Ajith Rohan J. T.
Or Dunque, possiamo comprendere come, \u zero; pensando un movimento di cui vel posizione sono calcolabili, esso rapp l\u2019assenza e presenza pensabile e rappresentabile a sua volta \u00e8 indispensabile per il pensie
una natura congenita nell\u2019uomo. Senza questa
noi non possiamo pensare o agire (questo lo provato nella nostra tesi di dottorato). L\u2019im del monaco Buddista Nagarjuna sta nel me
rilievo quest\u2019aspetto naturale del pensiero um
30/11/2009
Lo zero
Ajith Rohan J. T. F.
Sommario
Introduzione ................................ ................................ ..
1. il monaco buddhista nagarjuna e il concetto di \u201csunyatha\
2. L\u2019esistenza di un \u201cattimo di tempo\u201d a \u201ccontinuum\u201d
2.1. Lo zero \u00e8 pensabile ossia \u201cpossibile essere\u201d non
3. Le conseguenze del pensiero di monaco Nagarjun
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INTRODUZIONE Nell\u2019 introduzione accenniamo i tratti tecnici dell\u2019invenzione dello zero. Poi
passiamo ad una
critica filosofica sull\u2019invenzione dello zero e delle
conseguenze socio-politico-economico e culturali (SPEC). Allora, \u00ab[se] siano stati gli Indiani a inventare e diffondere lo zero, [ora vediamo precisamente come e cosa sono i fatti accaduti, dal punto di vista filosofico]1\u00bb. Come noi siamo convinti a proposito di pensare, la necessit\u00e0 di u \u201cspazio vuoto
individuato\u201d e rappresentato da u
simbolo, per la comunicazione e per qualsiasi espressione perfetta (numerica o linguistica) umana. Questa necessit\u00e0 \u00e8 stata individuata da pa popolo del continente Indiano, che a loro volta avevano un pensiero raffinato filosofico e religioso insieme pratico. La lingua antica Sanskrito ha fornito gi\u00e0 un termine che ha facilitato di comunicare senza difficolt\u00e0 nella vicissitudine d vita quotidiana. Il termine era \u201csunya\u201d
(vuoto e
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assenza). Inizialmente tutti questi termini avevano un senso religioso. Ciò vuol dire che senza ricordare l’aspetto religioso noi non possiamo trattare il
concetto di zero. Il termine “sunya” indicava anche il «non essere, la
non esistenza, ciò che non ha forma, che non è stato pensato, ciò che non è presente, l’assente, il nulla .
[in questo modo] gli scienziati indiani decisero che il termine “sunya” era perfettamente adatto,
da un
punto di vista sia filosofico, sia matematico, a esprimere la nozione di assenza di uno degli elementi costitutivi del numero(di volta in volta unità, decina, centinaia ecc)»2. Anche questo termine ha una storia assai lunga filosofica e religiosa in India. Il simbolo che rappresenta lo zero è un cerchio vuoto anticamente rappresentava anche «cielo, spazio, atmosfera o firmamento». C’erano
quattro rappresentazioni dello zero in India: «vuotospazio (sunya-kha), vuoto-circonferenza (sunya-
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chakra) zero-punto (sunya-bindu) [ed in fine] vuotonumero (sunya-samkhya)»3. Von Neumann dice che i numeri: « could be bootstrapped out of the empty set by the operations of the mind». La mente umana è capace di osservare questi «gruppi vuoti» e così anche un altro «gruppo vuoto» e così via. In questo modo il gruppo vuoto, non è più vuoto ma è «“non -cosa”». Ora credo che
possiamo applicare questo ai numeri partendo da zero o finire con lo zero. Cioè, se “Sunyatha” è lo
zero, un gruppo vuoto che a sua volta è riempito da «“non cosa”» diventa numero uno e così via; così
comprendiamo il legame tra il numero vuoto e la “cosalità”. Alla fine sembra che tutto ciò nasce da un
gioco della mente con il sentire il vuoto in modo astratto possibile. Così un mondo dei numeri platonici è impossibile, ma un mondo delle relazioni tra la mente e qualcosa che va oltre la mente da cui nascono i numeri e i simboli sono possibili.
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Quest’originalità e genialità di costruire i numeri
senza riferimento agli oggetti, sono delle facoltà congenite della mente propria dell’uomo. In questo modo terminiamo l’introduzione citando queste affermazioni: «Lo studio delle numerazioni in uso in India è di estrema importanza per la storia della matematica, perché è legato alla diffusione a livello mondiale della più perfetta tra le numerazioni posizionali scritte. […] La numerazione posizionale di origine Indiana ha assunto la sua forma definitiva verso il VI secolo d. C. È stata questa numerazione a portare alla nascita dello zero, prima come “segno diacritico” indicante l’assenza di unità, decine,
centinai, migliaia eccetera, poi come numero vero e proprio»4.
1. IL MONACO BUDDHISTA NAGARJUNA E IL CONCETTO DI “SUNYATHA” Nagarjuna (150 a.c. – 100 d. c.) nella sua reinterpretazione
sistematica
della
dottrina
di
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Buddha, che si trova nella sua opera principale, Madhamakakarikas,
probabilmente non per un
errore, ma consapevolmente individua il “Sunyatha” , lo fa però senza conoscere le conseguenze. Nagarjuna sostiene la presenza della materia come l’energia che nasce e che dura solo "un attimo" ( in lingua
Sanskrito
“kshena”)
come
la
frazione
elementare possibile di un pensiero (non è necessariamente pensabile con un’immagine ma necessariamente dicibile). Così la causalità è un fattore consequenziale dei momenti che accompagnano uno che nasce dopo, vale a dire se A è la causa di B, dunque, se c’è B, ci sono le regole e gli effetti dell’esperienza dell’A
in B. la logica di
Buddha (chatuskoti) che procede con quattro premesse; vale a dire: io non dico che quella visione sia vera; non dico che sia falsa; non dico nemmeno che sia vera e sia falsa allo stesso tempo; e non nego ne che sia prima ne che sia seconda (cioè tutto è
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possibile). Su questo punto ricordiamo la logica della possibilità, di Aristotele che, da questo tipo di pensare, può escludere sia l’impossibile sia il
necessario.
2. L’esistenza di un “attimo di tempo” a “continuum”
Or dunque, se come abbiamo detto pocanzi le cose, appaiono solo "un attimo" e cambiano subito, poi seguendo la causalità, un effetto, se porta l’effetto della causa con sé, vi è qualcosa che possiamo intendere come qualcosa che si può esperimentare almeno nel pensiero, vale a dire una possibile sensazione permanente (esempio più efficace è la pellicola). Ma quando Buddha dice che non vi è nessun fenomeno eterno, sembra che affermi le cose finite esistono. Se le cose finite sono già, nulla può nascere o morire. Non ci sono nemmeno la causa e l’effetto. Così, non avendo nemmeno un sé che lo
intende, gli oggetti non possono essere. Tutto ciò
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che
è,
semplicemente
è
un’apparenza.
Così
Nagarjuna sembra che proceda col filo del pensiero nichilista, ma poi quando il monaco dice di non avere nessuna dottrina o visione propria, intende che lui era interessato solo per "argomentare per argomentare". Allora, se tutto è “sunya” non nega quello che ha detto prima, dunque, quell’apparenza
dovrebbe avere una sua natura nel sentire: o bene o male, dunque tutte è due sono possibili. Ora possiamo comprendere che il “Sunyatha”
non è un
vuoto in Nagarjuna ma è un termine tecnico, che a sua volta, può essere malinteso e mal guidato il lettore; d’altra parte, secondo il nostro avviso, questo
lo possiamo per ora chiamare con il termine aristotelico “potenza”, dunque, “Sunyatha” oss ia
vuoto non è un vuoto, ma è una po ssibilità proprio di un uomo che dovrebbe dare. Così possiamo capire come si può sentire, il piacere, il dolore, il bene, il male ecc. delle cose che sembrano di non esistere.
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Non sono gli stati psichici che uno può ridu rre anche alle malattie così come nessuno può nemmeno può avere questa possibilità, e secondo noi, sono possibili della realtà che il pensiero sente proprio per la sua natura: progresso per continuum all’infinito.
Allora sono reali. Dobbiamo ricordare che con questa interpretazione di monaco Nagarjuna non annichilisce o nega la dottrina di Buddha, anzi la riafferma con una dialettica diversa, portandola, secondo noi, a due punti: un etica che riafferma la vita contemplativa e la vita semplice senza attaccamenti, e l’altro è un piano più produttivo e
innovativo dalla cui pensiero, scaturisce lo sviluppo della materia. Il secondo è quello che deriva dal suo pensiero e non come qualcosa di diretto. Su questo punto possiamo riprendere lo zero e lo sviluppo del pensiero umano fino ad oggi.
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2.1. Lo zero è pensabile ossia “possibile essere” non nichilista
Dunque, ora possiamo comprendere come è nato lo zero; mettendo in un movimento la cui velocità è calcolabile, esso rappresenta l’assenza pensabile e
rappresentabile che a sua volta è indispensabile per il pensiero umano. È una natura congenita nell’uomo.
Senza questa facoltà noi non possiamo
pensare o agire (questo lo abbiamo provato nella nostra tesi di dottorato). L’importanza del monaco Nagarjuna sta nel mettere in rilievo quest’aspetto
naturale del pensiero umano. Ma in India in quell’epoca
è accaduto ben altro; cioè, il buddhismo
viene abbandonato e l'India viene ripristinata secondo i principi pre-ariana e post-ariana o Vedica, vale a dire, l'India diventa di nuovo Indù (non in senso come noi oggi lo intendiamo ma alla base dei testi Veda). Inoltre il termine in lingua Sanskrito “Sunyatha” non è un sinonimo dei termini in lingua inglese “emptiness” or in lingua italiana “nulla or
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vuoto” ma ha un significato di “possibile essere”. Allora
così,
il
termine
“Sunyatha”
nichilistico(Cfr. Loy David,
non
è
Buddha of the North,
Swedenborg Foundation, West Chester Pennsylvania 1996, p. 104.). Se l’esistenza dei fenomeni dipende da altri fenomeni, che sono a loro volta, vuoti, e dipendono dalla relazione, comunicazione, ciò vuol dire che le cose non esistono per sé stessi, in modo auto sufficiente, invece quel modo di “Sunyatha” è
tutto il contrario dei fenomeni.
3. Le conseguenze del pensiero di monaco Nagarjuna
Senza accorgercene, il monaco Nagarjuna
ha
deviato tutto il pensiero di Buddha che, a sua volta, non ha mai predicato di un “Dio”. Nagarjuna si èespresso verso un concetto d’anima permanente, al di fuori del termine “samsara” e “nirvana”. L’ha
fatto, con uno spostamento di due concetti: “Samsara” (il circolo della vita) e “Nirvana”. Questo
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movimento del pensiero, geometricamente espresso in
modo
geometrico, di
un’angolatura
atomica, sembra insignificante nella nostra dimensione, ma inserito sul piano del pensare atomico, tratta le dimensioni che abbracciano tutto l’universo. Di
conseguenza quell’angolatura
atomica, diventato enorme, e ha cambiato radicalmente il modo di percepire e la capacità di comprendere. L’effetto
immediato è osservabile attraverso la
nascita del ramo del buddhismo “Mahayana”, ove si
trova uno spazio per il concetto di divinità. In oltre in Cina e in Giappone in Tibet possiamo trovare il buddhismo Mahayana. Dal 100 a. c. al 500 d. c.5, l’India che era in cammino verso l’unità politica e geografica, si riprende l’ elemento pre-
buddhista
teistico: da pre-ariani e da post - ariani e poi culmina in Sankaraciarya (VIII d.c.) con il concetto di “advaita nirgun Brahman” (monismo
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assoluto o la scuola non dualista). Nagarjuna, non sapendo a suo modo di percepire e comprendere il mondo che ha ereditato dalla sua famiglia brahmani, che a sua volta fondata sui principteistici, i interpreta i termini “nirvana”, “samsara”
e “sunyatha” che non sono i concetti, ma
semplicemente parole.
Dobbiamo affermare che tutte le parole che noi usiamo non esprimano necessariamente qualcosa (esempio banale: circolo quadrato). Le parole fanno scaturire le sensazioni e non le certezze, siano loro dicibile, definibili, oppure immaginabili. Per esempio, possiamo indicare questi termini, su cuidiscuteremo: “Nirvana”, “anithya”, “anathma”. Ci sono altri termini, che si pongono come contrari a quelli
“athma” (anima), “nithya” elencati,
(permanente) e “samsara” (processo circolarelineare della vita): “Nirvana” non è il contrario
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dello status che uno raggiunge superando il “samsara” o “anathma”.
Non è nemmeno il contrario
di “athma”. Se il monaco Nagarjuna ha ragionato in modo coerente senza tradire il pensiero di Buddha, per esempio, quando uno pensa il concetto di “nithya”, (permanente),
immediatamente può capire
anche il termine “anithya”
(impermalente), in realtà
ci vengono in mente una serie di cose (fenomeniche), non permanenti, non coerenti con quella parola; quando pensiamo o diciamo i termini “Nirvana”, “anathma” e “anithya”, non scaturiscano, gli immagini, quindi, non sono concetti, perché non sono accompagnati dai contrari o simili. In noi non nasce qualche pensiero immediato quando esperimentiamo quei termini. Se è così, il concetto di “sunyatha” di Nagarjuna
sembra che sia scaturito dal suo modo di pensare da Indù,checonnotava la fedeltà ai Veda e, dalla famiglia Brahmini (una famiglia tradizionale di alto
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livello, di forma post ariana) e non scaturisce da un monaco buddhista. Theravadanon ammette alcuna divinità Assoluta, da cui dipende tutto. Il Buddha non ha mai detto in nessuna parte che egli era un dio, o Dio, o una divinità. Invece ha affermato chiaramente che egli “ è l’uomo” per eccellenza, che ha raggiunto il massimo livello (Nirvana) che un uomo può raggiungere durante la propria vita su questa terra. Il “Nirvana” quindi non è una
dimensione di vita che viene dopo la morte come un paradiso che dovrebbe venire dopo la morte.
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Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, opere Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, P. 75 Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, Pp. 7 Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, P. 74 Vale la pena di ricordare il filosofo Parmenide che ha identificato nulla con il “no n-essere”: «il non
quindi non è nulla». D’altra parte, Böhme definisce Dio come «Nihil aeternum».
6 I fondatori del Mahayana sono i monaci buddisti Nagarjuna, Aryadeva, Asanga e Vasubandhu. 7È la realtà di cui abbraccia tutto il nostro conoscere. È lo sfondo della nostra esistenza. Così San
religione Indù, in qualche modo concludendo i processi di pensieri e varie filosofie dell’India.