1 L’antica notazione musicale greca.
La prima necessità di un musicista, sia esso strumentista o compositore, è quella di possedere lo stesso codice linguistico che si accinge a decodificare. Nel caso del linguaggio musicale fondamentale è leggere e interpretare la scrittura che qualcuno gli ha consegnato nel tempo o nella contemporaneità. Il sistema musicale greco si ricongiunge a quelli dei popoli precedenti dell’Asia occidentale, degli Egiziani e a quelli dell’India e della Cina. La notazione greca fu come quella indiana e quella cinese un scrittura alfabetica. Le conoscenze teoriche ci sono state tramandate dagli scrittori di musica dell’epoca latina. Molte e sicure sono le notizie che della teoria e della pratica musicale greca ci danno autori come: Alipio, Bacchio, Aristide Quintiliano, Gaudenzio, Boezio. Nei testi di costoro il sistema Semiografico è ben delineato e ben determinato in quadri quadri completi e precisi. Anche per la musica dell’antica Grecia, essendo essa molto lontano nel tempo da noi e di cui si è perduta la tradizione orale, la notazione scritta è la prima condizione della sua sopravvivenza e della sua possibilità di interpretarla. i nterpretarla. Di questa noi possediamo un numero considerevole di Trattati teorici, alcuni dei quali prendono in considerazione il problema della notazione musicale e della sua utilità, ma al contrario di documenti con musica notata a noi ne sono pervenuti pervenuti un numero esiguo. di musica greca ne possediamo appena una ventina diversamente mutili. La maggior parte di essi è posteriore al III secolo a. C. L’esiguo numero delle partiture è un problema serio serio e controverso. I teorici teorici redattori dei trattati di musica greca si disinteressarono disinteressarono generalmente della notazione: notazione: è quindi difficoltosa la loro decodifica. Di “epigrafi” o “papiri” o iscrizioni sul marmo
Certamente c’era dunque una frattura totale tra la Teoria musicale insegnata e la sua prassi esecutiva. Non si conoscono conoscono quasi per nulla nulla le Teorie e le tecniche tecniche della loro composizione composizione musicale e delle loro regole: non c’è pervenuto nessun trattato su tale argomento se mai ne fu scritto uno. Le regole compositive possiamo possiamo solo dedurle dalle partiture partiture a noi pervenute. pervenute. Nella maggior parte dei manoscritti manoscritti dell’antica Grecia appaiono appaiono al momento momento opportuno simboli di intervalli, di scale ma non ne forniscono un quadro completo.
Aristosseno di Taranto, autore del più antico trattato di “harmonia” (scala) che ci sia pervenuto
( 375 a. C. circa - dopo il 322 a. C.)) scrive che l’apprendimento l’ apprendimento della notazione non era parte integrante della scienza musicale. musicale. Egli sottolinea inoltre che era possibile che che un “copista” trascrivesse una melodia notata in modo Lidio, senza sapere effettivamente che cosa esso fosse. Si ritiene che probabilmente gli stessi compositori non sapevano notare le proprie opere e che quindi utilizzassero a tale scopo dei “copisti” come nel Medioevo. Dal vasto repertorio iconografico le numerose numerose scene musicali rappresentate rappresentate nei vasi greci raffigurano sempre musicisti, cantori e strumentisti che eseguono la musica senza partitura: questo fa supporre che essi o conoscevano la musica musica a memoria o la improvvisavano. improvvisavano.
2 Le rappresentazioni di insegnamento sono molto interessanti a questo proposito. In molti casi, l’allievo e il maestro sono seduti uno di fronte fr onte all’altro, ciascuno regge la propria il proprio strumento (lira): probabilmente le regole della teoria dovevano essere trasmesse oralmente, mentre le scale venivano imparate con gli esempi esecutivi.
Lezione di musica, idria attica a figure rosse, c. 510 a.C., Staatliche Antikensammlungen (Inv. 2421). Certamente il sistema sistema di notazione greco greco a noi pervenuto é di una grande complessità complessità e quello a noi pervenuto non è certo il più antico. Al tempo di Aristosseno di Taranto ne esisteva un altro, i cui particolari ci sfuggono per la scarsità dei documenti e che noi conosciamo attraverso le osservazioni e i rimproveri mossi da lui stesso. Egli affermava che quella notazione non era adatta a differenziare i suoni per mezzo delle loro funzioni perché teneva conto solo degli intervalli. Le più importanti importanti fonti delle attuali attuali conoscenze conoscenze della notazione notazione musicale dell’antica Grecia sono date dagli scritti di Alipio (360 circa - Alessandria d’Egitto…). Egli compilò un completo resoconto del sistema greco di scale, loro trasposizioni e notazioni musicali. Delle sue opere, è rimasto solo un piccolo frammento, sotto il titolo di Isagoghe musikè ( !"#$%&%' ()*#"+', o Introduzione alla Musica). Isagoghe venne stampato con le tavole di notazione nell' Antiquae Antiquae Musicae Scriptores di Marcus L' Isagoghe Meibomius (in-quarto, Amsterdam 1652). 1652). Meibomius utilizzò il manoscritto appartenente appartenente a Joseph Joseph Scaliger, edito da Meursius nel 1616, e di altri, ancora esistenti all'epoca in Inghilterra e in Italia. Karl von Jan ne pubblicò un'autorevole e precisa edizione in Musici Scriptores Graeci, 1895-1899.
Del manoscritto di Alipio si interessò per primo Vincenzo Galilei ( Santa Maria a Monte, 3 aprile aprile 1520 – Firenze, 2 luglio 1591), padre del famoso astronomo Galileo Galilei. Egli, da un codice Vaticano, copiò il quadro delle notazione degli otto modi greci nel genere diatonico e lo pubblicò nel “Dialogo dell’antica e della moderna musica”.
3 Altri studiosi si occuparono della scrittura musicale ellenica: il Meursio nel “Meursius, Aristoxenus, Nichomacus, Alypius. Auctores musices antiquissimi….”, il Mersennio nel “F. M. Mersenne. Harmonicorum. Libri XII , Parigi 1648 Lib.6, De generibus”, in seguito il Kircher nel “Athanasii Kircheri, Musurgia Universalis T.I. fol 541 Iconismus XIII. Roma1640; nel 1652 Marco Meibom nel “Marcus Meibomius. Antiquae Musicae Auctores septem. Amsterdam, 1652. Nel suo studio semiografico egli pubblica il testo greco e la versione latina delle opere di sette autori in una esposizione chiara del sistema e della notazione musicale greca. Ulteriori e complete delucidazioni sulla complessa scrittura musicale greca si ebbero però soltanto nel 1800, con studiosi come il Fortlage, il Westphal, il Bellermann. Di seguito il F. A. Gevart con il suo testo “Histoire et theorie de la musique de l’antiquitè. Gand 1° vol.,1875, 2° vol. 1881. Con quest’autore finalmente fu ritrovata l’intera notazione musicale greca nella sua forma primitiva. Teoria.
La base del sistema musicale greco era costituita dal tetracordo, una successione di quattro suoni discendenti compresi nell’intervallo di quarta giusta, tutti formati nella stessa maniera: cominciavano con un semitono e finivano con due toni interi.
Il genere più diffuso di questi tetracordi era quello diatonico. Nei tetracordi di genere diatonico la disposizione dell’unico semitono distingueva i tre modi: dorico, frigio e lidio.
Il tetracordo dorico aveva il semitono nella posizione grave: di origine greca questo era il modo
nazionale, la forma tipo del genere diatonico. Il tetracordo frigio aveva il semitono al centro e si
suppone che fosse di origine orientale.
Nel tetracordo Lidio il semitono si trovava nella parte acuta.
4 Il tetracordo di genere cromatico era formato da un intervallo di
terza minore e due intervalli di
semitono. Il tetracordo di genere enarmonico era formato da un intervallo di terza maggiore e due
micro-
intervalli di un quarto di tono.
I tetracordi erano solitamente accoppiati due per volta: essi potevano essere disgiunti o congiunti. Due tetracordi uniti formavano una “armonia “ discendente (una scala discendente). Il punto di distacco fra due tetracordi disgiunti era chiamato Diazeusi (che significa disgiunzione). Il punto in cui si univano due tetracordi congiunti era detto Sinafé (che significa congiunzione). Se in ogni armonia ( leggi scala) si abbassava di un’ottava il tetracordo superiore si componevano gli ipomodi : ipodorico, ipofrigio, ipolidio, che erano congiunti. Alzando di un’ottava il tetracordo inferiore si ottenevano gli ipermodi : iperdorico, iperfrigio e iperlidio, anche loro congiunti.
5 Il sistema “teleion” o sistema perfetto che abbracciava l’estensione di due ottave si otteneva se ad una armonia dorica disgiunta si aggiungeva un tetracordo congiunto all’acuto e un tetracordo congiunto al grave e sotto a quest’ultimo una nota per far sì che l’estensione abbracciasse due ottave complete e ottenesse nella parte grave la risonanza della nota “la” centrale (che era detto “mese”, cioè nota di mezzo). Questo suono aggiunto si chiamava “proslambanòmenos “ che significa appunto “nota aggiunta”. Sistema teleion
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Questi suoni non indicano la loro altezza assoluta ma solo le distanze intervallari di frequenza fra essi. Nella prassi esecutiva i greci adattavano l’esecuzione alle capacità dei cantanti attraverso una trasposizione cosiddetta “ tonale”.
6 Così composta l’intera scala greca era formata di 14 suoni divisi in quattro gruppi, più un suono aggiunto. Ogni nota aveva un nome speciale che derivava dall’uso pratico degli antichi strumenti a corda.
Questo sistema di 15 suoni era fondato sull’intervallo di ottava ed era composto dalle note che oggi servono a formare la scala di la minore naturale.
7 Al sistema scalare fondato sui tetracordi di 15 suoni fu poi in seguito fatto un cambiamento. Probabilmente in tempi più antichi esisteva già un’altra scala di solo tre tetracordi, questi congiunti, che comprendeva solo 11 suoni. Questa scala si caratterizzava perché era modulante e destinata a spostare di una quarta superiore o di una quinta inferiore la tonalità dominante. Era costituita in tal modo che dal “la” centrale (il mese) si costruiva, sopra il secondo tetracordo un nuovo tetracordo il quale aveva il “la “ stesso per fondamentale. L’obbligatorietà di legare il secondo al terzo tetracordo face sì che il suono superiore alla mese dovesse essere abbassato di un semitono affinché il nuovo tetracordo avesse gli stessi intervalli dei precedenti. Questa scala utilizzata nel sistema di 15 suoni dette la possibilità di modulare.
Se la nostra scala si ottiene mediante l’unione di una quinta perfetta e di una quarta giusta che fuse insieme danno una scala perfettamente consonante, i greci invece formavano la loro scala con due quarte congiunte si-do-re-mi e mi-fa-sol-la da cui nasceva una scala dissonante di sette suoni i cui suoni estremi erano: si-la. Probabilmente questa strana costruzione della scala greca si riferiva all’esistenza anteriore di una primitiva scala composta solo di quattro suoni. I due sistemi di scala con la loro fusione diedero origine alla possibilità di una duplice direzione dopo la nota centrale “la” (mese). Per un verso ci si poteva dirigere al tetracordo disgiunto che si chiamava “diezeugmenon” e che iniziava con la nota si naturale, dall’altro verso essa incontrava il sib che era il secondo suono del nuovo tetracordo congiunto. La nota si bemolle che apparteneva al terzo tetracordo e che venne chiamato “ synemmenon” dava la possibilità di essere un suono che permetteva la modulazione.
In questo nuovo e più ampio sistema che fu detto dei 18 suoni il musicista ebbe dunque la possibilità di cambiare di tonalità trasportando il precedente mese “la” su una nuovo mese che diventava la nota “re”. Tale capacità di questo suono viene conservato, non solo nella musica romana ma anche nel periodo che vide sorgere il canto gregoriano.
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Il sistema mondiale dei greci aveva come suo caposaldo il tetracordo che a sua volta aveva due elementi fondamentali e irremovibili: il suono iniziale e il suono finale. Ogni tetracordo quindi era composto da due suoni fissi (il primo e il quarto) e di due suoni variabili (il secondo e il terzo) Quindi quando essi vollero in tempi sconosciuti e remoti assimilare sfumature melodiche asiatiche non rimase loro che modificare i suoni interni del tetracordo. Crearono allora con le loro particolari sfumature il tetracordo cromatico e quello enarmonico. Con l’introduzione dei generi cromatico ed enarmonico, ogni tetracordo ebbe tre disposizioni diverse e le scale derivate furono composte in tre diversi modi.
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Dalla classificazione generale dei suoni, fino
dai tempi remoti, furono compilate sette scale modali le quali si differenziavano fra di loro per la disposizione interna degli intervalli. Questi i loro nomi:
Per modificare l’altezza delle scale a seconda delle esigenze dei diversi gruppi corali ci fu poi la necessità di trasportare il grande sistema di 18 suoni, su altezze diverse. Furono così codificate 15 scale identiche su altezze diverse riferendosi alla scala tipo ipodorica e che furono chiamate “toni”. Queste nuove scale furono chiamate con i nomi più o meno modificati dei sette modi antichi.
10 La notazione
Vi furono due tipi di notazione musicale una dedicata alla musica strumentale e l’altra a quella vocale. Nella musica strumentale essa utilizzò un solo carattere per ogni suono, modificandone la forma ogni qualvolta cambiava il “genere “. Nel genere diatonico, nel cromatico e nel’enarmonico lo stesso carattere si scriveva in tre modi diversi. Nella musica vocale si utilizzavano tre lettere differenti ad ogni suono della scala indicando con la prima lettera il genere diatonico, con la seconda il genere enarmonico e con la terza il cromatico. Questi due tipi di scrittura non sorsero contemporaneamente ma la scrittura strumentale anticipò quella vocale. Difatti pare che i segni grafici della musica strumentale greca appartenessero ad un antico alfabeto di origine fenicia mentre quelli della musica vocale sono estratti dall’alfabeto che utilizzavano. Le differenze di scrittura della forma delle note nella scrittura strumentale dipende esclusivamente dal diverso “genere” che si utilizzava. Il suono di “genere diatonico”era rappresentato da un carattere alfabetico in posizione orizzontale cioè diritto.
Nel “genere enarmonico” la stessa lettera si presentava capovolta.
Se il “genere era cromatico” la scrittura alfabetica eccetto qualche rarità, veniva scritta rivoltata da destra a sinistra.
11 Cinque segni non corrispondono alla teoria stabilita probabilmente perché alterati dai copisti o perché non adatti ad essere riprodotti nelle tre diverse posizioni. La scala prosegue nell’ottava acuta con suoni che si scrivono con gli stessi caratteri che nella estensione dell’ottava media ma distinti da un piccolo accento.
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La scala musicale completa comprendeva, oltre all’ estensione dei suoni dell’ottava media, una ottava grave ed una ottava acuta. Per scrivere le note di queste ottave laterali vennero utilizzate le stesse lettere alfabetiche già usate per l’ottava media, ma collocandole in maniera diversa cioè rivoltandole oppure capovolgendole oppure con piccole modifiche. Le 6 note inoltre immediatamente sotto l’ottava media furono scritte con le prime 18 lettere capovolte o troncate poiché ogni suono aveva bisogno di tre lettere e i due suoni sopra la stessa ottava erano scritti con le ultime 6 lettere dell’alfabeto anche queste rovesciate o troncate. Le ultime cinque note dell’ottava superiore ebbero anche queste le prime 15 lettere, scritte in maniera diritta, ma con un piccolo accento laterale. Le ultime note nella regione grave furono scritte con le ultime lettere rovesciate o mutilate. Tutta questa complessità di scrittura della notazione vocale sottolinea che la scala fu composta e notata in periodi diversi mentre l’utilizzo regolare dei tre generi avvenne contemporaneamente e questo è provato dalla successione regolare delle 24 lettere che con precisione e regolarità indicano le modifiche nei tre generi dell’ottava media. Nella scrittura della musica strumentale avvenne l’effetto contrario. Prima di tutto fu stabilita la notazione dei suoni diatonici con i caratteri alfabetici diritti ed in seguito furono aggiunti i suoni cromatici ed infine ancora vennero scritti i suoni enarmonici.
13 Volendo confrontare la notazione vocale con quella strumentale, che presentiamo nell’esempio,
possiamo notare che: 1. in entrambe i sistemi l’ottava centrale (da si a si) e l’esacordo acuto hanno gli stessi segni con l’unica differenza che le note acute hanno un piccolo accento laterale, 2. i tre suoni più bassi hanno nei due sistemi gli stessi segni grafici i quali sono però, in quello strumentale, capovolti, 3. in entrambi i sistemi alcuni segni servono ad indicare gli stessi suoni, per esempio quando incontriamo i suoni do e fa, 4. in entrambe le notazioni non vi sono differenze di scrittura fra bemolle e diesis, 5. nella notazione strumentale i suoni che appartengono al genere diatonico sono (eccetto l’ultimo al grave) scritti con lettere diritte, quelli del genere cromatico da lettere rovesciate a sinistra, quelli del genere enarmonico da lettere capovolte.
14 6. Nella notazione vocale le lettere diritte, rovesciate o modificate sono disposte non per ordine di generi ma per ordine cronologico: invece di indicare come nella scrittura strumentale, le tre specie di generi, essi indicano la progressiva estensione della scala notata.
Di seguito riportiamo i 67 segni dell’a notazione greca. La prima colonna comprende la notazione vocale, la seconda quella strumentale. Alcuni suoni sono innalzati solo di un quarto di tono.
15 Il ritmo
Il mondo greco non inventò segni speciali adatti ad indicare il ritmo della loro musica. Le melodie elleniche infatti, nel loro procedere, utilizzavano i valori ritmici delle parole sulle quali si appoggiavano. Il ritmo musicale era lo stesso del ritmo poetico. Questo significava che la ritmica musicale era variegatissima poiché in musica si utilizzavano i ritmi stessi, diversamente combinati, della poesia greca. L’aspetto ritmico della musica greca era considerato dentro le conoscenze della cosiddetta “arte del movimento” o “del tempo. La musica utilizzò quindi il complesso “sistema metrico” del verso della poesia. Nella metrica greca il “tempo primo” era la misura della sillaba breve ed era indicata da un piccolo semicerchio. Nel nostro sistema musicale siamo soliti tradurla con il valore di una croma. Due sillabe brevi componevano una sillaba lunga e si indicava con un trattino: questa quindi vale nella nostra scrittura moderna quanto una semiminima. Due o più note o sillabe costituivano un ritmo, queste si ordinavano in schemi ritmici fondamentali chiamati “piedi”. La metrica greca comprendeva un numero assai alto e diverso di “piedi ritmici”, costituiti da 2, 3, 4, 5, 6 o 7 “tempi primi”. Nella scrittura poetica i piedi ritmici si combinavano fra loro per formare differenti versi e differenti strofe. I piedi ritmici più utilizzati erano i seguenti:
Esempio antico di verso: “esametro dattilico” composto da sei piedi dattilici di cui l’ultimo mancante di una sillaba.
Questo è il più antico e il più importante tipo di verso usato nella poesia greca e latina. Tuttavia se il ritmo musicale era lo stesso del verso del ritmo poetico, non mancavano segni ad indicare le pause e la durata dei suoni. Le pause potevano essere brevi o lunghe e queste ultime di due, di
tre, di quattro e di cinque
tempi. Di solito la pausa, era indicata con lettera “Lambda” maiuscola e si collocava tra le note: essa veniva chiamata “leimma” che significa “resto”.
16 La pausa semplice o breve, di un tempo veniva scritta per mezzo della sola lettera “Lambda”, la pausa doppia o lunga di due tempi era formata dalla stessa lettera con una linea posta sopra. Quando la pausa era di tre tempi, alla lineetta sovrapposta si aggiungeva una codetta collocata a sinistra. Se il valore della pausa cresceva fino a quattro tempi un’altra codetta era posta a destra. Nella pausa di cinque tempi la lettera lambda era scritta con tre codette: due ai lati e una nel
mezzo.
Nonostante che il rito musicale e la durata dei suoni della musica vocale, fossero subordinati alle esigenze della ritmica poetica, del verso, questo non impedì di formulare un modo per indicare nella musica strumentale la durata dei suoni e l’accento del tempo forte della battuta (del verso). Alcuni segni grafici, linee e codette, con segni elementari, indicavano all’esecutore quando una nota doveva valere un tempo ed oltre. Altri segni indicavano pure l’accento del tempo forte e anche il prolungamento del suono a piacere che nella nostra scrittura musicale chiamiamo “corona”. Il tempo primo corrispondeva alla sillaba breve della ritmica della poesia ed era indicato da un piccolo semicerchio collocato sopra la nota. Molto spesso questo segno mancava, poiché consideravano “breve” qualsiasi nota in assenza di qualunque segno. Una lineetta posta sopra la nota indicava “la sillaba lunga”, la quale indicava che la sua durata era quella di due sillabe brevi. Se la lineetta aveva una codetta a sinistra, la nota valeva tre sillabe brevi, se ne aveva, due una a sinistra e l’altra destra, il valore era quello di quattro tempi. Il valore di cinque tempi era indicato da tre codette, due laterali e una al centro.
Il “tempo forte”, quello che si trova nella nostra scrittura moderna dopo il segno di stanghetta, era rappresentato da un punto posto sopra la nota. Il segno di separazione fra due periodi o il segno di corona era indicato da due punti sovrapposti o da due punti preceduti da due linee. L’esigua semplicità dei segni di carattere ritmico della musica strumentale ci indica come il ritmo di questa doveva essere molto elementare.
17 Esempi musicali
1. Canto coviviale (Epitaffio) di Sicilo inciso su di una colonna a Tralles nell’Asia Minore
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Trascrizione in notazione moderna
Questa è una composizione vocale scolpita su una stele tombale e ritrovata nel 1883 a Tralles, in Asia minore, la data di questa incisione si aggira tra il I secolo a. C. e il I secolo d.C. Il reperto possiede scrittura a notazione ritmica e la melodia è scritta secondo il Modo dorico. Il monumento, portato nel museo di Smirne, andò perduto nel 1922, nell’incendio che distrusse quasi totalmente quella città durante la guerra greco - turca. Prima dei versi e della melodia la stele ha inciso le parole seguenti: “Io pietra valgo un’immagine, qui mi pose Sicilo, segno longevo di memoria immortale” e dopo i versi si legge “Sicilo felicissimo viva” Il testo cantato dice: “Finché tu vivi, risplendi non addolorarti mai per alcuna cosa; la tua vita è di breve durata ed il tempo richiede il suo termine ”.
19 2. Frammento del primo canto corale dell’Oreste di Euripide, scritto su papiro (V secolo). Pap. G. Vindob. 1215. Vienna, Osterreichische Nationalbibliothek
Questo frammento contiene la melodia dei versi 338 – 343 del Oreste di Euripide, pertinenti al primo stasimo della tragedia. Il brano è stato variamente interpretato, secondo il genere cromatico o il genere enarmonico. La seconda interpretazione è più attendibile. I segni della melodia sono sovrapposti alle sillabe del testo poetico e i segni dell’accompagnamento strumentale sono inseriti nella riga stessa della poesia. È utilizzata l’armonia cosiddetta iperlidia enarmonica delle tabelle di Alipio. Il testo dice: “Mi affliggo per te. È il sangue di tua madre che chi rende folle. La grande felicità per i mortali non è stabile. Un demone con travagli tremendi la sommerge, come, avendo rotta la vela di vascello veloce, nei flutti voraci e rovinosi del mare.” Il ritmo è docmiaco. (Il docmio, dal greco !"# µ$%&, tortuoso, è un metro della poesia greca, formato da cinque sillabe e utilizzato soprattutto nelle tragedie di Eschilo ed Euripide, nei monologhi tragici cantati dalle eroine stesse. Lo schema metrico è ! — — | ! —).
20 Seguono due inni attribuiti a Mesomede di Soli 3. Il “Primo Inno Delfico” dedicato a Nemesi.
Mesomede di Soli
4. Il “Secondo Inno Delfico” dedicato al sole
In questo inno dedicato a Elios il ritmo è anapestico e la melodia composta nel modo ipolidio diatonico. La prima trascrizione fu quella del Bellerman, Berlino, 1840. Questa la traduzione del testo: “Tutto l’etere taccia, e la terra e il mare e i venti; tacciano i monti e le convalli e assonanze e voci di uccelli, perché Febo dalla chioma intonsa, dalla bella chioma sta per venire da noi. Padre dell’aurora dalle ciglia di neve, tu che con orme alate segui il giro rosato dei poli, bello per le chiome d’oro, ecc.”
21 6. Inno anonimo del tempo di Antonino pubblicato da V. Galilei nel suo trattato ”Dialogo della Antica e Moderna musica”
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