CASI CON IPOTESI DI SVOLGIMENTO
Adriana chiede
presso un servizio territoriale un appuntamento con uno psicologo. A. è una bella donna di 35 anni con un viso solare che trasmette tranquillità, appare dolce e gentile. È laureata in scienze religiose e insegna questa materia in una scuola elementare. Tale lavoro le piace molto. È stata inviata al servizio dal ginecologo al quale la donna si era rivolta per problemi di ordine sessuale. Riferisce di essersi separata da circa 2 anni, attualmente il marito le ha chiesto l’annullamento del matrimonio. La coppia ha un bambino di 4 anni. Adriana racconta di essere felice del suo lavoro e di aver subito un’abuso sessuale all’età di 9 anni da parte del marito della sorella della madre che ancora oggi vive nel palazzo dove vivono i genitori di Adriana. Adriana pensa che questo questo è il motivo x cui cui ha difficoltà ad avere rapporti. Il candidato indichi le aree da approfondire, un inquadramento psicodiagnostico e un piano di trattamento. - analisi dell domanda nel senso dell'indagine sulle motivazioni, bisogni e aspettativa che hanno spinto il soggetto alla consultazione, vedere se si è presentato autonomamente o se sia stato accompagnato da qualcuno; se è stato spinto alla consultazione da qualcuno e da chi; se la domanda esplicita coincide con quella espressa implicitamente.... approfondimenti diagnostici generali - abbozzo di interpretazione diagnostica in termini generali e ipotesi di trattamento terapeutico intendevo dire un'ipotesi diagnostica in termini generali e approfondimenti diagnostici come li trovi sull'ABC (da quanto tempo è presente il disturbo, funzionamento generale della persona, contesto relazionale e familiare, grado di funzionametno dell'io ed esame di realtà....) Il caso tratta di Adriana, una giovane donna di 35 anni che arriva alla consultazione dallo psicologo su invio del ginecologo alla quale si era rivolta per problemi di natura sessuale. Adriana riferisce di essere laureata in scienze religiose e di insegnare questa materia in una scuola elementare, traendo dal lavoro molta soddisfazione. Dice di essersi separata da circa due anni dal marito, il quale recentemente le ha chiesto l’annullamento del matrimonio, e di avere con lui un bambino di 4 anni. Adriana riferisce di essere stata vittima di un abuso sessuale all’età di 9 anni da parte dello zio materno che ancora oggi vive nel palazzo dove abitano i suoi genitori, e attribuisce a ciò la ragione per cui ha difficoltà ad avere rapporti. Dal colloquio iniziale il principale problema che sembra emergere è il problema sessuale di Adriana, problema di cui però non ne viene specificata la natura (si potrebbe trattare di un disturbo del desiderio sessuale, dell’eccitazione sessuale, dell’orgasmo o di un disturbo da dolore sessuale). Escludendo l’origine organica del disturbo sessuale (dal momento che si tratta di un invio da parte di un ginecologo), occorrerebbe indagare l’eventualità che la donna faccia o abbia fatto uso di sostanze s ostanze per poter escludere anche la possibilità che i problemi lamentati non siano ad esso riconducibili. Le informazioni disponibili nel resoconto non consentono però di formulare un’ipotesi diagnostica univoca e sicura, non suscettibile di falsificazioni, e di conseguenza di stabilire con certezza l’eventuale piano di intervento psicoterapeutico più adeguato allo specifico caso in esame. Riterrei pertanto opportuno proporre alla donna un ciclo di incontri durante i quali approfondire, attraverso lo strumento del colloquio clinico e la somministrazione di test adeguati, la conoscenza della sua situazione clinica e ottenere così le informazioni necessarie a stabilire, eventualmente, il piano di intervento terapeutico più adeguato ed accurato. Potrei somministrare un test di
personalità ad ampio spettro, quale l’MMPI-2, ai fini della rilevazione delle principali caratteristiche strutturali di personalità, di eventuali disordini di tipo emotivo e di eventuali aree disfunzionali; e il SESAMO per la rilevazione dei fattori psicologici della vita sessuale. Per prima cosa un aspetto di primaria importanza che merita di essere approfondito è l’analisi della domanda, dove si cerca di individuare le caratteristiche e la qualità della domanda che la donna sta formulando, si cerca di capire se essa coincide o meno con quella espressa verbalmente e in modo esplicito, esplorando le aspettative, i bisogni e le motivazioni, consce e inconsce, che essa sottende. Il tipo di domanda determina infatti la comprensione del disturbo, consente di comprendere il senso della richiesta formulata dalla paziente, spostando l’attenzione dai sintomi dichiarati alla sintomatologia espressa, ed è alla base degli obiettivi e del percorso psicoterapeutico eventualmente scelti. In questa prospettiva, mi sembra importante operare una riflessione sul fatto la richiesta di aiuto non sia direttamente riconducibile alla donna, inviata alla consultazione dal ginecologo al quale si era inizialmente rivolta. Occorrerebbe quindi esplorare le aspettative e le motivazioni della donna verso il colloquio, conoscere come si pone nei confronti del problema e dell’ipotesi di un eventuale percorso psicoterapeutico volto ad acquisire una migliore conoscenza di sé e delle proprie problematiche. Mi sembrerebbe importante conoscere se la donna si sia s ia presentata autonomamente al colloquio o se, invece, sia stata accompagnata da qualcuno (e in questo caso da chi), allo scopo di conoscere il suo livello di autonomia. Mi pare opportuno, inoltre, sapere come mai la donna stia formulando una richiesta di aiuto proprio ora: si potrebbe ipotizzare che si tratti di un momento particolare, “di passaggio”, della sua vita, di cambiamento, come si evince dal fatto che l’ex marito, attualmente, le ha chiesto l’annullamento del matrimonio. Dopo un’adeguata analisi della domanda del paziente, mi sembrerebbe opportuno indagare da quanto tempo la donna lamenta problemi di ordine sessuale, allo scopo di valutare il livello di gravità del disturbo e il periodo della vita in cui è insorto il disagio. In questa prospettiva, la conoscenza delle circostanze di insorgenza del disturbo consentirebbe di stabilire dei collegamenti simbolici fra i fattori scatenanti e il disagio arcaico e profondo espresso dal soggetto. La donna collega i suoi problemi sessuali all’abuso sessuale sess uale che riferisce di aver subito all’età all’e tà di nove anni da parte dello zio materno: mi sembrerebbe pertanto importante raccogliere informazioni sull’eventuale stupro subito al fine di ottenere un quadro evolutivo del disagio e dello sviluppo della personalità della donna. Si potrebbe indagare il modo in cui la donna abbia vissuto la faccenda, quali strategie abbia utilizzato per rispondere al disagio, evidenziando quali sono da alimentare perché funzionali e quali invece sono da eliminare perché alimentano il malessere. Sarebbe opportuno conoscere se la donna abbia, prima di ora, parlato con qualcuno dell’eventuale abuso subito e se sia riuscita in qualche modo ad elaborarlo. Appare in questa prospettiva importante conoscere se i membri della famiglia di Adriana, in primo luogo i genitori e l’ex marito, siano a conoscenza dell’eventuale trauma subito e che tipi di significati vi associno. Appare anche importante conoscere i rapporti attuali di Adriana con lo zio, che vivendo nello stesso palazzo dei genitori, molto probabilmente le capita di incontrare, e i vissuti che la donna prova nei suoi confronti: rabbia? vergogna? vendetta? pena? Indagherei la rappresentazione che la donna ha di Sé e la possibilità che i sentimenti distruttivi che la donna forse prova nei confronti dello zio vengano rivolti verso di Sé, alimentando sentimenti autosvalutativi e autodistruttivi.
personalità ad ampio spettro, quale l’MMPI-2, ai fini della rilevazione delle principali caratteristiche strutturali di personalità, di eventuali disordini di tipo emotivo e di eventuali aree disfunzionali; e il SESAMO per la rilevazione dei fattori psicologici della vita sessuale. Per prima cosa un aspetto di primaria importanza che merita di essere approfondito è l’analisi della domanda, dove si cerca di individuare le caratteristiche e la qualità della domanda che la donna sta formulando, si cerca di capire se essa coincide o meno con quella espressa verbalmente e in modo esplicito, esplorando le aspettative, i bisogni e le motivazioni, consce e inconsce, che essa sottende. Il tipo di domanda determina infatti la comprensione del disturbo, consente di comprendere il senso della richiesta formulata dalla paziente, spostando l’attenzione dai sintomi dichiarati alla sintomatologia espressa, ed è alla base degli obiettivi e del percorso psicoterapeutico eventualmente scelti. In questa prospettiva, mi sembra importante operare una riflessione sul fatto la richiesta di aiuto non sia direttamente riconducibile alla donna, inviata alla consultazione dal ginecologo al quale si era inizialmente rivolta. Occorrerebbe quindi esplorare le aspettative e le motivazioni della donna verso il colloquio, conoscere come si pone nei confronti del problema e dell’ipotesi di un eventuale percorso psicoterapeutico volto ad acquisire una migliore conoscenza di sé e delle proprie problematiche. Mi sembrerebbe importante conoscere se la donna si sia s ia presentata autonomamente al colloquio o se, invece, sia stata accompagnata da qualcuno (e in questo caso da chi), allo scopo di conoscere il suo livello di autonomia. Mi pare opportuno, inoltre, sapere come mai la donna stia formulando una richiesta di aiuto proprio ora: si potrebbe ipotizzare che si tratti di un momento particolare, “di passaggio”, della sua vita, di cambiamento, come si evince dal fatto che l’ex marito, attualmente, le ha chiesto l’annullamento del matrimonio. Dopo un’adeguata analisi della domanda del paziente, mi sembrerebbe opportuno indagare da quanto tempo la donna lamenta problemi di ordine sessuale, allo scopo di valutare il livello di gravità del disturbo e il periodo della vita in cui è insorto il disagio. In questa prospettiva, la conoscenza delle circostanze di insorgenza del disturbo consentirebbe di stabilire dei collegamenti simbolici fra i fattori scatenanti e il disagio arcaico e profondo espresso dal soggetto. La donna collega i suoi problemi sessuali all’abuso sessuale sess uale che riferisce di aver subito all’età all’e tà di nove anni da parte dello zio materno: mi sembrerebbe pertanto importante raccogliere informazioni sull’eventuale stupro subito al fine di ottenere un quadro evolutivo del disagio e dello sviluppo della personalità della donna. Si potrebbe indagare il modo in cui la donna abbia vissuto la faccenda, quali strategie abbia utilizzato per rispondere al disagio, evidenziando quali sono da alimentare perché funzionali e quali invece sono da eliminare perché alimentano il malessere. Sarebbe opportuno conoscere se la donna abbia, prima di ora, parlato con qualcuno dell’eventuale abuso subito e se sia riuscita in qualche modo ad elaborarlo. Appare in questa prospettiva importante conoscere se i membri della famiglia di Adriana, in primo luogo i genitori e l’ex marito, siano a conoscenza dell’eventuale trauma subito e che tipi di significati vi associno. Appare anche importante conoscere i rapporti attuali di Adriana con lo zio, che vivendo nello stesso palazzo dei genitori, molto probabilmente le capita di incontrare, e i vissuti che la donna prova nei suoi confronti: rabbia? vergogna? vendetta? pena? Indagherei la rappresentazione che la donna ha di Sé e la possibilità che i sentimenti distruttivi che la donna forse prova nei confronti dello zio vengano rivolti verso di Sé, alimentando sentimenti autosvalutativi e autodistruttivi.
Esplorerei la natura del disturbo sessuale di Adriana (disturbo del desiderio, dell’eccitazione, dell’orgasmo o del dolore sessuale?), il suo contesto situazionale e i fattori psicologici sottostanti e correlati. Indagherei la possibilità che la donna possa provare sensi di colpa per il piacere sessuale durante il rapporto, che potrebbe essere percepito come “qualcosa di cattivo”, che rimanda ad un’esperienza traumatica. Se Adriana ritiene che “l'origine dei suoi mali” sia riconducibile all'esperienza dell'abuso sessuale subito, si può ipotizzare che ella abbia sviluppato, anche inconsciamente, una sorta di equazione sesso= oggetto cattivo che abbia poi generalizzato ai rapporti con il marito, danneggiandone inevitabilmente la qualità? Indagherei quindi la presenza di transfert dello zio verso l’ex marito che potrebbero aver ostacolato il rapporto. Sarebbe importante approfondire la conoscenza della natura del rapporto di Adriana con l’exmarito, allo stato attuale delle circostanze, e in precedenza, durante il matrimonio. Indagherei sui motivi che sottostanno alla fine del loro matrimonio e sulla possibilità che questi possano essere eventualmente collegati ai problemi sessuali della donna. Sarebbe importante anche conoscere se i coniugi abbiano sviluppato una decisione condivisa sulla fine del loro rapporto o se, invece, uno dei due abbia deciso per entrambi, ed approfondire i vissuti della donna nei confronti del marito e dell'elaborazione del lutto del matrimonio. Indagherei anche i vissuti materni della donna nei confronti del figlio e la presenza di eventuali sensi di colpa nei suoi confronti, per non essere riuscita a “tenere insieme” il suo matrimonio. Ai fini di una migliore conoscenza generale del caso, mi sembrerebbe opportuno indagare il contesto sociale della donna, di cui non si sa praticamente nulla, e quello lavorativo: conoscere se l’insegnamento delle scienze religiose possa essere considerato una sorta di sublimazione dei contenuti sessuali e aggressivi inaccettabili, e se la gratificazione e la soddisfazione che la donna trae dal proprio lavoro è compensatrice di difficoltà e disagi nella sfera privata ed affettiva. Sono tutte ipotesi aperte, alle quali non è possibile fornire una risposta adesso, e che pertanto dovranno essere opportunamente vagliate. Infine, mi sembra opportuno conoscere il grado di funzionamento generale della donna nei diversi contesti e il livello di funzionamento premorboso; gli stili difensivi maggiormente utilizzati; l’esame di realtà; il livello di funzionamento, strutturazione e integrazione dell’IO. La valutazione di alcune funzioni chiave dell’IO, come la capacità di controllo degli impulsi, di giudizio e di mentalizzazione, consentirebbe di avere una maggiore conoscenza delle risorse individuali che possono favorire lo sviluppo della relazione fra la donna donna e il suo contesto di vita. Una volta fatti tutti gli approfondimenti diagnostici del caso, potrei collocare il disturbo della donna all’interno di un quadro psicodiagnostico più preciso e definito e decidere se e quale tipo di intervento psicoterapeutico eventualmente proporre. Qualora, nel corso dei colloqui, emergesse una motivazione da parte della donna ad intraprendere un percorso psicologico su se stessa, sarebbe opportuno indirizzarla verso una terapia di tipo supportivo-espressiva a stampo psicodinamico, che miri inizialmente a rafforzare l’Io, strutturarlo e definirlo maggiormente; migliorare l’investimento sulla realtà; abbassare le quote d’angoscia; migliorare la rappresentazione di sé qualora fosse svalutante. Solo in un secondo momento, dopo aver offerto sostegno e supporto concreto, potrebbe essere possibile indirizzare la terapia verso il polo espressivo, con l’obiettivo principale di favorire un processo di presa di coscienza, rielaborazione e simbolizzazione delle proprie problematiche.
R., 32 anni, chiede una visita psicologica lamentando difficoltà di inserimento, di comportamento e
di relazione insorte circa 10 anni fa e che hanno reso problematica la sua realizzazione personale. Il soggetto soffre da circa dieci anni di una grave insufficienza renale, considerata la vera causa di tutti i suoi problemi e tende a minimizzare il disagio psichico. Non è sposato, non ha relazioni sentimentali, vive in famiglia con padre, madre ed un fratello minore. Ha conseguito un diploma di scuola media superiore, ma non riesce a trovare un'adeguata sistemazione lavorativa, pur accontentandosi di lavori non collegati al suo titolo di studio. Ciò lo ha reso critico ed aggressivo verso la società determinando atteggiamenti di rifiuto, di negatività e di isolamento. La situazione esistenziale del soggetto è caratterizzata da accentuata conflittualità con il padre che crea all'interno del nucleo familiare un'atmosfera carica di tensioni aggravate da spunti aggressivi e atteggiamenti rivendicativi nei confronti dei genitori e del fratello. I genitori segnalano problemi di fragilità emotiva e difficoltà di rapporto personale nell'infanzia e nell'adolescenza, tali problemi non vengono riferiti dal soggetto. La coppia genitoriale appare in crisi e manifesta da sempre una notevole conflittualità ed incompatibilità di carattere fra i coniugi. I genitori del paziente segnalano nella sua infanzia e adolescenza problemi di fragilità emotiva, difficoltà di rapporto interpersonale e tendenza all'isolamento. Il soggetto non riferisce problemi nè di tipo infantile, nè di tipo adolescenziale. Pare che il ragazzo sia motivato ad affrontare una terapia psicologica e che vi sia una certa consapevolezza circa il proprio disagio, anche se questo é prevalentemente correlato al problema di salute. Il candidato formuli una valutazione psicodiagnostica e proponga un successivo progetto di intervento. Sarebbe forse opportuno approfondire le motivazioni che hanno spinto il ragazzo ad una consultazione ed in particolare se qualcuno glielo ha consigliato o quale sia stato il fattore che lo ha spinto a rivolgersi ora allo psicologo, dopo 10 anni di disturbi. Bisognerebbe esplorare con il ragazzo le aspettative legate all'intervento psicologico. Il ragazzo attribuisce i suoi problemi all'insufficienza renale grave; sarebbe opportuno confrontarsi con il ragazzo sul problema di salute, che potrebbe comportare una dialisi ed empatizzare col ragazzo circa tale problematica. » evidente che una patologia del genere, insorta quando il ragazzo aveva 22 anni puÚ avere pesantemente inciso su problematiche psicologiche che probabilmente il ragazzo gi‡ viveva in modo pi limitato. Probabilmente non vi Ë stato al momento dell'insorgere della malattia un supporto psicologico che lo abbia aiutato a superare il lutto di una salute persa e ad elaborare una nuova immagine di SÈ. Si potrebbe ipotizzare che il ragazzo viva in una situazione di depressione che cerca di superare adottando atteggiamenti aggressivi e di rifiuto.Sarebbe opportuno capire quali siano i rapporti con la madre e con il fratello e quale sia stato il modo in cui i familiari hanno reagito alla malattia: se considerando il ragazzo una vittima o se aiutandolo ad accettarsi e ad accettare la patologia. Sarebbe opportuno sapere se in passato ha avuto delle amicizie o delle relazioni affettive e quali siano stati i rapporti con i coetanei. Sarebbe opportuno valutare l'esame di realt‡ che nella depressione risulta in parte compromesso. Bisognerebbe anche capire perchÈ il padre Ë diventato il soggetto verso cui viene rivolta la rabbia del soggetto e capire la problematiche profonde legate al conflitto tra i due Ritengo opportuno seguire il ragazzo inizialmente con una terapia di tipo supportivo che lo aiuti ad elaborare il lutto legato alla malattia, accrescere l'autostima e rafforzare le difese dell'io. In seguito Ë possibile pensare ad una terapia di tipo espressivo. Sarebbero positivi anche incontri con tutta la famiglia per comprendere come sono articolate le relazioni e per supportare la famiglia in questo momento. Cercherei con il ragazzo di progettare una sistematica ricerca di lavoro cercando gradualmente di svincolarlo dalla famiglia e di promuovere una maggiore indipendenza ed autonomia. ˘
Le difficoltà presentate sono poste in relazione dal paziente stesso con l'insorgenza di una forma di insufficienza renale, da lui considerata come l'unica e reale origine dei suoi problemi. Potrebbe essere utile approfondire le informazioni a disposizione relative alla malattia del paziente, al fine di comprendere il grado di gravità della patologia organica e quanto questa possa avere un impatto invalidante sulla vita affettiva, relazionale e lavorativa del paziente. Tutte queste aree risultano infatti problematiche per la vita del soggetto: egli non è sposato, non ha relazioni sentimentali ed è insoddisfatto del proprio lavoro che non ha a che vedere con il titolo di studio conseguito. Anche le relazioni con i propri familiari risultano difficoltose: egli vive in casa con i genitori ed il fratello minore, ma i rapporti con quest'ultimo e con il padre vengono descritti come conflittuali, aggressivi e rivendicativi. Non vengono specificate le ragioni alla base di questi scontri e sarebbe pertanto importante approfondirle per avere una migliore comprensione del quadro familiare con le sue regole, i suoi ruoli ed alleanze, il tipo di comunicazione e le aree conflittuali che lo contraddistinguono. Dalla lettura del protocollo emerge l'esistenza di una forte conflittualità nella coppia genitoriale dovuta ad una incompatibilità di carattere e, quindi, sempre esistita. Si potrebbe pertanto ipotizzare un coinvolgimento del figlio maggiore nella conflittualità genitoriale e, presumibilmente, di una sua alleanza con la madre contro il padre, con il quale ha appunto una relazione conflittuale. Anche il fratello minore potrebbe essere inserito in questa dinamica familiare, presumibilmente in alleanza con il padre. La sottolineatura data dal paziente alla propria condizione medica e l'impatto di questa sulla sua vita dovrebbero spingere il clinico ad esplorare con lui la sua storia, per approfondire il livello e la qualità dell'adattamento pre- morboso. Emergono a questo proposito due versioni contrastanti: l'infanzia e l'adolescenza del paziente sarebbero a suo parere trascorse tranquillamente, senza particolari problemi o difficoltà; al contrario i genitori del paziente riferiscono una situazione di fragilità emotiva, difficoltà relazionali e tendenza all'isolamento esistente fin da allora. Si dovrebbe quindi approfondire con il paziente la sua capacità di valutare realisticamente ed oggettivamente le proprie difficoltà, nonché l'immagine che egli ha di sé, che potrebbe essere deteriorata dalla malattia. Si potrebbe ipotizzare, in base agli elementi a disposizione, l'esistenza di una patologia depressiva che, probabilmente già presente in età evolutiva, sarebbe stata poi accentuata dall'insorgere della malattia alla quale il paziente avrebbe poi reagito con atteggiamenti di critica, rabbia ed aggressività. Di grande utilità ai fini della pianificazione di un intervento mirato potrebbe essere l'esplorazione della domanda del paziente. Nello specifico dovrebbero essere approfondire le ragioni che lo spingono in primo luogo a rivolgersi ad uno psicologo, dal momento che egli sembra minimizzare la componente psicologica delle proprie difficoltà a favore di quella organica, e, in secondo luogo, a scegliere proprio questo momento, dato che le difficoltà lamentate sono presenti da ormai 10 anni. » quindi utile domandarsi quali strategie il soggetto abbia utilizzato fino ad ora per far fronte alle proprie difficoltà e con quali risultati, e quali attese, bisogni ed aspettative siano espresse attraverso la domanda di consultazione. L'intervento terapeutico con R. potrebbe prevedere una terapia individuale a carattere inizialmente supportivo, volta al rafforzamento dell'Io e dei suoi confini. In un secondo momento la terapia potrebbe divenire pi espressiva e affrontare il disagio e le conflittualità sottostanti rielaborandole. Se la famiglia fosse disponibile potrebbe rivelarsi di particolare utilità un intervento ad approccio sistemico, volto alla ridefinizione delle regole e dei ruoli che del sistema familiare, allo scopo di favorire lo svincolo e l'individuazione dei membri. ˘
R ha 32 anni, non Ë sposato e non ha relazioni sentimentali; vive in f amiglia con il padre, la madre e un fratello minore. Ha rapporti conflittuali con il padre e vengono segnalate difficolt‡ relazionali anche tra i genitori Ha conseguito un titolo di studio superiore, ma Ë ancora disoccupato. Chiede personalmente una visita psicologica a causa delle sue difficolt‡ di inserimento, di comportamento
e di relazione. Il soggetto attribuisce l'inizio dei suoi problemi alla grave insufficienza renale di cui soffre da 10 anni. I genitori segnalano problemi di fragilit‡ emotiva e difficolt‡ di rapporto personale nell'infanzia e nell'adolescenza, tali problemi non vengono riferiti dal soggetto. Pare che il ragazzo sia motivato ad affrontare una terapia psicologica e che vi sia una certa consapevolezza circa il proprio disagio, anche se questo Ë prevalentemente correlato al problema di salute. Sarebbe forse opportuno approfondire le motivazioni che hanno spinto il ragazzo ad una consultazione ed in particolare se qualcuno glielo ha consigliato o quale sia stato il fattore che lo ha spinto a rivolgersi ora allo psicologo, dopo 10 anni di disturbi. Bisognerebbe esplorare con il ragazzo le aspettative legate all'intervento psicologico. Il ragazzo attribuisce i suoi problemi all'insufficienza renale grave; sarebbe opportuno confrontarsi con il ragazzo sul problema di salute, che potrebbe comportare una dialisi ed empatizzare col ragazzo circa tale problematica. » evidente che una patologia del genere, insorta quando il ragazzo aveva 22 anni può avere pesantemente inciso su problematiche psicologiche che probabilmente il ragazzo già viveva in modo più limitato. Probabilmente non vi Ë stato al momento dell'insorgere della malattia un supporto psicologico che lo abbia aiutato a superare il lutto di una salute persa e ad elaborare una nuova immagine di SÈ. Si potrebbe ipotizzare che il ragazzo viva in una situazione di depressione che cerca di superare adottando atteggiamenti aggressivi e di rifiuto. Sarebbe opportuno capire quali siano i rapporti con la madre e con il fratello e quale sia stato il modo in cui i familiari hanno reagito alla malattia: se considerando il ragazzo una vittima o se aiutandolo ad accettarsi e ad accettare la patologia. Sarebbe opportuno sapere se in passato ha avuto delle amicizie o delle relazioni affettive e quali siano stati i rapporti con i coetanei. Sarebbe opportuno valutare l'esame di realtà che nella depressione risulta in parte compromesso. Bisognerebbe anche capire perchè il padre è diventato il soggetto verso cui viene rivolta la rabbia del soggetto e capire la problematiche profonde legate al conflitto tra i due Ritengo opportuno seguire il ragazzo inizialmente con una terapia di tipo supportivo che lo aiuti ad elaborare il lutto legato alla malattia, accrescere l'autostima e rafforzare le difese dell'io. In seguito è possibile pensare ad una terapia di tipo espressivo. Sarebbero positivi anche incontri con tutta la famiglia per comprendere come sono articolate le relazioni e per supportare la famiglia in questo momento. Cercherei con il ragazzo di progettare una sistematica ricerca di lavoro cercando gradualmente di svincolarlo dalla famiglia e di promuovere una maggiore indipendenza ed autonomia. R. ha 32 anni e si rivolge allo psicologo per delle problematiche di tipo comportamentale e relazionale. Tali difficoltà affliggono il paziente da 10 anni, ed il loro esordio è posto in relazione dal paziente stesso con l'insorgenza di una forma di insufficienza renale, da lui considerata come l'unica e reale origine dei suoi problemi. Sembrerebbe, dunque di estrema importanza approfondire le informazioni a disposizione relative alla malattia del paziente, al fine di comprendere il grado di gravità della patologia organica e quanto questa possa avere un impatto invalidante sulla vita affettiva, relazionale e lavorativa del paziente. Tutte queste aree risultano infatti problematiche per la vita del soggetto: egli non è sposato, non ha relazioni sentimentali ed è insoddisfatto del proprio lavoro che non ha a che vedere con il titolo di studio conseguito. Anche le relazioni con i propri familiari risultano difficoltose: egli vive in casa con i genitori ed il fratello minore, ma i rapporti con quest'ultimo e con il padre vengono descritti come conflittuali, aggressivi e rivendicativi. Non vengono specificate le ragioni alla base di questi scontri e sarebbe pertanto importante approfondirle per avere una migliore comprensione del quadro familiare con le sue regole, i suoi ruoli ed alleanze, il tipo di comunicazione e le aree conflittuali che lo contraddistinguono. Dalla lettura del protocollo emerge l'esistenza di una forte conflittualità nella coppia genitoriale dovuta ad una incompatibilità di carattere e, quindi, sempre esistita. Si potrebbe pertanto azzardare l'ipotesi di un coinvolgimento del figlio maggiore nella conflittualità genitoriale e,
presumibilmente, di una sua alleanza con la madre contro il padre, con il quale ha appunto una relazione conflittuale. Anche il fratello minore potrebbe essere inserito in questa dinamica familiare, presumibilmente in alleanza con il padre. La sottolineatura data dal paziente alla propria condizione medica e l'impatto di questa sulla sua vita dovrebbero spingere il clinico ad esplorare con lui la sua storia, per approfondire il livello e la qualità dell'adattamento pre- morboso. Emergono a questo proposito due versioni contrastanti: l'infanzia e l'adolescenza del paziente sarebbero a suo parere trascorse tranquillamente, senza particolari problemi o difficoltà; al contrario i genitori del paziente riferiscono una situazione di fragilità emotiva, difficoltà relazionali e tendenza all'isolamento esistente fin da allora. Si dovrebbe quindi approfondire con il paziente la sua capacità di valutare realisticamente ed oggettivamente le proprie difficoltà, nonchè l'immagine che egli ha di sé, che potrebbe essere deteriorata dalla malattia. Si potrebbe ipotizzare, in base agli elementi a disposizione, l'esistenza di una patologia depressiva che, probabilmente già presente in età evolutiva, sarebbe stata poi accentuata dall'insorgere della malattia alla quale il paziente avrebbe poi reagito con atteggiamenti di critica, rabbia ed aggressività. Di grande utilità ai fini della pianificazione di un intervento mirato potrebbe essere l'esplorazione della domanda del paziente. Nello specifico dovrebbero essere approfondire le ragioni che lo spingono in primo luogo a rivolgersi ad uno psicologo, dal momento che egli sembra minimizzare la componente psicologica delle proprie difficoltà a favore di quella organica, e, in secondo luogo, a scegliere proprio questo momento, dato che le difficoltà lamentate sono presenti da ormai 10 anni. » quindi utile domandarsi quali strategie il soggetto abbia utilizzato fino ad ora per far fronte alle proprie difficoltà e con quali risultati, e quali attese, bisogni ed aspettative siano espresse attraverso la domanda di consultazione. L'intervento terapeutico con R. potrebbe prevedere una terapia individuale a carattere inizialmente supportivo, volta al rafforzamento dell'Io e dei suoi confini. In un secondo momento la terapia potrebbe divenire più espressiva e affrontare il disagio e le conflittualità sottostanti rie laborandole. Se la famiglia fosse disponibile potrebbe rivelarsi di particolare utilità un intervento ad approccio sistemico, volto alla ridefinizione delle regole e dei ruoli che del sistema familiare, allo scopo di favorire lo svincolo e l'individuazione dei membri
P. è un uomo di 38
anni che giunge alla consultazione dello psicologo in uno stato di profonda prostrazione psicologica anche se l'aspetto fisico è abbastanza ben curato. P. fa molta fatica ad esprimersi ed, infatti, il colloquio inizia con un silenzi interrotto poi dallo psicologo che gli domanda se desidera dire qualcosa. Con fatica e un pò alla volta P. comincia a dire che si sente molto giù da quasi due mesi e che ormai non riesce ad avere alcun interesse per tutto quello che, invece fino ad ora, di fatto rappresentava la sua vita. P. riferisce di convivere, da 10 anni, cioè da quando è nata sua figlia, con una persona carina ed intelligente con cui va abbastanza d'accordo e di essere molto attaccato alle "due donne della sua vita" anche se ora preferirebbe quasi non farsi vedere più da loro per evitare che scoprano come lui è ridotto. Il soggetto sostiene che anche nel lavoro, dice di essere un muratre che poi è diventato un piccolo imprenditore, le cose vanno molto male perchè "mi rendo conto di avere fatto degli investimenti troppo azzardati e di essermi comprato una casa forse troppo grande, insomma sono pieno di debiti e ora non so come fare a rimediare". Rispetto a come sia andata la sua vita precedentemente P. riferisce che a volte gli capita di vivere situazioni emotive molto diverse da quelle attuali e che anzi, spesso, è incredibilmente pieno di energia "proprio un vulcano di idee e infatti in quei momenti faccio tanti progetti; poi però all'improvviso tutto cambia, forse perchè la vita spess è crudele e mi manda troppe prove difficili da affrontare, per cui mi ritrovo a sentirmi
impotente e sempre più triste e penso che non ce la faccio più". Per quel che riguarda la famiglia di origine P. riferisce di avere una madre con la quale ha un pessimo rapporto e che frequenta poco poco e che non ha conosciuto conosciuto il suo vero padre che è andato via di casa quando lui era molto piccolo. P. sostiene di essere venuto alla consultazione perchè la sua compagna minaccia di mandarlo via di casa se non si decide a sentire il parere di un esperto ed eventualmente farsi seguire in qualche modo:"perchè, dottore, lei è cnvinta che io abbia qualcosa che non va, forse è anche un pò arrabbiata perchè ha scoperto qualche mia scappatella precedente, acqua passata però, ma poi non so se è lei quella strana, infatti già da un anno va da uno psicologo". Sulla base dei dati forniti, il candidato indichi in maniera sintetica: a. quale ipotesi diagnostica prenderebbe in considerazione, specificando gli elementi ritenuti importanti a giustificazione dell'ipotesi fatta; b. di quali altri dati ha bisogno bisogno per una diagnosi differenziale; c. di quali strumenti psicodiagnostici si avvarrebbe; d. quali indagini, consulenze specialistiche o altro richiederebbe ri chiederebbe alla persona e perchè; e. se ritiene necessario un trattamento; f. in caso di indicazione di trattamento specificare il tipo di orientamento, obiettivi, setting; g. chiarire le motivazioni della scelta fatta; h. eventuali risorse di rete psico-sociale da attivare. I candidati sono invitati a rispondere a tutti i punti e ad indicare la lettera di risposta per ciascun punto mantendendo mantendendo l'ordine dato. P. arriva in consultazione lamentando un umore triste da circa un paio di mesi. Con riferimento al manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali si potrebbe ipotizzare un disturbo nell'area dell'umore. Si ritrovano sintomi come la demotivazione, il disinteresse per le attività, l'autocritica e la colpa "mi rendo conto di aver fatto degli investimenti troppo azzardati e di essermi comprato forse una casa troppo grande..", autosvalutazione autosvalutazione (preferirebbe non farsi vedere da loro per evitare che scoprano come lui è ridotto) che farebbero pensare ad una sintomatologia depressiva. Tuttavia il paziente sostiene che, ripensando alla sua vita precedentemente (agli utimi due mesi), gli capitava spesso di vivere situazioni emotive diverse da quelle attuali nelle quali si sentiva pieno di energia e aveva mille idee per poi ripiombare nuovamente nello stato di sconforto,impotenza e tristezza ("forse perchè la vita è spesso crudele e mi manda troppe prove difficili da affrontare"). Sembra quindi esserci stata in passato un oscillazione di stati d'animo contrastanti che richiamano somiglianze con i disturbi bipolari per l'alternanza di fasi depressive e maniacali. b. Tuttavia gli elementi a nostra disposizione non sembrano essere sufficienti a soddisfare nè i criteri per un episodio depressivo maggiore, nè per un episodio maniacale. Dalla descrizione del caso sembrerebbe di trovarsi più in presenza di un oscillazione di vecchia data di alti e bassi che non giustificano la diagnosi di disturbo bipolare. Sarebbe a questo punto utile indagare la durata di queste oscillazioni e la frequenza con cui si sono succedute. Potrebbe infatti trattarsi di un disturbo ciclotimico dove l'ultimo episodio è rappresentato da un periodo con sintomi depressivi ma il decorso della sintomatologia è di cruciale importanza per orientarsi verso questa ipotesi. Escluderei la presenza di un disturbo borderline di personalità che anche avendo come caratteristica frequenti alterazioni dell'umore si accompagna di un quadro sintomatologico che qui non è riscontrabile. c. A questo proposito troverei utile la somministrazione di un strumento diagnostico come l'MMPI2 per valutare le maggiori caratteristiche strutturali di personalità e i disordini di tipo emotivo ed indagare più a fondo le eventuali componenti depressive e quelle maniacali. d. Mi sembrerebbe utile a questo punto approfondire la conoscenza delle ragioni che hanno portato a questo disagio. Innanzitutto cercherei di raccogliere maggiori informazioni riguardo il rapporto
del paziente con i genitori. Anche se il P. dichiara di aver avuto un pessimo rapporto con la madre non sono chiari i motivi di tale astio. Il fatto che P. sostenga di non aver conosciuto mai il suo vero padre perchè è andato via quando era piccolo fa pensare ad una situazione di fallimento da parte dell'oggetto-Sè paterno gratificare i bisogni del Sè di rispecchiamento. Bisognerebbe quindi conoscere la qualità delle successive cure materne e indagare le ragioni del loro conflitto. Un'analisi di questo tipo premetterebbe di capire meglio anche il rapporto di P. con la sua famiglia ed in particolare con sua moglie che sembra essere caratterizzato da ambivalenza: da una parte la figura di sua moglie viene descritta des critta come c ome "carina ed intelligente" intel ligente" e addiruttura lui sostiene di non volersi far vedere da lei e sua figlia in questo stato perchè è molto attaccato alle due donne della sua vita e dall'altro canto si riferisce a lei come "quella strana che già da un anno va da uno psicologo" e che P. ha tradito in passato con "qualche scappatella". Inoltre riterrei opportuno avere informazioni sulle eventuali relazioni all'esterno della rete familiare per capire quanto il problema sia racchiuso all'interno del sistema. Al fine di escludere qualunque causa organica dell'alterazione dell'umore suggerirei al paziente un esame medico che per la rilevazione di eventuali componenti che meglio spiegherebbero o che contribuirebbero al verificarsi del sintomi. e.f.g. Considerando i seguenti fattori: la motivazione apparentemente estrinseca alla terapia (P. sostiene che sia la moglie ad aver insistito perchè lui chiedesse un consulto psicologico perchè crede che io abbia qualcosa che non va), la presenza di un altro membro della famiglia con problemi psicologici, un buon insight del paziente che non nega il suo malessere, un buon funzionamento dell'io ed un adeguato esame della realtà proporrei una terapia di carattere espressivo ad orientamento sistemico-familiare i cui obiettivi consisterebbero nella trasformazione delle regole del sistema con regole più funzionali, nel favorire la comunicazione tra i membri (in particolare i coniugi) e sviluppare la definizione e rafforzamento dei confini interni al sistema. h. ?????Non so...
Un avvocato di 45 anni richiede un trattamento tr attamento su insistenza della moglie, che è stanca del loro matrimonio, non può più tollerare la sua freddezza emotiva, le richieste rigide, la sua prepotenza, il disinteresse sessuale, sessuale, i lunghi orari di lavoro e i frequenti viaggi d'affari. Il paziente non prova alcun disagio particolare nel suo matrimonio e ha accettato la consulenza solo per accontentare la moglie. Ben presto,tuttavia,emerge che il paziente è preoccupato da problemi lavorativi. E' conosciuto come l'uomo di punta di uno studio legale ben avviato. E' stato l più giovane socio nella storia dello studio ed è famoso per la sua capacità di gestire molti casi contemporaneamente. Recentemente si trova sempre più incapace di sostenere quei ritmi. E' troppo orgoglioso per rifiutare un nuovo caso e troppo perfezionista per rimanere soddisfatto dal lavoro svolto dai suoi assistenti. Scontento dello stile di vita e della struttura delle difese che scrivono, si trova costantemente a correggere le loro difese giudiziarie ed è quindi incapace di stare al passo con i suoi impegni. I suoi collaboratori lamentano che la sua attenzione per i dettagli, la sua incapacità di delegare la responsabilità stanno riducendo la sua efficienza. In 15 anni ha cambiato 2 o 3 volte segretarie all'anno; nessuna di esse può tollerare di lavorare con lui per molto tempo, tempo, perchè è troppo troppo critico riguardo agli errori commessi dagli altri. Quando vengono assegnati i compiti, non riesce a decidere quale discutere per primo, comincia a fare programmi per sè e per per i collaboratori, ma poi poi non riesce a rispettarli rispettarli e lavora 15 ore al giorno. Trova difficile essere risoluto adesso che il suo lavoro è aumentato al di là del suo diretto controllo. Il paziente tratta i suoi figli come se fossero delle bambole meccaniche, ma tuttavia prova per loro un affetto evidente anche se nascosto. Descrive sua moglie come una "compagna adeguata" e ha difficoltà a capire perchè sia insoddisfatta. E' puntiglioso nei modi e nell'abbigliamento, il suo eloquio è lento e monotono, arido e privo di humor con una testarda determinazione nel far intendere le sue ragioni. E' figlio di due genitori "in "i n carriera", estremamente dediti al lavoro. E' cresciuto con la sensazione
di non lavorare mai abbastanza, di avere molto da raggiungere e poco tempo a disposizione. E' stato uno studente modello, un "topo da biblioteca", goffo e impopolare nelle attività sociali adolescenziali. E' sempre stato competitivo e ambizioso. Ha difficoltà a rilassarsi in i n vacanza, sviluppa complessi programmi di attività per ciascun membro della famiglia e diventa impaziente e furioso se essi rifiutano di seguire i suoi piani. Gli piacciono gli sport, ma ha poco tempo per praticarli e rifiuta di giocare se non è al massimo massimo della forma. Sui campi campi da tennis è ferocemente competitivo e ha difficoltà a perdere. Il canditato sulla base degli elementi forniti dal testo proponga: 1. delle ipotesi diagnostiche motivando le scelte fatte 2. quali ulteriori dati necessiterebbe per effettuare una diagnosi differenziale e quale sarebbe quest'ultima. 3. quali strumenti diagnostici si potrebbero utilizzare per avvalorare tale ipotesi 4. il tipo di intervento più idoneo 5. le eventuali risorse di rete psicosociali da attivare Il paziente presenta le seguenti caratteristiche: freddezza emotiva, richieste rigide, prepotenza, disinteresse sessuale, dedizione eccessiva al lavoro, orgoglio eccessivo, perfezionismo, atteggiamento critico nei confronti degli altri, attenzione per i dettagli, testardaggine, tendenza a programmare attività per se e gli altri ma incapacità a rispettarle e la sua meticolosità nell'eseguire i compiti alla perfezione appare ostacolare la sua performance lavorativa. Inoltre sembra disinteressato a tutto ciò che non concerne l'ambito lavorativo tanto è vero che nn capisce che cosa renda la moglie insoddisfatta. La descrizione relativa alla giovane età dove elementi analoghi di eccessiva ambizione e perfezionismo e intolleranza ala non adesione degli altri ai suoi piani suggerisce un modello pervasivo di comportamento tipico tipico dei disturbi di personalità. Gli elementi a nostra disposizione sembrerebbero rientrare nel quadro di un disturbo ossessivocompulsivo di personalità dove, con riferimento al DSM-IV, troviamo tra i criteri un'attenzione per i dettagli, le regole, l'organizzazione al punto che va perduto lo scopo principale dell'attività ("è incapace di stare al passo con i suoi impegni"), perfezionismo che interferisce con il completamento dei compiti (i colleghi infatti riferiscono che "la sua attenzione per i dettagli e la sua incapacità di delegare responsabilità stanno riducendo la sua efficienza"), eccessiva dedizione al lavoro fino all'esclusione delle attività di svago (non si dedica alla famiglia e anche in passato era un topo da biblioteca), incapacità di delegare compiti lavorare con altri a meno che non facciano le cose come vuole lui (sostiene infatti di essere intollerante quando gli altri non aderiscono ai suoi programmi) e manifesta manife sta testardaggine. Nonostante la somiglianza terminolgica escluderei la diagnosi Disturbo Ossessivo-compulsivo per l'assenza di ossessioni e compulsioni e non si è in presenza di un modello pervasivo di comportamento. Sarebbe invece opportuno considerare una diagnosi differenziale con altri disturbi di persnalità come il Disturbo narcisistico di personalità dove la componente di perfezionismo è anche presente. A questo proposito sarebbe opportuno soffermarsi sulle differenze qualitative del pefezionismo visto che nel narcistista c'è la convizione di aver raggiunto la perfezione mentre nel dist oss-comp di pers c'è un senso autocritico che implica una costante tensione al raggiungimento di tale obiettivo che qui si evince dalla preoccupazione per i suoi problemi lavorativi. Sarebbe anche opportuno opportuno considerare una diagnosi diagnosi differenziale con il Dist Schizoide di personalità dove è presente un analogo ritiro dalle relazioni affettive e sociali ma nel nostro caso questa è una conseguenza della troppa dedizione al lavoro e non ad un'incapacità di instaurare un'intimità con l'altro. Approfondimenti necessari per sostenere la mia ipotesi e orientarmi verso un intervento efficace riguarderebbero la valutazione del livello del funzionamento dell'io, l'esame della realtà e gli stili difensivi adottati. A questo proposito cercherei di raccogliere maggiori informazioni riguardo ai rapporti con i genitori. La comprensione psicodinamica di questo disturbo descrive questi individui come regrediti dall'angoscia di castrazione associata con la fase edipica alla relativa sicurezza del
periodo anale. Si ipotizzerebbe quindi la presenza di un SUper-Io punitivo derivante da una insufficiente valorizzazione da parte dei genitori o da carenti dimostrazioni di amore da parte di questi che avrebbero portato ad una notevole sfiducia in se stesso alla quale ha ovviato con operazioni difensive quali l'isolamento affettivo, l'intellettualizzazione, la formazione reattiva. Sarebbe quindi di partciolare interesse conoscere la qualità della relazioni oggettuali del paziente. Anche l'incapacità del paziente di essere intimo con la moglie rimanda alla paura di essere travolto da intensi desideri di essere amato e di "perdere il controllo". La scelta riguardante il tipo di terapia in questi casi è complessa. Infatti in questi pazienti sono comuni resistenze nei confronti degli insight del terapeuta. Inoltre mentre nel disturbo oss-comp i pazienti riconoscono l'irraginevolezza delle loro azioni i pazienti con disturbo oss-comp di persnalità tendono a negare l'esistenza di qualunque tipo di problema e quindi rendono difficile l'instaurarsi di un'alleanza terapeutica. In questo caso particolare il paziente sembra infatti inconsapevole del problema tanto che è la moglie a richiedere una consultazione. Per iniziare quindi proporrei una terapia supportiva basata sull'empatia che contenga l'angoscia. Una volta abbassate certe difese, una terapia di tipo espressivo sarebbe di grande aiuto per permettere al paziente di venire a contatto con i termini del poprio conflitto, promuovere una maggiore flessibilità del super-io.
Una giovane di 25 anni, prossima alla laurea, chiede una consultazione psicologica. Da qualche tempo non riesce a dormire bene, è molto ansiosa e, soprattutto in situazioni di affollamento, ha crisi di sudorazione e tachicardia e senso di soffocamento. Questo la preoccupa molto perché, dopo la laurea, si era indirizzata verso un master all’estero con buone prospettive che si concludesse con un’ottima opportunità lavorativa. Dice di essere libera sentimentalmente perché ha concluso senza apparente sofferenza un rapporto affettivo iniziato quando aveva 18 anni. Racconta diffusamente che il clima sereno che era sempre esistito all’interno del nucleo familiare sembra essersi “spezzato”. Padre e madre discutono sempre più spesso e, dopo le liti, la madre, casalinga, passa la giornata a letto, lasciando alla figlia i lavori domestici, mentre il padre si rinchiude nel mutismo e si trattiene sempre più al lavoro. La giovane è anche molto preoccupata per il fratello di 17 anni, che ha iniziato a rincasare tardi e rischia di essere bocciato. Il candidato decida a quali aree problematiche il colloquio clinico deve porre attenzione, se è opportuno allargare l’indagine ad altri componenti del nucleo familiare e quali strumenti diagnostici userebbe per approfondire la conoscenza del caso. La giovane arriva in consultazione con la seguente sintomatologia: problemi di sonno, ansia (soprattutto in situazioni di affollamento), crisi con sudorazioni, tachicardia e senso di soffocamento. Il problema che lei riporta appare causare disagio significativo in quanto ha problemi a proseguire i programmi fatti per il suo futuro professionale. Sembrerebbe essere in presenza di un disturbo ansioso. Ipotesi diagnostiche diventano abbastanza difficili da suggerire visto i pochi elementi a nostra disposizione. Tuttavia la specificazione che la giovane subisce le “crisi” di sudorazione e tachicardia soprattutto in ambienti affollati farebbe pensare ad un disturbo di panico con agorafobia ma mancano troppi elementi che sarebbe invece opportuno indagare per sostenere questa ipotesi diagnostica. Innanzitutto sarebbe opportuno indagare la ricorrenza delle crisi, le cause di insorgenza e il vissuto del soggetto al momento. Sarebbe anche utile conoscere in che misura il problema si verifica in situazioni di affollamento o se l’ansia è più pervasiva (il che si evince dai problemi del sonno e dalla costante preoccupazione per altre faccende) oltre che valutare se effettivamente queste crisi corrispondono a veri e propri attacchi di panico o ne condividono solo alcune caratteristiche. Inoltre sarebbe opportuno effettuare una diagnosi differenziale con un disturbo d’ansia generalizzato dove il soggetto ha preoccupazioni
eccessive che riguardano attività o eventi e riporta sintomi di alterazioni del sonno che il DSM-IV include tra i criteri diagnostici per il disturbo d’ansia generalizzato. Troviamo infatti una sua preoccupazione sia per il suo futuro che per il comportamento del fratello. Tuttavia queste due preoccupazioni sembrano avere caratteristiche diverse in quanto nel primo caso la preoccupazione riguarda il fatto di non poter portare avanti certi programmi di vita a causa del suo problema che la limita (più comune all’attacco di panico) mentre nel secondo caso la preoccupazione è direttamente rivolta ad un fattore esterno come il comportamento del fratello (più comune nel caso di disturbo d’ansia generalizzato). Un altro fattore da considerare sarebbe il significato che l’ansia nelle situazioni temute assume e di cui non abbiamo indicazioni che, nel caso in cui fosse legata ad un tema di paura del giudizio, potrebbe far considerare una diagnosi differenziale con la fobia sociale dove la presenza di attacchi di panico è presente e causata dalle situazioni in cui si teme il giudizio. Tuttavia la paziente si riferisce alla “folla” e non alle situazioni sociali facendo dedurre che quello che lei teme è il soffocamento della gente più che il loro giudizio. Per questo motivo escluderei la possibilità che possa trattarsi di Fobia sociale. In base al racconto del soggetto riguardo alla sua situazione familiare dove qualcosa “sembra essersi spezzato” raccoglierei maggiori informazioni sui rapporti tra i membri della famiglia. Cercherei infatti di capire che cosa all’improvviso è cambiato e quale sia stato o quale siano stati gli eventi destabilizzanti. Anche la condizione del fratello sembra essere una “reazione” diversa ma di analoga natura a questo cambiamento. Dai dati a nostra disposizione sembrerebbe che a monte di tutto ci siano i litigi tra i genitori con una conseguente reazione depressiva da parte della madre che appare troppo coinvolta nel proprio problema per dare di conto alle esigenze dei figli. La paziente si trova all’improvviso ad assumere quasi un ruolo “sostitutivo” a quello della madre che implica la presa di responsabilità di faccende prettamente concrete come la cura della casa e di altre più “serie” come la cura del fratello. Si potrebbe quindi ipotizzare la presenza da un lato di una situazione di angoscia abbandonica che avrebbe portato allo smarrimento e al sentire le “nuove” responsabilità come soffocanti e d’altro un’angoscia di inglobamento, di intrusione dei confini di ruolo, dove il suo essere “trattenuta” all’interno della famiglia con conseguente limitazione al suo processo di autonomia possono aver ostacolato il suo distacco dalla famiglia e compromesso le sue scelte future. Sarebbe tuttavia opportuno esaminare più approfonditamente la qualità dei rapporti tra i membri che sembrano essere caratterizzati da reciproco invischiamento prima dell’insorgenza dei disagi. Proporrei a questo proposito un test del disegno della famiglia di Corman (?) per capire ulteriormente il punto di vista della paziente rispetto alle dinamiche presenti all’interno del nucleo familiare. La motivazione intrinseca della paziente alla consultazione e il conservato funzionamento dell’io e della realtà mi condurrebbero a suggerire una terapia espressiva ad orientamento sistemico-familiare che aiuti i membri a prendere consapevolezza dei propri conflitti, a ridefinire i ruoli e quindi a rafforzare i confini interni, a facilitare lo scambio di comunicazione e infine a promuovere un processo di separazione-individuazione. Il caso proposto riguarda una giovane donna di 25 anni che sembra presentarsi in modo spontaneo per un consulto. Riterrei innanzitutto importante fare un’accurata analisi della domanda, indagando sull’autenticità delle sua richiesta di aiuto, sulle sue motivazioni a riguardo, sulle sue idee e aspettative nei confronti di eventuali trattamenti e sul perché si sia presentata in questo particolare momento. Approfondire questi aspetti potrebbe essere utile per stabilire un’alleanza terapeutica, per capire la disponibilità e la collaborazione della donna a incontri successivi, per informarsi sulla sua consapevolezza circa le sue difficoltà e, infine, per la scelta e la pianificazione di un intervento. La ragazza, durante il primo colloquio, lamenta di non riuscire a dormire bene, di provare ansia, specie in situazioni di affollamento, con conseguente sudorazione, tachicardia e senso di soffocamento. Tale sintomatologia, che potrebbe essere collocata nell’area dei disturbi ansiosi (prendendo come riferimento il DSM IV), provoca nella ragazza preoccupazione in quanto, ci
riferisce che, essendo prossima alla laurea, ha in programma un successivo master all’estero. Dal protocollo inoltre emergono altri dati, come la fine di una relazione che durava dall’età di 18 anni ma che ha vissuto senza sofferenza. Aggiunge che il clima familiare ultimamente si “è spezzato”, i genitori hanno liti frequenti in seguito alle quali la madre, casalinga, sta a letto tutto il giorno, delegando alla figlia i lavori domestici, mentre il padre si rinchiude nel mutismo e si intrattiene a lungo al lavoro. Infine la giovane rivela di essere preoccupala per il fratello minore di 17 anni che torna tardi la sera rischiando di essere bocciato a scuola. Dal protocollo non emerge se la ragazza si sia precedentemente rivolta ad un medico generico per poter escludere la possibilità che tale sintomatologia possa essere la conseguenza di una condizione medica generale o correlata a sostanze. Proporrei per questo un invio a un medico di base per gli adeguati esami medici. Nel caso in cui queste due possibilità potessero essere escluse, e considerando che i dati in nostro possesso non sono sufficienti per poter elaborare un’ipotesi diagnostica univoca, riterrei opportuno proporre alla ragazza ulteriori colloqui a scopo diagnostico, per approfondire i primi dati emersi e per portarne alla luce altri che potrebbero essere utili ai fini di un miglior inquadramento del caso. Riguardo alla sintomatologia potrei ritenere importante indagare da quanto tempo sia presente e quando sia insorta per la prima volta e in che circostanza. Riferisce che l’ansia si presenta soprattutto in situazioni di affollamento, cercherei di approfondire questo aspetto informandomi su quali siano ad esempio queste situazioni, se le capita sempre di provare sudorazione, tachicardia e soffocamento ogni volta, se questi episodi di ansia siano uguali oppure se abbiano ogni volta un andamento diverso, se invece tali sintomi è possibile che si siano presentati anche in situazioni in cui non vi era affollamento, se ci siano altri sintomi oltre a quelli descritti, se le è mai capitato di arrivare ad evitare certi luoghi o situazioni (in questo caso si potrebbe proporre un ipotesi di agorafobia), se abbia mai evitato situazioni per la costante paura di poter rivivere i suoi momenti di disagio (disturbo di panico con agorafobia), se abbia mai avuto improvvise crisi in cui oltre ai sintomi riportati vi siano state anche palpitazioni, tremori, brividi, sensazione di morire (in questo caso l’ipotesi potrebbe essere di attacco di panico). Indagherei inoltre se le situazioni di affollamento che riferisce la ragazza possano essere collegate all’eventuale senso di imbarazzo provocato dall’essere in mezzo ad altre persone di cui potrebbe temere il giudizio (fobia sociale). Inoltre indagherei sull’eventuale presenza di recenti eventi critici che possano aver acutizzato i suoi disagi, se abbia mai ricevuto altri interventi di tipo psicologico e con quali eventuali esiti o se abbia mai preso farmaci, quali e con quali risultati. Infine mi informerei sul quale sia il suo vissuto quando insorgano tali sintomi, se e come reagiscano gli altri, come e se abbia affrontato fino ad oggi tale disagio e se esso abbia e a che livello eventualmente compromesso alcune aree del suo funzionamento. Dal protocollo emergono poi altri importanti dati sulla vita della ragazza, i quali andrebbero approfonditi, ad esempio riguardo alla sua imminente laurea e alla sua decisione di partire per un master all’estero. Potrebbe essere utile approfondire come stia vivendo questo importante momento di cambiamento (la laurea), da quanto tempo abbia deciso di svolgere un master all’estero (dove di preciso), quanto durerà e se i genitori abbiano condiviso e siano contenti di questa scelta. La ragazza dice di essere preoccupata di questo master a causa dei suoi disagi: cercherei di sondare se possano esservi dietro i sintomi riferiti altre motivazioni causa di tali preoccupazioni e se ella ne abbia consapevolezza. Successivamente mi soffermerei sulla fine della sua relazione, quanto tempo fa è avvenuta, per quali motivi, se è stata una cosa improvvisa, chi dei due è stato a prendere la decisone o se invece erano d’accordo, se avesse fatto investimenti e progetti con il ragazzo, come ella abbia reagito. Inoltre riterrei molto importante approfondire la situazione familiare della giovane: dice che ultimamente le cose all’interno della sua famiglia sono cambiate e che i genitori litigano sempre più spesso. Cercherai di capire se vi siano stati eventi particolari che abbiano potuto creare tensioni tra i suoi genitori, se il cambiamento in famiglia coincida con la comparsa dei suoi disagi, se secondo lei le due cose siano collegate, se i genitori siano al corrente delle sue problematiche, anche se da ciò che la ragazza riferisce sembrerebbe che sia la madre che il padre
siano poco presenti. Infatti la madre dopo le liti col marito passa tutto il giorno a letto mentre la ragazza deve occuparsi della gestione della casa. Cercherei di capire intanto se la madre abbia in precedenza avuto comportamenti simili o se siano insorti proprio per i conflitti con l’uomo e successivamente mi informerei su come la ragazza reagisca a questa passività della madre e all’assenza del padre, che invece parla poco e lavora molto. Potrebbe essere molto utile avere informazioni su quali fossero i loro rapporti prima di questo momenti di crisi, dato che la ragazza parla di “clima sereno”, indagando sulle dinamiche familiari, le loro alleanze, la loro comunicazione, lo stile educativo ricevuto. La ragazza riferisce di essere preoccupata del fratello minore, perchè rischia di dover ripetere l’anno e perché rientra tardi la sera. Anche in questo caso raccoglierei dati sul rapporto col fratello, attuale e passato, se vi è tra loro complicità, se il fratello possa sentirsi eventualmente trascurato dai genitori e se di conseguenza la ragazza si senta, in quanto maggiore di 8 anni, un po’ responsabile considerando il momento di assenza delle figure genitoriali, che dal protocollo non sembrano presenti nelle problematiche dei loro figli. Infine indagherei anche sulla vita relazionale della giovane, cui non viene accennato niente durante il primo colloquio. In seguito a questi opportuni approfondimenti, durante i quali potrei proporre alla ragazza di sottoporsi a test psicodignostici, come un questionario MMPI-II per avere un quadro generale della sua personalità e un test STAI per rilevare tratti ansiosi, potrei considerare l’invio a un terapeuta per un intervento sulla ragazza inizialmente di tipo espressivo per aumentare l’autostima, la fiducia i n se, per esplorare le dinamiche sottostanti i suoi conflitti e poi elaborare le tematiche legate all’ansia. In seguito se la ragazza fosse d’accordo e la famiglia disponibile, riterrei molto utile una terapia familiare con la finalità di rilevare le regole, i ruoli all’interno della famiglia; individuare le dinamiche familiari disfunzionali e ristrutturarle o sostituirle con altre più adeguate e funzionali; migliorare la comunicazione, affinché divenga chiara e circolare. Un ulteriore obiettivo potrebbe essere anche quello di intervenire sulla coppia coniugale, al fine di far loro elaborare le loro conflittualità e gestire le loro crisi in modo più funzionale. Fra gli approfondimenti si può eventualmente inserire un test proiettivo tipo Rorschach utile per capire meglio aspetti di personalità e vissuti di cui anche la ragazza stessa potrebbe essere scarsamente cosciente (intendo riguardo alle sue reali aspettative sul futuro, laurea e master compresi, al suo mondo affettivo-relazionale etc....) Il caso riguarda una giovane donna di 25 anni c he, ormai prossima alla laurea, ha in previsione di conseguire un master all’estero, con la prospettiva che questo si concluda con una proposta lavorativa ed è preoccupata perché da qualche tempo ha difficoltà a dormire bene, tachicardia e sudorazione ed è molto ansiosa soprattutto in luoghi affollati. Dai dati del testo risulta che trattasi di persona sentimentalmente libera, poiché ha concluso da poco una relazione iniziata all’età di 18 anni, senza apparentemente averne sofferto. Inoltre la giovane riporta che la situazione familiare, che aveva sempre vissuto in un clima sereno si è rotta recentemente con discussione dei genitori che diventano sempre più frequenti, a seguito delle liti il padre si rinchiude nel mutismo e si attarda a tornare a casa dal lavoro e la madre, casalinga, sta a letto tutto il giorno, lasciando alla giovane i lavori domestici. Riferisce inoltre di preoccuparsi per il fratello di 17 anni, che da qualche tempo rincasa tardi la sera e rischia di essere bocciato. La giovane si è presentata spontaneamente alla consultazione, sarebbe comunque utile indagare la sua motivazione, le aspettative nei confronti del colloquio, indagare cosa l’ha spinta alla consultazione proprio ora e se ha intrapreso precedenti percorsi terapeutici o farmacologici. Sarebbe interessante raccogliere ulteriori informazioni riguardo la sintomatologia: da quanto tempo sono comparsi i sintomi, la frequenza con la quale essi si manifestano e la possibilità che tali manifestazioni avvengano in determinate circostanze più frequentemente che in altre, la possibilità che i sintomi abbiano subito una evoluzione nel tempo. Inoltre potrebbe essere utile valutare il
vissuto della giovane relativamente ai sintomi e se vi sono, quali mezzi stia utilizzando per fronteggiarli. Inoltre valuterei l’eventuale presenza di una condizione medica o l’uso di sostanze (attraverso l’eventuale invio dal medico di base per eseguire analisi adeguate). Sarebbe molto importante ricostruire la cronologia degli eventi descritti, cioè data della laurea, decisione ed eventuale partenza per il master all’estero, inizio della sintomatologia descritta, conclusione della relazione sentimentale e rottura del clima familiare sereno con l’inizio dei litigi dei genitori, per assegnargli una giusta collocazione temporale e per poter ipotizzare eventuali connessioni tra questi eventi ed individuarne l’eventuale direzione. Riterrei necessario approfondire la sfera familiare, sentimentale e lavorativa della giovane di cui al momento sappiamo ben poco. Potrebbe essere utile indagare la motivazione della giovane relativamente al percorso universitario e alla possibilità che sta vagliando di conseguire il master all’estero; riguardo quest’ultimo si riterrebbe utile indagare se sia possibile conseguirlo solo all’estero oppure no, come lei viva la possibilità di andar via da casa, sia in relazione alle proprie ambizioni, che agli ultimi eventi avvenuti: l’inizio della sintomatologia, la conclusione della relazione sentimentale e la rottura del clima familiare sereno con l’inizio dei litigi dei genitori. Della sfera familiare si riterrebbe utile indagare i motivi dei litigi dei genitori ed il vissuto della giovane in relazione alle liti in sé, ai motivi se ne è a conoscenza e delle reazioni dei genitori a queste. Dai dati riportati nel testo emerge che quando la mamma litiga con il marito, poi passa tutto il giorno a letto lasciandole i compiti domestici. Si riterrebbe utile indagare quanto questa attività interferisca con quelle abituali e personali della giovane e come lei viva questa situazione. Sarebbe utile indagare lo stile educativo ricevuto dai genitori e lo stile d’attaccamento instaurato. Si potrebbe proporre la somministrazione di un test proiettivo come il Rorschach per evidenziare la presenza ed eventualmente l’origine di turbe affettive nella giovane ed un test di personalità autodescrittivo come l’MMPI-2 ai fini di vagliare l’elevazione della scala FAM relativamente ad un eventuale vissuto di disagio in famiglia. Si riterrebbe utile indagare se i familiari, compreso il fratello, sono a conoscenza dei sintomi della giovane ed in tal caso quale sia la loro reazione ad essi. Potrebbe anche essere utile indagare il vissuto dei familiari, conducendo l’indagine solo con la giovane donna, relativamente alla laurea e alla possibilità che si sta profilando del master all’estero. Anche i rapporti affettivi con il fratello potrebbero essere approfonditi ulteriormente mediante colloquio, per evidenziare in particolare il vissuto della giovane nei confronti del fratello in questo momento ed in relazione alle sue preoccupazioni. In tal contesto si riterrebbe utile verificare se, come nei lavori domestici, la giovane tenda a sostituire la madre anche nei confronti del fratello e come venga vissuta tale situazione relativamente alle preoccupazioni lamentate dalla stessa. Dal test MMPI-2 si riterrebbe utile vagliare la congruenza alla scala ANX, relativa all’autopercezione di vissuti d’ansia, con quanto emerso dal colloquio (la giovane riferisce di sentirsi molto ansiosa), mentre, l’eventuale elevazione di altre scale cliniche, anche non strettamente relative ai disturbi d’ansia, potrebbe permettere di raggiungere un più chiaro inquadramento psicodiagnostico delle difficoltà della giovane. Si riterrebbe utile esplorare la sfera relazionale, di cui non sono riportati dati nel testo, e quella affettivo-sentimentale della quale è invece emerso che la giovane ha concluso da poco una relazione iniziata 7 anni prima, senza apparentemente averne sofferto; si riterrebbe utile indagare i motivi di tale rottura anche in relazione agli altri eventi riportati nel testo; anche in questo caso potrebbe essere utile indagare se il fidanzato era a conoscenza dei sintomi della giovane e come vi ha reagito e quale sia stato il suo vissuto sia in relazione con l’iter scolastico della giovane e la notizia dell’eventuale partenza per il conseguimento del master all’estero, sia con la situazione familiare della giovane, anche se la relazione sentimentale fosse già finita. Indagherei come tale rottura del rapporto sentimentale è stata vissuta ed elaborata dalla giovane. Si riterrebbe utile condurre una prima fase psicodiagnostica solamente con la giovane donna, inquadrare anche eventuali fatti riguardanti i familiari attraverso il vissuto della richiedente per
meglio inquadrare il suo caso singolo. Eventualmente se dagli approfondimenti emergessero problematiche e conflitti all'interno delle dinamiche familiari da risolvere ed elaborare, se la giovane lo richiedesse ed i familiari si dimostrassero disponibili, si potrebbe proporre loro un trattamento di tipo familiare volto ad indagare l’eventuale presenza di regole ed idee disfunzionali all’interno delle dinamiche familiari, delineare il ruolo dei vari membri del sistema, promuovere la costruttiva gestione della crisi, come un momento di maturazione verso un nuovo equilibrio non più patogeno, ma basato su nuove regole funzionali idonee per fronteggiare il nuovo ciclo vitale Va bene la terapia familiare ma solo dopo un inquadramento individuale.
Dati anamnestici: Età 25 anni, figlio unico. Sviluppo psicofisico nella norma. Genitori viventi, entrambi pensionati. Frequenza scolastica. Terzo anno istituto tecnico industriale. Professione: operaio (industria di stato).Abitudini di vita regolare, modico fumatore e bevitore. Prima crisi verificatasi all’età di diciannove anni, durante il servizio militare di leva.Sintomi manifestati: allucinazioni visive e uditive, disorientamento spaziale e temporale, attacchi di panico.Il paziente si descrive come tranquillo, un po’ introverso, timido e insicuro. Frequenta coetanei con alcuni dei quali ha rapporti d’amicizia.Alla visita presenta i seguenti sintomi: inappetenza, disturbi gastrici, cardiopalmo, insonnia, disagio, senso di devalorizzazione. Un tentativo sentimentale fallito riacutizza idee a contenuto persecutorio; si sente spiato, seguito, calunniato. Ha interrotto il lavoro, isolandosi anche dagli amici. Sulla base delle informazioni presentate, il candidato formuli una diagnosi clinica e un piano terapeutico che preveda il tipo di intervento, specificando il metodo e gli obiettivi che si ritengono raggiungere. L’esordio sintomatico sembra avere le caratteristiche di un esordio psicotico (età giovanile, come nella dementia praecox, e allucinazioni).Riguardo al disorientamento spaziale e temporale mi sembra possano essere sintomi del distacco dalla realtà. Possono forse essere caratteristiche della derealizzazione?Si dice che ha avuto attacchi di panico, ma non vengono specificati i sintomi, anche se mi vien da pensare che, essendo un caso sul versante psicotico, anche gli attacchi di panico possano avere caratteristiche tipo derealizzazione e depersonalizzazione, ma non si dice nulla a riguardo. Non viene detto nulla riguardo al periodo successivo all’esordio sintomatico, visto che sono passati 6 anni da allora. Approfondirei il contenuto delle allucinazioni (erano forse a carattere persecutorio, visto che attualmente sono presenti idee a contenuto persecutorio, che si dice si siano riacutizzate, quindi probabilmente c’erano state anche in passato…) e la circostanza di insorgenza e anche il decorso sintomatico negli anni successivi. Chiederei se ha già assunto terapie farmacologiche e se ne sta assumendo ora (e se si, di che tipo). Approfondirei se sono già state tentate altre terapie psicologiche.Non viene specificato nemmeno il motivo per cui il ragazzo si presenta attualmente all’osservazione, ma è ipotizzabile che si sia rivolto ad un servizio di tipo psicologico per i sintomi che presenta attualmente, che sembra poter essere ricondotti all’area depressiva (insonnia, inappetenza,disagio, senso di devalorizzazione). La presenza di sintomi somatici (disturbi gastrici e cardiopalmo) mi sembra un indice negativo (una sofferenza non mentalizzata che viene espressa attraverso il corpo), anche se forse sono da ricondurre allo stato depressivo.Il fatto che il ragazzo abbia interrotto i rapporti sociali e il lavoro sembrano essere segni prognostici negativi, che denunciano un disagio clinicamente significativo, che interferisce con il mantenimento delle precedenti condizioni di vita. E’ da supporre un ruolo esercitato dalla rottura della relazione sentimentale, come fattore psico-sociale stressante, nell’esacerbazione della sintomatologia nell’ultimo periodo, Segni prognostici positivi mi sembrano derivare dalla precedente capacità del ragazzo di stabilire e mantenere alcune relazioni interpersonali (frequentava alcuni coetanei, ha avuto alcune relazioni di amicizia e ha persino avuto una
relazione sentimentale) e un lavoro e dallo stato con cui sembra presentarsi al colloquio (sembra non presentare, al momento del colloquio, elementi che possano far pensare ad un distacco dalla realtà, come invece pare essere accaduto ai tempi dell’esordio sintomatico).Invierei il paziente ad un collega psichiatra per la valutazione dell’eventuale terapia farmacologia (per i sintomi depressivi e per le idee a contenuto persecutorio). Ipotizzerei una terapia ad orientamento psicodinamico inizialmente supportiva, poi maggiormente espressiva, volta a migliorare inizialmente il tono dell’umore del ragazzo. Successivamente, nella parte più espressiva, cercherei di portarlo ad elaborare i vissuti che probabilmente fatica a mentalizzare ed esprime attraverso i sintomi somatici. Approfondirei il contenuto ed il significato delle idee persecutorie, con l’obiettivo di migliorare l’aderenza del soggetto alla realtà, ridimensionando i vissuti persecutori. Se dovessi fare una diagnosi da dsm , forse opterei per un disturbo schizoaffettivo Dai colloqui si rileva che il ragazzo è figlio unico, con uno sviluppo psicofisico nella norma, genitori sani entrambi pensionati, è arrivato al terzo anno di un istituto tecnico professionale, attualmente svolge la mansione di capo magazziniere in un industria tessile. Emerge inoltre che il giovane ha abitudini di vita regolari, una ridotta progettualità e ridotti rapporti sociali. Ha interrotto poco tempo fa una relazione durata tre anni. Egli si descrive chiuso e insicuro. Riferisce di aver avuto la prima crisi a 20 anni, durante il servizio militare con sintomi quali disorientamento spazio/temporale e apprensione. Al colloquio si presenta lamentando disturbi gastrici, insonnia e devalorizzazione. Non emerge dai colloqui se il medico abbia escluso la possibilità che tale sintomatologia possa essere determinata da condizioni mediche generali o indotta dall’uso di sostanze. Potrei ritenere pertanto opportuno accertarsi che tali possibilità possano essere escluse. In seguito a tale accertamento, considerando che i dati in nostro possesso non sono comunque sufficienti per elaborare un’ipotesi diagnostica univoca, potrebbe essere utile proporre ulteriori colloqui per approfondire gli elementi già emersi e per portarne alla luce altri che potrebbero essere utili per inquadrare meglio il caso. La sintomatologia lamentata, come disturbi gastrici, insonnia, devalorizzazione, scarsi rapporti sociali e ridotta progettualità (utilizzando come riferimento il DSM IV) potrebbero portare ad ipotizzare un disturbo che potrebbe appartenere alla sfera dei disturbi dell’umore. Altri sintomi come la presenza di idee a carattere persecutorio o di rifiuto, riacutizzate in seguito alla fine di una relazione, potrebbero far pensare a problematiche nell’area psicotica. Riguardo alla prima crisi avvenuta 7 anni prima la sintomatologia di disorientamento spazio-temporale e continuo senso di apprensione potrebbero esprimere un quadro clinico di tipo ansioso. Si tratta in ogni caso di ipotesi e, per questo, suscettibili di falsificazioni. Riguardo alla sintomatologia descritta mancano degli elementi che potrebbero servire per una valutazione più accurata della situazione in modo da poter formulare delle ipotesi interpretative e un piano di intervento più accurati. Per questo potrebbe essere utile sapere quando, in che circostanze e con quale frequenza si verificano i sintomi lamentati, da quanto tempo siano presenti, se vi siano situazioni in cui essi si presentano più frequentemente e se per tanto egli abbia evitato tali circostanze particolari, se abbia mai messo in atto strategie per affrontare i suoi disagi ed, eventualmente, con quali esiti, se i sintomi siano cambiati nel tempo o ve ne siano aggiunti altri, se abbia mai intrapreso precedenti trattamenti terapeutici o farmacologici ed eventualmente con quali risultati, quanto, infine, il suo funzionamento lavorativo, sociale e relazionale sia stato compromesso dai suoi sintomi. Potrei ritenere importante indagare se vi siano stati recenti eventi critici, il ragazzo infatti parla della rottura di un rapporto sentimentale durato 3 anni che ha riacutizzato idee a carattere persecutorio. Questo potrebbe far pensare che vi siano stati in passato altri episodi di tal genere, riterrei opportuno indagare tale possibilità insieme al contenuto delle idee. Potrebbe essere opportuno verificare se il giovane ritiene vere le sue idee persecutorie, o se mantiene un adeguato esame di realtà, questo al fine di prendere in considerazione la possibilità
che non si tratti di disturbo nell’area psicotica. Indagherei sulle motivazioni della rottura della relazione, quanto tempo fa è accaduto, se abbia comportato altri sintomi nel ragazzo, se la ragazza era al corrente dei disagio del giovane ed eventualmente come vi reagiva. Potrebbe essere importante indagare altri aspetti della vita del giovane, ad esempio riguardo alle motivazioni per cui ha abbandonato la scuola, per poi passare alla sua attuale situazione lavorativa, come si trova con i colleghi, come svolge il suo lavoro, se questo possa essere influenzato dalla sua situazione, se è soddisfatto del suo ruolo, se il senso di apprensione costante crei eventuali difficoltà sul lavoro o in altri ambiti, ammesso che sia ancora presente o che sia stato episodio isolato alla sola manifestazione durante il servizio militare. Potrebbe inoltre essere importante soffermarsi sul rapporto con i genitori, sulla comunicazione tra loro, arrivando ad indagare come fosse la vita sociale del giovane prima dell’insorgere delle problematiche. Nel corso di ulteriori colloqui per approfondire gli elementi citati potrei ritenere utile sottoporre il giovane ad alcuni test psicodiagnostici, come un questionario MMPI-II per avere un quadro generale della personalità del soggetto ed eventualmente a test per valutare il livello dell’ipotetico disturbo dell’umore. Nel caso in cui, da ulteriori indagini, emergessero elementi che portassero alla conferma dell’ipotesi iniziale di disturbo nell’area depressiva, potrei proporrei l’invio ad un terapeuta per un eventuale trattamento individuale di sostegno, i cui obiettivi potrebbero essere quelli di rafforzare l’Io del giovane, aumentare l’autostima, riorganizzare le sue risorse, migliorare la motivazione, per investire nei suoi progetti futuri e nelle relazioni sociali. Inoltre se dai successivi accertamenti si rilevasse una gravità nella sintomatologia potrei ipotizzare di considerare l’invio ad una psichiatra, per un eventuale trattamento farmacologico. Cosa manca? o Cosa eccede? Il caso riguarda un giovane, Mario di 27 anni, figlio unico, sviluppo psicofisico nella norma, genitori viventi e sani, pensionati. Il giovane svolge il lavoro di capo magazziniere in un'azienda tessile di medie dimensioni, ha come frequenza scolastica il 3 anno dell'istituto tecnico industriale. Ha abitudini di vita regolari con ridotta progettualità e scarsi rapporti sociali. Ha presentato la 1 crisi durante il servizio militare all'età di 20 anni, con la seguente sintomatologia: disorientamento spazio-temporale e sentimenti di apprensione persistenti. Il soggetto, inviato dal proprio medico curante, si descrive come "chiuso" ed insicuro, lamenta disturbi gastrici, insonnia, senso di devalorizzazione. La recente rottura di un rapporto sentimentale ha riacutizzato idee persecutorie e di rifiuto. Poichè il giovane è stato inviato dal suo medico curante, sarebbe importante indagare la sua motivazione al colloquio, le sue aspettative riguardo esso, se ha ricevuto precedenti trattamenti terapeutici o farmacologici (eventualmente come li ha vissuti e che risultati ha ottenuto, valutare se eventuali fallimenti siano reali). Sarebbe utile approfondire la sintomatologia del paziente: sappiamo che ha avuto la prima crisi all'età di 20 anni durante il servizio militare, sarebbe importante sapere con che frequenza si son presentate le altre crisi e in che circostanze, le strategie fin ora utilizzate (se presenti), il vissuto del soggetto riguardo i propri sintomi, come gli altri reagiscano ad essi, le sfere compromesse dal disturbo. Poichè il paziente è stato inviato dal medico curante si potrebbe escludere la presenza di quadri morbosi legati a condizioni mediche o ad abuso di sostanze. Sarebbe importante indagare tutta la sfera affettivo-relazionale del paziente. Investigherei i motivi della rottura del rapporto sentimentale, com'era tale rapporto prima della rottura. Come la partner vivesse e reagisse ai sintomi del ragazzo (o se eventualmente non ne fosse a conoscenza). Approfondirei le idee persecutorie e di rifiuto del giovane, in cosa consistano e come si presentino.
Se le idee persecutorie e di rifiuto si presentassero sotto forma di deliri sarebbe fondamentale valutare quanto il ragazzo creda nella realtà-verità dei suoi deliri. Tale valutazione permetterebbe di individuarne il livello di gravità (DETTO TRA NOI: idee persecutorie e di rifiuto potrebbe significare che il ragazzo pensa sono uno sfigato, tutti ce l'hanno con me, sono un incapace...nn combinerò mai un cazzo nella vita-pensieri disfunzionali tipici anche dei depressi-oppure c'è un disegno divino superiore contro di me o altre idee più su delirante-psicotico). Indagherei i rapporti con i genitori, che poiché pensionati si può supporre siano anziani, per conoscere il tipo di attaccamento e lo stile educativo ricevuto, eventuali problemi familiari e comunicazionali (data pure l'appartenenza a due generazioni diverse). Approfondirei i motivi della ridotta progettualità e degli scarsi rapporti sociali, considerando l'ipotesi di una situzione familiare iperprotetta che ha potuto creare una difficoltà nello sviluppo della progettualità, della costruttività, un blocco nel bisogno di esplorazione ed espansione del giovane. Indagherei anche il suo funzionamento lavorativo, cioè le relazioni intrattenute con i colleghi, con il capo, le condizioni lavorative e relazionali e se queste influiscano sulla soddisfazione ed autostima del giovane. Indagherei le capacità di fronteggiare le difficoltà e le risorse al trattamento del paziente. Le informazioni a disposizione riportate nel testo permett ono di formulare solo delle ipotesi, poiché il paziente è stato inviato dal medico curante escluderei la presenza di quadri morbosi legati a condizioni mediche o abuso di sostanze, allora ipotizzerei un disturbo d'ansia o/e dell'umore. Dal momento che quella di partenza è solo una ipotesi e quindi suscettibile di falsificazione, riterrei necessario effettuare gli approfondimenti su esposti. Inoltre somministrerei un test di personalità autodescrittivo (MMPI-2) ad ampio raggio x evidenziare eventuali aree disfunzionali o eventualmente avvalorare le nostre ipotesi di partenza. Somministrerei anche il CBA e il BDI per approfondire l'eventuale presenza di sintomi depressivi. Fatti tali approfondimenti avremo un quadro più completo per decidere se e quale tipo di intervento psicoterapeutico intraprendere, considerando ovviamente le “caratteristiche” del soggetto, il tipo specifico di disturbo ed il momento che la persona sta vivendo. Se da tali approfondimenti venisse confermata l'ipotesi iniziale potrebbe essere opportuno indirizzarsi verso una terapia individuale di tipo espressivo, i cui obiettivi potrebbero essere quelli di rafforzare l'Io del giovane, aumentarne l'autostima per un maggior investimento nei progetti futuri e nelle relazioni sociali. Se, invece, dagli accertamenti effettuati si rivelasse una gravità della sintomatologia sarebbe opportuno indirizzare il giovane da uno psichiatra per un eventuale trattamento farmacologico.
Una donna di 28 anni, commerciante, telefona al consultorio chiedendo un appuntamento urgente. Le viene fissato dopo una decina di giorni: se ne lamenta e dice che non sa se riuscirà a sopportare l'ansia. Continua dicendo che attualmente è molto angosciata per una sua relazione con un uomo sposato che non vuole separarsi. Racconta di problemi nella sfera sessuale: è ancora vergine e non riesce ad avere rapporti (contrazioni spasmodiche zona pelvica). Aggiunge che da piccola vomitava di nascosto dopo aver mangiato e dice di aver sempre sofferto, a periodi di "esaurimento e depressione". È riuscita tuttavia ad uscirne "aprendo con sua madre una boutique di abbigliamento". Riferisce di non aver proseguito una terapia iniziata nel pubblico, perché lo psicologo le avrebbe detto di "lasciare la mamma". Dice che non sopporta di non decidere, deve assolutamente trovare una soluzione a tutto. Lo psicologo deve trovargliela; chiede anche una parola "magica", che le permetta di sopportare l'attesa fino all'appuntamento. Il candidato esprima la propria valutazione sul caso, individui i principali elementi da osservare per una diagnosi corretta e delinei l'eventuale programma di intervento
Da una visione generale del caso si potrebbe ipotizzare un disturbo di personalità di tipo borderline. Si ritrovano tratti di impulsività a cui è legata angoscia difficilmente contenibile (l’appuntamento richiesto è urgente e l’attesa non sopportabile e deve “trovare una soluzione a tutto”). Compaiono dinamiche di difficile gestione delle relazioni di dipendenza-abbandono che si manifesterebbero nella relazione con l’uomo da cui però non riesce a separarsi nonché con l’attaccamento eccessivo alla madre in cui l’idea di separarsi da lei terrorizza (DSM: “sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono”) Anche la disfunzione sessuale potrebbe derivare da problemi legati ad un mancato superamento del processo di separazioneindividuazione. La ricerca di “una parola magica” potrebbe essere sintomatica di un non completamente conservato esame di realtà, coerente con un’organizzazione di personalità borderline. Ci si aspetterebbe di trovare anche elementi indicanti un’identità alterata e instabilità dell’umore (momenti di disforia che si affiancano a quelli qui noti di “depressione ed esaurimento”, comunque già indicati come “periodici”), sentimenti di vuoto e di rabbia. Da valutare è l’ipotesi di un disturbo d’ansia da separazione, poiché si pone come primaria la preoccupazione di un distacco dalla madre e a cui potrebbe essere attribuibile il vomito “nascosto, da piccola”, ma non si hanno sufficienti informazioni né sull’esordio dei disturbi né su come sia sviluppata e continui la relazione di attaccamento con le relative preoccupazioni. Da indagare è anche la possibile presenza di un disturbo d’ansia generalizzato in cui risulterebbe comunque rilevante la tematica della separazione e di cui però non sono note altre possibili fonti di preoccupazione né le manifestazioni fisiche. Sarebbe necessario approfondire la valutazione della funzionalità generale della donna (studi, attività lavorativa, cura di sé…) nonché le relazioni oggettuali e l’organizzazione del Sé. Non si conosce nulla del rapporto col padre o con eventuali altri parenti o figure di riferimento, anche eventualmente per allearsi con queste risorse esterne. Manca anche un’analisi della domanda per capire cosa realmente la persona sta cercando nonché tutte le informazioni diagnostiche che possono derivare da una conoscenza della storia passata della donna e dalla relazione diretta con lo psicologo in cui emergerebbero meccanismi di difesa messi in atto nel qui-e-ora (che nel caso di diagnosi borderline ci si aspetta essere di tipo primitivo come diniego, identificazione proiettiva e scissione) e dinamiche relazionali importanti per effettuare una corretta diagnosi. Qualora la diagnosi di disturbo borderline risultasse corretta si prospetterebbe un lavoro terapeutico lungo ed impegnativo in cui inizialmente potrebbe essere utile in un primo tempo affiancare un intervento di tipo farmacologico. Si potrebbe proporre inizialmente un intervento supportivo, qualora risultasse opportuno, come sembrerebbe, intervenire sull’integrazione dell’Io, sul rapporto con la realtà e su una più corretta gestione degli impulsi. Obiettivo terapeutico sarebbe anche favorire l’interiorizzazione di un oggetto costante attraverso la relazione col terapeuta. Quando l’Io è ricompattato e l’angoscia abbassata si può passare ad una terapia più espressiva, di tipo psicodinamico, volta ad indagare le cause dei conflitti e delle dinamiche patologiche. La disfunzione sessuale sembra essere più riconducibile a problematiche intrapsichiche, essendo la donna vergine e presumibilmente non manifestandosi i problemi con il solo partner attuale, che non a problemi di coppia, quindi continuerebbe ad essere indicata una terapia di tipo espressivo. Se la madre e gli eventuali altri familiari fossero disponibili potrebbe essere indicata anche una terapia di tipo familiare (sfruttando il coinvolgimento genitoriale che sembra qui emergere,)in cui esaminare le regole del sistema-famiglia e intervenire così sostituendo le regole disfunzionali e favorendo l’individuazione dei membri. Dalla lettura del caso, si evidenzia un passato di disturbo alimentare che potrebbe richiamare il quadro dell'anoressia nervosa o della bulimia nervosa (da piccola vomitava di nascosto dopo aver
mangiato); problemi relativi alla sfera della dipendenza che potrebbero far pensare ad un disturbo dipendente della personalità (la donna dice di non sopportare di non decidere; lo psicologo deve trovargli una soluzione ai suoi problemi; in passato ha interrotto una terapia iniziata con un altro psicologo perché questi gli avrebbe consigliato di “lasciare la mamma”); problemi relativi alla sfera sessuale che potrebbero far pensare ad un disturbo da dolore sessuale, come il vaginismo (la donna dice di essere vergine e di non riuscire ad avere rapporti a causa di contrazioni spasmodiche alla zona pelvica); problemi nella sfera dell’umore (la donna riferisce di aver sempre sofferto, a periodi, di “esaurimento e depressione”), e dell’ansia (dice di non essere in grado di sopportare l’attesa dell’appuntamento e di essere molto angosciata a causa di una relazione con un uomo sposato che non vuole sposarsi). Le informazioni disponibili nel resoconto, tuttavia, non consentono di formulare un’ipotesi diagnostica sicura, non suscettibile di falsificazioni, e di conseguenza di stabilire con certezza l’eventuale piano di intervento psicoterapeutico maggiormente adeguato allo specifico caso in esame. Il colloquio clinico con la paziente, che avverrà nell’ambito dell’appuntamento fissato, permetterà di acquisire maggiori elementi informativi sulla donna, sia in relazione ai suoi sintomi e alla sua storia anamnestica, sia in relazione ad altri aspetti non meno rilevanti come la cura del sé e il funzionamento emotivo, mentale e comportamentale, rilevabili anche attraverso la comunicazione non verbale. Qualora le informazioni ricavate dal primo colloquio non fossero sufficienti a chiarire il quadro clinico della paziente, riterrei opportuno proporle un ciclo di incontri durante i quali approfondire tale conoscenza, attraverso l’uso del colloquio clinico e la somministrazione di test adeguati, e ottenere così i dati necessari a stabilire l’eventuale piano di intervento più adeguato. Si potrebbe somministrare alla paziente un test di personalità ad ampio spettro quale l’MMPI-2 ai fini della rilevazione delle principali caratteristiche di personalità, degli eventuali disordini di tipo emotivo e delle eventuali aree disfunzionali.; il SESAMO per la rilevazione dei problemi psicologici legati al comportamento sessuale, e l’EDI per verificare l’eventuale presenza di problemi legati al comportamento alimentare, che la donna dice superati. Lo psicologo dovrà stabilire con la donna una comprensione condivisa del disturbo, immergendosi empaticamente nella sua esperienza, accettandola e considerandola come una persona unica con problemi propri. Un aspettto di fondamentale importanza che ritengo debba essere approfondito è l'analisi della domanda, dove si cerca di individuare il tipo di domanda che la donna sta formulando, cercando di scoprire se essa coincide o meno con quella espressa verbalmente in modo esplicito, esplorando i bisogni, le aspettative e le motivazioni, consce e inconsce, che essa sottende. Il tipo di domanda determina infatti la comprensione del disturbo, consente di comprendere il senso della richiesta formulata dalla donna, spostando l'attenzione dai sintomi dichiarati alla sintomatologia espressa, ed è alla base degli obiettivi e del percorso terapeutico eventualmente scelto. In questa prospettiva, intenderei allora indagare se la paziente abbia deciso da sola di telefonare o se invece sia stata ispinta a farlo da qualcuno, e in questo caso occorrerebbe conoscere da chi. Ciò ci consentirebbe di esplorare il tipo di motivazione (intrinseca-estrinseca) e le aspettative della donna verso la consultazione e l'eventuale ipotesi di intervento terapeutico. Sembrerebbe anche opportuno conoscere come mai la donna stia esprimendo una richiesta di aiuto proprio ora e conoscere se vi siano stati degli eventi precipitanti (forse si tratta di un momento particolare, di crescita, della vita della donna; forse le precedenti difese stanno crollando; forse vi è un'acutizzazione dei sintomi lamentati e del disagio provato). Appare inoltre utile sapere come mai la donna abbia deciso di rivolgersi al consultorio, intendendo rimanere “nel pubblico” dopo l'interruzione di un'altra terapia, e quale tipologia di servizi esso offre. Dopo un'adeguata analisi della domanda, mi sembrerebbe opportuno esplorare la natura del precedente intervento terapeutico che la donna dice di avere interrotto perchè lo psicologo le avrebbe detto di “lasciare la madre”, e conoscere quali aspettative sono rimaste eventualmente deluse. Sarebbe opportuno, in questa prospettiva, indagare i rapporti con la madre e la qualità
della relazione oggettuale e indagare la possibilità che essi siano improntati sulla dipendenza. Ci sono dei problemi nel processo di separazione-individuazione? E in questo caso, quali sono i fattori che ne hanno ostacolato il compimento? Mi sembrerebbe opportuno esplorare, in senso lato, la caratteristiche del contesto familiare della donna (regole, ruoli, dinamiche, sistemi e sottosistemi, modalità comunicative e atteggiamenti genitoriali), sia per individuare eventuali fattori responsabili dello sviluppo e del mantenimento del disturbo e per conoscerne le implicazioni relazionali, sia per individuare eventuali risorse esterne con cui allearsi in caso di un eventuale intervento terapeutico. In questa prospettiva sarebbe utile conoscere se i problemi che la donna sembrerebbe mostrare nella sfera della dipendenza possano essere riconducibili a una situazione familiare in cui i tentativi di autonomizzazione della donna siano stati ostacolati da atteggiamenti genitoriali di disapprovazione, minacce di perdere l'affetto, accattivanti ricompense per il mantenimento della dipendenza (la boutique di abbigliamento che madre e figlia gestiscono insieme). Sarebbe importante raccogliere informazioni sulla figura paterna, che nel resoconto non compare: conoscere la natura di tale legame oggettuale e il ruolo che il padre ricopre all'interno del nucleo familiare. Sarebbe importante indagare se la donna tenda a stabilire una modalità relazionale improntata sulla dipendenza anche al di fuori del contesto familiare (con amici e partner, ad esempio), e valutare la possibilità che possa riprodurla nella relazione “qui ed ora” con lo psicologo, cercando di far sì che questi si sostituisca a lei comunicandole ciò che deve o non deve fare (“lo psicologo deve trovarle la soluzione”). Mi sembrerebbe opportuno indagare la qualità della relazione della donna con il partner (“un uomo sposato che non vuole separarsi”) e le difficoltà legate all'impossibilità di vivere con lui un rapporto “pieno”, fusionale, “esclusivo”. Sarebbe opportuno esplorare la vita pregressa affettivasessuale della donna (vergine), e i motivi di un eventuale ritiro dalla vita sessuale prima di ora. Mi sembra importante approfondire la conoscenza della natura del disturbo sessuale lamentato (che pare possa essere un disturbo da dolore sessuale, forse vaginismo), i significati che la donna e il proprio compagno vi attribuiscono, e sapere quanto disagio questo causa nella coppia. Sarebbe importante anche conoscere se la donna sia sia già rivolta ad un ginecologo per una consultazione relativa al suo problema. Rispetto al disturbo alimentare che la donna riferisce di aver avuto in passato, mi sembrerebbe importante approfondirne il quadro evolutivo; capire se esso sia stato effettivamente superato e quali siano le abitudini alimentari attuali della donna e l'immagine che ha di sé e del proprio corpo. Interessante sarebbe anche indagare la possibilità che i vissuti depressivi che la donna dice di aver sempre provato possano essere messi in relazione con un'immagine di sé e del proprio corpo non corrispondente a rigidi standard interni di riferimento, e con un'immagine di sé come persona sottomessa e dipendente, non in grado di funzionare adeguatamente senza il riferimetno di altri siginificativi. Infine, bisognerebbe indagare il funzionamento complessivo della donna nei diversi contesti; l'esame di realtà; i meccanismi difensivi maggiormente utilizzati; il grado di funzionamento , strutturazione e integrazione dell'Io, allo scopo di individuare le risorse individuali che possono favorire lo sviluppo della realzione fra la paziente e il suo contesto di vita. Una volta fatti tutti gli approfondimenti opportuni per il caso in esame, si potrebbe collocare il disagio della donna all'interno di un quadro psicodiagnostico più preciso e definito, e si potrebbe decidere se e quale tipo di intervento terapeutico sarebbe maggiormente opportuno, considerando naturalmente le caratteristiche idiosincratiche della donna, il tipo specifico di disturbo, e il momento particolare della vita della donna. Se dagli approfondimenti diagnostici venisse confermata l'ipotesi iniziale di disturbo dipendente della personalità, riterrei opportuno indirizzare la donna verso una terapia di tipo supportivoespressivo ad approccio psicodinamico. Inizialmente si dovrebbe supportare l'Io del soggetto nello svolgimento delle sue funzioni per strutturarlo e definirlo maggiormente, migliorare l'investimento
sulla realtà, abbassare le quote di angoscia e migliorare la rappresentazione di sé. Solo in un secondo momento si potrebbe passare ad una terapia anche espressiva, che sia finalizzata alla presa di coscienza e alla rielaborazione delle tematiche sottostanti il conflitto che viene espresso dalla sintomatologia. Altri obiettivi dovrebbero essere quelli di: favorire lo sviluppo delle capacità decisionali e l'espressione dei desideri della donna; favorire, attraverso il transfert, l'interiorizzazione di un oggetto buono e costante, con elevata capacità contenitiva, cui fare appello nei momenti di difficoltà; favorire il processo di separazione-individuazione. Qualora la paziente non l'avesse già fatto, sarebbe opportuno l'invio ad un ginecologo per verificare se il disturbo sessuale lamentato sia dovuto ad una condizione medica generale.
M.
34 anni viene in consultazione perchè si sente infelice dopo la fine del fidanzamento.Racconta che i suoi progetti matrimoniali sono andati a monte in quanto la madre non era d'accordo con il fidanzamento, apparentemente perchè la ragazza era di religione diversa.Il paziente afferma che la madre non lo avrebbe mai fatto sposare con nessuna perchè è eccessivamente possessiva. La madre lo ha messo di fronte ad una scelta e il paziente ha scelto la madre perchè "il sangue non è acqua" e per non andare contro i suoi desideri. Dice che non vuole contrastare i suoi desideri perchè teme di non essere poi supportato economicamente e di dover badare a se stesso. Prova sentimenti di rancore verso la madre ma allo stesso tempo l'ammira perchè le sue capacità decisionali (di M.) sono scarse, mentre la madre sa cosa è giusto per lui. Lavora come ragioniere da 10 anni sotto lo stesso capo.Non ha mai accettato promozioni perchè non vuole supervisionare altre persone e decidere autonomamente. Ha due amici intimi dall'infanzia e mangia ogni giorno con loro.Se uno dei due non c'è si sente perso. M. è quarto di 4 figli e l'unico maschio.Le sorelle e la madre lo hanno "spupazzato e viziato".Da piccolo mostrava ansia di separazione, difficoltà ad addormentarsi da solo, problemi nell'andare a scuola e ansia per tutte le situazioni di separazione. A scuola veniva preso in giro perchè mancava di assertività e veniva chiamato "bamboccio". Un anno ha lasciato casa per college, ma è tornato perchè aveva nostalgia di casa. Lo sviluppo eterosessuale era normale, tranne per l'impossibilità di lasciare la madre per un'altra donna. IL caso riguarda un uomo di 34 anni, lavora da 10 anni sotto lo stesso capo, è quarto figlio e l'unico maschio, sviluppo eterosessuale nella norma. Il soggetto si presenta spontanemente al colloquio, sarebbe cmq utile valutare la sua motivazione e le sue aspettative nei confronti di esso. Sembrerebbe che il giovane sia stato spinto alla consultazione in seguito alla rottura del suo fidanzamento a causa della madre, sarebbe utile approfondire se la possessività della madre si sia espressa anche precedentemente, in che modalità, come mai il soggetto si è deciso solo adesso di rivolgersi ad uno psicologo, se ha intrapreso in precedenza percorsi terapeutici o farmacologici. Valutare la reale domanda formulata, se coincide con quella espressa verbalmente e se sono presenti vantaggi secondari che mantengono tale situazione. Le informazioni a disposizione riportate nel testo permettono di formulare soltanto delle ipotesi; Se da esami medici è possibile escludere quadri morbosi legati a condizioni mediche o ad abuso di sostanze, allora si potrebbe ipotizzare un disturbo di personalità, in particolar modo disturbo dipendente di personalità. Poiché quella di partenza è soltanto una ipotesi, e pertanto suscettibile di falsificazione, si riterrebbe necessario per un adeguato inquadramento del caso, indagare, anche mediante la somministrazione di test, le aree di funzionamento della persona, la relazione con la realtà, gli stili difensivi e le risorse interne ed esterne con cui allearsi per un eventuale intervento
terapeutico. Sarebbe opportuno approfondire tutta la sfera affettivo-sentimentale. Sembrerebbe che l'uomo non abbia ben superato il processo di separazione-individuazione dalla madre, e sembrerebbe che anche la madre contribuisca a ciò con la sua possessività nei confronti del figlio. Sarebbe interessante approfondire i suoi sentimenti contrastanti di rancore e ammirazione nei confronti della madre. Sarebbe anche utile raccogliere informazioni sul padre, se vivente o anche se non lo è + i suoi passati rapporti con lui (forse quest'uomo non ha conosciuto questa figura e non si è potuto identificare con essa vivendo in casa con tutte donne E' ESPRESSO MALISSIMO DITEMI COME E SE LO METTERESTE!!!). Sarebbe utile indagare il rapporto con le sorelle, come è stato vissuto durante l'adolescenza, come viene vissuto adesso, come si rapportano le sorelle nei suoi confronti (forse sono possessive come la madre o si comportano diversamente?). Anche i suoi rapporti intimi con gli amici di infanzia sono di tipo passivo-dipendente, sarebbe cmq utile approfondire questi rapporti, e come gli amici reagiscano a questo atteggiamento. Sarebbe necessario approfondire il suo rapporto con l'ex fidanzata, sempre con particolar riguardo alla sua modalità di relazione, valutare come la fidanzata vivesse questo tratto di personalità suo, come vi reagisse. Per quanto riguarda l'ambito lavorativo, il suo rapporto di dipendenza appare evidente (non fa scelte di autonomia), sarebbe interessante approfondire come egli viva tale situazione e come gli altri vi reagiscano. Approfondita tutta la sfera affettivo-relazionale e lavorativa del soggetto sarebbe utile somministrare un test di personalità come l'MMPI-2 che ci permetterebbe di inquadrare meglio la sua personalità, quindi di avvalorare o meno la nostra ipotesi iniziale e cmq di inquadrare il caso all'interno di un quadro psicodiagnostico più preciso in cui si contestualizza il suo disagio. Fatti tutti gli approfondimenti avremo un quadro + completo per decidere se e quale tipo di intervento psicoterapeutico intraprendere, considerando ovviamente le “caratteristiche” del soggetto, il tipo specifico di disturbo ed il momento che la persona sta vivendo. Se da tali approfondimenti venisse confermata l'hp iniziale potrebbe essere opportuno indirizzarsi verso una terapia di tipo familiare (se il soggetto e i familiari fossero d' accordo) per meglio delineare e definire i ruoli all'interno della famiglia, per ristrutturare e modificare eventuali idee disfunzionali radicate. Sul caso su esposto Indagherei la motivazione di M.al colloquio, se si sia presentato spontaneamente o su suggerimento di qualcuno, e quali siano le sue aspettative nei confronti di questo intervento. Sonderei i vissuti riguardanti le motivazioni contingenti che lo hanno portato da noi, cioè la rottura del fidanzamento, se l'unico problema sia stato davvero l'ooposizione materna o se vi fossero altre problematiche all'interno del rapporto, se M. si sentisse pronto oppure al contrario spaventato di fronte all'assunzione di responsabilità che il matrimonio comporta. Le informazioni in nostro possesso ci permettono solo di fare delle ipotesi, suscettibili di falsificazione; in questo caso potremmo pensare ad un disturbo di personalità dipendente. Per inquadrare meglio il caso indagherei l'area affettiva del paziente, in particolare i rapporti con la madre, attuali e passati, i sentimenti ambivalenti nei suoi confronti, i rapporti con le sorelle. Non sappiamonulla del padre di M.: cercherei di capire se sia stato presente nella sua vita, eventualmente in quale modo, se abbia rivestito il ruolo di figura d'attacamento, se abbia fornito un modello di identificazione maschile al figlio. Eventualmete cercherei anche di capire quale sia il ruolo di questo padre all'interno della famiglia, quali i suoi rapporti conla moglie. Indagherei la sfera sentimenale di M., la presenza e la qualità di relazioni precedenti a quella recentemente interrottasi. Indagherei anche la sfera amicale, visto che dalle poche informazioni che abbiamo pare che anche essa sia improntata alla dipendenza. Per approfondire somministrei un test di personalità ad ampio raggio come MMPI-2, eventualmente, visto che si ipotizza un disturbo di personalità anche un test del tipo Big Five. Vista
la centralità del rapporto con la madre, per indagare meglio quest'area forse si potrebbe pensare di utilizzare uno strumento del tipo Adult Attachment Interview (secondo me potrebbe essere utile, non so se sia consigliabile metterlo in sede d'esame, voi che ne pensate?) Se dagli approfondimenti venisse confermata l'ipotesi di partenza suggerirei una terapia individuale, orientata a favorire l'indipendenza e la maturazione della personalità del giovane e a supportarlo nell'assunzione di responsabilità propria della vita adulta. Potrebbe essere utile anche un training sull' assertività (anche questo: potrebbe essere fra gli interventi consigliabili, non so se sia il caso di metterlo o di rimanere più nel vago...) Dai dati in possesso sembrerebbe possibile azzardare inizialmente l'ipotesi della presenza di un disturbo dipendente di personalità e di problemi relativi al processo di separazione-individuazione. Tuttavia le informazioni disponibili nel resoconto non permettono di formulare un'ipotesi diagnostica sicura e di stabilire con certezza l'eventuale piano di intervento più adeguato al caso in esame. Riterrei pertanto opportuno approfondire la conoscenza del quadro clinico del paziente attraverso una serie di incontri. Per prima cosa ritengo che un aspetto essenziale da approfondire riguardi l'analisi della domanda, dove si cerca esplorare le aspettative, i bisogni e le motivazioni consce e inconsce che la domanda del paziente sottende. La motivazione esplicita che sorregge la domanda del paziente e che ne giustifica la richiesta di consultazione (“M. si sente infelice dopo la rottura del fidanzamento”), potrebbe infatti sottendere un tipo di motivazione diversa, forse la volontà stessa del paziente di comprendere il rapporto ambivalente, adesivo e sottomesso che egli ha con la madre e la sua più generalizzata incapacità di prendere decisioni in autonomia e di funzionare da solo senza che qualcuno si prenda cura di lui. Mi pare opportuno approfondire la conoscenza della tipologia di servizio in cui avviene la consultazione; conoscere se M. si sia presentato autonomamente al colloquio o se sia stato piuttosto accompagnato da qualcuno (e in questo caso da chi); e conoscere se la richiesta di consultazione derivi dal paziente stesso o se questi sia stato piuttosto spinto al colloquio da qualcuno, e in questo caso da chi (forse dalla ex ragazza che probabilmente disapprova il
comportamento di M. dipendente e succube della madre). La conoscenza di questi aspetti è di particolare importanza in quanto consente di comprendere il livello di autonomia del soggetto, il tipo di motivazione e di aspettative che egli nutre nei confronti del colloquio e dell'ipotesi di un eventuale trattamento, il modo in cui egli si pone nei confronti del problema. M. riferisce problemi legati alla dipendenza, alla fusionalità e all'angoscia abbandonica trasversali a diversi contesti di vita (familiare, lavorativo, amicale) e presenti già da molti anni, rintracciandone l'origine nell'età infantile (ansia di separazione, difficoltà ad addormentarsi da solo, problemi nell'andare a scuola e ansia per tutte le situazioni di separazione, rientro dal college per la nostalgia di casa...). Mi sembra quindi utile sapere come mai M. stia esprimendo una richiesta di aiuto solo ora: si può forse pensare che la decisione di M. di interrompere il fidanzamento con la ragazza per non contrastare i desideri materni possa aver favorito nel paziente un processo di messa in discussione delle proprie problematiche di dipendenza e di scarsa capacità decisionale. Dopo un'accurata analisi della domanda, approfondirei l’ analisi del contesto relazionale del paziente, dove si esprime maggiormente il disagio, sia per comprendere meglio i fattori responsabili dello sviluppo e del mantenimento del disturbo e per conoscerne le implicazioni relazionali, sia per individuare eventuali risorse esterne con cui potersi alleare in caso di intervento terapeutico. A tale riguardo mi pare importante indagare il contesto socio-affettivo
attuale e pregresso, il processo di socializzazione primario e secondario, le relazioni con le figure significative di riferimento del paziente: la madre, la ex fidanzata, il capo e i due amici intimi dell’infanzia. Sarebbe utile conoscere, in particolare, se la relazione tra M. e la ex fidanzata, al pari delle altre relazioni del paziente (mamma, datore di lavoro, amici), fosse improntata su un rapporto di dipendenza e sottomissione, e come questo venisse eventualmente vissuto e gestito dalla compagna. Mi sembra importante indagare i reali motivi che sottendono la fine del loro rapporto e prendere in considerazione l'ipotesi che la decisione di M. di interromperlo per non volere contrastare i voleri materni possa anche sottendere il timore del paziente di separarsi dall'universo fusionale e gratificante materno e di assumere finalmente un ruolo adulto e indipendente, maggiormente responsabilizzante. Mi sembra importante, poi, esplorare le caratteristiche del sistema familiare: regole, ruoli, modalità comunicative ed educative, alleanze, sistemi e sottosistemi, atteggiamenti genitoriali, e i significati che vengono attribuiti da parte del nucleo familiare al comportamento indeciso e dipendente di M. Appare quindi in questa prospettiva utile conoscere il rapporto ambivalente che M. ha con la madre e indagare il processo di separazione-individuazione per sapere quali sono stati i fattori che ne hanno ostacolato il compimento. Il disturbo potrebbe essere legato a situazioni in cui i tentativi di autonomizzazione di M. sono stati ostacolati da atteggiamenti familiari di disapprovazione, minacce di perdere l’affetto o gratificazioni accattivanti per il mantenimento della dipendenza (“le sorelle e la madre lo hanno spupazzato e viziato” quando era piccolo; la madre ancora adesso lo supporta economicamente, nonostante M. svolga un impegno lavorativo in modo continuato e stabile da 10 anni). La famiglia di M., e in particolar modo forse la madre, potrebbe avergli trasmesso l'immagine di un mondo pieno di minacce e di pericoli in cui appaia incauto muoversi da solo, senza la “protezione” , l'appoggio e la sicurezza delle figure significative di riferimento. Approfondirei quindi il collegamento tra i timori infantili di separazione riportati dal soggetto, e il quadro personologico attuale, che sembra profondamente orientato alla dipendenza e alla sottomissione, al fine di comprendere meglio il quadro evolutivo del disturbo e il ruolo dei fattori che potrebbero spiegare il disagio arcaico profondo espresso dal soggetto. Inoltre appare opportuno conoscere i rapporti attuali di M. con le s orelle, e chiedersi come mai nel resoconto non compara la figura paterna. Il padre è deceduto o comunque assente dalla vita del figlio? È possibile ipotizzare che il padre abbia abbandonato la famiglia e che, conseguentemente, madre e sorelle si siano attaccate morbosamente a M. (lo hanno “viziato e spupazzato”, la madre viene descritta come “eccessivamente possessiva”), favorendo lo sviluppo e il mantenimento di sentimenti di dipendenza per timore di perdere l'unico maschio rimasto in famiglia? E se invece il padre fosse presente, qual è il suo ruolo all'interno del sistema familiare e che tipo di relazione oggettuale ha instaurato con M.? È stato possibile, per M., lo sviluppo del processo di identificazione con la figura paterna e di costruzione dell'identità sessuale? Sono tutte ipotesi aperte, alle quali non è possibile fornire una risposta adesso, e che dovranno pertanto essere opportunamente approfondite. Dopo l'analisi del contesto relazionale-familiare del paziente, approfondirei l'esistenza di eventuali vantaggi secondari della sintomatologia, che potrebbero contribuire ad accrescerla e a mantenerla. Si potrebbe ipotizzare che M., attraverso il suo comportamento dipendente, sottomesso e “di delega”, si assolva dal rischio di prendere scelte responsabilizzanti e dall' “esporsi” in prima persona, anche nelle situazioni che lo riguardano da protagonista (matrimonio). Il disturbo, inoltre, potrebbe sottendere una richiesta di attenzione e il tentativo di provocare l'avvicinamento di persone significative di riferimento, senza le quali il soggetto sente di non poter funzionare, come
la madre. Occorrerebbe tener presente, inoltre, che il paziente potrebbe essere ambivalente riguardo all'abbandonare i suoi sintomi perchè il disturbo potrebbe rappresentare una sorta di adattamento funzionale al suo contesto di vita. Mi pare interessante, inoltre, indagare la rappresentazione che il soggetto ha di se stesso, forse caratterizzata da sentimenti di inadeguatezza e di svalutazione; il funzionamento complessivo del soggetto nelle diverse aree e il funzionamento premorboso; gli stili difensivi, l'esame di realtà e il grado di strutturazione, integrazione e funzionamento dell'Io. La valutazione di alcune funzioni chiave dell'Io, infatti, permette di approfondire la conoscenza delle risorse individuali che possono contribuire allo sviluppo della relazione tra individuo e contesto. Potrebbe essere utile anche conoscere la relazione tra l'io e il Super-Io del paziente al fine di ottenere informazioni sulle sue esperienze infantili con le figure genitoriali. Una volta fatti tutti gli approfondimenti allo specifico caso in esame, potrei collocare il disagio del paziente all'interno di un quadro psicodiagnostico più preciso e definito e decidere se e quale tipo di intervento psicoterapeutico sarebbe opportuno intraprendere, considerando ovviamente le caratteristiche idiosincratiche del soggetto, il tipo specifico di disturbo ed il momento particolare che la persona sta vivendo. Se dagli approfondimenti effettuati venisse confermata l’ipotesi diagnostica inizialmente formulata, potrebbe essere opportuno indirizzarsi verso una terapia di tipo supportivo-espressiva ad approccio psicodinamico , che miri inizialmente a supportare l’Io del soggetto, strutturarlo, definirlo maggiormente, migliorare l’investimento sulla realtà, abbassare le quote di angoscia, migliorare la rappresentazione di Sé e favorire lo sviluppo dell’autostima del soggetto. Solo in un secondo momento, dopo aver offerto sostegno concreto e supporto empatico al soggetto, sarebbe opportuno orientare il trattamento verso una terapia ad enfasi espressiva, con l’obiettivo principale di promuovere un processo di presa di coscienza, elaborazione e simbolizzazione delle tematiche di fusionalità e di angoscia abbandonica sottostanti il conflitto psichico che viene espresso attraverso il comportamento dipendente e adesivo del soggetto. Altri obiettivi del percorso terapeutico dovrebbero essere quelli di: • •
• • •
favorire il superamento del processo di individuazione-separazione; favorire, attraverso il transfert, l’interiorizzazione di un oggetto buono e costante, con elevata capacità contenitiva, a cui fare appello nei momenti di difficoltà favorire una rappresentazione di Sé stabile, coerente e integrata rafforzare l’Io nella canalizzazione dell’ansia promuovere lo sviluppo delle capacità decisionali autonome e l’espressione dei veri desideri del soggetto.
In alternativa, qualora la famiglia di M. fosse disponibile, si potrebbe intervenire con un approccio di tipo sistemico-familiare che sia orientato ai seguenti obiettivi principali: • •
• • •
favorire lo svincolo e l'individuazione dei membri favorire il raggiungimento di un equilibrio, non più patogeno, tra bisogno di protezione e di dipendenza e bisogno di differenziazione e di autonomia sostituire le confuse regole disfunzionali con regole chiare e funzionali favorire la circolarità di una comunicazione chiara a diretta definire il problema come interpersonale.
Giovane donna di 25 anni
viene inviata allo psicologo da un medico endocrinologo per un sintomo di amenorrea secondaria. Alta, ben vestita, molto magra. Laureata in economia e commercio. Padre imprenditore, madre casalinga, un fratello e una sorella più piccoli. Scrupolosa, perfezionista, competitiva, molto brillante negli studi. Non ha mai avuto un ragazzo. Preoccupata dall'aspetto fisico si impegna molto in attività sportive e nella cura del corpo. Il corpo è rigido, il tono della voce è aggressivo. Descrive il padre come un uomo mite, un pò debole, affettuoso. La madre come severa, fredda, preoccupata dal rispetto delle regole sociali. Presenta disturbi del comportamento alimentare, mangia molto poco e in genere non mangia a tavola con la famiglia e non mangia il cibo preparato dalla madre. Durante l'adolescenza è stata in lieve sovrappeso. Le capita di abbuffarsi di dolci e cioccolatini la sera tardi. L'azienda florida fino a poco tempo fa, sta ora attraversando un periodo di crisi. E' preoccupata per questa situazione ed è molto critica nei confronti delle scelte aziendali del padre. Si rifiuta di lavorare con lui e intende cercare un altro lavoro.??Il candidato esprima una propria valutazione del caso, formuli una ipotesi diagnostica e indichi strumenti e metodi di approfondimento e un eventuale programma terapeutico.? Il caso proposto riguarda una giovane donna di 25 anni che giunge al colloquio su invio dell’endocrinologo per un sintomo di amenorrea secondaria. La giovane, laureata, si descrive perfezionista, scrupolosa e competitiva, mentre la madre, casalinga, viene descritta come severa e fredda, invece il padre, imprenditore, una persona mite, debole e affettuosa. Aggiunge che critica le sue scelte lavorative riguardanti la loro azienda, che sta attraversando un periodo di crisi, e che pertanto la giovane sta cercando un altro lavoro. Ha inoltre un fratello e una sorella più piccoli dei quali dal colloquio non emerge nessun particolare. La ragazza è preoccupata per il suo aspetto fisico, riferisce di svolgere attività fisica costante. Non ha mai avuto un ragazzo. Nell’adolescenza ha avuto problemi di sovrappeso, attualmente mangia poco, non mangia in presenza dei familiari e se il cibo è stato preparato dalla madre. Aggiunge inoltre che le capita di abbuffarsi la sera con dolci e cioccolatini. La giovane è stata inviata dal medico endocrinologo, potrebbe essere utile indagare come abbia vissuto tale invio, quali siano le sue motivazioni al colloquio, le sue idee e aspettative riguardo ad un eventuale trattamento. Questi aspetti potrebbero essere importanti per determinare la costituzione di un’alleanza terapeutica, per capire la disponibilità della donna ad ulteriori accertamenti diagnostici, per la scelta e pianificazione di un possibile intervento. Poiché la giovane arriva in consultazione dietro invio di uno specialista, si potrebbe ipotizzare che il medico abbia escluso la possibilità che una condizione medica o l’uso di sostanze abbiano determinato la sintomatologia riferita. Se tali possibilità potessero essere escluse, proporrei alcuni incontri successivi a scopo diagnostico durante i quali approfondire le info emerse dal colloquio ed eventualmente esplicitarne altre che potrebbero essere utili per meglio definire il quadro clinico.I sintomi che la ragazza riporta, secondo il DSM IV, potrebbero appartenere alla sfera dei disturbi alimentari e ciò potrebbe essere indicato dal fatto che ella riferisce di mangiare poco, di svolgere una costante attività fisica, di essere preoccupata per il suo aspetto fisico, di essere stata in soprappeso in passato e, infine, di abbuffarsi a volte alla sera. Riguardo alla sintomatologia descritta mancano elementi che potrebbero servire ad una valutazione più accurata e peculiare della situazione, in modo da poter formulare delle ipotesi interpretative e un eventuale piano di intervento più accurati.Per questo potrebbero essere utile sapere da quanto tempo la giovane soffre di amenorrea secondaria e da quanto tempo non mangia con i familiari, né il cibo preparato dalla madre. A riguardo potrebbe essere interessante indagare quali siano le credenze o le paure alla base di questi comportamenti di evitamento. Potrebbe altresì essere utile capire in che momento della vita della giovane siano iniziate tali problematiche, se vi siano stati eventi critici scatenanti, se ai sintomi riportati ve ne siano aggiunti altri nel tempo, se la
ragazza abbia mai intrapreso altri tipi di intervento ed eventualmente con quali esiti, quali strategie abbia messo in atto fin’ora per affrontare i suoi disagi. Potrebbe poi essere necessario indagare sulle modalità di reazione dei familiari ai comportamenti della ragazza, sul grado di consapevolezza che la giovane possiede riguardo alle sue problematiche e su quanto queste influiscano sul suo funzionamento lavorativo, sociale, relazionale. Riterrei opportuno raccogliere info anche sulla storia personale della giovane: partirei dalle prima fasi dello sviluppo, indagherei sul sistema familiare rilevando regole, stile educativo, alleanze familiari, rapporto tra coniugi e con i fratelli, tipo di comunicazione. Importante potrebbe essere valutare anche la sfera affettiva della giovane, la ragazza riferisce di non aver mai avuto un ragazzo, potrebbe essere utile indagare quanto e come le preoccupazioni che ella ha del suo aspetto possano influire su tale scelta. Riterrei utile indagare sulle ambizioni della ragazza, laureata in economia e commercio, che riferisce di non aver intenzione di rimanere nell’azienda del padre in quanto critica le sue scelte, potrebbe essere utile indagare in particolare il rapporto col padre, che da un lato definisce affettuoso e dall’altro però lo critica non volendo più lavorare con lui. E la madre invece che ruolo ha in questa dinamica?? Riterrei utile soffermarmi sui disturbi di sovrappeso che la ragazza dice di aver avuto in passato: indagherei sulla loro insorgenza, sulla possibilità che potessero dipendere da condizioni mediche o da uso di sostanze, come la ragazza ne è uscita, essendo oggi magra, se ha seguito delle diete mediche, se ha preso farmaci, quanto il ricordo di quel periodo possa attualmente influenzarla. Potrebbe essere utile infine capire le circostanze delle abbuffate che le capita di fare, cercherei di informarmi sulla loro frequenza, sulle eventuali seguenti modalità di eliminazione, sui suoi vissuti prima e dopo, se i familiari ne sono a conoscenza. Potrebbe inoltre essere opportuno indagare sulla possibilità che altri caratteristiche della giovane, come il suo essere perfezionista, scrupolosa e competitiva, rientrino in un quadro clinico di tipo ansioso. Ad esempio, riterrei utile capire se tali aspetti siano riferiti ad ogni ambito o in alcuni in particolare, se tale perfezionismo limita la ragazza nelle sue attività quotidiane, se è insorto in momenti particolari, se ci sono situazioni che determinano maggiormente il suo bisogno di essere precisa. Proporrei alla giovane di sottoporsi, nel corso degli ulteriori incontri, ad alcuni test a scopo diagnostico, come il questionario MMPI-II, per avere un quadro generale della personalità, al test proiettivo RORSCHACH per studiare la rappresentazione di sè e delle relazioni oggettuali, per indagare sulle relazioni con l’ambiente evidenziando eventuali stili difensivi o turbamenti affettivi. Infine potrebbe risultare utile anche la somministrazione del test EDI-2 per rilevare eventuali problematiche legate alle condotte alimentari. Nel caso in cui emergessero elementi che portassero alla conferma dell’ipotesi di disturbo nell’area dei disturbi alimentari, si potrebbe ipotizzare un intervento in cui considerare l’invio ad uno psichiatra, per un eventuale somministrazione di farmaci. Proporrei poi l’invio ad un terapeuta per un intervento individuale, includendo, se la ragazza fosse d’accordo e la famiglia disponibile, anche i familiari. Gli obiettivi potrebbero essere quelli di indagare sulle relazioni tra i componenti, sulle regole e sui ruoli; di metter in luce eventuali dinamiche disfunzionali del sistema, per operarvi una sostituzione con altre più funzionali ed adeguate. Un altro obiettivo potrebbe essere quello di intervenire sulla coppia coniugale, per portare allo scoperto possibili conflitti nascosti. Inoltre si potrebbe lavorare sul rapporto con il fratello e con la sorella più piccolo, in modo da favorirne la collaborazione e sullo sviluppo di una comunicazione più aperta e circolare. Indagare sulle prime fasi di sviluppo va bene potrebbe lievemente essere tendenziosa, cioè far riferimento ad un approccio di tipo dinamico dove l'esplorazione del passato è cruciale, è preferibile essere più neutri senza fare ipotesi relative ad un orientamento specifico (la commissione potrebbe non gradire!!) Per quanto riguarda gli strumenti diagnostici vanno bene, ma per fare l'mmpi ci vogliono un'ora e mezza, per il rorschack più o meno uguale, inoltre è preferibile essere cauti sull’uso dei test e mai usarli al primo colloquio, ma almeno al secondo o terzo
Il caso riguarda una giovane donna di 25 anni, alta, ben vestita, molto magra, laureata in economia e commercio, padre imprenditore, madre casalinga, un fratello ed una sorella più piccoli. Scrupolosa, perfezionista, competitiva, molto brillante negli studi. Preoccupata dell'aspetto fisico si impegna molto in attività sportive e nella cura del corpo. Presenta la seguente sintomatologia: amenorrea secondaria, disturbi del comportamento alimentare. Le capita di abbuffarsi di dolci e cioccolattini la sera tardi. La giovane è stata inviata da un medico endocrinologo dunque sarebbe importante sapere come vive l'invio, se gli è stato imposto, la motivazione e le aspettative della giovane riguardo ad esso, la disponibilità ad un eventuale intervento psicoterapeutico. Sarebbe importante indagare se ha rice vuto in precedenza trattamenti terapeutici o farmacologici. Sarebbe utile approfondire il suo vissuto riguardo i sintomi e come gli altri reagiscano ad essi, valutare se ci siano vantaggi secondari che contribuiscano a mantenerli e rafforzarli. Dai sintomi riportati nel testo si potrebbe ipotizzare un disturbo dell'alimentazione, in particolare anoressia nervosa, ma si tratta solo di una ipotesi, suscettibile di falsificazione, è dunque necessario fare degli approfondimenti sul caso. Sarebbe utile approfondire la sintomatologia: da quanto tempo sono presenti i sintomi, quando si sono presentati per la prima volta, la loro frequenza, se si presentano solo in determinate circostanze e se hanno subito delle evoluzioni nel tempo. Valutare se è presente la paura di acquisire peso, se è alterato il modo in cui la giovane vive il peso o la forma del corpo, quanto il peso e la forma fisica influenzino la sua autostima, se e quanto eventualmente il suo peso è aldisotto del peso normale x statura ed altezza, con che frequenza avvengono le abbuffate notturne e se son seguite da condotte di eliminazione, il vissuto della giovane e la consapevolezza dei sintomi (sia quelli riportati nel testo sia quelli che eventualmente emergessero durante il colloquio). Approfondirei tutta la sfera affettivo-sentimentale, lavorativa e sociale della giovane. Sarebbe molto interessante sapere come mai la ragazza non ha mai avuto un ragazzo, come ha vissuto tale situazione, come si rapporta nei confronti dell'altro sesso, come vive la sfera sessuale e il rapporto con il proprio corpo. Indagherei il rapporto con i genitori, gli eventuali conflitti presenti nel nucleo familiare. Approfondirei il motivo per cui non mangia il cibo preparato dalla madre, soffermandomi in particolar modo sul rapporto istauratosi tra madre e figlia. Esplorerei anche il rapporto con il padre, il tipo di attaccamento istauratosi con i genitori, se l e sue scelte di vita siano state autonome o condizionate (ed eventualmente da chi). Approfondirei il rapporto con il fratello e la sorella più piccoli (di quanto?) di cui al momento non abbiamo alcuna informazione. Inoltre indagherei il rapporto con eventuali amici stretti e la sua vita sociale in genere, e se (e come) la sua sintomatologia influisca nei suoi rapporti interpersonali. In ambito lavorativo sembra non essere soddisfatta e criticare le scelte del padre. Sarebbe interessante approfondire i motivi di tali contrasti, approfondendo la sua motivazione a lavorare in azienda, esplorando anche le condizioni lavorative e relazionali all'interno di essa. Infine valuterei le sue capacità di fronteggiare le difficoltà e le risorse per un eventuale trattamento. Durante il colloquio somministrerei un test ad ampio raggio (MMPI-2) per evidenziare eventuali aree disfunzionale che potrebbero avvalorare la nostra ipotesi iniziale o comunque inserirla all'interno di un più ampio quadro psicodiagnostico. Somministrerei anche l' EDI-2, specifico per i disturbi alimentari. Fatti tali approfondimenti avremo un quadro più completo per decidere se e quale tipo di intervento psicoterapeutico intraprendere, considerando ovviamente le “caratteristiche” del soggetto, il tipo specifico di disturbo ed il momento che la persona sta vivendo. Se dagli approfondimenti venisse confermata l'ipotesi di partenza allora suggerirei una terapia
familiare che in letteratura sembra una tra le più indicate per questo tipo di disturbi. L'obiettivo è quello di favorire lo svincolo e l'individuazione dei membri del sistema invischiato, promuovere la circolarità di una comunicazione chiara, rafforzare la figura paterna se, come spesso accade, è periferica, sostituire le regole disfunzionali con quelle funzionali e gestire costruttivamente la crisi per affrontare un nuovo ciclo vitale.
Ragazzo di
21 anni, diploma di scuola superiore, figlio unico. Circa un anno fa, mentre era alla guida della sua auto ebbe una crisi improvvisa, con ansia, tachicardia, sudorazione fredda, tremore, forte disagio e paura di morte imminente. Da allora episodi analoghi si sono presentati ad intervalli irregolari e come la prima volta senza motivi apparenti. Da qualche mese si è ritirato in casa, ha lasciato la ragazza, non ha contatti con gli amici e nessun interesse esterno. Il giorno dorme molto e trascorre gran parte della notte al computer o immerso nella lettura di libri di guerra. La madre, già manager di una azienda, viene descritta dal figlio come una donna forte, molto capace ed efficiente e molto protettiva nei suoi confronti. Il padre come un uomo brillante in società e quasi assente in famiglia. Il giovane racconta che ebbe la prima crisi durante il viaggio di ritorno a casa dopo il soggiorno di qualche mese in un'altra città e che durante la sua assenza i genitori avevano avuto una grossa crisi coniugale di cui era stato informato solo qualche giorno prima del suo rientro in famiglia. si dimostra distaccato da tutto e a tratti aggressivo. I genitori sono preoccupati, la madre tende a proteggerlo, giustificarlo, il padre infastidito dimostra invece una scarsa disponibilità. Il candidato esprima una propria valutazione del caso, formuli una ipotesi diagnostica, indichi strumenti di approfondimento e un'eventuale programma terapeutico. Poichè non sappiamo se il giovane si è presentato spontaneamente o spinto dai genitori, sarebbe utile indagare la sua motivazione al colloquio, le sue aspettative riguardo esso e come mai il ragazzo si sia presentato solo adesso (visto che la 1 crisi risale ad un anno fa) o se ha intrapreso in passato percorsi terapeutici o farmacologici (in tal caso che risultati abbia avuto e se eventuali fallimenti siano reali). Sappiamo che la prima crisi si è verificata 1 anno fa durante il viaggio di ritorno a casa dopo essere stato informato di una grossa crisi coniugale dei genitori. Sarebbe interessante capire come il ragazzo abbia vissuto tale notizia e se il primo attacco, in qualche modo, sia collegato ad ess a (se lo è in che modo). Sarebbe utile sapere le successive crisi con che frequenza sono avvenute e se si sono ripresentate in determinate circostanze, se i sintomi hanno subito una evoluzione nel tempo, le strategie fin ora utilizzate (se presenti) x fronteggiarli, la presenza di eventuali vantaggi secondari (ad es. spostare l'attenzione su di sè x evitare i litigi dei genitori), le sfere compromesse dal disturbo, il vissuto del soggetto riguardo i suoi sintomi e come gli altri vi reagiscano. Sarebbe interessante approfondire come il paziente ha reagito inizialmente al disagio e come mai negli ultimi mesi la situazione sembra peggiorata poichè si è ritirato in casa, ha lasciato la ragazza, non ha contatti con gli amici e nessun interesse esterno. Sarebbe utile esplorare tutta la sfera affettivo-relazionale del giovane. Sarebbe interessante sapere i motivi della rottura con la ragazza, com'era il loro rapporto, come è evoluto nel tempo, come si è giunti alla decisione di rottura, se ciò è accaduto in concomitanza con qualche evento o situazione. Indagherei il rapporto con i genitori per conoscere il tipo di attaccamento e lo stile educativo ricevuto, se le scelte fatte dal ragazzo nella vita siano state autonome o condizionate (eventualmente da chi), come il ragazzo ha vissuto la crisi dei genitori, se questa è ancora in atto. Approfondirei la diversa reazione dei genitori nei confronti del disagio del figlio, visto che la madre tende a proteggerlo mentre il padre è infastidito e poco disponibile, approfondirei i motivi di tale atteggiamento.
Indagherei se prima del suo isolamento sociale avesse degli amici ed i rapporti intrattenuti con essi. Non sappiamo se prima dell'inizio delle crisi il ragazzo studiasse o lavorasse, sarebbe utile raccogliere informazioni anche su questo aspetto, ed approfondire le relazioni che intratteneva con gli eventuali colleghi ed i superiori. Esplorerei le capacità del giovane di fronteggiare le difficoltà e le risorse per il trattamento. Le informazioni a disposizione riportate nel testo permettono di formulare solo delle ipotesi, se dagli esami medici è possibile escludere quadri morbosi legati a condizioni mediche o ad abuso di sostanze, allora ipotizzerei un disturbo d'ansia, suggerito dagli attacchi di panico che si presentano irregolari e senza motivi apparenti; da un approfondimento della sintomatologia si potrà stabilire se diagnosticare un disturbo di panico. Inoltre si potrebbe anche ipotizzare un disturbo depressivo suggerito dal ritiro sociale, ipersonnia, distacco da tutto. Dal momento che quelle di partenza sono solo ipotesi, e pertanto suscettibili di falsificazione, riterrei necessario fare tutti gli approfondimenti su esposti; Inoltre somministrerei un test di personalità autodescrittivo (MMPI-2) ad ampio raggio x evidenziare eventuali aree disfunzionali (tali risultati potrebbero avvalorare le nostre ipotesi di partenza, o farci orientare verso ulteriori ipotesi) da approfondire successivamente. Inoltre somministrerei lo STAI e il BDI, specifici per l'ansia. Fatti tali approfondimenti avremo un quadro + completo x decidere se e quale tipo di intervento psicoterapeutico intraprendere, considerando ovviamente le "caratteristiche" del soggetto, il tipo specifico di disturbo ed il momento che la persona sta vivendo. Se da tali approfondimenti venisse confermata l'ipotesi iniziale potrebbe essere opportuno indirizzarsi verso una terapia individuale ad orientamento cognitivo-comportamentale. Se emergessero particolari problemi all'interno delle dinamiche familiari, allora suggerirei una terapia familiare (se i genitori ed il ragazzo fossero d'accordo). Il caso proposto riguarda un giovane diplomato di 20 anni, figlio unico con madre manager, da lui descritta come una donna forte, capace, efficiente e molto protettiva nei suoi confronti, mentre il padre, partecipante in una società è un uomo brillante, ma assente. Riferisce di avere avuto una crisi circa un anno fa mentre era alla guida della sua auto con la seguente sintomatologia: ansia, tachicardia, sudorazione, tremori, disagio e paura di morire. Queste crisi si sono poi ripetute nel tempo ad intervalli regolari senza motivi apparenti. La prima volta che il ragazzo ha avuto una crisi è stato durante un viaggio di ritorno da una città in cui aveva soggiornato per diversi mesi, duranti i quali ha saputo solo pochi giorni prima del suo rientro a casa, che i genitori hanno affrontato una grossa crisi coniugale. Ultimamente il giovane si è ritirato in casa: ha lasciato la ragazza, gli amici e ha perso molti interessi. Inoltre passa le sue giornate dormendo e le notti sul computer o leggendo libri di guerra. La madre lo protegge, mentre il padre sembra non essere disponibile a giustificare il figlio. Al colloquio il giovane si dimostra distaccato e aggressivo. Poiché non sappiamo se il giovane si sia presentato spontaneamente dallo psicologolo o spinto dai genitori, potrebbe essere utile indagare la sua motivazione al colloquio, le sue idee riguardo al disagio, le sue aspettative su un eventuale trattamento e il perché si sia presentato solo in questo momento ad un consulto. Non emerge dal colloquio se il giovane si sia precedentemente rivolto ad un medico generico, per cui non sappiamo se la sintomatologia riferita possa essere meglio spiegata da una condizione medica o indotta dall’uso di sostanze. Potrebbe essere utile accertarsi che si possano escludere queste due possibilità inviando il ragazzo da un medico per gli adeguati esami medici. Nel caso in cui queste due possibilità potessero essere escluse e considerando che i dati rilevabili da questo primo colloquio non sono sufficienti per elaborare una diagnosi univoca, potrei ritenere utile proporre ulteriori incontri a scopo diagnostico durante i quali approfondire le info emerse dal colloquio e esplicitarne altre che potrebbero essere importanti per meglio definire il quadro
clinico. I sintomi che il giovane lamenta (prendendo come riferimento il DSM IV) potrebbero portarci ad ipotizzare un disturbo che rientra nei disturbi ansiosi e ciò potrebbe essere indicato dalle manifestazioni riferite come ansia, tachicardia, sudorazione, tremore, disagio e paura di morte. Questi dati sono tuttavia insufficienti per poter formulare un’ipotesi diagnostica univoca e pertanto nel corso di ulteriori colloqui potrei ritenere opportuno approfondire alcuni elementi. Riguardo alla sintomatologia descritta mancano delle info che potrebbero servire ad una valutazione più accurata e peculiare della situazione, in modo da poter formulare delle ipotesi interpretative e un piano di intervento più accurati. Il ragazzo riferisce che la prima crisi si è verificata durante un viaggio di ritorno a casa dopo mesi di soggiorno in un’altra città, poi aggiunge che durante la sua assenza i genitori hanno affrontato una crisi coniugale. Potrebbe pertanto essere utile sapere se e come il ragazzo colleghi la crisi dei genitori alla sua sintomatologia, come è andato il rientro a casa, come il ragazzo ha affrontato questo suo disagio, con quali strategie e se i genitori ne erano al corrente. Indagherei se il ragazzo si sia mai rivolto ad altri specialisti e se da questa prima crisi ce ne sono state altre, oltre a quella avuta mentre era alla guida della sua auto. Il ragazzo infatti accenna a crisi ripetute. Potrebbe essere utile indagare sulle circostanze più frequenti di insorgenza di tali sintomi, se vi siano situazioni, persone o luoghi che più di altri determinano i suoi disagi e se gli è capitato di evitare determinate circostanze per il timore che potessero scatenare reazioni in lui. Mi informerei su eventuali cambiamenti nell’espressione dei sintomi da un episodio all’altro, come il ragazzo in questo caso riesca ad affrontarli, se e quanto viene compromesso il suo funzionamento sociale, lavorativo, relazionale. Il ragazzo riferisce infatti che da qualche mese si è ritirato in casa, ha lasciato la ragazza, si è isolato dagli amici e ha perso molti interessi. Questi sintomi potrebbero far pensare ad un disturbo nell’area dei disturbi dell’umore, ma anche in questo caso mancano molti elementi per poter elaborare un’ipotesi più precisa. Ad esempio potrebbe essere importante indagare quanto e se tale ritiro sia collegato con la paura di avere nuovamente delle crisi d’ansia o se invece sia collegato ad altri motivazioni eventualmente da indagare. Inoltre potrebbe essere utile capire il vissuto del ragazzo, come si spiega questo suo isolamento. Egli riferisce di mantenere comunque qualche interesse, ossia il computer e i libri di guerra. Riterrei utile cercare di ottenere qualche informazione su questi suoi interessi, ad esempio se li ha sempre avuti o se invece siano maturati in lui come conseguenza del suo isolamento. Riguardo alla storia personale del ragazzo potrebbe invece essere utile indagare l’area familiare, i suoi rapporti con i genitori, la madre protettiva che ruolo ha nelle sue scelte, mentre il padre assente come ha influito nella crescita del figlio? Riterrei utile indagare ancora sullo dinamiche familiari, sul tipo di comunicazione, arrivando anche a sondare il campo delle relazioni sociali del ragazzo: egli riferisce di aver da poco lasciato la ragazza, da quanto precisamente? E per quali motivi? Come ha reagito a questa separazione? Quanto tempo il loro rapporto durava? La ragazza era a conoscenza dei disagi del giovane? Se si come lei reagiva? Quanto eventualmente i sui problemi potrebbero aver influenzato la scelta di lasciare la ragazza oppure le motivazioni sono altre? Anche con gli amici i rapporti si sono diradati. Dal colloquio non emerge se il ragazzo lavori o meno, indagherei su tale aspetto cercando di capire le sue ambizioni, le sue aspettative per il futuro. Nel corso dei colloqui successivi potrei ritenere utile somministrare al giovane alcuni test a scopo diagnostico, come il questionario MMPI-II per avere un quadro generale della sua personalità e il test STAI-Y per avere maggiori indicazioni sui tratti ansiosi. Nel caso in cui, da ulteriori indagini, emergessero elementi che portassero alla conferma dell’ipotesi iniziale di disturbo nell’area ansiosa, potrei proporrei l’invio ad un terapeuta per un eventuale trattamento individuale di sostegno, i cui obiettivi potrebbero essere quelli di rafforzare l’Io del giovane, aumentare l’autostima, elaborare l’aggressività, riorganizzare e investire sulle sue risorse, fino a riprendere il lavoro e i rapporti sociali. Successivamente, se il ragazzo fosse
d’accordo e la famiglia disponibile, potrebbe essere utile coinvolgere i genitori per mettere in luce eventuali dinamiche disfunzionali e sostituirle con altre più funzionali e adeguate. Il caso in questione riguarda un ragazzo di 21 anni, con un livello medio di istruzione ed unico figlio. L’anno precedente ha riportato ripetuti episodi di crisi d’ansia improvvise accompagnate da sintomi di tachicardia, sudorazione fredda, tremori, disagio e paura di morte imminente. Tali episodi si sono manifestati ad intervalli irregolari e apparentemente privi di cause scatenanti. Il primo episodio, tuttavia, ha avuto luogo mentre il giovane era alla guida dell’auto di rientro verso casa dopo un soggiorno durato qualche mese; egli riferisce di aver appreso poco prima di rientrare di una grave crisi tra i suoi genitori. Il contesto all’interno del quale il disturbo lamentato si è originariamente verificato è, dunque, rappresentato da una circostanza di ricongiungimento con i familiari, probabilmente vissuta come un inserimento in una situazione già problematica. La madre, manager d’azienda e il padre reagiscono diversamente al disturbo lamentato dal figlio: l’una si mostra comprensiva, l’altro infastidito e scarsamente disponibile. Il giovane riferisce di vivere in maniera ritirata: non ha contatti con l’esterno, non esce di casa e da qualche tempo ha interrotto una relazione sentimentale. Tale condizione di ritiro è amplificata dall’assenza di occupazioni quotidiane e da un’accentuata tendenza a concentrare le uniche attività informatiche e di lettura nella notte, trascorrendo le ore diurne a dormire. Emerge anche una componente di distacco e disinteresse che si accompagna a punte di aggressività. Uno degli elementi da sottolineare riguarda la durata del disturbo, ormai di circa un anno, che si presenta con frequenza irregolare; le circostanze di insorgenza, come si è detto, sono rappresentate da un ricongiungimento al nucleo familiare. L’ansia manifestata potrebbe essere legata alle aspettative nei confronti di questa riunione laddove tra i genitori si è accesa una forte conflittualità. Sarebbe opportuno ottenere informazioni circa la durata di ogni singola crisi, le modalità e le circostanze di insorgenza, dato che si tratta, questo, di un elemento mancante. Dal complesso dei dati presentati si può supporre che le crisi abbiano un’alta frequenza all’interno delle mura domestiche, in quanto viene riportato che il giovane conduce ormai una vita ritirata. Sarebbe utile ai fini della valutazione ottenere informazioni sulle persone con cui il ragazzo si trova quando è preda dei disturbi o se è solo. Nel caso fosse in compagnia, ulteriormente, sarebbe necessario inquadrare il sintomo: esso potrebbe costituire una risposta ad una situazione conflittuale o una richiesta d’aiuto o entrambe le ipotesi suddette. Potrebbe essere opportuno esplorare il rapporto con entrambi i genitori, nonché il vissuto del giovane rispetto alla coppia genitoriale. La madre, molto protettiva, potrebbe essere vissuta come una figura intrusiva e costituire un intralcio al processo di svincolo del ragazzo. La crisi d’ansia, infatti, si verifica durante il ritorno a casa, che potrebbe aver scatenato una sorta di ansia prestazionale. Il padre, invece manifesta distacco e poca tolleranza nei confronti del figlio, acutizzando un probabile vissuto di inadeguatezza, come attesta anche il ritiro da tutte le attività. Un ulteriore elemento utile ai fini del percorso diagnostico sarebbe l’esplorazione del vissuto soggettivo del giovane durante le crisi e soprattutto quale può essere la sua percezione del disturbo, se e quali strategie vengono utilizzate. Il caso presentato non fornisce indicazioni circa la richiesta: sarebbe interessante conoscerne le modalità e soprattutto la committenza, dal momento che questo elemento potrebbe chiarire aspetti relativi alla consapevolezza del disturbo da parte del soggetto, al suo grado di autonomia decisionale. Sarebbe opportuno conoscere se sono stati intrapresi percorsi terapeutici e, in caso affermativo, come sono stati affrontati e quale è stata la modalità di conclusione. Inoltre sarebbe utile avere informazioni circa i motivi che proprio in quel momento hanno indotto alla richiesta e se in passato si sono avuti altri disturbi simili o correlati. La presenza dei sintomi che ricorrono durante le crisi lamentate potrebbero orientare la diagnosi
verso una problematica legata all’ansia, e più specificamente verso un disturbo di panico. Nel disturbo di panico, così come descritto nella prassi psicologica e psichiatrica (nella formalizzazione proposta nel DSM IV) si verificano ripetuti attacchi del genere lamentato, con fenomeni di tachicardia, dispnea, sudorazione, tremori, timori di impazzire e di morire e che causano una marcata alterazione delle aree di funzionalità del soggetto. Nel caso specifico, come si è sottolineato, il soggetto non solo ha interrotto qualsiasi attività, ma non ha alcun tipo di relazione sociale. Il disturbo lamentato, tuttavia, conserva alcuni aspetti che potrebbero far pensare ad una problematica di tipo depressivo associata o anche reattiva al corso degli episodi di crisi. Tale ulteriore ipotesi diagnostica andrebbe verificata. Il percorso diagnostico dovrebbe essere approfondito attraverso un ciclo di non meno di 4 colloqui, uno dei quali dedicato alle prove testologiche. Sarebbero utili gli strumenti dell’ MMPI e del Rorschach (discutere gli strumenti). Tale passo del percorso potrebbe fornire indicazioni sulle modalità di fronteggiamento di un compito inusuale, specie per il reattivo del Rorschach, nonché del grado di cooperazione e di motivazione al cambiamento. Nel caso in cui una delle due ipotesi suddette fosse supportata dalle evidenze fornite dai colloqui e dalla seduta testologica, si potrebbe orientare il percorso verso un intervento di tipo espressivo, nel caso specifico una terapia cognitivo-comportamentale, volta a sostituire le strategie disfunzionali, con strategie funzionali, o una terapia ad orientamento dinamico, che favorisca un percorso di consapevolizzazione del soggetto e l’elaborazione dei nodi conflittuali centrali. Nel caso in cui la famiglia fosse disponibile, potrebbe giovare una terapia sistemico-relazionale, che consenta un processo maturativo di tutti i membri del sistema familiare ed un riaggiustamento delle relazioni tra i vari sottosistemi implicati.
DAMIANO 37 anni
Il caso proposto riguarda un giovane di 37 anni che sembra rivolgersi spontaneamente al consulto in seguito all’assunzione di farmaci che non hanno dato alcun risultato. Inizialmente riterrei opportuno indagare se sia stato inviato dal medico, valutare la sua motivazione per la richiesta di aiuto, le sue idee e le sue aspettative su un eventuale trattamento e i motivi per cui si è presentato proprio in questo momento. Questi aspetti potrebbero essere importanti per la costituzione di un’alleanza terapeutica, per capire la collaborazione e la disponibilità del giovane a ulteriori incontri, per valutare la consapevolezza che egli ha delle sue problematiche e infine per la scelta e la pianificazione di un successivo intervento. Innanzitutto potrei ritenere utile raccogliere informazioni sull’assunzione di questi farmaci, cercando di capire quale specialista glieli avesse prescritti e per quale sintomatologia, di quali farmaci si tratta, per quanto tempo li ha assunti, con quale frequenza e da quanto tempo non li assume più. Cercherei anche di indagare se gli esiti negativi dell’assunzione dei farmaci siano veri. Inoltre potrebbe essere importante accertarsi che questo medico avesse escluso la possibilità che i sintomi riferiti successivamente dal signore non siano stati la conseguenza diretta dell’assunzione di questi farmaci, di altre sostanze o di una condizione medica generale. Nel caso in cui queste possibilità potessero essere escluse, e considerando che i dati in nostro possesso non sono sufficienti per poter formulare un’ipotesi diagnostica univoca proporrei al giovane ulteriori incontri a scopo diagnostico, durante i quali approfondire le informazioni già emerse durante il primo consulto e portarne alla luce altre che potrebbero essere utili per inquadrare meglio il caso. Dal protocollo risulta che il giovane svolge attività lavorativa di ragioniere in una ditta, rischiando attualmente il licenziamento a seguito delle sue difficoltà, è sposato da 5 anni con un figlio di 3. Si presenta al colloquio con la seguente sintomatologia: agitazione, distraibilità, insoddisfazione, irritabilità e cambiamenti frequenti di umore che causano difficoltà relazionali. Aggiunge che ha
difficoltà mnemoniche, è sbadato e disorganizzato, svolgendo male il suo lavoro. Questi sintomi (prendendo come riferimento il DSM IV) potrebbero appartenere alla sfera dei disturbi dell’umore. Tuttavia mancano elementi che potrebbero servire ad una valutazione più accurata e peculiare della situazione, in modo da poter formulare delle ipotesi interpretative e un piano di intervento più accurati. Potrebbe essere utile sapere: - da quanto tempo è presente la sintomatologia riferita - quando si è presentata la prima volta e in che circostanza - se i sintomi hanno avuto un’insorgenza graduale - con quale frequenta si presentano - se vi sono particolari situazioni che la determinano - se i sintomi sono cambiati nel tempo o ve ne sono aggiunti altri - se vi sono stati eventi critici recenti che hanno acutizzato le difficoltà - se e come abbia affrontato i suoi disagi fino ad oggi - se precedentemente il giovane si è rivolto a consulto psicologico e con quali esiti - se è consapevole delle sue problematiche e quali credenze ha a riguardo - come la moglie ed il figlio reagiscano ai suoi sintomi - se, oltre al lavoro, vi sono altre aree marcatamente compromesse Durante il colloquio il giovane riferisce di fare un uso saltuario di alcol. Potrebbe essere utile indagare su tale aspetto, cercando di capire quale frequenza intenda con il termine “saltuario”, da quando tempo avviene, in quali momenti della sua giornata, quali sono le conseguenze del bere, se riesce a mantenere la lucidità, se la moglie ne è al corrente, quali sono le motivazioni per cui sente il bisogno di bere alcolici, se questo aspetto possa essere legato alla sintomatologia riferita e che possa pertanto essere uno dei motivi per cui rischia il licenziamento. In seguito riterrei opportuno anche raccogliere informazioni sulla storia personale del giovane. Dal colloquio emerge solamente che ha avuto da sempre difficoltà scolastiche, riuscendo tuttavia ad ottenere il diploma di ragioniere. Potrebbe essere utile informarsi su queste difficoltà scolastiche, a che età si sono presentate e in cosa si manifestavano, se per queste si è mai rivolto ad uno specialista ed eventualmente con quali risultati, quale è stato il suo vissuto riguardo ai suoi disagi, quale rapporto aveva con i suoi compagni e come loro lo considerassero, a che età ha raggiunto la maturità e con quale esito. Sonderei anche l’ambito familiare cercando di capire il ruolo della famiglia durante l’infanzia e l’adolescenza del giovane, lo stile educativo e di attaccamento, il loro rapporto attuale (se presente e se i genitori sono viventi), la presenza e le relazioni passate e presenti con eventuali fratelli o con altre figure significative. Mi informerei sulla vita attuale in ambito affettivo del giovane, il suo rapporto con la moglie e col figlio, come questi reagiscono ai suoi sintomi. L’uomo afferma di avere difficoltà relazionali in seguito a frequenti cambiamenti di umore. Indagherei su tale aspetto cercando di capire con chi in particolare egli riporta tali difficoltà, se con amici, conoscenti, colleghi, moglie, familiari e come affronta tale disagio. Inoltre anche l’ambito lavorativo meriterebbe alcune informaizoni aggiuntive. Il giovane riferisce di rischiare il licenziamento dopo alcuni richiami. Potrebbe essere importante sapere le cause principali di tale richiami. Egli parla di sbadataggine e disorganizzazione per cui svolge male il suo lavoro. Ci sono altre problematiche non emerse dal colloquio? Qual è il suo vissuto riguardo a questo? Il suo lavoro gli piace? Ne è soddisfatto? Che rapporto ha con i colleghi e con il datore di lavoro? Nel corso di successivi colloqui riterrei opportuno indagare sulle tematiche esposte e potrei ritenere utile la somministrazione di un questionario MMPI-II per avere un quadro generale della personalità e, successivamente, sottoporre eventualmente il giovane a test psicodiagnostici più
specifici, qualora emergessero aspetti che potrebbero essere utile approfondire maggiormente. Nel caso in cui emergessero elementi che portassero alla conferma dell’ipotesi iniziale di difficoltà nell’area dei disturbi dei disturbi dell’umore, potrei prendere in considerazione l’invio ad un terapeuta per un intervento supportivo-espressivo con la finalità di rafforzare l’Io, riorganizzare le proprie risorse favorendo un miglior investimento in ambito lavorativo e relazionale, far accrescere la sua autostima e migliorare la fiducia in sé. Qualora l’uso di alcolici fosse ritenuto problematico potrei proporre l’invio per una terapia di gruppo, con l’obiettivo di rimuovere i blocchi causa del disagio. COMMENTI OPS: Ciao Molly il tuo caso va bene....solo che eviterei di mettere le domande o gli elenchi di cosa indagheresti....lo farei + discorsivo...ma è un giudizio personale......riposto il mio caso ho aggiunto 2 righe per gli obiettivi per gli approfondim va bene il tuo... Il sign Damiano si è presentato spontaneamente alla consultazione, sarebbe comunque interessante indagare la sua motivazione e le sue aspettative nei confronti del colloquio. Sarebbe utile sapere cosa l'ha spinto a presentarsi proprio adesso (forse il rischio di licenziamento?); Inoltre raccoglierei maggiori informazioni riguardo i precedenti trattamenti farmacologici (valutare anche se tali fallimenti siano reali). Sarebbe molto utile approfondire la sua sintomatologia: da quanto tempo sono presenti i sintomi, le circostanze di insorgenza (fattori scatenanti), la loro frequenza, l'eventuale andamento evolutivo dei sintomi (cioè se hanno subito una evoluzione nel tempo ed eventualmente in che direzione), le strategie (se presenti) finora utilizzate per fronteggiare il disagio, gli ambiti compromessi dai sintomi, il vissuto del soggetto e come gli altri vivono e reagiscono ad essi. I dati a disposizione non son sufficienti per poter formulare un'ipotesi diagnostica certa, pertanto sono necessari ulteriori approfondimenti in diversi ambiti della vita del soggetto. Sarebbe utile indagare tutta la sfera affettivo-relazionale. Approfondirei il suo rapporto e le sue relazioni con la moglie e il figlio, se ci sono eventuali conflitti o problemi all'interno del nucleo familiare. Approfondirei le reazioni dei familiari ai suoi sintomi e il loro vissuto nei confronti di essi. Inoltre relativamente alla famiglia d'origine, sarebbe interessante valutare i vissuti del soggetto verso il padre e la madre (se viventi), quale stile educativo vigeva, tipo di attaccamento, eventuali traumi subiti ect. Sarebbe utile indagare le relazioni sociali e lavorative: approfondire i rapporti con i colleghi e i superiori, quante volte ha eventualmente cambiato lavoro; indagare se frequenta degli amici e che tipo di relazioni intrattiene con essi. Sappiamo che il soggetto ha avuto difficoltà scolastiche, approfondirei questo punto valutando se sia stato presente un qualche disturbo dell'apprendimento o altro diagnosticabile nell'infanzia. Il soggetto riferisce di fare saltuario abuso di alcolici: sarebbe auspicabile un maggior approfondimento al riguardo al fine di poter eventualmente escludere un disturbo correlato all'utilizzo di alcool (verificare se ha mai avuto episodi di intossicazione alcolica o crisi di astinenza). Se dagli esami medici è possibile escludere quadri morbosi legati a condizioni mediche o ad abuso di sostanze, allora ipotizzerei la presenza di un disturbo dell'umore. Ovviamente si tratta solo di una ipotesi che necessita dei dovuti approfondimenti sopra riportati. Inoltre somministrei dei test al soggetto per meglio inquadrare il caso. Sarebbe utile somministrare un test di personalità autodescrittivo ad ampio raggio (MMPI-2) per valutare attraverso le scale di riferimento la nostra ipotesi (sarebbe utile valutare l'eventuale presenza di elevazione della scala clinica D e quella di contenuto DEP e l'eventuale presenza di codici specifici come 1-2 e 2-7 che potrebbero avvalorare la nostra ipotesi iniziale) e per individuare eventuali ed ulteriori aree disfunzionali da approfondire successivamente con test più specifici. In tal senso potrebbe essere utile somministrare il BDI e il CBA (scala VIII), specifici per problemi depressivi. Se da tali approfondimenti venisse confermata l'ipotesi iniziale potrebbe essere opportuno indirizzarsi verso una terapia individuale ad orientamento cognitivo-comportamentale, che in
letteratura sembra essere una tra le più indicate per questo tipo di disturbi, al fine di lavorare sui sintomi e sulle caratteristiche personali del soggetto che gli permettano di ripristinare un buon funzionamento in ambito lavorativo, familiare e personale, di accrescerne l'autostima e migliorare la fiducia in sè, sostituendo eventuali idee disfunzionali con altre più funzionali e adattive.
Una donna di 28 a., commerciante, telefona al consultorio chiedendo un appuntamento urgente. Le viene fissato dopo una decina di gg: se ne lamenta e dice che non ce la farà a sopportare l'ansia. Continua dicendo che attualmente è molto angosciata per una relazione con un uomo sposato che non vuole separarsi. Racconta di problema nella sfera sessuale: è ancora vergine e non riesce ad avere rapporti (contrazioni spasmodiche zona pelvica). Aggiunge che da piccola vomitava di nascosto dopo aver mangiato e dice di aver sempre sofferto, a periodi, di "esaurimento e depressione". E' riuscita tuttavia ad uscirne "aprendo" con la madre una boutique di abbigliamento. Riferisce di non aver proseguito una terapia iniziata nel pubblico perché lo psicologo le avrebbe detto di "lasciare la mamma". Dice che non sopporta di non decidere, deve assolutamente trovare una soluzione a tutto. Lo psicologo deve trovargliela; chiede anche una parola "magica" che le permetta di sopportare l'attesa fino all'appuntamento. Il candidato esprima la propria valutazione sul caso, individui i principali elementi da osservare per una diagnosi corretta e delinei l'eventuale programma di intervento. " una donna di 28a. che telefona in consultorio per avere un appuntamento urgente che le viene fissato solo 10 gg dopo e di questo si lamenta perché pensa di non sopportare l'ansia dell'attesa fino a quel momento. Attualmente è angosciata per una relazione con un uomo sposato che non vuole separarsi, è ancora vergine e ha problemi sessuali, non ha rapporti con questa persona perché ha delle contrazioni spasmodiche nella zona pelvica. Da piccola dopo aver mangiato vomitava di nascosto e ha avuto periodi di esaurimento e depressione. Dice di esser riuscita ad uscirne da questa situazione aprendo un'attività commerciale con la madre. Non ha proseguito un percorso di terapia incominciata con un terapeuta perché le diceva di "lasciare la mamma". Non sopporta di non saper decidere.Chiede allo psicologo di trovare una soluzione e gli chiede anche una "parola magica" che faccia in modo da sopportare l'ansia dell'attesa fino all'appuntamento. Sebbene il caso sia descritto in modo chiaro e ben definito, mancano tuttavia degli elementi che potrebbero servire ad una valutazione più accurata e peculiare della situazione: il colloquio con la pz, che consentirebbe, oltre all'osservazione diretta della persona - come per es il modo con cui si presenta, il suo abbigliamento, il suo comportamento, il modo di esprimersi, la proprietà di linguaggio e il contenuto del pensiero, nonché lo stato emotivo e i segni che lo identificano - anche all'analisi delle risposte della pz. Da quanto ella descrive e toccando i vari punti del suo disagio si nota che: da piccola (non vi è la specificazione dell'età, ma dovrebbe esser chiesta in sede di colloquio) vomitava dopo aver mangiato e soffriva di esaurimento e depressione. A tal proposito bisognerebbe appurare se il vomito era causato da qualche disturbo di tipo clinico e nel caso di esclusione di questa causa si potrebbe ipotizzare un comportamento tipico di persona bulimica; inoltre, bisognerebbe chiedere alla pz che cosa intende per "esaurimento" .La pz ora dichiara di aver risolto questo problema da quando ha aperto l'attività con la madre, dichiara anche di non saper prendere decisioni da sola. A questo proposito sarebbe utile chiedere alla pz se per lei sarebbe importante "poter" decidere o "saper" decidere; qui sarebbe interessante saper se la pz è in grado di decidere da sola e se ha la capacità di prendersi qualche responsabilità autonomamente. In concomitanza con ciò che descrive la pz, sarebbe utile chiedere se la richiesta di aiuto è stata fatta spontaneamente o se ha avuto pressioni da parte di qualche altra persona (compagno, familiare o medico) e quali motivazioni l'hanno spinta a richiedere un secondo colloquio, visto che il primo l'ha fatta desistere dal proseguire il percorso iniziato con l'altro terapeuta. Bisognerebbe
approfondire l'indagine sui disagi dichiarati dalla pz, eventi traumatici o cambiamenti importanti della sua vita, il perché chiede aiuto e bisognerebbe approfondire ancora e molto accuratamente, l'indagine sulla relazione che ha con la madre (visto che il primo terapeuta le aveva detto di "lasciare la madre") e la relazione che ha con il padre, di cui però la pz non parla, chiedere se per caso sia deceduto o altro, chiedere sulla loro posizione socio-economica: se per caso vivono o hanno vissuto momenti di difficoltà economiche. Esaminare il vissuto adolescenziale: esperienze di amicizie, emancipazione dai genitori, scelte scolastiche e prospettive future, progetti e primi flirt e vita affettiva attuale approfondendo il rapporto con il compagno,visto che ha difficoltà sessuali (che potrebbero essere causate anche da disturbi ginecologici) e considerato il fatto che non si possono separare (nella decisione del caso non è ben specificato se è la pz che non riesce a separarsi dal compagno o viceversa) se il lavoro attuale la soddisfa e se ha la capacità di tollerare le frustrazioni. Utile sarebbe sapere come sono le relazioni interpersonali e quale l'organizzazione del tempo libero. A questo punto non si può delineare una diagnosi precisa, mancando alcuni elementi, si possono fare comunque delle ipotesi sulla base di ciò che si possiede. Dal comportamento della pz si potrebbe formulare un'ipotesi di personalità di tipo dipendente sottolineata anche da alcuni tratti di ansia e depressione. Sarebbe opportuno somministrare dei test onde poter aver più informazioni da inserire nel quadro generale della diagnosi, come per es MMPI un questionario per la valutazione dei tratti psicopatologici di una persona (anche normale), un test proiettivo come il Reattivo di Rorschach per valutare la struttura della personalità e orientamento diagnostico. Alla luce di quanto esplicitato potrebbe esser consigliata una psicoterapia individuale a breve o a lungo termine a seconda delle risposte della pz. La donna ha contattato un consultorio familiare: sarebbe opportuno indagare se la telefonata è stata fatta autonomamente oppure se è stata suggerita da qualcuno?E in tal caso da chi?( forse dalla madre?). Interessante sarebbe indagare il motivo per cui la donna chiede un appuntamento urgente e perché a questo tipo di servizio? (un consultorio familiare) Forse potrebbe essere collegato al suo problema sex? (“è ancora vergine e non riesce ad avere rapporti (contrazioni spasmodiche zona pelvica)”). Importante a questo punto sarebbero le motivazioni intrinseche ed estrinseche, che la portano a fare una richiesta di aiuto proprio ora e in questo modo (al telefono ed urgentemente). La donna riferisce di aver ricevuto in precedenza trattamenti terapeuti presso un servizio pubblico. Sarebbe opportuno chiedere presso quale servizio?E per quanto tempo?La donna riferisce che l’ha abbandonato e ne dà la motivazione. Potremmo chiederle come ha vissuto la situazione di abbandono? Dopo aver effettuato un ampia analisi della domanda per sottolineare le motivazioni consce e inconsce, le aspettative e i bisogni che la domanda del paziente sottende si potremmo effettuare un ipotesi diagnostica, suscettibile di falsificazione perchè gli elementi a nostra disposizione non sono sufficienti. Dal testo si evince una certa impulsività (l’esigenza di un appuntamento urgente, abbandono della terapia precedente, non sopporta non decidere, deve avere una soluzione a tutto) e un’instabilità in ambito relazionale (“molto angosciata per una sua relazione con un uomo sposato che non vuole separarsi”) , umorale (“ha sempre sofferto, ha periodi di "esaurimento e depressione"”) e nella percezione di sé ( “da piccola vomitava di nascosto dopo aver mangiato”) che potrebbe far pensare al disturbo di personalità borderline. Per valutare la gravità della patologia, presa in considerazione, e individuare l’eventuale rischio di scivolamento psicotico, una indicazione chiave è data dalla funzionalità globale della personalità, (affettiva , relazionale, nell’attività lavorativa, cura di sé, etc). E’importante conoscere il sistema familiare per individuare le determinanti ambientali responsabile dello sviluppo e del mantenimento nell’eventuale disturbo:la figura paterna non viene citata, come mai?qual è il loro rapporto?c’è stato un abbandono?e il rapporto con la figura
materna?c’è forse un eventuale dipendenza?Quali sono le regole vigenti nel contesto familiare?qual è il livello di comunicazione?Quali sono gli atteggiamenti regolativi delle figure genitoriali e lo stile educativo adottato?Potrebbe essere anche utile individuare l’eventuale presenza di scissione nei messaggi dei genitori(doppi messaggi,doppio legame) Durante alla fine degli approfondimenti diagnostici sarebbe utile la somministrazione di un esame testologico, utilizzerei un test ad ampio raggio MMPI-2 per evidenziare aree disfunzionali che potrebbero avvalorare la nostra tesi o cmq inserirla all’interno di un più ampio quadro psicodiagnostico. Fatti tali approfondimenti avremo un quadro più completo per decidere se e quale tipo di intervento psicoterapeutico intraprendere, considerando ovviamente le “caratteristiche “del soggetto, il suo contesto relazionale-familiare e il tipo specifico di disturbo ed il momento che la persona sta vivendo. Se dagli approfondimenti venisse confermata l’ipotesi di partenza(dist.di personalità borderline)allora suggerire una terapia inizialmente supportava intesa a favorire una maggiore integrazione dell’Io,un costante rapporto con la realtà e l’utilizzo di difese più evolute al posto di quelle primitive. Solo a questo punto si potrebbe passare ad una terapia espressiva per una consapevole elaborazione delle varie tematiche legate alla dipendenza, all’abbandono, all’aggressività. Un approccio idoneo potrebbe essere quello sistemico-familiare qualora la famiglia fosse disponibile, con i seguenti obiettivi: favorire lo svincolo e l'individuazione dei membri favorire il raggiungimento di un equilibrio, non più patogeno, tra bisogno di protezione e di dipendenza e bisogno di differenziazione e di autonomia sostituire le confuse regole disfunzionali con regole chiare e funzionali favorire la circolarità di una comunicazione chiara a diretta definire il problema come interpersonale. • •
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Alma G. ha 34 anni, coniugata, due figli di 10 e 7
anni, lavora part-time come ragioniera. E' una
bella donna, magra e curata nell'aspetto. Si rivolge allo psicologo perché due anni fa ha subito un incidente d'auto e da allora ha un'incombente paura di morire che le altera completamente stile e qualità di vita. Vorrebbe rinunciare a lavorare pur di non dover uscire la mattina, ma è consapevole di dover continuare a portare i figli a scuola e a far condurre loro una normale vita di relazione. Per cui... finge. "Continuo a fare tutto come prima, ma dentro scoppio, mi formicola tutto il corpo, mi sento una tenaglia che mi stringe il petto, e un nodo alla gola che prima o poi mi soffocherà". Solo con il marito Anna si permette di esprimere quello che sente, tanto che dall'epoca dell'incidente non hanno più avuto rapporti sessuali, ed approfitta della disponibilità dell'uomo per fargli fare tante cose fuori casa che a lei incutono terrore. Ma soprattutto è la paura di avere un "brutto male" che angoscia Anna, la quale tuttavia non vuole sottoporsi ad accertamenti medici per paura di scoprire qualche malattia, ne vuole prendere in considerazione eventuali prescrizioni di tarmaci.
Afferma che il momento peggiore è quando si sveglia al mattino, ed il primo pomeriggio quando si rilassa un po' sul divano: "Allora mi arriva addosso di tutto, non c'è parte del corpo che non mi faccia male, soprattutto la testa e il collo, ma anche l'addome, il cuore sembra scoppiarmi e poi questo maledetto formicolio dappertutto". Dai colloqui che seguono Anna si rivela con tratti di personalità rigida e con un tono dell'umore orientato in senso depressivo come conseguenza delle sue paure e della mancanza di fiducia nel futuro. Il/la candidato/a indichi: a) quale ipotesi diagnostica prenderebbe in considerazione, specificando gli elementi ritenuti importanti a giustificazione dell'ipotesi avanzata; b) la diagnosi differenziale e gli altri eventuali dati da elaborare; e) di quali strumenti psicodiagnostici si avvarrebbe; d) se ritiene necessario un trattamento, specificando il tipo di orientamento, obiettivi, setting; a) Dalla lettura dei dati clinici e anamnestici forniti emerge che la donna Alma G. di 34 anni, coniugata con due figli, lavora part-time come ragioniera. Si rivolge dallo psicologo perchè due anni fa ha subito un incidente d'auto, dichiara cha da allora ha una fotre paura di morire che le altera completamente lo stile e la qualità di vita, vorrebbe non andare più a lavoro per non uscire più la mattina. Poichè è proprio al mattino e nel primo pomeriggio prova un formicolio che pervade tutto il corpo, dolori alla testa e al collo esente il cuore pulsare fortemente. Di tutto questo riesce a parlarne solo con il maritoe delega proprio lui nelle varie commisisioni estrene che incutono terrore alla paziente. Vive inoltre una forte paura di avere un brutto male e rifiuta di fare accertamenti medici. Gli elementi rilevati potrebbero suggerire l'eventule presenza di un disturbo post-traumatico da stress in quanto la paziente riferisce che dal momento in cui ha avuto l'incidente vive la sintomatologia. b) Nonostante ciò, alcuni sintomi, (quale il non volere più andare a lavorare pur di non uscire, il delegare il marito continuamente nelle commissioni esterne e tutta la sintomatologia organica SECONDO VOI SI DEVONO METTERE X ISCRITTO??) potrebbero far pensare ad un disturbo di attacco di panico con agorafobia. Riterrei utile per formulare una più corretta ipotesi diagnostica raccogliere informazioni sulle circostanze d'insorgenza del sintomo, su come è stato vissuto l'evento, in che modo la persona lo sta elaborando , quali aspetti di personalità sono minacciati e se vi sono aree di funzionalità compromesse. Indagherei anche sul motivo per cui la donna chiede un colloquio proprio ora, al fine di individuare la richiesta implicita della paziente e valuterei anche se ha effettuato precedenti trattamenti terapeutici. Valuterei se la paziente mostra un buon esame di realtà e se le funzioni dell'Io sono ancora integre. c)....non so che mettere... d) Proporrei un trattamento terapeutico supportivo inizialmente per rafforzare l'Io traumatico e in seguito espressivo ad orientamento dinamico con l'obiettivo di incoraggiare un processo di consapevolizzazione e di elaborazione del vissuto per accrescere l'autostima , sviluppare il senso di autoefficacia e ripristinare le energie da convogliare su elementi esterni.
ha 21 anni, maschio, studente universitario, vive con la madre. Da quasi due anni ha una relazione con una sua coetanea, della quale si dice molto innamorato L.
M.
anche se, racconta in modo profondamente angosciato e dopo molte incertezze, non riesce ad avere con lei rapporti sessuali completi. Anche nella sua adolescenza, pur avendo avuto alcuni flirt non ha mai avuto rapporti sessuali. Si descrive come un po’ introverso, senza molti amici, ma fondamentalmente ottimista e fiducioso nel suo futuro. Denuncia problemi di insonnia e lamenta di avere molto spesso incubi notturni che lo spaventano profondamente. Soffre con una certa frequenza di mal di testa che possono durare anche alcuni giorni. In tre occasioni, che ricorda in maniera particolareggiata, ha avuto l’impressione di svenire e questa sensazione gli ha provocato molta angoscia. Il suo rendimento scolastico è molto buono, anche se per raggiungere questo risultato L.M. dice di dovere studiare ed impegnarsi molto. I genitori hanno divorziato quando lui aveva 16 anni e nelle sue parole, dopo un periodo di difficoltà, la situazione è stata vissuta in modo non traumatico. Il padre si è risposato e dal nuovo matrimonio ha avuto una figlia che adesso ha 3 anni. Ammette di avere migliori rapporti con il padre che vede una volta alla settimana e con il quale trascorre parte delle vacanze estive, compiendo lunghe escursioni in montagna. La madre viene descritta come molto presa dal suo lavoro di avvocato, spesso assente da casa per impegni, ma attenta a non fare mancare nulla al figlio. L.M. dice di essere certo che se riuscirà ad avere una vita sessuale felice con la sua partner tutte le difficoltà si risolveranno e chiede se esistano tecniche psicologiche o medicine per il suo problema. Il candidato formuli un'hp diagnostica, descriva quali strumenti utlizzerebbe e quale trattamento suggerirebbe. Dai dati clinici e anamnestici emerge che la difficoltà principale lamentata dal paziente è la difficoltà ad avere rapporti sessuali completi. Si descrive introverso, senza molti amici. Inoltre denuncia problemi di insonnia, incubi notturni, e 3 episodi in cui ha avuto la sensazione di svenire e ciò gli provoca angoscia. Il rendimento scolastico è buono anche se dice di dover studiare molto. Riguardo la sua famiglia d'origine riferisce che i genitori sono divorziati da quando aveva 16 anni e che ha un rapporto migliore con il padre anche se vive con la madre spesso assente per motivi di lavoro. E' importante effettuare un'approfondita analisi della domanda per valutare se il paziente ha deciso di rivolgersi allo psicologo spontaneamente o se è stato accompagnato per valutare il grado di motivazione ad intraprendere un percorso psicologico. Inoltre è utile conoscere perchè il paziente si è rivolto allo psicologo proprio in questo momento ed avere informazioni su precedenti trattamenti nonsolo psicoterapeutici, ma anche medici e farmacologici. Da questi elementi si potrebbe suggerire un'hp di disturbo da attacchi di panico. Tuttavia per poter verificare questa hp avrei bisogno di ulteriori info da ricavare attraverso un breve ciclo di colloqui. Utili informazioni si possono ricavare dalla contestualizzazione del sintomo, chiedendo al soggetto quali cambiamneti o eventi potrebberto essere all'origine del problema. Mi soffermerei sulle dinamiche delle crisi chiedendo al soggetto dove si stava recando, in che situazione si trovava a cosa stava pensando. Nei coll successivi approfondirei le aree significative per il disturbo pur non trascurando la visione complessiva del paziente. Valuterei i vissuti infantili del soggetto, il rapporto con le figure genitoriali per valuatre la formazione dell'oggetto interno, i momenti evolutivi significativi ed indagare la presenza di un conflitto tra dipendenza ed indipendenza e come è stato vissuto il processo di separazione-individuazione. L'ultimo incontro lo dedicherei alla comunicazione di un progetto di intervento in cui proporrei una terapia espressiva ad orientamento psicodinamico con elementi supportivi per il rafforzamento e contenimento i9nterno.
P. è un uomo di 38 anni che giunge alla consultazione dello psicologo in uno stato di profonda
prostrazione psicologica anche se l'aspetto fisico è abbastanza ben curato. P. fa molta fatica ad esprimersi ed, infatti, il colloquio inizia con un silenzio interrotto poi dallo psicologo che gli domanda se desidera dire qualcosa. Con fatica e un po' alla volta P. comincia a dire che si sente molto giù da quasi due mesi e che ormai non riesce ad avere alcun interesse per tutto quello che, invece fino ad ora, di fatto rappresentava la sua vita. P. riferisce di convivere, da 10 anni, cioè da quando è nata sua figlia, con una persona carina ed intelligente con cui va abbastanza d'accordo e di essere molto attaccato alle "due donne della sua vita" anche se ora preferirebbe quasi non farsi vedere più da loro per evitare che scoprano come lui è ridotto. Il soggetto sostiene che anche nel lavoro, dice di essere un muratore che è poi diventato un piccolo imprenditore, le cose vanno molto male perché "mi rendo conto di avere fatto degli investimenti troppo azzardati e di essermi comprato una casa forse troppo grande, insomma sono pieno di debiti e ora non so come fare a rimediare". Rispetto a come sia andata la sua vita precedentemente P. riferisce che a volte gli capita di vivere situazioni emotive molto diverse da quelle attuali e che anzi, spesso, è incredibilmente pieno d'energia, "proprio un vulcano di idee e infatti in quei momenti faccio tanti progetti; poi però all'improvviso tutto cambia, forse perché la vita spesso è crudele e mi manda troppe prove difficili da affrontare, per cui mi ritrovo a sentirmi impotente e sempre più triste e penso che non ce la faccio più". Per quel che riguarda la famiglia di origine P. riferisce di avere una madre con la quale ha un pessimo rapporto e che frequenta poco e che non ha conosciuto il suo vero padre che è andato via di casa quando lui era molto piccolo. P. di essere venuto alla consultazione perché la sua compagna minaccia di mandarlo via di casa se non si decide a sentire il parere di un esperto ed eventualmente farsi seguire in qualche modo: " perché, dottore, lei è convinta che io abbia qualcosa che non va, forse è anche un po' arrabbiata perché ha scoperto qualche mia scappatella precedente, acqua passata però, ma poi non so se è lei quella strana, infatti già da un anno che va da uno psicologo". Sulla base dei dati forniti, il candidato indichi in maniera sintetica: a. quale ipotesi diagnostica prenderebbe in considerazione, specificando gli elementi ritenuti importanti a giustificazione dell'ipotesi fatta; b. di quali altri dati ha bisogno per una diagnosi differenziale; c. di quali strumenti psicodiagnostici si avvarrebbe; d. quali indagini, consulenze specialistiche o altro richiederebbe alla persona e perché; e. se ritiene necessario un trattamento; f. in caso di indicazione di trattamento specificare il tipo di orientamento, obiettivi, setting; g. chiarire le motivazioni della scelta fatta; h. eventuali risorse di rete psico-sociale da attivare. I candidati sono invitati a rispondere a tutti i punti ead indicare la lettera di risposta per ciascun punto mantenendo l'ordine dato. I sintomi lamentati da P possono far pensare ad un disturbo dell'umore e, nello specifico, ad un disturbo bipolare, in quando in alcuni momenti il signor P. si sente "un vulcano di idee" e fa molti rogetti, salvo poi cambiare tutto all'improvviso. Nonostante ciò, alcune cose affermate dal signore potrebbero far pensare ad un disturbo delirante di personalità. Per questi motivi riterrei utile approfondire i seguenti aspetti: analisi della domanda (motivazioni, bisogni, motivo della visita proprio ora), soluzioni attuate e/o precedenti percorsi medici o terapeutici, visione del sè e realazioni affettive con la famiglia d'origine (in
questo caso con la madre e con possibili fratelli) e con quella attuale, funzionamento dell'io, aree generali dela persona e possibili compromissioni, esame di realtà (in questo ambito riterrei necessario approfondire cosa intenda quando afferma"forse perché la vita spesso è crudele e mi manda troppe prove difficili da affrontare". Sarebbe auspicabile un trattamento psicoterapeutico inizialmente supportivo (per rafforzare l'io, ristabilire un buon funzionamento generale e stabilizzare l'umore) ed in seguito espressivo( favorire l'espressione dei vissuti profondi di tristezza ed inadeguatezza e aumentare l'autostima) ed in questo potrebbe essere di aiuto la moglie in quanto sembra una figura positiva nella vita di questo signore
Sono un imprenditore di 46 anni e negli ultimi tempi mi riconosco più irritabile e prolisso. Mi sorprendono dei pensieri spaventosi, che io ritengo assurdi, ma per i quali mi mortifico, e che riguardano i miei figli. Ho paura di fare del male ai miei due bambini, di farli soffrire. Il più piccolo ha 16 mesi ed in certi momenti mentre magari mi avvicino a lui con molta tenerezza, improvvisamente ho paura di perdere il controllo e che so, di gettarlo dalla finestra. Amo i miei figli più di ogni altra cosa e mi sento profondamente in colpa soprattutto per questi tremendi pensieri…. Comprendo con quanta pena oggi si possa riferire di una preoccupazione che segna in maniera così lacerante il mondo affettivo di un padre, ma più spesso di una madre. Gli elementi del breve bozzetto sono rappresentati dalla conflittualità tra i propri sentimenti amorosi e di cura nei confronti dei figli, sentimenti chiaramente percepiti, coltivati e testimoniati dalla dedizione e trepidazione quotidiana, e dall’altra l’oscura paura della perdita del controllo, dell’aggressività cieca e spaventosa. Tutto questo dramma interiore si tende dalla dimensione del mito: quella di Crono che divora i figli, quella di Medea etc, sino al clamore giornalistico dei giorni nostri. Dalle brevi note che mi invia, mi sembra di poter inquadrare questa paura nell’ambito dei disturbi d’ansia di tipo ossessivo compulsivo. Le modalità con le quali l’idea di perdere il controllo, a tratti riferite come una vera e propria immagine che si intromette nel pensiero del padre, corrispondono alla definizione di OSSESSIONE. Infatti per ossessione si deve intendere il pensiero, l’immagine o un impulso che insorga involontariamente, quasi automaticamente, e nei confronti del quale il soggetto vive una condizione di repulsione, di ribrezzo, di disgusto. I tratti di prolissità che lo scrivente dice di aver visto accentuati nell’ultimo periodo sono l’espressione clinica della necessità di mantenere il controllo e l’ordine. Spesso anche la ricerca di simmetria dell’ambiente fisco in cui si muove diviene una specie di rappresentazione ideale, quasi potesse essere un argine ai momentanei sbandamenti delle proprie difese razionali. E in parte i comportamenti di controllo si incrementano con modalità COMPULSIVE, ovvero di azioni non del tutto volontarie, ma come imposte da una volontà superiore che sta nel soggetto pur non essendo esattamente la sua. Questo insieme di fenomeni, ovvero le ossessioni e le compulsioni nella psicopatologia tradizionale, venivano definiti come Anancastiche, un termine che deriva dal Mito della divinità di Ananche, divinità che stava al di sopra degli altri, ai quali imponeva la propria volontà. Altro elemento tipicamente ossessivo-compulsivo è rappresentato dalla conflittualità lacerante di questa esperienza; conflittualità che tecnicamente viene definita EGODISTONIA SINCRONICA: ego sta per io, distonia vuol dire disaccordo, sincronico vuol dire che avviene nello stesso momento. In sintesi si tratta di un’esperienza di disaccordo all’interno della stessa persona, per cui un pensiero di difesa si contrappone nel momento stesso in cui il pensiero ossessivo insorge.
In ultimo prendiamo in considerazione l’esperienza della colpa, che rappresenta l’approdo al quale la ragione in qualche modo umiliata dal non poter opporre una cancellazione totale del pensiero aggressivo, ma soltanto opporre la propria resistenza. La colpa riporta il soggetto ad una maggiore coerenza interna proprio perché, assumendo la colpa, si riconosce come l’attore colpevole del pensiero seppure involontario. In sintesi, la colpa non rappresenta soltanto l’espiazione del pensiero odiato ma pensato, ma anche una modalità di ricostituzione della propria identità. Identità che viene messa in crisi proprio dalla constatazione del fatto che pensieri possano parassitare la propria mente, prendervi alloggio malgrado la repulsione che lo stesso pensatore prova nei loro confronti. E’ importante distinguere fra ossessione e desiderio, perché ossessione come ben è descritto in questo caso è vissuta non soltanto come indesiderabile ma repellente o abominevole, il desiderio invece ha caratteristiche diametralmente opposte. Il problema è che il profondo perturbamento affettivo al quale il paziente ansioso è sottoposto talora rende difficile decifrare e mettere in chiaro tale rassicurante differenza. Dobbiamo
rassicurare
chi
ci
ha
scritto,
che
non
farà
ciò
che
non
vuole.
Un accenno a tecniche di controllo del pensiero e la lettura di libri come “Il cervello bloccato” di C.Schwartz possono già essere di aiuto a ridimensionare la paura; naturalmente sono utili psicoterapie, soprattutto quella cognitivo-comportamentale e senz’altro diversi dei recenti farmaci serotoninergici che sono efficaci nella maggioranza dei casi .
Marcella D. ha 34 anni quando si reca per la prima volta da una psicologa del Servizio Pubblico su
invio del suo medico di famiglia, che durante una visita l'ha trovata con numerosi tagli sulle braccia e sulle gambe che, dice Marcella, "mi faccio da sola quando sto proprio giù". Marcella racconta di essere stata una bambina-modello, che ha reso felice i genitori e gli insegnanti fino agli ultimi anni delle superiori. Infatti, anche quando la mamma la costrinse a studiare danza benché lei amasse nuotare ed andare a karatè, Marcella acconsenti. Intorno ai 18 anni è stata lasciata dal fidanzato, nonostante i suoi tentativi disperati per tenerselo accanto, e questo le ha provocato un dolore insopportabile: "Per due anni sono stata malissimo, non riuscivo a guardarmi allo specchio, poi mi sono detta che dovevo reagire ed ho cominciato a frequentare vari gruppi, ho cambiato spesso ragazzo, ma nessuno mi piaceva per più di una settimana. Anche adesso quando qualcuno mi piace me lo prendo senza problemi, tanto so che tutto dura poco". In passato è stata ricoverata per una sospetta epatite. Marcella riferisce di sentirsi a periodi desiderabile e simpatica, a periodi brutta, odiosa e cattiva. In questi momenti si tagliuzza "per non sentire tutta la rabbia che ho dentro". Un paio di volte ha rivolto questa sua aggressività contro delle colleghe di lavoro, arrivando a picchiarle. Marcella racconta che una volta, avendole viste uscire tutte insieme dalla stanza del Direttore, ha persino pensato che " forse chissà avrebbero potuto parlare di me per farmi licenziare" anche se la cosa la fa sorridere. Inoltre, Marcella confessa alla psicologa che quando si sente nervosa, arrabbiata o sola, prende la propria automobile e si fa delle corse folli anche a rischio della propria vita, oppure fa acquisti in maniera esagerata. Al fine di effettuare una diagnosi mi sono riferita in senso generale ai criteri del DSM IV. dalla lettura dei dati clinici ed anamnestici risulta che Marcella viene inviata ad una consulenza psicologica dal mdico di famiglia, a causa dei tagli su braccia e gambe che presentava. dal racconto di Marcella, la donna appare debole, remissiva e accomodante. riferisce un periodo di chiusura al mondo durato 2 anni, durante il quale riferisce di aver provato forti sentimenti di sofferenza. gli elementi potrebbero suggerire la presenza di un disturbo dell'umore con carattere
bipolare ( un lungo periodo di depressione e un lungo periodo di maniacalità che tutt'ora perdura). sarebbe opportuno apportare nel corso dei colloqui clinici degli approfondimenti diagnostici. indispensabile l'analisi della domanda. in questo caso specifico il paziente è inviato da lmedico di famiglia, quindi si potrebbe approfondire la domanda latente, al fine di individuare le motivazioni e le aspettative del paziente. in seguito indagherei la rappresentazione del paziente di sè, il grado di strutturazione e la forza dell' Io, l'esame di realtà e le funzioni generali della paziente. indagherei sui sintomi, come si manifestano, con che frequenza e per fare ciò esplorerei il rapporto della donna con le figure significative di riferimento attuali e pregresse. in questo modo renderei più semplice l'individuazione della figura predominante verso cui è rivolta la rabbia del paziente che viene poi riversata contro di sè. interessante sarebbe poi scoprire la relazione instaurata con questa figura. raccolte tutte le notizie necessarie potrei formulare un intervento terapeutico. per questo paziente porporrei inizialmente una terapia di tipo supportivo per favorire un processo di integrazione, strutturazione e rafforzamento dell' IO. in seguito, dopo la rielaborazione delle tematiche depressive, l'intervento diventerebbe di tipo espressivo con il quale il paziente, capace di lavorare con le interpretazioni, riuscirebbe a rielaborare i termini del conflitto. l'approccio sarà quello sistemico-relazionale. infine chiederei una consulenza psichiatrica per un eventuale intervento farmacologico.
B.L. è
una donna sposata di 34 anni che vive nella famiglia nucleare composta dal marito e da un figlio maschio di 7 anni che frequenta regolarmente la seconda elementare. Il marito, coetaneo, svolge lavori precari ed è iscritto ad un corso universitario. Le famiglie di origine dei coniugi abitano in città diverse da quella di residenza di Beatrice, hanno discrete possibilità economiche e sono disposte ad aiutare economicamente i due coniugi. Circa un anno fa, B.L., che svolgeva un lavoro di tipo impiegatizio, è stata licenziata per ragioni di ristrutturazione aziendale. Qualche settimana dopo, in B.L. si è manifestata una sintomatologia caratterizzata da ansia sistematica, accompagnata da attacchi di panico in diversi contesti ambientali; per tale sintomatologia, il medico di base ha ritenuto opportuno suggerire di rivolgersi ad un Dipartimento di salute mentale. Il/la Candidato/a individui le modalità più opportune per approfondire l’inquadramento del caso in esame, suggerendo eventuali strumenti di indagine per una definizione diagnostica e indichi le possibili linee di un trattamento adeguato. Il caso tratta di una giovane donna di 34 anni, B.L., inviata dal medico di base ad un dipartimento di salute mentale per una consultazione in merito a problemi di ansia sistematica e attacchi di panico che si manifestano in diversi contesti ambientali. Il disturbo è insorto qualche settimana dopo il licenziamento della donna, avvenuto circa un anno fa per ragioni di ristrutturazione aziendale (la donna svolgeva un lavoro di tipo impiegatizio). B.L. è sposata e vive con il marito, che svolge lavori precari ed è iscritto ad un corso universitario, e con il figlio maschio di 7 anni, che frequenta regolarmente la seconda elementare. I due coniugi possono contare sul supporto economico delle famiglie di origine, che hanno discrete possibilità economiche e vivono in città diverse da quella loro di residenza. Escludendo la possibilità che la sintomatologia riferita da B.L. sia legata ad una condizione medica generale o all’uso di sostanze, dalle informazioni disponibili nel resoconto si potrebbe ipotizzare un disturbo nell’area nevrotica, in particolare un disturbo d’ansia. Le informazioni disponibili nel resoconto, tuttavia, non permettono di formulare un’ipotesi diagnostica univoca e sicura e, di conseguenza, di stabilire con certezza l’eventuale piano di intervento psicoterapeutico maggiormente adeguato allo specifico caso in esame. Riterrei pertanto opportuno approfondire la
conoscenza della sua situazione clinica e ottenere così i dati necessari a stabilire, eventualmente, il tipo di intervento psicoterapeutico maggiormente indicato. Si potrebbero somministrare l’MMPI-2 per la rilevazione delle caratteristiche strutturali di personalità e dei disordini di tipo emotivo, e lo STAI per la rilevazione dell’ansia di stato e di tratto. Un aspetto di fondamentale importanza che intenderei approfondire attraverso lo strumento del colloquio clinico è l’analisi della domanda, dove si cerca di individuare le caratteristiche e la qualità della domanda che B.L. sta formulando, cercando di capire se essa coincide o meno con quella espressa verbalmente in modo esplicito, esplorando le aspettative, i bisogni e le motivazioni, consce e inconsce, che essa sottende. In questa prospettiva, mi sembra importante considerare in che tipologia di servizio avviene la consultazione (un dipartimento di salute mentale) e che tipi di servizi esso offre; valutare se la donna si sia presentata autonomamente al colloquio o se, piuttosto, sia stata accompagnata da qualcuno (e in questo caso da chi); tenere in considerazione che la richiesta di aiuto non è direttamente riconducibile alla donna stessa, ma che l’invio è stato mediato dal medico di base. La conoscenza di questi aspetti è di fondamentale importanza in quanto ci consente di comprendere il grado di autonomia della donna e il tipo di aspettative e di motivazioni che essa nutre verso la consultazione, e il modo in cui la donna si pone nei confronti del proprio disturbo. Si può supporre che la donna si sia rivolta inizialmente al medico di base in quanto la sintomatologia dell’attacco di panico è soprattutto somatica: occorre ora valutare se la donna è in grado di formulare la richiesta di aiuto anche su un piano psicologico e se è pronta ad investire, eventualmente, in un lavoro di tipo psicoterapeutico di rielaborazione del conflitto espresso attraverso la sintomatologia ansiosa. È importante inoltre conoscere come mai B.L. stia esprimendo una richiesta di aiuto proprio ora se, come si evince dal resoconto, i sintomi del disturbo ansioso hanno esordito circa un anno fa, qualche settimana dopo l’episodio del licenziamento. Forse la donna ha voluto inizialmente negare l’esistenza del disturbo o minimizzarlo e solo adesso sta probabilmente favorendo un processo di messa in discussione delle proprie problematiche. Dopo un’accurata analisi della domanda, mi sembrerebbe opportuno indagare quali sono state le circostanze di insorgenza del primo attacco di panico e verso quali tematiche verte maggiormente l’ansia sistematica della donna (preoccupazione per la mancanza di lavoro; per la precarietà lavorativa del marito; per l’andamento scolastico del figlio forse), al fine di stabilire dei collegamenti simbolici fra le cause scatenanti e il disagio arcaico profondo espresso da B.L. In questa prospettiva, mi sembra importante esplorare in quali situazioni (il resoconto riferisce di “diverse situazioni ambientali”) e in quali momenti della giornata si verificano gli attacchi di panico, e valutare l’eventuale esistenza di fattori comuni sottostanti alle diverse circostanze, al fine di individuare le tematiche del disagio. Di particolare rilevanza è l’analisi del tipo di conflitto espresso dalla sintomatologia ansiosa e dall’attacco di panico: occorre esplorare da quale disagio la donna sta cercando di difendersi, quali sono i bisogni, le pulsioni e le paure che vengono espresse. È importante conoscere i significati che la donna attribuisce al proprio disturbo e indagare se essa lo mette in relazione con la perdita del lavoro e con la situazione di precarietà lavorativa del marito. Mi sembra utile esplorare come la donna abbia vissuto l’evento del licenziamento e come vi abbia reagito; conoscere se la perdita del lavoro abbia influenzato in senso negativo la rappresentazione che la donna ha di Sé, alimentando sentimenti di autosvalutazione e vissuti depressivi; esplorare l’eventuale presenza di sentimenti di colpa e di inadeguatezza; conoscere le strategie di problem solving della donna e sapere, in questa prospettiva, se si sia impegnata nella ricerca di un nuovo impegno lavorativo e, in caso affermativo, se questo sia sempre un lavoro impiegatizio o altro. È importante, inoltre, sapere il significato che viene attribuito dalla donna allo svolgimento di un impegno lavorativo: esso viene visto solo come un importante mezzo di sostentamento economico o sottende anche importanti significati di realizzazione personale, gratificazione e soddisfazione?
Inoltre, da quanto tempo la donna era inserita in quel contesto lavorativo? La perdita del lavoro è stata corrispondente ad una parallela perdita della eventuale rete di relazioni amicali i colleghi? Un altro utile approfondimento sul caso potrebbe riguardare la situazione lavorativa, attuale e pregressa, del marito, iscritto all’università e impegnato in impieghi precari. Come mai il marito non riesce ad assumere un impegno lavorativo in modo stabile e continuativo? Che genere di difficoltà ci sono? Come vivono i coniugi l’evidente difficoltà a garantirsi una sicurezza economica? Si sentono in colpa verso il figlio? E come viene invece percepita la possibilità che le rispettive famiglie di origine siano disposte a supportarli economicamente? Occorrerebbe valutare, infine, il grado di compromissione del funzionamento generale della donna nelle diverse aree e il livello di funzionamento premorboso; gli stili difensivi maggiormente utilizzati; l’esame di realtà; il livello di funzionamento, integrazione e strutturazione dell’Io. La valutazione di alcune principali funzioni dell’Io, come la capacità di controllo degli impulsi, la capacità di giudizio e di mentalizzazione, appaiono importanti per individuare le risorse i ndividuali che possono favorire lo sviluppo della reazione fra la donna e il contesto. Una volta eseguiti tutti gli approfondimenti allo specifico caso in esame, si potrebbe collocare il disagio del paziente all’interno di un quadro psicodiagnostico più preciso e definito, individuare la presenza di eventuali comorbidità e decidere se e quale tipo di intervento sarebbe opportuno intraprendere, naturalmente considerando le caratteristiche idiosincratiche della donna, il tipo specifico di disturbo e il momento particolare che essa sta vivendo. Potrebbe essere opportuno indirizzare il paziente verso una terapia ad enfasi espressiva ad approccio psicodinamico, condotta su un piano prevalentemente interpretativo, ad un buon livello di profondità. L’obiettivo dell’intervento dovrebbe essere quello di favorire un processo di presa di coscienza, rielaborazione e simbolizzazione delle tematiche sottostanti il conflitto psichico che viene espresso attraverso la sintomatologia ansiosa. La paziente, infatti, dovrebbe conservare un adeguato esame di realtà, ed essere in grado di lavorare a livello interpretativo, accedere a dimensioni di conflitto sconosciute, instaurare il transfert e lavorare con le interpretazioni transferali e controtransferali. Potrebbero essere necessari elementi supportivi nella fase iniziale della terapia, con funzione di rafforzamento dell’Io e di contenimento interno. Altri obiettivi importanti dell’intervento dovrebbero essere quelli di: -favorire una rappresentazione di Sé stabile, coerente e integrata - favorire, attraverso il transfert, l’interiorizzazione di un oggetto buono con elevata capacità contenitiva a cui fare appello nei momenti di difficoltà - rafforzare l’Io nella capacità di canalizzazione dell’ansia.
B.
è una vedova di 36 anni inviata allo psicologo dal suo medico di base. Ha perso il marito (40 anni) in un incidente sul lavoro 6 mesi fa. Ha una figlia di 7 anni alla quale deve pensare ormai da sola. La donna riferisce al primo colloquio che, da quando ha perso il marito, è diventata inappetente, si sveglia alle tre di notte e non si riaddormenta nonostante l'uso di tranquillanti o sonniferi. Tende ad isolarsi, rifiuta le visite delle amiche. Vede quasi quotidianamente la madre, anch'essa vedova, ma questo non pare esserle di aiuto. Si sente infatti, dopo tali visite, ancora più scoraggiata e sola. La donna asserisce che, da quando il marito è morto, la figlia si aggrappa eccessivamente a lei, ha paura di andare a letto la sera e spesso si sveglia spaventata da incubi. Si chiede se anche la figlia ha bisogno dello psicologo. B. non se la sente di riprendere il lavoro sospeso dalla morte del marito e teme di non farcela. Le capita di pensare al suicidio come liberazione dai suoi problemi. Sulla base dei dati anamnestici, il candidato indichi gli approfondimenti che ritiene necessari,
formuli un'ipotesi diagnostica, ed illustri un piano di intervento in cui specifichi il metodo e gli obiettivi. Si potrebbe ipotizzare un disturbo depressivo con diagnosi differenziale di disturbo d’ansia o un’ipotesi di disturbo depressivo con diagnosi differenziale di disturbo post-traumatico da stress Per poter formulare un’ipotesi diagnostica e un adeguato piano di intervento, sarebbe utile raccogliere ulteriori informazioni . Imposterei dunque l’iter psicodiagnostico con lo scopo di valutare il funzionamento globale della paziente, utilizzando come strumenti i colloqui clinici e i test psicologici . In particolare proporrei alla paziente alcuni colloqui con gli obiettivi di approfondire i sintomi e la loro gravità, raccogliere le informazioni anamnestiche mancanti relative alla storia personale e psicopatologica della pz, indagare il funzionamento dell’IO, le aree di funzionalità della persona, le risorse interne ed esterne. Per quanto riguarda gli aspetti sintomatologici , l’alterazione del rapporto con il cibo e l’insonnia, il rifiuto di intrattenere relazioni di amicizia, la sospensione dell’attività lavorativa e l’ideazione suicidaria fanno pensare a un disturbo di tipo depressivo. La difficoltà a mantenere il sonno potrebbe però esprimere anche uno stato d’ansia. Inoltre, dal momento che la paziente riferisce che il suo malessere è comparso da quando ha perso il marito, mi domanderei se le difficoltà della signora B sono reattive al grave lutto che l’ha colpita, tenendo presente che l’evento si è verificato 6 mesi fa.. Mi domanderei se la morte del marito è il fattore scatenante, se le difficoltà della paziente si possono inquadrare come reazione al lutto o se l’evento ha slatentizzato un disagio profondo già presente. Per escludere la possibilità di un disturbo reattivo, indagherei, attraverso la raccolta delle informazioni anamnestiche, la presenza di sintomi o episodi simili o di altri indici di malessere psichico nella storia della paziente. Sempre attraverso le informazioni raccolte dall’anamnesi, valuterei il funzionamento premorboso della paziente e il suo livello di adattamento alla realtà. Bisogna inoltre approfondire la gravità dei sintomi presentati e valutare l’interferenza con il funzionamento globale della paziente, anche se dai dati posso inferire una grave compromissione delle aree personali importanti e un ritiro dalla realtà. Soprattutto mi soffermerei sull’ideazione suicidaria , considerando se esiste la reale possibilità che la signora metta in atto il pensiero di suicidarsi. Per quanto riguarda il funzionamento dell Io , è necessario valutare, nel corso dei colloqui, l’orientamento spazio-temporale,la capacità di giudizio, l’attenzione , la memoria e la concentrazione. Valuterei la possibilità che le capacità cognitive siano state in qualche modo compromesse ( difficoltà di concentrazione?). Inoltre, fondamentale è l’analisi della qualità del pensiero: attraverso l’analisi della comunicazione e dell’eloquio, valuterei l’eventuale presenza di disturbi del contenuto del pensiero. Infatti l’eventuale presenza di manifestazioni psicotiche potrebbe aggravare il quadro clinico. Un criterio fondamentale nella definizione dell’ipotesi diagnostica è l’esame di realtà, che potrebbe essere compromesso. A questo proposito mi soffermerei sulla percezione della gravità del sintomo. Per quanto riguarda la valutazione delle risorse interne , prenderei in esame gli aspetti cognitivi. Oltre agli elementi che ho già espresso al punto precedente, sono da considerare anche l’intelligenza e il livello di scolarità. Potrebbe essere utile somministrare un test di’intelligenza come la WAIS … Per quanto riguarda il funzionamento affettivo, nei primi colloqui sarebbe importante delineare la forza dell Io, come???? Infine, considererei il contesto familiare e relazionale attuale, considerando, in modo particolare, l’eventuale presenza di figure di riferimento significative per la paziente. Dai dati anamnestici risultano mancanti le informazioni relative alla famiglia d’origine e alla
storia personale della paziente. Approfondirei la composizione della famiglia e le relazioni tra i membri, in particolare mi soffermerei sulla figura paterna, se è mai stata presente, se manca da quando la paziente era molto piccola e come è stata elaborata la sua morte non solo dalla signora B ma anche dalla famiglia. Questo punto è particolarmente importante anche per comprendere la reazione della paziente alla morte del marito, che può avere riaperto la tematica della separazione e di rielaborazione del lutto . Mi informerei anche sulla presenza di altre figure significative di riferimento, perché la madre non sembra essere una risorsa su cui la paziente può fare affidamento, anzi addirittura le visite materne sembrano accentuare il suo stato di solitudine. E’ importante indagare il ruolo di questa madre nella storia evolutiva della paziente, e, dal punto di vista psicodinamico, se la relazione con la figura materna ha consentito di sviluppare la rappresentazione di un oggetto interno stabile e coerente. Sarebbe utile anche considerare la situazione socio-economica della signora B, tenendo presente che dalla morte del marito ha sospeso il lavoro. Cercherei di approfondire i motivi di questa scelta e cosa le impedisce di riprendere. Nel definire un piano di intervento, mi domanderei quali sono i bisogni della paziente e mi preoccuperei inoltre di valutare la sua motivazione ad intraprendere una consultazione diagnostica. La paziente è stata inviata dal medico di base e non è scontato che abbia chiare finalità della consultazione diagnostica. Approfondirei dunque le sue aspettative relative al consultazione diagnostica e la sua disponibilità al cambiamento. Consapevole di queste eventuali difficoltà, proporrei un intervento supportivo per favorire un processo di integrazione, strutturazione rafforzamento dell’io. Gli obiettivi di tale intervento potrebbero essere: elaborare la posizione depressiva, promuovere il processo di rielaborazione del lutto e delle tematiche legate alla dipendenza e all’abbandono; rafforzare l’io. Proporrei inoltre una consulenza psichiatrica per valutare la possibilità di un trattamento farmacologico, con l’obiettivo a medio termine di una riduzione della sintomatologia. Solo in seguito, dopo aver ricompattato l’IO e aver elevato l’umore, qualora ce ne fossero le condizioni, l’intervento potrebbe orientarsi verso la rielaborazione delle tematiche depressive grazie a un intervento di carattere espressivo. La costruzione di un’immagine interiorizzata del terapeuta potrebbe aiutare la paziente a tollerare la separazione. Dal momento che la paziente sembra chiedere aiuto per la figlia, mi sembrerebbe importante rinforzare l’importanza di un intervento psicologico anche per la figlia, dal momento che lei stessa prende in considerazione questa possibilità. Chiederei di vedere, in un colloquio, madre e figlia insieme per valutare la possibilità di inviare la bambina ai servizi di competenza per un approfondimento diagnostico. Sottolinerei, inoltre, che intraprendere un trattamento supportivo sarebbe un modo per aiutare, indirettamente, anche la figlia a superare questo momento difficile. SI potrebbe utilizzare la preoccupazione materna come elemento di aggancio, cercando di motivare la madre, nel caso si mostrasse sfiduciata e poco motivata a fare qualcosa per sé.. Sulla base degli elementi informativi del resoconto (inapettenza, insonnia, ritiro sociale, compromissione del funzionamento lavorativo, idee suicide) si potrebbe ipotizzare per la donna la presenza di un disturbo dell’umore, in particolare di un disturbo di tipo depressivo, indotto dal lutto del marito. Tuttavia, le informazioni disponibili nel resoconto non consentono di formulare un’ipotesi diagnostica sicura, non suscettibile di falsificazioni, e di conseguenza di stabilire con certezza l’eventuale piano di intervento psicoterapeutico maggiormente adeguato allo specifico caso in esame. Riterrei pertanto opportuno proporre alla donna un ciclo di incontri attraverso i quali approfondire la conoscenza della sua situazione clinica ed ottenere così i dati necessari a stabilire, eventualmente, il tipo di percorso psicoterapeutico maggiormente adeguato. Riterrei opportuno somministrare un test di personalità ad ampio spettro, quale l’MMPI-2 per la rilevazione delle caratteristiche strutturali di personalità, dei disordini di tipo emotivo e di
eventuali aree disfunzionali. In particolare, sarebbe interessante conoscere i punteggi ottenuti dalla donna alle scale della depressione (scala di base D e scala di contenuto DEP). In maniera integrata, si potrebbe somministrare l’Hamilton Rating Scale for depression, specifica per la depressione. Un aspetto di primaria importanza che merita di essere approfondito è l’analisi della domanda, dove si cerca di individuare le caratteristiche e la qualità della domanda che la donna sta formulando, cercando di capire se essa coincide o meno con quella espressa verbalmente in modo esplicito, esplorando i bisogni, le aspettative e le motivazioni, consce e inconsce, che essa sottende. In questa prospettiva riterrei importante operare una riflessione sul fatto che la richiesta di aiuto non sia direttamente riconducibile alla donna, che viene inviata alla consultazione dal proprio medico curante. Quindi riterrei importante indagare le motivazioni e le aspettative della donna verso il colloquio, tenendo in considerazione la possibilità che la donna, trovandosi in uno stato di disinvestimento dalla realtà, perdita di interesse e di demotivazione, difficilmente sarà in grado di maturare una motivazione al cambiamento, e di investire, eventualmente, in un percorso psicoterapeutico. Mi sembra importante conoscere in che tipologia di servizio avviene la consultazione; indagare se la donna si sia presentata autonomamente alla consultazione o sia stata, invece, accompagnata da qualcuno (dalla madre forse?) allo scopo di conoscere il suo livello di autonomia; conoscere come mai la donna stia esprimendo una richiesta di aiuto proprio ora, dopo 6 mesi dalla morte del marito (forse vi è un’acutizzazione dei sintomi, le precedenti difese stanno crollando, stanno comparendo idee suicide inizialmente, forse, non presenti). Nell’analisi della domanda è importante indagare il tipo di relazione che la paziente potrebbe agire attraverso la domanda, e che potrebbe essere riproduttiva di altre relazioni. Ad esempio, la donna potrebbe sviluppare sentimenti transferali del marito morto verso il terapeuta, e chiedergli, implicitamente, di assumerne il ruolo, prendendosi cura di lei e della figlia (come marito e come padre). Il compito dello psicologo dovrà essere quello di aiutare la donna a riconoscere quanto viene agito attraverso la domanda e di interrompere tale dinamica collusiva. Inoltre la preoccupazione di B. per la propria figlia (“si chiede se anche la figlia abbia bisogno dello psicologo”) potrebbe sollevare l’interrogativo su quale sia il vero problema del quale lo psicologo è chiamato ad occuparsi: se il comportamento e la “patologia potenziale” della piccola o la preoccupazione materna. Dopo un’accurata analisi della domanda, esplorerei in primo luogo i vissuti depressivi della donna rispetto al lutto del marito. Riterrei opportuno conoscere il funzionamento complessivo della donna nelle diverse aree (sociale-lavorativo-cura del sé..); il suo funzionamento pre-morboso; l’esame di realtà; il grado di funzionamento, integrazione e strutturazione dell’Io della donna. La valutazione di alcune funzioni chiave dell’Io consentirebbe, infatti, di conoscere le risorse individuali che possono promuovere lo sviluppo della relazione fra la donna e il suo contesto di vita. La donna riferisce di aver interrotto il lavoro dalla morte del marito e di temere di non essere in grado di riprendere. Appare in questa prospettiva utile indagare se la donna e il marito lavorassero insieme e se la donna abbia, eventualmente, assistito all’incidente sul lavoro. Se così fosse, il re-inserimento nel contesto lavorativo potrebbe esporre la donna al ricordo vivo dell’evento e allo shock del trauma subito. Indagherei allora, in questa prospettiva, l’esistenza di vantaggi secondari della sintomatologia, che contribuirebbero ad accrescerla e a mantenerla: si può ipotizzare che la depressione sottenda il tentativo di evitare situazioni che si temono, come la ripresa dell’attività lavorativa? A tale riguardo, riterrei opportuno operare una riflessione sul fatto che la donna potrebbe essere ambivalente rispetto all’abbandonare i suoi sintomi perché il disturbo potrebbe rappresentare una sorta di adattamento funzionale al suo contesto di vita.
Penso sia importante approfondire la conoscenza del contesto relazionale e familiare della donna, sia allo scopo di individuare eventuali fattori responsabili dello sviluppo e del mantenimento del disturbo e per conoscerne le implicazioni relazionali (la donna si isola, rifiuta le visite delle amiche), sia per individuare eventuali risorse esterne con cui allearsi in caso di intervento di tipo psicoterapeutico. Riterrei opportuno analizzare la natura della relazione oggettuale della donna con la madre e indagare l’eventualità che possa esistere, in famiglia, un nucleo depressivo, di cui la donna si fa portavoce. Il fatto che B. si senta sempre più triste e depressa dopo le visite della madre potrebbero far pensare, infatti, ad una madre altrettanto depressa, che non riesce a “distrarre” la figlia e ad allontanarla dal suo dolore. Quali sono poi i rapporti tra B. e la figlia? La figlia avverte la depressione materna? Il disagio, l’eccessivo attaccamento e i timori di separazione della piccola (ansie relative all’addormentamento) possono forse rappresentare un tentativo di sollecitare l’attenzione della madre depressa? La madre si sente sovraccaricata di ruoli e responsabilità nei confronti della figlia dopo la morte del marito (“ha una figlia di 7 anni alla quale deve ormai pensare da sola). La donna prova sensi di colpa nei confronti della figlia per le idee suicide? Riterrei opportuno approfondire la conoscenza della rappresentazione che la donna ha di sé e indagare i vissuti di autosvalutazione e autodistruzione. Potrebbe essere importante conoscere da quanto tempo sono presenti le idee suicide e quali sono le motivazione consce e inconsce e le variabili psicologiche che potrebbero aumentare le probabilità che esse vengano messe effettivamente in atto. In questa prospettiva sarebbe importante conoscere che significato ha per la donna la condotta suicidaria: il suicidio viene visto solo come “liberazione dai propri problemi” o si potrebbe ipotizzare che esso sottenda il desiderio regressivo di riunione con il marito perduto, oggetto d’amore verso cui la donna nutre sentimenti di dipendenza? Esiste anche un analogo desiderio di ricongiungimento con la figura paterna? Sembra importante, inoltre, conoscere se vi siano stati precedenti percorsi terapeutici allo scopo di conoscere come la donna abbia fino a questo momento tentato di affrontare il disagio, quali soluzioni non hanno funzionato e quali aspettative sono rimaste eventualmente deluse (ad esempio, l’insonnia che persiste nonostante l’assunzione di sonniferi). Dopo aver fatto gli opportuni approfondimenti sullo specifico caso in esame, si potrebbe collocare il disagio della donna all’interno di un quadro psicodiagnostico più preciso e definito, e decidere se e che tipo di percorso psicoterapeutico eventualmente proporre, tenendo ovviamente in considerazione le sue caratteristiche idiosincratiche, il suo disturbo specifico e il momento particolare che sta vivendo. Se l’ipotesi diagnostica inizialmente formulata di disturbo depressivo fosse confermata dalle informazioni ottenute attraverso l’uso integrato del colloquio e dei test, sarebbe opportuno indirizzare la donna verso una terapia di tipo supportivo-espressiva, che miri inizialmente a supportare l’Io, strutturarlo e definirlo maggiormente; migliorare l’investimento sulla realtà; abbassare le quote d’angoscia al fine di favorire investimenti esterni; migliorare la rappresentazione che la donna ha di sé. Solo in un secondo momento si potrebbe passare ad una terapia anche espressiva, finalizzata alla rielaborazione del lutto sottostante la sintomatologia depressiva. Il tipo di approccio che potrebbe essere indicato potrebbe essere quello psicodinamico. Gli obiettivi dovrebbero essere quelli di: favorire una rappresentazione del Sé stabile, coerente e integrata; favorire, attraverso il transfert, l’interiorizzazione di un oggetto buono, costante, cui fare appello nei momenti di difficoltà; rielaborare i fattori interni e gli stressor esterni che rendono la donna potenziale suicida.
Riterrei opportuno l’invio ad uno psichiatra per integrare una terapia farmacologia a quella psicoterapeutica supportivo-espressiva, con l’obiettivo principale di elevare l’umore della donna, al fine di eliminare le idee suicide, ripristinare le funzioni principali della donna e favorire il suo funzionamento sociale, lavorativo e familiare.
Una psicologa che lavora in un servizio pubblico riceve una telefonata da una signora che le chiede di essere ricevuta urgentemente: è stata visitata dal primario psichiatra e le deve consegnare una lettera. La psicologa fissa un appuntamento dopo due gg. Dopo qualche ora la psicologa viene avvertita dalla custode del Servizio che c'è la stessa sig che vuole consegnarle la lettera. La psicologa non la riceve e attraverso la custode ribadisce l'appuntamento. Il giorno fissato, una giovane donna sui 30a., graziosa, di aspetto curato, bussa alla porta ed entra. Ha in mano, quasi una sorta di lasciapassare, la famosa lettera. Appare nervosa e come seccata. Lasciando per il momento da parte la lettera, la psicologa la invita a parlare dei motivi che l'hanno portata da lei e ha aggiunto che sembra che ce ne siano dal momento che ha chiaramente mostrato il desiderio di essere ricevuta. La signora ammette di aver reagito male sentendosi respinta, e inizia a parlare del suo tentato suicidio di qualche mese prima, per cui era stata ricoverata in un reparto di tossicologia, era stata successivamente seguita da uno psichiatra che l'aveva curata con farmaci e sedute di training autogeno, ma le sue condizioni non miglioravano, Finchè non si rivolse al primario che le cambiò terapia farmacologica e la inviò dalla psicologa per una psicoterapia. Il suo racconto, bene "elaborato" è però pieno di lacune e molto reticente, tutto imperniato sui sintomi. Solo facendo qualche domanda la psicologa viene a conoscere una storia di contrasti coniugali, culminati in una separazione di fatto. In tale storia si inquadrano due tentativi di suicidio: il primo di qualche hanno fa alla scoperta del tradimento del marito e il giorno in cui venne stabilita la separazione. Ora la figlia di tre anni vive con il padre, perché lei non ce la farebbe a tenerla con se, e lei è tornata a casa con i genitori, con i quali tuttavia i rapporti sono molto tesi. I genitori sono descritti come persone modeste, poco istruite, conformiste e che pretendono di controllare la sua vita anche ora che lei è impiegata di buon livello in una industria. Racconta anche che, dopo la separazione, ha conosciuto un giovane con cui esce spesso, con disapprovazione dei genitori. La signora lamenta che i genitori non la capiscono, si preoccupano solo che lei si rimetta in fretta: i n questo momento, dice, sono preoccupata di quello che dirà la psicologa. Il fratello maggiore, sposato, la esorta ad emanciparsi ed a vivere da sola, cosa che, dice lei, non è possibile perché non ha abbastanza denaro. Sulla base dei dati anamnestici il candidato: a) esponga di quali eventuali ed ulteriori informazioni ha bisogno; b) formuli delle ipotesi interpretative; c) elabori un piano di intervento, specificando il metodo e gli obiettivi. " La signora, ha 30 anni, si presenta con urgenza dalla psicologa di un servizio pubblico, esigendo di essere ricevuta in giornata pur avendo avuto un appuntamento per due giorni dopo. È stata inviata dalla psicologa dal primario del reparto di tossicologia dell'ospedale in cui era stata ricoverata dopo un tentativo di suicidio. Si apprende che questo è il secondo tentativo; i due episodi sono collegati rispettivamente alla scoperta del tradimento da parte del marito e alla data in cui è stabilita la separazione. La giovane donna ha avuto dal marito una bambina che ora ha tre anni e vive con il padre. La signora è tornata a casa dei genitori con i quali ha però rapporti conflittuali. Esce con un giovane, ma il rapporto non viene approvato dai genitori. La signora sostiene di vivere con i genitori in quanto non ha abbastanza denaro per vivere da sola. Afferma genericamente che non riuscirebbe a tenere con sé la bambina, ma non ne spiega i motivi. Della famiglia d'origine fa parte anche un fratello maggiore, sposato che la esorta a vivere da sola.
È importante compiere un'analisi della domanda, verificando le vere motivazioni alla base della richiesta di intervento, in particolare di un intervento così urgente. Si tratta di un modo di far contenti i genitori? O è solo un adempimento della richiesta del medico? Vi è nella donna un desiderio reale di riflettere sul proprio star male? O si cerca un intervento magico e veloce? Si riscontrano nell'atto della signora di recarsi immediatamente dalla psicologa una certa impulsività che pare denotare una forte carica di ansia. È importante indagare sul livello di autonomia dai genitori e sulla qualità di attaccamento con la madre. Pare molto importante capire quanto le scelte della giovane donna siano influenzate dalla famiglia d'origine. La signora sembra non avere problemi sul lavoro, è impiegata di "buon livello". Perché allora sostiene di non riuscire a mantenersi e a vivere da sola? L'aspetto più inquietante è a mio avviso l'accenno vago alla figlia. Non si coglie nella signora un desiderio di stare con la bambina che pure ha solo tre anni. Sarà importante capire perché la bambina vive con il padre, di chi è stata questa scelta e soprattutto come la signora ha vissuto l'evento. La signora si presenta come immatura e si potrebbe pensare ad un disturbo dipendente di personalità anche per la forte ansia manifestata. Tale ipotesi potrebbe essere confermata anche dai tentativi di suicidio che sembra si possano leggere come un aggruppamento al marito. Si potrebbe anche pensare ad un disturbo istrionico di personalità. La paziente appare infatti suggestionabile, e influenzabile dall'ambiente esterno, esprime in modo drammatico le proprie emozioni, il suo parlato è ben elaborato, ma superficiale. Dopo ad una accurata analisi della domanda, e un'indagine approfondita attraverso colloqui e somministrazione di test proiettivi, l'intervento dovrebbe svilupparsi attraverso una terapia supportivo espressiva. Obiettivi primari dovrebbero essere quelli di favorire il processo di separazione - individuazione, sviluppare le capacità decisionali, promuovere le capacità di prendersi cura di sé e le capacità genitoriali.
FIGLIA UNICA,
20 AA. vive in casa con i genitori, prima abitava con loro anche la nonna deceduta 5 anni fa. la madre casalinga,42 a, il padre dipendente ente pubblico, 45 a. Da un anno la famiglia ha un’attività commerciale dove la figlia lavora. vita familiare isolata, non frequentano amici. Due anni fa il padre ha avuto un infarto, è lui che accompagna la figlia dallo psicologo. la sintomatologia è: paura d’ingrassare, crisi comportamentali con aggressioni verbali e fisiche soprattutto nei confronti della madre, diff.tà di rapporto con glia altri, in part con i coetanei, amenorrea da circa un anno. In un altro colloquio si evidenzia che il padre nel fare le porzioni dà più cibo alla madre, la paura di uscire è legata al fatto che teme di sporcarsi prima di uscire mentre si trucca, allo stesso modo non pulisce mai la sua stanza perché teme di non saperla pulire .ha avuto un ragazzo un anno fa ma lo ha lasciato perchè non andava bene al padre. Sia la madre, che il padre, che la figlia hanno un tono depresso. Proporre un diagnosi. Sembra che la ragazza abbia un’anoressia mentale, di fronte la madre c’è rabbia, si nota nelle crisi comportamentali, ma anche invidia (il padre dà più cibo alla madre). scarsa autostima ,teme di non pulire bene. Si può affermare che la ragazza ha diff.tà di svincolo, anzi sceglie uno svincolo di compromesso, decidendo di lavorare nell’ attività del padre si dovrebbe approfondire il rapporto che aveva con la nonna. approfondire le dinamiche relazionali tra i genitori. Tra padre e figlia c’è una relazione deduttiva. Si consiglierebbe una psicoterapia familiare, per favorire l’emergere di conflitti nascosti, unire il fronte genitoriale, proporre uno spazio personale alla ragazza, dove elaborare l’immagine
corporea, la scarsa autostima, l’espressione della rabbia, problematiche con i coetanei e con l’altro sesso.
ACCOMPAGNATA DAL MARITO al
d.s.m. 29 a. Da quattro anni ha un problema, dopo la morte del padre.le è accaduto che mentre era in autobus, sin è sentita persa, mancava il respiro, non sapeva cosa fare.pochi giorni fa è accaduto di nuovo. Da allora non è più uscita di casa. da poco ha attraversato un periodo di grande affaticamento, anche se ha solo la licenza media, è impegnata con il marito i un circolo culturale, ha anche vinto dei premi di poesia. Il candidato esponga di quali altre info ha bisogno, formuli ipotesi ed elabori un piano d’intervento. Raccogliere info su infanzia e adolescenza, famiglia di origine e dinamiche relazionali.Rapporto affettivo con il marito, ci potrebbe essere rivalità, dice di essere più brava del marito. Potrebbero esserci sentimenti ambivalenti, e dipendenza. Approfondire il rapporto con il padre, eventuali conflitti, mancata elaborazione del lutto. Ipotesi sui sintomi legati ad un’angoscia di separazione se ve ne sono state alte in passato. Per valutare adattamento alla realtà , info su situazione sociale e lavorativa. Si ipotizza un disturbo ansioso. I primi colloqui servirebbero a capire la forza dell’io per scegliere il trattamento,l’atteggiamento della ragazza nei confronti dello psicologo potrebbe servire per capire la natura delle sue relazioni oggettuali. Valutare autostima e motivazione ad intraprendere psicoterapia. Terapia individuale supportiva , con scopo di ridurre sintomatologia, la terapia successivamente potrebbe diventare esprssiva, per capire le origini dell’ansia e mirare alla risoluz. del conflitto che l’ha causata.
SIGNORA DI 38 AA, si
presenta alla consultaz. Inviata da uno psichiatra, non riesce a lavorare, né a stare sola in casa, né fuori. I disturbi cominciano quando comincia a lavorare nell’azienda paterna il fratello, ultimogenito di tre figli di cui la paziente è la maggiore (due femmine e un maschio).. Prima dell’ingresso del fratello andava molto bene a lavoro con il padre. È molto legata al padre, ha lasciato gli studi per lavorare con lui, con la madre rapporto conflittuale. Ha fatto da madre al fratello, lavorava dal padre nell’attesa della venuta del fratello. Appena però lo stesso comincia a lavorare in azienda, la estromette dal lavoro, con il consenso acritico del padre. Al colloquio appare angosciata ed incapace di strare da sola. Formulare ipotesi interpretative, di quali info si ha bisogno, illustrare un piano d’intervento. S’ipotizzano nodi non risolti con la famiglia d’origine. Idelizzazione incondizionata del padre, figura fonte della propria autostima. Si sente tradita da questa figura. Probabilm. in passato ha coperto e trasformato i sentimenti di gelosia ed aggressività verso il fratello (formaz. Reattiva), ora si sente tradita anche dal fratello. Perdita degli oggetti amati, ansie ed angoscia, il non saper convivere con questi sentimenti negativi. Approfondire la tipologia dei rapporti con gli altri elementi della famiglia. Forse come primogenita aveva tutte le attenzioni verso sé, con la nascita dei fratelli viene tradita, investe tutto sul padre dal quale a sua volta viene tradita .sembrerebbe opportuno un intervento analitico per aiutare a convivere con sentimenti negativi, quando non ha il privilegio vive male, deve imparare ad elaborare i sentimenti negativi e proiettarsi in una nuova situazione.
TRENTENNE, chiama al servizio chiedendo insistentemente di essere ricevuta. Qlk mese prima ha
tentato il suicidio, curata da uno psichiatra con farmaci e training autogeno, vista la mancanza di
miglioramenti in seguito terapia. Contrasti coniugali e separazione, in precedenza di fronte alla scoperta di tradimento dal marito tentativo suicidio, quando è sopraggiunta la notizia della separazione, tentativo suicidio. La figlia vive con padre, lei è tornata con genitori. Il fratello sposato la esorta a vivere da sola ,ma lei dice che per motivi economici non può farlo. Formulare ipotesi interpretative, di quali info si ha bisogno, illustrare un piano d’intervento. Analizzare la domanda del paziente, con che idea lei viene dallo psicologo,è motivata o è solo inviata dallo psichiatra. Vuole manipolare la terapeuta per ottenere ciò che vuole? Voleva manipolare il marito con i tentativi di suicidio? Rapporto con i genitori, autoritari, iperprotettivi,. Sembrerebbe una personalità immatura e dipendente. Il rapporto con il marito, come s’inserisce la decisione di avere un figlio, perché non è in grado di occuparsene. L’ipotesi è che la paziente ha difficoltà a gestire le separazioni, con famiglia e con marito. Approfondire precedenti relazioni se ha avuto perdite, o separazioni. La terapia può portare a sostenere l’io della paziente, potenziare indipendenza e autonomia di pensiero, cosa la spaventa della sua indipendenza.Sarà molto elaborata la fine della terapia, un tempo per affrontare la separazione dal terapeuta, modello per affrontare successive separazioni.
25 ANNI:
TIMORI DI MALATTIA, si lava in continuazione, meticoloso nel fare le cose, molto angosciato, a tratti aggressivo, non riesce a mantenere un rapporto di lavoro continuativo.vive con il padre, la madre è deceduta quando lui aveva 12 anni. In quel periodo cominciarono le diff.tà. Fare analisi situazione e possibili interventi con rif. Ad una teoria. I sintomi sembrano indicare angoscia e la difficoltà a contenerla, quindi rabbia e sensi di colpa. Il fatto che è sopraggiunto in età adolescenziale potrebbe aver causato un blocco alla crescita.l’angoscia si esprime nelle preoccupazioni di malattie e nel bisogno di lavarsi in continuazione. Le compulsioni compaiono quindi il pensiero dilaga al punto da non essere più contenuto. sembra ci sia incapacità di controllare gli impulsi, anche per il fatto che a tratti è aggressivo, debolezza dell’Io, anche perché non riesce a mantenere un lavoro.Proporre una terapia analitica, secondo la quale il sintomo esprime il tentativo di sfuggire alle richieste lipidiche ed aggressive dell’inconscio.Di fronte a stimoli che causano angoscia regressioni a fasi precedenti, utilizza anche isolamento e separazione tra pensiero ed emozione e annullamento ,(un azione simbolica viene intrapresa per annullarne un altra) La psicoterapia mirerebbe ad elaborare i conflitti, sostituire i meccanismi di difesa. Il gruppo potrebbe aiutarlo ad affrontare i problemi relazionali causati dai sintomi,interiorizzare nuove forme di relazioni oggettuali.
Tossicodipendente,
26 aa. Da quando aveva 15 a e i genitori si sono separati, la madre sta con un nuovo compagno, il padre è tornato al paese di origine, vive solo,raramente si sente con il padre, ogni tanto va trovare la madre, con lei abita la sorella, anch’essa tossicodipendente, in quelle situaz. ricomincia bucarsi. Partecipa per un anno ad un gruppo psicopedagogico, non si sente preparato ad un rapporto sentimentale. Formulare ipotesi interpretative, quali ulteriori info ha bisogno, illustri piani d’intervento Chiave di lettura sistemica, la droga potrebbe essere una sorta di malguarigione nn riuscita,per far fronte al lutto connesso alla perdita dell’unione familiare.il fatto di abitare da solo è un tentativo di svincolo dalla famiglia, ma quando ritorna è come se facesse un passo all’indietro.le situazioni
protette sembrano essere utili al ragazzo come quando ha fatto parte del gruppo psicopedagogico o ha lavorato in situazione protetta. chiedere info sulla storia familiare prima della separaiozne visto che i problemi sono nati da allora. chiedere info sul ruolo svolto dalla sorella, che rapporto intercorre tra i genitori porre attenzione alle dinamiche conflittuali e funzione genitoriale, l’intervento dovrebbe avere come obiettivo: rafforzamento legame padre-figlio, suddivisione del sottosistema figli, favorendo il riavvicinameto emotivo tra i fratelli(sono entrambi nella stesa barca) unire il fronte genitoriale nelle aree libere da conflitti e amplificare le risorse utili allo svolgimento dei compiti genitoriali.
19 ANNI, disoccupata dopo aver cambiato più volte lavoro, ha solo la terza media.vive con nonna materna e madre con la quale ha un rapporto conflittuale dovuto al fatto che a 17 anni è andata via di casa. Da pochi giorni aspetta un bambino, di cui non vuole rivelare il padre, non sa cosa fare anche se ha molti amici non se la sente di rivelare i suoi problemi .lo psicologo gli somministra le matrici progressivi e l mmpi. Chiave di lettura psicodinamica.Il padre dov’è, c’è stato? Potrebbe mancare il riferimento culturale e lavorativo del padre, la madre era anch essa una ragazza madre?c’è un identificazione tra il padre della ragazza che non è presente e oil padre del futuro bambino che non vuole essere rivelato? Dal risultato dell mmpi sembra ci sia un disturbo di personalità, si indica difficoltà di adattamento,si può ipotizzare un disturbo nell’area sociopatica, visto che c’è rifiuto delle norme di convivenza,anticonformismo,opposività alla ambiente. E’ cmq da sottolineare che la ragazza si reca volontariamente dallo psicologo, c’è quindi desiderio di alleanza terapeutica, . si potrebbe lavorare sull’affrontare o meno la scelta di maternità,elaborare il significato di femminile rapporto con la madre e di maschile rapporto con il padre,stimolare quindi una maggiore interiorità e riflessività, un ascolto maggiore di stessa. in un secondo tempo potrebbe essere utile una terapia di gruppo, dove un ambiente accogliente, come dietro indifferenza ci può essere bisogno di affetto e paura che si possono imparare a contenere verso mete costruttiva.
20 anni ,
viso pieno di acne ed espressione triste. la dott.ssa omeopatica gli ha indicato una psicoterapia di sostegno. Il sintomo dell’ acne è comparso dopo i 14 anni, si grattava al punto di farsi delle lesioni, dice che da piccolo faceva delle fantasie di un “grande foruncolo”, e a 7-8 anni la madre lo porta dal medico perché si grattava la testa fino a farsi delle croste. dice di non saper com’è, anzi è interessato a veder come lo vedono gli altri, si sente piccolo, solo quando si vede allo specchio si sente grande, si chiede se sia davvero lui a muovere le mani. a scuola andava bene , ma non era interessato a ciò che studiava perché avrebbe voluto fare una scuola diversa, in seguito sceglie lui un corso ma lo abbandona perché lo ritiene troppo difficile, attualmente fa un corso , spinto dal padre che dice che non può stare senza far niente, ma non lo frequenta molto. non vuole fare la fine del padre che è impiegato,con lui non c’è mai stato dialogo. prima con la madre aveva un buon rapporto, poi si sentito ingannato quando la madre gli ha detto che non si vedeva l’acne. Attualmente si trova bene a parlare con la sorella di 4 anni più grande, ma
gli da fastidio che madre e sorella parlano tra loro. parla di circa un anno fa di un periodo di depressione,durante l’ultimo anno di scuola per paura di non farcela. Sono presenti i sintomi tipici dell’adolescenza: immagine del corpo e senso d’identità collegato. Si potrebbe pensare ad una adolescenza prolungata, il corpo è talmente causa di conflitti al punto di essere motivo di rottura con la madre, sembrerebbe in presenza di un falso sé, incongruenza tra le esigenze del ragazzo e l’ideale del sé imposto dall’esterno.è in opposizione con il padre, ma di ciò si sente in colpa, al punto che ha tendenze autolesive, anche la fantasia del grande foruncolo è legato a questo. Allo stesso modo si sente colpevole di non voler aderire alle richieste dei genitori, scuola.approfondire info sul gruppo dei pari,sottoporre il ragazzo ad un mmpi e ad un rorschach per escludere problemi più grandi di depersonalizzazione. Risulterebbe e utile una terapia basata su uno spazio neutro, empatico, dove poter stabilire un’alleanza terapeutica per :elaborare crisi d’identità, una maggiore attenzione al suo mondo interiore e ai suoi conflitti, aggressività verso i genitori e il padre e verso sé , lesioni,lavoro sulla congruenza tra sé e ideale di sé,offrire con il terapeuta nuove possibilità d’identificazione positiva.
PRIMOGENITA DI
DUE FIGLI, 40ANNI, separata, senza figli, chiede consulenza per crisi depressive.problemi di soprappeso fin dall’adolescenza,si sposa con un ingegnere, rinuncia per lui ad una borsa di studio all’ estero, ma dopo u anno lascia il marito, nel frattempo il fratelo muore,. Va ad abitare sotto casa dei genitori, nuova storia sentimentale, lavora saltuariamente, inizia altre storie ma tutte finiscono. Difficoltà relazionali dovute a attrazione-repulsione. ha un ideale di rapporto che conviene mai soddisfatto nei rapporti, nello stesso tempo per paura divenire abbandonata, abbandona. anche il soprappeso potrebbe essere stata una barriera tra se e gli altri. problemi nella fase non elaborata di separazione-individuazione, tipica della fase adolescenziale,la signora agisce per non sentire,le dinamiche relazionali stabilite sono:idealizzazione, paura di soffocamento, fuga. Chiedere info sulla relazione soprattutto con la madre. Terapia volta ad una maggiore accettazione della realtà con i suoi limiti,, rinforzare le difese positive dell’io .in seguito terapia analitica per rielaborare il rapporto con la madre ed un eventuale distacco, per recuperare aspetti relazionali positivi. P.
è un uomo di 38 anni che giunge alla consultazione dello psicologo in uno stato di profonda perostazione psicologica anche se l'spetto fisico è abbastanza be curato. P. fa molta fatica ad esprimersi ed, infatti, il colloquio inizia con un silenzio interrotto dallo psicologo che gli domanda se desidera dire qualcosa. Con fatica e un pò alla volta P. comincia a dire che si sente molto giù da quasi due mesi e che ormai non riesce ad avere alcun interesse per tutto quello che, invece fino ad ora, di fatto rappresentava la sua vita. P. riferisce di convivere, da 10 anni, cioè da quando è nata sua figlia, con una persona carina ed intelligente con cui va abbastanza d'accordo e diessere molto attaccato alle " due donne della sua vita" anche se ora prefirerebbe quasi non farsi vedere più da loro per evitare che scoprano come lui è ridotto. Il soggetto sosteiene che anche nel lavoro, dice di essere un muratore che poi è diventato un piccolo imprenditore, le cose vanno molto male perchè " mi rendo conto di avere fatto degli investimenti troppo azzardati e di essermi comprato una casa forse troppo grande, insomma sono pieno di debiti e ora non so come fare a rimediare". Rispetto a come sia andata la sua vita precedente P. riferisce che a volte gli capita di vivere situazioni emotive molto diverse da quelle attuali e che anzi, spesso è incredibilmente pieno d'energia, " proprio un vulcano di idee e infatti in quei momenti faccio tanti progetti; poi però all'improvviso tutto cambia, forse perchè la vita spesso è crudele e mi manda troppe prove difficili da affrontare, per cui mi ritrovo a sentirmi impotente e sempre più triste e penso che non ce la faccio più. Per quel che
riguarda la famiglia di origine P. riferisce di avere una madre con la quale ha ub pessimo rapporto e che frequenta poco e che non ha conosciuto il suo vero padre che è andato a via da casa quando lui era molto piccolo. P. dice di essere venuto alla consultazione perchè la sua compagana minaccia di mandarlo via da casa se non si decide a sentire il parere di un esperto ed eventualmente farsi seguire in qualche modo :" perchè, dottore, lei è convinta che io abbia qualcosa che non va, forse è anche un pò arrabbiata perchè ha scoperto qualche mia scappatella precedente, acqua passata, ma poi se è lei quella strana, infatti giò da un anno che va da uno psicologo". Sulla base dei dati forniti il candidato indichi in maniera sintetica: a) quale ipotesi diagnostica prenderebbe in considerazione; b)di quali altri dati ha bisogno per fare una diagnosi differenziale; c)di quali strumenti psicodiagnostici si avverebbe; d) quali indagini, consulenze specialistiche o altro richiederebbe; e) se ritiene necessario un trattamento obiettivi; f) chiarire le motivazioni di una scleta fatta; g) eventuali risorse di rete psico sociale. a) P. potrebbe essere affetto da disturbo depressivo maggiore ( perdita di interesse, sentimenti di svalutazione non vuole farsi vedere in quello stato, sentiemti di colpa per i debiti,vive situazioni emotive alternanti passa da monenti di energia a monenti di tristezza) b) i dati di cui ho bisogno se ha: perdita di peso,soffre di insogna,pensieri ricorrenti di morte. c) L'ORT d) approfondirei la domanda di aiuto del paziente e il motivo per il quale anche la sua compagna va dallo psicologo da un anno e)terapia supportiva con approccio sistemico f)ho scelto questo tipo di trattamento perchè il caso di P. potrebbe essere un caso limite tra la nevrosi e psicosi in cui è importante che il paziente risolvi un conflitto interno e verificare il grado di coesione e adattabilità del micro sistema familiare ...non sembrerebbe un disturbo bipolare? ...bisognerebbe valutare bene i tempi della comparsa della sintomatologia... maniaco - depressivo....mi pare che il paziente r iferisca di fasi maniacali, nelle quali fa progetti ed è pieno di idee.... Anche a me sembra un Disturbo Bipolare... Ci sono, comunque, molti punti da approfondire: Il DSM-IV distingue tra Disturbo Bipolare I e II e quindi bisogna accertare se si tratta di episodi ipomaniacali o maniacali... Approfondirei i rapporti interpersonali e sentimentali con la moglie, con la figlia e con la madre... I colloqui motivazionali mi sembrano necessari per rendere il soggetto consapevole della sua condizione (dice di essere venuto perchè la moglie lo ha minacciato e che i problemi li ha lei..). Bisognerebbe indagare sull'aspetto dell' impulsività nelle scelte e capire se è una caratteristica di personalità oppure questo aspetto si verifica nella fase maniacale... La scissione sembra il meccanismo di difesa prevalente... Somministrerei l'MMPI e il 16PF come test di personalità ed eventualmente test proiettivi (Rorschach)... Richiederei lìintervento dello psichiatra per il supporto farmacologico... Approccio terapeutico psicodinamico.... Eventuale terapia familiare, di coppia...
a) quale ipotesi diagnostica prenderebbe in considerazione; disturbo pipolare: fase maniacale: fuga de idee (espolsione di idee come un vulcano) e grandiositá (investimenti azzardati, casa troppo grande); fase depressiva (perdita di interesse, ritiro sociale, senso di colpa di malattia) b)di quali altri dati ha bisogno per fare una diagnosi differenziale; approfondire sulla presenza di ipomania (caratteristiche non delirante dei sentimenti di grandiosità nel tipo II) per effettuare diagn. diff. tra tipo I e II; c)di quali strumenti psicodiagnostici si avverebbe; Test proiettivi e psicometrici (TAT e MMPI) d) quali indagini, consulenze specialistiche o altro richiederebbe; info sulla mancanza del padre e sul cattivo rapporto con la madre rispetto il livello di autonomia e il tipo di attaccamento (attaccato alle due donne della sua vita), indagare sulla coscienza di malattia poiche' e' stato mandato sotto minaccia della compagna (lei è convinta che io abbia qualcosa che non va). e) se ritiene necessario un trattamento obiettivi; terapia sistemico-relazionale con obbiettivo la stabilizzazione dell'umore f) chiarire le motivazioni di una scleta fatta; la terapia sistemico-relazionale fornisce lo sviluppo di relazioni familiari adeguate. g) eventuali risorse di rete psico sociale. Attenzione al campo lavorativo per evitare uleriori disastri economici e sostenere la comuncazione familiare Filippo T.
si rivolge allo psicologo per un colloquio con la richiesta di una psicoterapia. E’ un uomo di circa quarant’anni, molto alto e grasso, alquanto goffo nei movimenti, decisamente trasandato nel vestire, emana un certo odore di sudore, tutto ciò contrasta con tono di voce piuttosto raffinato, un modo di esprimersi intelligente e colto nonché un certo senso dell’umorismo. E’ celibe e insegna storia e filosofia in un liceo classico. Dichiara di sentirsi particolarmente svuotato, di non riuscire a provare né gioia, né interesse per la vita, si sente frustrato nel lavoro che considera un ripiego nei confronti dei propri ideali di insegnamento universitario. Per alcuni anni aveva lavorato come assistente all’Università, poi al momento di passare in ruolo come ricercatore aveva commesso un errore materiale nella presentazione della domanda che lo aveva messo fuori concorso. A questo proposito soggiunge: “in quell’occasione sono passati tutti: cani e porci”. Ha poi collaborato a lungo con il proprio docente universitario per la stesura di un testo critico sui Presocratici, ma anche qui è stato “scaricato” all’ultimo momento dal docente. Non sembra, comunque, mentre racconta, avercela in modo particolare con lui e si assume le sue responsabilità in proposito. Aveva tirato in lungo la stesura non si era fatto vivo per parecchio tempo con il docente e l’interesse di quest’ultimo per la cosa, era scemato. Alle domande sulla sua vita affettiva risponde di non averne affatto. Dopo un amore giovanile per una ragazza francese con cui aveva fatto dei tentativi di approccio sessuale piuttosto ,mal riusciti, ma con cui si era sentito vivo e appassionato, non ha, praticamente, più amato nessuno. Ha avuto più tardi sporadiche e brevissime relazioni quasi esclusivamente a scopo sessuale, tutte fallite miseramente a causa della sua impotenza. Non riesce ad avere l’erezione quando è con una donna, nella masturbazione, invece ha l’erezione e giunge all’orgasmo. Dice di masturbarsi spesso e sembra darne una valutazione negativa, afferma infatti di sentirsi molto solo, in quei momenti, in cui gli pare di non valere niente
per nessuno. Dati ananmestici. Ha trascorso l’infanzia in un paese di mare, è di famiglia contadina entrambi i genitori sono morti, ha un fratello più vecchio di lui, sposato e, attualmente, in procinto di separarsi, a cui è molto legato, e da cui si sente piuttosto sovrastato. Il fratello, a differenza di lui, non è laureato, ma sembra fornito di maggiori capacità di cavarsela nella vita. Lui era stato “scoperto” da un’insegnante delle medie, che aveva espressamente convocato i genitori pregandoli di fargli proseguire gli studi in quanto era molto intelligente e dotato. In seguito, questo fatto aveva messo ulteriore distanza fra lui e loro, soprattutto fra lui e il padre, da cui si era sentito sempre piuttosto lontano, poco valutato e di cui sospettava di non essere figlio. Descrive la madre come una donna semplice molto attiva e lavoratrice, “grande” (molto alta) sempre occupata nelle faccende. Quantunque abbia sempre ritenuto che lei fosse più legata al fratello maggiore, ora pensa che in fondo gli abbia voluto bene, anche se aveva poco tempo e scarse capacità di dimostrarglielo. Sembra vivere la coppia dei genitori in modo ambivalente, ora li vede separati fra loro, quando sospetta di non essere figlio di suo padre, ora li sente uniti ma a scapito dei figli, quando ricorda certi lunghi giri in vespa che essi facevano lasciando a casa lui e suo fratello. Parla di se stesso, da piccolo, come di un bambino incantato dalla natura, isolato e piuttosto trasognato, racconta di giochi con il fratello in cui il fratello lo subissava e lo faceva oggetto di numerose angherie. Peraltro ha sempre mantenuto con lui un buon rapporto e lo sente amico e protettivo, anche se in certi momenti si sente piuttosto insofferente nei suoi confronti. Dichiara di voler intraprendere una psicoterapia perché, dice, vuole vivere meglio, vorrebbe recuperare quella pienezza che sente perduta da tempo ma che sa di aver posseduto, e spera di risolvere il suo problema di impotenza. Il candidato sulla base del materiale fornito, provi a dare una valutazione della persona in questione evidenziandone le aree conflittuali e i suoi punti di forza, un’ipotesi diagnostica, il percorso di intervento e la possibile prognosi. siamo ancora nei disturbi dell'umore: l'anaffettività lamentata dal paziente, l'incapacità di perseguire degli obiettivi e l'aspetto trascurato, farebbero pensare ad un disturbo depressivo maggiore (più di due anni)- (l'impotenza e la mancata capacità di creare relazioni amorose, sarebbero problemi secondari al disturbo primario depressivo). Il soggetto riesce a mantenere la condizione lavorativa ed è intatto l'esame di realtà. MMPI e test proiettivi del tipo TAT -o addirittura rorshach- scala di beck per la depressionedovrebbe rispondere bene a una psicoterapia individuale, sebbene potrebbe essere saggio valutare l'eventuale associazione di farmacoterapia. Il soggetto dovrebbe poter rispondere bene ad interventi di tipo espressivo, ma il paziente potrebbe aver bisogno di convalide empatiche, facendo nuove esperienze oggettuali che rinsaldino la sua autostima e il suo senso di efficacia.... A.
è uno studente di 20 anni che frequenta il 2° anno di Università lontano dalla sua famiglia. Giunge ad un Servizio Pubblico in uno stato di grande agitazione psicomotoria, accompagnato dai suoi genitori, che lo hanno raggiunto da qualche giorno perché chiamati dagli amici di appartamento del figlio.I genitori riferiscono che il figlio da alcuni giorni è particolarmente angosciato ed ha comportamenti insoliti e bizzarri. Si chiude in camera rifiutandosi di uscirne e di parlare, continua a studiare per ore ininterrottamente, è trascurato nell’igiene personale, si ispeziona a lungo il corpo con la certezza di avere sintomi gravi e deformazioni somatiche indotte da misteriose sostanze che gli sono entrate dentro. Inoltre è insonne ed eccessivamente infastidito dai rumori provenienti dagli appartamenti vicini, ed anzi sostiene che i vicini, con i quali aveva in passato avuto piccoli dissidi, litigano parlando male di lui. A. è figlio unico ed i genitori lo descrivono come un ragazzo abbastanza tranquillo, che non aveva mai dato problemi particolari, soprattutto negli studi, anche se era sempre stato un po’ solitario, con pochi amici. Inoltre egli è sempre stato perfezionista ed ordinato, geloso delle proprie cose ed insofferente verso ogni forma di disordine e di intrusione nella sua stanza, e fortemente religioso.Tuttavia l’inizio degli studi universitari aveva progressivamente generato un crescente stato di malessere ed ansia, che si era
aggravato di recente, dopo un esame non superato. A. si era incupito e progressivamente isolato. In questi momenti sembrava perdere, a volte, il contatto con la realtà.Durante il colloquio con lo psicologo emerge, tra l’altro, una personalità eccessivamente rigida, con continui riferimenti a Dio, che A. vive come una figura severa ed esigente che gli avrebbe assicurato felicità e successo se lo avesse servito fedelmente, ma che lo avrebbe punito se non avesse seguito i suoi ordini. Egli sembra essere molto esigente verso se steso riguardo allo studio e temere soprattutto il giudizio paterno. A. si era sempre rifiutato di farsi curare in passato ed aveva subito interrotto una cura a base di tranquillanti che gli aveva prescritto il medico di famiglia nei momenti di maggiore agitazione. In base alle notizie disponibili, il Candidato:1-Formuli una ipotesi diagnostica del caso, motivandola.2-Descriva le principali caratteristiche cliniche e le più accreditate concezioni etiopatogenetiche del quadro clinico individuato.3-Indichi gli interventi terapeutici più idonei, precisandone anche il tipo e le modalità di attuazione (ad es. l’approccio più opportuno, nel caso di una psicologia individuale).
Liliana,
studentessa di 19 anni, viene invitata dal medico di famiglia ad una visita psicologica per disturbi alimentari. Si presenta al primo colloquio accompagnata dalla madre, che appare preoccupata per il rapido dimagrimento della figlia: ha perso 8 kg circa in due mesi con conseguente amenorrea. Dall' osservazione la ragazza appare triste, scoraggiata, rallenta nei movimenti. Riferisce di non piacersi fisicamente : di avere il naso lungo, i capelli troppo ricci e crespi e di avere le gambe storte. La ragazza afferma di non valere niente, di essere inferiore alle sue amiche.Asserisce continuamente di essere sfortunata e che per lei non esiste soluzione per uscire da questa situazione. Liliana è la seconda di tre figli ed è unica femmina. Proviene da una famiglia di professionisti di classe medio-alta.Dal suo racconto sembra trasparire la presenza di difficoltà di rapporto tra la madre e il padre e tra i genitori e figli; tuttavia nessun altro membro della famiglia ha mai chiesto una visita psicologica. La ragazza frequenta il primo anno di Università e il suo rendimento è scarso; per quanto riguarda i rapporti con i colleghi di corso e con le amiche non vengono ricercati, anzi sono sempre più spesso rifiutati. Non esce mai di casa, se non per andare a scuola, trascorre la maggior parte del suo tempo in camera ad ascoltare la musica fissando il soffitto o i quadri della sua stanza. Un approfondimento dell' anamnesi rivela che i suoi problemi sono iniziati durante l'adolescenza. E' quasi un anno che si sente molto triste e a disagio,incapace ed insignificante.Il peso massimo raggiunto è stato di 52kg all' està di 15 anni; il peso minimo, nonchè il peso attuale, è di 44kg. IL soggetto riferisce inoltre di non essersi mai sentita grassa, al contrario, in questi ultimi mesi avrebbe desiderato aumentare di peso senza peraltro esservi riuscita. IL CANDIDATO indichi in modo sintetico: a) quale ipotesi dignostica prenderebbe in considerazione, specificando i criteri diagnostici; b) quali altri dati ha bisogno per poter fare una diagnosi differenziale e quale sarebbe quest ultima; c) quali strumenti diagnostici per avvalorare la tesi; d)il tipo di intervento ritenuto idoneo; e) eventuali risorse di rete psicosociali da attivare a) vengono soddisfatti i criteri di un episodio depresivo maggiore, sentimenti di autosvalutazione, ritiro sociale perdita di peso, sentimenti di inadeguatezza, scarso interesse sociale e basso rendimento scolastico. Vengono soddisfatti anche i criteri di un distrubo di dismorfismo corporeo (Riferisce di non piacersi fisicamente : di avere il naso lungo, i capelli troppo ricci e crespi e di avere le gambe storte) b) il dsmIV specifica che i sintomi associati all'anoressia possono essere quelli descritti da un
episodio depressivo maggiore. Vengono soddisfati i criteri riguardo l'anoressia nervosa nel momento in cui esiste amenorrea. Questo sintomo è esclusivo dell'anoressia nervosa (deve saltare almeno tre cicli mestrualli: ABC della psicopatologia pag. 69). Allo stesso tempo non soddisfa gli altri criteri dell'anoressia nervosa, poichè il malessere è presente da due mesi e non da cinque con riduzione del peso oltre i 15 Kg come richiesto dal dsmIV. L. ha perso 8 in 2 mesi, se il calo di peso continua sarà possibile passare ad una diagnosi di anoressia. c) ORT e TAT d) terapia supportivo-espressiva, sistemico-relazionale e di gruppo. e) Incentivare la partecipazione nel gruppo universitarioe nelle uscite libere con amici.
CASO - Psicologia Clinica e di Comunità Alberto è un giovane di 21 anni; afferma di accusare da due anni: 1) disturbi somatici di vario tipo, quali nausea e vomito, vertigini, palpitazioni cardiache; tale sintomatologia si presenta soprattutto prima di andare a scuola; 2) sensazioni di inadeguatezza e inferiorità rispetto ai compagni di scuola e agli amici in generale. Questa doppia condizione disadattiva lo ha spinto a: a) aumentare sempre più le assenze da scuola (15 o 20 giorni consecutivi), come unico rimedio dei suoi malesseri; b) ridurre gli incontri con i suoi amici, fino all’isolamento totale. Da alcuni mesi accusa fiacchezza, facile affaticabilità, inappetenza, disturbi di sonno, umore depresso, poca voglia di essere attivo. Inoltre afferma di avvertire sempre più il desiderio di legarsi alla madre e di chiederne la presenza quando è a casa, affermando di avere paura di impazzire o di morire se si trova solo. La madre, dal suo canto, ha sviluppato un atteggiamento di ipercontrollo e di vigilanza da quando il figlio sta male, mostrandosi preoccupata e ansiosa e incrementando lei stessa il proprio attaccamento nei confronti del figlio. Dell’ambiente familiare bisogna dire che: a) il padre è sempre stato un soggetto poco presente e scarsamente incisivo verso il figlio e la moglie. Portato a deresponsabilizzarsi, sembra non aver avuto mai voce in capitolo nella vita familiare; passivo e remissivo verso la moglie e gli altri, svolge una vita isolata e monotona, preferendo adeguarsi alle decisioni della moglie. b) La madre, di carattere ansioso e apprensivo, ha svolto un ruolo leader nella gestione della vita familiare. Tendenzialmente ipercontrollante e iperprotettiva, non ha mai sopportato atteggiamenti e desideri di autonomia e di individualismo, che il figlio (primo di due fratelli) cercava di affermare dall’età di 14 anni. Il candidato illustri: 1) l’inquadramento diagnostico ritenuto più adeguato, giustificando diagnosi differenziale in base alla fenomenologia sintomatica ritenuta rilevante; 2) gli strumenti clinici ritenuti utili per l’inquadramento del caso ed eventuali approfondimenti; 3) la scelta di un particolare approccio od orientamento psicoterapeutico, cui indirizzare il paziente, motivando chiaramente tale invio in base a considerazioni ponderate. Alberto riferisce di accusare da quasi due anni disturbi di tipo somatico, come nausea, vomito, vertigini, palpitazioni cardiache e sensazioni di inadeguatezza ed inferiorità rispetto ai compagni di scuola e agli amici in generale. Questa sintomatologia, secondo i criteri diagnostici del Manuale Psichiatrico DSM-IV, farebbe pensare ad un disturbo ansioso ed, in particolare, ad una fobia