità: un bambino a capo di una nazione. Non sapevo se fosse per via della Goliath o dell'ovinatore o semplicemente delle sue origini immaginarie, ma una cosa era certa: Kaine era pericoloso nel Mondo reale ed era pericoloso nel Mondo dei libri. Chiunque potesse evocare bestie infernali a suo piacimento non poteva essere ignorato. Sparai di nuovo e avvenne la stessa cosa. Il personaggio era diverso - di un dramma in costume, penso - ma l'effetto fu il medesimo. Kaine usava particine sacrificabili come scudi. Mi guardai nervosamente attorno, annusando una trappola. «Dimentichi» disse Kaine mentre mi fissava con occhi su cui non battevano le palpebre «che ho avuto molti anni per affinare i miei poteri, e come puoi vedere i personaggi minori delle opere della Farquitt vengono via con niente». «Assassino!» Kaine rise. «Non si può uccidere un personaggio letterario, Thursday. Altrimenti tutti gli scrittori sarebbero al fresco!» «Sai bene che cosa intendo» ringhiai cominciando ad avvicinarmi. Se solo fossi riuscita ad afferrarlo, avrei potuto saltare nella narrativa portando lo con me. Kaine lo sapeva e si teneva a distanza. «Sei proprio noiosa, sai» proseguì «e mi illudevo che Senza Scampoli riuscisse a farti fuori, risparmiando a me l'ingrato compito. Nonostante le chance penosamente basse di una vittoria di Swindon, non posso proprio correre il minimo rischio che la Rivelazione di Zvlkx si avveri. E i miei amici della Goliath sono d'accordo con me». «Questa non è casa tua» gli dissi «e stai creando problemi a esseri umani veri. Sei stato concepito per divertire, non per comandare». «Hai anche solo un'idea» riprese mentre continuavamo a confrontarci girando lentamente attorno alla gondola incompleta del dirigibile «di cosa si prova a essere un Generico di categoria B-9 in un romanzo pubblicato a proprie spese? Non essere mai letti, avere due righe di dialogo e venire costant emente maltrattato da gente che mi è inferiore?» «Non hai mai pensato di avvalerti del Programma scambio di personaggi?» chiesi per guadagnare tempo. «Ci ho provato. Sai che cosa mi ha risposto il Consiglio dei generi letterari?» «Sono tutta orecchie». «Mi ha suggerito di sfruttare al massimo quello che avevo. Be', è quello che sto facendo, Miss Next!» «Ho delle entrature presso il Consiglio, Kaine. Arrenditi e farò il possibile per te». «Menzogne!» sputò Kaine. «Menzogne, menzogne e ancora menzogne! Non hai nessuna intenzione di aiutarmi!» Non lo negai. «Bene» continuò «ti ho scritto che ti dovevo parlare, ed ecco qui: hai scoperto da dove vengo, e nonostante i miei sforzi per accaparrarmi tutte le copie di Lussuria di lusso, c'è ancora la possibilità che tu riesca a trovarne una e a cancellarmi da dentro. Non lo posso permettere. Quindi ti voglio offrire l'opportunità di accordarci in modo soddisfacente per entrambi. Qualcosa da cui trarremo giovamento in due. Io al potere e tu a capo di qualunque reparto delle OPS tu preferisca... o di tutte le OPS, se è per questo». «Mi sottovaluti» risposi serafica. «L'unico accordo che mi interessa stasera è la tua resa incondizionata». «Oh, non ti ho sottovalutato affatto» proseguì il cancelliere con un mezzo sorriso. «L'ho detto solo per dare alla mia amica gorgone il tempo di
portarsi alle tue spalle. Posso presentarti... Medusa?» Sentii un sibilo dietro di me. Mi si rizzarono i capelli sulla nuca e il cuore mi batté più veloce. Abbassai lo sguardo mentre mi giravo e saltavo di lato, resistendo alla tentazione di dare un'occhiata alla creatura nuda e ripugn ante che aveva strisciato verso di me. È difficile colpire un bersaglio che si sta cercando di non guardare, e il mio quarto eraserhead andò a finire contro un'impalcatura dalla parte opposta dell'hangar. Feci un passo indietro, inciampai su un pezzo di metallo e caddi sulla schiena: la pistola scivolò sul pavimento verso alcune casse. Imprecai e tentai di fare presa al suolo per allontanarmi da quel mostro mitologico, ma Medusa, i cui capelli serpente ora saettavano rabbiosi, mi afferrò una caviglia. Provai a scalciare per liberarmi, ma aveva una presa salda come un vizio. Con la mano libera mi ghermì l'altra caviglia e poi, sghignazzando sgangheratamente, avanzò lungo il mio corpo che si divincolava invano e mi conficcò gli artigli aguzzi nella carne facendomi gridare di dolore. «Guardami in faccia!» urlò la gorgone mentre lottavamo nella polvere. «Guardami in faccia e accetta il tuo destino!» Continuavo a distogliere lo sguardo inchiodata contro il freddo cemento. Quando si fu seduta con il corpo ossuto e maleodorante sul mio petto, sghignazzò di nuovo e mi afferrò la testa con entrambe le mani. Gridai e strinsi gli occhi, soffocando i conati di vomito per il suo fiato putrido. Non avevo scampo. Sentii le sue dita sulla faccia, i polpastrelli sulle palpebre. «Forza, Thursday, amore mio» stridette, quasi sovrastata dal sibilo dei serpenti, «guardami dentro l'anima e senti il tuo corpo che diventa pietra...!» Gridavo, irrigidendomi contro le sue dita che mi forzavano le palpebre. Girai gli occhi più in basso possibile nelle orbite, cercando disperatamente di sottrarmi all'inevitabile, e stavo appena cominciando a intravedere barlumi di luce e la parte inferiore del suo corpo quando si sentì il rumore di acciaio estratto da un fodero e un "wuup" attutito. Medusa mi cadde sul torace, inerte e silenziosa. Aprii gli occhi e sospinsi in mezzo alle ombre la testa recisa della gorgone. Balzai in piedi, scivolai nella pozza di sangue che usciva dal suo corpo decapitato e arretrai di corsa, incespicando nella fretta di allontanarmi. «Bene» disse una voce familiare «sembra che sia arrivato giusto in tempo!» Era il Gatto. Era seduto su una nervatura parziale di un dirigibile e aveva un sorriso larghissimo. Non era solo. Accanto a lui c'era un uomo. Ma non un uomo qualunque. Era alto almeno due metri e trenta, e proporzionalmente possente. Indossava un'armatura rudimentale e stringeva nelle mani poderose uno scudo e una spada che sembravano quasi privi di peso. Era un guerriero dall'aspetto terrificante; il tipo di eroe per cui si scrivono poem i epici, e che al giorno d'oggi non sono di grande utilità. Era il più alfa di tutti i maschi: era Beowulf. Non emetteva suono, aveva le ginocchia lievement e piegate, pronto all'azione, e muoveva elegantemente la spada insanguinata in lenti giri a otto. «Bella mossa, Mr Gatto» disse ironico Kaine, uscendo da dietro la gondola e affrontandoci nell'unica area sgombra dell'hangar. «Possiamo farla finita qui, Mr Kaine» ribatté il Gatto. «Tornatene nel tuo libro e rimanici, oppure affronta le conseguenze». «Preferisco di no» rispose con un sorriso tranquillo «e dato che hai alzato la posta evocando un eroe dell'Ottavo secolo, ti sfido a singolar tenzone di evocazioni schierando i miei campioni letterari contro i tuoi. Se vinci tu, rimango per sempre in Lussuria di lusso: se vinco io, non mi disturbate più». Guardai il Gatto che, per una volta, non sorrideva. «Molto bene, Mr Kaine. Accetto la tua sfida. Solite regole? Una creatura per volta e rigorosamente niente Kraken?» «Sì, sì» ripeté Kaine impaziente. Chiuse gli occhi e con un urlo selvaggio
apparve Grendel: volò verso Beowulf, che lo affettò abilmente in otto pezzi più o meno uguali. «Mi sa che l'abbiamo innervosito» bisbigliò il Gatto con l'angolo della bocca. «È stata una mossa sbagliata: Beowulf batte sempre Grendel». Ma Kaine non sprecò altro tempo e un attimo dopo c'era un Tyrannosaurus rex in carne e ossa che incedeva sul pavimento di cemento, con la saliva che gli colava giù per le zanne. Sferzava l'aria rabbiosamente con la coda e fece cadere su un lato la gondola. «Da Il mondo perduto?» chiese il Gatto. «O Jurassic Park?» «Nessuno dei due» rispose Kaine. «Il superlibro dei dinosauri per ragazzi». «Ooh!» fece il Gatto. «Il vecchio trucco della saggistica, eh?» Kaine schioccò le dita e l'enorme rettile si lanciò in avanti mentre Beowulf partiva all'attacco mulinando la spada. Indietreggiai verso il Gatto e domandai ansiosa: «Questo Beowulf non è l'originale, vero?» «Buon dio, no, tutto il contrario!» Meno male. Beowulf aveva fatto carne trita di Grendel, ma il tirannosauro, a sua volta, fece carne trita di lui. Guardando il lucertolone trangugiare i resti del guerriero, il Gatto mi sussurrò: «Mi piacciono tanto queste gare!» Mi passai il fazzoletto sulla guancia graffiata. Devo dire che non condividevo fino in fondo il malizioso senso di allegria e divertimento del Gatto. «Qual è la nostra prossima mossa?» gli chiesi. «Il drago Smog?» «Non servirebbe a niente. Evocherebbe un Bard per ucciderlo. Forse sarebbe meglio una ritirata strategica e inserire un Alan Quatermain con un fucile per elefanti, ma sono in ritardo per la festa di compleanno di mio figlio , e quindi ecco... lui!» Ci fu un altro sfavillio nell'aria intorno a noi e soffiando e sbollando apparv e una creatura dalle ali di pipistrello. Aveva una lunga coda, zampe da rettile, occhi infuocati, enormi artigli pelosi di quelli che ti prendono... e indossava una tunica di colore lilla con calzini in tinta. Il tirannosauro alzò lo sguardo dal suo banchetto verso il Jabberwock, che lo fissò a sua volta fluttuando a mezz'aria e facendo pericolosi rumori soffianti. Aveva circa le stesse dimensioni del dinosauro e gli si fece incontro aggressivo, aprendo e chiudendo le fauci e gli artigli. Sotto gli occhi del Gatto, di Kaine e miei, il Jabberwock e il tirannosauro combatterono stretti al suolo senza esclusione di colpi, dimenando le code. Per un momento parve che il campione di Kaine avesse la meglio finché il Jabberwock eseguì una manovra nota nell'ambiente del wrestling come "airplane spin and body slam" da far tremare il suolo. Il lucertolone rimase a terra, muovendosi debolmente. Un animale di quelle dimensioni non deve cadere da una grande altezza per rompersi le ossa. Il Jabberwock sbollò contento, e fece un piccolo balletto trionfante tornando verso di noi. «Bene!» gridò Kaine. «Ne ho abbastanza!» Alzò le braccia e un forte vento sembrò riempire l'hangar. Da fuori si sentirono vari tuoni e una sagoma cominciò a emergere dalla struttura vuota del dirigibile incompleto. Crebbe e crebbe finché indossò lo scheletro dell'aeronave come un busto, se ne liberò e con un tentacolo afferrò il Jabberwock e lo sollevò in alto. Kaine aveva barato. Era il Kraken. Bagnato, stranamente informe e odoroso di ostriche bollite, era la creatura più grande e più possente che conoscessi in tutta la letteratura. «Suvvia!» disse il Gatto, agitando un artiglio verso Kaine. «Non dimenticare le regole!» «Al diavolo le vostre regole!» gridò Kaine. «Ridicoli agenti di GiurisFiction, preparatevi a incontrare il vostro destino!» «Ecco, questa» disse il Gatto, rivolgendosi a me, «era una battuta molto banale». «È della Farquitt! Che ti aspettavi? Che facciamo?» Il Kraken avvolse varie volte un tentacolo viscido attorno al corpo del Jabberwock e poi lo strinse finché gli schizzarono gli occhi dalle orbite. «Gatto!» ripetei con più insistenza. «Qual è la prossima mossa?»
«Sto pensando» rispose il gatto, dimenando nervosamente la coda. «Farsi venire in mente qualcosa che può battere il Kraken non è così facile. Aspetta. Aspetta. Penso di averlo trovato!» Ci fu un lampo accecante ed ecco, ad affrontare il Kraken, c'era... una fatina che non mi arrivava neppure al ginocchio. Aveva ali delicate come quelle di una libellula, una tiara d'argento e una bacchetta con cui gesticolò in direzione di Kaine. Nel giro di un attimo il Kraken si era dissolto e il Jabberwock cadde a terra, respirando a fatica. «Che diavolo...?» urlò Kaine adirato e sorpreso, agitando le mani inutilmente per cercare di far ricomparire il Kraken. «Credo che tu abbia perso» affermò il Gatto. «Ma avevi barato e anch'io ho dovuto barare un pochino e ora, anche se ho vinto, non posso pretendere la posta in gioco. Adesso è tutto nelle mani di Thursday». «Che vuoi dire?» gridò rabbioso Kaine. «Che cos'era quella roba? Perché non riesco più a evocare creature letterarie?» «Dunque» spiegò il Gatto cominciando a fare le fusa «era la Fata dai capelli turchini di Pinocchio». «Vuoi dire...?» chiese Kaine rimanendo a bocca aperta. «Esatto» rispose il Gatto. «Ti ha trasformato in una persona vera, come quando trasformò Pinocchio in un vero ragazzino». Si toccò il torace, e poi il viso, cercando di capire che cosa fosse successo. «Ma... questo significa che non avete più alcuna autorità su di me...!» «Ahimè, no» disse il Gatto. «GiurisFiction non ha giurisdizione sulle persone vere nella vita vera. Ripeto, ora sta a Thursday decidere». Il Gatto si interruppe e ripeté le due parole come per 4V vedere quale suonava meglio. «GiurisFiction... giurisdizione... GiurisFiction... giurisdizione». Kaine e io ci fissammo. Se era reale significava senz'altro che GiurisFiction non aveva titolo per intervenire su di lui, e significava anche che non potevamo distruggerlo attraverso il suo libro. Ma d'altronde non poteva neppure sfuggire alla vita vera, e avrebbe sanguinato e sarebbe morto e invecchi ato come un vero essere umano. Kaine scoppiò a ridere. «Be', questo sì che è un colpo di scena! Molte grazie, Mr Gatto!» Il Gatto sbuffò sprezzante e si girò a guardare nell'altra direzione. «Mi hai fatto un enorme favore» continuò Kaine. «Ora sono libero di portare questo Paese a una nuova grandezza senza che ve ne impicciate tu e la tua banda di idioti immaginari. Potrò liberarmi delle ultime tracce di cortesia che ero costretto a mantenere per i legami con il mio personaggio scritto. Mr Gatto, ti ringrazio io e ti ringrazia il popolo della Gran Bretagna unificata». Rise di nuovo e si rivolse a me. «E tu, Miss Next, dovrai starmi alla larga!» «C'è ancora la settima Rivelazione» ricordai debolmente. «Pensi di vincere il Superhoop? Con quell'accozzaglia di disperati? Sopravvaluti di gran lunga le tue chance, cara mia. E con la Goliath e l'ovinatore dalla mia, non posso nemmeno cominciare a sopravvalutare le mie!» Rise di nuovo, controllò l'orologio e uscì a passo spedito dall'hangar. Sentimmo la sua automobile avviarsi e partire. «Mi dispiace» disse il Gatto, continuando a guardare dall'altra parte. «Mi sono dovuto inventare qualcosa rapidamente. Almeno così non ha vinto... stasera». Sospirai. «Hai fatto bene, Chesh. Non mi sarebbe mai venuto in mente di evocare la Fata dai capelli turchini». «Non era malaccio, eh?» confermò il Gatto. «Non senti odore di focaccine calde imburrate?» «No». «Neanch'io. Chi metterai a centrocampo?» «Biffo, probabilmente» dissi lentamente, raccogliendo l'automatica e reinserendo il caricatore. «E Stig a prendere i rimbalzi». «Ah. Be', buona fortuna e a presto» mi salutò il Gatto, e sparì. Sospirai e guardai l'hangar silenzioso e vuoto. I cadaveri e il sangue letterar
i di Medusa, del tirannosauro e di Beowulf erano scomparsi, e oltre al dirigibile distrutto non c'era traccia della battaglia che si era combattuta qui. Avevamo ottenuto una vittoria contro Kaine, ma non la vittoria totale in cui avevo sperato. Stavo per avviarmi verso l'uscita quando notai che era riapparso il Gatto, in bilico sul manico di un carrello per bancali. «Hai detto Biffo o Buffo?» chiese il Gatto. «Ho detto Biffo» risposi «e ti sarei grata se la smettessi di apparire e sparire così all'improvviso: mi fai girare la testa!» «D'accordo» disse il Gatto; e stavolta svanì molto lentamente, cominciando dalla punta della coda per finire con il sorriso, che rimase lì per qualche tempo dopo che il resto era già sparito. 37 Prima della partita LA MARCIA NOTTURNA PER LA PACE DEI SEGUACI DI ZVLKX Tutti e settantasei i membri degli Amici Idolatri di san Zvlkx hanno trascorso la notte marciando in silenzio in memoria del loro leader carismatico, che è stato investito venerdì da un autobus della linea 23. La marcia ha avuto inizio nel parcheggio del Tesco e ha toccato i luoghi di Swindon più cari a san Zvlkx: sette pub, sci agenzie di scommesse e il principale bordello di Swindon, per concludersi con una preghiera silenziosa sul luogo della sua morte. La marcia si è svolta pacificamente, salvo le numerose interruzioni da parte di una donna che ha detto di chiamarsi Shirley e di vantare un credito nei confronti di Zvlkx. Articolo apparso su «La sguerciata quotidiana», 22 luglio 1988 Arrivai allo stadio di croquet alle otto. I tifosi premevano già agli ingressi, ansiosi di conquistarsi i posti migliori sugli spalti. Mi salutarono con la mano mentre parcheggiavo la Speedster nello spazio riservato per recarmi negli spogliatoi. Aubrey mi stava aspettando camminando avanti e indietro. «Be'» disse. «Dov'è la nostra squadra?» «Saranno qui all'una». «Non possono venire prima?» chiese. «Dobbiamo parlare della tattica». «No» risposi con decisione. «Saranno qui in tempo. Non ha senso cercare di imporre loro i ritmi degli esseri umani». «D'accordo» concesse Aubrey con riluttanza. «Ti posso presentare Penelope Hrah?» Penelope era una donnona possente che dava l'impressione di essere in grado di schiacciare le noci con le palpebre. Si era data al croquet perché
l'hockey non era abbastanza violento e, nonostante a trentadue anni fosse al termine della carriera, poteva rivelarsi un asso nella manica, quanto meno per incutere paura. Spaventava me, e io ero della sua stessa squadra. «Ciao, Penelope» dissi nervosamente «sono proprio contenta del tuo arrivo». «Urg». «Tutto a posto? Ti serve qualcosa?» Grugnì di nuovo e mi fregai le mani un po' preoccupata. «D'accordo, bene, vi lascio a quello che stavate facendo». Riprese a parlare di strategia con Alf e Aubrey. Trascorsi il successivo paio d'ore a rilasciare interviste e ad assicurarmi che gli avvocati della squadra si stessero occupando a pieno regime delle complesse procedure legali della partita. A mezzogiorno arrivarono Landen e Friday insieme a Mycroft, Polly e mia madre. Li accompagnai alla tribuna riservata alle autorità, proprio alle spalle delle panchine dei giocatori, e li feci sedere vicino a Joffy e Miles, che erano già lì. «Ce la farà Swindon a vincere?» chiese Polly. «Spero di sì» risposi, non proprio piena di fiducia. «Il tuo problema, Thursday» osservò Joffy «è che non hai fede. Noi Amici Idolatri di san Zvlkx abbiamo fiducia completa nelle Rivelazioni. Se perdessimo, la Goliath perverrebbe a nuove vette di sfruttamento dell'umanità e di avidità senza confini, celandosi dietro i paramenti del formalismo religioso e di un pervertito dogma ecclesiastico». «È una bella omelia». «Sì, lo penso anch'io. Ho fatto pratica ieri sera durante la marcia. Adesso non sentirti sotto pressione». «Grazie tante. Dov'è Amleto?» «Ha detto che sarebbe arrivato più tardi». Li lasciai per un'intervista in diretta con Lydia Startright, che in realtà era più interessata a sapere dove ero stata negli ultimi due anni e mezzo che a chiedermi che possibilità avesse Swindon. Dopodiché mi affrettai all'entrata dei giocatori per accogliere Stig e gli altri quattro Neandertal. Erano completamente indifferenti all'attenzione dei media e ignorarono del tutto l'esercito di giornalisti. Li ringraziai per essere venuti a giocare con noi e Stig fece notare che erano lì solo per rispettare l'accordo, e nient'altro. Li accompagnai negli spogliatoi, dove tutti i giocatori umani li accolsero con un bel po' di curiosità. Si parlarono con qualche imbarazzo e i Neandertal si limitarono agli aspetti tecnici del gioco. Per loro non faceva nessuna differenza se avessero vinto o perso: si sarebbero limitati a fare del loro meglio. Rifiutarono di indossare le protezioni perché preferivano giocare a piedi nudi, in pantaloncini e camicie hawaiane dai colori sgargianti. Questo creò un piccolo problema con l'Ente per la promozione dei toast, che insisteva sulla presenza del proprio nome sulle divise, ma alla fine riuscii a blandirli e tutto filò liscio. Mancavano meno di dieci minuti all'inizio, e così Aubrey fece un discorso trascinante alla squadra, che i Neandertal non capirono fino in fondo. Stig, che conosceva gli esseri umani meglio degli altri, si limitò a dire loro di segnare più archetti possibile, messaggio che afferrarono. «Miss Next?» Mi voltai e vidi un uomo magro e cadaverico che mi fissava. Lo riconobbi all'istante. Era Ernst Stricknene, il consigliere di Kaine. E aveva con sé una valigetta rossa. Ne avevo vista una simile a Goliathopolis e a "Schiva la domanda". Senza dubbio conteneva un ovinatore. «Che cosa vuole?» «Il cancelliere Kaine desidera incontrare la squadra di Swindon per fare un discorso di incoraggiamento». «Perché?» Stricknene mi guardò con freddezza. «Non spetta a lei interrogarsi sui desideri del cancelliere, signorina». Fu in quel momento che Kaine fece il suo ingresso negli spogliatoi, circondato
dai suoi scagnozzi e dal suo seguito. I giocatori si alzarono rispettosamente, tranne i Neandertal che, completamente indifferenti alle bizzarrie delle gerarchie ufficiali, continuarono a parlare tra loro con bassi grugniti. Kaine mi guardò trionfante, ma notai anche che era leggermente cambiato. Gli occhi avevano un aspetto più stanco e la bocca era lievemente incurvata. Iniziava a mostrare la sua natura umana. Stava cominciando a invecchiare. «Ah!» fece. «L'onnipresente Miss Next. DLet, commissario tecnico, salvatrice di Jane Eyre. C'è qualcosa che non sa fare?» «Non sono un gran che a lavorare a maglia». Ci fu uno scoppio di risa nella squadra, e anche dagli accoliti di Kaine, che si zittirono di colpo quando Kaine si guardò in giro per la stanza accigliato. Ma si controllò quasi subito e fece un sorrisetto insincero dopo aver fatto un cenno a Stricknene. «Sono venuto qui solo per parlare con la squadra e dire a tutti voi che sarebbe molto meglio per questo Paese se io restassi al potere, e anche se non so che piega prenderà la Rivelazione di Zvlkx, non posso affidare il futuro sereno di questa nazione ai ghiribizzi di un veggente del Tredicesimo secolo dall'igiene personale discutibile. Capite quello che sto dicendo?» Sapevo che cosa stava provando a fare. L'ovinatore. Sicuramente ci avrebbe avuti tutti in pugno in meno di un minuto. Ma non avevo considerato Amleto, che apparve di colpo alle spalle di Stricknene, col fioretto sguainato. Ora o mai più. Gli gridai: «La valigetta! Distruggi l'ovinatore!» Amleto non se lo fece ripetere due volte e agì immediatamente, trapassando con abilità la valigetta, da cui uscì un rapido lampo di luce verde e un breve stridio acutissimo che fece abbaiare i cani poliziotto all'esterno. Amleto fu sopraffatto all'istante da due agenti di OPS-6, che lo ammanettarono. «Chi è quest'uomo?» chiese Kaine. «È mio cugino Eddie». «NO!» gridò Amleto ergendosi, nonostante due uomini lo stessero trattenendo. «Sono Amleto, principe di Danimarca. Danese, e fiero di esserlo!» Kaine emise una risatina compiaciuta. «Capitano, arresti Miss Next per aver dato ospitalità a un noto danese... e arresti tutta la squadra per concorso in reato e favoreggiamento». Era un momentaccio. Senza giocatori la partita era persa a tavolino. Ma Amleto, da quell'uomo d'azione che era diventato, non si perse d'animo. «Non lo farei, se fossi in te». «E perché mai?» lo canzonò Kaine, non senza un certo tremito nella voce; ora doveva cavarsela da solo. Non aveva né i suoi legami con la narrativa né l'ovinatore ad aiutarlo. «Perché» annunciò Amleto «sono un carissimo amico di Mrs Daphne Farquitt». «E...?» chiese Kaine con un sorrisetto. «È qui fuori che mi aspetta. Se non ricompaio, o se provi un qualsiasi trucco antiMallets, mobiliterà le sue truppe». Kaine rise, e Stricknene, da quell'essere servile che era, rise a sua volta. «Truppe? Che truppe sarebbero?» Ma Amleto era mortalmente serio. Lanciò per un momento un'occhiataccia ai due prima di rispondere. «I suoi fan club. Sono organizzati in modo ferreo, armati fino ai denti, furiosi perché sono stati bruciati i loro libri e pronti ad attaccare a un suo segnale. Ce ne sono trentamila schierati vicino allo stadio e altri novantamila in riserva. Una parola di Daphne e sei finito». «Ho abrogato la legge che vietava la Farquitt» rispose frettolosamente Kaine. «Appena lo sapranno si disperderanno». «Non crederanno a nulla che esca dalla tua bocca menzognera» ribatté a bassa voce Amleto «solo a ciò che dice Mrs Farquitt. Il tuo potere sta svanendo, amico mio, e l'inelegante alluce del destino fa scricchiolare le assi della tua porta». Ci fu un momento nitido di silenzio in cui Kaine fissò Amleto e Amleto
fissò Kaine. Avevo assistito a numerose situazioni di stallo, ma in nessuna la posta in gioco era così alta. «Tanto non avete una speranza al mondo» annunciò Kaine dopo aver esaminato attentamente le alternative che gli restavano. «Mi divertirò a vedere i Whackers farvi a pezzi. Rilasciatelo». Gli agenti di OPS-6 tolsero le manette ad Amleto e scortarono Kaine fuori dalla porta. «Bene» disse Amleto «sembra che siamo di nuovo in gioco. Vado a sedermi vicino a tua madre: vinci per i fan della Farquitt, Thursday!» E se ne andò. Nessuno di noi ebbe tempo di pensarci ulteriormente su, perché udimmo suonare una sirena e il boato della folla ci raggiunse nel tunnel degli spogliat oi. «Buona fortuna a tutti» augurò Aubrey con tono spavaldo. «Comincia lo spettacolo!» La folla esplose in urla di giubilo quando uscimmo dal tunnel ed entrammo in campo. Lo stadio poteva ospitare trentamila persone ed era strapieno. All'esterno erano stati sistemati dei grandi schermi per quelli che non erano riusciti a entrare, e le reti televisive avrebbero trasmesso la partit a in diretta a un pubblico stimato in due miliardi di persone in settantatré Paesi di tutto il mondo. Sarebbe stato un vero spettacolo. Rimasi a bordo campo e gli Swindon Mallets si schierarono di fronte ai Reading Whackers. Si squadravano di traverso, mentre la banda di ottoni dei battiruota del Distretto ferroviario di Swindon, capitanati da Lola Vavoom, marciava attorno al campo. Ci fu una pausa quando il presidente Formby prese posto nella tribuna delle autorità, dopodiché, guidato da Lola Vavoom, il pubblico si alzò per intonare l'inno ufficioso d'Inghilterra, When I'm Cleaning Windows. Alla fine della canzone Kaine apparve nella tribuna delle autorità, ma l'accoglienza fu a dir poco tiepida. Ci fu una manciata di applausi e qualche "Ave!", ma neppure lontanamente la reazione che lui si aspettava. La sua posizione antidanese aveva perso buona parte del sostegno popolare perché aveva commesso l'errore di accusare le giocatrici della nazionale femminile danese di pallamano di spionaggio e farle arrestare. Lo vidi sedersi e sbirciare accigliato il presidente, che in ri sposta gli sorrise calorosamente. Ero sulla linea laterale ad assistere ai preliminari insieme ad Alf Widdershaine. «C'è nient'altro che avremmo potuto fare?» bisbigliai. «No» rispose Alf dopo un attimo «spero solo che quei Neandertal siano all'altezza». Mi girai e tornai da Landen. Teneva in braccio Friday che farfugliava e batteva le mani. Una volta lo avevo portato alla corsa di bighe all'interno del romanzo Ben Hur e si era divertito moltissimo. «Che chance abbiamo, cara?» chiese Landen. «Tra ragionevoli e mediocri, grazie ai Neandertal. Ci vediamo dopo». Diedi un bacio a ciascuno e Landen mi augurò buona fortuna. «Dolor in reprehenderit... mamma» disse Friday. Lo ringraziai per le sue parole gentili e mi sentii chiamare. Era Aubrey, che stava parlando con l'arbitro che, secondo la tradizione, era vestito da vicario di campagna. «Che cosa intende?» domandava Aubrey in tono indignato mentre mi avvicinavo. A quanto pareva era insorto un diverbio prima ancora che cominciassi mo a giocare. «Fatemi vedere dove sta scritto nel regolamento!» «Che problema c'è?» chiesi. «I Neandertal» rispose Aubrey stringendo i denti. «Sembra che secondo il regolamento i non-umani non possano partecipare!» Lanciai uno sguardo dalla parte in cui Stig e gli altri quattro Neandertal
erano seduti in cerchio a meditare. «La regola 78B-45 (II)» citò l'arbitro, mentre O'Fathens, il capitano dei Reading Whackers, assisteva con espressione esultante. «'Nessun giocatore o squadra può far uso di equini 0 altre creature non-umane per acquisire un vantaggio sulla squadra avversaria'». «Ma non parla di giocatori» dissi. «Chiaramente quella regola si riferisce solo a cavalli, antilopi e così via. Fu introdotta nel 1962, quando i Dorchester Slammers cercarono di avvantaggiarsi giocando a cavallo». «Il regolamento mi sembra chiarissimo» ringhiò O'Fathens, facendo un passo avanti. «I Neandertal sono umani?» Anche Aubrey fece un passo avanti. I loro nasi quasi si sfioravano. «Be'... più o meno». Non c'era altro da fare che ricorrere in giudizio. Da quando, dieci anni prima, le regole a proposito delle liti giudiziarie sul campo erano state rese meno rigide, non era insolito trascorrere la prima mezz'ora di una partita in dispute legali tra gli avvocati delle squadre, ognuna delle quali poteva averne due, di cui uno di riserva. Questo aggiungeva pathos agli incontri, ma non era privo di inconvenienti; dopo un Superhoop particolarmente litigioso di sei anni prima, quando l'esito di un contenzioso fu ribaltato dalla Corte Suprema due anni dopo la partita, si stabilì che fossero sempre presenti tre giudici della Corte Suprema, pronti a emettere istantaneamente giudizi insindacabili su qualsiasi questione legale. Ci avvicinammo al Tribunale mobile e i rispettivi avvocati esposero le loro argomentazioni. I tre giudici si ritirarono in camera di consiglio e tornar ono di lì a pochi minuti per pronunciarsi: «Questo Tribunale del croquet stabilisce, nella causa Mallets contro Whackers (sulla liceità dei giocatori neandertaliani) che l'istanza dei Whackers è accolta. Ai sensi della legge inglese i Neandertal non sono esseri umani, e pertanto non possono giocare». I tifosi di Reading esultarono lanciando urla di giubilo quando la sentenza apparve sugli schermi. Aubrey fece per parlare, ma lo trassi in disparte. «Non sprecare il fiato, Aubrey». «Possiamo preparare un appello in sette minuti» disse Mr Runcorn, uno dei nostri legali. «Credo che troveremo un precedente non-umano nella semifinale del Superhoop del 1963 Worcester Sauces contro Taunton Ciders». Aubrey si grattò la testa e mi guardò. «Thursday?» «Un appello non accolto può portare alla perdita di due archetti a tavolino» feci notare. «Diciamo agli avvocati di lavorarci su. Se pensano che ne valga la pena, presentiamo ricorso alla fine del primo tempo». «Ma siamo sotto di cinque giocatori e ancora non abbiamo neppure impugnato le mazze!» «La partita non è persa finché non è persa. Aubrey. Abbiamo anche noi qualche asso nella manica». Non scherzavo. Avevo visitato il padiglione degli avvocati, che stavano controllando i precedenti di ogni giocatore della squadra avversaria. L'attaccan te dei Whackers, George "Rhino" McNasty, aveva quattordici divieti di sosta non pagati e la nostra squadra legale ottenne che venisse processato lì per lì; fu condannato a un'ora di lavori socialmente utili e sarebbe rimasto a raccogliere spazzatura nel parcheggio fino alla fine del secondo dei tre tempi. Jambe si rivolse a Mr Runcorn. «D'accordo, preparate un appello per la fine del primo tempo. Cominceremo con quello che abbiamo». Anche con la riserva, eravamo in sei, contro la squadra completa di dieci. Ma non era finita. Per giocare nella squadra di una città, bisogna esserci nati o esserci vissuti per almeno sei mesi prima della partita. La nostra riserv
a, "Johnno" Swift, viveva qui solo da cinque mesi e ventisei giorni quando iniziò la sua carriera nei Mallets, tre anni prima. Gli avvocati di Reading asserirono che aveva giocato illecitamente la sua prima partita, trasgressione per cui doveva essere sospeso a vita. Ancora una volta i giudici accolsero l'istanza e, tra nuove urla di esultanza della folla, Swift tornò con la coda tra le gambe negli spogliatoi. «Bene» disse O'Fathens mettendo una mano sulla spalla di Jambe «voi ammettete la sconfitta e noi accettiamo, d'accordo?» «Giochiamo comunque, O'Fathens. Se anche Swindon perdesse per mille archetti, la gente dirà che è stata la partita più...» «Non credo proprio» lo interruppe l'avvocato dei Whackers con un ghigno trionfante. «Siete rimasti con cinque giocatori. La regola 68IG, comma (F/6) prevede che: 'La squadra che non inizi la partita con un minimo di sei giocatori perderà a tavolino'». Indicò il paragrafo nel settimo volume del regolamento della Lega mondiale croquet. Era vero; veniva subito dopo la normativa sul contenuto minimo di uva passa nei plumcake serviti nei punti di ristoro. Sconfitti! Sconfitti prima ancora di impugnare le mazze! Swindon se ne sarebbe fatta una ragione, ma il mondo no: la Rivelazione sarebbe stata smentita e Kaine e la Goliath avrebbero portato avanti indisturbati i loro sinistri piani. «Vado a dare l'annuncio» comunicò l'arbitro. «No» saltò su Alf schioccando le dita «ce l'abbiamo, un giocatore che possiamo schierare!» «Chi?» Mi indicò. «Thursday!» Rimasi di stucco. Erano più di otto anni che non giocavo. «Obiezione!» improvvisò l'avvocato dei Whackers. «Miss Next non è nativa di Swindon!» La mia partecipazione aveva un valore discutibile. Ma almeno ci avrebbe permesso di giocare. «Sono nata al San Septyk» dissi lentamente. «Sono abbastanza di Swindon per questa squadra». «Forse abbastanza di Swindon» ribatté l'avvocato consultando in fretta e furia il regolamento «ma non abbastanza esperta. A norma della regola 23F comma (G/9) non può partecipare a partite di croquet a livello internazionale, dato che non ha giocato almeno dieci partite in un campionato di contea». Ci pensai su un attimo. «A dire il vero, le ho giocate». Era così. Quando ero a Londra giocavo con la squadra OPS Middlesex. Me la cavavo anche, ma neanche lontanamente come gli altri giocatori. «Questo Tribunale del croquet stabilisce» intonarono i tre giudici, che ci tenevano come tutti a vedere una bella partita, «che Miss Next è ammessa a rappresentare la propria città nella presente partita». O'Fathens rimase con un palmo di naso. «È assurdo! Che razza di decisione idiota è?» I giudici lo guardarono con severità. «Lo stabilisce questo tribunale. E la riteniamo colpevole di oltraggio alla corte. I Whackers subiscono un archetto di penalità». O'Fathens ribollì dalla rabbia, ma dovette mandar giù. Girò sui tacchi e, seguito dai suoi avvocati, tornò dove lo aspettava la squadra. «Ottimo!» esclamò Aubrey ridendo. «Non hanno ancora fischiato l'inizio e siamo già in vantaggio!» Cercò di mostrarsi pieno di entusiasmo, ma era difficile. Schieravamo una squadra di sei elementi - cinque e un quarto, considerando me - e avevamo ancora un'intera partita da giocare. «Mancano dieci minuti all'inizio. Thursday, mettiti l'equipaggiamento di riserva di Snake: ha più o meno la tua taglia».
Mi affrettai negli spogliatoi e indossai i parastinchi e la spalliera di Snake. Widdershaine mi aiutò a sistemare le cinghie attorno al torace e presi al volo una mazza di scorta prima di correre di nuovo in campo, finendo di sistemarmi il casco mentre già Aubrey cominciava a illustrare la strategia. «Nelle ultime partite» disse a bassa voce «i Whackers hanno messo alla prova un fianco debole con un'apertura 'Bomperini' standard. Una finta sviante verso l'archetto centrale, che in realtà punta all'archetto arretrato destro indifeso». La squadra fischiò sommessamente. «Ma noi saremo pronti. Voglio che sappiano che giocheremo aggressivamente. Invece di restare sulla difensiva ci lanceremo in una manovra di rimbalzo a sorpresa. Smudger, tu devi condurre il gioco, con un passaggio laterale a Biffo, che passerà a Thursday...» «Aspetta» interruppe Biffo «Thursday è qui per fare numero. Sono anni che non colpisce una palla». Era vero. Ma Jambe aveva un piano. «Proprio così. Voglio che pensino che Thursday è un asso nella manica, che avevamo programmato questa aggiunta dell'ultimo momento. Con un minimo di fortuna sprecheranno un buon giocatore per marcarla. Thursday, portala verso la loro palla rossa e Snake intercetterà. Non importa se non segni: dobbiamo depistarli. E Penelope... tu terrorizzali». «Urg» grugnì l'ala. «Mi raccomando, concentrazione, non voglio più violenza del necessario e occhio alla duchessa. Non è contraria a falciare qualche caviglia». Unimmo i pugni e grugnimmo tutti insieme. Mi avviai lentamente alla mia posizione in campo, col cuore che batteva saturo di adrenalina. «Tutto bene?» Era Aubrey. «Certo». «Perfetto. Giochiamo un po' a croquet». 38 Superhoop LMC '88 Ore 14, sabato 22 luglio 1988, Stadio di Swindon, Wessex Reading Whackers: Tim O'Fathens (capitano) Carolyn 'The Mark' Mays, mediano Ralph 'The Book' Spurrier, attaccante avanzato 'Spaccaossa' McSneed, archetto avanzato George 'Rhino' McNaoty, attaccante Emma 'TV' Longhurst, difensore Louis Sherwin-Stark, rimbalzi Han 'Magnet' Ismail, archetto avanzato Freddie 'Dribbler' Loehnis, difensore picchetto Duchessa di Sheffield, ala SQUADRA LEGALE: Wapcaplitt & Sfortz GUARDALINEE: Ian Paten ALLENATORE: Geoffrey Snurge Swindon Maliets: Aubreyjambe (capitano) Alan 'Biffo' Mandible, mediano 'Snake' Spillikin, attaccante avanzato Grunk (Noandertal), difensore Warg (Ncandcrtal), attaccante Dorf (Neandertal), difensore picchetto
Stiggino (Neandertal), rimbalzi 'Smudger' Blarney, archetto avanzato Zim (Neandertal), attaccante Penelope Hrah, ala archetto centrale Thursday Next, commissario tecnico / mediano SQUADRA LEGALE: Runcorn & Twizzit RISERVA: John 'Johnno' Swift ALLENATORE: Alf Widdershaine Raggiunsi la mia posizione sulla linea delle venti iarde e mi guardai attorno. Gli arbusti di rododendro al centro mi coprivano la visuale dell'archetto arretrato destro; diedi un'occhiata al tabellone e all'orologio. Mancavano due minuti. Nel campo c'erano altri tre ostacoli naturali che dovevamo aggirare: il tavolo del tè, che veniva apparecchiato proprio in quel momento dai volontari, il rullo per giardino e il giardino incassato all'italian a. Appena i volontari del tè furono al riparo e l'arbitro-vicario si fu accertato che i suoi guardalinee-curati fossero in posizione, la sirena emise un fragoroso ululato. Accaddero molte cose contemporaneamente. Ci furono i due "clack" quasi simultanei delle battute delle due squadre e io corsi d'istinto in avanti per intercettare il passaggio di Biffo. Dato che i Whackers pensavano che non servissi a niente, mi lasciarono smarcata e il passaggio di Biffo venne dritto verso di me. Ero emozionatissima e lo presi al volo, ribattendolo verso la palla avversaria per un'intercettazione a mezz'aria. Niente da fare. La mancai di una trentina di centimetri. La palla avversaria proseguì fino alla linea delle quaranta iarde, dove Spurrier la sparò nell'archetto arretrato destro: una classica "Bomperini". Non c'era tempo per pensarci perché sentii Aubrey gridare «Thursday!», e mi girai per colpire la palla degli avversari. Suonò la sirena e ci fermammo tutti. Avevo toccato la palla avversaria stando a sud della linea delle quaranta iarde dopo che era stata battuta dall'ul tima persona che aveva colpito una palla rossa nella direzione opposta: uno dei casi più palesi di fuorigioco. «Scusate, ragazzi» dissi mentre i Whackers si schieravano per battere la punizione. O'Fathens si incaricò del tiro e spedì la nostra palla in mezzo ai rododendri. Mentre George cercava di recuperarla, e la nostra altra palla era irraggiungibile nel giardino all'italiana, la squadra dei Whackers proseguiv a l'attacco e segnava tre archetti prima che noi riuscissimo anche solo a riprendere fiato. Anche quando trovammo la palla eravamo troppo scoordinati, e dopo altri ventotto minuti di duro lavoro difensivo riuscimmo a finire il primo tempo con solo quattro archetti contro gli otto di Reading. «Sono in troppi» ansimò Snake. «8 a 4 è il peggior punteggio iniziale di tutti i tempi per una finale di Superhoop». «Ancora non ci hanno sconfitto» ribatté Jambe, bevendo. «Thursday, stai giocando bene». «Bene?» replicai, togliendomi il casco e asciugandomi il sudore dalla fronte. «Ho perso la palla la prima volta che l'ho toccata e siamo andati sotto di un archetto per il mio fuorigioco!» «Ma abbiamo anche segnato un archetto... e avremmo già perso se non ci fossi tu. Devi solo essere più rilassata. Stai giocando come se fosse una questione di vita o di morte». La squadra non lo sapeva, ma era così. «Rilassati un po', aspetta un attimo prima di battere e andrà tutto bene. Biffo, ottimo lavoro e, Penelope, bell'archetto, anche se la prossima volta che corri dietro alla loro ala rischi di essere ammonita». «Urg» rispose Penelope. «Mr Jambe?» disse Mr Runcorn, che aveva studiato una possibile obiezione
alla sentenza contro i Neandertal. «Sì? Abbiamo qualcosa?» «Temo di no. Non trovo niente a nostro favore. Il precedente non-umano fu respinto in sede di appello. Mi dispiace molto, signore. Sto giocando molto male, credo. Devo dare le dimissioni e far entrare la riserva?» «Non è colpa sua» disse garbatamente Jambe. «Faccia proseguire le ricerche alla riserva». Runcorn si inchinò e riprese posto sulla panchina degli avvocati, dove un giovanotto goffamente vestito sedeva in silenzio dall'inizio della partita. «Quella duchessa è un'assassina» bofonchiò Biffo senza fiato. «Ho rischiato grosso già due volte». «Colpire un avversario non è un fallo da cartellino rosso e tre archetti di penalità?» chiesi. «Certo! Ma se riesce a eliminare il nostro miglior giocatore ne può valere la pena. Tenetela d'occhio, tutti quanti». «Mr Jambe?» Era l'arbitro, che ci comunicò che era stata presentata un'ulteriore istanza contro la nostra squadra. Ci avvicinammo obbedienti al Tribunale mobile, dove i giudici stavano firmando un emendamento al regolamento della Lega mondiale croquet. «Di che si tratta?» «In seguito alla commutazione in legge del Decreto economico danese (Capro espiatorio), le persone di origine danese non possono votare o assumere incarichi di rilievo». «Quando è entrata in vigore questa legge?» «Cinque minuti fa». Guardai verso Kaine nella tribuna delle autorità. Sorrise e mi fece un cenno. «E allora?» domandò Jambe. «Le idee deliranti di Kaine non riguardano il croquet: questo è uno sport, non la politica». L'avvocato dei Whackers, Mr Wapcaplitt, tossicchiò educatamente. «Potrebbe sbagliarsi. La definizione di 'incarico di rilievo' comprende gli sportivi ben pagati. Abbiamo svolto qualche controllo e abbiamo scoperto che Miss Penelope Hrah è nata a Copenaghen: è danese». Jambe ammutolì. «Sarò anche nata lì, ma non sono danese» obiettò la Hrah, avanzando minacciosa verso Wapcaplitt. «I miei genitori erano là in vacanza». «Ne siamo ben consci» declamò Wapcaplitt «e abbiamo già chiesto un parere sulla questione. Lei è nata a Copenaghen, lei è tecnicamente danese, lei ha un incarico di rilievo e quindi non può giocare in questa squadra». «Frescacce!» gridò Aubrey. «Se fosse nata in un canile, questo ne farebbe un cane?» «Hmm» rispose pensieroso l'avvocato «è un'interessante questione legale». Penelope non si trattenne più e gli si avventò contro. Ci dovemmo mettere in quattro per bloccarla, e fu necessario immobilizzarla con la forza e trascinarla fuori dal campo. «Siamo arrivati a cinque giocatori» mormorò Jambe. «Sotto il minimo legale». «Sì» disse con scioltezza Mr Wapcaplitt «pare che i Whackers siano i vincitori...» «Non credo» lo interruppe il nostro avvocato di riserva il cui nome, apprendemmo, era Twizzit. «Come il mio stimato collega ha correttamente ricordato, la regola recita: 'La squadra che non inizi la partita con un minimo di sei giocatori perderà a tavolino'. Mi sembra che la partita sia già iniziata e quindi possiamo proseguire con cinque giocatori. Vostri Onori?» I giudici confabularono per un attimo avvicinando le teste e poi comunicarono la decisione: «Questa corte si pronuncia in favore degli Swindon Mallets a questo riguardo. Essi possono continuare a giocare con cinque giocatori». Tornammo lentamente verso la linea laterale. Quattro dei giocatori ne-
andertaliani erano ancora seduti sulla panchina, fissando il vuoto. «Dov'è Stig?» chiesi loro. Non fecero in tempo a rispondermi. Suonò la sirena del secondo tempo, afferrai mazza e casco e mi affrettai in campo. «Nuova strategia» disse Jambe a me, Smudger, Snake e Biffo, tutto quello che rimaneva degli Swindon Mallets. «Gioco difensivo per evitare che segnino altri archetti. Fate come meglio credete... e attenti alla duchessa». Il secondo tempo fu probabilmente il più interessante che si sia mai visto nella Lega mondiale croquet. Per cominciare, Biffo e Aubrey mandarono entrambe le nostre palle nei rododendri. Questa era una nuova tattica e aveva due conseguenze: primo, non avremmo segnato nessun archetto in questo tempo nel modo naturale e, secondo, impedivamo agli avversari di mettere a segno rimbalzi con le nostre palle. Non portava benefici per la vittoria, chiaramente, ma non stavamo cercando di vincere: combattevamo per la sopravvivenza. I Whackers dovevano solo segnare trenta archetti e colpire il picchetto centrale per aggiudicarsi subito la partita, e per come stava andando non avremmo raggiunto neppure il terzo tempo. Rimandavamo l'inevitabile, forse, ma la Lega mondiale croquet è così. Frustrante, violenta e piena di eventi imprevisti. «Non si fanno prigionieri!» gridò Biffo, roteando la mazza sopra la testa ed esibendo una spavalderia che compendiava la nostra strategia del secondo tempo. Funzionò. Non dovendo pensare alla difesa della palla ci dedicammo solo all'attacco e tutti insieme causammo notevoli problemi ai Whackers, che erano sconcertati dalla nostra tattica di gioco non ortodossa. A un certo punto urlai «Fuorigioco!» e inventai qualcosa di così assurdamente complesso che sembrava quasi vero: ci vollero dieci preziosi minuti per dimostrare che non lo era. Alla fine del secondo tempo eravamo esausti. I Whackers ora conducevano per ventuno archetti a dodici, e ne avevamo totalizzati altri otto solo perché "Spaccaossa" McSneed era stato espulso per aver cercato di colpire Jambe con la mazza, e Biffo era stato messo KO dalla duchessa. «Quante dita sono?» chiese Alf. «Pesce» rispose Biffo, i cui occhi andavano per conto loro. «Stai bene?» domandò Landen quando tornai sugli spalti per salutarlo. «Sto bene» ansimai. «Sono fuori allenamento, però». Friday mi abbracciò. «Thursday?» bisbigliò sottovoce Landen. «Stavo pensando. Da dove veniva il pianoforte?» «Quale pianoforte?» «Quello che è caduto addosso a Cindy». «Be', credo, è solo, be'... è caduto, no? Che vuoi dire?» «Che è stato un tentato omicidio». «Qualcuno ha cercato di assassinare l'assassina con un pianoforte?» «No, l'ha colpita accidentalmente. Penso che fosse... per te!» «Chi è che mi vuole uccidere con un pianoforte?» «Non lo so. Hai subito altri attentati non ortodossi, di recente?» «No». «Comunque penso che tu sia in pericolo, tesoro. Stai attenta, per favore». Lo baciai di nuovo e gli carezzai il viso con la mano sporca di fango. «Scusa!» mormorai, peggiorando solo la situazione nel tentativo di pulirlo. «Ma in questo momento ho troppe cose a cui pensare». Corsi via e raggiunsi Jambe che stava per fare un discorsetto prima dell'ultimo tempo. «Bene» esordì porgendoci i pasticcini con l'uvetta «la partita la perderemo, ma ne usciremo coperti di gloria. Non voglio che si dica che i Mallets non hanno combattuto fino all'ultimo uomo. Giusto, Biffo?» «Berretto». Unimmo tutti i pugni e facemmo di nuovo quel grugnito: la squadra era
rinfrancata, tranne me. Era vero che nessuno avrebbe potuto rimproverarci di non averci provato, ma nonostante tutta la volenterosa retorica di Jambe, di lì a tre settimane la Terra sarebbe stata un braciere radioattivo fumante, e nessuna gloria più o meno immacolata avrebbe aiutato Swindon né nessun altro. Ma presi lo stesso un pasticcino e una tazza di tè. «Ci sono novità» disse Twizzit, che era apparso improvvisamente in compagnia di Stig. «Prenda un pasticcino!» lo invitò Aubrey. «Vogliamo chiudere con stile». Ma Twizzit non stava sorridendo. «Abbiamo esaminato il genoma di Mr Stig...» «Il che?» «Il genoma. La struttura genetica completa, sua e degli altri Neandertal». «E?» Twizzit rovistò tra alcune carte. «Sono stati realizzati tutti tra il 1939 e il 1948 nei laboratori di bioingegneria della Goliath. La cosa interessante è che il prototipo di Neandertal non era in grado di parlare in modo intelligibile , e così dovettero ricorrere alla laringe umana». Twizzit fece un sorrisetto curioso, come se avesse tirato fuori un asso dalla manica, e annunciò con enfasi: «I Neandertal sono all'1,03% umani». «Ma questo non ne fa esseri umani» osservai. «Come ci aiuta?» «Sono d'accordo che non sono umani» ammise Twizzit, ancora con un accenno di sorriso, «ma le regole escludono esplicitamente chiunque sia 'non-umano'. Visto che loro hanno in sé qualcosa di umano, tecnicamente non ricadono in questa categoria». Ci fu un lungo silenzio. Guardai Stig, che per tutta risposta mi fissò e sollevò le sopracciglia. «Dobbiamo presentare ricorso» mormorò Jambe, abbandonando un pasticcino a metà per la fretta. «Stig, fa' scaldare i tuoi uomini!» I giudici ci diedero ragione. L'1,03% era abbastanza per dimostrare che non erano non-umani e quindi non potevano essere esclusi dalla partita. Mentre Wapcaplitt correva via a scartabellare il regolamento del croquet in cerca di qualcosa cui appellarsi, i Neandertal, Grunk, Warg, Dorf, Zim e Stig, si scaldavano sotto gli sguardi nervosi dei Whackers. Più volte qualcuno aveva proposto ai Neandertal di giocare, visto che potevano correre tutto il giorno senza stancarsi, ma finora sempre senza successo. «D'accordo, statemi a sentire» disse Jambe, chiamandoci a raccolta, «siamo di nuovo in partita a piena forza. Thursday, tu vai in panchina a riprender e fiato. Li trarremo in inganno con uno scambio 'Puchonski'. Biffo porta la palla rossa dalla linea delle quaranta iarde sopra gli arbusti di rodod endro, oltre il giardino incassato all'italiana e fino a una posizione propizia per l'archetto cinque. Snake, tu continui da lì e ribatti la loro gialla; ti difende Stig. Mr Warg, voglio che marchi il numero cinque. È pericoloso, quindi ricorri a tutti i trucchi possibili. Smudger, tu fa' un fallo sulla duche ssa: quando il vicario ti espelle faccio entrare Thursday. Ok?» Non risposi; inspiegabilmente avevo un improvviso attacco fortissimo di déjà vu. «Thursday?» ripeté Aubrey. «Tutto bene? Sembri nel mondo dei sogni!» «Sto bene» replicai con cautela «aspetto l'imbeccata». «Ottimo». Facemmo di nuovo tutti il grugnito; gli altri raggiunsero le loro posizioni, e io mi sedetti sulla panchina e controllai il tabellone. Stavamo perdendo per ventuno archetti a dodici. Suonò la sirena e la partita riprese con nuovi attacchi. Biffo batté la palla gialla in direzione dell'archetto di fondo campo e colpì quella dei Whackers. Warg colse il rimbalzo. Con una battuta esperta la palla degli avversari finì nel giardino incassato all'italiana, mentre la nostra volò dritta sopra
i rododendri; a un "clack" lontano fece eco un boato dal pubblico, e intuii che la palla era stata intercettata da Grunk e mandata sotto l'archetto. Aubrey annuì a Smudger, che eliminò la duchessa in grande stile: entrambi capitombolarono in mezzo al tavolo del tè e lo travolsero. La sirena proclamò una sospensione e la duchessa venne faticosamente estratta dal mucchio di stoviglie. Non aveva perso i sensi, ma aveva una caviglia rotta. Smudger fu espulso senza ricevere archetti di penalità perché la duchessa era stata ammonita in precedenza per l'aggressione a Biffo. Mi unii alla mischia quando riprese la partita: la fiducia in sé dei Whackers stava rapidamente svanendo sotto un fulminante attacco dei Neandertal, che erano in grado di anticipare tutte le loro mosse semplicemente leggendo il loro linguaggi o corporeo. Warg passò a Grunk, che diede una tale botta alla palla che la fece passare attraverso i rododendri, facendo volare via un po' di foglie, e dall'altra parte fu mandata a segno da Zim verso un archetto indifeso. A tre minuti dal termine li avevamo quasi raggiunti: venticinque archetti contro i ventinove dei Whackers. Completamente sconcertati, i Whackers mancarono un rimbalzo, e a un minuto dalla fine segnarono il loro trentesimo archetto: noi eravamo indietro solo di due. Per vincere avrebbero dovuto fare "peg out", colpendo il picchetto centrale. Mentre cercavano di farlo, e noi davamo il massimo per impedirglielo, Mr Grunk, con otto secondi a disposizione e sotto di due archetti, batté una doppietta che attraversò l'archetto di fondo campo, percorse quaranta iarde e passò sotto l'archetto centrale. Non avevo mai sentito una folla urlare così forte. Li avevamo raggiunti e cercavamo disperatamente di mandare la nostra palla sul picchetto nella ressa che cercava di impedire ai Whackers di fare lo stesso. Warg grugnì a Grunk, che corse verso la mischia e la falciò, portandosi via sei giocatori mentre Warg batté la palla in direzione del picchetto ora indifeso. Lo colpì in pieno, ma un secondo dopo il suono della sirena. La partita era finita. In pareggio. 39 Alla morte NEANDERTAL RIFIUTANO OFFERTA DI UNA SQUADRA DI CROQUET Ieri un gruppo di Neandertal ha incongruamente respinto un'entusiasmante e irripetibile offerta da parte dei Gloucester Meteore, in seguito alla loro sbalorditiva prestazione di sabato nel corso del Superhoop 1988, WhackersMallets. La generosa offerta di dieci bilie di vetro dai colori vivaci è stata rifiutata da un portavoce dei Neandertal, che ha dichiarato che la conflittualità, quale che sia la sua estrinsecazione, è di per sé offensiva. L'offerta è stata innalzata a un set di pentole con il fondo spesso, ed è stata di nuovo rifiutata platealmente. Un portavoce dei Meteore ha poi dichiarato che la tattica dei Neandertal messa in pratica
sabato era in realtà frutto di alcuni trucchi insegnati loro dall'allenatore dei Mallets. Articolo apparso su «Il rospo», 15 luglio 1988 Bravi» disse Alf mentre ci sedevamo sul prato, col fiatone. In qualche momento della mischia avevo perso il casco, senza nemmeno accorgermene. Le mie protezioni erano sporche e lacere, il manico della mazza si era spaccato e avevo un taglio sul mento. Tutti i giocatori erano imbrattati di fango, contusi e stremati: ma avevamo ancora delle ottime chance. «In che ordine?» chiese l'arbitro, riferendosi ai tiri liberi a oltranza. Era molto semplice. A turno tiravamo sul picchetto, indietreggiando ogni volta di dieci iarde. C'erano sei linee fino al fondo. Se li avessimo messi a segno tutti, avremmo ricominciato da capo finché qualcuno non avesse sbagliato. Alf guardò i giocatori che erano ancora in grado di tenere in mano una mazza e mi mise per settima, così se avessimo dovuto ricominciare da capo sarei stata sulla linea delle dieci iarde, la più facile. «Biffo per primo, poi Aubrey, Stig, Dorf, Warg, Grunk e Thursday». L'arbitro segnò i nostri nomi e si allontanò; andai di nuovo dalla mia famiglia e da Landen. «Che mi dici del rullo compressore?» «Come, che ti dico del rullo compressore?» «Non ti è quasi finito addosso?» «Un incidente, Land. Devo andare. Ciao». La linea delle dieci iarde era semplice; entrambi i giocatori colpirono con facilità il picchetto. Anche la linea delle venti iarde non presentò problemi. I tifosi dei Whackers esultarono quando il giocatore di Reading colpì per primo il picchetto, ma i nostri esultarono ugualmente quando noi colpimmo il nostro. Anche le trenta iarde filarono lisce - entrambe le squadre colpirono il picchetto - e tutti ci spostammo sulla linea delle quaranta iarde. Da questa distanza il picchetto era minuscolo e non capivo come fosse possibile colpirlo, ma ci riuscirono, prima Mays per Reading, quindi Dorf per noi. La folla esultò fragorosamente, ma poi ci fu un fioco rombo di tuono e cominciò a piovere, cosa di cui avremmo ben presto colto l'importanza. «Dove stanno andando?» chiese Aubrey quando Stig, Grunk, Dorf e Warg corsero a cercare riparo. «È un problema dei Neandertal» spiegai mentre la pioggia aumentava spettacolarmente fino a diventare un acquazzone e l'acqua ci colava giù per le protezioni fino a terra. «I Neandertal non lavorano, giocano e neppure stanno fermi sotto la pioggia se possono farne a meno. Non preoccuparti, torneranno appena smette». Ma non smise. «Tiro dalle cinquanta iarde» annunciò l'arbitro. «O'Fathens per i Whackers e Mr Warg per i Mallets». Guardai Warg: era seduto sulla panchina al coperto e fissava la pioggia con un misto di rispetto e meraviglia. «Ci farà perdere la partita!» mi mormorò all'orecchio Jambe. «Non puoi intervenire?» Corsi sul prato inzuppato verso Warg, che mi fissò con sguardo vacuo quando lo implorai di venire a tirare. «Sta piovendo» rispose «ed è solo un gioco. Non importa veramente chi vince, no?» «Stig?» implorai. «Per te lavoreremmo sotto la pioggia, Thursday, ma abbiamo già fatto la nostra parte. La pioggia è preziosa; dà la vita. Anche tu dovresti rispettarla di più». Tornai alla linea delle cinquanta iarde il più lentamente possibile per dare
tempo alla pioggia di cessare. Non cessò. «Allora?» chiese Jambe. Scossi la testa affranta. «Temo che non ci sia nulla da fare. Vincere non ha mai avuto il minimo interesse per i Neandertal. Giocavano solo per farmi un piacere». Aubrey sospirò. «Vorremmo attendere che smetta di piovere per battere il prossimo tiro» annunciò Twizzit, che era apparso tenendosi un giornale sopra la testa. Legalmente , si trovava sulle sabbie mobili e lo sapeva. L'arbitro chiese ai Whackers se fossero disposti ad aspettare, ma O'Fathens mi fissò e disse di no. Così il tiro dalle cinquanta iarde toccò alla successiva persona sulla lista: me. Mi tolsi l'acqua dagli occhi e feci uno sforzo anche solo per vedere il picchetto. La pioggia cadeva con tanta forza che le gocce formavano una nebbiolina acquosa per vari centimetri sopra il campo. Comunque, avrei tirato per seconda: anche O'Fathens poteva sbagliare. Il capitano dei Whackers si concentrò per un momento, roteò la mazza e colpì bene la palla, che volò alta verso il picchetto e sembrava destinata a colpirlo in pieno. Ma con un sonoro "plop" atterrò troppo presto. Dalla folla si levò un brusìo carico di attesa. Si diffuse la notizia: O'Fathens era arrivato a un metro dal picchetto. Dovevo avvicinarmi di più per vincere il Superhoop. «Buona fortuna» mi augurò Aubrey, stringendomi il braccio. Raggiunsi la linea delle cinquanta iarde, con il terriccio ora fangoso che mi colava dagli stivali. Mi tolsi la spalliera e la buttai via, roteai un po' la mazza per prova, mi asciugai l'acqua dagli occhi e fissai il picchetto colorato: sembrava che si fosse allontanato di altri venti metri. Fronteggiai la palla e spostai il peso su un piede per assumere la posizione corretta. La folla si fece silenziosa. Non sapevano quanto fosse elevata la posta in gioco, ma io sì. Non osavo sbagliare. Guardai la palla, cercai il picchetto, guardai di nuovo la palla, afferrai il manico della mazza e la sollevai in alto, la roteai con forza, gridando quando il legno toccò il legno e la palla volò via in un arco allungato. Pensai a Kaine e alla Goliath, a Landen e a Friday e alle conseguenze di un mio errore. Il destino di tutta la vita su questo bel pianeta deciso da un colpo di mazza da croquet. Vidi la mia palla finire nel terreno inzuppato e il giudice di gara si precipitò a confrontare le distanze. Mi girai e mi incamminai sotto la pioggia verso Landen. Avevo fatto del mio meglio e la partita era finita. Non udii l'annuncio, ma solo il boato dei tifosi. Ma dei tifosi di chi? Lampeggiò un flash e mi sentii girare la testa. I suoni si attutivano e la realtà sembrava rallentare. Non nel modo in cui poteva farlo mio padre: era un momento postadrenalina in cui tutto sembra strano, e diverso. Cercai con lo sguardo Landen e Friday tra gli spalti, ma la mia attenzione fu distratta dalla sagoma imponente di un tizio in spolverino e cappello che era saltato sopra la barriera e mi stava correndo incontro. Mentre correva estrasse qualcosa dalla tasca; con i piedi si schizzava di fango i pantaloni. Lo guardai avvicinarsi e notai che aveva gli occhi gialli e che sotto il cappello c'era qualcosa che sembrava... un paio di corna. Non vidi altro; ci fu un bagliore bianco, un rombo assordante, e il resto fu silenzio. 40 Seconda prima persona RESTA UN MISTERO LO YACHT PREFERITO DI NOTA DETECTIVE LETTERARIA L'attentato di sabato scorso
a Thursday Next ha lasciato senza risposta l'interrogativo sul suo yacht prediletto, ci scrive il nostro corrispondente da Swindon. "Dal suo aspetto direi un ketch di dieci metri con pilota automatico Floon". Altri esperti dissentono e ritengono che avrebbe preferito qualcosa di più grande, come uno sloop o uno vaivi, anche se è possibile che le interessasse solo un'imbarcazione per l'attività costiera o per il fine settimana, per cui avrebbe potuto orientarsi su un compatto sei metri. Abbiamo chiesto a suo marito un commento sui gusti di Thursday Next in materia di imbarcazioni, ma si è rifiutato di rilasciare una dichiarazione. Articolo apparso su «Barca mese», luglio 1988 La stavo guardando fino al momento in cui le sparò. Aveva l'aria confusa e stanca mentre si allontanava da dove aveva tirato, e la folla esplose in un boato quando gridai per richiamare la sua attenzione, per cui lei non mi sentì. Fu allora che vidi un uomo saltare oltre la barriera e correre verso di lei. Pensavo che fosse un ammiratore mezzo matto o qualcosa del genere, e il suono dello sparo sembrò più quello di un petardo. Si sollevò una nuvoletta di fumo azzurro; dopo un attimo di incredulità lei si accasciò e finì a terra. Tutto qui. Prima di avere il tempo di riflettere avevo lasciato Friday a Joffy ed ero saltato sopra la barriera, correndo il più veloce possibile. Fui il primo a raggiungere Thursday, che era perfettamente immobile sul terreno fangoso, con gli occhi aperti e un nitido foro rosso cinque centimetri sopra l'occhio destro. Qualcuno gridò: «Un medico!» Ero io. Innestai la marcia automatica. Per il momento l'idea che avessero sparato a mia moglie fu rimossa dalla mia mente; stavo semplicemente assistendo un ferito. E il cielo sa se non l'avevo fatto fin troppe volte. Tirai fuori il fazzoletto e lo premetti sulla ferita. Dissi: «Thursday, riesci a sentirmi?» Non rispose. Non batteva le palpebre mentre la pioggia la colpiva e le misi una mano sopra la testa per proteggerla. Accanto a me, sguazzando nel fango nella fretta di accorrere, apparve un infermiere. Chiese: «Che cos'è successo?» Risposi: «Le hanno sparato». Allungai cautamente la mano dietro la testa e trassi un piccolo sospiro di sollievo non trovando un foro d'uscita. Un secondo soccorritore - questa volta una donna -raggiunse il primo e mi chiese di allontanarmi. Ma mi spostai solo quel tanto che le avrebbe permesso di lavorare. Tenni la mano di Thursday nella mia. Il primo infermiere disse: «Il battito c'è» e poi aggiunse: «Dov'è quella maledetta ambulanza?» Rimasi con lei fino all'arrivo in ospedale e le lasciai la mano solo quando la portarono in sala operatoria. Un'amica infermiera del pronto soccorso del San Septyk mi disse: «Tieni» e mi diede una coperta. Mi sedetti su una sedia di plastica rigida e fissai l'orologio sul muro e i poster informativi. Pensai a Thursday, cercando
di calcolare quanto tempo avevamo passato insieme. Non molto, negli ultimi due anni e mezzo. Un bambino accanto a me, con la testa incastrata in una casseruola, chiese: «Tu pecché sei qui, signore?» Mi avvicinai a lui, parlai nel manico cavo perché mi potesse sentire e gli risposi: «Io sto bene, ma hanno sparato a mia moglie». Il bambino con la testa incastrata in una casseruola disse «Cavolo» e io replicai «Già, cavolo». Mi sedetti e guardai di nuovo i poster per un bel po', finché qualcuno disse: «Landen?» Alzai lo sguardo. Era Mrs Next. Aveva pianto. Penso di aver pianto anch'io. Domandò: «Come sta?» E io: «Non lo so». Mi si sedette accanto. «Ho portato un po' di Battenberg». Dissi: «Non ho tanta fame». «Immagino. Ma non so che altro fare». Entrambi fissammo in silenzio l'orologio e i manifesti per qualche minuto. Dopo un po' domandai: «Dov'è Friday?» Mrs Next mi diede qualche colpetto su un braccio. «Con Joffy e Miles». «Ah» feci «bene». Thursday uscì dalla sala operatoria tre ore dopo. Il chirurgo, che aveva un aspetto spaurito ma mi guardava dritto negli occhi, cosa che mi piacque, mi comunicò che la situazione non era entusiasmante, ma lei era stazionaria e combattiva e non dovevo disperare. Andai da lei insieme a Mrs Next. Aveva la testa fasciata da una spessa benda e i monitor facevano tanti bip come nei film. Mrs Next tirò su col naso e disse: «Ho già perso un figlio. Non voglio perderne un altro. Cioè, una figlia, insomma sai che cosa intendo». Dissi: «So che cosa intendi». In realtà non lo sapevo, non avendo mai perso un figlio, ma sembrava la cosa giusta da dire. Rimanemmo seduti accanto a lei per due ore mentre fuori faceva buio e dentro si accendevano i neon. Dopo altre due ore Mrs Next disse: «Ora vado, ma torno domattina. Devi cercare di dormire un po'». Risposi: «Lo so. Resto qui giusto altri cinque minuti». Rimasi un'altra ora. Un'infermiera gentile mi portò una tazza di tè e mangiai una fetta di Battenberg. Andai a casa alle undici. Joffy mi stava aspettando. Mi disse che aveva messo a letto Friday e mi chiese come stava sua sorella. Risposi: «Le cose non vanno tanto bene, Joff». Mi diede una pacca sulla spalla, mi abbracciò e mi disse che lui e tutti quelli della DGS, insieme agli Amici Idolatri di san Zvlkx e alle sorelle della Puntualità Eterna stavano pregando per lei; era gentile da parte sua e loro. Restai seduto sul divano a lungo finché si sentì bussare piano alla porta della cucina. Aprii e vidi un gruppetto di persone. Un uomo che si presentò come il "cugino Eddie" di Thursday, ma bisbigliò che in realtà si chiamava Amleto, mi disse: «Non è un buon momento? Abbiamo saputo di Thursday e volevamo farti sapere quanto ci dispiace». Cercai di mostrarmi cordiale. Avrei preferito mandarli al diavolo, ma risposi: «Grazie. Non vi preoccupate. Gli amici di Thursday sono miei amici. Tè e Battenberg?» «Se non disturbiamo». C'erano altri tre individui, oltre a lui. Il primo era un uomo basso che sembrava esattamente un cacciatore di animali feroci dell'epoca vittoriana. Indossava un casco coloniale e una tenuta da safari e aveva folti baffoni bianchi. Mi porse la mano e disse: «Comandante Bradshaw, comestamol-
tolieto. Una donna coi fiocchi, sua moglie. Mi piacciono le ragazze che sanno come cavarsela in una zuffa. Le ha raccontato di quando abbiamo dato la caccia ai Morlocchi nei libri di Trollope?» «No». «Peccato. Un giorno glielo racconterò. Le presento la Memsahib, Mrs Bradshaw». Melanie era grande e pelosa e sembrava una gorilla. In effetti, era una gorilla, ma i suoi modi erano impeccabili e fece la riverenza mentre le stringevo la manona nera come il carbone che aveva il pollice in una posizione strana, cosicché era difficile stringergliela come si deve. Aveva gli occhi infossati pieni di lacrime e disse: «Oh, Landen! Posso chiamarla Landen? Thursday parlava sempre di te quando eri sradicato. Le volevamo tutti tanto bene... voglio dire, gliene vogliamo tuttora. Come sta? Come sta Friday? Sarai a pezzi!» Risposi: «Non sta molto bene», che era la verità. Il quarto membro del gruppo era un uomo alto con un mantello nero. Aveva una grande testa calva e alte sopracciglia arcuate. Mi porse una mano molto curata e disse: «Mi chiamo Zhark, ma mi puoi chiamare Orazio. Lavoravo con Thursday. Ti porgo le mie condoglianze. Se ti può aiutare, sarò lieto di massacrare qualche migliaio di Thraal come offerta agli dei». Non sapevo che cosa fosse un Thraal, ma risposi che non era necessario. Disse: «Veramente, non mi è di nessun disturbo. Ho appena conquistato il loro pianeta e non so bene cosa farne». Gli ribadii che non era assolutamente necessario e aggiunsi che non pensavo che a Thursday avrebbe fatto piacere, poi mi mandai gli accidenti perché avevo usato il passato. Misi il bollitore sul fuoco e proposi: «Battenberg?» Amleto e Zhark risposero simultaneamente. Si vedeva che apprezzavano molto la specialità di mia suocera. Sorrisi per la prima volta da otto ore e ventitré minuti e annunciai: «Ce n'è per tutti. Mrs Next continua a mandarmela e i dodo non la sfiorano nemmeno. Potete portare via una torta a testa». Preparai il tè, Mrs Bradshaw lo servì e ci fu un silenzio imbarazzato. Zhark mi chiese se sapevo dove vivesse Handley Paige, ma il cacciatore gli lanciò un'occhiataccia e Zhark si zittì. Tutti mi parlarono di Thursday e di che cosa aveva fatto nel Mondo dei libri. Erano storie assolutamente inverosimili, ma non volli metterle in dubbio: mi faceva piacere avere compagnia ed ero contento di sentire che cosa aveva fatto Thursday negli ultimi due anni. Mrs Bradshaw mi riepilogò pure le imprese di Friday, e si offrì addirittura di venire a tenerlo ogni volta che avessi voluto. Zhark era più interessato a parlare di Handley, ma trovò ugualmente il tempo di raccontarmi una storia del tutto incredibile di come lui e Thursday avevano dato la caccia a un marziano che era fuggito da The War of the Worlds ed era finito in The Wind in the Willows. «Dipende dalle w» spiegò «nei titoli, dico. Wind-War, Worlds-Willows, sono così simili che...» Bradshaw gli diede una gomitata per farlo tacere. Se ne andarono dopo due ore, con un po' di alcol e molta Battenberg in corpo. Notai che quello alto con il mantello nero aveva dato un'occhiata alla mia agenda prima di uscire e mi resi conto che l'aveva lasciata aperta all'indir izzo di Handley. Tornai in soggiorno e rimasi seduto sul divano finché non arrivò il sonno. Fui svegliato da Pickwick che voleva uscire e da Alan che voleva entrare. Il dodo piccolo aveva un po' di vernice addosso, odorava di profumo, aveva un nastro blu legato attorno alla zampa sinistra e teneva uno sgombro nel becco. Ancora oggi non ho idea di che cosa avesse combinato. Andai di sopra, controllai che Friday dormisse nel suo lettino, mi feci una lunga doccia e la barba.
41 La morte le si addice AGGRESSORE DEL SUPERHOOP "SCOMPARE" Il misterioso assassino che ha fatto fuoco sul commissario tecnico della squadra dei Mallets non è stato ancora rintracciato, nonostante le ricerche a tappeto da parte delle OPS. "Siamo solo all'inizio dell'indagine" ha dichiarato un portavoce della polizia "ma gli abiti abbandonati sulla scena del delitto ci spingono a interrogare un certo Mr Norman Johnson, che ci risulta aver soggiornato la settimana scorsa all'Hotel Finis". Alla richiesta di un commento sui presunti legami tra l'aggressione a Miss Next e l'incidente del pianoforte a coda di venerdì scorso, lo stesso portavoce della polizia ha confermato che gli episodi sono connessi, ma non ha rivelato alcun dettaglio. Miss Next si trova ancora all'ospedale San Septyk, dove le sue condizioni sono definite "critiche". Articolo apparso su «La sguerciata quotidiana», 24 luglio 1988 Tavolo 17?» «Scusi?» «Tavolo 17. Lei è al tavolo 17, no?» Un po' confusa, guardai la cameriera. Un secondo prima stavo battendo un tiro libero durante il Superhoop... e ora mi trovavo chissà dove in una tavola calda. Era una signora gentile dai modi amichevoli. Controllai il cartellino sul tavolo. Ero effettivamente al tavolo 17. «Sì?» «Deve andare... a nord». Dovevo avere un'aria perplessa, perché lo ripeté e poi mi diede delle indicazioni: attraverso l'atrio, oltre il William parlante del Coriolano, su per le scale e al di là del ponte pedonale. La ringraziai e mi alzai. Indossavo ancora il mio equipaggiamento da croquet, ma senza mazza né casco, e mi sfiorai la testa nel punto in cui sentivo un piccolo buco. Mi fermai un momento a riflettere. C'ero già stata, qui, e di recente. Ero in una stazione di servizio sull'autostrada. La stessa in cui ero venuta con Spike. Ma dov'era Spike? E perché non mi ricordavo come c'ero arrivata? «Guarda guarda chi abbiamo qui!» disse una voce alle mie spalle. Era Chesney, ma questa volta portava al collo una sorta di sostegno, e aveva un livido sul lato della testa, dove gli avevo tirato un calcio. Al suo fianco c'era uno dei suoi scagnozzi, senza un braccio.
«Chesney» mormorai, guardandomi attorno in cerca di un'arma, «ti occupi ancora di traffico di anime?» «Eccome!» «Toccami e ti faccio volare via la zucca». «Ooooh!» fece Chesney. «Non ti illudere, ragazzina. Sei stata appena chiamata a nord, no?» «E allora?» «Be', c'è solo un motivo per andare di là» rispose il tirapiedi di Chesney, ridacchiando in maniera poco cortese. «Cioè...?» «Per la precisione» disse Chesney ghignando «sei morta». «Morta?» «Morta. Benvenuta nel club, tesoruccio». «Come faccio a essere morta?» «Ti ricordi l'assassino al Superhoop?» Mi toccai di nuovo il buco in testa. «Mi hanno sparato». «In testa. Vediamo come te la cavi stavolta, Miss Next!» «Landen sarà distrutto» mormorai «e martedì devo portare Friday dal pediatra». «Non è più un tuo problema!» sghignazzò il tirapiedi di Chesney, e se ne andarono entrambi, ridendo rumorosamente. Mi voltai verso i gradini del ponte pedonale che portava a nord e mi guardai intorno. Stranamente non mi spaventava più di tanto l'idea di essere morta: è solo che avrei voluto salutare i ragazzi. Salii il primo gradino, quando sentii uno stridio di pneumatici e un botto. Un'automobile si era appena fermata fuori dalla stazione di servizio, salendo sul marciapiede e abbattendo un bidone della spazzatura. Ne era saltato fuori un omone che entrò di corsa, cercando disperato in tutte le direzioni finché mi vide. Era Spike. «Thursday...!» ansimò. «Grazie al cielo ti ho raggiunto prima che passassi di là!» «Sei vivo?» «Certo. Sono andato su e giù per la M4 per due giorni prima di riuscire a entrare qui. A quanto pare, sono appena in tempo». «In tempo? In tempo per cosa?» «Ti riporto a casa». Mi diede le chiavi dell'automobile. «Con questa si accende, ma il motorino di avviamento è un pulsante in mezzo al cruscotto». «In mezzo al cruscotto, d'accordo. E tu?» «Devo sistemare una cosa con Chesney: ci vediamo dall'altra parte». Mi abbracciò, e corse verso l'edicola dei giornali. Tornai indietro e salii nell'automobile di Spike, grata di avere un amico in grado di affrontare situazioni come questa. Avrei rivisto Friday e Landen e tutto sarebbe stato super. Misi in moto, mi allontanai in retromarcia dal bidone e mi avviai verso l'uscita. Mi domandai se avevamo vinto il Superhoop. Avrei dovuto chiederlo a Spike. SPIKE!!! Inchiodai, tornai rapidamente alla stazione di servizio, saltai giù dall'automobi le e attraversai di corsa il ponte che portava a nord. Solo che non portava a nord, ovviamente. C'era un'enorme caverna indicibilmente antica illuminata da decine di torce accese. Le stalattiti e le stalagmiti si erano unite, creando un effetto di colonne doriche organiche che sostenevano l'alto soffitto; tra le colonne, sul suolo cosparso di macigni, serpeggiava una fila ordinata di anime dipartite in attesa di attraversare il fiume che custodiva l'accesso all'aldilà. Il traghettatore solitario arrotondava: per uno scellino in più si poteva avere anche una visita guidata. Un altro affarista vendeva guide dell'oltretomba che spiegavano come assicurarsi
che l'anima dipartita andasse nel Paese dove scorre latte e miele e, per gli individui più problematici, alcuni utili suggerimenti su come sistemare le cose col Capo nel Giorno del giudizio. Corsi lungo la fila e trovai Spike a dieci anime dal fiume. «Non se ne parla nemmeno, Spike!» «Ssh!» fece qualcuno davanti a noi. «Piantala, Thursday. Occupati di Betty, d'accordo?» «NON prenderai il mio posto, Spike». «Lasciamelo fare, Thursday. Ti meriti una lunga vita. Ti aspettano molte cose meravigliose». «Lo stesso vale per te». «È discutibile. Combattere contro i nonmorti non è mai stato un divertimento folle. E ora, senza Cindy?» «Non è morta, Spike». «Se se la cava non uscirà mai più di prigione. Era Senza scampoli. No, dopo tutto lo schifo che ho passato, questa è veramente una buona idea. Rimango qui». «Invece no». «Prova a impedirmelo». «Sssh!» fece di nuovo l'uomo davanti a noi. «Non te lo permetterò, Spike. Pensa a Betty. E poi sono io la morta, qui, non tu. SICUREZZA!» Si avvicinò sferragliando uno scheletro pieno di muffa che impugnava una lancia e indossava un'armatura arrugginita. «Che succede?» Additai Spike. «Quest'uomo non è morto». «Non è morto?» ripeté la guardia in tono scandalizzato. Tutta la fila si girò a guardare, mentre la guardia estraeva una spada arrugginita e la puntava contro Spike, che alzò le mani con riluttanza e, scuotendo la testa tristemente, si incamminò verso il ponte. «Di' a Landen e a Friday che li amo!» gli gridai mentre si allontanava, rendendomi improvvisamente conto che mi ero dimenticata di chiedergli chi aveva vinto il Superhoop. Mi girai verso la fila dietro di me, che serpeggia va nella caverna, tra i macigni, e domandai: «Qualcuno sa il risultato del Superhoop '88?» «Shhh!» fece ancora l'uomo davanti. «Perché il tuo 'shhh' non te lo ficchi... Oh, salve, signor presidente». Appena mi riconobbe mi fece un ampio sorriso con i dentoni in fuori. «Eeee, Miss Next! Siamo di nuovo nel parco tematico?» «Più o meno». Fui lieta di vedere che la traversata del fiume portava sia in alto che in basso. Una cosa era certa: a meno che non ci fosse stato qualche immane disguido burocratico, Formby non era destinato alla dannazione eterna tra le fiamme infernali. «E allora... come sta?» chiesi, momentaneamente a corto di parole di fronte alla più grande - nonché ultima - celebrità che avrei incontrato. «Piuttosto bene, signorina. Stavo tenendo un concerto, e subito dopo mi sono ritrovato in una tavola calda a ordinare pasticcio di carne con patate per uno». Spike aveva detto di aver girato due giorni per trovarmi, quindi doveva essere il 24. Come aveva previsto papà, Formby era morto secondo i propri desideri, cantando per i veterani del Reggimento Lancaster. Mi sentii mancare rendendomi conto che i giorni successivi alla morte di Formby avrebbero visto l'inizio della Terza guerra mondiale. Comunque, non potevo più farci niente. Arrivò la barca per l'ex presidente e lui salì a bordo. Il traghettatore spinse la piccola imbarcazione nel fiume e calò la pertica nelle acque scure.
«Mr Formby, vero?» disse il traghettatore. «Sono un suo grande ammiratore. Una volta ho portato in barca Mr Garrick. Le posso chiedere una canzone?» «Ooh, come no» rispose il cantante «ma non ho con me il mio ukulele». «Usi il mio» propose il traghettatore. «Sa, anch'io faccio qualche spettacolino». Formby prese l'ukulele e lo strimpellò. «Che cosa vuole sentire?» Il traghettatore glielo disse e la cupa caverna risuonò di una versione vivace di We've Been a Long Time Gone. Era un modo appropriato per andarsene, per uno che aveva dato tanto a tanti, non solo come uomo di spettacolo, ma come difensore della libertà e come statista. La barca, Formby e il traghettatore sparirono nella foschia che aleggiava sopra il fiume, celando la riva opposta e attutendo i suoni. Ora toccava a me. Che cosa aveva detto la nonna? La parte peggiore del morire è non sapere come va a finire tutto quanto? Almeno avevo riportato indietro Landen e così Friday era in buone mani. «Miss Next?» Alzai lo sguardo. Il traghettatore era tornato. Indossava una specie di tunica sporca di tela; non riuscivo a vedergli la faccia. «Hai di che pagare?» Estrassi una moneta e stavo per porgergliela quando... «FERMA!!!» Mi girai. Accorse una giovane donna minuta, senza fiato. Si tolse i capelli biondi dalla faccia e mi sorrise con timidezza. Era Cindy. «Prendo il suo posto» comunicò al traghettatore, dandogli una moneta. «Come è possibile?» chiesi sorpresa. «Anche tu sei quasi morta!» «No» mi corresse «niente affatto. Anzi, mi sto riprendendo. Non dovrei, ma è così. Qualche volta il diavolo dà una mano ai suoi». «Ma abbandoneresti Spike e Betty...» «Ascoltami per un attimo, Thursday. Durante la mia carriera ho ucciso sessantotto persone». «Allora lo hai ucciso tu, Samuel Pring». «È stato un colpo di fortuna. Ma stammi a sentire: sessantotto anime innocenti, spedite attraverso questo fiume prima del tempo, tutto a causa mia. E l'ho fatto per soldi. Tu fai pure la sostenuta, ma rimane il fatto che non rivedrò più la luce del sole quando guarirò, e non potrò mai più prendere in braccio Betty, o abbracciare Spike. Non mi va. Sei una persona migliore di me, Thursday, e il mondo starà molto meglio con te dentro». «Ma non è questo il punto, no?» dissi. «Quando è il momento di andarsene...» «Senti» mi interruppe con rabbia «lasciami fare una cosa buona per controbilanciare almeno un quarto dell'uno per cento delle sofferenze che ho provocato». La fissai mentre lo scheletro con l'armatura arrugginita sferragliava di nuovo verso di me. «Cosa c'è ancora, Miss Next?» «Ci concede un minuto?» «Per piacere» mi implorò Cindy «mi faresti un favore». Guardai lo scheletro, che probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, se li avesse avuti. «Sta a lei decidere, Miss Next» disse la guardia «ma qualcuno deve prenderla, quella barca, sennò mi licenziano. E ho una moglie ossuta e due scheletrini da mantenere agli studi». Mi girai di nuovo verso Cindy, le porsi la mano e lei la strinse, poi mi avvicinò a sé e mi abbracciò forte, bisbigliandomi all'orecchio: «Grazie, Thursday. Tieni d'occhio Spike per me». Saltò rapidamente nella barca prima che potessi cambiare idea. Fece un mezzo sorriso e sedette a prua, mentre il traghettatore faceva forza sulla pertica, spingendo silenziosamente la piccola barca attraverso il fiume. Rispett o all'enorme fardello dei suoi peccati, salvare me era una goccia nel
mare, ma la fece sentire meglio, e fece sentire meglio anche me. Quando la barca con Cindy svanì nelle nebbie del fiume, mi girai e tornai verso il ponte pedonale, il lato sud dell'area di servizio di Dauntsey, e la vita. 42 Spiegazioni LEADER MONDIALI AI FUNERALI DI STATO Milioni di cittadini inglesi affranti e i più importanti capi di Stato del mondo sono arrivati ieri a Wigan per rendere omaggio al presidente George Formby, deceduto due settimane fa. Il corteo funebre ha percorso un lungo itinerario attraverso le Midland. Sui lati della strada era schierata gente in lacrime, desiderosa di dare l'ultimo addio all'uomo che è stato presidente d'Inghilterra per gli ultimi trentanove anni. Nel corso della funzione tenutasi nella cattedrale di Wigan, il nuovo cancelliere, Mr Redmond van de Poste, ha ricordato con commozione il contributo dello scomparso alla pace nel mondo. Dopo l'esecuzione, da parte del Coro maschile del Lancashire accompagnato da duecento ukulele, di With My Little Stick of Blackpool Rock, il cancelliere ha invitato la regina di Danimarca a unirsi a lui in Your Way Is My Way, un gesto che contribuirà a sanare la frattura tra le nostre due nazioni. Articolo apparso su «Il rospo», io agosto 1988 Sei stata a un soffio» disse Landen, seduto accanto al mio letto d'ospedale tenendomi la mano. «Per un attimo abbiamo pensato che non ce l'avresti fatta». Sorrisi debolmente. Avevo ripreso i sensi solo il giorno prima e ogni movimento era una pugnalata in testa. Mi guardai attorno. C'erano anche Joffy, Miles e Amleto. «Ehi, ragazzi». Sorrisero e mi salutarono. «Per quanto tempo?» sussurrai. «Due settimane» rispose Landen. «Pensavamo...» Gli strinsi piano la mano e diedi un'occhiata in giro. Land intuì perfettamente i miei pensieri. «È con tua madre». Alzai la mano per toccarmi la testa, ma sentii solo una spessa fasciatura. Landen mi prese la mano e la riportò sul lenzuolo.
«Che cosa...?» «Sei stata incredibilmente fortunata» disse in tono carezzevole. «I medici dicono che ti rimetterai del tutto. Il calibro era piccolo e il proiettile ti è entrato obliquamente nel cranio; una volta penetrato aveva esaurito quasi tutta l'energia». Si diede un colpetto sul lato della testa. «Si è fermato tra il cervello e l'interno del cranio. Però ci ha fatto prendere un bello spavento». «Cindy è morta, vero?» Mi rispose Joffy. «Sembrava che stesse migliorando, ma poi è insorta la setticemia». «Si amavano davvero, sai, per quanto fossero diversi». «Era una sicaria, Thursday, un'assassina professionista. Per lei la morte era un rischio del mestiere». Annuii. Aveva ragione. Landen si chinò e mi diede un bacio sul naso. «Chi mi ha sparato, Land?» «Il nome Norman Johnson ti dice qualcosa?» «Sì» dissi «il minotauro. Avevi ragione. È tutta la settimana che cerca di ammazzarmi a colpi di farsa: il rullo compressore, la buccia di banana, il pianoforte. Sono stata un'idiota a non rendermene conto. Però un'arma da fuoco non è proprio una trovata da farsa, eh?» Landen sorrise. «C'era una grossa scritta BANG che è uscita dalla canna della pistola insieme al proiettile. La polizia sta ancora cercando di farsene una ragione». Sospirai. Il minotauro ormai era lontano, ma dovevo ancora stare attenta. Mi voltai verso Landen. C'era qualcosa che dovevo sapere. «Abbiamo vinto?» «Certo. Ti sei avvicinata di trenta centimetri rispetto a O'Fathens. Il tuo tiro è stato nominato 'Momento sportivo del secolo'... a Swindon, almeno». «Quindi non siamo in guerra con il Galles?» Landen scosse la testa e sorrise. «Kaine è finito, tesoro, e la Goliath ha abbandonato ogni proposito di diventare una religione. San Zvlkx opera veramente in modi misteriosi». «Me lo dite?» chiesi con un sorriso debole. «O devo prendervi a legnate finché non parlate?» Joffy tirò fuori la prima pagina della «Gazzetta di Swindon» con la foto di san Zvlkx e della sonata fatale per Cindy su Commercial Road, quella che mi aveva dato la nonna. «Te l'abbiamo trovato in tasca» disse Miles. «E ci ha fatto pensare» continuò Joffy «a dove fosse diretto Zvlkx quella mattina, e perché avesse in camera il biglietto del Gravitube. Stava cercando di salvare il salvabile e scappare. Neppure Zvlkx - o chiunque fosse in realtà - credeva che Swindon potesse vincere il Superhoop. Papà diceva sempre che il tempo non è immutabile». «Non capisco». Miles si sporse in avanti e mi mostrò di nuovo la foto. «È morto mentre era diretto all'agenzia degli Allibratori Tudor». «E allora? È l'agenzia di scommesse più antica di Swindon». «No, del mondo. Abbiamo fatto qualche telefonata. È in attività ininterrottamente dal 1264». Guardai Joffy con un'espressione perplessa. «Che cosa stai cercando di dire?» «Che il Libro delle Rivelazioni non era quello che sembra: sono ricevute di scommesse del Tredicesimo secolo!» «Sono cosa?» Joffy estrasse dalla tasca le Rivelazioni di Zvlkx e le aprì alla prima pagina. C'era una ricevuta controfirmata per un quarto di penny, che avevamo pensato fosse la tariffa del rilegatore o qualcosa del genere. Il piccolo calcolo accanto a ogni Rivelazione era in realtà la quota a cui veniva dato l'avverarsi di quel particolare evento, ognuno controfirmato con la stessa firma della prima pagina. Joffy sfogliò l'esile volume.
«La Rivelazione sull'Armada spagnola era stata data seicento a uno, la vittoria di Wellington a Waterloo quattrocentoventi a uno». Arrivò all'ultima pagina. «L'esito della partita di croquet era dato centoventiquattromila a uno. Le quote erano generose perché Zvlkx stava scommettendo sui vari avvenimenti secoli prima che si verificassero; anzi, secoli prima che anche solo si concepisse il croquet. Non c'è da stupirsi che la persona che controfirmò le scommesse non avesse problemi a offrire queste quote». «Be'» feci «non vi emozionate troppo. Centoventiquattromila quarti di penny equivalgono solo a... a...» «Centotrenta sterline» completò Miles. «Giusto. Centotrenta sterline. E la vittoria di Nelson avrebbe fruttato a Zvlkx solo, quanto, nove scellini?» Continuavo a non capire. «Thursday, si tratta di un totalizzatore. Ogni scommessa, o evento, che si realizza viene moltiplicato per la vincita dell'evento precedente, e ogni profezia che non si fosse avverata avrebbe azzerato tutto l'affare». «E quindi... quanto valgono le Rivelazioni?» Joffy guardò Miles, che guardò Landen, che sorrise e guardò Joffy. «Centoventotto miliardi di sterline». «Ma la Tudor non li avrà tutti questi soldi!» «Certo che no» rispose Miles «ma la società a cui appartiene la Tudor è tenuta per legge a onorare tutte le scommesse accettate. E la Tudor appartiene alla Spillasoldi Wessex che a sua volta appartiene alla Croce perdi tu, la divisione gioco d'azzardo della UnionPacchia, che appartiene a...» «La Goliath Corporation» completai a mezza voce. «Esatto». Tacqui stordita. Volevo saltare giù dal letto, ridere, gridare e correre in tondo, ma per tutto questo, lo sapevo, avrei dovuto aspettare di sentirmi meglio. Per il momento mi limitai a sorridere. «E quindi quanto deve la Goliath agli Amici Idolatri di san Zvlkx?» «Be'» continuò Joffy «in effetti, non deve loro niente. Se ti ricordi, abbiamo venduto tutta la sua saggezza all'Ente per la promozione dei toast. Sono loro che ora possiedono il cinquantotto per cento della Goliath. Abbiamo avanzato le nostre richieste e loro hanno acconsentito entusiasticamente. La Goliath ha abbandonato il suo progetto di diventare una religione e ha deciso di non sostenere più i Whig. Nell'accordo c'era anche una postilla sulla costruzione di una nuova cattedrale. Abbiamo vinto, Thursday, abbiamo vinto!» La caduta di Kaine, appresi, era stata rapida e umiliante. Senza l'appoggio della Goliath e senza il suo ovinatore, il parlamento cominciò di colpo a chiedersi perché mai lo avesse seguito così ciecamente, e quelli che lo avevano sostenuto si rivoltarono contro di lui con lo stesso entusiasmo. In meno di una settimana imparò che cosa voleva dire essere semplici esseri umani. Tutta la vanagloria e i complotti e gli intrighi che funzionavano così bene quando era un personaggio di fantasia non sembravano dotati della stessa efficacia una volta trasferiti nella vita reale, e venne rimosso dalla sua carica meno di tre giorni dopo il Superhoop. Ernst Stricknene, interrogato a lungo a proposito delle telefonate fatte a Cindy Stoker dal suo ufficio, decise di salvare il salvabile e rivelò molte cose sul suo ex capo. Kaine ora doveva affrontare il più corposo mucchio di imputazioni mai accumulate da un personaggio pubblico nella storia d'Inghilterra. Tante, in effetti, che si faceva prima a elencare le cose di cui non era accusato, e cioè: "Fare la bambinaia senza licenza" e "Uso di segnalazioni acustiche in centri abitati nelle ore notturne". Se fosse stato giudicato colpevole di tutte le accuse, avrebbe passato più di novecento anni in prigione. «Quasi mi dispiace per lui» disse Joffy, che era molto più disposto di me al perdono. «Povero Yorrick». «Sì» rispose Amleto, sarcastico. «Ahimè».
43 Ripresa IL PARTITO DEL TOAST RIVELA IL PROPRIO PROGRAMMA Mr Redmond van de Poste, il cui Partito del toast (già del buonsenso) è al governo dalla settimana scorsa, ha annunciato il programma per salvare la nazione dal dissesto economico e sociale. Mr van de Poste ha esordito indicando le quote di consumo obbligatorio di toast per tutti i cittadini in misura variabile in funzione dell'età, e poi ha proposto un'iniziativa per portare un nuovo tostapane in ogni casa entro un anno. "A lungo termine" ha continuato Mr van de Poste "inaugureremo un piano quinquennale per modernizzare tutti i nostri stabilimenti industriali perché producano un nuovo modello di supertostapane che farà piazza pulita della concorrenza e renderà l'Inghilterra la capitale mondiale dei toast". Gli avversari del Manifesto del toast si sono mostrati allarmati di fronte all'insistente appello di van de Poste per una North Atlantic Toast Alliance, e hanno sottolineato che escludere le nazioni in cui non si mangiano toast provocherebbe inutili tensioni internazionali. Mr van de Poste non ha ancora risposto, e ha chiesto una riforma del parlamento. Articolo apparso su «Il rospo», 4 agosto 1988 Tornai a casa due settimane dopo e trovai tanti fiori che sembrava di essere all'orto botanico. Mi sentivo ancora debole, stanca e apatica e mi dovevo riposare spesso. Mi sedetti e guardai il giardino attraverso le portefinestre aperte. L'aria era carica dei profumi dell'estate e la brezza giocava delicatamente con le tendine. Friday stava disegnando per terra con i pastelli e dalla porta accanto giungeva il ticchettio della vecchia macchina da scrivere Underwood di Landen, mentre in cucina Louis Armstrong cantava La vie en rose alla radio. Era la prima volta da tempo immemorabile che riuscivo a concedermi un po' di relax. Avrei avuto bisogno di una lunga convalescenza, ma prima o poi sarei tornata al lavoro: forse le OPS, forse GiurisFiction, forse entrambi. «Me ne vado. Sono venuto a salutarti».
Era Amleto. Mi aveva già fatto sapere che William Shgakespeafe era riuscito a districare Le allegre comari di Windsor da Amleto, ed entrambi i lavori teatrali erano come dovevano essere: uno enigmatico e l'altro uno spin-off. «Sei sicuro di...» Mi zittì con un cenno della mano e si sedette sul divano mentre Alan lo guardava in adorazione. «Ho imparato molte cose stando qui» disse. «Ho imparato che ci sono molti Amieti e che amiamo ognuno di loro per la sua diversa interpretazione. Mi è piaciuto quello di Gibson perché ha il tasso di indecisione più basso, Orson perché è quello con la voce più bella, Gielgud per la facilità con cui si è calato nel ruolo, e Jacobi per la sua passione. A proposito, hai sentito parlare di questo tal Branagh?» «No». «Sta venendo fuori adesso. Ho il presentimento che il suo Amleto sarà mirabile». Rifletté per un momento. «Per secoli mi sono preoccupato che gli spettatori mi considerassero un ragazzino viziato e logorroico che non riusciva a decidersi su niente, ma avendo visto la vita vera ho capito perché piace tanto. La mia tragedia è amata perché i miei difetti sono i vostri difetti, la mia indecisione è l'indecision e di voi tutti. Ciascuno di noi sa qual è la cosa giusta da fare; è solo che qualche volta non sappiamo come arrivarci. Agire senza pensare non aiuta, alla lunga. Esito per un po', ma perlomeno alla fine prendo la decisione giusta: sopporto i miei guai e impugno le armi contro di essi. E lì c'è un messaggio per tutta l'umanità, anche se non sono sicurissimo di quale sia. Forse non c'è nessun messaggio. Non lo so veramente. E poi, senza i miei dilemmi, la tragedia non sta in piedi». «Allora non ucciderai tuo zio nel primo atto?» «No. Anzi, lascerò la tragedia esattamente com'è. Ho deciso di concentrare le mie energie come agente di GiurisFiction per le opere di Shakespeare. Darò anche un'occhiata a Marlowe, ma non amo particolarmente Webster». «È un'ottima notizia» gli dissi «GiurisFiction ne sarà lietissima». Tacque per un momento. «Mi secca soltanto che qualcuno abbia detto di Emma a Ofelia. Non sei stata tu, vero?» «Sul mio onore». Si alzò, si inchinò e mi baciò la mano. «Mi verrai a trovare?» «Ci puoi contare» risposi. «Solo una domanda: come hai fatto a trovare Daphne Farquitt? È la persona più schiva del mondo». Sorrise. «E chi l'ha trovata? La mattina del Superhoop ero riuscito a radunare circa nove persone. C'è un limite al desiderio di ribellione contro Kaine che si riesce a suscitare andando di porta in porta a Swindon alle due del mattino». «Quindi non c'è nessun fan club della Farquitt?» «Oh, sono sicuro che ce ne sono, chissà dove, ma Kaine che ne sapeva?» Rise. «Ho la sensazione che darai un grande contributo a GiurisFiction, Amleto. E voglio regalarti qualcosa che mi piacerebbe che portassi con te». «Un regalo? Non mi pare di averne mai ricevuti». «No? Be', c'è sempre una prima volta. Ti voglio regalare... Alan». «Il dodo?» «Penso che sia un'aggiunta essenziale al castello di Elsinore... ma non farlo entrare nella trama». Amleto guardò Alan, che lo guardò a sua volta con amore. «Grazie» disse con tutta la sincerità che riuscì a mettere insieme «è un
onore per me». Alan quasi svenne quando Amleto lo prese in braccio, e qualche istante dopo sparirono diretti a Elsinore, Amleto per proseguire la sua carriera di procrastinatore, Alan per creare scompiglio alla corte danese. «Ciao, tesoro». «Ciao, papà». «Sei stata bravissima nella faccenda del Superhoop. Come ti senti?» «Piuttosto bene». «Ti avevo detto che quando Zvlkx è stato investito dall'autobus 23 l'Indice di Probabilità Definitiva di quell'Armageddon è salito all'ottantatré per cento?» «No, non me lo avevi detto». «Meglio così, non c'era ragione di gettarti nel panico». «Papà, chi era veramente san Zvlkx?» Mi si avvicinò. «Non lo riferire ad anima viva, ma era un tale dell'Ente per la promozione dei toast che si chiamava Steve Schultz. Forse l'ho reclutato io, o mi ha cercato lui per farsi aiutare, non ricordo. La storia si è riscritta tante di quelle volte che non sono più sicuro di come sia cominciata: è un po' come stabilire il colore originario di un muro sotto otto strati di pittura. Posso so lo aggiungere che è andato tutto bene e che le cose sono ben più strane di quel che possiamo immaginare. Ma l'importante è che ora la Goliath deve rendere conto all'Ente per la promozione dei toast e che Kaine non è più al potere. Tutta questa vicenda è stata archiviata come evento storico, e tale rimarrà». «Papà?» «Sì?» «Come hai fatto a far saltare Schultz o Zvlkx o chiunque fosse dal Tredicesimo secolo senza che la Crono-Guardia si accorgesse di niente?» «Dove lo nascondi un granello di sabbia, tesoro?» «In una spiaggia». «E dove nascondi un sedicente santo del Tredicesimo secolo?» «Tra... un sacco di altri sedicenti santi del Tredicesimo secolo?» Sorrise. «Li hai fatti viaggiare nel tempo tutti e ventotto solo per nascondere san Zvlkx?» «Ventisette, in realtà: uno di loro era autentico. Ma non ho agito da solo. Mi serviva qualcuno che sollevasse un TempoFone nel Medioevo come copertura. Qualcuno bravissimo a viaggiare nel tempo. Una persona in grado di navigare tra i confini temporali con un'abilità che io non avrò mai». «Io?» Ridacchiò. «No, sciocchina: Friday». Il ragazzino alzò lo sguardo sentendo il proprio nome. Masticò il pastello, fece una smorfia e sputò i pezzetti addosso a Pickwick, che sobbalzò dalla paura e corse a nascondersi. «Ti presento il futuro capo della CronoGuardia, tesoro. Come pensi che abbia fatto a sopravvivere allo sradicamento di Landen?» Fissai il bambino, che mi guardò a sua volta e sorrise. Papà controllò l'orologio. «Bene, devo andare. Nelson ha ripreso con i suoi giochetti. Il tempo non attende nessuno, come diciamo noi». 44 Cala il sipario I NEANDERTAL ENTRANO NELLA LISTA DELLE
CREATURE "A RISCHIO" DEL PROSSIMO ANNO I Neandertal, i cugini già estinti dell'Homo sapiens, hanno ottenuto ieri il riconoscimento dello stato "a rischio" insieme al ghiro commestibile e lo svasso dalla cresta scarsa. Il neoeletto cancelliere Mr Redmond van de Poste del Partito del toast ha conferito loro questo onore come riconoscimento del loro operato durante il Superhoop Swindon-Reading. Mr van de Poste ha incontrato i Neandertal e ha letto un discorso preparato per l'occasione. "Personalmente non me ne importa un fico secco del vostro status" ha detto "ma fare qualcosa per aiutare degli scimmioni come voi a ottenere una limitatissima libertà è conveniente da un punto di vista politico e mi fa guadagnare molti voti". Il suo discorso è stato accolto calorosamente dai Neandertal, che si aspettavano mezze verità e disinformazione. "La richiesta di essere dichiarati 'in pericolo'" ha proseguito Mr van de Poste "sarà presa in esame l'anno prossimo... se ne avremo voglia". Articolo apparso su «La sguerciata quotidiana», 7 settembre 1988 Tre settimane dopo stavo abbastanza bene da poter ricevere un premio nel corso di un pranzo con il sindaco. Lord Volescamper assegnò a tutta la squadra una medaglia speciale "Stella di Swindon", coniata apposta per noi. L'unico Neandertal che si presentò fu Stig, che capiva che cosa significasse per me, anche se continuava a sfuggirgli il concetto di reputazione personale. Dopo la premiazione si tenne un ricevimento e tutti volevano scambiare qualche parola con me, soprattutto per chiedermi se avessi intenzione di giocare ancora a croquet da professionista. Incontrai anche Handley Paige; sobbalzò quando mi vide e buttò giù un drink nervosamente. «Ho deciso di non uccidere quel mio personaggio, l'imperatore Zhark» annunciò frettoloso «voglio chiarirlo una volta per tutte, casomai qualcuno possa erroneamente pensare che io voglia smettere di scrivere libri su Zhark. Nemmeno per idea. Mai e poi mai». Si guardò attorno preoccupato. «Prego?» dissi. «Non sono sicura di capire che cosa intende». «Sì, come no» rispose sarcastico, cercò di bere dal bicchiere vuoto e partì alla volta del bar. «Che gli ha preso?» chiese Landen. «Vorrei saperlo». Al ricevimento c'era anche Spike, che si avvicinò con discrezione mentre andavo a prendermi un altro drink.
«Che cosa ti ha detto quando ha preso il tuo posto?» Mi girai a guardarlo; non ero sorpresa che sapesse che Cindy mi aveva sostituito. I semimorti erano la sua specialità, dopotutto. «Ha detto che voleva riparare a una parte del dolore che aveva provocato, e che sapeva che non avrebbe mai più potuto abbracciare te o Betty». «Avresti potuto rifiutare, ma sono contento che tu non l'abbia fatto. La amavo, ma era marcia fino al midollo». Ammutolì per un momento e gli toccai un braccio. «Non del tutto marcia, Spike. Vi amava molto». Sorrise. «Lo so. Hai fatto la cosa giusta, Thursday. Grazie». Mi abbracciò, e se ne andò. Risposi a molte altre domande sul Superhoop e quando decisi di averne abbastanza chiesi a Landen di riaccompagnarmi a casa. Landen guidava la Speedster, con Friday nel seggiolino sul sedile posteriore, accanto a Pickwick, che non voleva essere lasciata sola ora che Alan se n'era andato. «Land?» «Mm?» «Non hai mai trovato strano che io sia sopravvissuta?» «Certo, sono felicissimo che tu...» «Ferma un attimo la macchina». «Perché?» «Fai come ti dico». Accostò. Scesi dall'automobile con grande cautela e andai verso due figure sedute sul marciapiede, davanti a un Caffè Goliathe. Mi avvicinai silenziosamente e mi sedetti accanto alla più grande delle due prima ancora che mi notasse. Alzò gli occhi e sobbalzò visibilmente quando mi vide. «Un tempo» disse una voce familiare venata di tristezza «non saresti mai riuscita a prendere di sorpresa un Grifone!» Sorrisi. Era una creatura con la testa e le ali da aquila e il corpo da leone. Portava gli occhiali e, sotto il trench, una sciarpa, il che incrinava lievement e il suo aspetto per il resto temibile. Era un personaggio di fantasia, certo, ma era anche il capo dell'ufficio legale di GiurisFiction, il mio avvocat o e mio amico. «Grifone!» dissi un po' sorpresa. «Che ci fai all'Esterno?» «Sono qui per vederti» sussurrò, guardandosi attorno e abbassando la voce. «Conosci la Finta Tartaruga? È diventata il mio vice all'ufficio legale». Fece un gesto verso una tartaruga con una testa di vitello che fissava malincon ica nel vuoto. Veniva direttamente, come il Grifone, dalle pagine di Alice nel paese delle meraviglie. «Come sta?» «Bene... suppongo». La Finta Tartaruga sospirò, passandosi un fazzoletto sugli occhi. «E allora, che cosa c'è?» chiesi. «È una cosa seria, troppo seria per il notofono. E mi serviva un pretesto per fare delle ricerche sugli spartitraffico Esterni. Affascinanti». Sentii improvvisamente calore e prurito. Non per gli spartitraffico, naturalmen te, ma per la mia sentenza. L'Infrazione Letteraria. Avevo modificato il finale di Jane Eyre ed ero stata giudicata colpevole dalla Corte di Cuori. Mancava solo la sentenza. «Qual è la condanna?» «Non è andata male» esclamò il Grifone, schioccando le dita verso la Finta Tartaruga, che gli passò un foglio, ora macchiato dalle sue lacrime. Presi il foglio e scorsi il testo parzialmente stinto.
«È un po' insolita» ammise il Grifone. «Ritengo che la parte relativa alla stoffa a quadrettini blu sia innaturalmente crudele: potrebbe già da sola giustificare un ricorso in appello». Fissai il foglio. «Vent'anni della mia vita in cotone a quadrettini blu» mormorai. «E non potrai morire finché non avrai letto i dieci libri più noiosi» aggiunse il Grifone. «Mia nonna ha dovuto fare la stessa cosa» spiegai, un po' perplessa. «Non è possibile» disse la Finta Tartaruga asciugandosi gli occhi. «Questa sentenza è unica, commisurata al reato. Puoi scegliere i venti anni di cotone a quadrettini blu che vuoi, non necessariamente subito». «Ma anche a mia nonna è toccata questa pena...!» «Ti sbagli» rispose deciso il Grifone, riprendendo il foglio, piegandolo e mettendoselo in tasca, «e sarà meglio che ci muoviamo. Verrai alle nozze d'oro di Bradshaw?» «S-sì» balbettai, ancora un po' confusa. «Bene. Bradshaw e il diamante di M'shala, pagina 221. Bisogna portare una bottiglia e una banana. È invitato anche tuo marito. So che è reale, ma nessuno è perfetto. Ci farebbe piacere conoscerlo». «Grazie. Ma per quanto riguarda...» «Perdinci!» esclamò il Grifone consultando un grosso orologio da taschino. «È già così tardi? Dobbiamo presiedere la quadriglia delle aragoste tra dieci pagine!» Questo fece rasserenare la Finta Tartaruga, e un attimo dopo se ne furono andati. Tornai lentamente all'automobile, dove mi aspettavano Landen e Friday. «Pah!» fece Friday molto forte. «Senti!» disse Landen. «Ha proprio detto 'Papà'!» Notò la mia espressione corrucciata. «Che succede?» «Landen, la mia nonna materna è morta nel 1968». «E quindi?» «Be', se lei è morta vent'anni fa, e la madre di papà è morta nel 1979...» «Sì?» «Allora chi è la donna che si trova alla casa di riposo "Dolce Crepuscolo"?» «Non l'ho mai conosciuta» spiegò Landen. «Pensavo che 'nonna' fosse un appellativo affettuoso». Non risposi. Avevo pensato che fosse mia nonna, ma non lo era. In effetti, la conoscevo da circa tre anni. Prima non l'avevo mai vista. O forse non è corretto dire così. L'avevo vista ogni volta che guardavo uno specchio, ma era molto più giovane. La nonna non era mia nonna. La nonna ero io. Landen mi portò alla casa di riposo Dolce Crepuscolo della Goliath ed entrai da sola, lasciando lui e Friday in automobile. Camminai fino alla sua stanza con il cuore che mi batteva forte e trovai l'infermiera china sulla sagom a serenamente addormentata della donna vecchissima che un giorno sarei diventata. «Soffre molto?» «Gli antidolorifici le danno un po' di sollievo» mi rassicurò l'infermiera. «Parente?» «Sì» risposi «molto stretta». «È una donna eccezionale» sussurrò l'infermiera. «È incredibile che sia ancora con noi». «È stata una pena da scontare» dissi. «Prego?» «Non importa. Non ne ha più per molto». Mi avvicinai al letto e lei aprì gli occhi. «Ciao, giovane Thursday!» mi salutò la nonna, facendomi un debole
cenno. Si tolse la maschera a ossigeno, fu severamente rimproverata dall'infermi era e se la rimise. «Non sei la mia nonna, vero?» domandai lentamente, sedendomi sul lato del letto. Sorrise benevola e posò la manina rosa e rugosa sulla mia. «Sono nonna Next» rispose «solo non la tua. Quando l'hai capito?» «Il Grifone mi ha appena comunicato la sentenza». Ora che sapevo, mi sembrava più familiare che mai. Notai addirittura la piccola cicatrice sul mento che risaliva al '73, alla carica dei Seicento della Brigata Corazzata, e quella ben rimarginata sopra l'occhio. «Come ho fatto a non rendermene conto?» le chiesi confusa. «Le mie vere nonne sono morte entrambe, e io l'ho sempre saputo». La vecchia, stanca, sorrise di nuovo. «Se hai avuto Aornis dentro la testa, qualche trucco lo impari. Il tempo passato con te non è stato buttato. Nostro marito non sarebbe sopravvissuto, altrimenti, e Aornis avrebbe potuto cancellare tutto mentre vivevamo in Cime di Coversham. A proposito, lui dov'è?» «Là fuori, con il piccolo Friday». «Ah!» Mi guardò negli occhi per un momento, e poi disse: «Gli dirai che lo amo?» «Certo». «Bene, ora che sai chi sono, penso che sia ora di andare. Li ho trovati, i dieci classici più noiosi, e ho quasi finito l'ultimo». «Ma non ti aspettava un 'momento epifanico' prima di andartene? Un'ultima svolta risolutiva alla tua vita?» «È questa, giovane Thursday. Ma non è la mia, è la nostra. Ora, prendi quella copia di La regina delle fate di Spenser. Ho centodieci anni e la mia ora l'ho superata da quel dì». Cercai sul tavolo e presi il libro. Non lo avevo mai letto fino alla fine, e nemmeno al di là di pagina 40. Era proprio noioso. «Non lo devi leggere tu?» chiesi. «Io, tu, che differenza fa?» Fece un risolino, che si trasformò in una debole tosse che non si fermò finché non la sollevai delicatamente. «Grazie, cara!» ansimò quando l'accesso fu passato. «Manca solo un paragrafo. La pagina è segnata». Aprii il libro, ma non volevo leggerlo. Mi si riempirono gli occhi di lacrime e guardai la donna anziana, che mi rispose sorridendo dolcemente. «È ora» disse con semplicità «ma ti invidio: hai tanti anni meravigliosi davanti a te! Leggi, per piacere». Mi asciugai le lacrime e mi venne in mente una cosa. «Ma se lo leggo adesso» riflettei «allora quando io avrò centodieci anni lo avrò già letto, e allora sarei... capisci... prima di leggere l'ultima frase quando io... cioè la me stessa più giovane...» Mi fermai, pensando al paradosso apparentemente insolubile. «Cara Thursday!» disse con gentilezza la donna anziana. «Sempre così lineare! Funziona, credimi. Le cose sono ben più strane di quello che possiamo capire. Lo scoprirai a suo tempo, come me». Sorrise incoraggiante e io aprii il libro. «C'è qualcosa che mi devi dire?» Sorrise di nuovo. «No, mia cara. Alcune cose è meglio lasciarle non dette. Tu e Landen starete meravigliosamente, insieme, tienilo bene a mente. Ora leggi, giovane Thursday!» Ci fu un'increspatura e mio padre apparve dall'altra parte del letto. «Papà!» esclamò la donna anziana. «Grazie per essere venuto!» «Non sarei mancato per nulla al mondo, o figlia, figlia mia» sussurrò, chinandosi a baciarla sulla fronte e tenendole la mano. «Ho portato qualcuno». Ed eccolo, il giovane uomo che avevo visto insieme a Lavoisier alla mia
festa di nozze. Le carezzò una mano e le diede un bacio. «Friday!» disse la donna anziana. «Quanto hanno adesso i tuoi figli?» «Eccoli, mamma. Ti possono rispondere loro!» Erano lì, accanto alla moglie di Friday, che lui doveva ancora conoscere. Adesso era una neonata di un anno chissà dove, e senza la più pallida idea del suo destino. Con lei c'erano due bambini. Due miei nipotini che dovevano ancora, non solo nascere, ma anche essere immaginati. Continuai a leggere La regina delle fate, dandomi un ritmo lento, mentre altra gente veniva a salutare la donna anziana prima che se ne andasse. «Tuesday!» disse la donna anziana quando apparve un'altra persona. Era mia figlia. Ne avevamo vagamente parlato, ma nient'altro. Ed eccola lì, una vivace sessantenne. Aveva portato i suoi figli, e una di loro aveva portato i propri. Nel complesso credo di aver visto, quel pomeriggio, ventotto miei discendenti, tutti tristi, e solo uno di loro era già nato. Quando ebbero salutato e furono spariti attraverso l'increspatura, comparvero altri visitatori. C'erano l'imperatore e l'imperatrice Zhark, e Mr e Mrs Bradshaw, che non sarebbero mai invecchiati. Venne anche il Gatto del Cheshire, e varie Miss Havisham, nonché una rappresentanza di aragoste di un remoto futuro, un omone che fumava il sigaro e molte altre persone che apparivano e scomparivano educatamente attraverso increspature. Continuai a leggere, tenendo la mano di nonna Next mentre il fuoco della vita lentamente sbiadiva dal suo corpo stanco. Quando arrivai all'ultima strofa della Regina delle fate aveva gli occhi chiusi e il respiro fioco. Tutti gli ospiti se n'erano già andati ed eravamo rimasti solo io e mio padre. Finii la strofa e la pena fu scontata. Vent'anni di quadrettini blu e dieci libri noiosi. Chiusi il volume e lo posai sul letto, accanto a lei. Il colore se n'era già andato dal suo viso, e la bocca era semiaperta. Mi allarmò un fioco singhiozzare. Non avevo mai visto piangere mio padre: ora gli scendevano lungo le guance delle grosse lacrime. Mi ringraziò e se ne andò, lasciandomi sola con la donna nel letto, mentre l'infermiera aspettava con discrezione sulla porta. Ero triste perché avevo perso una compagna preziosa, ma non mi sentivo addolorata. Dopotutto ero ancora molto viva. Avevo imparato dalla morte di mio padre, tanti anni prima, che la fine della propria vita e la morte sono due cose radicalmente diverse, e la cosa mi confortò. «Tutto bene?» chiese Landen quando tornai all'automobile. «Sembra che tu abbia visto un fantasma!» «Più di uno» risposi; «penso di aver visto tutta la vita passarmi davanti». «C'ero anch'io?» «Eccome, Land». «Una volta mi è sfrecciata davanti tutta la vita» disse. «Il guaio è che ho battuto le palpebre e mi sono perso le parti interessanti». «Ci vorrà ben altro che battere le palpebre» gli dissi sfiorandogli un orecchio con le labbra. «Come sta l'ometto?» «Si è stancato a furia di indicare le cose». Guardai il sedile posteriore. Friday era crollato e russava. Landen avviò l'automobile e uscì dal parcheggio. «A proposito, chi era quella vecchia signora?» chiese mentre ci immettevamo nella strada. «Non me l'hai più detto». Ci pensai su un momento. «Qualcuno che mi conosceva benissimo e appariva quando ce n'era bisogno». «Conosco una persona così» commentò Landen «e se le va, mi piacerebbe portarla fuori a cena. Dove ti piacerebbe andare?» Pensai alla donna anziana nel letto, vestita di cotone a quadrettini blu, in attesa dell'ultima strofa, e a tutta la gente che era venuta a salutarla. La vit a, decisi, sarebbe stata bella e, soprattutto, insolita. «Se sono insieme a te» gli risposi con tenerezza «lo SmileyBurger è il Ritz».
FINE INDICE 1. Un minotauro cretese in Nebraska 11 2. Che bello essere a casa 35 3. Schiva la domanda 66 4. Una città come Swindon 83 5. Amleto e Cheese 100 6. Le OPS 113 7. I Detective Letterari 123 8. Il tempo non aspetta nessuno 131 9. Sradicati anonimi 139 10. Mrs Tiggy-winkle 148 11. La grandezza di san Zvlkx 156 12. Spike e Cindy 167 13. Milton 14. 176 15. 188 16. 200 17. 206 18. 214 19. 217 20. 230 21. 242 22. 249 23. 259 24. 263 25. 278 26. 288 27. 301 28.
Lo Scusarium
della Goliath
Incontro con il direttore generale Quella sera L'imperatore Zhark Di nuovo l'imperatore Zhark Caccia al Will clonato Chimere e Neandertal Vittoria sulla Victory Roger Kapok Nonna Next Di nuovo a casa Difficoltà pratiche relative ai desradicamenti Colazione con Mycroft Fenomeni raccapriccianti sulla M4 L'area di servizio di Dauntsey
316 29. Il gatto precedentemente noto come del Cheshire 328 30. La Nazione neandertaliana 341 31. Riunione di pianificazione 353 32. Area 21: la valle di Elan 362 33. Shgakespeafe 372 34. San Zvlkx e Cindy 382 35. Quel che Thursday fece poi 396 36. Kaine contro Next 407 37.Prima della partita 420 38. Superhoop LMC '88 435 39. Alla morte 447 40. Seconda prima persona 452 41. La morte le si addice 459 42. Spiegazioni 468 43. Ripresa 474 44. Cala il sipario 480 RINGRAZIAMENTI Ringrazio Mari Roberts per le sue approfondite ricerche su tutto, dai danesi ad Amleto e alla soluzione dei conflitti, per la trovata del pianoforte, e per la vicinanza, e per l'amore. Le citazioni di Mr Shgakespeafe e di Amleto fornite gentilmente da Shakespeare (William) Inc. L'uso del Lorem Ipsum è stato suggerito da Swaim & Rogan. Ai fini del presente romanzo occorre considerare che l'eccellente versione di Amleto diretta da Zeffirelli e interpretata da Mel Gibson e Glenn Close è stata prodotta nel 1987 e non nel 1991, come si riteneva in precedenza. Ringrazio calorosamente John Sutherland e Cedric Watts per la loro serie di volumi Puzzles in Litemture, che continuano a divertire e incuriosire, e Norrie Epstein per il suo eccellente Friendly Shakespeare, perfettamente fedele alla promessa fatta dal titolo. Ringrazio anche la Reduced Shakespeare Company per le buffonaggini scespiriane, apprezzatissime in momenti di stress. Ricerche sul western pulp a cura di Gillian Taylor, autrice di Darrow's Word e molti altri romanzi. Sito web: http://www.gillian-f-taylor.co.uk Ringrazio calorosamente anche Landen Parke-Laine per aver acconsentito
a comparire in prima persona quasi senza preavviso. Nel corso della stesura di questo libro non sono stati uccisi pinguini né distrutti pianoforti. La pietanza a base di pinguino di pagina 193 e l'episodio del pianoforte a pagina 494 sono artifici narrativi e non hanno alcun riscontro nella realtà. Mi scuso con i danesi di tutto il mondo per le denigrazioni fittizie che compaiono nelle pagine di questo libro. Voglio sottolineare che l'intento era puramente satirico e che amo molto la Danimarca, e in particolare i filetti d'aringa marinati, il bacon, il Lego, la Bang & Olufsen, le Faer 0er, Karen Blixen... e naturalmente Amleto, il più grande di tutti i danesi. Informazioni obbligatorie relative ai toast, come richiesto dall'attuale legislazione toastistica: Il pane è prodotto tramite una macchina per il pane Panasonic SD206, affettato con un coltello da pane Ikea su un tagliere fatto in casa, e tostato con un Dualit modello 3CBGB. Prima di consumarli, i toast sono stati cosparsi di Utterly Butterly e marmellata di arance amare fatta in casa. La partecipazione di Zhark a questo libro e l'uso del suo nome e delle sue vicende sono stati verificati e approvati dalla Zhark Enterprises, Inc., e siamo riconoscenti all'imperatore per l'aiuto e l'assistenza prestati nella produzione di questo romanzo. Questo libro è stato costruito interamente nella Repubblica Socialista del Galles. Una produzione Fforde/Hodder/Penguin/Marcos y Marcos. «Oh, come mi piacerebbe che questo corpo che non mi serve a niente si sciogliesse, diventasse liquido e poi evaporasse». «Se solo Dio non avesse detto che il suicidio non ce lo dobbiamo nemmeno sognare». «Oh, Dio, oh, Dio! Come trovo stanca, stantia e noiosa la vita». «Accidentaccio doppio! Mi sento come un giardino lasciato a sé stesso e tutto pieno di quelle erbacce fastidiose, come la gramigna e l'ortica, che possono essere distrutte usando un buon diserbante, disponibile presso i Centri Giardinaggio Jekyll». Traduzione notofonica simultanea sponsorizzata dai Centri Giardinaggio Jekyll.