GIUSEPPE PETRAI
LO #
SPIRITO
JVIASGHERE
DEIiItE
(STORIA
e
ANEDDOTI)
'Jp
1901
EOUX
e
VIARENGO TORINO
-
Editori
PROPRIETÀ LETTERARIA
Tutti
i
diritti riservati
PM
(2372)
mmnmmmmmmnnm
A ERMETE NOVELLI
Della lunga serie di maschere che tennero con onore la scena, poche sopravvivo no oggi,
poche
si
e
sono rifugiate negli infimi teatri
queste e
nei
casotti dei burattini.
Ippolito Taine scrisse che se al tempo in cui esse fiorirono, fosse fiorita anche,
nostri, la
stampa
libera,
bero arido, forse, ragione stettero, pjer
l'animo
delle
dirla
col
d
essere.
Guerrazzi,
folle tiranneggiate,
potendo vendicarsi, ridevano beffandosi
di
ciò
mentre
i
verità,
proclamata
die
come ai tempi
maschere non avreb-
le
E
difatti esse
a significare le
(piali,
delle loro
non potevano
abbattere,
tiranni consentivano ad udire sotto
il
non
miserie,
qualche
manto della
buffo-
neria.
Con Salvator Rosa, pittore,
commediante,
il
bizzairo artista, poeta,
che
impersonò anch' egli
—
una maschera
media
morì
dell'arte
—
quella del Coviello
morirono
:
la
com-
maschere.
le
Pochi anni dopo nasceva chi doveva cacciarle definitivamente dalla scena, distruggendo la vec-
chia commedia in
le
sparse
membra
nuove fornir: Goldoni.
Ma
nel nostro paese,
fece scuola
loro che
al
al
sino; ond'è
teatro,
che tu,
prima pietra jdìi
che in Italia
un dotto
e
—
critico,
volentieri la
Permettimi
nome
della
difficile
ijua/c
il
mondo, non e
vita
il
vicende,
amico,
ponendo
più raro degli esempi,
visto
coni ebbe
Primo
recentemente a scrivere
Levi.
—
si sacrifica
pia
che la borsa.
dedicarti
di
non
è
almeno a provarti
abbastanza
te
la
dato
esso
che nutre per
alla
e
Goldoni, hai
di
questo
libro.
glorioso gli porterà fortuna. Se
degno
d'arte
fatto
risorgimento s'interes-
illustri'
Casa
in
molti, ora, sono co-
alle sue
gloria, e al suo
j/assata
il
ricomponendone
e
il
della tua fama, l'affetto
tuo vecchio
e
l
Il tuo
l'omaggio valga
ammirazione
amico
G. Petrai.
Koniu. febbraio 1001.
PAKTE PKIMA
STO
IR/
I
.A.
I.
ARLECCHINO
L'Arlecchino è una più antiche.
Un
Zanni: voce che
Italia, era
senza
deriva
latina bannjo (buffone,
maschere
delle
tempo, in
italiane
chiamato
dubbio
giullare) e
dalla
sauna miot-
teggio, scherno, irrisione). Trivellino, Testolino, Truffaldino, delle
compagnie
italiane del secolo
prime
decimosesto, ap-
nomi
partengono, poco più, poco
meno,
differenti, e spesso
stesso costume, al
medesimo Il
sotto
lo
sotto
tipo.
carattere d'Arlecchino è
un miscuglio
di
ignoranza e d'arguzia, di semplicità e di malizia, di grazia
e
di
lepidezza.
Credulo, ghiottone,,
pauroso, sempre innamorato, sempre zato,
si
dispera e
si
consola con
la
imbarazfacilità
di
— un
-
10
fanciullo. Arlecchino, in origine, restiva
una
giacchetta aperta sul davanti e un paio di calzoni,
questi
e
quella,
Aveva
varii colori.
di
ispida, sulla
e
tatti,
Btoffa
ili
barba nera ed
mezza maschera nera, un berrettone il cinturino, una borsa e la spada
la
testa,
di legno.
Dopo Domenico di questo tipo
i'
Biancolelli
1.680)
—
riformatore d' Arlecchino
il
divenne,
più
e
celebri
L'ultimo degli Arlecchini Bertinazzi, detto Garlin, e
il
Arlecchino
modo, più elegante
certo
—
costume
il
subì alcune modificazioni. in
pezzetti
di
la
attillato.
—
dopo
Sacchi, del quale
Memorie
—
il
il
Goldoni
fa
Antonio
Papadopoli, attore distintissimo, che poi
si
tanti elogi nelle sue
mise a fare
il
mangiate migliaia
caratterista, e
dopo
e migliaia di lire,
fu
essersi
ridusse
si
miseramente a digiunare. Tuttavia serbò sempre il
buon umore d'una
volta, né rimpianse
il
pas-
sato che per gli anni perduti della gaia e av-
venturosa
cenando
giovinezza.
egli
Una
da Venanzio
mi
ricordo,
piazza
Navona
sera, in
tegame ed un quintino, mi raccontava pacificamente, tra un boccone e l'altro, di quando, a Venezia, all'epoca in cui i bezzi gli piovevano a cappellate, pasteggiava giorni; a, Bordeaux, e mangiava tartufi tutti e lo rammento ancora quando possedeva, stì non dei quattrini, un largo credito, che gli percon un par d'uova
al
i
— metteva
degne si
di
di
11
imbandire
Assuero e
— amici
agli
di Lucullo, e
agapi
delle
dopo
le
quali
i
pezzi
divertiva a gettare ai gatti del cortile
interi d'arrosto
avanzati nel piatto grande.
Antonio Papadopoli, morto da nella miseria più squallida, oltre
un grande
Nel 1893, quasi nonagenario,
bell'originale. citò
a
Roma
Moroso de
pr.oducendosi
volta
l'ultima
la
stato
stato, v'assicuro io,
è
artista,
tempo
poco
od essere
un re-
nel
nona del povero Giacinto Gallina.
Gli ultimi venti anni della sua vita, passò, del
dar
resto, a
d'addio
recite
d'Italia per le
piantando chiodi
—
nelle
che
il
gli riusciva
per antica, inveterata abitudine tito,
varie
città
andava guitteggiando
quali
—
ma
e
ancora, l'appe-
quel suo famoso appetito pel quale poteva
sempre mangiare
uova
sei
al
tegame per
cola-
come fece a Roma, dimora, un conto di 200 franchi
zione e mettere assieme, in tre
con un
mesi
di
fruttaiolo, lo costringeva a presentarsi e
ripresentarsi poi
una ultima
in
presentazione, alla
definitiva rap-
quale tenevano
dietro,
se-
condo i casi, due, tre, quattro repliche, non sempre a richiesta generale, di quelli ai quali
mandava
a vendere
soleva, tra la
un discorsetto
i
biglietti, e ai quali infine
commedia di
con qualche lacrima
mente spremuta.
e la farsa,
ammannire
ringraziamento e di congedo, di
commozione,
artistica-
—
—
12
£44
Ma non
v'
ho detto per nulla che era un bel-
l'originale.
Un
giorno, un autore tragico, che
aveva
lo
annoiato più volte, va a ribattere a casa. Il
— Il
— ziato
Papadopoli dice
Se
è
servitore
al
quel tale, sono a
:
letto.
servitore va e torna.
Ha si
detto
signor
il
chiamava
così)
Spreatìco
disgra-
(il
che faccia pure
il
suo
comodo. Aspetterà.
— Il
—
Digli che ho la lebbre. servitore va e torna.
Ha
passare
detto
il
signor Spreatìco che, per far
ha
la febbre,
lui
un rimedio
efficacis-
simo.
— Digli che sono estremi. servitore va — Ha detto signor Spreatìco che non vuole agli
e torna.
Il
il
che moriate senza prima avervi dato saluto. Intanto ritirerà
— — —
a
L'ultimo
quei copioni...
Digli che sono andato già all'altro mondo.
Non
è
Allora
farsi...
possibile, via! di' al
signor Spreatìco
friggere.
Ma non
disse precisamente così.
che
vada
Arlecchino.
—
v.\
¥& Torniamo a bomba. Sotto
che
lo
Enrico III
quali un
i
che frequentava per
di
— scrive Ménage
a Parigi una compagnia di comici
fra
liani,
regno
il
— capitò
i
il
giovine
snella
di
ita-
figura
De Chauvalon compagni presero a sopran-
signor Harlay
suoi
nominarlo Havlequtno
à la
«
:
mode
des italiens,
aux aux clients ». deve credere a Ménage, questa origine
qui donnent souvent
noni des
le
maitres
valets, et celui des patrons
Se
si
dette al
«
facétieux italien
spiritosamente a Harlay
—
y
Il
degré
:
»
l'occasione di dire
:
a parente entre nous au
vous ètes Harlay premier,
cinquième
et
moi je
suis
Harlay-quint.
Del resto a,
è vero che gli
—
rendere interessante
—
italiani
direi
riuscirono
quasi
gloriosa
la storia degli Ai-lecchini e delle altre
schere in genere. Di Arlecchini
una vera dinastia
:
il
ma-
esiste
Sacchi è quasi una parte
del Gozzi e del Goldoni salì fino
grandi
;
all'altezza delle
Y Arlecchino Biancolelli
mense
di
Y Arlecchino Cecchini, che compose trattato sull'arte sua (1617),
fu
Luigi
XIV;
anche
creato
un
nobile
dall'imperatore Mattia.
E
infatti
i
comici di questa età dell'oro delle
— maschere
—
furono letterati
italiane
mini d'ingegno.
14
libro sul teatro italiano, ed a
sere
commedie
Lelio, venti
senza contare che
sul
le fonti
l'epoca
uno
'Joule sa vie
come afferma d'accattone,
conciatura
a fait rive:
il
Quella sua casacca
del
Forse un paragone
non sarebbe fuor Gallia
secolo
anche
fosse difetto di criterio
decimoterzo
tra la tunica e
di luogo
un'origine
cisalpina,
trian-
proviene,
riproduce soltanto l'antica ac-
comune
vesti
sbarre
azzurre, non
leggenda comica, dal mestiere
la
ma
attillata a
ed
delle guardie svizzere del
due
questo
scritto
a fait pleurer à sa muri.
golari rosse, gialle
le
Quando
:
II
Italia.
nelle
cercarsi
e nei nostri Arlecchini.
di costoro morì in Parigi, fu
epitaffio
inglesi del-
classici
debbono
Elisabetta,
di
pantomime
spoglie di
le
medesimo soggetto: di parecchi drammi
e personaggi degli antichi
nostre
Parigi, per venti
seguito, improvvisò, sotto
eli
ed uo-
seri
Riccoboni scrisse un curioso
Il
i
in
calzoni
Papa ed Arlecchino :
non abbiano
chi sa
sola!
Del
resto
nella
ne' tempi dell'Impero, artistico,
o
fosse
con-
suetudine barbarica dei Galli, l'uso degli abiti multicolori era
frequente; e
dice Tacito, venendo in città,
quei
provinciali,
erano segnati a
dito per la tinta variata delle vesti.
|Kf^^7^-p^
IL
BEIGHELLA
Brighella
è
valli
di
la
Arlecchino
suo
entrambi sono oriundi delle
Bergamo. Brighella però rappresenta
come Arlecchino
l'intrigo e la cabala,
e
quanto
antico
èompatriotta, ed
paura.
Vivace,
la fedeltà
insolente, chiacchierone,
Brighella è un servitore
prezioso
per
chi
sa
approfittare de' suoi talenti, imperocché, all'occasione, fa qualunque mestiere.
Da
questa ma-
schera uscirono Mezsettino, Fantino, Traccagnino i servitori furbi ed intriganti della commedia francese, da Sganarello sino a Frontino
e tutti
ed a Figaro. L'abito di
Brighella consiste in
chetta e in un par
bianca,
listati
di
di verde.
calzoni
una giac-
larghi,
di tela
Sul capo porta un ber-
—
16
—
rettone bianco, a uso cuoco; ha
schera nera I
e
mezza ma-
la
basette
le
più celebri Brighella furono Giuseppe An17:54
geleri, che dal
mezzo improvvisate
al
nelle
1TÒ4
recitava
commedie
parti
Goldoni
di
—
e il ferrarese Antonio Zannoni, letterato, ed uno dei migliori comici del secolo decimottavo. Riusciva egli eccellente anche nelle parti senza maschera, possedendo, indipendentemente da ciò che con l'arte e con lo studio si può
ottenere, e si
una
che
di quelle tìsonomie
—
smontano
direi
quasi
—
si
montano
maniera da
in
Esempio attuale, l'impareggiabile nostro Ermete Novelli. Una bella signora andò un giorno a trovar tale da lo Zannoni per avere il ritratto d'un quale sa per lei amato e che a nessun costo, chi
farne ciò che
bizzarra idea
dunque
si
!
vuole.
voleva
farsi dipingere. Si trattava
di studiar la fisonomia di codesto
ginale e di rivestirla perfettamente suoi lineamenti così che
il
di
ori-
tutti
i
pittore potesse fare
un quadro rassomigliante sopra una faccia presa a prestito. Lo Zannoni esamina il tipo e le caratteristiche particolari del suo modello, che era per-
sona notissima: studia egli
i
non
tratti
e
gli li
è più lo
volto così
si
mette
alle
calcagna, ne
copia tanto esattamente che
Zannoni
accomodato
—
è
e truccato,
l'altro. si
E
col
presenta a
Brighella. (1570)
— un
pittore e
riuscì
si
fa
17
fare
somigliantissimo.
— il
ritratto,
Alla
che
signora
difatti
che
gli
—
domandò qual compenso volesse « Nulla rispose a meno che non vogliate dare alla :
—
copia
ciò
che dareste all'originale".
r£Éx&
2
—
G. Petru.
III.
CAPITAI SPAVENTA
Le prime maschere
italiane
fianco
un grande sciabolone,
o mortone, di
questo
di
datano dal secolo decimoquinto.
tipo
Portavano
al
un elmo, proporzioni inverosimili, compae in testa
rendo sempre in scena con due baffoni prepotenti e
un naso spaventevole.
All'epoca del passaggio di Carlo
V
all'antico capitano italiano successe
spagnuolo mettere e
il
;
in
il
che fu fatto
caricatura
i
in
appositamente per
soldati dell'imperatore
pubblico accolse con entusiasmo
tuzione, ridendo alle
spacconate
Rodomonte, combattente
ad
non veder
menava
la
Italia,
capitano
il
strage che
sua spada, e sghignazzando
capitano
del
occhi
chiusi
tra
;
sosti-
la
i
per
nemici
alla
narrazione
delle gloriose imprese del capitano
Escombom-
la
Gapitan Spaventa. (1577)
— bardom
della
19
—
Papirotonda che tagliava
le
can-
una sciabolata, e finiva poi per buscarne anche da Arlecchino. Nella compagnia italiana; detta dei Gelosi, tonate
con
che
portò in Francia nel
si
1577,
parti
le
questa specie erano rappresentate sotto di
di
nome
il
Capitan Fracassa da Francesco Andreini di
Pistoia, attore amenissimo, che parlava sei di-
verse lingue: l'italiano, il
greco,
tromba,
turco, e
il
lo
spagnuolo,
dalmata
il
;
mandòla, la chitarra,
la
fischio rifaceva a perfezione
e il
il
francese,
suonava
flauto, e col
canto
il
la
di
tutti
gli uccelli.
Un
celebre Capitan Spaventa fu poi Girolamo
Gavarini di Ferrara. Era, costui, uomo sissimo.
Alla sua morte
carni un cilicio
:
fu
gli
religio-
trovato
cosa che non sorprese
sulle
suoi
i
compagni, uno de' quali, Niccolò Barbieri, narra che quando rire in
il
Gavarini
scena, soleva
scarpe per martoriarsi Il
si
vestiva per
mettersi i
dei
compa
ceci
nelle
piedi.
Capitano è di creazione assolutamente
liana, e se più tardi prese abiti e
ciò derivò
unicamente dallo
ita-
modi spagnuoli,
spirito d'imitazione
anche allora doveva torturare martiri della scena, servitori umilissimi sempre
e di novità che i
dei più disparati gusti del pubblico.
Come dita,
il
cronologicamente, nella commedia eruricordo del Capitano
italiano
precede
—
spaglinolo, così, nella
tipo
del
introduzione
['
—
20
commedia improvvisa,
maschera prese prima
la
Capitan 'Spaventa, poi forma forma Cardone, indi forma franCapitan gnnola col cese col Capitan Tagliaferro. italiana col
L'imitazione del soldato fanfarone (miles ghdi Plauto rimane, quindi, fermissima
riosus)
nel «
»
carattere
«
tipo
"
genze e
personaggio: viceversa
attaglia e
si
le
del
passioni
si
trasforma con
le
secolo decimosesto,
del
il
esi-
e
la trasforma/ione assumono di particolari e d'insieme comicità vigore, tal fuori che la creazione, a poco a poco, balza creazione un'integra appare quale addirittura tal
l'adattamento,
ed
del ciò,
buon genio comico basterebbe
notato
finora,
—
il
che
italiano.
A conferma
di
ricordo di quanto nessuno ha cioè
prima
di
Francesco
e prima ancora del dubbio « Spa-
Andreini gnuolo delle commedie - ricordato dal D'Ancona primissime già altri comici nomadi delle scena itasulla sostenevano dell'arte compagnie
—
lianamente
il
carattere del Capitano.
r&£)~
'A"a~ >>~>~
P4^'S~ A^.P>"
:s
•
^A~ PA"'MAF^7.
PPA~PA~,A
IV.
CASSAiNDREN'O
Cassandrino
—
dice
il
Maes
nella sua pre-
gevolissima raccolta di Curiosità romane
un
tipo d'immortale
memoria per
maggior campo della sua
—
romani.
i
gloria fu
il
è Il
vecchio
teatro dei Burattini nel palazzo Fiano. I capolavori di
tissima satira,
Roma
che
franca giovialità e di il
più
scelto
acu-
pubblico di
accorreva ogni sera ad udire, godendone
pazzamente, erano parto del cervello inventivo e della lingua pungente del signor Filippo Teoli, gioielliere in via del Corso. e schietto osservatore non muovere egli stesso i suoi piccoli ed otteneva immancabilmente strepitosi
Questo
isdegnava attori,
delizioso
di
successi.
Morto Cassandrino, continuarne
le
ossia Filippo Teoli, tentò
gloriose tradizioni
un
tal
Filippo
Bencini romano, legatore di
libri,
ma
con poco
succ<
La maschera di Oassandrino figura un buon di Roma, di età matura, dai 55 ai 1)0
borghese aiini ;
ma
giovane ancora
niere, svelto,
bene
in
al
tratto e alle
ma-
gambe, colla zazzera bianca
argentina, incipriato, frisato, attillato, con una
scamiciata candida, inappuntabile, calze bianche,
con fibbie
scarpine
capo
d'argentò a specchio.
un leggero
ha
tricorno, e porta abito e
brache di fina seta rossa, sopra
un giustacuore
di
In
raso
le
bianco,
quali spicca
picchettato di
ampie faldine sul dinanzi. Di carattere amabile,, non s'inquieta, checché avvenga, e fa orecchie da mercante a quapuntini
gialli
con
lunque equivoco, a qualunque burla che guardi. Cassandrino inoltre è rotto agli e
si
distingue per
la
pratica del
mondo
lo
ri-
affari, la
più
spiritoso,
ben educato, arguissimo, ingegnoso, sarebbe in verità un uomo
compito,
se
consumata
cortese,
;
non avesse
regolarmente malato
di
la
disgrazia di cadere
amore per
tutte le
donne
che incontra.
£t4
Al
libraio
attribuisce
Bencini qualcuno,
erroneamente,
l'invenzione d'un altro tipo: quello
— del
Don
e deve
23
-
Pirlone, che è di data assai più vecchia
propria origine a Girolamo Gigli.
la
Infatti
il
Gigli, scrittore di talento e farceur
di genio, morto nel 1729, dando forse
esempio pubblica del
Don
della
satira
piazza
ambulante,
vestito
con
aveva
poiché
Pirlone,
tata pure, con questo titolo,
genere del Tartufo
gli
il
primo
scese
sulla
abiti
teatrali
scritta e reci-
una commedia
di Molière.
Il
sul
tipo del pro-
tagonista, per lo meno, è lo stesso.
Don da
mano un par
Pirlone teneva in
di molle
fuoco, e con le molle distribuiva sconci
Uno
drigali alle donne.
di
questi,
una cronaca del tempo, dice Donnine
riferito
:
belle e brutte
Venite tutte qua
:
Io vi consolo tutte
Con queste molle Alzatevi
le
qua.
gonne,
belle e brutte donne,
E se ci Un po'
avete sotto di pizzicor,
Con un buon pizzicotto Di queste molle qua, donne,
il
pizzicor vi passerà.
^S>^~^<^o
mada
F^^FF,y^,F,y^,}3^,y,^,y.C.C/C, r.C.-.C,C, :
:
V.
GASSA^DEO
Cassandro pure appartiene tabile famiglia dei burattini
a Firenze, qualche anno alto
due
palmi
solluchero, con
fa,
e
mi ricordo che
un bel vecchietto,
e
tutto azzimato,
le
sue grullerie,
che un
!
in
gli spettatori
Vinciguerra aveva messo su
tal
Ah, che
fuori di Porta a Prato.
fare quel tipo
mandava
entro una ba-
accorsi in folla ad applaudirlo,
racca
molto rispet-
alla
;
e dico
« ci
faceva
risate ci
faceva fare
»
perchè
anch'io ero un assiduo frequentatore della ba-
racca del Vinciguerra. Cassandro aveva vativa delle di
padre minchioncione,
e ridicolo.
Ma
e di tutore
graziosamente, quei vecchi
vagheggini imperruccati, truccati i
quali
innamorato
nel farsi corbellare, corbellava
a sua posta, tanto
limento,
la pri-
parti di vecchio marito contento,
si
e tirati
a pu-
sforzano invano a dissima-
—
25
—
lare la cinquantina o la sessantina suonata,
caricatura
la
riusciva
piacevolissima:
e
che Cas-
sandre) era diventato l'idolo del pubblico.
Cassane! ro burattino, discende in linea diretta dall'antica
maschera dello
stesso
nome, che,
negli ultimi venti anni del secolo decimottavo,
voga a Parigi
fu in gran
dove una compagnia sandra nacque e gloriosa.
furori fatti
A
Tkéàtre des Italiens,
maschera del Casmorì a Parigi. Ebbe vita breve
francese. Però la
in lingua
ma
al
di comici italiani recitava
Théodore Barrière ricordando
da Cassandre), scrive
:
raison de die sous pour place,
Chez Xicolet, nos bons bourgeois
AUaient voir Cassandre
et
C'etait la gatte d'autrefois.
r££^
Palliasse:
i
VI.
COTIELLO
non
Coltello è nato in Italia, e dall'Italia
è
volato uscir mai. Vera personificazione del calabrese lui il
sentimentale,
bizzarro,
testardo,
:
non
per
ha esistito altro sole, altro cielo, che
cielo e
il
sole del suo paese.
ha bat-
Molière, nel Bourgeois gentìlhomme,
tezzato per Coviello una specie di servo sciocco,
che non risponde che schera.
Il
ignorante,
tipo di
ma
al
lo
rare, qualche volta, nelle
sostenendo una parte Capitani
si
vedeva ancora
simile
—
figu-
baracche dei burattini, parte
presso a
poco a
che deve
sostenuta anche in epoca più remota. ditatti,
ma-
plebeo
completamente. Al principio
del secolo decimonono
dei
di questa
intelligente, satirico, astuto.
Coviello è sparito
quella
nome
Covirllo è quello del
Il
nel Malmantile riacquistato, dice:
aver Lippa
—
—
27
In abito Scarnecchia da Coviello,
Tinta ha di brace luna e l'altra guancia, per sua spada sfodera un fuscello
E
Ch'ha
pomo d'una
il
bella melarancia.
¥& Non
può parlar di Coviello senza nominare
si
Salvator Rosa, Sotto
il
nome
il
di Coviello,
Cesare dei bohémiens. di
Formica
il
maschera
celebre pittore e poeta,, nel car-
il
nevale del 1636, a tutti,
e sotto la
plauso
di
Roma,
raccolse,
tutti sul teatro
ignoto
a
di Niccolò
Musso a Porta del Popolo. Ciò dette argomento a Teodoro Hoffmann per una delle sue migliori novelle, dalla quale tobgo risce «
appunto
al
brano che
il
si
rife-
signor Formica ed al suo teatro.
Niente affliggeva
di
più
i
Romani che
certi
sconci in tempo di carnevale, quando gl'impresari di teatro erano
compositori
e
degli
poco
felici
attori
nella scelta dei
quando
;
il
primo
tenore del teatro dell'Argentina aveva perduto la
voce nel viaggio, o
della Valle
era
il
venivano attraversati
gli
primo nomo del teatro insomma quando
infreddato i
;
divertimenti che
si
aspettava. '•
Quasi subito, dopo un
presso la
triste
carnevale di
un certo Niccolò Musso aperse Porta del Popolo un teatro dove non
questo genere,
—
—
38
rappresentavano che buffonerie estemporanee.
si
L'annuncio era
in
l'atto
uno
piccante, e
stile
i
romani, sempre ghiotti di divertimenti dramma-
augurarono bene dell'intrapresa del Musso.
tici,
L'acconciatura
del
o piuttosto del ta-
teatro,
non dava a credere che l'imprenditore
volato,
una condizione molto splendida, giac-
fosse in
Da un
che non v'era ne orchestra, né palchi.
luogo più alto pendevano alcune tappezzerie che,
secondo
la necessità, raffiguravano,
ora una stanza,
ora un bosco,
ora una strada; e quel
luogo
serviva di scena. Poche e dure panche di legno offerte
quelli
agli
far cessare
arredavano
spettatori,
incomodi il
sedili
non erano
sala,
la
e
natura da
di
malcontento che pareva volesse
scoppiare da ogni parte per un teatro così cattivo,
si
annunciato con tanta pompa.
ebbero
attori
gli
Ma
appena
proferite alcune parole
sentì più a fiatare.
E
non
tanto crebbe l'attenzione,
che prima vi fu approvazione, poi meraviglia, quindi entusiasmo,
Difatti
«
di
che
proruppe
in
scoppi di
ed in mille applausi.
risa
codeste
non
si
poteva veder nulla
rappresentazioni
buon Niccolò Musso, rito,
e che sferzavano
follie del
giorno.
di
meglio
improvvisate
dal
così piene d'estro, di spiin
modo sanguinoso
Ogni commediante dava
sua parte un carattere inimitabile, sopra ogni altro traeva a sé
tutti
ma
gli
le
alla
Covi elio
spettatori
— aveva
pel talento che
voce, l'aspetto e di
Roma. Uno
—
29
imitare appuntino la
di
attitudini
le
non
spirito
animar l'uomo che faceva
di certe
persone
ordinario pareva
la parte di
Coviello
e che aveva nome Formica. Talvolta metteva egli nei suoi atti qualche cosa di così inavvertito,
che
gli
spettatori
si
sentivano
raccapriccio della paura in mezzo matto. Dietro lui veniva
una pantomima ed
il
al
dottor Graziano con
una voce d'una
senza pari. Egli diceva
le
dal
colti
ridere più
giovialità
cose più allegre del
mondo senza
spostare un muscolo del volto. Era un vecchio bolognese per nome Maria Agli. Non andò guari che tutta la buona società di
Roma
dovette convenire al
Musso, né
si
signor Formica,
il
cosa di sovrumano
quando
maniera fanti,
ma
del
Roma
si
che del
quale era tenuto per qualche ;
fu per morir dalle gravità,
teatrino di Nicolò
parlava d'altro a
più d'una vecchia che
e
risa
con
teatro, diceva
in
biasimava menomamente
signor
—
Formica:
lasciar stare
i
santi
!
— Questo
succedeva perchè fuor del teatro
mica era tutto mistero.
Non
Scherza
si
il
la
coi
forse
signor For-
lasciava
mai
vedere, e vano fu ogni studio per incontrarlo, oltreché Niccolò
Musso non volle mai aprir bocca
e dire dove stesse di casa
».
-
:
;
e
:
~
r
"
".
'
VII.
DOTTOR BALANZ02T
IL
Il
Baiamoti
dottor Graziano o dottor
bolognese. Fece
la
scene nel 1560 o
giù.
è
oriundo
prima comparsa
sua di
lì.
sulle
Filosofo, medico,
avvocato, astronomo, parla di tutto, sputa sentenze su tutto, citando a
sproposito
e fuor di
proposito testi latini e greci, e dicendo più minchionerie
parole. Se
che
una eloquenza tano, e
il
la galera,
tale che
i
è
avvocato, sfodera
giudici
suo cliente preferisce
si
addormen-
ferri corti, o
i
o la sferza del bargello, al supplizio
di continuare
ad ascoltarlo
:
se
medico, scrive
delle ricette che fanno vomitar l'anima all'am-
malato.
Sempre
vestito
di
nero
dalla
piedi, porta
l'abito deglj scienziati, dei
sori e degli
avvocati del secolo xvi.
testa
ai
profes-
Nella compagnia comica dei Gelosi, la parte del dottore era sostenuta da un tal Lucio Burchiello noto più che altro
ventura.
per una strana av-
31
¥& Era
Una
Burchielli un bello e vigoroso
il
sera a Bologna, s'imbattè, per
uomo. una via re-
mota, in una comitiva di giovinastri,
una donna
circuita
per sottometterla ad un brutale insulto
benché
chielli,
solo ed inerme,
quali,
i
stavano
di aspetto distinto,
;
Bur-
il
non temè
di af-
frontare quei mascalzoni, che erano in sette, e tutti
più o
meno
alterati
e
sì
vino. Si
menare a destra
tra di loro, e prese a tali
dal
un mo-
scapaccioni che in
poderosi
mento fece piazza
pulita attorno a sé, e la po-
vera signora fu salva. ìl Burchielli, allora, di
accompagnarla
cacciò
e sinistra
alla sua
dimora;
ringraziandolo con
le
perchè
andar sola;
la lasciasse
ma
si offrì
ella,
pur
lacrime agli occhi, insistè
ch'ci le desse parola di
e
di più. volle
non seguirla nemmeno
da lungi. Allontanatisi gli
aggressori, la signora erasi
prontamente ricoperto le
avevano strappato
aveva potuto sfuggita si
i
il :
viso col velo che quelli
perciò
il
Burchielli
non
vedere che un momento e alla
lineamenti della incognita. Nonostante
era potuto assicurare esser ella giovine e bella.
Che abiti,
fosse poi alle
subito.
La
una dama,
maniere,
al
curiosità lo
e di alto rango, agli
lo aveva capito pungeva maledettamente,
parlare
— ma, avendo promesso la
—
32
non seguirla, mantenne
di
parola.
Due pitato
non pen-
o tre giorni dopo, quand'egli
sava già più
al
misterioso incontro, gli fa reca-
da un uomo a
lui
sconosciuto uno scrigno
contenente un anello di gran valore, un rotolo d'oro e un biglietto così concepito: inani
questo ricordo dalle
di
deve al vostro coraggio l'onore screzione la tranquillità
Accettate
«
una persona
—
che
vostra di-
(dia
».
£«•
Chi comprenderà più come logna il
dottor
il
Balanzon?
nato a Bo-
sia
DovV
più a Bologna
professore che fa dei libri che nessuno legge,
clic
„
riempito
è
d'erudizione, di dottrina, di
citazioni, di sapienza e
non riesce
a capirsi che
da per se? « La maschera del dottor Balanzon scaturisce storicamente Luigi Lodi
e per
poco da
bolognesi.
—
Sia per lata
in
questi la
arruffati
professori
— scrive non
troppa roba da ogni parte accumu-
quelle teste, e che essi volevano ad ogni
modo mostrare essi stessi
di sapere,
oppure per non aver
saputo o potuto dar ordine
struosa loro
dottrina,
blioteca di Bologna
si
il
fatto ò
alla
mo-
che nella Bi-
trovano delle opere cu-
Dottor Balanzon. (1653)
.
—
—
33
riosissime di quelli scrittori, tutte fatte a periodi interminabili, piene d'incisi contenenti e colle-
ganti fra loro
cose le più disparate, dove a
le
una questione
principio s'incomincia a porre diritto e si finisce per
di
delle guerre
discorrere
d'Alessandro, dell'origine degli stemmi gentilizi e delle virtù teologali, in breve
come principiano
Si sa
inciso e l'altro,
filo
ma,
periodi,
sempre da
sviati
non
sa
si
mai
del ragionamento
tutti
si
finché
si
ci
c'è
Valeriani
i
finire.
una fuga
la
—
cadenza
uno
trapasso
non
ferma,
e
per il
in in
trapasso,
ma
concludere,
punto fermo. Luigi
le
sue
idee
—
An-
in quella
»
!
famoso ragionamento del dottor Baiamoli,
Il
come
lo
si-
trova nella
è fatto altrimenti
:
ha
sconclusionato, e la fine
commedia lo si
stesso
trova
dell'arte,
le
mille miglia
Avete riso perchè ho inciampato?
il
dottore.
il
capo,
—
— Ma inciampando
rompendomi
G. PliTRAI.
il
non
procedimento
lontana dalle premesse.
3
Il
di questi stranissimi dotti
date un po' a cercare
«
viot-
manca; come
scrive appunto così e per ventitré volumi.
selva
un
tra
dove vadano a
procede di
musicale,
perchè
tali
analogie, dei ricordi, delle compara-
toli delle
zioni,
un insieme sba-
senza capo né coda.
sconclusionato,
lorditoio,
— esclama
potevo rompermi
capo, sarebbe venuto
il
— medico i
—
34
mi avrebbe ordinato qualche farmaco,
e
farmachi
fanno di droghe,
si
le
<
gono dall'Oriente, dall'Oriente venne secondo Aristotele, Aristotele sandro Magno, costui
mondo
il
gran forza, con
da muratori,
i
i
è un' arte liberale, i
»
,^c 1
» «
ven-
*
sapienza
maestro d'Ales-
padrone del mondo, s'alzano
palazzi,
sanno arti
le
savi della Grecia, è
<
la
i
colonne,
le
palazzi son
l'atti
muratori son condotti dagli ar-
chitetti, gli architetti
Minerva
•
1
da Atlante, Atlante ha
forza
la
queste sostengono
sette
fu
sostenuto
è
i'u
1
disegno,
il
liberali
protetti
il
disegno
sono sette,
da Minerva,
vergine, vergine è la Giustizia, que-
arma di spada, la spada è dei soldati, vanno alla guerra, in guerra s'uccide con palle, le palle sono lo stemma di Firenze, Firenze è metropoli della Toscana, di qui nacque sta i
si
snidati
bel parlare, principe
il
del bel parlare fu Ci-
cerone, Cicerone era senatore di
ebbe dodici Cesari, dodici sono
i
Roma, Roma
mesi dell'anno,
l'anno è diviso in quattro stagioni, quattro sono gli
elementi: aria, acqua, fuoco e terra;
s'ara
coi buoi,
i
buoi han la pelle, la pelle
concia, conciata diventa cuoio, dal cuoio le scarpe,
son
fatti
le
per
terra
la
scarpe
si
mettono
camminare,
ai piedi,
si
si
fanno
i
piedi
camminando ho
in-
ciampato, inciampando son venuto qui, evi dico
buon
dì
-.
Questa specie
di
sregolatezza
mentale
si
è
—
35
—
mantenuta tradizionalmente
per secoli nella
e
Università di Bologna.
Per fortuna, coll'andar del tempo, andarono aggiustando. salti del
ragionamento
cose
si
Luigi Valeriana fra
i
le
pazzie dello
e le
stile,
è riuscito pure a stabilire alcuni principi! sciene v' è qualche
tifici
che
trattato
li
cita lode-
volmente. Così
il
balanzonismo nel seicento invase l'Uni-
versità bolognese, e
rifiorire dello studio bolo-
il
gnese nel settecento con l'Accademia Clementina, Manfredi, non impedì
il
Galvani,
il
fenomeno dell'erudizione farraginosa
lo
Zanotti,
il
e della
scienza squilibrata nella dottrina di Luigi Va-
rinnovata dalla
leriani; infine, nell'Università
rivoluzione, non è
zione del tipo.
E
mancata questi fu
l'ultima manifestail
senatore Angelo
Marescotti, morto nel 1892. Il
balanzonismo ha vissuto onorevolmente
questa sua ultima
incarnazione.
Il
Marescotti
scrisse molte opere che nessuno leggerà mai, lasciò di se
fama
di
buon cittadino
in
in
ma
tempi
in
cui era difficile esserlo.
Nel
'48, si battè sotto
il
generale Durando
nel Veneto, poi
fu a Venezia
ed
eroica difesa di
Roma. Aveva
studiato anche
medicina, e nel '55,
Romagne,
si
fece
infierendo
il
infine
alla
colera nelle
medico volontario, e mostrò
tanto coraggio e tanta abnegazione, da meritare
— la
medaglia
«l'oro
che
gli
Fu
tobre di quell'anno. sigliere
36 fa
conferita
comunale ed assessore
Bologna: dal
18S.'ì
il
2
ot-
più volte deputato, con-
per
era senatore del
le
tasse a
Regno.
Povero professor Marescotti! Quanti andavano alle sue lezioni per far raccolta delle sue frasi,
per prendere annotazione di ciò che egli
lasciava, ogni tanto,
capire
tra
mezzo
a
quel
suo linguaggio contorto, strano, impossibile! ed ora
lo
hanno già dimenticato...
^
ppjpj^i |spp nsp^H^pf^fssp^pjssp jsp ^H^.pp.isspp^
Vili.
FACANAPA
Guido Bosio, che ha scritto brillantemente maschera del Facanapa, crede la patria
della
dell'impareggiabile artista esser Rovigo, la quale lo
vide,
giovinetto, guadagnarsi
diano nella
lavorazione
pianta da cui trasse
Un
altro biografo,
che Facanapa è
di
il
il
pane quoti-
corteccia
della
della
proprio nome.
Guglielmo Ferrari, afferma veronese.
origine
Ma
ciò
Rivangando nei miei ricordi, trovo che a Verona, dove questa maschera era in grande onore, si chiamava Fra Canapa, e ricordo ancora che si attribuiva questo nome al fatto che il nostro personaggio aveva l'aspetto di un frate classico, grasso e tondo, con un naso,, non faccio per dire, esageratamente guadagnolesco. Ora, la plebe veronese^,
non
è
tutto.
Dice
il
Ferrari
:
«
—
—
38
per indicare un naso di
tal
fatta,
adopera
il
vocabolo ennupli o
i
Non
que più logico che
nome
Fra Canapa venga
«li
plicato col naso sviluppato, epperò
come
canapa.'
si
Verona Fra Canàjia
dire a
si
pare adun-
fratesco di lui com-
linea dall'aspetto
dritta
in
il
vi
debba «lire e non Fa-
»
In tutte
le altre città del
Veneto, però questa
maschera viene chiamata Facanapa.
La
carriera di
risale
apparizione
sua
la
Facanapa come
ad un mezzo secolo
dovuta
luce
alla
alla perspicacia
attore
della ribalta
genialità
alle
seppe lanciarlo, dall'ombra
ed inonorata esistenza,
fitta
il
primo
pilata,
ha una
d'una povera
fra gli splendori dell'arte,
dono
la
sue
bonarietà
friulano e
la
La
sempre accuratamente de-
sfericità
delle
l'euritmia
la
sceniche, e
inesauribile e luminosa sorgente di gloria. faccia di Facanapa,
è
dell'impresario teatrale
Luciano Zane, che ne conobbe per singolare attitudine
comico
o su per giù, e
fa,
luna
di
piena, e nel-
linee fisionomiche
larga
e
si
fon-
serena del villico
comicità plebea del pescivendolo
chioggiotto.
Nell'armonica ed intima connessione di queste
due individualità è tutto il carattere psicologico di Facanapa, il quale è riuscito a sostituirsi, nel
mondo
onesto e serio delle teste di
all'eccellente
Pantalone che
ha
legno,
perduto assai»
—
39
in questi ultimi tempi,
— suo
del
prestigio
sce-
nico.
non comune, e afflitto, per inveterata abitudine, da anemia pecuniaria, non adopera il prestigio della poGratificato d'un appetito cronico
polarità come sgabello alla bigoncia della demagogia imperante. Tutt'al più si permette
qualche mite invettiva contro sua
la
malvagità della
qualche amara apostrofe alla cru-
stella e
dezza degli eventi, diluita in un bagno di umorismo sano
e sereno.
Quanto alla cultura intellettuale, Facanapa non è precisamente quello che si direbbe, con un autentico somaro.
rispetto parlando,
E
però
sufficientemente bestia per aver diritto alla stima
ed
persone di
alla considerazione delle
La
—
sua parola
la fluidità
scrive
il
Bosio
garbo.
— non
ha
vertiginosa e chiassosa di quella di
Arlecchino ;
nulla
ha
perduto
però della sua
saporosa originalità paesana, malgrado grinazioni e
le
permanenze
le
pere-
dell'artista fra genti
di lingue svariatissime.
Ed «
il
citato scrittore
Facanapa
è
soggiunge
:
figliazione di plebe,
come Pan-
talone è concepimento di borghesia d'altra epoca.
Ma
la
borghesia muta di gusti rapidamente nel
rapido tenacità
fluire
dei
tempi,,
e
Pantalone deve la
della sua onorata vecchiaia al vivido
bagliore riverber
tto
su di lui dall'arte luminosa
— ed imperitura <•
—
Carlo Goldoni. La plebe
di
>nservatrice
40
in
concetti
di
fatto
Facanapa, che ancora non ha avuta di
sperimentare
l'amore
è
più
artistici,
e
ventura
la
potente di un padre
putativo del valore del Goldoni, attinge
sola
la
ragione della sua esistenza nello ideale estetico
plebeo
».
pubblico delle panche
Il
che poi in fondo riconosce,
piglia
quell'illustre
in
a
venti centesimi.
mondo come
il
campione
viene,
suo
del
grosso criteraccio, l'impronta della verità d'un
documento umano dai lenocinii
E
questo
scansare
di
intelligibilissimo,
alcuna
prendere
«
briga di
la
non oscurato
artirìziosità. il
mondo
raddrizzare
cani, e conservare la pancia ai fichi
Facanapa
l'opinione che
motto caratteristico punto ci
mondo come
Uno di
el
è, ai
conforta
»
sia veronese,
poiché
il
volgo veronese è ap-
del
Scarpa larga
questo:
quale
gambe
tal le
e
goto pie»,
e
tòr
vìen.
dei più felici illustratoli della maschera
Facanapa
piantato
le
a Verona.
fu
un
tal
Kiccardini
che aveva
sue tende nel teatrino dell'Accademia
Egli aveva
siffattamente
il
la
virtù
pubblico piccino
di
interessare
e quello
grande,
che per trovar un posto bisognava accaparrarselo molto tempo prima dello spettacolo. Il Kiccardini imprimeva al personaggio di Facanapa una comicità particolare e irresisti-
— bile,
tantoché
ai suoi
tanto quanto adesso
41
—
tempi si
si...
rìccardineggiava
ferrai-Reggia.
^4-
Facanapa, dal naso chiali verdi
come
a pappagallo,
porta oc-
quelli di Tartaglia, cappello
a larghe falde, cravatta rossa, giubbone bianco a code lunghissime. Questo
^^
il
suo vestiario.
IX.
FLOBIKDO
COLOMBINA
e
Il Goldoni aveva speciale affezione a questi due personaggi è ben raro che manchino nelle sue commedie come non mancavano mai tra i ;
personaggi
obbligati
della
vecchia commedia
italiana del cinquecento e del seicento.
Florìndo è uno studente che non studia, un debitore che non paga, un amante timido,
ma
che talvolta sa pigliarsi delle licenze.
Colomhina civettuola, si
è
cameriera: ragazza vispa, ciarlimi,
ben
fatta
ben provvista. Su
e...
posano non di rado
gli
del padrone stesso o degli amici
fondo però
è
lei
occhi del padroncino, di
onesta; sa dar parole a
casa.
In
tutti,
ma
tenersi fedele al solo fidanzato.
Sparite dal
personaggi
teatro
della
le
maschere
vecchia
Florìndo e Colombina
furono
d'Europa.
con esse
i
i
dell'arte,
accaparrati
burattini, e naturalizzati su tutti lanti
e
commedia
teatri
dai
ambu-
Colombina. (1683)
Colombina
ora
è
-
43
figlia
di
Cassandro o
Pantalone ; ora corteggiata da questi chi, ora fidanzata, ora
di
stessi vec-
moglie d'Arlecchino.
La
corruzione dei costami non ha potuto nulla su di lei, che, malgrado le sempre onesta, sempre
tentazioni, fedele,
suo promesso, se moglie
bina
è sopratutto,
cese, unejolie
aspetto
et
Colomfran-
frétillante soubrette. Sotto questo
produzioni
nelle
Ma
marito.
al
è serbata
come osserva un autore Regnard
presentarono
la
si
se fidanzata al
da
e
Dufresny prima
scritte per la
essi
compagnia italiana che andò a Parigi a commedie burlesche in lingua francese.
recitar
&& Dal
teatro passando ai
si
modificò un poco
il
suo solito costume
ma,
-,
burattini,
vestito bianco,
:
Colombina
in generale, le
rimase
grembiule
verde, e la cuftìetta capricciosa sui capelli. Il
vero costume di questo personaggio però
v la così detta arlecchina
che Isabella Tessandri
Commedia
indossò la prima volta alla
italiana
nel Ritorno dalla fiera (1695).
La Tessandri non tista,
ma
natizzò
un
a
esser molto
a cencio,
fior di
segno
era che una mediocre ar-
ragazza.
che
graziosa.
quel
ella
Il
suo costume
fa-
diventò brava per
Certo che quel cappello
sottanino
corto, quel corpetto
— multicolore risaltare
e
—
44
mascherina nera, che faceva
la
assieme così birichino, che chi nato
formavano un
fulgore tle^ìi occhi,
il
— ed
era stata
lei,
1<>
aveva combi-
la Tessandri
— doveva
essere un'insuperabile maestra di civetteria.
In lode della divina Tessandri, un poeta drammatico suo contemporaneo, Jean Francois Regnarci, scriveva questi versi
:
Je ne crois pas qu'Isabelle Soit une (emme mortelle, C'est plutei quelqiiun des dieux
Qui
deguisé eu femme,
s'est
Fame
Afin de nous ravir
Par
Voreille
et
par
les
yeux.
£M?
Florhulo, a cui talvolta
altri
eleo-ante,
ed
la
nomi, è
chiama
di
è
sempre giovine,
bello,
sempre quello che possiede
cuore dell'eroina del Si
famiglia comica imponeva
dramma
o della
cognome Rubacori,
e,
il
commedia. una volta,
a tempo di Giambattista Andreini e di Lodovico Riccoboni, rubava davvero solo,
ma
sospiravano per
lui.
attrici
In
non
specie
il
fortunato
Ad
i
cuori
delle
parecchie signore
famoso Andreini
amorose avventure. q.iesto
di
un'abilità
mortale
univa
ebbe
che
molte
non comune, leggiadria di
persona, ed una voce che carezzava dolcemente
— la fibra delle
45
—
ascoltataci".
A
costantemente
al 1620, egli fu
dal 1600
Parigi,
pub-
l'idolo del
blico femminino, due terzi del quale, se, a questo
mondo, fortunatamente, non state certe
fossero
ci
sempre
convenienze e quel ritegno salutare
dopo tutto, salvano una povera e debole creatura da tante cadute, due terzi, dico, del che,
femminino
pubblico
sarebbe gettato fra
si
le
braccia dell'artista idolatrato, dimenticando doveri,
affetti,
molis
eroi...
vincoli di
Anche per gli altri
lui
furono
In sostanza che
incomodo
Tra
le
ardente,
scritti
molti versi: tra
un quatrain molto piccante, che
cenza mi vieta di pure,
Tanice
famiglia, tutto.
fascino del bell'Andreini.
il
la de-
precisi termini.
diceva all'Andreini di divertirsi
si
non alla
riferire nei
v'era alcun male,
meno qualche
sjnna dorsale...
altre,
aveva concepito una passione
frenetica per
l'Andreini,
della più elevata nobiltà
parigina.
gnora aveva marito, aveva notte seppe eludere
figli.
una signora Questa si-
Ebbene, una
siffattamente
vigilanza
la
dei suoi parenti, dei domestici, da poter uscire
non
vista dal
palazzo e recarsi
dell'Andreini, al quale con
all'abitazione
un anonimo
biglietto
aveva dato preventivamente appuntamento. Quest'avventura
dell'Andreini
strane, senza dubbio, che
è
gli sian
e delle più scabrose a raccontarsi
delle
toccate
più e...
fedelmente.
Basti
il
dire che
—
46
Bignora
la
in parola, d< |
sbarazzata d'ogni incomodo velo, non
sersi
a
senti,
con
qualunque quale
la
prima che
Son
si
spuntasse
cose, queste,
favole; allora,
concedersi di
ma non
maschera
eosto, a togliersi la
era presentata, e con giorno,
il
che, al
la
quale,
ne riandò.
se
giorno d'oggi paion
una donna, una signora, poteva amare un povero commediante,
per questo cessava di tenerlo
conto
in
d'un essere troppo al disotto della propria condizione per dirgli a volto scoperto Il
:
t'amo.
godimento non poteva esser condiviso
rebbe stato un obbrobrio. Chi
:
sa-
fidava della
si
discrezione di un istrione? Oggi l'artista di teatro è è
un uomo rispettato e rispettabile come un apprezzato,
stimato,
riverito.,,
e
altro
:
crocifìsso:
profumo dell'araldica aleggia tra le quinte, ma un tempo!... Un tempo le persone
oggi
a
il
modo tenevano
gente perduta, e
la
gente di scena prete
il
le
in
conto di
sotterrava con le
carogne fuor del sacrato.
£fcr
L'Andreini fu attore e
ponimento più noto vuole
che
Milton
Paradiso perduto.
scrittore. Il di lui
è V Adamo,
abbia
com-
da cui taluno
preso l'idea
del suo
kY^4W4W-, FF##PF-F<>~ f- r,
;
f. e. y,y. y. y.,>7,^j.- f&>7^- Rs?.,c, Pi
X.
GIANDUJA
Stando a suo libro
«
ciò
che scrive Ignazio Cantù
77 Carnevale italiano, ovvero
nel
Teatri
Maschere e Feste presso gli antichi e i moderni » una bella ragazza napolitana, pratica di canto, di declamazione, di musica, di
Giovanna
cia,
e
caduta in disgrazia
II regina di Napoli, fuggì in
con suo padre sbarcò
in giro per le
il
lunario
Fran-
andando
minori città con un castelluccio
di burattini, principale dei quali era Pulcinella.
In seguito Mariannetta
(si
chiamava
così) in-
grandì la sua famiglia di fantocci molto più che
non
si
fosse praticato
fino
traendo in folla a vedere
i
allora
;
e
la
gente
fantocci della Marion,
prese a denominarli Marionnettes, facendo
una
cosa sola dell'inventrice e della invenzione.
Ma
la
strega, e
brava ragazza venne poi in fama di appena fece a tempo a tornare in Italia
— e
a
salvarsi
bruciata I
48
—
Piemonte dal
in
pericolo d'esser
viva.
piemontesi
s'impadronirono della invenPulcinella napolitano sostituirono un personaggio nazionale, il loro Girolamo
zione, e
al
della
Crigna: più tardi detto Gianduja.
Ma
già
che
ci
questa etimologia è
siamo, facciamo del
vocabolo
u
notare
oh
•
marionette
assolutamente errata.
E mi
servirò per affermarlo delle parole stesse del Ferrigni (Yorick) che così spiega la vera origine della denominazione nella
prege-
vole sua Storia dei burattini. « Narrano le cronache del secolo decimo, che nell'anno 944 della Salutifera Incarnazione, «lu-
dici belle ragazze veneziane, abbigliate e cariche di ricchi gioielli,
didamente
splen-
uscivano
insieme, processionando, dalle case loro, per compiere la cerimonia religiosa degli sponsali con altrettanti gagliardi giovanotti, nella chiesa di
Santa Maria della Salute, alla Marina. « Repente, un'orda di barbareschi, venuti
dalla
rada di Trieste su velocissime barche, irruppe a terra, fece impeto contro la moltitudine che seguiva le festanti spose, sparpagliò il
insanguinò
tumulto
e
la
del
processione, terrore
e
corteo,
profittando
del
improviso, s'impadronì
delle ragazze e le trascinò sopra rate alla spiaggia.
la
fuste anco-
Gianduja. (1858)
— Ma
••
—
passato quel primo spavento,
gioventù del paese armi ed
alle
49
scosse,
si
barchette
alle
predatori, strappò alle
,
inseguì
mani
loro
balda
la
radunò, corse
si
marrani
i
spose, e
le
nel loro sangue vendicò l'onta patita. «
Da
quel giorno in poi ogni anno, alla me-
desima
data,
delle Marie,
in
in giro
pompa, dodici
gran
e in
celebrò
si
menando
la
Festa
popolane,
fanciulle
meglio
scelte fra le più belle e le
vestite in
Venezia
per una settimana,
costumate,
gran lusso a spese della Repubblica,
e sposate quindi a dodici giovinotti colla dote fornita dal pubblico erario.
dispendio era enorme, e la scelta
« Il
ragazze nienti, di
fasi,
costume
il
vere
per volta, passando
fanciulle
si
delle
d'inconve-
Ondò
di dissensioni, di tumulti.
liti,
che, a poco
feconda
spinosa,
difficile,
per
diverse
modificò fino a sostituire alle
un numero
meccaniche, vestite una
uguale
volta
di
figure
sempre,
per
e
cavate fuori ogni anno, nel giorno della com-
memorazione, dai magazzini della Signoria
Anche
la
Origine delle «
Per
feste veneziane,
scrive:
otto giorni, dodici fanciulle
vestite, coperte d'oro e di
vano processionando attorno delle ragazze era
ma
».
Giustina Renier Michiel, nella sua
gemme,
riccamente si
alla città.
conduce-
La
scelta
un munus imblicum del Doge
;
coll'andar del tempo, codesta faccenda, ac4
—
G. Petrvi.
cattando infinite brighe allo Stato, invalse l'uso
donne altrettante
sostituire alle
di
pite,
scol-
abbigliate con lusso, e chiamati' dal popolo
Mitri*
le
figure
di legno, o
Marione,
le
per indicare
ohe erano più grandi del Fero. Nella settimana
Marione
delle
i
simulacri, che
riduzioni
smerciavano
si
mettevano
veneziani
baloccai
vendita certe piccole
in
grandi
dei
migliaia:
a
e
perchè erano precisamente un diminutivo delle Marione,
chiamarono
si
MarionetU
le
¥& nome
Il
ho detto che
Gianduja,
in
origine era
ma
Girolamo,
nel
— come
1808, temendo
questo nonio, portato da un
in
potè— e un'allusione
si i
di
—
re
1
scorger
I,
politica, l'autorità invitò
burattinai a sbattezzare e ribattezzare
teste
legno
ili
e
di
le
loro
cartapesta.
Girolamo, diventato Gianduja,
e dalla
piazza
passato alla scena, che tiene ancora con plauso, fece
si
più serio,
o,
per meglio dire,
Esso possiede quel genere
lone.
di
meno burspirito
che
gli
inglesi attribuiscono agli irlandesi. Sostiene
in
tutte
primo
(1)
le
attore,
commedie l'amoroso,
Girolamo Bonaparte,
la il
re
prima
parte:
caratterista,
«li
Westfalia.
la
la
il
parte
—
51
—
comici, in lor' famaggior spicco, e che chiamano la parte che ha sempre ragione; intendendo dire quella più simpatica al pubdi
i
vella,
blico e che
pubblico è portato ad applaudire.
il
Gianduja, nel
costume, veste un
vero
suo
giacchettino marrone a orli giallo a righe
Ha
.
le
rosse,
i
un
rossi,
calzoni
corpetto
verdi, le
calze
sopracciglia marcate come quelle
di Stenterello, la
La maschera
parrucca nera e
codino.
il
Gianduja è molto popolare in Piemonte. Ricordo ancora quando, nel 1866, i
del
giovinetti torinesi partivano allegramente pel
campo, cantando: Nui
suina
i
fieni d'
Nili
suma
i
bugia
Gianduja
nen...
Ma guai se la testa un rnja, Se 7 dì d' te (iute a uen .'
$¥?
Nelle vecchie duja, e che ora
a i
commedie non
si
in cui
era sempre, riservata
lui
entrava Gian-
rappresentano quasi più, la
parte di difendere
deboli e gli oppressi, di sventare le trame dei di abbattere tutte le tirannidi.
tristi,
odia
E
i
tiranni tanto quanto
questo suo
amor
devoto a tutta prova,
ama
il
Gianduja
suo
re.
profondu, incancellabile, il
buon Gianduja
lo
di-
mostri')
uno
anni
tanti
Emanuele, in gala che si tacevano
Vittorio
a
grandi corsi
di quei
allora a
fa
—
52
di
Torino nel carnevale. Non ricordo
data precisa, ma non importa:
la
fatto è altret-
il
tanto storico e vero quanto onorevole.
In mezzo allo splendore del corso,
povero Gianduja, in testa e col suo
bravo codino
cava un ronzino allampanato mesta, sofferente, che
carrozza
Vittorio
di
e
Re:
per voi
/uff
rosso.
pietà.
Emanuele.
e
camisa; ma
Maestà — per
se
in
I
Italia
:
am
ma,
le
fer-
cappello,
il
—
resta
nere da besogn
se vi occorre,
la
Gianduja
disse
gli
Passò
i
si
il'àidait
mach pi
la
son dispost
a deve dco consta! Cioè: Maestà, /io dato f>er voi e per /'Italia : ìion mi resta più la camicia:
il
Caval-
cocchiere di
al
levatosi rispettosamente
rivolse al
vide
aveva un'aria
e
taceva
andò incontro, fece segno mare,
si
camicia, col suo cappello
in
son pronto
tutto
che
a i/arri
anche questa. Vittorio Emanuele, «commosso, strinse la al
bravo
cuore e
E
la
Gianduja,
dicendo
essergli
fedeltà dei piemontesi.
.Gianduja
fu felice.
~s>^^<^>
mano
noti
il
r.OwC.OOCC,vVCv^
"
XI.
GIAXGUEGOLO
In forza del trattato di Utrecht (1713), che
mise fine alla guerra di successione, fu ceduta a Vittorio
Amedeo
la Sicilia
di Savoia. Molti
gentiluomini che parteggiavano per la Spagna,
abbandonarono l'isola e si portarono a Reggio. I calabresi avevano mortalmente a noia codesti spacconi,
che,
mine da
lupi,
con una miseria si
spacciavano
baroni, per grandi di Spagna.
cane
per
e
una
conti,
per
Giangurgolo era
la loro caricatura.
Chi fatto
tirò
fuori questo
che,
è
d'un
piaceva emigrati
La
più.
compatriota
palco
scenico
dirvi
so
formava
sulle tavole
;
il
la
improv-
aperta,
si
che altro di mettere in ridicolo
gli
all'aria
siciliani.
scena, per
osteria.
non
quando Giangurgolo
delizia de' suoi
visate
tipo
esempio, rappresentava una
— Entra Giangurgolo,
—
54
costume
in
alla spaglinola:
stivaloni, spadone, cappellone.
—
Hai da darmi da mangiare?
all'oste.
—
Voglio rifocillarmi un poco... Mi
porti
un carretto
pane
e
due
botti
di
maccheroni, una cista
di
vino.
L'oste lo piglia per
Giangnrgolo, irato, sfodera
more sopraggiungono
corre a rimpiattarsi sotto
ne impossessano è
d'Aragona, Il
e
capo dei
modo;
lo
egli protesta
in
Sicilia,
Giangur-
trascinano via a
1"
spinte, e
a
le
sue
lo
legano
calci
nel
birri
i
pa-
riscattarsi
ma siccome
golo non ha un baiocco in tasca e tutte
possidenze sono
re
del
rispettino.
birri gli oft're di
gando una data somma,
e ru-
birri se
I
parente
siciliano,
grida che
Al
pareti.
tavola.
la
allo stesso
un gentiluomo
sciabolone
1"
le
Giangurgolo allora
birri;
i
si
di
diavolo e scappa.
il
attacca combattimento... con
che
— domanda
e
de-
retano.
—
Gidngurgolo,
è
come
Il
Giovanni gola piena
Ficoroni (Dissertatio de larvìs scenicis
figuris comici*
dà
antico che ricorda la
dire
o mangiapane.
taccia sbarbata
tura bellicosa.
la
descrizione di
un
et
mimo
Giangurgolo pel naso lungo, tinta
«li
cinabro, e
l'anda-
$S^7^T^Op,^V>^
XII.
.
MENEGHINO
Meneghino,
o
Domenichino, una
vivaci, più argute e italiane, è
ancora vivo
memoria;
la
d'applausi, e
salve
frizzo
Sia che
che fa levar
voglion taluni
Lena
dell'Ariosto,
—
Una
dalla
berze.
Ruzzante,
di
come pretendono
contentava
di
quel
fare
il
am-
ribalta
o dal Meneghino
neghino, oggi, non è più si
le
Menego
discenda dal
come
volta
rimane
presenta
si
ribalta accolto dai suoi buoni
alla
brosiani con il
rigo-
compagni,
teatri,
Meneghino
più
le
maschere vita
di
tanti suoi
un giorno delle plebi nei
delizia
appena sempre lancia
verde
e
buontempona. Di
gliosa e
tra
simpatiche
più
altri,
desso che
della
Meuna
servo sciocco.
radicale riforma del suo tipo
Giuseppe Moncalvo, che ne fece un
si
deve a
caratterista
— numero
56
ano. Nel Curioso accidentt del Goldoni,
Meneghino,
terzo atto, strappava
al
lacrime...
le
Era un artista eoi fiocchi quel Moncalvo; e suo degno allievo
natura non ebbe vi
t'n
Preda,
il
tutti
i
doni
il
quale se
lo
studio.
Meneghino non porta maschera ne Indossa un giubbettino corto sottoveste a fiori; a
e
calzoni ha di
i
rosse, e le calze a righe.
liste
parrucca
gli
salta fuori
il
maestro,
artistici «1*1
supplì con lo zelo e con
ila
trucca.
si
-euro
una
e
panno verde Di sotto alla
codino.
Menego (diminutivo di Domenico) tipo creato da Marco Aurelio Alvarotti, attore della compagnia padovana di Angelo Beolco (Ruzzante) era una specie di contadino ingenuo e poltrone, fedele riproduzione dei l'Italia
nella
costumi rusticani
Egli parla alla maniera dei contadini,
come
del-
prima metà del sedicesimo secolo.
loro, e sotto
la
la
pensa
maschera dell'apparente
vizi del suo tempo e amaro sarcasmo le magagne. Ecco, per esempio, come il Beolco in una delle sue commedie fa parlare questo Menego: Eh, compare Duozzo, quest'anno Menego.
loro ignoranza, deplora
i
ne rivela con
—
la
vorrà andar male. Cattiva race*
Ita,
miseria
terribile! ltnozzo.
Menego.
— Purtroppo! — Io pensami- come sto
per mangiar meno...
potici fare
'.-•'
Menego. (1528)
—
Mangiar meno di quello che si Duozzo. mangia ? È un pensiero che non può venir in mente che a un suddito italiano! Io mangio rape eppure queste Menego. maledette mi hanno tanto allargato il budello che ne mangerei ancora delle altre, e più. !
—
Duozzo.
Menego. si
è
Disdetta!
Se
si
trovasse
il
modo, quando
mangiato, di non cacare/
Duozzo.
Per
— —
;
star
—
Siete inatto'?...
Dio
ci
liberi!...
bene bisogna cacar molto.
—
Menego. Ma io non cerco altro che di ammalarmi. Quando son malato, non ho farne, almeno Eppoi, sapete cosa dicono nostri pai
!
droni illustrissimi
Duozzo.
Menego.
— —
?
Essi non dicono, essi bastonano.
Perchè non credono
alla
nostra
fame.
— E perchè Menego. — Perchè
Duozzo.
cano?
essi
dicono;
non
ci
credono?
ci veggono cacare. Cadunque è segno che man-
giano.
r-sS>i..-^S^
„
;
--
\
XIII.
MEO PATACCA
u
er greve
„
E
MAEOO PEPE Ambedue
sono
la
u
crapetta
personificazione del traste-
Meo Patacca però
verino.
la
è
ardito, attaccabri-
menar
ghe, manesco, e prima comincia a ]>oi.
stanco
di
botte,
battere, viene a spiegazione con
l'avversario.
Marco Pepe, all'opposto
Fa al
lo
spavaldo,
momento
tipi
«
donnaiuolo,
critico
Questi due però un
il
è
non
il
batte...
carogna
prepotente,
che
in
».
ma
ritirata.
Xon
ancora.
esistono
teatro dialettale
na
véro e proprio
esiste
come
quello glorioso del Piemonte, o semplicemente,
base di riduzione, come
anche,
a
lettale
napolitano. Di romanesco non
vissuto che
prosa e
il
genere misto
—
la
il
teatro diaè
sopra-
commedia
musica, oggi detta operetta.
A
in
dar vita
— rebbero
gli
—
comico
al repertorio
artisti
-
59
se
ad
— manche-
fosse
ci
eccettuati
hoc, poiché,
Filippo Tamburi-i e Angelo Malatesta,
gli altri
dei quali sogliono circondarsi questi due. sono
cantano
attori o cantanti che recitano o letto
romanesco
non sono
:
in
dia-
romaneschi.
artisti
All'operetta dialettale ha dato novella voga
un fecondo vanni
e geniale musicista,
autore
Mascotti,
di
ebbe
Ma
fortuna su
lieta
clou del
il
genere
tutti
è
» e
lingua
in
ita-
teatri d'Italia. la
vecchia
Meo Patacca
« er
Ha parecchi Marco Pepe • la crapetta ma quando cartelloni ne annun••
.
anni addosso, ciano
i
sempre
operetta del maestro Galanti: greve
Marchese del
anche
Grillo che. rappresentato liana,
maestro Gio-
il
quel
la
i
rappresentazione, l'impresa è sicura di
fare un teatrone. Xel suo genere, nulla di più
Marco Pepe,
grazioso. I due tipi di
e di
Meo
Patacca,
nessuno. I
minacciano
turchi,
nipolo di trasteverini,
questo
bella, lo
vorrebbe dissuadere
picchiarli
lui
no.
è
tien
duro,
da.
e
Nuccia piglia cappello, crede che Turchi
sia
una scusa
giura di vendicarsi.
soggetto,
il
si propone di andar loro ben bene. Nuccia, la sua
e
ma
pauroso,
Roma. Meo. con un ma-
di assediar
incontro
zione;
il
bravaccio, sono delineati
come meglio non potrà mai
in codesto lavoro
fare
il
di
questa spedi-
vuol la
partire.
guerra
Meo per piantarla, pezzo Marco Pepe
Da un
ai
e le
ronza attorno
e le t'ala
ma, innamorata
—
60
serenata sotto le finestre
Meo,
di
ella .non
:
ha mai
gli
badato.
Ora perù che Meo la tratta cosi, cosa fa? Un giorno chiama su Marco Pepe e gli dice: « Ammazzatemi Meo Patacca e saio vostra - Marco .
Pepi sfodera subito
mentre comparisce casca di
mano
a scappare, finestra.
il
suo
rivale
dalla paura.
Per
in
quel
sciabola
la
gli
più presto
far
vergognosa d'avere, anche per preferire a un
uomo come di Marco
codardo
quell'imbecille
M^eo
e
valoroso Marco Pe/>e salta dalla
il
Nuccio,,
un momento, potato il
ma
sciabola;
la
Pepe, chiede perdono all'amante che glielo accorda, tanto
andata
piii
che
monte,
a
la
belligera spedizione è
perchè
i
arrivati a
Turchi,
Ponte Molle, sono tornati addietro. Il
fatto,
come
vedete,
che interessa sono getto tra
i
musica
è
e
di
di
ma
poco:
particolari, le scene
vari personaggi,
Meo Patacca la
i
sa
i
frizzi
e
i
><
ciò sog-
lazzi di
Marco Pepe; senza dire che
un tessuto originalissimo
briosi, caratteristici,
di
motivi
pieni di verve.
¥6 Giuseppe Berneri
scrisse
un poema romane-
sco in dodici canti, stampato a su
Meo Patacca: poema
—
Roma
nel 1685,
sento dire da
chi
— se ne intende
—
il
quale sarebbe caduto nell'o-
Bartolommeo
blìo se
—
61
nel
Pinelli,
1823, non
lo
avesse illustrato.
Stando
Ambedue
molto.
un
compagno
sciarpa
corto, la
pugnale e pello, e
i
si
rassomigliano
vestono un giacco, o piuttosto
velluto a manica, ^banno
di
gilet
Meo
disegni del Pinelli, gli abiti di
ai
Patacca e del suo
a
colori
attorno
il
la
calzon vita,
una specie scura, come usavano una volta
capelli sono chiusi in
rete di seta
il
spada a cintura. Non portan cap-
la
di le
donne. Sul teatro però questa foggia di vestire non è adottata strettamente,
e,
a seconda delle pro-
duzioni, l'ho veduta spesso cambiare.
$¥é
Un lippo
celebre Marco Pepe fu Francesco (o Fi'?)
Tacconi,
detto
il
gobbo, che
una sera
recitava in trasteverino, un'altra in monticiano,
commedie delle quali egli stesso era autore. Oggi l'artista in voga è il Tamburri, magro e lungo come una pertica un Marco Pepe perle
;
fetto
—
meno
la
Egli avrebbe
gobba. avuto da natura spirito e
telligenza per riuscire
eccellente,
ma
si
in-
è la-
sciato sopraffare dalla volgarità dell'ambiente
non cura che
di rendersi accetto all'infimo
;
pub-
— i-ai.
.
prosa
ogni tanto,
e in versi
uso Carro
a
compagnia romanesca buri-i
'
fervorini in
Tesj>i}
'fi
diretta
e sui
ma-
Comica Pippo Tam-
stampi
si
«la
:
«
».
Tacconi nacque
Il
rivolge dei
permette che
serali
nifesti
—
62
L806
in
genitori di civil
moriva nel darlo
alla
Roma
dicembre condizione. Sua madre
luce:
mestiere delle armi, lasciò zione di Filippo
al
padre, datosi
il
al
cura della educa-
la
proprio
l'i»
il
fratello,
anch'esso
militare: sicché, nel 1820, Filippo pure entrava milizie
nelle
di
Pio VII,
nelle
quali
rimase
cinque anni senza mai aver bisogno di sfoderare la
sciabola. Nel 1825, avuto
la
divisa militare,
e
il
congedo, spogliò
prese quella più
del cuoco. Nessuno rida
!
La
allegra
nobile casa degli
Orsini ebbe l'onore di avere per molti anni le
vivande della sua mensa manipolate
da
sì
virtuoso artefice, che, tra
declamava ai
guatteri
i
le
tirate
le
di Oreste,
frizzi del Serri/ore di
Frequentando
il
teatro più che
e condite
pignatte e
le
e lanciava
due padroni.
poteva, e me-
scendosi alle compagnie dilettanti, pigliava ora la
parte di attento uditore, ora anche di mae-
stro, e
E
che di
sognava plausi
forse, se gli
successe,
gli lo
e trionfi in
più vasti teatri.
fosse accaduta la disgrazia
avrebbero
veduto
a
capo
compagnia drammatica o comica,. da primo attore o da brillante.
qualche
recitar
non
— Un
di,
nistro in
al
ti:;
—
Tacconi, non più
un negozio
alzare, a forza
ma
cuoco,
di caffè, salta
il
mi-
ticchio di
braccia, un peso enorme;
eli
.
si
sloga la spalla destra, e ingobbisce.
Se Victor
Hugo
ed
il
e provato, l'uno con la scalpello, che
son
non
belli,
anche si
i
Bartolini han gridato
penna
con
e l'altro
nel loro genere,
gobbi,
potrebbe avere una prova miche in
gliore della verità di tale proposizione
persona di Filippo Tacconi, raggiò per
mento,
si
lo
il
quale non
infortunio, anzi
siffatto
si
sco-
da quel mo-
die tutto, appassionatamente, all'arte
drammatica. Non potendo prodursi come attore, cercò di esercitare o riducendo
Un sari') si
il
naturale ingegno scrivendo
drammi,
commedie.
farse,
giorno del 1839, Felice Quadrari, impre(oggi Jlctastasio),
de! teatro Pallaccorda
presenta
al
Tacconi insieme
al
suggeritore
compagnia Ghirlanda, che recitava alle panche del teatro Valle, dimodoché quei poveri comici non vedevano più lo spesato da un pezzo. Suggeritore della compagnia Ghirlanda era un certo Annibale Sansoni, il quale, piantato il della
suo capocomico, erasi scritturato co! Quadrari, e al
Quadrari aveva suggerito
commedia
Ma
il
il
poema
del Berneri. Idea eccellente!
Sansoni aveva bisogno
non sentendosi fu che
il
al
l'idea di ridurre a
di
un collaboratore
caso di far tutto da
Quadrari andò a pescare
il
sé.
Così
Tacconi.
— Detto, fatto;
insieme
Ili
Tacconi
il
e
Sansoni scrissero
il
Duello di Murra Pep<
il
Meo PaPaUaccorda, ebbe un
tacca. Posto in scena al
di
e
^accesso strepito--.
Tacconi pensava ad
Il
genere da imbastire
quando a
soni,
di
l'estro
gliato se
-
non
-
che è? che non è? salta
costui,
Sicuro
frate.
farsi
pare
produzioni del
altre
collaborazione col San-
in
E
!
c'era così ta-
che riusci a diventar vescovo, e
gli fosse
piaciuto un po' troppo
dei Castelli, sarebbe
morto
forse
vino
il
odore di
in
santità.
Conosciuto e applaudito come autore, volle
Tacconi osar caratterista
morto
di più, e
romanesco,
quantunque non
fosse
della
uomini, fu molto gradito si
sulla
salì
il
celebre Negroni,
il
scena, dove,
figura
degli altri
al popolino, pel
quale
commedie tramezmusica, come immaginò lo Scaramuccia,
die a comporre, in dialetto,
zate di
francesi insegnò
-che ai
Prima produzione
Meo
Patacca,
petta,
y>
« er
il
greve
vaudeville.
genere fu appunto
ch'I » e
}farco Pe/ie
>•
musicata dal maestro Cesare Galanti
replicata al
PaUaccorda eentosedici sere
il
la crae
di se-
guito. Il
Tacconi era
l'idolo
facezie, spesso originali,
dei
romani per
le
sue
sempre pungentissime
all'indirizzo dei governanti di allora.
Secondo narra
il
Valeri,
ò
celebre,
tra
le
Meo
Patacca. (1800)
— del
che lanciò
la frecciata
altre,
Valletto in
—
65
una sera
dal palcoscenico
del carnevale 1860, e
precisamente, per dirla con un verso di Augusto Marini, doppo
Governo
Il
—
soldati
sventole,
le
botte de
i
suoi
palatini
di quelle note
aveva pensato bene
di
decorarli tutti
fra cui
i
la
era tonda e bucata,
quale
a forma di ciambella,
nel vuoto teneva in-
e
una croce capovolta.
Si replicava, allora,
condo
ricompensare
—
d'una medaglia,
castrata
Casterfidardo.
pontificio, per
atto, e
Pepe, ossia
Meo.
il
appunto dopo Tacconi,
il
si
sera, al se-
Marco
rivolge
amichi
accompagnato
che l'avevano
Una
la tarantella,
co
agli
li
soni,
e va-
riando, d'un lampo, la solita battuta grida loro «
Addio,
pino,
rigazzi,
andatevene ar caffè del
:
Ram-
aspettatane là defora, che doppo ch'arerete
e
presa V acquavita, vierò mellone
io e v arigalero er ciani-
».
Pigliar V acquavita, tutti sanno che significhi in romanesco... Quindi,
il
teatro chiuso per quin-
dici giorni e altrettanti d'arresto il
quale però non
si
pel Tacconi,
die per vinto. Tornato sulle
scene, ogni sera, al terzo atto, quando, nei pressi del Colosseo,
Marco
si
rappacifica con Meo, egli
esclamava impunemente
5
«
E
adesso ch'avemo
danneremo su all'Orti... Palatini scoleremo un ber fìascone! »
fatto pace, ce e ce
:
—
G. Petrai.
-/q-^"^-,r
XIV.
MEZZETTI2S0
Questa maschera morì con Angelo Costantini che l'aveva creata. Chiamato a Parigi nel 1680 per sostenere,
aiuto
in
al
celebre
Biancolelli, le parti di Arlecchino,
non recitava che di
di rado.
comparir più spesso,
blico sotto la
Mezzett ino
pi-esentandosi
il
Biancolelli, e
troppo
supplì al ruolo
la
pub
corta. la
sua me-
compagnia
& Arlecchino
Mezzett ino,
domestico
abile
negoziazioni
alle
mezzo
;il
fresca per azzardarsi a
rimpiazzarlo immediatamente, liana
il
tipo.
ma
vita brillante,
Morto nel 1688
Domenico Costantini
Trovò perciò
maschera d'un nuovo
ebbe
moria essendo
il
.
furbo,
ita-
col
ruolo di
destro,
galante.
amorose
per
proprio
conto e per conto del suo padrone.
Poco dopo però,
il
Costantini, in una scena
— che
era scritta apposta, ricevè dalle
si
Colombina
a sostener
maschera
la
d' Arlecchino fino
alla chiusura del théàtre des Italiens
ordinata nel 1697 da Luigi
Fausse prude, commedia allusioni alla reine
tenon, moglie e
di
Continuò
fece rimpiangere.
lo
mani
rimpiazzando
l'abito d'Arlecchino, e
Dominique, non così
—
67
XIV
— chiusura
per via della
che conteneva
delle
madama Main-
anonyme, ossia
quondam maitresse
di S.
M.
le
roi Sole il.
Su
di lei
due sonetti di Luigi
appunto, circolavano, a quei giorni, attribuiti
XIV
a M.lle de Nantes, figlia
M.me de Montespan, uno
e di
dei quali finiva con questi versi
:
Mes amante sans pitie me laissaient tonte mie, Lorsquun Itéros me crut encor propre aux plaisirs. ..
Il
me pirla d'amour,
Je
lui
montrai
le
je
fis
la
Madeleine;
diable au fort de ses désirs
Il en efd perir, le làche!... et je
Luigi a torto. dire
XIV
fu
Se
il
cette
Grande,
il
infatti,
lettere.
<
ma
va famoso
nella storia della letteratura, è perchè
delle
»
calomnie? prosegue a
suo secolo,
antecedenti avevano
;
trouve reine...
soprannominato
Pourquoi
la satira.
me
preparato
Lo Stato
il
son'io!
i
secoli
risorgimento »
esclamava
Luigi dispoticamente. Invece tutto ciò che nello Stato facevasi di grande era precisamente senza
merito suo. Giove terreno, egli non aveva altro
_
68
merito che quello di regalar dei milioni figli
illegittimi
Dei,
le
come
volubile
:
cortigiane
succedevano
si
con scandalosa pubblicità,
ai
suoi
padre degli
il
suo fianco
al
e
Quand'ei dormia, poggiato a un bianco Beno, Col pugno all'elsa e sulle teste il pie, Tutta la Francia, dall'Oceano al Reno, Era superba di vegliare il Re.
£&
— per
Costantini
Il
tornare a
lui
— passò
al
Augusto II, da ammetterlo
servizio del re di Polonia, Federico
che
lo
prese a ben volere così
come un amico.
a Corte
Pezzettino però ebbe e
mal
glie
ne
il
poco
tatto di abusarne,
colse.
Federico Augusto aveva un'amante; bellissima
Grigoriski,
tessa
donna, della
quale
palesarle
tastato
bene
il
terreno.
Che
Offesa che un miserabile alzar gli occhi fino a
nessun
mano
—
a segno
corbelleria, qual fu
amore, senza prima avo-
suo
il
graziosissima
l'artista s'invaghì
da commettere una grossa di
e
la con-
lei,
fece la
donna
istrione avesse osato lì
per
lì
non manifestò
risentimento, anzi, sorridendo, stese al
Costantini e rispose
Vedremo...
ci
?...
:
penseremo.
la
— La
mattina di poi
favorita
un
un
—
69
riceveva
egli
dalla
real
biglietto col quale essa gli fissava
due ore
a
colloquio
di notte nei suoi ap-
partamenti.
Quando
topo cadde in trappola.
Il
Mezzettino
entrò nelle stanze della Grigoriski trovossi faccia
a faccia col re che volea passarlo a
ma
si
fil
di
spada;
contentò poi di farlo pigliare e chiudere
in prigione
dove
lo
tenne venti anni.
¥&
Uscito a riveder la luce, tornò a Parigi all'arte,
ed
ma, ammalatosi gravemente, fu consi-
Bologna nel 1729. una fisonomia molto espressiva, il Costantini recitò sempre senza maschera anche gliato a rimpatriare e morì a
Dotato
di
parti
nelle
entusiasta di
di
Arlecchino.
lui.
Un
trovarlo, scrisse sotto a versi
Il
Lafontaine
un
ritratto di lui questi
:
lei de Mezzettin, rare et
La La
era
giorno, essendo andato a
nouveau Prutée,
figure est représentée.
nature Tayant pourvu Des dons de la métamorphose, Qui ne le voit pas na rien vu t Qui le voit a vu tonte chose.
Il
Costantini fa anche scrittore. Si ha di
lui
una Histoire de Scaramouche, opera che, con qualche ritocco, Searron e Le Sage avrebbero potuto firmare. L'edizione porta
una dedicatoria alla madre del Reggente. e
la
data del 1(595,
Duchessa
r££^
D'Orleans,
-
r.
r,C^.-.-,y,y,y,f-,y,-,y;y. !C,f
-
t
>~,
f:
XV.
PANTALONE
Pantalone deriva da Pianta-leone, satira degli antichi negozianti veneti, che, spinti
dal
nome
derio di acquistar possedimenti in
Serenissima, piantavano dovunque
il
desi-
della
Leone
di
San M;irco. Affaccendato, ciaccerone, e un
tantino
intri-
gante, coi suoi calzoni rossi, con la sopravveste d'indiana, col berretto turche, Pantalone è sonificato; di
e
pianelle
le
tipo esagerato dell'astuto
mercante
è ricco, ora è povero, ora è avaro, ora
prodigo.
Spesso
cerca di piacere e e
lana
Venezia.
Ora è
il
di
borghese veneziano per-
il
vedovo si
o
vecchio
fa corbellare
;
celibe,
ora è padre
ha due putele da custodire e da maritare, a
suo tempo, a chi vuol Isabella e Eosaura, che
lui.
se
Le due la
putele sono
intendono
con
Colombina
e Lisetta,
—
72
cameriere, per amoreggiare
invece con chi piace a loro. Il
Goldoni
gli
mette sempre di cognome De'
Bisognosi, sia perchè
l'avarizia
faccia
gli
continuo raccontar miserie, sia perdi»'
buon cuore
lo
porti a soccorrere
i
di
su
il
miserabili.
V& L'abito di Pantalone nel 1716 aveva un poco
cambiato di forma. Questa maschera non portava più i
lunghe mutande sino
calzoni corti e le
vato la
le
i
ai
piedi,
ma
calze; aveva bensì conser-
colori tradizionali,
ma
indossava spesso
lunga zimarra, che sulle prime era rossa ed
in seguito fu
quando
la
cambiata
in
nera.
Repubblica perde
ponte e tutto
lo
Stato
volle
accadde
Ciò
regno di Negro-
il
portare
il
lutto.
Pantalone, allora, da buon cittadino, non volle
contravvenire alle leggi ed alle costumanze del suo paese, e adottò
la
zimarra
che
nera
da
quell'epoca non ha più cambiata.
£K-
Nel 1774, Carlo Colalto (Pantalone) a Parigi con una compagnia
veneta
presentarvi questo personaggio.
si
recò
per rap-
Pantalone. (1550)
IO
Federico «
Il
Grimm
i
melli veneziani,
:
comici italiani diedero
prima rappresentazione dei Tre
la
modo
ne parla a questo
dicembre 1774
7
commedia
fratelli
prosa del
in
ge-
signor
Colalto {Pantalone).
«Questa commedia ottenne uno splendido
e
meritato successo. L'idea fu presa dal racconto dei
La rassomiglianza
Tre Gobbi di Damasco.
del Goldoni,
non
che può
avere coi
scema
merito dell'autore, che ha sorpassato
il
suoi modelli è
ma
;
superfluo, è
la
Gemelli
perfezione
quale egli stesso rappresenta Zanetti.
fratelli
colla
incredibile parti
tre
le
cambiamento
Il
i
punto sul quale ogni elogio
il
della
dei
faccia,
della voce, del carattere, che varia di scena in
scena, secondo che esige l'apparire di ciascun
personaggio, nulla lascia a desiderare. «
Questi comici italiani hanno
taggio di cambiare
i
loro lazzi ed
in ogni rappresentazione, e
per
la
graziosa
lo spirito
commedia
il
gran van-
il i
loro discorsi
plauso
eccita
pubblico
maggiormente
degli attori».
V6 Pantalone, era l'anima delle doniane. Verso
rappresentasse
Darbes.
Un
il
le
1750
il
commedie
gol-
migliore che in Italia
parti di Pantalone, era certo
giorno
il
Darbes andò
a trovar
il
Goldoni per avere una commèdia con una bella parte
per
Grazia. ni.»
Goldoni
sé. Il
Darbes
Il
gli «lette
scelse
la
Tonin Bela
il
parte di Pantaloni
.
,
parendogli troppo seria, pensò di rapprep^n-
tarla senza
maschera. La commedia fu
fischiata.
Era colpa della commedia o dell'attore dirò solamente affinchè
mie mancanze
—
Memorie
—
scrive
V
«
I<>
vengano compatite
le
il
Goldoni nelle sue
che. mentre composi
il
Tonin, ero
da quattro anni, che mi trocattivo umore, e che, per colmo di
fuori d'esercizio
vavo
di
miei comici Il
commedia
questa
disgrazia,
piaciuta
era
ai
».
Goldoni ne scrisse un'altra, subito, del me-
desimo genere: Y Uomo prudente. prese
maschera tradizionale
la
piacque più tore ed
il
di
Il
e la
Darbes ricommedia
quanto potessero aspettarsi
l'au-
capocomico.
£14
Luigi Mercier
che
il
dice
nostro secolo,
distrutto,
:
il
«
Cosa sorprendente
quale ha, se non
tutto
almeno grandi cose modificato, non
giunto a strappare
la
i
è
maschera... alle maschere.
Esse sfidarono l'incostanza del pubblico, rannia della moda,
è
la ti-
eaprirci degli autori. Esse
videro
l'aristocrazia veneta, che le
perire
sopravvissero
sprezzava; Consigio
dei
Brighella seppellirono
Chi dunque
le
Repubblica,
alla
Pantalone,
Dieci;
dial
Arlecchino
e
tre Inquisitori di Stato.
i
mezzo
salvò di
rivoluzioni
alle
ed a tante catastrofi V La loro popolarità
».
£fcr
Il
Colalto, nato a Venezia
a Parigi nel 1778, scrisse, oltre varie altre
commedie
1717, morto
nel
Tre gemelli,
ai
Pantalone avaro, Panta-
:
lone ringiovanito, Pantalone geloso, Il
incantato, Il matrimonio per magìa,
Arlecchino.
verbio
come si
le
:
«
Da
quest'ultima derivò
ho paura che
».
noto pro-
il
abbia
la festa
nozze d'Arlecchino
turbante
Le nozze di
Difatti la
a
finire
commedia
chiude con una bastonatura generale tra
invitati al
che
si
gli
banchetto nuziale, poiché Arlecchino, Torre Penduta, non ha
è finto barone di
un soldo per pagare
conto, e
il
sono più disperati di
Alla morte del Colalto, furono gettati sul
donna ignorante
i
commensali
lui.
fuoco
tutti
i
dalla
e bigotta. I
suoi manoscritti
moglie
di
lui,
Tre gemelli scam-
parono a questo autodafé essendo stampati; motivo per cui, di
lì
a
poco tempo, riapparvero
sulle scene a Venezia.
La vedova
Colalto, che
abitava questa la
—
città, fece di tutto
rappresentazione,
Un
7G
ma
ttOD
vi
per impedirne riuscì.
giorno alcuni giovinastri, incontratala nei
pressi del teatro, le appiccarono
il
fuoco
alle
gonnelle, ed ella potè scampare al proprio auto-
dafé gettandosi a nuoto in un canale.
r££y
XVI.
PASQUAEIELLO Il
nome
— perchè — pare
di Pascarlello o Pasquariello
trovasi scritto in
ambedue
i
modi
sia
un diminutivo di Pasquino, personificazione della satira romana. Nel secolo xvi, era un ballerino di corda
come Meo Squacquera,
pretende
dal quale
scendere Scaramuccia. Questi personaggi
vano un identico lati,
portavano abiti scol-
sonagli alle gambe, la sciabola ed
maschera
la
vestito,
di-
ave-
col naso lungo
ed
il
il
tabarro,
capo scoperto.
soprannome di Truonno. Il suo tipo fu modificato nel 1685 da Giuseppe Tortoretti o Tortoreti, aggregato ad una compagnia italiana che agiva a Parigi, mentre
Pasquariello aveva
il
viveva ancora Scaramuccia. 11
Mercurio Galante, giornale
di
quell'epoca,
mese di marzo 1685 scriveva: «Nella comica compagnia italiana troviamo un nuovo nel
attore,
il
quale riscuote
Parigi e piace
gli
immensamente
applausi
di
tutta
alla Corte. Egli pos-
—
—
78
siede all'agilità di corpo sorprendente e seconda
modo ammirabile
in
Pure, malgrado riello Tortoretti
di Tiberio
il
il
celebre Arlecchino
»
1
.
fortunato debutto, Pasqua-
non potè mai
salire
livello
al
prese
quale
Fiorelli, del
il
posto,
allorquando l'applaudito Scaramuccia napolitano disse definitivamente addio alle scene.
Quando fu
soppressoli teatro italiano, nel 1697,
Giuseppe Tortoretti ottenne dal re un privilegio per rappresentare in tutta la Francia le com-
medie del suo
condizione
repertorio, a
però
che sarebbe sempre stato almeno trenta leghe lontano da Parigi.
pubblico parigino predilesse in ogni tempo
Il
commedia
la
lungamente, del
Re
la
ce-
gesuita
La
essergli apparso
in
i
risposta
data
da Luigi
al
che
narrava
Gabriele,
l'arcangelo
incaricato
di
consigliare
Accademici
E
invidiosi,
gli
la protesse
infine sulla volontà
commedianti
i
Chaise,
sogno
XIV
e Luigi
la .vinsero
e sul gusto del pubblico gli
pedanti,
lebre
italiana,
ma
il
il
Re
preti.
quale
avevalo
ad abolire
gli
spettacoli.
—
L'arcangelo
Gabriele, disse Luigi, è ap-
parso anche a me. e mi ha incaricato di dirvi
che (1)
siete
un pazzo.
Domenico
Biancolelli.
^-^c.ì-.-.sT.
c. r.~. r.
r.r.r.c. r. r.c.r.
r.
-,c,c.c.y.c,y.-.r.".~^
XVII.
PEPPE NAPPA
Peppe Nappa, e,
meno
il
ha
siciliano,
glianza con la maschera
rassomi-
colore dell'abito, bleu chiaro, invece
una riproduzione
d'essere di flanella bianco, è
del personaggio chiamato nelle
molta
Pierrot francese,
del
compagnie comiche,
rappresentava
la
Giglio o Gilles, che italiane
e
francesi,
parte dei servitori e qualche
volta degli innamorati.
si
Peppe Nappa non porta maschera, e neppure trucca o s'infarina: ma, come Gilles, port;i
la berretta,
il
cappello e
Ecco l'argomento r
di
le
scarpe bianche.
una commediola,
di cui
protagonista.
Peppe Nappa, servitore di nu maestro di scuola.
La
scuola è finita:
chiama
Peppe
il
Nappa,
maestro vuol uscire e il
quale,
dopo
averlo
— tatto sgelare si
e
un pezzo,
prosenta sbadigliando,
bì
al padrone per prenderne gli ordini addormenta in piedi appoggiandoglisi alle
avvicina si
maestro
spalle. Il
cade lo
—
80
rialza, e a
cappello e
il
il
a
fargli
dice d'andar a pi-
gli
pastrano.
il
Peppe Nappa esce dietro
arriva
calci
di
Allora
Nappa
Quegli, furioso,
destarsi.
furia
aprir gli occhi. gliargli
allontana e Peppe
si
senza
terra
in
torna
e
strascicandosi
pastrano, che è ridotto un sudiciume.
gli amministra una seconda razione Peppe Nappa scappa e va a prendere un secchio d'acqua, una scopa, e lava il pastrano da capo a piedi, senza che il pedagogo Il
padrone
di calci.
se
ne accorga:
poi, per mettergli
a pigliare una scala che
Terza
somministrazione
maestro esce e
gli
gazzarra. Peppe
buoni,
gli
ma
protesta
che
scolari
andrà
ragazzi e
andare a ballare
le
alle spalle.
quindi
:
mettono
mentre
ragazze
sul prato.
di
star
Egli
della
parte egli
divora
scompaiono
Ritorna
il
far
maestro:
il
una
cede e
a
di bastonarlo.
chiamare
a gli
cappello, va
ammonisce
li
merenda per rabbonirlo, i
si
minacciano
allora ogDÌ scolaro
tutto,
busse
di
Nappa
quelli
il
appoggia
il
per
maestro
Peppe Nappa ubbriaco lo piglia e lo butta nel pozzo. Credendo di averlo ammazzato, si dispone a fuggire; ma Peppe Nappa, ad un e trova
tratto, si ripresenta. Il
:
maestro
lo
crede l'ombra
•Peppe Nappa. (1770)
—
81
—
della sua vittima e cade al suolo tramortito per
spavento. Allora Peppe
lo
Nappa
tino al pozzo, e giù, fa fare lui.
anche
Si salva però
dona. Sopraggiungono diola finisce con
Una
il
un
lo
trascina
tuffo
anche a
maestro, e
gli scolari, e
la
gli
per-
comme-
una tarantella generale.
volta bastava metter insieme di questa
roba per divertire
il
rispettabile e l'inclita.
r&£)~
G. Pbtrm.
•
V-*',*
-V^'-r
'^-
XVIII.
PULCINELLA Erano le armi quando un sarto
francesi
già
Acerra
di
presso
Napoli,
fa innanzi a
si
lutare i vincitori nel loro passaggio. Quindi, a sollevarli dalle guerresche fatiche, ei fa di sé spettacolo giocondo la natura avealo creato ;
buffone, l'arte aveva compiuta l'opera. Nasuto, deforme della persona, non d'altro coperto che della camicia e d'un
par
artificiosamente tinto,
di
mutande,
vasi Paolo Ciucila; ed
i
sin entro Napoli,
li
ov'ei
francesi,
cezza
riando
di
aggiungendo un
suono, ed
l'o
in
i
via facendo,
Napolitani
poi t,
Polìchinel
forse per dol-
Pulcinella, va-
forse perchè tale
ii,
volto
accompagnò, presero
a chiamarlo Poi (Paul) Scinel; (cioè Poliscinel)
il
codesto buffone chiama-
scambio
è
frequente nella lingua del Sebeto. Pulcinella dunque entrò festoso nella dolco
Partenope sotto
Né creda alcuno
i
vessilli
ch'egli,
trionfali così
di
re
operando,
Carlo. si
ren-
—
83
—
desse ribelle al suo sovrano, Ferdinando II di
Aragona, sciolto
Ma
poiché questi
—
questa specie di favola
pochi anni
—
è
assolu-
fondamento. Ormai, dopo
di
anche Pulcinella riceve
del Racioppi,
gli studi
ripetuta fino a
anche dagli eruditi
fa,
tamente destituita
la
aveva generosamente
suo popolo da ogni giuramento.
il
sua investitura classica, ed
è
il
nome cormodo
rotto d'una maschera romana, foggiata a d'uccello, che
nel terzo
Lampridio chiama
secolo
pulicosiis
lo
storico Elio
(pien di pulci), e
Festo (grammatico romano dei tardi tempi imautore di un sunto in parte conservato
periali,
dell'opera
De verborum
signifi catione di Verrio
Fiacco), planipes (commediante che comparisce in
scena a piedi nudi). L'ampia camicia bianca,
destinata a riprodurre tiene
il
piumaggio ornitologico,
luogo del ricinium, veste a grandi pieghe,
il
che s'usava uccello,
in
sul
teatro,
origine,
maschera nera
e gli
Sino dall'anno 510, loro spettacoli
il
e lo
naso
il
fanno riconoscere
adunco,
la
mezza
occhi circolari. i
romani introdussero nei
genere delle farse improvvisate,
dette atellane, dalla città di Atella nella
Cam-
dove
avevano avuto origine, coi tipi principali: Macco, Bucco e Pappo, che parlavano Tosco, il greco ed il latino. Il moderno pania
Pulcinella riunisce in sé stesso questi tre diversi caratteri, cioè
un
miscuglio
di
coraggio e di
—
—
84
poltroneria, di Bciocca
vanità e di
spirito
ten-
dente alla satira. Macco, personaggio osco, ha, per Bno speciale carattere, l'astuzia,
viene dal suo
satini,
la
nome
come
disordine,
il
indicato, perocché la greca
parola margos, da cui è derivato, per corruzione osca, macco, significa tare
Macco delle
Il
all'Arlecchino,
ma
buffone, esser pazzo.
il
qualche volta simile
niellane è
più spesso risponde alla ma-
schera del Pulcinella.
E
anche Bucco
rattere è
e d'origine osca.
un insieme
Il
di ridicolaggini e di pazzie; piacevole il
bisogno, impertinente secondo
Per
comodità
la
lui tutto
tiranno fare
di
da
lascia
uno sberleffo
ridere
far
è permesso, si
e
cille.
poi
è,
barba o
come
Proprio
sul viso. la
l'o-
coda all'imperatore
fatto viene
condannato
graziato perchè è un imbe-
poltrone, ghiottone, famelico, conosce
segreto di andare a genio
rendersi lezze,
pubblico a
il
L'antico Bucco, invece, doppio, strisciante,
ciarliero, il
ma
secondo
circostanze.
tirare per la
lui
China e per questo
a morte,
le
più altero e feroce
il
dierno Pulcinella che tira della
suo ca-
di alterigia e di bassezza,
si
loro
necessario;
ai
studia
possenti e di le
loro debo-
presta ai loro capricci, serve
le
loro
passioni, favorisce le loro libertine imprese..
Pappo
era
la
caricatura
quando comincia, non
la
dell'oratore
finisce
più.
che,
Che da
— Pappo dunque
Mummio gli
derivi
sugo?
senza
scorso
-
85
pappolata
«
In
»
»
alias « di-
Cajo
un'atellana di
si
rappresenta un'assemblea nella quale
oratori
devono stare su una gamba sola
mentre
parlano,
e
parlare
fintanto
solo
(Non trebbe applicare questo sistema anche derni Parlamenti ? Quale ostruzionismo possono reggersi
modo.
quel
a
che
si
po-
ai
mo-
ci
po-
trebbe resistere?)
¥& In qual modo, in sostanza, al
nome di Macco Le opinioni
fu sostituito quello di Pulcinella ?
sono molte
e
discordi su tale proposito.
Certo è che Pulcinella discende
Una
da Macco.
Roma erede,
questi
di
Pulcinella
il
due enormi
gobbe
becco d'un uccello
La
«
in linea retta
bronzo ritrovata a
di
1727 non lascia alcun dubbio
nel
dentità
statua
satira,
due
tipi.
delle e
Al
pari del suo atellane
farse
sull'i-
pcrta
un naso adunco come
il
di rapina.
l'arguzia,
il
bisticcio,
e
una
fe-
stevolezza temperata dall'italica severità, erano
—
scrive
(1)
mano
il
Baracconi
G. Baracconi: antico.
(1
I
—
i
caratteri delle
Rivista aneddotica del teatro ro-
—
B6
commediole floridi
sonaggi
che
ridicoli
volissimi tipi
importate
riuscivano
amabili
(li
gli
Maccu8 ed
sulla carretta
la
traversato
ciarlatano
del
piace-
due
due dannati ghiottoni,
furbi,
hanno
Essi
Dei per-
lìnceo,
il
quali ne procrea infaticabilmente politana.
altri
esse op< ravano,
in il
Roma
Àtella a
anni della repubblica. Fra
sul
e
patria
na-
medio evo
il
palco dei
saltimbanchi per identificarsi alla fine nel mo-
derno Pulcinella,
il
quale, del resto, col cap-
puccio e con l'abito, afferma ancora origine
campana
la
vecchia
».
£44
Quando essi
le
i
teatri
tragedie e
pagani furon distrutti le
commedie,
le
e
con
farse atellane
continuarono sulle piazze pubbliche, e in esse figuravano sempre Pulcinella e Arlecchino, molto
apprezzato pure dai romani.
Nel decimosesto secolo, rinato teatro,
gusto
il
un comico chiamato Silvio Fiorello
vendicò dall'oblio e lo introdusse
il
indie
personaggio
perfettamente l'accento e
a questa
bito di Pulcinella
si
ri-
Pulcinella
farse napolitane, imitando le
maniere del conta-
dino di Aeerra, nelle vicinanze
Da un secolo
di
pel
parte,
di
Napoli.
l'aspetto e
sono alquanto
l'a-
modificati.
Egli
non
ai
rossi
di
decimo
nel
calzoni a colori gialli
i
verde, e veste di bianco da
capo porta un cappello a pan
in
mezza maschera nera,
la tradizionale
dal naso
e bitorzoluto.
Distante trenta miglia da Napoli, Pulcinella cessa d'essere tano.
A
batte
il
a
gli
grigio o bianco, e serba ancora
zucchero,
adunco
abolito di
listati ;
volta;
non ha più quella bar-
Andrea Colcese,
di
Ha
capo a piedi
e
rendeva addirittura spaventoso
lo
tempi
sesto secolo. e
gobbe,
le
bacela che
come
come una
più deforme
è
son sparite
—
87
Napoli
è
il
il
ritratto del
tipo di
napoli-
nel suo proprio elemento; là
vero repertorio della maschera,
Roma, per esempio, dove
lo
ma
qui
cacciano a cantar
da tenore o da baritono nelle operette del Metastasio e del
come
io
Nelle
Quirino,
Pulcinella è Pulcinella
sono l'imperatore della China.
commedie
scritte
appositamente per
lui,
Pulcinella ora è domestico, ora è padrone; più
povero diavolo, con una fame da
spesso è un
non vederci, e che, tenta,
per
maccheroni
esser e
a
felice,
una
questo
mondo, si conun piatto di
d'avere
servotta,
ben pasciuta, a sua
disposizione, per farci all'amore... ed altre cose.
E
scapolo impenitente e non lo vedrai mai
o quasi
mai
—
marito, né padre.
suo centro, e fuori di Napoli
Napoli
egli è
è
— il
un pesce
fuor d'acqua. L'averlo perciò travestito da eroe,
— magistrato, da
da
88
—
principe,
è stato
ed
vecchio San Carlino
di
vecchia Partenope,
aver preteso
e
che sotto
farlo figurare altrove
il
di
sole della sua
un grosso spro-
è
posito. Il
Napoli fu princi-
palmente il maggior campo delle sue glorie II San Carlino, ora demolito, possedeva una compagnia celebre che compon evasi di
maschere
e tipi locali,
in special
primo fra
Guappo, o spaccone napolitano, è
aggiunto recentemente
lo
ai
mòdo
altri
il
quali poi
si
gli
Sciosciammocca che
per così dire, il pendant di Pulcinella^ come Marco Pepe è quello di Meo Patacca. scrive il Di Giacomo Non so veramente
è,
—
—
se
Sciosciammocca
sia stato
un
personaggio di
Propendo a crederlo quando mi rammento che la natura umana non cambia mai. tutti
e in
i
tempi.
piuttosto
modo
si
atteggia,
si
piega, e
manifesta
si
diverso, mostrando ora questo, ora quel
lato della
propria figura.
Ma
di
certo egli
sali
sul palcoscenico assai di recente e conquistò in
un
battei-
doccino
Notasi in in
lui,
Avezzana,
che
lo
di
la
prima
sua celebrità. di
tutto,
che egli nacque
buona famiglia ed agiata,
il
distingue dalla maggior parte delle ma-
schere finora conosciute.
mente parlando, astuto, quasi
tipi
di
Quelli sono,
general-
servitore, sciocco od
sempre povero ed affamato, orfano
senza eccezione, e spesso spesso
—
diciamo
la
•Pulcinella. (1700)
—
—
brutta parola
dono
in
Lydo
Macco
è
è
moro,
diventato Pulci-
trasformato nel Dottore; e seb-
è
si
bene Pantalone De
Bisognosi,
uomo
colore
di
sbarcato in terra libera, abbia potuto
lui,
riscattarsi
nessuno
razza, proce-
romana: Arlecchino
e
Brighella è mulatto,
anche
Come
bastardo.
diritta linea dagli antichi schiavi della
commedia greca nella,
—
89
arricchire
e
mai
ha
rammentare
nella
mercatura, pure
veduto sulle scene o sentito
suoi rispettabili genitori.
i
un nome di famiglia, nome di battesimo si chiama Felice; e s'intitola Don Felice, perchè come dicono al è un signore, un galantuomo, Sciosciammocca invece
e
non
vi
suo paese. e ricco,
Don
è
paia poco!... Di
Ingenuo,
libero, legittimo,
giovane
in questo elenco di qualità speciali a
Felice Sciosciammocca contengonsi gli ele-
menti di tutta una grande rivoluzione nel mondo delle maschere.
All'antico
schiavo
trasfigurato succede
l'in-
dividuo moderno della classe media riprodotto in
caricatura^
che
si
nello Stato, che
che
è
l'unità
chiama tutto
il
quella
di
popolo,
somma
totale
che domina oggidì
spadroneggia nella costituzione,
da per
tutto,
e
non
si
contenta, e
vuol essere qualche altra cosa. Sciosciammocca è
giovane perchè
è
nato
ieri alla società politica
del suo paese, e ha qualche soldo,
trimenti gli
mancherebbe qualche
perchè
titolo
al-
ad eser-
— citare cella
tutti
90
diritti
i
civili
«•
prender posto
a
È giovane
classe dirigente.
presuntuoso e vano,
sopratutto è
ma
grullo;
e
leggero, e
»•
insopportabilmente pettegolo. Si crede un gran che, entra
molle
lensaggini
le
più
dove, mette
ogni
per
tutte
in
becco
il
in
mesicumera
questioni, e sfringuella le
marchiane
una
con
impertinente, con una abbondanza
loquela
di
insulsa e cattedratica che fa galleggiare 1" sto-
maco
Ridicolo per
a chi lo sente.
per
tezza,
sua vanità, per
la
tezza impacciosa,
Sciosciammocca
giovanotto de' nostri serio
sul
di
la
fare a
tempi, che
modo
suo
la
la
sua
stol-
sua irrequieè si
proprio
il
immagina
pioggia e
il
bel tempo, e chiacchiera di tutto, specialmente
E
quello che non sa.
ili
ha imparato poco;
ma
andato a scuola e
ci
basta quella leggiera
gli
infarinatura d'alfabeto per credersi superiore a tutto
il
resto del
genere
umano,
il
che
è
il
grado supremo della fatuità e della sciocchezza,
ma
con un carattere
tutto
che comporta una varietà
moderno infinita
e
attuale
di fisonomia
e di attitudini.
E
bisogna
vedere
e
ammirare con quanto
talento,
con quanta comicità schietta ed
nale
lepidissimo Edoardo Scarpetta sa sce-
gliere
il
i
suoi modelli
d'intonazione e
di
e
cambiare continuamente
colorito,
una variazione nuova
origi-
.sul
suonando ogni sera
tema inesauribile del-
— l'imbecillità
superbia
della
e
-
ìli
suo
del
tipico
Scioscìammocca. Ieri era l'imbecille pomposo e solenne, oggi è l'imbecille tenero e pasticcione,
domani saia
l'imbecille
melanconico
mentale, e così via discorrendo e
e
senti-
cromatica delle imbecillità petu-
tutta la scali lanti
e
percorrendo
chiacchierone.
Certo,
lo
Scarpetta è un attore ed un artista
nel senso più vero e più largo della parola
ha
la
coscienza del suo valore
,
e
passionato per l'arte sua... tanto che intorno un volume...
meno
curiosa e
che recita
in
la
l'affetto ci
ha
;
scritto
quale non mi sembra
il
meno
e
ap-
la
caratteristica delle partì
commedia.
¥& Sin dal principio
del
secolo, molti
t'ormarono sulle tavole del minuscolo
Uno una grande reputazione; più di merano, il Petito, il Vitale, due i
Martino.
Per Antonio Petito
—
raggiunse
Il
Petito
il
dramma
parecchi
«
il
attori
il
Ca-
fratelli
De
tutti
— scrive Edoardo
San Carlino
la
si
San Car
maggior
Boutet gloria.
era capitato a recitare sui primi anni
sanguinoso
atti,
»
che tanto
ma
quelle birbonate in
commuovevano
il
po-
polino, a lui ispiravano un'allegrezza pazza, ad-
.
92
Una
dirittura.
sera
che rappresentava le
parrucche
bellezza d'arte.
Boutet
— tutte
ma
egli
Questa ma-
e
particolare
nuove forme note
le
rompevano schiettamente attore,
».
— soggiunge
Perchè non solo
«
in aria
ispide sopracciglia
le
del Pulcinella
lui
personaggio
il
vinse cosi che gittò
arruffate e
schera ebbe da
per
l'ilarità
«
lo
e vesti la camicia
il
—
della
comicità pro-
dal giuoco di quello
conosceva e rivelava
tutte le
gradazioni
dell'emozione, dalle sfumature
irruenze
Vi faceva sbellicar dalle
».
peva piangere di colorito
che sbalordivano,
una semplicità
e
si
elevava a inter-
pretazioni di carattere efficacissime,
E
sempre ve-
da Pulcinella.
stito
«
un istante
lacrime vere, e da
con una spontaneità
all'altro,
alle
risa e sa-
la
meraviglia era appunto questa:
aveva
la
maschera
volto
al
fin
il
Petito
labbro,
sul
quindi perdeva tutta l'espressione della fisonomia, dello sguardo, sopratutto,
con l'espressione,
e,
quanto abbisogna
all'efficacia
zione drammatica.
Non
scoperto che
meva
il
mento.
tutta la faccia, e
e senza vita alcuna
nel quale
si
di
un'interpreta-
rimaneva, insomma,
gli
Ma dava
quel mento riassualla
l'espressione
maschera nera del
momento
trovava l'attore e che un volto sco-
perto avrebbe certamente rispecchiata. Di qui
nacque
la
avesse una
leggenda:
si
diceva
che
maschera appositamente
il
Petito
costruita,
— con
molle, con
le
con
fili,
i
—
93
gli
ingranaggi che
muovevano secondo la volontà dell'attore. Ed era invece una qualunque maschera di cuoio ».
si
napolitani ebbero perii Petito l'ammirazione
I
che
un grand'uomo. Quand'egli Napoli seguì, commossa, il carro fual cimitero di Poggiore ile, dove poi
professa per
si
morì, tutta
nebre
fino
un busto.
fa elevato
gli
La fine «
rappresentava
Si
cipiò
Antonio Petito
di
terzo atto,
il
sue battute
le
palchetto di
ma
la
il
così narra
Donna
Petito
mancavano
il
lo
:
sembrava stanco vivacità. Da un
;
di
proscenio, l'impresario
Luzi, che
teneva compagnia all'attore Pietriboni,
vava
Boutet
bianca. Prin-
non
le-
sguardo dalla scena, come meravigliato
di quel subitaneo
cambiamento
del suo favorito
Totonno. Parve, finalmente, che questi
si
avve-
desse del proprio stato e dell'aspettazione palpitante dell'impresario, oltre che d'un senso di
meraviglia che cominciava a circolare nel pub-
E
blico.
il
sauribile
Petito ridiventò l'attore comico ine-
di
prima
poco
».
Calata
la
tela,
si
mise a sedere sull'uscio del camerino. Di faccia a
lui
stava l'attrice Telesco.
termezzi, beveva sempre sorella
appressò con
egli
ma
Adelaide
la
bito,
gli
Il
Petito, negli incaffè.
Sua
la solita tazza
che
una tazza
portò
di
mano tremante
Telesco, che
lo
guardava
alle labbra, «
vide, di su-
contrarsi la faccia di lui in certe smorfie
-
94
-
particolari ai colpiti di apoplessia gli
occhi stralunati,
ceva tutto
lingua
la
Don Ante — gli Dopo cinque minuti sulle scene
disse il
—
Poco tempo dopo
— imn
segue
a
un nuovo Pulcinella, Giuseppe
De
Prubbeco
e
sotto
E «
si
De
Martino, pre-
Pa avanzò
del buffo
nuovo Pulcinella
Il
Qoutel
il
riaffacciava
si
bello
mìo!
chiarito e la
lu
vanno
:
paura
scevnere addirittura.
a chesta maschera, da
sottn sin
restila
steva....
tutto
Petito
narrare
con voce tremante cominciò
a/e fa la lengua
Nce
faeite ste cose.
versi
in
soffietto
Angelis.
alla ribalta
Da
stor-
si
granile artista era morto.
San Carlino
del
sentato con un
squale
e
».
—
—
aveva
egli
:
pendula,
!
il
commosso, mormorò:
pubblico,
Petit..!
».
•^?
Charles Nodier, l'autore della
«
Napoleone
e dell' « Ultimo banchetto dei Girondini
un fanatico ammiratore cesi
chiamano, come
che corrisponde Goneelyck glinolo, al
all'
olandese,
di Pulcinella,
si
è detto,
Hauswurst al
Karakevs turco,
l)on e
al
che
», i
»
era
fran-
Polichinelle, e
dei
tedeschi, al
Pulchinela
Punch
spa-
degli in-
— glesi. al
—
95
La bevanda omonima
suo nome.
schera,
è
appunto
insomma,
Pulcinella,
intitolata
una ma-
è
per meglio dire, un burattino cosmo-
o,
polita.
Girava una volta per
quartieri popolari di
i
Parigi un burattinaio lucchese,
uno
di
quei
e,
di dentro a
che
di legno portatili
castelli
si
veggono ancora da noi nelle fiere dei villaggi, faceva muovere un pulcinellino il quale emetteva un
grido
particolare, simile
richiami
ai
usati dai cacciatori di paretajo. Il
Nodier volle conoscere come facesse
produrre così bizzarro suono, e
a
rattinaio
burattinaio gli mostrò
il
il
in
ma
Nodier,
che vada
—
bocca. Se
in
gola
:
venti
di
«
non
e'
—
Davvero? Si,
ma
1''
è
volte
— rispose mi
è
pericolo
ho sempre
r££y
l'altro
accaduto
ghiottirlo.
—
serviva
»
Ah, non ne parliamo!
non meno
si
mise in bocca anche
lo
tosto disse *?
il
piccolo strumento, non
più grosso di un bottone, del quale
tenendolo
bu-
il
rifatto.
—
d'in-
XIX.
RUGANTINO
«
È
questa
— dice
il
schera romana che ha
Maes
il
(1)
— un'altra ma-
portamento
e
carat-
il
Marco Pepe, una specie di spaccamontagne, come il Capitan
tere stesso del nostro
capitano, di
Spaventa,
come
il
al cui
Guappo
solo
nome trema
Italia tutta,
come Matamoros, Spagna, come il Capitan
napolitano,
a cui fa riverenza la
Fracassa, terrore di Francia, discendenti in
linea diretta
dal Miles gloriosus,
il
tutti
soldato
spaccone, l'arcifanfano di Plauto. *
Rugantino
è lo
spadaccino di 80 anni fa
grande attaccabrighe, smargiasso all'eccesso,
ma
sopratutto poltrone
tale,
ha un accento bizzarro,
la r
romanesca. Talvolta
(1) C.
Maes,
fa
Curiosità romane.
il
;
e millantatore :
è
però bru-
e fa sentire assai
capo degli
sbirri,
NINO ILARI POETA POPOLARE ROMANESCO NEL SUO COSTUME
DI
Rugantino. (1896)
— e
—
97
quando viene ad arrestare qualcuno,
pevole
prende pel petto
sfugge,
gli
cente; e se qualcuno
minaccia allora
di
si
se
il
col-
un inno-
attenta ad impedirglielo,
colpire e carcerare tutti alla
rinfusa. «
La
scena termina per generale, da
feruglio
sempre
dice)
(egli
ma
un
con
taf-
scampa
Rugantino
uno stato compassionevole.
in
hanno date «
solito
il
cui
«
Me
ne
glie ne ho dette!!!".
Questo personaggio, 40 o 50 anni
fa,
con
Pulcinella e Cassandrino era uno degli eroi della
baracca, o teatro
un
di
tiva,
ambulante, del celebre Ghe-
impresario di marionette, di un'inven-
t anaccio,
estro
comico, di uno spirito, che
pochi ebbero eguale. «
Ghetanaccio rappresentava
si
compresso
la
stampa aveva
parlava per
la
tutti.
mordacchia,
Non
la
né a monsignori, né a e arditamente
potere, allora ;
Ghetanaccio
cardinali, né al
piantava
il
suo
che aveva
delle sue
Onde
satire.
ma
perdonava a nessuno,
finestre di coloro
gione
il
Roma, dell'opinione pubblica
in
Papa
;
casotto sotto le
scelti a bersaglio
spesso andava
in pri-
».
Nato con
la satira in
corpo, facile a parlare
commedie a soggetto, Ghetanaccio, che tutti temevano per la sua lingua, l'aveva presa a morte con un certo pizzicagnolo a cui
e a tirar giù
doveva, 7
—
ma
non poteva
G. Petrai.
restituire,
pochi bajocchi.
—
stanco di
pizzicagnolo,
Il
—
96
dirgli che facesse
pure
mandò
aspettale,
suo comodo, ma,
il
allora in poi, per ogni giorno di ritardo,
dovuto corrispondergli
—
;i
«la
avrebbe
2 per cento.
il
Ci rivedremo a carnevale
!
— rispose
Gke-
tanaceto. Ditatti,
spiritoso si
giovedì
il
burattinaio,
presentò
grasso di
mascherato da
bottega del pizzicagnolo.
folla
di
curiosi.
pure una donna con tre
stato
Er destino de
Embè
ste
ha'
er ladro,
le
e
si
—
—
cose nun vanno lisce
le
spine
dai retta,
:
metterai a
uno ha
e
uno ha
pure viscere mie forche a
poi sarvà
li
la
tu'
!
m< rte;
tip
'.'
quello ch'a da
ammazza
a fa er medico, quello ch'a da mori lo
fij
!
dite ?
Ecco
sti tu'
uno ha d'ammazza,
s'ari inedia
E come
!
me
!
Però a tutto
me
mio, nun
soro stroligo
Ah, che me tu
sarebbe
marmotte? Faninie vede
da sape che
da morì ammazzato
— —
quale
dico subbito.
lo
tutto,
più su
Embè,
fa'
la
?
Diteme
fate sta
da
te
Ah. sposa mia,
—
piccoli,
destino dei suoi ragazzi.
mano che
— — —
tigli
Lo
Tra questi eravi
domandargli quale
accostò per il
— la
stregone,
alla
seguiva una
gli si
quell'anno, lo
t'à
lo
metterai
ammazzato
er sordato dei' Papa, accasi pò
-
99
-
esse sicuro de mori ner zu' letto, e quello ch'a
metterai a fa er pizzicarolo.
fa er ladro, lo
d;i
I
del pizzicagnolo,
vicini
i
non igno-
quali
ravano che questi faceva anche l'onorevole mecon entu-
applaudirono
stiere dello strozzino,
siasmo alla trovata di Gketanaccio, e cagnolo, temendo altre feroci rattinaio,
venne con
il
a più miti consigli.
lui
Altri tempi! altri costumi! L'umanità, si
sarà
dica,
ma
che
vi dico
checche
perversa come oggigiorno,
meno impudente, una
era
Non
stata
pizzi-
punture del bu-
volta.
far lo strozzino, oggi, sia
il
una professione onorevole ed onorata però si resa così comune, che qualunque usuraio dei :
è
tempi nostri riderebbe dar del ladro,
per primo di sentirsi
risponderebbe come mi rispose
o
uno una volta:
lui
«
Non mi
potete dir altro!
»
•M^
Rugantino,
tando
la
Quoti
a'
tempi
nostri, vive ritirato, aspet-
risurrezione del teatro romanesco. est
in votis.
Per ora mancano solamente commedie.
gli
attori e
le
XX.
RUZZANTE
Angelo Beolco, detto Ruzzante grande attore comico ed
legro) fu
(il il
pazzo,
l'al-
primo com-
mediografo del suo tempo.
Nacque a Padova deone, nell'opera scrive «
nel 1502, e Bernardino Scar-
De
antlquitate urbis patavinae,
:
Angelo Beolco, conosciuto
sotto
il
nome
di
Ruzzante, fu a Padova quello che era Plauto a
Roma come anzi
li
autore, e Roscio
commedia antica sostenere
il
attore.
Esso
qualsiasi genere, che possa
di
paragone
rappresentate d'Italia.
come
ha entrambi sorpassati, perchè non v'ha
ed
con
quelle di Ruzzante,
applaudite
su
tutti
i
teatri
Egli poi era superiore agli altri attori
modo, che, quando era in scena, il pubblico non vedeva, non udiva altro che lui ».
in
L'epoca
di
Ruzzante fu brillantissima.
I suoi illustri
101
—
antecessori, a cominciare dal-
aveva già composto
l'Ariosto, che, a venti anni, e
fatto rappresentare
Corte
alla
la
Niccolò
Machiavelli, autore della
e della
duca di
del
sua commedia intitolata / Supposìti,
Ferrara
che
Clizia,
Mandragora
X
papa Leone
il
fece rap-
Roma
presentare alla sua presenza a
dai Sem-
dagli Intronati, attori accademici di
piterni e
Firenze e di Siena, Bernardo Dovizi, cardinale di
Bibbiena, autore della Calandra, sono
ad esso
sotto
inferiori
rapporto
il
tutti
dell'indivi-
dualità e della novità.
Costoro non crearono un genere nuovo:
camminarono
seppellirono l'antico;
non
dei maestri dell'antichità, e
Ruzzante completò ed tava, e creò la agli idilli del
Benedetto
«
sorpassarono.
che
quello
trat-
mezzo
della realtà in
convenzionalismo teatrale.
Varchi,
il
celebre
parlando
storia di Firenze, di
abbellì
commedia
li
dis-
sulle traccie
dei
autore
della
diversi generi
commedie, a proposito delle antiche, dice: che se devesi stare
fede alle
congetture,
e prestar
all'esperienza i
nostri
comici dei vecchi mimi, e
le
zante di Padova, trattando
zanni erano più
commedie
soggetti
di
Ruz-
campestri,
sorpassavano quelle antiche, chiamate atellane Infatti
della
Ruzzante fu
commedia
ai
il
primo che aprì dialetti
popolari.
le
».
porte
Tutti
i
suoi personaggi parlano un linguaggio diverso,
— «lai
102
-
padovano, bergamasco, bolognese, veneto
e
toscano, sino al latino, olio Bpagnuolo italianiz-
zato ed
sono
Ma più padovane veneziano
greco moderno.
al
dialetti
i
i
frequenti
berga-
e
masco. Ruzzante viveva in
mezzo
che
si
alle
principio del secolo xvi.
al
guerre
disputavano
Francesco
di
I
mentre
l'Italia,
e di la
Carlo
V
terribile
dell'armata tedesca rovesciandosi su
invasione
Roma, lasci a vasi dietro le campagne devastate ed incendiate. La Città Santa era presa d'assedio, saccheggiata e per due mesi data in balìa dei luterani, la stessa
egli
maledice energicamente
Tedeschi; perciò,
grasse
buffonate,
drammatica, una
il
padovano, deso-
Perciò nelle sue commedie
lata dalla carestia.
ai
decimata dalla peste, e
Firenze
patria del Ruzzante,
mezzo
in
e' è
agli
Spagnuoli e
alle più spiritose e
sempre
una situazione
riflessione profonda. Ci
l'uomo òhe ride, o sorride,
ma
si
sente
soffre.
In sostanza, egli fu, più che un^capo ameno,
un umorista nel significato inglese della parola
humour: vale timentalismo
ma
alcuni
a dire ».
Così
tratti
rivelarlo piuttosto
Ebbe
il
«
uno scettico velato lo
della
di sen-
definisce lo Scardeone;
sua
vita
starebbero a
un cinico che uno scettico.
Beolco molte amanti
e
mori giovane,
consumato dagli stravizi. Diceva infatti di amare non la donna. Fu pure l'amico di le donne
—
—
103
—
una vecchia dama tedesca,
una
ma
villa,
alla
morte
la
quale
vine e bella, erede della donatrice, testa di ripigliar la villa
si
legatario,
al
regalò
gli
una nipote
di lei,
gio-
mise
in
cui fece
causa inutilmente.
Beolco non conosceva
Il
la
lingua tedesca:
la
giovine signora non sapeva una paiola d'ita-
Per intendersi, dunque,...
liano.
in francese,
ma anche
di
si
bisticciavano
questo idioma
la
si-
gnora era poco pratica e spesso scambiava un vocabolo per
Un la
l'altro.
giorno, a Padova, dov'ella era tornata per
definizione della causa, s'imbatte nel Beolco
e gli grida
—
Vous
:
rfes
tendeva dire
—
un
homme
sans decori (Ella in-
sans dìgnité!
»).
Venez à mori théàtre, rispose beffandola
Beolco,
—
«
et
je vous montrerai un tas de
Il faut arouer, monsieur,
sarcasmo, que vous
soggiunse
acquis
are.:
il
decorsi lei
rette ritta
con
à boa
marche !
E vrai, colite,
il
Beoico senza
scomporsi:
«
Oh,
madame; mais puìsque rous sarez ce je vous l'offre au mème prix! ».
il
est
quelle
$& Sotto
il
titolo
:
Tutte
le
opere del famosissimo
Ruzzante, fu pubblicata (Vicenza, Greco, 1584)
— una prima di
•
raccolta
—
104
commedie,
delle
Angelo Beolco.
un
dialoghi, tre orazioni ed la
Rhodiana,
schetta,
lissime
».
lito felice
al
—
— —
«
a
successo,
Sapevo,
ma
si
il
so-
ondò che qualcuno domandò fosse arrischiato ad esporla.
difatti, rispose lui, essere
l'ho
Mo-
la
t'arse ridico-
Quest'ultima dicesi non riportasse
Beolco come
bonata,
Fiorino
la
e
due
contiene
sonetto,
Vaccaria, ['Anconitana,
la
Piovana e
la
satire
volume, oltiv
Il
una
bir-
scritta così apposta.
E come mai ? Da molto tempo
padovani
i
mi annoia-
vano in dettaglio; ho colto quest'occasione per radunare tutta Padova e prender la mia rivincita all'ingrosso.
Una
simile risposta spiega a sufficienza dir
razza d'originale fosse codesto Beolco. Le bizzarrie, del delie sue
anche da
resto,
erano
commedie che altri per amor
egli
tirar
patate a un certo
Una
sera
Pertegnatta,
che recitava nella
non
Vaccaria,
ma
diceva
si
mise a
mediocre e.
peto della collera, spenzolandosi da un
mostrava
i
amico, alla
— è
pugni fine,
al
nell'im-
palco,
povero commediante. IH
riuscì a tirarlo denti o.
Via, calmatevi,
gli disse.
Quel Pertegnatta
un buon uomo, immeritevole dei
—
sue
mene-
recitare
lasciava lucro,
di
poi corna degli interpreti.
artista,
celebri
Io sono felice,
rispose
il
vestii spregi...
Beolco, che
il
Ruzzante. (1525)
—
-
105
signor Pertegnatta sia una buonissima persona,
che
sia
anche un
sia beatificato,
lo
santo... Io
accenderò un cero,
gli
ma
non mi
approverò che
egli
invocherò nelle mie orazioni, dire delle Messe,
gli farò
un brigante
lasciate
simile
sulla
scena.
Un'altra volta l'impresario Bovili, venuto da
Venezia a Padova
per
inutilmente a casa ed in
cercatolo
scritturarlo,
teatro, lo trovò a bere
al
un'osteria con un sagrestano. Il
Bovin,
viglia che
mera-
datosi a conoscere, esternò
il
famosissimo Ruzzante ricevesse un
impresario all'osteria.
— di
E
voi,
rispose
il
Beolco,
come avete
osato
venire a cercarmi qui? Sapevate di andare
a parlare la prima
volta
in
vita
italiano; e
non già
sulla scena
talento
migliaia
quando di
scelto di vederlo, in
teatro
venuto a
siete
trovarlo, ossia nella sua vera casa, nei
del suo trionfo,
con
vostra
Ruzzante, con l'orgoglio e la gloria del
momenti
egli signoreggia a
spettatori,
ma
qui
suo
avete
compagnia d'un laidissimo
spengimoccoli, quando non è più un genio,
ma
cessa perfino d'essere un uomo, e diventa una
dunque un incettatore non un impresario. Andatevene!
spugna... Siete e
di maiali,
XXI.
SCAPINO
Callot ha raffigurato
Il
1592
sua
1635) con
al
schera e la
barba,
larghe rese e
la
ampii,
mantello,
il
passando
ma-
la
cappello a fogg
tal
rappresentava
1630. in
guani. Scapino
un abito
il
sciabola di legno. Sotto
parte nel
Ma
Scapino dell'epoca
capocomico milanese,
Dionigi,
questa
lo
vestiti
Francia con Molière
depose
la
maschera
:
Re
e
indossò
righe verdi e bianche, m< n-
attillato a
tre
prima vestiva
Lo
Scapino italiano, che apparve sulle scene di
Parigi nel
di
1716, tu
scuro, e s'infarinò
il
un amabile capo ameno,
simo
e
Prima
viso.
bolognese Giovanni Bis-
soni,
di
il
di
poema degnis-
storia.
di
tare
il
comico aveva esercitato
di-
versi
mestieri, e fra gli altri quello del ciarla
tino.
Nel
1691 da Bologna capitò
a
Milano,
ma
— colà giunto trovò
cerretano
vi
il
—
107
Un
posto occupato.
altro
furoreggiava, spacciando pillole e
unguenti miracolosi, e intascando denari a cap-
Al Bissoni venne un'idea... quale non
pellate.
poteva saltare
che
testa
in
a
Innalzò un
lui.
palco sopra una piazza accanto a quella dove
predicava
scopo
a quale
—
Voi
propri rimedi.
l'eccellenza dei
solito,
al
suo antagonista, e prese a vantare,
il
tutti
—
vantarli?
conoscete
i
diceva alla
Ma
«
folla.
miei rimedi, uguali a
quelli dell'empirico qui vicino, percliè io sono
suo
figlio
».
Allora inventò una storiella vero-
simile in cui narrava che lo
aveva maledetto
per
padre crudele
quel
una sua scappata
di
gioventù, l'aveva cacciato di casa e non voleva
più riconoscerlo.
E
approfittando dell'emozione
della folla andò con faccia
bagnato
teso padre
Questi solo
chiedendogli
lo trattò
nemmeno. E
più
s'interessava per il
eoi
ci il
si
ma
e protestò
non
lo
pre-
figlio.
La
che non
conosceva
arrabbiava, più
povero
vello
perdono delle colpe.
da impostole
non era suo padre,
fu che
contrita,
di lagrime, a gettarsi ai piedi del
la
folla
conclusione
preteso padre fu preso a fischi, e da
quel giorno non incassò più un soldo. Tutti an-
davano a servirsi dal Bissoni, il quale però, temendo che alla lunga dovesse scoprirsi il tranello, s'affrettò a mutar aria. Poco tempo dopo, lasciato il mestiere del
— ciarlatano,
si
-
108
ad una compagnia ambu-
univa
per rappresentarvi
lante
Un
altro
varelli, napolitano,
Domenico Camerani,
Una
d'indigestione.
stomaco
di
Alessandro Cia-
fu
morto nel 1733; ed una certa
notorietà godè pure, per
e lo
parti di Scapino.
le
Scapino celebre
suoi tratti di spirito,
i
lucchese, morto nel 1769...
ebbe
sera, egli
il
coraggio
mangiarsi, per cena, centotren-
tadue uova toste in insalata. Quarantott'ore dopo era scoppiato.
Ma
le
vita di
«
Maschere
non vissero sempre
»
mercenari ambulanti,
la
straccioni, fe-
di
d'un festino o dell'onor di pubblico regale:
lici
commedie
videro riprodotte nelle
esse
si
lotti
principeschi;
rono recitar versi
in
dei sa-
accademici ambi-
stessi
gli
onore
qualche famoso
di
Arlecchino o di qualche amabile Colombina
Chiesa non
li
delle risate di
scomunicava
Leone
X
più,
e di
;
la
memore ancora
Clemente VII
sconcezze della Calandra e dei Suppositi
;
alle
En-
Ugocompagnia di
rico III, buffone tragico, per divertire gli notti, nel
1577, chiamò a Blois
la
Francesco Andreini, padre
di
Florindo) famoso pel suo
nome
Giambattista (vedi di
teatro
:
Ca-
pitan Spaventa della Valle Inferno.! Molière non usò deliberatamente
n&W IStourdi
scenari per
mascheri.'
e nel Festin de Pierre
E
molti critici
—
come
Vernon Lee della commedia del-
scrisse
iella sua mirabile critica
il
—
—
l'arte
—
109
asseriscono che,
dovunque
rintracciare l'influenza della di
Molière
in
complicata e movimento comico,
è azione
commedia
può
si
italiana
maschere.
5*?
Così Scapino gli servì mirabilmente per una delle sue
più
di Scapino.
fortunate
E quando
creazioni glie la
Le furberie
:
rimproverarono,
dicendo che dall'autore del Misantropo
la
gente
si
sarebbe aspettato qualcosa di meglio, rispose:
«
Ho
veduto
il
pubblico lasciare
Misantropo
il
per Scaramuccia: ho incaricato Scapino di
condurvelo
A
questo dibattito alludono chiaramente
guenti versi di Despréaux nella sua Art tique
ri-
». i
se-
poé-
:
Molière illustrant ses écrits
Peut Si,
étre de son art eùt
remporté
moins ami du peuple en
Il rìeùt 2 >fJÌ?ìt fait souvent
Quitte,
pour
le
grimacer
bouffon, Vagréable
Et, sans honte, à Térence alliée
Dans
le
prix,
ses doctes peintures, ses fìgures,
et le fin,
Tabarin.
Scapin s enveloppe Je ne reconnais plus l'auteur du « Misanthrope ce sac ridicuìe oìc
».
—
—
110
71 i
migliore
Il
che con
lière, il
ti
—
cuUé
sieurs passages
u
Qnand
Bergerac.
répondait:
(1)
gran Mo-
il
11
—
rie
ne
jioint diffi-
fit
nella
prefazione
s'enrichir de più-
Pedani joué
-
de Cìrano de
on lui réprochait
cet
emprunt,
Cela m'appartenait de droit ;
••
il
pernii* de reprendre son bien partonf oh on
est le
du
fu
commedia immortalò
*
Aimé Martin
scrive
onere del poeta
alle
il
suddetta
la
del valet fourbe.
j»o
Scapini
tutti gli
«li
ironie
».
$¥:
Ma
a
proposito
di
Molière, un aneddoto: anzi
due.
La
parti'
avuta dalle serve nella
scrittori più o
meno
argomento ad uno
celebri,
vita
potrebbe
degli
tornire
stu lio curioso ed interessante.
Li storia parla della predilezione grandissima che molti serva.
illustri
Uno
di
Boileau. nelle
che
il
uomini ebbero per
questi,
sue
la
propria
Molière.
Riflessioni critiche,
narra
grande poeta comico leggeva talvolta le lie alla buona Laforèt, volendo giu-
sue cornine
1
fu
Parigi,
Didier 1845
—
Ili
—
dicare dell'effetto che esse eran chiamate a pro-
durre sul popolo,
quale formava
il
invero
la
parte principale del suo uditorio: quella che a
premeva maggiormente
lui
d'interessare.
Quando Molière vedeva
ridere
di
cuore la
Laforét, era contento dell'opera sua; se la ve-
deva stare insensibile o un avvertimento che
sarebbe guardato* bene
si
mettere in non cale
di
indifferente, quello era
;
allora correggeva e
e
ricorreggeva, avendo sovente potuto
che ciò che non piaceva fortuna
nemmeno
gione, Molière
allei
Per
teatro.
in
voleva che
compagnia conducessero
i
serva,
rimarcare
non aveva stessa ra-
la
comici della sua
i
ragazzi
loro
alla
prova, per vedere che impressione faceva loro la
commedia, sapendo bene che
fanno
i
iano o
complimenti dei grandi, si
divertono,
lo
ragazzi non
i
e, se
si
anno-
manifestano francamente
ed ingenuamente.
E
evidente, del resto, che se Molière consul-
tava
la
serva,
doveva
limitarsi
a
far ciò pel-
le
scene più popolari delie sue commedie; non
le
avrà mai
ed
il
che
la
letto
—
suppongo
—
il
Misantropo
Tartufo, perchè altrimenti vorrebbe dire
Laforèt sarebbe stata una persona d'in-
telligenza superiore,
una
letterata,
e
non una
povera donna.
Un
giorno, Molière volle
colarmente a prova
il
tatto
mettere più parti-
ed
il
gusto artistico
— Vera
della serva. vani' ed
anche
un
certo
comico
si
Molière
il
Le Nozze
—
nella sua
abilissimo
delle
112
attore,
commedie
compagnia un il
quale
nelle quali
scriveva
non mancava
una certa vivacità. Questo chiamava Brecourt. Egli passò a copione d'un suo nuovo lavoro
brio e
—
— una specie
al villaggio
contadinesco
cui
in
costumi,
i
i
di bozzetto
sentimenti,
linguaggio di vari personaggi erano
una
gio-
dirò così, spinta
verità...
fino
ritratti
il
con
all'esagera-
zione, avuto riguardo a quelle certe convenienze
sceniche a cui nel
De
accenna
anche Orazio Fiacco
Arte poetica.
Molière, facendo credere alla Laforèt che trattasse al solito d'un
lavoro
suo,
la
si
chiamò
per leggerglielo. Il
poeta prese
copione
il
e
La
incominciò.
serva ascoltava con tanto d'orecchi.
Ma
fino dai
primi versi provò una sorpresa che da principio non osò manifestare. Ella non sapeva raccanon riconosceva in quel bozzetto lo pezzarsi ;
stile
del padrone,
quale sapeva riprodurre
il
le
cose più naturali senza sfigurarle, né esagerarle, e dipingere
i
dettagli più ridicoli e più intimi
senza cadere nel grottesco Tuttavia aspettò
Ma
a
e nel triviale.
pronunciarsi.
Molière non aveva terminata ancora
prima scena che, dando alla serva
alla sfuggita
la
uno sguardo
per studiarne l'espressione della
riso-
Scapino. (1716)
— nomia,
113
non
Che
—
Come?
forse che...?
—
Io credo
parco
—
Ma
reale
a chi lo vorreste
esclamò Molière
—
rispose la Laforèt
sia vostra,
crederesti
— che
Eh, eh!
ma non
riuscite...
ci
co-
come credo mio
di Versailles...
darmela a bere,
Non
?
—
commedia
desta
E
—
Vostra commedia?...
dare ad intendere
—
persuasa di
dunque? le domandò. mia nuova commedia ?
hai
piace la
—
troppo
equivoci,
quello ch'ei le leggeva.
ti
pareva, almeno da
accorse che non
si
certi segni
—
—
il
vorreste
Molière, per quanto dicesse, non ci riuscì
difatti.
La
Laforèt accompagnava sempre
in teatro per aiutarlo a vestirsi e
Una
sera,
mentre
Chisciotte, Molière,
che faceva
a truccarsi.
la
Don Sondo
il
parte di
quinte in groppa ad un
le il
padrone
rappresentava
si
Pancia, stava dietro
somaro, aspettando
il
momento
di fare
il
suo
ingresso trionfale in scena. All'asino,
uscir fuori
ad un tratto, prese il ghiribizzo di prima del tempo. La scena allora
rappresentava una sala entrato in
quel
:
sicché, se Molière fosse
punto, naturalmente
guastato ogni cosa. Egli
grappato
alle quinte,
ne poteva più 8
—
G. Petraj.
ma
si il
teneva
avrebbe
perciò
cocciuto
di lui, e tirava,
tirava..,
ag-
animale
— Molière starsi; a
vide perduto.
si
menava calci n destra e rizzandosi Bulle gambe davanti. Ma quel momento la Laforèt. Ella -i
in
slancia coraggiosamente ferra
allora
Nessuno osava acco-
l'asino, stizzito,
sinistra,
eccoti
—
114
per
somaro
>ul
eoda. Peggio che peggio!
la
dà una stratta violenta
e
palcoscenico, trascinando anche
Figuratevi
le
lo
af-
somaro
precipita sul
la
Laforèt.
pubblico e degli attori
risa del
stessi all'inaspettata e
si
e Il
intempestiva apparizione!
Molière, arrabbiato, buttò via quella Tunica volta in cui
i
la
parrucca, e fu
compagni
lo
videro
E
questa
parti
erano
inquietarsi con la sua fida Laforèt.
&& Scapino viene dal verbo scappare. è
l'etimologia del nome.
sempre quelle
di servo
—
Le
sue
un servo intrigante,
ciarlone, mentitore, attaccabrighe... che
però era
il
momento
di tener
quando
duro pigliava
largo, visto che
Un Ma
bel morir tutta la vita onora,
un bel fuggii salva
la
«-^—-^s^
vita ancora.
il
XXII.
SCARAMUCCIA
Molière, secondo taluni, deve la propria fama
a Scaramuccia. Vuoisi difatti che quegli più tardi scrisse
il
Tartufo
condotto da suo nonno
ed
al teatro
il
quale
Misantropo,
il
dove recitava
Scaramuccia, colpito ne rimanesse
così,
da pro-
ad abbozzare una commedia. Lo Scaramuccia, che aveva fatto tanta
varsi subito
im-
pressione a Molière fanciullo, era Tiberio Fiorella sotto
il
cui ritratto fu scritto
:
Cet illustre comédicn
De
son art traca la carrière;
Il fut le
Et
la
maitre de Molière,
Nature
fut le sieri.
Sullo scorcio del secolo decimosettimo,
i
Ca-
pitani spaglinoli, dopo tanta parte avuta nella
commedia
italiana di
quell'epoca,
non
si
pre*
—
116
—
scntarono più sulla scena, e
il
Capitano italiane
essendo già sparito da un pezzo, Scaramuccia
venne a
sostituirlo.
Tiberio Fiorelli, napolitano, tutti
gli
farinò
Scaramuccia, depose
il
viso, portò
i
più celebre di
il
la
maschera,
quelli che rimasero tradizionali
chese, principe e signore si
di
questo tipo.
a
«Scaramuccia, scrive Magnili,
non
s'in-
calzoni larghi; poi adottò
mar-
dice
si
che
paesi
molti
trovano su alcuna carta geografica. Dice
d'essere
abbandonato,
stato
ancora,
fanciullo
dal suo illustre padre, ed allevato a spese d'un
re qualunque, che, nei primi anni della
nezza, lo
mandò
remare
a
sullo
giovi-
galere.
Ed
è
certamente su quelle stesse galere che si ritirerà più tardi, perchè- è il più gran ladro che le fa,
siasi
donne
mai conosciuto. e
si
vantandosi di lavori
di quelle
E
innamorato
di tutte
vendica dei fiaschi continui che illusori e
parlando male
che pretende avere abbandonate».
$& La
natura aveva dotato
Fiorelli di tutti
il
doni per essere artista, sieehò
conosciuto
in
Italia
che fino allora
Dopo aver
si
come
il
in
brev'ora
i
fu
comico più spiritoso
fosse prodotto sulle scene.
percorse
le
principali
città
ita-
iiane, nel 1640, sotto
-
117 il
regno di Luigi XIII,
andò con una compagnia a Parigi
e vi ottenne
uno splendido successo.
La regina e
divertivasi
Un
sue smorfie.
le
immensamente a vedere
giorno, mentre Scaramuccia
Brigida Bianchi, attrice
nome
à' Aurelio,,
poi Luigi
in collo
Scaramuccia permesso
tali
che non solo
ma
fu preso
gli
abiti di
il
«
tarra e
il
E
a
Scara-
tale
piangere,
di
d'ilarità che...
Scaramuccia ne rimasero zuppi, in risa delle
dame
e dei signori
circolo della regina.
Da
quel
Scaramucia ricevette l'ordine di recarsi
vertirlo
anni,
permise.
bambino smesse
da un eccesso
tutte le sere nelle
Il
glielo
smorfie, tali bizzarre contorsioni,
mezzo alle grasse che formavano il giurilo.
di
real fanciullo, sarebbe giunto
il
La regina
a calmarlo.
muccia fece
il
aveva allora
principe, che
il
mise a piangere.
si
disse alla regina che se gli avesse
prendere
sotto
erano nella camera del Delfino,
XIV,
quattro anni,
conosciuta
col cane,
camere del Delfino per il
pappagallo
Fiorelli
si
ritirò
gatto, la
scimmia,
la
di-
chi-
».
dal
teatro
a
ottanta tré
avendo ammassata una copiosa fortuna. ottantatrè anni aveva ancora tanta agilità
che, nelle scene mimiche,
piede.
dava uno
schiaffo col
-
118
-
£&
Neil' Hìsto ire generale du théàtre frangais dei fratelli si
Claudio
legge «
Francesco Parfait (Parigi 1777)
e
:
Abbiamo
cercato di conoscere
di Molière, e
sono quelli di
nomi
i
commedianti che, primi, colpirono
dei
fantasia
la
tre farceurs celebri:
Gautier-Garguille, Turlupin e Gros Guillaume. Capitati da Tours a Parigi nell'estate del 1631,
rizzarono un teatrino nel luogo detto V Estrapade.
Di giorno, e
dava
sulla stossa piazza,
la
corda; di sera
si
il
e
loro
fino a Richelieu.
Le
rap-
compagni presero
presentazioni di Turlupin tanto voga che l'eco
dei
bqja tanagliava
recitava.
successi giunse
Egli volle sentirli
rimasto
e,
fanatico delle loro facezie, chiamò a sé
i
sesqui-
pedali commedianti dell'Hotel de Bourgoguc. « si
— Dalle rappresentazioni
vostre, disse loro,
esce sempre di cattivo umore.
Io voglio
dere. Vi ordino perciò di associarvi
comici «
Ed
i
ri-
tre attori
dell' Estrapade.
ecco
dell'illustre
i
tre
teatro
saltimbanchi
saliti agli
—
chiamava.
come
si
onori
Ma
ecco che Gros Guillaume
si
poco, di prendere
un certo magistrato, bene, da non
rifacendolo, in
in giro
permette, di
caricatura, così
lì
a
.
—
119
-
dubbio alcuno che non
esserci più
fosse
lui.
Richelieu, offeso in una delle sue creature, ordina
due dei quali fanno
l'arresto dei tre farceurs,
a tempo
a
scappare,
preso e chiuso in tale
ma Gros Guillaume
è
La sua paura
prigione.
fu
che ne morì, e di dolore, per tale disgrazia,
morirono Turlupin e Gautier-Garguille. «
Questi originali attori avevano sempre re-
citato senza donne, e
picciare per
A
tema che
mai
se n'eran voluti im-
esse potessero
disunirli.
rimpiazzare loro, fu chiamato da Napoli
maggior
artista
comico italiano: Tiberio
il
Fiorelli,
soprannominato Scaramuccia »
Scaramuccia
—
narra
il
'Grimarest, biografo
— dopo aver guadagnato una somma
di Molière
considerevole, fece disegno di tornare in Italia e stabilirsi a Firenze, perchè i
brigidini di cui era ghiotto
lì si
minciò frattanto per mandarvi
Re
la
permissione di
dolentissimo di
ma
che,
la
moglie
Coe
i
qualche tempo dopo chiese egli stesso
figliuoli, e
al
fabbricavano
mangiatore.
ciò, gli
partire.
Sua Maestà,
rispose che partisse pure,
una volta andatosene, doveva salutare
per sempre tensione!...
Parigi e
ma
Luigi
la
Francia.
XIV
Strana pre-
ne ebbe delle peg-
giori.
Scaramuccia, sapendo che ormai aveva di che vivere senza bisogno di recitare avanti al Sole, accettò la condizione.
Re
Però subito ebbe
—
Moglie e
a pentirsene.
godersi da
soli
un
maltrattare, più volte
—
esponendo
citò
il
Re
al
sue
le
bontà
la
Scaramuccia
—
soggiunge
Per
spettacolo fece più un
senza
Grimarest
il
sovvenzione.
1670,
all'ottobre
massa
in
il
teatro
qualche
in Italia dal
modo un
curiosità, e soli ricondussero di
Molière
il
comico poeta Questo
Molière
di
lunga al
as-
1670,
risveglio
di
folla al
teatro
Bourgeois gentilhomme del
capo-
e
il
rappresentati nel «
tale
:
pubblico
il
1GGT
in
non
pubblico
il
rimasto
di lui,
—
la
La
spiega
e
ritenni
Il
mesi nessun altro
per andar a sentir Scaramuccia.
senza
solle-
Fi-ancia,
in
scrive a tale proposito
parigino disertò
Fioivlli
—
commedia italiana, Compagnia Molière avrebbe
la reale
Aimé Martin «Dal marzo
sei
soldo,
volendo sentir altro che
fallito
carogne. il
disgrazie
di concederglielo.
rallegrò tutta Parigi.
tanto che la stessa
andasse a le
vita,
favore d'esser richiamato
Re ebbe
a
sulla schiena si
buttavano
Per liberarsi da quest'orribile
presolo
e,
ruppero
si
volevano guadagni,
lui
intruso,
gli
Arno, dove
buttare in
di
di
manico della scopa, dicendogli
il
il
che
figliuoli,
frutto dei
il
come
ricevettero
lo
—
120
Tite
et
la
Berenice di Corneille,
novembre 1670.
Fiorelli era
il
dio della pantomima.
L'aneddoto seguente dà un'idea del suo talento. Nella
farsa
Colombina
avvocato prò
e
contra,
Scaramuccia. (1645)
-
121
Scaramuccia, rimasto solo
Pascar iello, piglia
di
sedere con
la
in
scena dopo l'uscita
chitarra,
mette
si
a
spalle rivolte alla porta, e suona.
le
Quasi subito rientra Pascariello
punta di
e, in
piedi, accostandosi alla spalliera della poltrona
su cui tergli
('•
il
seduto Scaramuccia, comincia
tempo
spalle.
sulle
A
a
questo
l'incomparabile attore, modello" dei più
commedianti del suo da
lui
illustri
secolo, che appresero tutti
l'art si diffìcile
de savoir
bat-
punto
de remuer
les
j^ssions
et
bien peindre sur leur visage, a questo
les
punto, dico, faceva smascellare dalle
risa
per
un quarto d'ora buono in una scena di spavento in cui non proferiva una sola parola». « La natura scrive Mezzettino (1) — aveva
—
fornito
Scaramuccia d'un talento meraviglioso,
consistente nell'esprimere con
sona e con
gli
tutto ciò che voleva, e ciò in
originale che
il
le
atteggiamenti
pose della perfisonomia
della
una maniera
Molière, dopo
celebre
sì
averlo
studiato molto tempo, confessò francamente
dovere a Infatti
lui il
le
sue migliori interpretazioni
lungo studio fatto da Molière sul
giuoco di fisonomia del
Fiorelli, gli
rimproverato dai suoi nemici, tendo negare gli sforzi
(1)
di ».
il
i
spesso
fu
quali,
non po-
talento di Molière, tentavano tutti
possibili per
diminuirne
Vie de Scaramouche par
il
merito.
Mezzetix, pag.
188.
Una
guai per
lui
mandare
la
^T^f ^
se
Che ««arrese nmiUT ,,,,,
m
barba e àittobere
della fisonomra delle sue
utori
desse.
erbeggiati
propriazione».
P
Chi
Fiorelli.
1
poiché
"JU 4
nue^ -
Vuoisi el.e d,
^ ^
^
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^
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P<*
autore
foss e
^
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,
Certo.*
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tempo
, «nel v, a correva | satira
i
,,,-
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'
eoBÌmele,UFmr*mq felmente
piando P
_
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S«^a om col prmcp
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d. Sarei curioso
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U./0 _
Il
so.. elie si
^ .
^w ^
motivo
r.»pos e,
eon^a
religione, e
qua
glXTV,
Condé:
'
nuU non dicon
nella sua Fl „reU,
e della
aoeolsero
\
scan
disse , peretó daUr/.ate del
Scar a,n«c«o. .
p|
ncivi
(U
pocnii
Dl0 poco
—
123
importa. Molière nel Tartufo e questo a loro
si
burla di loro
secca moltissimo.
$¥?
Il
Fiorella poiché sentì che sua moglie
era
morta, passò a seconde nozze in Parigi con una giovinetta diciottenne, quantunque genario.
Non poco ebbe
che, alla fine, fece rinchiudere in
ove piena
ei fosse ottua-
perciò a soffrire da
lei
un monastero,
rabbia e di disperazione in breve
di
tempo mori. Ei non le sopravvisse lungamente, essendo morto il 9 dicembre 1694, d'anni 86, dopo tre anni di matrimonio. Oltre un legato considerevole per un Convento di religiosi, che
lasciò all'unico figlio rimastogli, e fatto prete a Parigi, tutto ciò
Francia ed
in
100,000 scudi
in
circa
—
sbalorditola per quei tempi. il
che possedeva in
ascendente
Italia,
al
somma
valore
Luigi
e'
era
XIV
pellirlo in
fu senza
un
voluto
perchè
i
Mezza Parigi seguì ordine
luogo sacro,
al re
gran di
il
buffone Scaramuccia
con gran pompa, sepolto
La ragione
Luigi a proposito
dello Scaramuccia eremita.
ciò
di
forse, nella risposta surriferita dei
Condé
il
espresso
preti consentissero a sep-
difficoltà, anzi
in Sant' Eustachio.
di
addirittura
suo funebre trasporto, e mentre per
Molière
era
si
si
ha,
Principe di
del
Tartufo e
Chiamato
letto
al
regalò
gli
relli
-
124
morte
ili
famosa
la
medico,
il
chitarra
il
Fio-
cui
si
serviva nel monologo comico-musicale: L'uomo,
cane
il
siglio
e
di
il
pappagallo,
suonare
ai
e gli disse;
«Io
vi con-
ammalati delle con-
vostri
traddanze, dei minuetti e delle canzoni, di ordinar loro dei purganti e dei
in
luogo
salassi.
ogni modo, la morte è una scadenza che
può rimandare. Constituisti terminos
si
praeteHri non poter Int.
termine mio
Il
Ad non
èjus qui
è giunto,
dunque non perdete tempo con me. Addio, salutatemi tanto
Al prete che
—
il
lo
farmacista assisteva
Credete voi che
domandò
andrò
io
e
».
in
:
Paradiso':...
in Purgatorio?... all'Inferno?...
e
non
voi
non
segretario del Padre Eterno e non
ne
sacerdote alzò
Il
gli
occhi
al
cielo
rispose.
— siete
Capisco, soggiunse il
il
sapete nulla. Tuttavia vi garlo
affinchè,
riunisca a
mia
in
moribondo
raccomando
qualunque
modo,
:
di
non
pre-
mi
nioalie.
¥& Come
Tiberio Fiorelli avesse saputo guada-
gnarsi L'animo di Luigi riti
artistici,
si
XIV
apprende dalla
non
coi soli
me-
storia seguente.
— In
una sera del
cavalli,
—
125
da una berlina a due
16()<>
proveniente da Blois, scendevano alla
una vecchia
porta del palazzo reale di Parigi
dama ed una
giovinetta.
avuto
più vent'anni. Era bionda, magra,
tutt'al
palliduccia
e
Questa giovinetta avrà
zoppicava un poco dal
enormemente impacciata, tanto
creatura
salendo
da
pie'
lo
scalone
reggia
della
che,
voltava
si
,
timoroso delle
fare
tutte le parti col
si-
d'una povera
quello
nistro. Il suo aspetto era
per-
sone non abituate a trovarsi in certi ambienti.
La
vecchia dama, che,
incessantemente: ini
contrario aveva tutta
al
casa
trovarsi in
l'aria di
Su,
«
propria, su,
ripeteva
le
coraggio, svelta!
sembrate un pulcino nella stoppa!
E
difatti
Luigia
recentemente
De La
Vallière,
damigella d'onore
»
nominata
della
princi-
pessa Enrichetta Stuart, tolta in sposa dal duca
Luigi XIV, mentre
D'Orleans, fratello del re
aveva tanto brigato per ottenere questo posto, ora che pentita,
esposta la
ne
entrava
prevedendo lei,
povera
in
possesso
le beffe
n'era
quasi
a cui sarebbe stata
provinciale,
mescolata fra
più pura e più fiera e più elegante nobiltà
francese. Vuoisi che la Vallière avesse brigato
per entrare a Corte con di essere
vicina
al
gentiluomo del seguito altri
crede che
il
l'unico intendimento
suo fidanzato, un del
giovine
Duca D'Orleans;
solo desiderio di brillare e di
—
126
mettersi in evidenza Blois e
lei
il
fidanzato prese
della freddezza eolla
tutti
che,
trattato,
di
Londra,
e nei
lasciare
dopo
che,
è
a lagnarsi
quale
con
vedeva da
si
contemporaneamente,
quasi
un ordine del Re
a
spinta
L'abbia
Parigi. Certo
portarsi a
poco tempo,
—
destinava all'ambasciata
lo
circoli
Corte e per tutta
di
Parigi corse insistente la voce (giusta
riferisce
un cronista del tempo) che, volendo ottenere qualche grazia da Luigi XIV, la più spiccia e la
più sicura fosse di
De La
propiziarsi
Frattanto,
il
giovine gentiluomo di
zato, partito per la guerra,
mezzo
assalto, in
ai
cenziava
la
voltava
Luigi
XIV
a mostrarsi
quando
spalle
obbligava cortesi
la
con
Enrichetta la
li-
Regina
incontrava, e
la
moglie lei.
fidan-
ammazzare,
farsi
Madama
sua damigella d'onore, le
lei
gettava, al primo
si
nemici per
e vi riusciva; frattanto
le
signorina
la
Vallière.
e
la
cognata
giovane e ca-
Il
priccioso monarca, mentre, da principio,
si
era
burlato della goffaggine della Zoppettina, aveva finito il
per innamorarsene a segno da far perdere
giudizio alla disgraziata ragazza.
Essa, sebbene innamoratissima
lendo ad ogni costo sopprimersi,
del
Re, vo-
piuttosto che
dare un simile scandalo, notte tempo fuggì dal
Palazzo Reale correndo a ricoverarsi vento di carmelitane.
Il
Re, che
la
in
un Con-
faceva spiare,
avvisatone, suoi
rìdi;
violando la
svenuta
ai
le
dei
—
corse dietro a
penetrarono, clausura,
e
cavallo
questi,
nel
con due convento,
condussero la Luigia
piedi del Re, che, delirante di pas-
sione, attendeva in
Uno
127
due
fidi
giardino.
era Tiberio Fiorelli.
^^
c^^-,yyr,c.-.c,r.r.-,c.^,c.-,-.y^,c.y.
r.r. ir.y.
i
XXIII.
STENTERELLO
I colori svariati dell'abito di Stenterello e
tre fregi neri,
profondi e paralleli
quei
angoli
agli
della bocca, imitazione del rictus latino, dimostrano, secondo me, che Stenterello è più vecchio di i
quello che vogliano farlo
buoni
i
fiorentini,
quali attribuiscono la creazione di questo tipo
a Luigi Del Buono, vissuto dal 1751 al II
Del Buono taceva
l'orologiaio
che
in
Borgognissanti
n.
66. Dinanzi a questa casa
la
via
la
casa
Merignano che metteva
famosa, perchè vi stavano
oggi
si
porta
apriva
il
allora
Gora. via
in via
le ciane
1833.
abitava
e
più linguac-
ciute di Firenze e v'era accatastato
il
popolino
più gaio, più mite, più Conservatore del vernacolo, di cui
interprete.
Buono,
e
il
Del Buono seppe
Faceva
L'orologiaio,
farsi
gradevole
dunque,
il
Del
talvolta recitava eoi dilettanti. Infine,
Stenterello. (1868)
seguendo
il
-
naturale impulso per
come amoroso
turò
129
l'arte, si scrit-
una compagnia
in
comica
che passò da Firenze per andare a Napoli;
e
allampanata figura, cosicché
commuovere,
interessare e di
ed al
invece di
egli,
riuscì grottesco
suo accento troppo fiorentino urtò
il
ma
magra
certo genere di parti disdiceva alla sua
i
:
nervi
pubblico napolitano.
Del Buono tornò a Firenze a
Il
giaio,
ma
per poco.
una camicia
non
far l'orolo-
comico
del
è
Nesso che, indossata una volta,
di
leva più.
si
mestiere
Il
Difatti nel
Buono metteva compagnia da ai suoi concittadini sotto
inventata (seguitiamo
a
la
1775 sé,
Del
Luigi
presentandosi
maschera
da
lui
come dicono
dire
a
Firenze) e che forse, dall'esser egli piccolo di statura e sparuto, battezzò eoi terello
o Stentarello, ossia
nome
di
Sten-
stento, secco, allam-
panato. Sul teatro di Borgognissanti, dipoi denominato Rossini, pel prezzo d'ingresso di 28
(mezzo paolo), durò anni;
ma
giosi e di
se
il
centesimi
Del Buono a recitare molti
ne ritrasse vinto da scrupoli
nuovo
si
reli-
rimise a fare l'orologiaio.
Nel 1829, un giorno, una povera vedova con quattro
— le
tìgli
va da
Sor Luigi,
lei
lui
mi
e gli dice:
fa spesso del
bene con
sue elemosine, ed io ho proprio vergogna a
seccarla ogni tantino con 9
—
G. Pbtru.
le
mie
richieste,
ma
~ come
—
fa? siamo in cinque, e
si
due
con
180
braccia
perchè
sole,
creature sono troppo piccole
una
carità: dia
recita
lavorare,
—
le
—
non
teatro
Col
benefizio.
una
ri-
botte-
chiederò più nulla.
Recitare?... io?...
matta?
[o
un'ultima
l'accia
cavato di questa recita metterò su
guccia e non
povere
queste
per
sono stanca e ammalata.
Mi a mio
deve campare
si
esclamò è più per
a settantott' anni?... Siete
—
Del Buono.
il
me: ho
E
poi
il
San-
fatto giuro alla
tissima Annunziata di non rimetterci più piede.
La vedova, oramai
incaponita nella sua idea,
va a Santa Trinità da certo padre Mazzanghi, confessore del Del Buono, e tanto
che
il
Buono
fa,
tanto dice,
Mazzanghi, impietosito, scioglie
Del
il
dal suo voto e lo autorizza per una volta
tanto a recitare nuovamente.
Benché
il
biglietto d'ingresso
da mezzo paolo
fosse stato portato a tre
paoli,
riosità dei
risentire,
fiorentini
di
anni che aveva detto addio alle prediletto tutti
coloro
avevano
che il
Del
l'autorizzazione del confessore
E
ma la
scene,
acquistato
Buono
—
—
cu-
la
nove
dopo
Del Buono, che, per dare
palchi, dovette
una,
fu
tale
il
loro
sfogo
a
sedie
e
sempre
con
recitare
non
quattro volte.
povera vedova, se non diventò una
si-
gnora, certo non ebbe più bisogno di ricorrere alla
carità di nessuno.
-
131
—
•2^
Dopo Luigi Del Buono, prima
e
terello,
creatore dello Sten-
di Raffaello
degli Stenterelli celebri
—
Landini
—
l'ultimo
raccolsero plausi
danaro, sotto questa maschera,
Amato
Ricci
e e
Lorenzo Cannelli.
Lorenzo Cannelli fu lodato come bravo
come
rettore e
artista di
grande arguzia;
Amato
superiore a tutti gli Stenterelli fu
da alcuni paragonato persino
Un una il
Ricci,
grandissimo
al
Luigi Vestri, poiché, qual caratterista,
non ebbe
di-
ma
Ricci
il
rivali.
grandissimo, Gaspare
altro
andò
Pieri,
sera al Teatro della Piazza Vecchia, mentre
Ricci recitava Stenterello
allora era
il
solo
artista
homme che
blasé. Il Pieri
come
recitasse
brillante la parte del protagonista in quel biz-
zarro lavoro. Ma, udito
—
più
lo faccio
E
il
Ricci, esclamò
Parola d'onore, brucio tenne
di poter
il
copione
:
e
la parola,
poiché non
gli
sembrava
pareggiare tale eccellenza.
Vincenzo Guadagnoli, re degli avvocati rentini, argutissimo
andava sempre a blasé, e
non
!
il
e
profondissimo
sentire
il
Ricci
fio-
ingegno,
ne\Y Homme
principe Anatolio Demidoff arrivò a
— Inandare
182
Ricci 2000
al
—
lire,
per
volte
tre
in
una settimana, affinchè ripetesse quella com-
E
media.
Ricci era applaudito non solo dal
il
ma
popolino,
da
ragguardevoli,
forestieri
da
sovrani, dall'aristocrazia. Il
Cannelli fu soprannominato Stenterello Por-
Con
cacci.
tutta la sua abilità
artistica
e
col
molto spirito che possedeva, usava egli tale un linguaggio sboccato da far
arrossire
anche
panche del Teatro della Quarconia, che lore erano
accadeva
verdi.
al
Spesso
un signore che gentilmente
invitava a salire in una vettura
sapendo già
nelli,
senza replicare.
di che
La
chiusa.
Stenterello
non
era gli
si
e
Can-
il
talvolta
tre,
Quarconia restava
la
in
;
trattava, ubbidiva
sera dipoi, e
quattro sere di seguito,
certe lezioni
di co-
volentieri, difatti,
Cannelli, uscendo la sera dal teatro,
di trovare alla porta lo
e
le
gattabuia.
giovavano.
Il
Tuttavia
sor Porcacci
era proprio porco di razza.
Una
sera, alla
presenza della granduchessa
Maria Antonietta, che assisteva col piccolo
a dire
—
principe
allo spettacolo
non
ereditario,
Che
peritò
mio? sono un povero tutti. Ero disgraziato già
vuole, signore
disgraziato, vittima di
anche prima di nascere. Perfino
madre
si
:
e
mi sputavano addosso
!
in
corpo
a mi'
—
—
133
¥& II
Landini fu tutt'altr'uomo.
—
Si atteneva più che altro
—
dalla sua pingue figura
come
ristiche,
fare
il
pagliaccio né
un gesto
Non
Ricci.
il
il
:
anni accorrere
come
fortuna
vedevate
di
il
Ricci, la
vedere
per
Borgognissanti un
al
caratte-
parti
mai
non gli sfuggiva una parola meno che
ed ebbe,
disfazione e la
lo
favorito in ciò
becero:
smodato, né
conveniente
alle
sod-
trenta
pubblico
affollato e sceltissimo.
Spirito castigato ed eletto, egli impresse alla
maschera dello
Stenterello
un
altro tipo.
La
sua
idea era di farne, adagio adagio, un caratterista, sbarazzarsi
di
di
chesco (1) e dar
tutto
mano
teatro popolare toscano, riosissimo,
repertorio bargiacistituzione
come
di
un
esisteva già, glo-
un teatro popolare piemontese. Ma Zannoni in poi, s'era stampo dei commediografi popolari,
Toscana, dall'abate
in
perduto e
il
alla
il
lo
nuovo teatro popolare toscano fu
da due piemontesi,
(1)
scrittori
Augusto Bargiacchi,
illustri
artista comico, scrisse e
dusse per la maschera dello Stenterello più
drammi, commedie
e
iniziato
ambedue:
farse.
di
ri-
300 fra
—
134
—
Vittorio' Bersezio e Valentino Carcera. sezio scrisse appositamente per
artigiana;
fratellanza
quaderna di Nanni.
un secondo
al
il
Cari-era
il
Ber-
TI
Landini
/.
cede La
gli
Un primo esperimento ed
Teatro Niccolini 'massimo teatro
prosa a Firenze) ebbero buon esito, le commedie piacquero (La quaderna di Nanni, anzi. fece furore), ma l'idea, in sostanza, non attecchì. di
Convenne
al
Landini tornare
fare
a
Sten-
lo
terello.
5*?
Appena
Stenterello usciva
dalle
quinte, due
manine sporgevansi da ogni palco a 11
Landini era
le
sere,
le il
in
simpatia dei
la
teatro, ve
loro risa argentine
buon umore. Mi ricordo che
n'erano
salutarlo.
fanciulli; tutte
delle
nidiate, e
mettevano più
mai
che
nella quaresima del 1874.
sera dell'ultima recita, gli
scenico tanti mazzolini
di
piovvero
dai
gettatigli
fiori
suoi cari bambini, che l'assito, veduto
la
palco
sul
giù
di
sembrava un prato. Il Landini, immediatamente, mandò da Giacosa e da Doìiney a comperare quanti dolci era possibile avere, e, platea,
prima che
la
rappresentazione
distribuire da una piccoli ammiratori.
delle
figlie
finisse,
a
tutti
li
fece
i
suoi
—
—
135
$& Dieci minuti prima
Landini
si
quei dieci minuti,
in
non
di suo padre, Il
volta
andare
di
chiudeva a paletto gli
scena,
il
camerino,
e,
in
in
avesse bussato l'anima
avrebbe aperto.
le
mio camerino essendo attiguo
—
levarmi
la curiosità di
mattina, più
presto
una
al suo,
confesso la mia indiscrezione
—
volli
La
sapere cosa faceva.
degli
altri,
mi recai
alla
prova, e con un ferro praticai nella parete legno, che
separava
Stenterello,
un
la sera,
il
mio
dal
camerino
Del Buono,
Come
inginocchiato, pregava. il
sor Raffaello pure era
turco, dirò meglio,
come un
come un
ma
Voi bestemmiate senza bisogno,
stemmio quando mi stanza attenuante
A Pisa,
durante
fate stizzire.
E
soleva io
una
be-
circo-
». il
cholèra,
moccolo che avessimo
ma
toscano,
il
credente
e religiosissimo. Moccolava, alle volte,
«
di
foro impercettibile al quale poi,
andai a metter l'occhio.
Stenterello,
dire:
di
tirato,
egli stesso dovette
comminò, per ogni mezza lira di inulta,
pagarne parecchie,
e la
legge fu definitivamente cassata un giorno che certo Parenti, trovarobe, incolpato a torto di so più che, fu multato di cinque
lire.
non
-
—
136
Era codesto Parenti un tipo amenissimo bestemmiatore presenta in
dice
Landini
il
incontro,
leva
si
un si il
come
:
cose stanno così
le
stavano).
Il
torto
dunque
mio.
è
—
—
Nossignore
replicò
Sono meglio informato
vostro. la
e
:
Sor Raffaello, senta
e così (e gli spiegò
non
va
teatro gli
berretto e gli
—
Appena
incallito.
Landini
il
di voi e
—
è
mantengo
multa.
—
Sta bene. Parenti
Il
chiamò l'Amministratore e sog-
giunse:
—
mezzo Perchè cinque lire e mezzo ? Perchè cinque di multa, e mezza per podire che questa multa, Dio p.. v è una in-
Ecco cinque
— — terle
giustizia
Un
lire
e
!
!
altro aneddoto.
Nel settembre del 1872,
la
compagnia Lan-
da Livorno a Portoferraio sopra un trabaccolo poco rassicurante. Il mare, a un certo dini
filava
punto, tutti
si
— E
fece
brutto
;
il
ordinò che
capitano
ritirassero sotto coperta.
Sor Raffaello
un
a fare
—
si
lui,
tuffo
—
gli dissi
—
che s'avesse
'?
alzando
gli
occhi al cielo
:
Sia fatta la volontà di Dio. Io, prima di
partire,
mi son confessato.
—
—
137
¥6 Stenterello a Firenze, Meneghino a Milano, Gianduia a Torino, Pulcinella a Napoli, hanno tutti
modificato,
e quattro lo stesso tipo,
seconda
tende, a
s'
in-
gusto e delle
degli usi, del
tradizioni di ciascun paese. Pulcinella solo differisce in questo dagli altri tre
cessioni ha fatte
che poche con-
:
esigenze dei
all'indole e alle
nuovi tempi. Gianduja, Meneghino e Stenterello,
mentre anche
come
maschere
da
specialità di parti
attualmente
li
limitarono,
loro, in principio, si
tutte le altre
cui forse trassero
vediamo, a
nero di società,
e,
in
italiane,
ad una il
nome,
sere, vestire fin l'abito
mezzo
ai
più truci
drammi
del repertorio, portare la nota comica dei loro lazzi e delle loro facezie.
Non
è più questo lo Stenterello quale lo im-
maginò Luigi Del Buono. i.
colori variati: porta volontieri,
un abito o verde
di ;
il
bruciato
le
calzone corto nero e
per esempio,
;
calze
una
orecchie,
come
mette parrucca nera a coda
rossa e in capo tiene
a barchetta, molto
le
allunga col sughero
sopracciglia fino alle
maschere antiche
nistri
predilige
roba bleu sopra una sottoveste gialla
turchina e una gialla. Si
le
Stenterello
una specie
di
cappello
simile alla lucerna dei mi-
quando vestono
in
uniforme. Egli non
af-
— fetta
—
138
ne spirito, ne malizia
:
burla,
la
scherno,
1<»
vengono alla bocca senza che se ne accorga. Vero fiorentino spirito bizzarro, il
frizzo, gli
avendo
a
gentile,
il
sua
disposizione
il
]>iù
ricco,
più caustico linguaggio di tutta Italia,
dote sua principale esser dovrebbe
la
spontaneità. Qual
ralezza e la tatti,
può competere
natu-
la
linguaggio,
col linguaggio
vivacità, in eleganza, in
Ma
piti
il
in-
toscano in
efficacia ed in
brio V
oramai con Raffaello Landini, morto
nel
1884, è morta pure la maschera fiorentina. Gli attuali
interpreti
comicarólì.
solamente
sono
Il
zioni. Dell'eroe del
commedia, un una parte per
dramma
triviali
Stenterello,
sdrucendo, tagliami"', il
titolo
e
nome
il
dei
lavori italiani e francesi.
migliori
ai
o del brillante della
rabberciatore ha fatto
profano
tartassando e cambiando
personaggi
dei
repertorio è tutto a base di ridu-
¥6 Sola,
del
vecchio
repertorio
stenterellesco,
rimane una bizzarra commediola: ili
taglia di la
La
Villana
Lamporecchio, che fu uno dei eavalli
parte
Raffaello di
come vuole bisillabe,
Landini.
/listicelo, il
Egli vi
di
bat-
personaggio che parla,
suo nome, a parole
differenti
di
sosteneva
significato
per e
lo
simili
più di
— suono.
Un
139
-
altro personaggio, il signor Scivoli,
non parla che
in sdruccioli.
una
esempio,
Ecco, per
scenetta graziosa
:
quella appunto tra Bisticcìo e Scivoli suo rivale,
presente Dorotea, che tiene a bada Bisticcio. — M'inchino
sino al limo
imprimo nella mente dell'amante i
miei tormenti non mai spenti,
Ah!
sieno
appunto
tutti e
più spanti.
allorché spunti dalla punta
spinti,
di quelli occhi
un
sole in sala, a solo
che faccia in faccia mia affacciare
fin
mia noia non siate Faia, gennaio certo muoio e vado al buio. di
gioia, e
— Eh
Dorotea.
primo,
e,
rammenti
si
ma
due.
via
Che
!
Avete
signor Bisticcio?
la
gaia
o che in
cos'è questo morire,
fatto
bene a venirmi
a trovare. Bist.
spasso
— e
Io
non mi spasso
se spesso passo a
porto per mio conforto
passo
il
in
questo porto.
Dor.
—State bene
—
di salute?
Sono sano
sino a segno che di un pugno dentro al grugno, non è sogno, ammazzo un pazzo, o di un cozzo io lo schizzo dentro un pozzo in mezzo al guazzo, e pel gozzo, se lo strizzo, te lo strozzo come un struzzo Dor. Cospetto avete una gran forza. Bist.
!
—
Scivoli (da
ma
i
fatti
!
se).
—
Coi
detti egli è terribile,
non rispondono. (A Dorotea).
venuto d'Empoli
l'altro
E
rivai propostovi?
ancor
—
—
140
— L'aspetto a momenti. — Io amo e bramo
Dor.
vi
Bist.
di vostra
mano
lungo un
si
!
— Ma
Sciv.
Dorotea carissima,
mentica delle speranze datemi
—
(a Dorotea).
Bist.
dite presto
il
parlate a me, e
— Sento di sdegno accendermi.
— Io
Bist. (a Dorotea).
veder
Affé,
siete digià di-
?
resto!
Sciv. (da sé).
tacete,
meno a
meni
!
labro di cinabro, nudo nido
quel
de' cari cori
primo premio
il
Oh
mano.
in
che
debbo
dite,
in
dubbio, se
moti muti, che mi
ai
amate mite.
—
Sciv. tali
Frenar più
l'irascibile
termini! Per Dorotea
non posso a
tu spasimi?
sei for-
sennato o semplice?
—
Bist.
Non
ma
forsennato,
forte nato per
assennarti od assonnarti se tu non parti Sciv.
— Son
!
un papavero, del sonno
forse
io
autore e simbolo'? Son sveglio e niente trepido
d'una mal fatta virgola Bist.
— Tu
ti
picchi
!
*?...
Anch'io mi picco
per Bacco, o t'appicco, o non pecco se e spicco
porco
capo
cupo,
e
dò alla
e,
spacco
Parca
un
!
Dor. Sciv. te
il
ti
— Calma, — Non
ini
calma, signori
!
conosci, o misero! Se contro
mi adopero, quant'ossa Dor. — Vergogna
!
porti io spezzoti
finitela
!
!
-
— Se
Bist.
nibbio
rabbia
la
rebbiate
di
-
141
ch'io rebbi,
fa
ma
;
dò un
ti
prendo un
se busso,
bosso e t'abbasso nell'abisso a suon di busse Io non beffo, goffo buffo!
Se
ciuffo presso al baffo, quel
—
Sciv.
Ebben, finiamla
tempra ruvida, Dot: Bist.
porto
andiam
— Oh Dio — Accetto petto. Io
il
all'otto
;
mi
Niuno
adatto. dotto,
in
Entrambi
e subito.
e lucido acciai' di
fuori a
combattere
in
!
!
il
patto; di citto o putto non
mi batto
a lutto non
ribatto,
ti
butto giù
!
il
fuor, nell'atto,
tino
metto come un matto, né vo in
ci
letto finché io
e
duello orribile
azzuffo per
tuo ceffo l'abbaruffo.
provvediamoci d'un bitbrbito
tìer
ti
motto.
fai
in baratto
e,
un
di tua
Se
botto.
Tu mi
sei
batti,
botta, io
dotto,
io
ti
sono
editto né altro detto che sia in-
non adotto. Mi porto a sparte
e parto in
parte aperta. Sciv.
—
Non temo
e
Bist.
—
Ho
netto
detto
Ti aspetto in Ghetto
ho
vengo subito
Dor.
—
Fermatevi
—
L'ira sorpassa
;
!
(via).
il
patto
!
è
fatte.
(via).
Sciv.
lasciatemi
;
!
il
limite,
freno non
—
142
—
¥& Autore della Villana di Lamporecchio primo degli
Stenterelli,
Ecco, come
in
Luigi
ossia
altra
parte
della
I)«'l
fu
il
Buono.
commedia,
Bisticcio definisce l'amore: «
Amore non
ma
ha colore,
cuore viene a calare a coloro,
sudore
gli
colare in gran
sparti a sporte, e porta al capò
spirti
mania o malinconia il
calore, e se >ul fa
Esso ha possa,
ria.
e passa
dosso fino all'osso, e l'uomo grasso e grosso
di tal passo tassi lasso
e
muore a
lesso
-.
¥& Giulio Piccini (Jarro) ha scritto tutt'un
lume su
Dopo aver
parlato del Del Buono, del Ric<
del Cannelli, del
fiorentino
Landini,
accenna
ad
che
si
il
accinsero
carattere
dello
all'opera Stenterello,
di
».
pubblico,
col dire
far
ebbero
anziché l'apparenza di attori
permesso
che
attori al
— conclude anch'egli
i,
brillanto scrittore
altri
questa maschera piacquero
da anni
vo-
Bemporad, 1898).
Stenterello (Firenze,
vivi,
—
sotto ••
ma
coloro
risorgere
il
sulla scena. di
morti in
ì
v
~;-,>-;Ok^->-<^
XXIV.
TABABKWO
La maschera
ma
fino al
in seguito
Tabarrino data dal 1570,
del
1618 non ha importanza. Gliela dette
un milanese,
sempre un mistero, e
si
sottoscriveva
:
e
mano
— cosa
il
cui vero si
nome rimase
faceva
chiamare
Tabarrino di Valburlesca.
Marmontel, nel suo che costui era
il
che
libro sulle Maschere, dice
bastardo di un cardinale
ro-
madre riuscì a tenergli nascosta sino a ch'ei non ebbe vent'anni. Ma un giorno il ragazzo venne, non so per quale circostanza, a conoscere la verità, e seppe come sua madre vivesse esclusivamente di una pensione che dal
il
che sua
prelato
Vescovado
allora,
chiese
il
le
di Milano.
registro
faceva
Andò
al
Vescovado,
su cui era iscritta la
partita e ne stracciò la pagina. lo rivide più.
corrispondere
Sua madre non
Da
Milano andò
la
vita
timbanco. Nel
Quello era
il
Venezia,
R
Roma,
Napoli, da Napoli a
campando
-
144
1(31 8,
alla
il
fine,
comico
e
sal-
il
capitò a Parigi.
dove andavano
centro
a
a Firenze, a Torino,
tare
col
da Venezia
cascar
a
tutti.
Associatosi
con l'empirico italiano Mondor,
misero su, ad imitazione di
tutti
empirici del
gli
secolo decimosettimo, un palco sulla pia/za del Delfino.
Tabarrino recitava scene all'improvviso: Mon-
vendeva
dor, tra un atto e l'altro,
cavava
cifici,
suoi
i
spe-
denti, ecc.
i
Nel 1622 Tabarrino era all'apogèo della tuna.
La
trionfi,
piazza
del
Delfino, teatro
for-
suoi
dei
era troppo piccola per contenere la folla
degli spettatori, che vi accorreva non tanto per la
volontà di comperare
per trovare
il
i
suoi unguenti, quanto
vero preservativo contro
la
me-
lanconia.
Paolo di Saint-Victor chio Parigi ed «
Ma
il
nel descrivere
il
nuova Corte
socio
vec-
dei Miracoli
Mondor.
dell'empirico
loro glorioso palco era innalzato sulla piazza
del Delfino, e per dieci anni si
il
baccanali di quel tempo, dice:
re di quella
era Tabarrino, Il
i
il
popolo di Parigi
accalcò intorno ad esso, ingoiando da mille
bocche aperte del buffone.
i
filtri
Era una
dell'empirico
tale affluenza,
ed
una
tal
i
lazzi
voga,
—
145
—
da far montar sulle furie tutte
avevano mai
non
dintorni che
passavano
mariti, perche essi
Tabarri/no
in
loro
i
».
ritirò
si
casa
l'intera giornata a
quelle deliziose rappresentazioni
Nel 1630
femmine dei
le
dalla
scena,
avendo ammassato un patrimonio considerevole. Ma non ne godette che poco.
—
Tabarri ìw
«
modo chito
tragico. lazzi
i
;
Il
—
Marmontel
finì
in
che per dieci anni egli aveva get-
alla folla, gli
tati
scrive
suo palcoscenico l'aveva arric-
erano rimbalzati nella scar-
forma di doppie. L'orgoglio lo tentò comperò una terra feudale, vi prese possesso e la fece da signore. I gentiluomini dei dintorni
sella in
;
un giorno, come una
s'irritarono per quella vicinanza, ed in
una
lepre, in
Due
uccisero
caccia,
il
buffone,
un angolo del bosco
».
anni prima, nel giorno del
monio, aveva
dato
a
suo matri-
centotrenta persone un
pranzo nel quale vennero in tavola:
Un
pasticcio contenente tre pernici vive;
Zuppa
Una un
all'uovo;
testa di cinghiale arrosto,
giglio bianco,
con in bocca
immagine dell'innocenza
della
fidanzata;
Un
luccio lardato
Bove con
;
radici;
Torta sormontata dalle figure Eva, 10
in costume...
—
G. Petrai.
biblico;
di
Adamo
ed
—
146
—
Pasticcio caldo di piccioni;
Capponi arrosto;
Una
fontana
forma
in
di torre
da cui
usci-
vano vin bianco e pesciolini; Carpio in salsa; Testa
porco dorata;
di
Pasticcio di capriolo;
Montone
quale, per
intero, dal
un'apertura
praticata nel collo, scaturiva, a guisa di sangue,
vino rosso;
Torta calda
lardo
al
;
Salmone freddo; Pasticcio di cingallegre;
Selvaggina
Una
in salsa;
casa in pasticceria
:
Granchi; Porcellini di latte;
Marmellata all'uovo Un'aquila
;
pasticceria, ripiena di fegato;
in
Torta di mele.
Uva
di Corinto. Aranci. Bri-
gidini di Firenze. Confetti.
^ A
Roma, un
giorno, Tabarrino
attaccò
una taverna con l'oste. Costui sapeva della madre di Tabarrino, e gli disse
— —
Va
là,
Meglio
figlio
d'un prete
— rispose
lite
la storia
in
:
!
Tabarrino - esser
figlio
—
—
147
che esser servo
senza averne colpa,
di prete,
di prete e tollerarlo.
L'oste riferì questa risposta al Tribunale della
ma
Inquisizione,
dove
a Bologna, lo
Tabarrino
si
Vescovo
il
salvò scappando
di quella
diocesi
prese sotto la sua protezione.
Ciò mi
ricorda
anni or sono, esisteva
che,
ancora a Bologna un tipo che oramai rappresentava un vecchio sotto
nome
il
Era quasi sempre un mercante
barrino.
è ri-
si
e
che
di
Ta-
delle marionette
fugiato nelle baracche
ritirato
dal commercio, ignorante, che cominciava tutte le
in
frasi
bolognese.
italiano e
Portava
tabarro, l'abito, e le
i
ed
il
dialetto il
i
calzoni, le scarpe
colie
cappello tondo.
L'abito del Tabarrino, si
in
parrucca incipriata,
calzoni corti color tabacco,
calze rosse, sopra
fibbie,
terminava
le
la
componeva
compagno
del
Mondor,
del tabarro, della giacchetta, dei
calzoni di tela e del suo mirifico cappello rosso e grigio, detto
riduceva
in
«
cappello parlante
mille
foggie
perchè
»
svariate,
dando
fisonomia atteggiamenti corrispondenti
al
lo
alla
gesto,
alla parola... e al cappello.
Sia che dicesse ad una donna, caricaturando
un vagheggino:
«
t'amo!
oppure
»
sia
oh, gioia!
«
basta così, ho detto: uscite!
in testa
il
«
«
che esclamasse:
ohimè!
«
»
»
si
o
gridasse:
aggiustava
cappello in una maniera che anche
— il
—
—
cappello pareva
—
14*
mi
passi l'espressione
si
esprimere nella sua posa
role di
senso delle pa-
il
Tàbarrino.
£*?
Tàbarrino era religiosissimo.
Faceva abitualmente
però.
nelle varie famiglie ove
il
A modo
suo,
tre pranzi al giorno
suo
parassitismo
si
era abbarbicato, e a tale scopo teneva in apposito
taccuino diligente nota de' suoi anfitrioni.
Era un simpatico chiacchierone, quattro ciarle
volentieri a fare
ma
incontrava per via;
nel
e
si
tratteneva
allorché
tempo
avveniva un fenomeno singolare.
di
lo
si
quaresima
Se
quel
in
periodo dell'anno incontrava per strada qualche conoscente, non
si
a chiacchierare,
ma
tratteneva,
come era
solito,
salutava con un inchino o
con un cenno affettuoso della mano, secondo circostanze, e tirava via.
Il
perchè di questo
suo contegno quaresimale era noto a conciliava e
il
il
precetto ecclesiastico
non mancare
tutti.
Egli
del digiuno
ai suoi tre giornalieri inviti
pranzo ad ore diverse, con un suo metodo gegnoso, che
però
mente
al silenzio
giuno
la
si
per
si
a
in-
costringeva necessaria-
lo la
Chiesa permette
vuole, purché
le
via. di
faccia in
Nei tempi di
di-
mangiare quanto
una
sola commi.vtio
—
149
—
vale a dire non permette che
oris,
un
solo pasto
ogni ventiquattro ore. Tabarrino, per non trasgredire questo
precetto,
quando
si
levava dal
suo primo pranzo, aveva l'avvertenza di portare seco qualche boccone, che strada facendo con-
tinuava a masticare adagio adagio fino a che fosse giunta l'ora del
secondo pranzo, ed
tanto faceva nell'intervallo tra e
il
terzo.
mava meno invito
todo, leggi,
Quando
il
altret-
secondo pranzo
poi, nei giorni
che
egli chia-
un quarto straordinario, continuava collo stesso mefacendo sempre, in omaggio alle sacre un solo pasto al giorno. disgraziati, gli capitava
rftè)~
r,r,,c,v-p>--p
XXV.
TAETAGLIA
Tartaglia rappresenta un domestico ciarliero che,
non potendo venire a capo
di
pronunciare
una parola senza inciampare, va continuamente in collera
meno
con se stesso e contro
è grosso e grasso.
scondono
Nulla-
gli altri.
Grandi occhiali
tre quarti della faccia, e
gli na-
sebbene
si
dica coraggioso e capace di affrontare la collera di
un
elefante, al
scondersi
menomo rumore
corre a na-
nell'angolo più remoto della casa.
Creato, a quanto dicono, dal Beltrami di Verona, nel 1630, epoca in cui
Scapino
e Mezzettino
maschera,
i
domestici
Tartaglia, per segno
non adottò che
come
cominciavano a deporre
gli occhiali bleu,
la
caratteristico,
senza
i
quali
non poteva recitare. Faccia sbarbata, testa calva
—
151
un cappello rotondo
e coperta di
e calzoni
verdi
o giallo
:
listati
per traverso di striscie
bianche e scarpe
calze
tale fu sulle
Ma, come
tutti gli
di feltro gri-
percalle, mantello, abito
gio, largo colletto di
gialle,
—
bruno
di cuoio
prime Tartaglia. altri,
subì non poche mo-
moda. Nel 1750, Fionapolitano, aggregato alla compa-
dificazioni suggerite dalla rillo,
attore
gnia Sacchi
e
quale
pel
Carlo Gozzi scrisse
parecchie commedie, rappresentava questo per-
sonaggio in calzoni corti ed in berretto poi la forma degli
Tartaglia, levò
le
dando
;
Scapino a quelli di
abiti di
liste gialle
ed ornò
la
sua
livrea di alamari d'argento.
Tartaglia faceva ordinariamente
le
parti di
notaio, di birro, di procuratore, di giudice.
Com-
pariva quasi sempre all'ultima scena, in tempo, spesso, per salvar la
Una
volta,
perchè
commedia da una caduta. una commedia piacesse,
bastava che, allo scioglimento,
il
tiranno fosse
punito, che Fiorinolo sposasse la signora Rosaura e Arlecchino la cameriera.
Nelle baracche dei teatri napolitani,
burattini
Tartaglia
e negli infimi
ricomparisce ogni
tanto e fa sempre la sua figura.
-
L62
^ Tartagli (i. trattante, mi richiama alla
una mia recente
visita alla Certosa
il
i
memoria San Mar-
che di quel meraviglioso
tino, e la illustrazione
luogo ha dettato
ci
più simpatico dei napolitani:
Salvatore Di Giacomo.
La
Certosa di San
museo
di cose che
numentale dire, è
e
alla storia
tradizionale di Napoli, ora,
una magnifica completa raccolta
cordi patrii
:
e
un
Martino, ch'era già
appartengono
si
mopuò
di
ri-
l'arte è là dentro, in quelle sale
luminose, assieme alle ultime memorie della
cuperata nostra libertà. Accanto
Raffaele Conforti, di Silvio Spaventa, Conforti, del
ri-
ricordi di
ai
ai basti
del
Mancini, del generale Guglielmo
vede pure
maschera da Pulcinella
Pepe,
si
con
quale morì all'improvviso sulle scene del
la
la
Ma
San Carlino Antonio Petite
parte
la
più
interessante è contenuta nella sala che accoglie la ricostruzione del glorioso teatrino, col
suo pal-
coscenico popolato dal Tartaglia e dal Guappo, dal Pulcinella e dalla Servetta, dall'Amorosa e
dal Soldato svizzero,
borbonica, entrava
quale
il
in
tutte
le
all'epoca
commediole del
muro sono manifesti Luzi commetteva a un
repertorio napolitano. Al
famosi che l'impresario
ultimo,
i
Tartaglia. (1620)
-
153
— Luca Giordano
che ne dipingeva,
pittore
sedicesimo, perfino tre al giorno. stampati,
originali
copioni
i
Antonio
dello Schiano, di
Carnmarano,
del
Petito, tutto
dell'Altavilla, le fotografie di tutti carliniani,
madre,
i
ritratti di tutti
la celebre
i
il
teatro
comici san-
i
Petito
Donna Peppa,
in
manifestini
I
della loro
e-
son qui pure
nelle vetrine o alle pareti.
$& Maurizio Sand, nel suo volume
Masques
et
boufìons (Parigi, Levy, 1860), parla d'un attore italiano che sotto la maschera del Tartaglia
recitava a Parigi nel 1672.
Ecco qui una scenetta dosi moribondo, vuole
mento
;
e
un notaio per
viteur.
Arlecchino.
—
Tres hu, hu. hu, humble
— Ce
evacuer
les
Tartaglia {siede
paroles e
du ventre
Arlecchino {impazientito).
àne à l'écurie!
médecine pour !
—
Que
;
lui
,
comincia a scrivere.
an, an, an
cet
ser-
notaire là n'en peut plus
faudrait lui donner une
faire
far testa-
viene Tartaglia.
Tartaglia.
il
commedia
tolta dalla
Colb'er des perles, in cui Arlecchino, fingen-
Le
— L'an,
l'on
mene
PARTE SECONDA
AIsTBDDOTI
Quando
imperatori cristiani e
gli
scrissero dalle
arguzie
le
scene
della
le
commedia
rozza farsa italica levò saette
i
il
i
papi pro-
licenziose eleganze e
greca,
l'antica e
capo lanciando come
suoi sberleffi, e quando, più tardi, l'In-
i roghi condannando il sentimento della vita anche negli scherzi, non rimase altra voce al buon senso che quella dei buffoni. I giullari alle Corti, le maschere in
quisizione rizzò
piazza,
in veste ridicola
si
assunsero
le
parti
del filosofo e del censore.
In seguito, diradata la oscurità che avvolse il
mondo medioevale,
rinato l'amore per gli
studi,
il
il
ingentilito
il
costume,
bello, ripresi e apprezzati
teatro vero e proprio
ebbe larga
parte nella vita intellettuale dei popoli italiani, e
furono
i
nostri comici, le
maschere nostre,
— randagi
difficile
Di pose è
e bizzarri
insegnarono
getto,
ingegni, che, recitando a sog-
Francia
alla
pnr
l'arte
si
commuovere. si com-
varietà dei burloni, onde
la
antico la famiglia delle maschere, non
rimasto oggigiorno che qualche tipo degene-
rato; per la stessa
ragione che Pasquino e Mar-
non hanno più avuto motivo d'essere dal
torio
momento che
la
stampa
dacchia. Arlecchino, Stenterello
cini Ila,
cameriere,
baracche
Ma
ordine. rito e
dei
non ha più
Brighella,
— unici
famiglia —
della gloriosa le
—
del dire, del divertire, del
tutta in
158
i
coscritti e
malandati superstiti
fanno ridere appena i
ragazzi innanzi alle teatri di ultimo
burattini e nei
un tempo!...
Un
tempo, quale
spi-
E
non
quale sapienza era nei loro motti!
soltanto dal palcoscenico,
seppero
farsi
mor-
la
Gianduja, Pul-
ma anche
in
privato
applaudire ed ammirare.
$& Domenico
Biancolelli, delizia di Luigi
e della sua Corte, va
Stando
messo
egli a Parigi, era
in
XIV
capolista.
perseguitato da un
poetastro, spadaccino e prepotente, che insisteva
per fargli recitare non so che cosa. lelli, Il
Il
Bianco-
con dei pretesti, se ne tirava sempre
poetastro, alla fine,
zioni dell'artista,
fuori.
stanco delle tergiversa-
arrogantemente
gli dice: «
Sap-
piate, signore,
—
—
159
io
sono uso a temperare
che
penna con la spada » Ah, non mi meraviglio !
—
Biancolelli — che
esclamò
più,
allora
voi scriviate
sì
la
—
male.
¥&
Un
altro giorno, per le scale del Palais royal,
incontra l'attore Baron, suo rivale,
sendo grasso, saliva a stento. pure
mico dei nostri giorni suol gli
puzzava
il
dirsi)
orfano
— vale
fiato.
Ouf ho perduto il fiato Che fortuna per !
— vero
Baron aveva
Baron, fermandosi a mezza scala, esclamò
Il
«
:
quale, es-
disgrazia d'essere (come in gergo co-
la
a dire
Il
il
i
—
!
disse
il
suoi amici, se fosse voltosi a quelli
Biancolelli,
che scendevano con
:
»
!
lui.
$¥?
Luigi
XIV
proteggeva un certo Vaugirard,
autore di un'azione mimica che non aveva incontrato
— Non
il
gusto del pubblico.
Biancolelli, oggi gli
ti
presenterò a Vaugirard.
dir cose spiacevoli perchè è
un buon
uomo.
—
Maestà, obbedirò.
Ma
un buon uomo non
dovrebbe commettere cattive
azioni.
—
prop
}>
Il
come
sa,
-i
manica larga
di
che questo Vaugirard, da
lui
una pantomima
tra
—
religiosissimo
in
XIV
fatto
era,
Btima
di
—
forma d'uno
buon
ritenuto un l'altra,
perchè
tacesse
pare
un pa-
tra
difatti
l'usuraie
tempo una
suo -ira va a quel in
e
una avemaria
ternostro ed
stosa,
anche per una
persone del suo entourage, tanto vero
le
uomo,
sito
pantomimica. Luigi
punto
ragione...
—
1«30
era Sul
satira gu-
quelli entrefilets che
ili
dettero materia in seguito alle scandalose chroVoeil de
>/<
niques
circolavano per tri
le
frattanto manoscritti
e
boeuf,
Corte e
la
la
regina
li
trovava
pieghe dell'accappatoio nella sua stanza
da bagno, e
il
re sotto
suo origliere,
il
o
tra
pagine d'un libro.
]>
Traduco letteralmente. gran succo-m
con
La
Duhesne. da
Saint-Germain
In
a
Vaugirard,
reverendo
settimana scorsa egli
(|ueH'eccellente il
l'Auxerrois predica
molto
il
quale
cristfano lo
che è
padre
fu visitato il
signor
pregò che senza alcun
rispetto
volesse biasimale e mettere in abomi-
nazione
il
ordinario città.
peccato dell'usura, e
.Menti.
solito
a
che dunque
cercava d'informarsi
il
commettersi
dei
il
quale è molto nella
nostra
reverendo Duhesne
costumi e della vita
del
signor Vaugirard, venne a sapere che egli
ira
il
maggior usuraio
(die
fosse a Versaglia e
— che
gli
161
-
aveva raccomandato quel tema accioc-
ché, spaventandosi gli altri dell'orrendo peccato,
a lui solo più liberamente rimanesse l'impresa di prestare
Ma
ad usura
torniamo
».
al Biancolelli.
^4 Biancolelli odiava gli ecclesiastici.
Il
Andando un giorno ne
incontra
due,
a Saint-Germain en Laye,
si
—
:
»
Perchè no?
Ma
voi,
Quelli risposero d'essere
Compagnia
—
Quale
Compagnia
i
tali
dei tali della
Gesù.
di
—
?
scusate, chi siete?
di
replicò
il
—
Biancolelli
Gesù bambino o
della
Gesù morto?
eli
Sapete bene che Nostro Signore bestie,
strada
e,
li
preti gli
i
sapere con chi
versare?
a loro,
fa ridere. Al momento domandano « Potremmo abbiamo avuto l'onore di con-
facendo, chiacchiera e di separarsi,
unisce
è
nato tra due
ed è morto fra due ladroni.
Erano
antipatici al Biancolelli
anche
i
finan-
zieri.
A
lui si attribuisce
de mots.
Ma
pure questo terribile jeu
per comprenderne bene
il
signifi-
cato, bisogna ricordarsi che la ruota (roue) era, 11
—
G. Petru.
— a quei tempi,
162
-
supplizio cui venivano condan-
il
nati gli assassini.
Le
«
financier est un
lnumne
qui, place d'abord deridere la carrosse, s'v est
introduit en évitant adroitemenl
roue
la
».
$¥:
Baron, invidioso della fortuna che godeva
Il
—
a Parigi Arlecchino lelli
— insisteva
ossia
nostro Bianco-
il
XIV
presso Luigi
affinchè gli
ordinasse di non recitare che in lingua francese,
modo,
sicuro che, in tal
il
prestigio delle fa-
cezie arlecchinesche avrebbe perduto l'ottanta
per cento.
Re Luigi
li
mandò
a chiamare entrambi, e
dopo aver ascoltato le ragioni credeva d'aver guadagnata la
Baron che
del
propria causa,
disse al Biancolelli di esporre le sue.
Questi
fc
un
ad
Vostra Maestà
tratto
mi
parlare in italiano ?
E
—
il
ma, dette poche parole,
incominciò,
s'interruppe
re a lui
Quand'è
:
e
domandò
permette di
al
re
:
seguitare a
»
Parla come vuoi
«
così,
ho
vinto
!
—
».
esclamò
il
Biancolelli. Difatti,
preso
disdire ciò che lelli
tuna.
al
laccio, Luigi
aveva promesso.
XIV E
seguitò a recitare in italiano
il
non potè Bianco-
e a far for-
—
163
¥& Un'altra volta, il
il
Biancolelli
si
reca a visitare
suo augusto mecenate.
Le Eoi Soleil
è a tavola.
Nonostante,
suo Dominique, senza complimenti, ciare
e,
mette a
ammesso
tosto alla
fa
si
il
caro
annun-
presenza,
real
si
con ostinazione un piatto d'ar-
fissare
gento pieno di pernici. re se ne accorge e elice a
Il
dato questo piatto a Dominique
un servo
:
«
Sia
».
— Come? — esclama questi — Vostra Maestà
mi
regala
troppo
Luigi
anche
il
piatto
Oh,
pernici ?
e le
ma
è
!...
le
XIV
mise a ridere e
si
fece dare
gli
pernici.
$&>
La
maggio 1716, la compagnia di Luigi Riccoboni, andava in scena al Palais Eoyal con la commedia Arlecchino buffone di sera del 20
Corte, protagonista l'attore
Già era avvenuta
la
Tommaso
attori francesi e gli attori italiani il
re
;
non aveva voluto rimangiarsi
non per questo eransi potuti
i
Vicentini.
nota questione
francesi
acconciare
e
i
loro
all'astuta
fra
gli
tuttavia se la
parola,
partigiani vittoria
di
—
164
—
Dominique. Protestavano anzi che
non
Biancolelli
al
fatta
intendere
XIV
Luigi
più che
tanto
estesa ad altri,
concessione
la
doveva
si
era
morto.
dunque
Burrascosissima
sera
quella
fu
di
maggio.
Non
come,
sa
si
riuscì
a
qualcuno
anche un somaro,
trare in teatro
sendosi posto a ragliare, quel
Ognuno
dire.
Vaugirard
tal
da un palco
cui ho parlato, gridò
«
:
esprime come sa
si
Cominciata poi
».
del teatro francese fischiavano; se
francese, fischiavano
dama
lingua italiana. Ogni
avendo voluto in
se,
di questi tori Il
si
Vi-
i
partigiani
il
Vicentini
professori
di
buona società
chiamano
fauteils,
potete supporre se
signori,
uno
fischia-
i
fossero numerosi.
Vicentini immaginò di contentare
e gli altri con un gergo italiano,
ma
generale fare
della
il
palchetto, o accanto a
suo
nel
quelli che oggi
i
di
Lasciatelo
rappresentazione, se
la
centini (Arlecchino) parlava italiano,
parlava
far en-
di
quale, es-
il
?...
e
allora di
il
Arlecchino,
ai lumi, e
concerto dei
tutt'ad i
provvisando dice
:
un
compagni,
con quella cultura
posseduta allora da
sibili
e
uni
mezzo
divenne
accordo meraviglioso. Che
un
rompe, manda via
mezzo francese
gli
tutti
i
e
tratto, s'intersi
avanza
fino
con quella verve
nostri comici, im-
—
—
165
Signori rispettabili, se mi fosse permesso
Una
piccola favola vorrei contarvi adesso.
Monsieur De Lafontaine avendola dettata Bisogna che in francese sia da me recitata.
E et
recitò la nota favola
Vane. Indi soggiunse
Avete voi sentito
Veniam Io sono
?
il
figlio, e
E
t'intendono.
italiano, dicono, se
spirito e la grazia;
t'
ho
il
dovere
se ciò vi fa piacere.
....,
gli uni: Arlecchino, devi
Parla
ftls
Ora, all'applicazione
molinaro, son suo
Le dame non Lo
Le meunier, son
del noto apologo per veder chi ha ragione.
D'essere pure l'asino
Dicon
:
:
parlar francese,
quei del mio paese:
perdere non vuoi
'applaudiremo noi.
10 desidero invece l'applauso prodigato
Da Ho Ma Per
Né
11
quanti per entrare qua dentro hanno pagato.
mascelle italiane perchè son milanese, il
pane che manduco è farina francese... non vorrei disgustare patria né l'ospite come debbo parlare
carità, signori, la
;
pubblico, commosso, dette al Vicentini la
stessa risposta data altra
da re Luigi. «
?
Una voce
Arlecchino, parla
piacere!
»
come
volta dalla
al
Biancolelli
platea rispose
vuoi, ci farai
e tutti applaudirono.
italiana seguitò a far la delizia
:
sempre
La commedia dei
parigini e
dei forestieri che vi accorrevano in folla, e datò
da quella sera
la celebrità del Vicentini,
il
solo
Arlecchino degno di succedere al Biancolelli.
—
—
166
£K-
Le commedie sapevano
Toccava
quelle
dialogo
il
motivo per cui
dovevano
esser uomini e
forza
e scor-
metterci dentro
quello che mancava,
per
—
trama
frivolo
interpreti
agli
scritte
generalmente. La
di pochino,
era roba da nulla: retto.
—
d'allora
comici
i
donne
di
spirito.
Anche
Vicentini
il
lo
tanto sul
era, difatti,
palcoscenico che fuori.
Una
volta dette una piccante risposta ad un
avaro famoso che
bacco degli Il
per non consumare
altri
Vicentini,
con
stava annasando.
dendo
—
la
attaccava persino
si
la
L'avaro
gli
si
ta-
proprio.
il
tabacchiera
al
mano,
in
accosta sten-
mano.
Oh, anche
prendete
voi, signor Vicentini,
tabacco ?
— E
No,
io
non
lo
prendo
lo
;
compro.
chiusa la tabacchiera, se la rimise in tasca.
$& Tra coli
i
fa,
randagi commedianti celebri per
il
italiani di
due
se-
loro spirito e per le loro
stravaganze, Angelo Costantini, detto Mezzettino, è
una
vendo
delle figure più bizzarre ed originali. Viegli però in
un
certo
tempo
in
cui ai
—
-
167
potenti ed ai ricchi, da lui preferibilmente tar-
ogni cosa era permessa,
tassati, le
sue facezie
Un le il
gli
mostrava un giorno
gli
proprie cicatrici dicendo Il
E
—
La
;
proprie
le
mia
tutto ciò per la
« e
chi è la vostra regina ?
Verità.
la verità
tre volte infatti
pre
:
ciò per
e tutto
»
—
Ma
«
:
Costantini gli mostrò
lividure rispondendo
Regina!
sue satire e
costarono salate.
vecchio soldato
mio Re !»
le
non si
si
può sempre
dire.
Due
o
tentò di farlo tacere per sem-
in qualche altra circostanza le vittime del
suo spirito
come
si
contentarono di farlo bastonare,
fece a Venezia la contessa Sofia
Campo-
donego. Vuoisi che, sotto
nomi del
d'uno dei più bei
l'egida
patriziato veneto, questa signora con-
ducesse vita licenziosa. Essendo morta, a quei
una celebre cortigiana,
giorni,
le suppellettili
La
all'incanto.
preziose di
Costantini,
Il
esclamò
«
:
che
tamente a prezzo di costo
Benché solenne abito,
tale
si
di
lagnò ad alta
non so che og-
trovava presente,
si
Questa signora
lo
preferirebbe cer-
».
spiritosaggine gli
bastonatura,
il
ed a qualcuno che
Costantini lo
le vesti,
furono vendute
contessa Sofia
voce del prezzo esorbitante getto.
gioielli,
i
lei
una mutò
costasse
non
interrogò sulla sua
— avventura, rispose:
n;8
—
Una
»
volta
Circa
e
1674
il
troviamo
lo
rum
diseva
»<
so mare, adesso bisognerà dir rara so fia »
(Sofìa).
Roma.
a
Monsignor Facchinetti, prelato di vita allegra favorito di papa Clemente X. lo prende a ben
volere e se ne fa una
Costantini però
si
specie di
segretario
il
;
permette degli scherzi salaci
sul conto del suo padrone, e questi lo piglia in
uggia e
bene
licenzia. Allora
lo
di recarsi a Parigi
il
e
Costantini pensa
buon
per
decide presto ad andarsene, perchè
si
chinetti
aveva dato l'ordine
La
ragione era
dir
corna del
Roma,
tutta di
;
di
il
tanto che
dicci
il
Fac-
arrestare.
seguitava
Costantini
Vaticano e di
un barbiere,
lista
che
di farlo
che
lui
un giorno,
nella bottega
essendogli stata mostrata una
nuovi
cardinali,
primo dei quali
era Monsignor Facchinetti, esclamò ridendo
—
Come
a
Monsignore per
dieci'?
Qui non veggo
scritti
:
che
nove nomi.
—
Ma
—
Dieci
?...
fosse
il
nome
no, contate; sono
Ah, scusate, credevo che titolo
della
il
pi-imo
lista.
Arrivato a Parigi, prima
Domenico
dieci.
in
concorrenza con
Biancolelli {Arlecchino) recitò anche
— sotto questa
lui
169
—
maschera dal 1680
morto poi l'insuperabile Dominique,
1688;
al il
Costan-
tini, persuaso di non poterlo far dimenticare, comparve al pubblico del tkéàtre des italiens nella nuova veste di Mezzettino ebbe accoglienze ;
straordinarie e diventò
il
beniamino
e della sua Corte, tanto che
portava seco a caccia,
di Luigi
XIV
Re, sovente,
il
facendolo
lo
sedere alla
propria tavola e dicendolo una delle pochissime
persone che non
lo
annoiavano.
Fatta fortuna e divenuto capocomico, Mezzettino,
volendo togliere molti abusi, un giorno
presenta la
al
suo augusto protettore
si
domandando
soppressione dell'ingresso gratuito a cui ave-
vano
—
diritto
i
paggi della Maison du
Dio, esclamò
che posto pigliano
— font
Domando un volume
il
voi.
Re, sono tanto piccini!
?
perdono, Sire: plusieurs pages !
Piacque tanto a Luigi questa risposta, che subito accordò la soppressione.
¥& Fino dai tempi di Molière, del
ma
soppressione era stata accordata, volta era tornato in vigore i
paggi di Sua Maestà,
guardie del corpo,
i
ma
resto,
l'abuso. i
questa
a po' per
Non
solo
moschettieri,
gendarmi,
i
le
cavalleggeri
-
ITO
—
entravano
e la platea
era
Il
alla Comédie senza pagare, sempre piena di questi signori.
Molière,
per primo, ottenne un'ordinanza in forza della
quale nessuna persona della entrare
poteva
casa
real
senza pagare.
teatro
in
Ma
i
suddetti
» come si chiamano oggi, ne troupas bon che commedianti facessero loro imporre una legge sì dura. Veduto in ciò un affronto, uno sfregio, più litighini ammutina-
«
portoghesi
vèrent
i
i
ronsi e risolsero di forzare l'ingrosso.
Una
data sera,
infatti,
gliano a scapaccioni il
recansi al teatro, pi-
custodi
i
e a piattonale
portinaio che tenta di resistere,
obbligato a cedere propria
spada,
disarmare
la
al
numero, con
persuaso,
loro collera.
tutti
che poi, loro
pover'uomo
Il
la
questo atto, di
gannò, perocché quei forsennati dosso
ma
gitta
gli
s'in-
furono ad-
insieme tempestandolo di colpi sino
ad ucciderlo;
non contenti,
'e
gare qua e là per cercare
i
si
dettero a fru-
comici e far loro
fare la line del portiere. L'attore Bejart, truc-
cato da vecchio per la sera doveva
allegramente
—
diss'egli
commedia che
in
quella
rappresentarsi, coraggiosamente e
presentò alla ribalta: «Signori
si
—
risparmiate
almeno un povero
vecchio di settantacinque anni che non ha più
che pochi giorni da vivere
Tale tratto di
spirito
di
».
Bejart,
che
tutti
sapevano essere giovanissimo e del suo trucco
—
ITI
-
avere profittato per mandare li
fece ridere e calmò cosi
A
subentrò
Bejart
la
il
cosa in burla,
loro furore.
Molière, e
a ritirarsi
—
tenne
questi
ammutinati un discorsetto che
agli
li
persuase
:
Signori, disse loro, lo sapete che questa
«
mia? che Sua Maestà mi onora del titolo d'amico, e che quando si degna di venire al è casa
mio e
paga per sé l'importo di cento posti? Sua Maestà lo scandalo di stasera
teatro,
a
Riferirò
—
che
sibile
la
commesse sieno quali componSua Maestà, né tampoco dei
violenze
le
opera delle
di
state
persone
distinte
Casa
farò rendere
vi
Perchè non è pos-
Sicuro, giustizia!
giustizia.
gono
—
soggiunse con enfasi
le
valorosi signori moschettieri, e delle benemerite
guardie del corpo, e degli eleganti cavalleggeri.
dubbio
tratta senza
Si
qualche miserabile
di
nome
che ha abusato del vostro bandoulière. Entrare è
alla
e della royale
Comédie senza biglietto
una prerogativa da straccioni cui non possono
aspirare gentiluomini pari vostri.
Si
tratta di
economizzare quìndici soldi !! ! Lasciate che di ciò approfittino
e
i
poveri comici degli
poverissimi poeti.
un ordine
bidire a
non
i
si
discutono,
teatro, vi
saluto
l'armata!
»
di e,
Vi esorto
Sua Maestà,
altri teatri
fine
in i
ad ub-
cui decreti
chiudendo per stasera
gridando
:
viva
il
Re
!
il
viva
— Solo
uomo
un
dell'eloquenza
di
—
172
dell'ingegno, dello spirito e
Molière poteva
spirazione per un discorso
—
il
Avrei voluto
re a Molière.
pure
un
buon
che
forse,
per
come
sentirti, disse
Dunque
trovare
l'i-
questo. il
giorno dipoi
è vero, saresti riuscito
Ed
avvocato?
è
questa ragione tu
anche vero,
un gran
sei
commediante.
£^ Ma
torniamo a Mezzeitino.
Questi, una volta,
Agnau
reca dal duca di Saint-
si
a ritirare la ricompensa
che
signore gli aveva promessa per una dedicatagli
se
;
non che, giunto guardia
palazzo, lo svizzero di il
munifico
il
commedia
alla porta gli
del
impedisce
passo. Il
povero Mezzettino, costretto
a
palesargli
il
motivo per cui veniva a trovare il duca, promette allo svizzero di donargli una terza parte di quello che riceverà
;
ma
dello scalone, che
conduceva
maggiordomo
ordina
il
gli
ai
primi
gradini
agli appartamenti,
di
andarsene imme-
diatamente. Mezzettino.
per
acquietar
quel
cerbero,
gli
promette un alno terzo di quello che avrebbe avuto.
Ma non
giordomo,
i
è
finita
ancora.
Dopo
il
mag-
servi dell'anticamera. Altro intoppo,
— E
altra promessa.
173
—
finalmente, eccolo in presenza
del Saint-Agnau.
—
Signor duca, per carità, regalatemi cento
bastonate
—
!
esclama
il
commediante, gettan-
dosi ai di lui piedi.
—
E
—
perchè
Perchè
?
fanno un intero, e zero
tre terzi
moltiplicato per zero fa zero. Il
duca naturalmente non capiva. Mezzettìno
E
si
spiegò.
il
maggiordomo
allora
il
e
i
«
:
Ecco
lo svizzero,
una scudisciata a
loro presenza data
disse
duca, chiamati
servi dell'anticamera, e in
Mezzettìno,
premio che spetta a questo im-
il
portuno e sfacciato istrione che avete venire
qui
fin
e
;
venire facendovi
siccome ce
lo
lasciato
avete lasciato
promettere una
parte
della
sua ricompensa, intendo che egli mantenga la
promessa l'obbligò
E
».
passato
lo
dare una
a
scudiscio a Mezzettìno
scudisciata
a
ciascuno
dei presenti. Il
giorno dopo faceva poi pervenire un ro-
tolo di cento luigi alla zettìno,
il
quale, senza
tenere l'intera
Anche le
la
parti di
spirito.
somma
moglie
moglie del bravo Mez-
mancare per
alla parola, potè
sé.
di Mezzettìno,
che sosteneva
Colombina, andò famosa per
il
suo
-
-
171
Francese puro sangue, era stata raccolta dal Costantini negli infimi strati della società pari-
gina; egli
ne fece una
teatro,
iniziò al
la
china pelo,
Amanda ma non
(si
chiamava
vizio
il
in
il
sostanza, ciò
che era stata sempre, una donna facile
come
giunta, alcun poco sfacciata,
biri-
perdette
così)
rimase
;
stella
La
di quei tempi, e finì con lo sposarla.
per
e,
apprende
si
dal seguente aneddoto.
Un
certo
commediante
averne commesse ostentava
non
gli
di
tutti
si
era tatto frate
massimo fervore
il
da
colori, e,
i
impediva ogni tanto,
religioso,
dopo frate,
che
il
col pretesto della
fermarci»
questua, d'entrare per
le
e di ubbriacarsi
un giorno, apposta o per
combinazione, radunarsi
i
capitò
osterie, di
quella
in
ove solevano
comici del Costantini dei quali era
vecchia storia
San Luigi
che
così
compagno. Trattenutosi ad ascoltare una
stato
di
;
il
in
cui ricorreva spesso
re di Francia,
il
frate,
il
nome
ogni volta
narratore pronunziava questo nome, tutto
compunto, togliendosi
la berretta,
alzava
si
in
piedi.
Amanda, cos'è
sciamo bene
—
esclamò
impazientita,
questa
buffonata*? !
:
«
Smettetela,
Ma vi
che
cono-
»
Vous ne savez pas, alora
que tiaint-Louis
est
mon
quand on parie Je /"i-j
— disse
jiatron. 1
'
me
lève.
Je
le
l'altro
—
vènere,
et
-
—
Tìens,
e est
175
drdle
-
—
quand on me parie de cinq
Amanda
ribattè louis,
me
je
—
conche.
¥& Figure
grottesche e terribili,
domonti dai mustacchi
irti,
dai
portentosi ro-
nomi
altisonanti,
chiamavano
Coccodrillo,
Spezzamontagne, Capitan Spaventa,
Martello ne.
invadevano
le
scene. Si
Escomborbardon
Basilisco,
Costoro, rinnovando
alternavano
gare
la
tipo del miles gloriosus,
loro spacconate dirette a fusti-
prepotenza del soldato mercenario con che Arlecchino, Brighella, Pantalone
le sferzate
e
le
il
Papirotonda.
della
compagni suonavano mettendo
avvilita,
in
sulle spalle della plebe
salutare
rilievo
la
sua
abbiettezza.
Frugando
nelle
memorie
di quei tempi,
quante
piccanti scenette e graziosi motti e satire arae-
nissime
ci
sarebbe da rimettere
un volume, né due,
ma una
in
luce
vera
Non
!
biblioteca
potrebbe pubblicare. Molto di quel
umoristica
si
sale, oggi,
non
frizza pia, questo è vero, troppo
essendo cambiati
gli
uomini ed
i
costumi
spigolando accuratamente, pazientemente,
;
ma
si tro-
verebbe sempre qualche cosa che serba ancora un certo sapore, senza contare che di questa
roba parecchia è stata presa, per originale.
rifritta e
gabellata
—
—
176
Ecco, per esempio, un
parere
Stenterello
di
sulle doiiin-:
Donna
«
ciarliera
bizzosa
e
cosa; donna muta e silente è
fuoco:
giammai
donna
clic
parla
assai,
non
per/
sanare
un
seno
in ti
fidar
».
Volete un rimedio
innamorato lanzon
un ac-
di
poco asconde
cidente: donna che parla il
peggio d'ogni
è
peggio
e
Ve
geloso?
lo
dà
il
vecchio
Dottor Ha-
:
Recipe Ugna roverorum, longitudinis duo-
«
rum cubitorum, Fasciculi
questo
latitudinis
funari
ungigli
quantum
una
ben
quatuor digitorum.
spalle
le
e
con
far
del
sufficit,
in
sul
antequam gallus incipiat cuccurucù. un brodetto di scappellotti, posi prandium Ante prandium una tisana di pugni manipolati secundum artem. Ante e post coenam, un cataplasma ai piedi, applicati vehementer alle parti
giorno,
deretane, e se
questo
non
basta,
gli si
cavi
sangue dalla testa col matterello, ossia legno da tirar la pasta.
Questo è il rimedio sol Tal lo lasciò Bertoldo
elio
adoprax puoi,
ai figli suoi ».
medesimo Dottore dava anche
Il
dei consigli
Vuoi star bene un momento? Bevi freddo. Vuoi star bene un'ora? Pranza a casa tua. Vuoi star bene un giorno? Fatti far la barba. Vuoi utili
:
«
— star
—
177
Va
bene una settimana?
al
star bene un anno? Ammogliati. la più incerta, perchè, la
tignuola rode
ganno, e
il
il
prima
panno,
di la
bagno. Vuoi
Ma
questa è
terminare l'anno,
moglie trova
cranio del marito ne patisce
il
Pantalone, Meneghino, Cassandrino, tacca, Stenterello
l'in-
danno
».
Meo Pa-
erano altrettanti sputasentenze.
Ecco qualcuno dei loro aforismi Pantalone: « Le cose vecchie sono :
l'uomo
legna vecchia
:
utili
per
da abbruciare, cavallo
da cavalcare, vino vecchio per bere,
vecchio
cacio vecchio per condire, moglie vecchia per
governare
la casa,
così guasto che
vendemmia
Non
ecc.
non
si
trova canestro
si
adoperi almeno per la
».
Meneghino
«
:
Bisogna esser malinconici
in
apparenza ed allegri in sostanza come vedove; parer poveri ed esser ricchi in
mercanti
falliti
;
cattiva
come
come
medici; trovar
i
casa
come
i
dar buona mostra e mercanzia
sensali; trovare
il
bene nel male
come mediatori girar con profìtto l'abbaco come i tutori, e aver l'abbondanza nella carestia come i
i
i
pace nei
la
litigi
;
fattori.
Questa
Che
è filosofia
nuova
e corrente.
fa star sani e lavorar
Cassandrino:
«
Pane
il
di ieri,
dente
».
uova d'oggi,
carne d'un anno, vino di due, pesce di tre anni e
donne che non arrivino 12
—
Pktb.u.
ai venti
anni,
— Son vivande iVn/.i
che
Anche
contenti
vecchietti che
ni
Meo Patacca: di
fan passar yli affanni,
clie
—
178
La discordia
»
messer Diavolo
giorno d'eclisse,
han perduti è
un paese
in
i
denti
nata per opera confine,
«li
cane e
di gatto, allevata
da una nuora
che
«li
tutto
:
«
I
più fortunati al
l'uomo senza moglie, gatto del cuoco,
mamme delle
le
il
:
».
mondo sono
cane del macellaio,
galline del
ballerine
il
cattivi suonatori, perchè
imparasse a non andar mai d'accordo Stenterello
faccia
la
da una suocera e
facevano stare
la
giorno in un'orchestra
un
un povero giovine che
figlia di
sposò una vecchia di settantanni, con di
».
mugnaio
e
il
le
tutte bestie che in questo
mondo non mancano mai
di niente
».
£K Nell'argomento
di
una
coni inedia
intitolata
/ Capricci di Rosaura, la quale fu rappresentata la prima volta al Petit Bourbon di Parigi nel 1658, è detto che essa doveva essere accompagnata aree des plus agréables
et
décorations, changements de théàtre
magnifiques et
machines, et
mu-
comici
ita-
entremèlées ù chaque ade de hall et, vers sique. Qualche tempo dopo però liani fu
proibita la musica.
ai
Una a
un
—
—
sera Arlecchino entra in scena a cavallo
asino, e l'asino
si
Tacete, insolente!
musica non
la
179
mette a ragliare,
—
dice Arlecchino
—
è permessa.
ci
Nella stessa commedia, Arlecchino vien con-
dannato a morte. gli
concedono
—
per grazia speciale,
I giudici,
di poterne scegliere
—
In tal caso
risponde
lui
il
—
genere. scelgo di
morir di vecchiaia.
$& Riflessione di Arlecchino ubriaco: Si dice che
come venti e
un bicchiere
di vino
va, allora, che io ne ho
non mi reggo più
dia forza.
bevuti quasi
in piedi?
¥& Arlecchino re per combinazione era una delle
poche commedie Il
scritte
e
repertorio delle maschere
tutto
di
volgari,
scene
ma
a
soggetto,
delle si
più spiritose.
componeva quasi
piuttosto
scipite e
quest' Arlecchino re, di cui era au-
tore Luigi Riccoboni, continuò a incontrare
gusto del pubblico
essendo
stato,
tino quasi ai
il
tempi nostri,
per ultimo, ridotto e riprodotto
da Giuseppe Moncalvo,
il
celeberrimo Mene-
ghino. Originariamente, oltre ad Arlecchino, vi
ISO
—
avevano parte Brighella,
il
-
e
Ed
Metaettino.
motti
Capitan
ecco alcuni
fra
Spaventa
più graziosi
i
questa commedia.
«li
Brighella incontra Arlecchino con una grossa
"Che
pietra sotto braccio.
codesta?»,
cos'è
^li
domanda.
—
Niente.
Il
campione duna mia casa che
voglio vendere.
— —
Mi
rallegro. Sei diventato proprietario?
Si,
ho avuto
di perdere
—
—
E
mio
di che
la
fortuna d'aver
la
disgrazia
zio.
male
è
morto tuo zio?
D'una malattia molto semplice:
dal dispia-
cere di vedersi impiccato.
Anche
Mezzettino porta sotto
il
mantello qual-
cosa che cerca di nascondere premurosamente.
—
Cos'hai costì sotto?
—
gli
domanda Ar-
lecchino.
—
Un
pugnale.
Arlecchino, accortosi
beve
tiglia,
Mezzettino
—
tutto
il
invece
vino,
che è una bot-
eppoi, rendendola a
:
Tieni
—
gli
dice
—
ti
faccio grazia del
fodero. Infine,
il
una donna
Capitan Spaventa, che ha per moglie di
condotta un po' equivoca,
si
pre-
senta ad Arlecchino, divenuto re per combinazione,
—
domandandogli una fortezza da governare. risponde sarà mai possibile
Ma come
—
181
—
Arlecchino tezza,
non
se
—
che tu custodisca bene una sei stato
buono
for-
a custodire tua
moglie?
$& Lo Zannoni certa
aveva prestata una
(Brighella)
somma ad un
cui rassomigliava perfettamente. della scadenza,
proprio dovere scrisse.
un Venuto
tale, fratello di
verso lo
Zannoni.
Questi
L'altro non rispose. Allora lo
andò a trovarlo.
due
I
fratelli
giorno
senza fare
debitore partì
il
tal altro il
il
gli
Zannoni
abitavano nella
stessa casa.
Alla donna che
lo
ricevette, lo
Zannoni do-
mandò-
— — — — — — — —
— — —
C'è
il
signor Grilli?
Quale volete? Roberto. Si
chiamano Roberto
tutti
e due.
Voglio l'avvocato.
Sono avvocati Quello un po'
Sono
tutti
e due.
losco...
loschi tutti e due.
Quello ammogliato, insomma.
Sono ammogliati
tutti
Quello cornuto, allora
zientito lo
Zannoni.
e due. !
soggiunse impa-
-
—
Ali,
-
182
ho capito! rispose
E
donna.
la
se
ne
andò.
Di
lì
Grilli
dicendo:
moglie
vi
benedetta
comparve
momento,
un
a
«
Scusate, caro amico, se mia
ha tatto tante
dimande.
rassomiglianza con mio
nera talvolta
i
signor
il
Ma
questa
fratello ge-
più spiacevoli equivoci!
»
£Kr
Spacconata del Capitan Spaventa oso guardarmi nello specchio,
mato; faccio paura a
me
Io non
«
:
quando sono
stesso
ar-
».
543
Pantalone e Arlecchino davanti a una statua di
donna.
Pantalone
—
Che
bella
donna
!
Arlecchino — Perfetta manca che Pantalone — Non Arlecchino — E per questo che !
gli
la
è
parola!
perfetta!
£K-
Colombina tanto in
(a
un seduttore)
—
Mio manto
buona fede! Non sarà mai che
presti ad ingannarlo... a sua
insaputa.
io
,'
mi
—
183
¥& Facanapa
E Facanapa
cappello.
cendogli
è ubbriaco. Gli
:
Se
"
io ti
E
sei
il
rivolge al cappello di-
si
raccolgo ; cado. Se
mi raccogli? No.
tu
casca di testa
dunque
resta
io
cado,
lì
dove
».
5^ Tartaglia (a Pasquariello)
morta vostra moglie Pascai- ietto
—
bene, poveretta Tartaglia
vata fon
— Di
che male è
?
Di
gelosia.
Mi voleva
tanto
!
—
Come
di gelosia?
Ma
se fu tro-
la testa rotta!
Pascariello
—
nella strada. In
Sicuro. Io ero alla finestra,
un momento
cadere una gelosia sulla
di
rabbia
lei
le lasciai
testa.
S4£
Tiberio Fiorelli (Scaramuccia), se
come
artista
ebbe molta fortuna, come marito fu disgraziatissimo.
Un
Ma
sapeva
pigliar... la
cosa con spirito.
petit -maitre, frequentatore
volendo una sera badiner
il
della Comédie,
pò ver
uomo
a pro-
posito delle sue disgrazie domestiche, gli gettò
— sulla
—
un paio
Bcena
dando
di
corna
«ti
capriolo,
gri-
:
Raccattate
'Scaramuccia la
184
vostre corna.
le
prese,
le
dopo
e,
essersi tastata
fronte, le ributtò al petit-mattre.
—
Io ce l'ho
— disse. —
Saranno
le
vostre.
£K Meneghino incontra
—
Come va?
—
Andrebbe bene
—
la
sua amante.
dice
lei.
se avessi un po' Sopraggiunge un terzo personaggio,
di
pane.
il
terri-
bile Basilisco, rivale di Meneghino, che piglia a
bastonate
—
lui
e
gli
pinta
via
Voglio vendicarmi!...
—
lei.
grida Meneghino,
—
quando Basilisco si è allontanato. Egli mi ha mezzo pesto; io finirò di ammazzarmi, e così Basilisco andrà in galera.
E
sceglie
come genere
di
morte
di...
man-
giarsi vivo.
£K Monologo la
di Arlecchino,
che tesse
—
Mi chiamo Arlecchino vengo da una famiglia antica ai
al
pubblico
propria biografia.
tempi
di
Nerone.
Sbruffardelli
e
tanto, che risale
SbrutVardelli,
primo del
— nome,
—
185
ma
salsamentario,
era
che Nerone
mangiare
non
salsiccie se
mandava
ratore gli
andava a caccia
—
dere
di
gatti
gran capitano, stagna,
il
;
—
dice Tito Livio
Da
fatte
il
L'impe-
lui.
ma non
può
si
cre-
che ottima salsiccia
mio proavo con
Sbruffardelli
ragazza
da
non voleva
dei maiali, e lui, la notte,
di maiale sapesse fare di gatto.
eccellente
così
nella sua professione
nacque
carne
la
Fricocola,
quale sposò madamigella Cadi
temperamento
che
vivo
sì
mi partorì due mesi dopo il suo matrimonio. Mio padre ne fu beato., ma non potè godere a lungo
la gioia di
questa unione, causa
cature che gli davano
pover'uomo
le
le
sec-
genti di Giustizia.
Quando
era compitissimo.
Il
incon-
trava qualche galantuomo sulla sua strada non
mancava mai di notte,
il
di levargli
cappello e
il
il
cappello,
trovò a ridire su questo eccesso dette ordine d'arrestarlo.
ho più avuta notizia di
Da
lui,
fatto cavaliere.
sempre perseguitato una
andò
la
quel tempo
altro
Ma
che
il
non
giorno
Invece do-
la disgrazia
ha
nostra famiglia. Io stesso,
volta, fui accusato di furto. la cosa... Il
se era
Giustizia
di cortesia, e
in cui, per equivoco, fu appiccato.
veva essere
e,
La
mantello.
Ed
ecco come
mio padrone mi aveva man-
dato a fare una commissione. vicolo molto stretto,
Andando per un
trovai un cavallo
che
lo
sbarrava trasversalmente. Faccio per passargli
di
—
dietro e mi gridano:
calcio! «
186
Attento che
stretto,
Bada,
«
Voglio passar davanti
».
morderà!
ti
ti
e
mi
Metto
scavalcare,
pi*
il
ma
tl<*
ceco
una
in
clic
dice:
bì
Sono dunque
».
per non esser morso o storpiato,
di sopra.
un
tirerà
staffa
per
sto
e
cavallo
il
co-
passar
a
piglia
la
corsa e mi porta a venticinque leghe di distanza.
Vi domando
se questo
io
cavallo; eppure, se
non
cora.
si
chiama rubare un
per tale innocentissimo
scappato di prigione,
fossi
Ora eccomi qua
in
cerca
C'è nessuno
collocamento.
d'un servitore?
ili
di
ci
uno
che abbia
un segretario?
fatto,
sarei
an-
stabile
bisogno
d'una
per-
sona fidata?
V& L'eterna disgrazia di Pantalone è d'aver per servitore Arlecchino,
spiano e glie ne
che riguarda è
fa
quale
il
deruba
lo
conti, Pantalone,
i
un imbecille,
Ma
d'ogni colore.
diventa
uomo
a tutto
per quel
che del resto di
spirito
pef
miracolo della sua avarizia. Egli ha sorpreso una volta Arlecchino mentre taceva
—
i
conti e diceva:
Tu non
diventavano
hai
coda
Pantalone prende
—
Tu
e l'avrai.
E
tutti gli zeri
9. il
loglio, lo
hai la coda, tu
non
esamina
e dice:
l'avrai più.
E
tutti
-
187
9 diventano zeri, con grande mor-
i
tificazione dell'infedele Arlecchino.
$&
— —
—
Che ora
è'?
L'ora di
ieri
domanda
si
a Brighella.
a quest'ora.
£*4
Frughiamo adesso
nel
repertorio stenterel-
lesco.
Nella farsa Stenterello dottore, un cui la tenera al dottore
metà
fa le fusa torte,
marito,
a
domanda
un rimedio per l'emicrania che
lo
travaglia insistentemente.
E
—
Stenterello:
Fate divorzio, mio caro!
&& donna per Quanto bramerei,
Stenterello
—
forza. gli
dice un vagheggino,
di essere vostro pigionale per farvi la
—
Oh. icchè
La mia donna la
corte, che
lei
corte
!
dice/ non lo permetterei mai.
la
di ci
servizio
spazza tanto bene
potrebbe leccare!
—
—
188
£*4
In un'altra commedia, Stenterello, appoggiato al
muro
Duca
di
sia
pigliando degli
quel mentre
in
Forlimpopoli e
sapere cosa a
una casa,
ili
Passa
punti.
vaghezza
piglia
gli
Un
scrivendo.
stia
ap-
l'illustrissimo .signor
servo
si
ili
accosta
domanda.
Stenterello e glielo
Risponde Stenterello:
—
Direte all'illustrissimo
gistrando
Duca che
gli imbecilli e tutti
tutti
i
sto
re-
cornuti che
passano. Poi,
una donna
vedendo
sul greto dell'Arno,
—
Ehi,
quella
che lava
le
donna,
non
sentite
stando costì?
— ho
fuOCO
il
E voco
—
Messer no
i
panni
dice:
risponde
la
donna
freddo
—
che
Sotto.
Stenterello,
facendo un gesto alquanto equi-
:
— Brava!
allora accendetemi questo moccolo!
¥& Un famoso mandava
in
pella Sistina. fa
una
musico,
solluchero
Ed
il
i
soprano Crescentini,
frequentatori della Cap-
ecco che Cassanti ri no una sera
sfuriata contro la perfidia degli uomini.
—
— —
E
—
—
del genere femminile, che cosa pensi?
vien domandato.
gli
— — — —
189
Mille volte peggiore del mascolino.
E
allora?
Non
che
c'è
farsi neutralizzare.
modo? Domandalo a In che
—
Crescentini
risponde
Cassandrino. Un'altra volta, passando per un bosco, Cas-
sandrino incontra un bandito che, puntandogli la pistola al
petto,
gli
la borsa. L'aggredito,
essere inutile
ma quando lo
il
il
resistere, e
tolto
consegnargli
si
lascia svaligiare
:
gli dice:
il denaro che mi avete vedendomi incolume e non che io non abbia resistito,
Scusate, siccome
non era mio,
potendo supporre
non
di
malandrino va per allontanarsi,
richiama indietro e
—
ordina
essendo senz'armi, capisce
si
e,
crederà da nessuno che
gredito,
vi
pregherei
di
io
darmi
sia stato ag-
un
colpo
di
pistola nell'abito.
Così dicendo
si
toglie la giacca e l'appende
ad un albero.
—
Potrò
risponde stola,
—
non
farvi
l'altro
è
—
questo favore,
ma
se volete
—
mia
pi-
v'avverto che
la
caricata che a polvere.
Ah, brigante!
— esclama
drino, saltandogli addosso
armi uguali! Ora a
noi...
—
allora
Cassan-
siamo dunque ad
190
E
—
gittatolo a terra, gli ritoglie la borsa e 1"
carica di sganassoni.
£*4
Il
è sempre quello da pescare più abbondantemente.
repertorio arlecchinesco
in cui
c'è
Arlecchino va a vendere un cavallo alla
fiera,
lungo cammino
fatto,
ed essendo stanco per giunto
mezzo ad un bosco,
in
avvolge
il
la briglia
si
sdraia sull'erba,
mano
del cavallo alla
e
addormenta. Passano intanto dei ladri che, gliata la briglia, portano via
chino
mano
—
sveglia,
si
si
e dice tra sé
Sogno
trova con
il
si
ta-
cavallo. Arlecbriglia in
la sola
:
o son desto?
Sono
non
o
sono
Arlecchino/ Se sono Arlecchino m'hanno rubato
un cavallo; una
lo
sono,
m'hanno regalato
briglia.
Arlecchino
si
casa e
gli
chiama
il
di
non aver
maestro
di
dice:
Scrivete
mie vigne,
lagna con J'antalone
Pantalone
più camicie.
—
non
se
una
lettera
e ditegli
all'afhttajuolo
da mia parte
delle
che taccia
seminare della canapa che poi faremo
filare
e
quindi tessere, per farne delle camicie ad Arlecchino.
Arlecchino incontra Brighella che vende pasticcini caldi,
gridando:
—
—
A
due
soldi l'uno, a
tene dodici e regalo
—
—
191
Davvero?
—
Me
in bocca),
comprerò
Compra-
soldi!
—
dice Arlecchino
tredicesimo ? e
due
tredicesimo!
il
regali
dozzina domani.
la
ma non
Arlecchino vuol tornare a Bergamo, ci
sono diligenze
mentre
la
in
partenza.
cocchiere
Arlecchino
fermare;
di
Arlecchino,
— — — che
fareste il
il
cenno
fa
al
cocchiere ferma, sportello,
allo
signore e gli dice
il
piacere
:
portare
di
e
saluta
sino a
mio mantello?
vostro mantello
Il
il
avvicinatosi
rispettosamente
Mi Bergamo
Passa in quel
carrozza d'un ricco signore che viaggia
alla volta della città.
—
il
subito, allora (lo mette
lo piglio
?
Sissignore.
E
lo
perchè no? Per così poco... Datemelo, porterò.
Purché non
perda
si
per la
strada!...
—
Oh,
dentro
al
in
quanto
mantello
ci
a
questo
non
dubitate;
sarò io pure.
Brighella chiama Arlecchino suo servitore
e
gli dice:
— Io dubito che bontà, rubando — Io? Mi meraviglio! — Silenzio Ho dunque tu
ti
approfitti della
mia
sulla spesa.
!
il
salario,
barmi
più.
deciso di crescerti
purché tu mi prometta
di
non deru-
—
— — — —
Ve
dunque
Non
vero che tu rubi?
è
vero.
è
Sta bene; se fosse stato vero
ano scudo
—
prometto.
lo
Ali,
—
192
più
di
Uno scudo?
ti
avrei dato
mese.
al
Grazie. Ci rimetterei di sac-
coccia.
¥& Pantalone
Arlecchino, Brighella,
si
trovano
commedie dell'arte che nel repertorio scritto. Lo stesso Goldoni ha composto parecchie commedie per quasi sempre
tanto
assieme,
dar luogo agli equivoci terzetto di maschere.
povero o ricco, si
scambiano
le
è
nelle
e ai motti
sempre superiore, parti
essendo or l'uno or
di
questo
Mentre Pantalone però, gli altri
padrone
di
l'altro
due
e di servo,
marito di Colombina.
Nelle Trentadue disgrazie di Arlecchino sono servitori
ambedue, ed
hanno
tra loro
questo
dialogo:
Arlecchino Brighella
— Quella — Per
è
— Magari — Cioè Arlecchino — Le avrei — Brighella — Oh, Arlecchino Brighella
tua moglie?
servirti.
l'avessi saputo
prima!
?
fatto
il
chi sa che...
oh, dico
!
cicisbeo
e
-
—
Arlecchino mia,
se
Eh
-
193
se la tua
patria è la
è
perchè tua
via,
mio padrone
il
moglie non potrebbe essere Nella stessa commedia,
il
la
nostra?
Florindo,
Pantalone
deve sposar Rosaura. chino a chiamare
tuo,
il
al
manda
solito,
Arlec-
notaio.
Arlecchino va a far la commissione, torna e dice:
— — —
Il
beccavivi verrà a momenti.
Il
beccavivi? e chi
è costui?
fratello del beccamorti. Il
Il
becca dopo
morte,
la
beccamorti
notaio becca durante
il
vita...
In queste melensaggini è una certa
profon-
dità di concetto.
Udite ancora questo ragionamento di Arlecnella
chino
commedia
povero arricchito
II
di
Filippo Pananti.
—
...Quando voglio essere melanconico, mi
figuro
d'essere capo
matta, alla
figliuoli
porta.
figuro
di
innamorata. la
Quando
vedere
famiglia,
di
cattivi
e
una
voglio
con me.
Quando voglio modo mio,
Se voglio che
aprano subito
la porta,
le
quand'è freddo, guardo
—
Pbtrai.
di
con
moglie
di creditori
allegro,
mi
settantanni
esser lodato e che la invito
a pranzo
vezzose ragazze mi
invece del
faccio suonare la borsa.
13
essere
una vecchia
gente dica a
fila
campanello
Se voglio aver caldo i
poveretti che
vanno
—
—
194
quando
Se soglio aver freddo
muli.
leggo
i
versi
di
caldo,
è
qualche poeta riformatore del
Parnaso. Se voglio
ogni sorta
clic
vino
iti
ini
paia buono, bevo quello del prossimo. Se voglio
che
settimana mi sembri lunga, pranzo e ceno
la
senza companatico, e se voglio
mi sembri
clic
breve, faccio un debito da pagare
sabato.
il
V& Arlecchino maestro di grammatica. S'intitolava
una vecchia commedia a
così
soggetto, in cui brillava singolarmente, per spirito,
il
il
suo
famoso Arlecchino Sacchi, recitandovi
una parte
intonata
anche
carattere
al
nelle
parole.
Basteranno che
darne un'idea
a
le
due
battute
riferisco.
Arlecchino
uioìi
di due amanti)
—
volendo disturbare
Vado
il
Quando
via.
colloquio
trovo
il
mascolino col femminino, divento neutro e parto per non scomporre
la
concordanza.
Egli tiene poi questo discorso alla l'istante di
—
consegnarla
Figliuola mia,
tuo matrimonio,
menti dei quali di
ti
il
al
marito
curato,
figlia nel-
:
benedicendo
il
ha dato dei savi suggeri-
farai tesoro;
io,
povero maestro
grammatica, mi limiterò ad estrarre dalla mia
modesta scienza quanto essa può consigliare per
— ben governarti
nel
—
195
tuo nuovo stato.
Articolo
primo, ricordati, ora che hai sposato quello che
chiamavi
tuo futuro, di essergli fedele, e tieni
il
genere,
una saggia moglie non deve mai bene ne in male. In quanto meno si parla di una donna, e
meglio
è.
presente che
far dir verbo di sé, né in
di quelle
Dato
il
caso che tu fossi nel
donne che ebbero
numero
singolare vantaggio
il
un uomo di carattere passivo, tutnon usar mai con lui il modo imperativo. Foss'egli pure un uomo perfetto... più che perdi sposare
tavia
fetto anzi,
passe
la
potrebbe venir
che
la volta
gli
pazienza. Perchè nulla turbi parlagli
congiunzione,
sempre
la
un
in
scap-
vostra accento
sfuggano interiezioni che pos-
sommesso, ne
ti
sano urtarlo.
Tuo marito
è
un uomo
che, in passato, ha messo insieme,
attivo
e
una discreta
non ridurlo all'ablativo assoluto. Contentati della sua compagnia e non cercare... fortuna.
Vedi
di
pleonasmi, non so se mi spiego
;
come pure non
chieder consigli a nessuno, ed abbi per ausiliare soltanto
la
seguitando il
tua coscienza.
Anderei
a darti dei consigli.
all'infinito
Concludendo,
miglior aggettivo cui possa aspirare una moglie,
è quello di
«
onesta
La moglie
».
un solecismo nella famiglia. sciati far la corte, sia
menti sono proteste
pure
;
e tinche
vocali, lascia dire;
respingi anche
disonesta
Dagli estranei
ma
un bacio
i
è la-
compli-
consonanti sulla
mano.
— Il
1%
come
bacio, in amore, è
mena
tica latina:
— l'ut
nella
gramma-
sempre... al congiuntivo.
¥6 Botte e risposte.
Un
nobiluomo, per schernire Arlecchino,
domanda «se ha avuto
—
Oh,
in
quanto a questo, no,
Sono un poveretto termi
il
Un
Eccellenza.
non ho mai potuto permet-
lusso di cose
nato signore
fossi
e
gli
padre».
più d'un
superflue.
Bisognerebbe
!
altro nobile, veneziano,
incontra
Panta-
lone De' Bisognosi.
—
Dame
—
gli
—
dice
una persa
del to
tabaco.
Ma
Pantalone gliela dà. arricciando
fiutata,
— —
No, sior;
i
nobile,
dopo averla
naso, esclama:
il
Che spuza de beco che
Meo Patacca uua
il
sarà
i
el
gà.
dei de so Eselenza!
e Rugantino entrano insieme in
società.
Rugantino tacca,
che
— non
Vi presento è
il
signor
poi tanto imbecille
Meo Paquanto
sembra.
Meo Patacca
—
A
differenza del signor
/.'/'-
ganti no, che è molto più stupido di quello che pare.
—
107
—
Rugantino e un altro personaggio s'incontrano a bere alla stessa tavola in un'osteria. Quest'ultimo, per farsi beffe di Rugantino, gli
domanda
se sa qual distanza
un
sia tra lui
ci
e
asino.
Risponde Rugantino :
—
Non
mezzo che questa
c'è di
tavola.
Cassandrino è sdraiato sulla riva d'un ruscello,
godendosi
il
fresco.
Passa Rugantino e
do-
gli
manda:
— — —
Si può passare a
guado questo ruscello?
Sicuro. Tutte le bestie lo passano.
Quanto volete per portarmi
in
groppa?
Pulcinella sta per cameriere da un oste. Viene
a trovarlo un amico a forza
di
Poscia,
sdraiatosi
bere,
menta. Svaniti fuori
—
i
i
e,
tra
un discorso e
l'altro,
una sbornia solenne. una panca, si addorsopra
piglia
fumi del vino,
si
sveglia e tira
quattrini per pagare.
Quanto vino ho bevuto?
— Cinque — Cinque? Impossibile! quattro non ne reggo. — Apposta quinto boccali.
di
t'è
il
Una in
Mi conosco,
(in
più
!
salito alla testa.
sera, al vecchio teatro della
Firenze, Stenterello
io
Quarconia
persona del celebre
Luigi Del Buono) fu fischiato. L'avevano presa
con
lui
perchè, qualche sera avanti,
fiutato di fare
il
bis
si
era
d'una cabaletta nella
lana di Lamporecchio.
ri-
Vil-
— Dalla platea
—
gridò:
si
canta o vattene
Stenterello
— clie
Se
io
si
avanzò
nessun uditore
ci
alla ribalta e rispose:
pari.
notte!
per quella stagione non volle
A
Torino, una sera, Vittorio teatro
al
dove agivano
le
Ma
H
più.
recitare.
Emanuele
facezie
di
famose marionette dei
Uno
Gianduja.
si
ora demolito,
'mia no,
fratelli
Sua Maestà rideva rumorosamente
Lupi.
forte
San
Per
piaciuto a me.
Buona
E recò
seccar più!
a voi, signori, sappiate
mai
è
non
e
fìn<>
non piaccio
conseguenza siamo
pubblico
del
alle
disse
:
—
Guarda
Allora
esclamò
—
come
Vittorio
si
diverte!
col capo, assentì, seguitando a ridere.
re,
Il
in
—
198
Gianduja,
rivolto
al
palco
reale,
:
Eh, Maestà,
si
son visti dei re divertirsi
peggior compagnia!
$&
(ìli
antichissimi Macco, Dosseno, Bucco. Lamia.
Sannìo, tutte queste maschere sono giunte fino a noi,
ma non
possono più darci un'idea di quei
morosofi che ne incarnarono originariamente
il
tipo; di quei saggi, cioè, che davano insegna-
menti di morale
con forme nuove e bizzarre.
— La vecchia Lamia
è
199
—
rimasta nelle novelle
come
moglie dell'Orco/ Macco, dalle orecchie
la
nine, dal naso arcuato
indubbiamente
pare
il
asi-
dalla doppia gobba,
e
Pulcinella napolitano
;
gobbo anch'esso e che si dava aria d'importanza vendendo a caro prezzo droghe pericolose e inutili forinole magiche, è un qitid
Dosseno,
simile del bolognese Dottor Baiamoti
con
gote imbrattate di fuliggine e
le
Sannio,
;
il
vestito
fatto di pezzi di differenti colori cuciti insieme,
è
certamente un lontano antenato di Arlecchino ;
ma
anche
ai
tempi
della
avevano perduta
tutti,
commedia
la loro
dell'arte
caratteristica pri-
mitiva, essendo semplicemente dei burloni,
non
già dei saggi in veste ridicola.
Ecco, per
finire,
un paio d'aneddoti compro-
vanti l'arguzia sapiente dell'antico Macco, non
senza avvertire per altro che Valentino Giachi, nel suo Viaggio immaginario in
come protagonista
Roma
antica,
Esopo
di tali aneddoti
il
dà fa-
volista.
Un
giorno
padrone
di meglio.
fu
comandato a Macco dal suo
comprare
di
al
mercato
ciò
che vi fosse
Macco non comprò che lingue
e le
fece acconciare con diverse salse. Rimproverato,
rispose
—
è
il
:
E
che vi ha di meglio della lingua
legame
scienza,
della vita
civile,
la
?
Essa
chiave della
l'organo della verità e della ragione.
200
—
lingua s'istruisce,
si
— Con
la
e
cantano
si
Allora
il
padrone
persuade,
si
regna,
il
giorno
degli Dei.
ludi
le
gli
ordinò che per
dopo comprasse quel che
al
mercato avesse
tro-
vato di peggiore, e Macco comprò ancora delle
che
lingue
parimente
cucinare
fece
variì
in
modi. Più aspramente rampognato, rispose:
—
la
La
lingua è
madre
di tutte le contese,
causa dei processi e delle guerre,
mento dell'errore si
la
distruggono
è
lo
stru-
Con la lingua bestemmia la reli-
e della calunnia. città e
le
si
gione. L'altro aneddoto è alquanto più burlesco.
A
Macco,
fatto di
in
uu momento
scommettere
pace di beversi
il
di ebbrezza,
sul serio
mare.
Gli
vieti
che sarebbe scommettitori
casi
raccolgono perciò sulla spiaggia e già l'avver sario di Macco ride per la certezza della vittoria, quando Macco rimanda tutti con queste parole: Io ho preso impegno di bere il mare, ma non fiumi che vi si versano. Colui che ha tenuto la scommessa contro di me, faccia riti-
—
i
rare
i
di clic
fiumi,
ed
io
adempirò
mi sodo vantato!
subito
a
quello
^q;V\;CMCpWSW^r
.r^ySq-qHPS^T'iPQM
APPENDICE La e
civiltà
ha spazzato via molti
anche quello che metteva
tichi
iloti
e dei
di teatro, è
Lo
pregiudizi
alla pari
degli an-
moderni saltimbanchi
un pregiudizio che non
l'artista
esiste
più.
venuto a tran-
stesso austero catolicismo è
sazione coi tempi, tanto che oggi
il
numero
dei
filodrammatici... attivi e passivi (intendo dire recitanti
ed ascoltatori)
cande,
ai
si
ogni Comitato parrocchiale ha e che
bei
certamente
Dame
fino alle edu-
è esteso
seminaristi e ai monsignori.
teatrini!
Non
vi
11 controllore dei
de chez
esempio, l'Oro
Maxim, ma e
il
A
Roma,
suo teatrino
;
rappresentano
si
vagoni-letto
né
la
ho sentito, per
io vi
Orpello di Grherardi del Testa
che è già un bel passo avanti, mi sembra, sulla via delle concessioni.
Siamo ben lungi dunque
dalle teorie del do-
menicano Concilia che negava
i
sacramenti
ai
— commedianti
—
202
meno che non promettessero
a
rinunciare alla professione, e più lungi
clie
di
mai
dalle formule del Concilio d'Arles in cui teatro eil artisti
furono proclamati infami e colpiti
di
scomunica.
Contro preti
spettacoli
gli
del
,
resto
altri
D'Alembert,
si
i
Lo let-
biasimò fortemente. Molti
li
potrebbero citare, come Racine, Bayle,
La Mothe, Riccoboni, i
solo
una lunga ed eloquente
stesso Rousseau, in
tera a
genere, non
in
scrissero e predicarono.
,
enumerando
quali,
i
tutti
pericoli del teatro, dolenti di avervi cooperato,
opinavano che
Man mano, «
spettacoli potevano abolirsi. alle transazioni.
L'azione dello assistere
alle
rappresenta-
non può essere peccato mortale,
zioni in
gli
siamo venuti
quanto essa cooperi
fessione di attore
Vescovo
di
•*.
a far
Così
Mans, nel
abbracciare
se
non
la
pro-
Monsignor Bouvier,
suo Manuale
dei
con-
fessori. Il
semplice assistere ad uno spettacolo, sog-
giunge
il
rare a
far degli
se
citato autore, attori,
non
è
certo un coope-
alcuno
ni c'è peccato
una causa ragionevole
di necessità,
«li
utilità
o di convenienza sociale persuade qualche per-
sona ad assistere a spettacoli
gravemente
A
simili spettacoli,
assistere:
non osceni, né
pericolosi.
« le
secondo Bouvier, possono
donne maritate, purché
ciò
non
—
—
203
—
dispiaccia ai loro mariti
domestici e
i
mestiche per servizio dei loro padroni
—
do-
le i
figli
e le figlie di famiglia, se tale è la volontà dei loro parenti
—
i
Re
dei
e
i
loro
principe
La
soldati e
i
magistrati incaricati
i
mantenimento
di vegliare al
Principi, affine di conciliarsi
—
sudditi
le
—
buon ordine
del
persone che
l'affetto
seguono
il
».
Chiesa è irremovibile nelle sue leggi e
il
Manuale del Bouvier è sempre in vigore, ma non v'è più sacerdote, per quanto rigido, che lo applichi.
Udite «
Dio
infatti
è giudice,
tori e le attrici,
a
E
Bouvier:
il
ma
io
nemmeno
assolverei gli at-
negli estremi di vita,
meno che non rinnegassero
la loro professione.
parimente sono condannabili
compongono opere piene le
non
persone che
come
attrici e coloro
le
gli scrittori
le
che
amori nonché
cooperano
indirettamente
rappresentazioni teatrali,
abbigliano
:
di illeciti
alle
cameriere che
che fanno profes-
sione di vendere, noleggiare o fabbricare vesti-
menti
destinati a
eziandio
che,
solo uso dei teatri
assistendo
alle
sceniche, danno grave scandalo,
:
e
quelli
rappresentazioni
come sarebbero
godono riputazione a meno che non vi sieno
tutte quelle persone le quali di cristiane
virtù,
spinte da grave necessità, ecc.
La
lista
prosegue
ancora.
».
E
finalmente
il
—
—
204
Bouvier conclude, dichiarando doversi assolvere e
ammettere
soltanto
Comunione
alla
che ponilo dare
«
pasquale
quelli
peccato un motivo
al
sufficiente di scusa: le persone, cioè, che coope-
rano
alle
modo
rappresentazioni in
esempio facendo
diretto, per
restaurando
l'edificio,
lieve e
in-
pulizia del teatro,
la
accendendo
i
lumi, ecc.
».
¥6 Parlando
già
che
suoi ammiratori.
Qui
Pulcinella,
di
Charles Nodier fu
tra
i
ho
detto
soggiungo che non passava giorno, quasi, senza che ['aimable conteur facesse una tre
de Guignol. (Guignol, come
che
marionette.
delle
d'origine
lionesé.
Nodier
—
na is
e est
«
:
••
e est Il
danno,
parigini
i
devili
Ma
in
visita. al Tlu'dè
sa.
generale,
il
—
tipo,
è
dice
il
d'un mot essentiellement »,
nome teatro
al
come
Guignol,
Son noni mème
guignolantt
dròle!
si
1
gon-
come
dire:
Ministero
della
che
è
».
Nodier era
impiegato
al
marina. Prima però d'esservi nominato bibliotecario, dovette sperimentare
cratica che,
mazzo criterio
delle
armata diverse
pratico
'codeste forze
in
resse al miglior
di
barbarie buro-
la
regolamenti, fa forze
di
suggerirebbe
cui di
tutt'un
dispone.
Il
usufruire
di
maniera che ciascuna concor-
andamento
della gran
macchina
amministrativa,
ma
205
tudini,
oppongono
vi si
ragioni di servizio, o
le così
dette
gerarchia, o le consue-
la
semplicemente
o
-
il
capriccio
d'un su-
periore.
Un
muffito scriniocrata, ritenuto incapace di
eccepire la più semplice pratica, contrastò per
anni
sei
posto di bibliotecario al più geniale
il
novellatore
che frattanto
Francia,
di
restava
adibito alla revisione delle contabilità. Egli se
ne vendicava registrando cifre cervellotiche
non andando siffatta
del personale,
ma
Capo
al
funzionario, non troppo
illustre
puntuale anche
—
che quando pioveva,
all'ufficio
negligenza, alla fine, fu segnalata
e
però, in fatto d'orario.
lui,
Signor Nodier - disse questi con severo
—
cipiglio
come va che
non
siete
mai
riferisce
che,
specie
voi
al
vostro posto ?
— Mai, — Rare
d'estate, e
non
—
vi
si
no.
Qualche
volte.
durante
Mi
volta. si
le belle
giornate d'inverno,
vede mai.
Quest'inverno è
sempre
piovuto,
e
non
son mancato mai.
—
Voi prendete dunque
il
Ministero per un
parapioggia ?
—
Mi
spiego. So che Vosignoria è un
di spirito, e io...
sono
non ho
fanatico di Pulcinella.
piove, Vado
sempre
uomo
difficoltà a confessarle
ai
Campi
che
Quando non
Elisi o
lungo
i
— borderà rà'&
esteriori,
Non
godermi
le
rappre
vero.
è
Come
?
Io non vici ho mai
Staggita i
a
—
Théàbn de Guignol.
zioni del
— — —
20K
Capo
al
due interlocutori
visto!
del personale questa frase,
scambiarono una
si
di quelle
occhiate che gli auguri antichi dicesi biassero nell'incontrarsij e ruppero in
si
scam-
una grassa
risata.
Da
quella volta
mancò più
alle
in
poi Charles Nodier non
rappresentazioni di Guignol.
compagnia del suo Capo. Questa comunione di gusti valse
sempre
il
conseguimento
al
crata fu messo a riposo, e
il
vecchio scrinio-
letterato
il
prendeva
suo posto; se non che, nel riceverne meravigliato
segna,
questi
vare
più orribile contusione.
la
classati negli
Nodier
sollecito del suo più ardente
Poco tempo dopo,
desiderio.
il
ma
in
restò
I
assai
la
con-
di tro-
volumi erano
non per materia ma per
scaffali
dimensione.
—
— disse
Ma
questo
modo
il
Nodier
—
mi pare che
sfa impossibile raccapezzarsi.
servate: questa storia,
—
E
tecario.
alle
E
l'annuario
opere di Rabelais...
chi ne sa nulla?
—
Os-
per esempio, è accanto
ad un annuario amministrativo! accanto
in
Voi credete che
— io
rispose
il
biblio-
abbia mai aperto
un
libro ? Io
in
non mi occupavo che
Vedete
fila.
infatti
Ora
a quel modo?... voi, signor io
ci
-
207
che si
di metterli
fanno disposti
effetto
vedrà quel che farete
Nodier. Voi venite qui per studiare
;
venivo per lavorare. Ah, ah, un letterato
L'Amministrazione
in biblioteca'?!...
si
accor-
gerà della differenza.
Gli antichi commedianti
medie pagandole
compravano
le
com-
in proporzione al merito del-
l'autore.
Nel 1653 un giovinotto esordiente pregò Filippo Quinault,
l'autore dei Rivali, di presen-
un suo lavoro
tare
ai
comici
dell'
Hotel
de
Bourgogne. Questi offrirono cento scudi credendolo un lavoro del Quinault; ma il Quinault avendo confessata la verità, i comici non volevano più dare che cinquanta scudi. Il Quinault
propose
allora
corrispondere
di
all'autore
il
dieci per cento sull'incasso di ogni rappresentazione.
Da
La
quel
proposta fu accettata.
tempo,
data
la
consuetudine
così detti decimi, adottata poi
Estratto « «
dagli
Affiches de
Quelques importans du
anche
dei
in Italia.
province (1766): parterre
deman-
dèrent, dit on, pour la première fois l'auteur
t
— ••
..
après
208
—
représentation
la
••
velie pièce,
«
le
mais
paroit
il
«
commencent aujourd'hui
«
cette
espèce
«
Hier
soir,
••
monsieur
que
n a
pour
soil
les
auteura
de
s'affranchir
a
de servitude,
<>n
chaque nou-
a
pour l'applaudir,
soit
bafouer;
Mierope.
«le
demander
cèsse depuis de le
et
font bien.
ils
Marton,
de
auteui'
la
Degringolade d'amour, aux cris impératifs parut
a
redoublés des spectateurs,
«
ce compliment
••
de l'honneur que vous m'avez
mes
:
et
et fi
messieurs, je vous remereie fait
en accueil-
mais par reconnois-
«
lant
«
sance vous auriez bien dù m'épargner
«
de
foibles essais,
me donner
leur
en
spectacle,
la
peine
d'autant
plus
a quelque différence entre l'ouvrage
y
«
qu'il
«
et l'auteur.
La
destination
de l'un pourroit
vous amuser quelque temps. maisje
ètre de «
n'ai jamais
«
l'autre ».
pensé que ce dùt ètre
eelle
de
V& Quando Tabarrino, come ho un fondo
nel Milanese,
luogo perchè facesse egli Il
aveva
diritto
curato,
conciliare
Chiesa,
dal
questo
che
la
si
narrato,
comprò
rivolse al curato del
preghiera
o/fìciale,
cui
come Signore. pulpito,
non
diritto
con
riteneva
allora
sapendo, come la
per
legge
della
scomunicati
— tutti
i
commedianti, se
parrocchiani
ghiamo Iddio per diante Tabarrino
miei, disse loro,
Valburlesca, divenuto Si-
gnore di questa parrocchia. mus, ecc.
pie-
conversione del comme-
la
di
cavò così coi suoi
la
Fratelli
«
:
—
200
Te
Deum
lauda-
da
felicis-
».
^ Era anche simi ingegni,
Roma
quali concorrevano a quest'em-
i
porio del mondo, tratti
parve tra questi
dopo
taginese, a
Roma
nobilitata
dalla
sua fama. Com-
molto celebre
le
Terenzio, car-
rovine di sua patria venuto
dove pubblicò
le
sue erudite commedie,
che qui cominciarono a portarsi in scena. Nelle scene
gli
attori
comparivano
sere stato al
tempo
il
in
abito
di
ma-
maschere credesi
schera: l'inventore delle
di Pitagora (Breviario
es-
che viveva
poeta Thepsis, greco,
istorico,
Bas-
sano, 1793).
5*?
Elenco della comica Luigi Riccoboni, detta
Henne ou
troupe
compagnia la
italiana di
Nouvelle comédie
du Régent, che inaugurò
itale
rappresentazioni &\Y Ancien hotel du Bourgogne la
sera del 20 Il
—
Petra
i.
maggio 1716.
—
—
210
Attbk
i.
Flaminia, prima donna coboni).
—
Silvia,
(Elen
aBalletti-Kic-
amorosa (Giannina Benozzi).
Viola, servetta (Margherita Rusca).
—
Co-
lombina (Teresa Biancolelli). Attori. Lelio,
amoroso (Luigi Riccoboni).
secondo amoroso (Giuseppe
'Tommaso
chino
—
— Pantalone (GiuDottore (Gian Battista — (Benedetto
—
Il
Scapino
Bissoni).
Scaramuccia (Jacopo Rozzini Sei attrici generiche.
Due bambine. cane
e
—
— Mario, — Arlec-
Vicentini).
seppe Alberghetti). Materassi).
Balletti).
—
.
Dieci generici.
Un bambino.
—
—
Scimmia,
pappagallo ammaestrati.
Direttore
e
poeta
della
Compagnia: Luigi
Riccoboni. (Estratto dal Dizionario dei teatri di Parigi
—
Parigi,
1
756, tomo
ìv,
rXb&
pag. 471).
jS^^^T^T^"^
IID10E A
Ermete Novelli
Pay.
3
PARTE PRIMA. Storia
:
I.
II.
- Arlecchino - Brighella - Capitan Spaventa
Pag-
9
n
15
»
18
IV. - Cassali drino
»
21
V. - Cassandro VI. - Coviello.
»
24
»
26
»
30
»
37
»
42
»
4b"
III.
.
VII. - Il Dottor Balanzon VIII. -
Facanapa
IX. - Fiorimi o e Colombina X. - Grianduja XI. - Giangurgolo
....
XII. - Meneghino XIII. - Meo Patacca Pepe « la crapetta « XIV. - Mezzettino XV. - Pantalone XVI. - Pasquariello XVII. - Peppe Nappa
«
er
greve
»
e
»
5:»
»
55
Marco »
58
»
Gb'
»
71
»
77
»
79
— XVIII.
212
—
.
DELLO STESSO AUTORE:
1871.
Un
povero impiegato
bozzetti burocratici (esau-
-
rito).
1872. Ore d'oblio »
versi (esaurito).
-
Donne, giuoco
e
vino
Scene della vita popolare
-
toscana (esaurito).
IV
1874. Niccolò "
dramma
-
oV un
Metamorfosi
storico (esaurito).
angelo
d'amore (esau-
storia
-
rito).
1876.
Un
marito antropofago
scherzo comico.
-
1880. Acquerelli (esaurito) 1883. Lanterna magica
1881. »
Donna cannone Pasquino
e
bozzetti teatrali (esaurito).
-
romanzo
-
Martorio
-
(4
a
edizione).
satire ed epig
vammi
rac-
colti e postillati (5 a edizione), i
n
1885.
// certificato d'onestà
Di qua
e
di là
»
Storie rosse.
»
Nove donne
1888. Guglielmo
per
Vittorioso
1891. Santa ghigliottina 1892. »
Vita
romana
Donne,
libro
1893. Avventure
-
(3
a
edizione).
bozzetti romani.
profili (esaurito).
-
il
racconto
-
la città
-
biografia.
-
dramma
storico.
bozzetti (esaurito).
per
di'
-
gli
uomini (6 a edizione). Giuoco e cocottes
Montecarlo
-
(esaurito).
1894. Bacco, tabacco e Venere 1895.
Roma
-
libro d'igiene popolare.
aneddotica, dalla sua fondazion e ai tempi
nostri. »
189G.
Lo spettro del marito romanzo (esaurito). Un matrimonio sulla forca storia del secol o xvn. -
-
— 1*!*1 MT.
Ore allegre
mediole
|
-
214
—
novelle, bozzetti, aneddoti, com-
La raccolta completa,
1
1
volumi,
ognuno ili 150 pagine, con SO illustrazioni monologo. Una istitutrire a spasso
L898.
-
L899. Dall'amore
al
matrimonio
-
viaggio di andata...
senza ritorno. •'
Musa
hi r irli ina
-
versi.
Almanacco poetico hirir/tino per Tanno 1900. 1909 Decamerone moderno (novelle scelte dalle Ore allegre). «
Il
»
Il
2692
romanzo d'un bandito. buon Re Umberto (aneddoti familiari.
30
2217
trai, Lo
PLEASE
CARDS OR
DO NOT REMOVE
SLIPS
UNIVERSITY
aschere
FROM
THIS
OF TORONTO
POCKET
LIBRARY