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Streghe, Esseri Fatati ed Incantesimi nell’Italia del Nord La magia popolare delle sagae italiane dagli Etruschi all’800 Dall’autore di “Aradia, il Vangelo delle Streghe”
Charles Godfrey Leland [1892]
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Sommario Prefazione Introduzione
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Prima Parte Dei e Folletti Capitolo 1 – Tinia – Teramo - Buschet - Impusa della Morte- - Siero - Norcia, la Dea dei tartufi – Aplu – Turanna – Pano pag. 16 Capitolo 2 – Maso – Mania della notte pag. 37 Capitolo 3 – Feronia – Silviano – Palò – Esta – Carmenta – Il Sentiero pag. 41 Capitolo 4 – Faflon – Lo Spirito della Contentezza – Corredoio – Orco - Tesana – Spulviero – Urfia pag. 49 Capitolo 5 – Lari, Lasa e Lassi – Losna – Laronda – Lemuri – Tago – Fanio – Querciola – Sethano pag. 60 Capitolo 6 – Carradora – Vira – Bergoia – Bughin – Ganzio – Alpena pag. 78 Capitolo 7 – Tituno – Albina – Verbio – Dusio – Remle – Jano, Meana, Montulga, Talena – Pico pag. 89 Capitolo 8 – Floria – Ra – Bovo – Attilio – La bella Marta – Diana ed Erodiade – Offerte agli Spiriti pag. 101 Capitolo 9 – Lo spirito dello scaldino – Artemisia – Red Cap – La stregoneria nell’arte antica – La Dea dei 4 venti, l’erba rosolaccio – La Madonna del Fuoco pag. 118 Capitolo 10 – Cupra – Le streghe del noce – Le streghe e la stregoneria – Gli uomini della grandine e delle nuvole – Storie di streghe e goblin – Santi stregoni pag. 135
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Seconda Parte Incantesimi, divinazione, talismani e cure, medicina, amuleti Capitolo 1 – La stalla del maiale – L’incantesimo dell’edera e della statua – L’incantesimo del ragno pag. 186 Capitolo 2 – Uccelli e tesori – L’incantesimo della stella cadente – L’incantesimo delle ghiande – L’incantesimo della rondine – Cure minori da Marcellus – I tre Saggi dell’Est e le medaglie delle streghe pag. 196 Capitolo 3 – L’esorcizzazione della morte – L’incantesimo della culla – Divinazione con il piombo – Divinazione per mezzo dell’olio – Piromanzia ed incenso – L’incantesimo della lampada pag. 214 Capitolo 4 – Incantesimi negativi – L’incantesimo della pietra forata e della salagrana – L’incantesimo della conchiglia e del tono della pietra – Il canto del gallo – Divinazione con le ceneri pag. 231 Capitolo 5 – L’ametista – L’incantesimo della campana – L’incantesimo della bollitura degli abiti – Stregoneria con gli anelli – Amuleti, presagi e piccole stregonerie – Piombo ed antimonio pag. 245
Turan, o Venere
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Prefazione La versione originale di questo libro consta di alcune centinaia di pagine, di cui molte solo di introduzione. Abbiamo ritenuto, nell‟interesse del lettore, abbreviare l‟introduzione stessa togliendo tutte quelle ripetizioni sulla difficoltà di reperimento delle informazioni ivi contenute e notizie minori, nell‟ottica di ottenere un testo ugualmente interessante ma dando maggiore importanza alle informazioni sostanziali sulle Divinità, gli spiriti e gli incantesimi. Per quanto riguarda questi ultimi, abbiamo “tagliato” esclusivamente le parti in cui venivano descritti incantesimi cruenti, in cui si faceva scempio di vite animali, non ritenendole utilizzabili in alcun modo; si sa che a tutt‟oggi non si è purtroppo ancora sviluppata del tutto un‟ottica di rispetto verso le creature viventi non umane e che tantomeno vi era alcuna forma di rispetto per esse nei secoli e nei millenni passati. Culturalmente non riteniamo utile ricordare cose negative come se non lo fossero ed è per questo che ci siamo visti costretti ad operare questi tagli. Siamo certi che i lettori troveranno ugualmente interessante e valido questo testo e non ne sentiranno la mancanza. Come si potrà notare più volte nel corso del testo, l‟autore considerava la Romagna e la Toscana un‟unica regione all‟interno dell‟Italia. Così talvolta si trova nel testo “Toscana” e poche righe dopo, riferendosi alla stessa cosa, “Romagna”. Vi auguriamo una buona lettura!!
Gli Editori
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Introduzione Nel Nord dell‟Italia vi è una zona montagnosa conosciuta come Toscana Romagnola, i cui abitanti parlano una forma grezza di dialetto bolognese. Questi Romagnoli sono evidentemente una razza molto antica e pare abbiano conservato tradizioni ed usi quasi immutati da un periodo di tempo incredibilmente antico. Negli ultimi anni si è disquisito sulla possibile origine etrusca dei Bolognesi e pare si sia deciso che non lo sono. Nulla da dire, a questo riguardo: probabilmente loro erano lì prima degli Etruschi. Ma questi ultimi hanno in un certo periodo dominato tutta l‟Italia ed è molto probabile che abbiano lasciato in zone remote quelle tracce della loro cultura di cui parla questo libro. Il nome Romagna viene applicato a quella zona perchè un tempo essa faceva parte del dominio papale o romano. Per intenderci, la regione di cui parlo si può descrivere come quella tra Forlì e Ravenna. Tra questa gente la stregheria o stregoneria – o, come ho udito chiamarla, “la vecchia religione” – esiste ad un grado tale che molti Italiani ne rimarrebbero stupiti. Questa stregheria, o vecchia religione, è qualcosa di più della magia e qualcosa di meno di una fede. Consiste nelle rimanenze di una mitologia di spiriti, i principali dei quali conservano i nomi e gli attributi degli antichi Dei Etruschi come Tinia – o Jupiter -, Faflon – o Bacco – e Teramo (in Etrusco Turms) – o Mercurio -. Accanto ad essi continuano ad esistere, nei ricordi di pochi, le Divinità rurali Romane più antiche come Silvanus, Palus, Pan ed i Fauni. A tutti loro vengono tuttora indirizzate - o almeno conservate – le invocazioni o preghiere in grezze forme metriche e vi sono molte storie attuali a loro riguardo. Tutti questi nomi, con i loro attributi, le descrizioni di spiriti o Dei, invocazioni e leggende si trovano in quest‟opera. Strettamente unita alla credenza in queste antiche Divinità vi è la vasta massa di curiosa tradizione, che dice per esempio che vi è uno spirito in ogni elemento o cosa creata, come per esempio in ogni pianta e minerale, ed un guardiano o uno spirito guida per tutti gli animali; o, come nel caso dei bachi da seta, due: uno buono ed uno cattivo. Ed anche che i maghi e le streghe talvolta rinascono dai loro discendenti; che tutti i tipi di goblin,
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brownies, red-cap ed esserini alti tre pollici vivono nelle foreste, nelle rocce, nelle torri in rovina, nei focolari e nelle cucine o nelle cantine, dove alternativamente fanno ammattire o deliziano le fanciulle – in breve, tutta quella compagnia pittoresca di spiriti familiari che vengono considerati con orgoglio di ascendenza nordica dagli archeologi tedeschi ma che l‟investigazione indica fossero di casa in Italia quando Roma era ancora giovane, o forse nemmeno era stata costruita. Che questa tradizione sia teutonica o italiana o di origine ariana o asiatica o, come insegna la nuova scuola, sia “cresciuta” da sé spontaneamente e sporadicamente dapperutto, non pretendo di essere io a determinarlo; è sufficiente dire che sarò soddisfatto se questa mia raccolta si dimostrerà essere di qualche valore per coloro che si pongono questa domanda. Collegata a questa credenza nei folletti, o spiriti minori, ed alle loro osservanze e tradizioni vi sono moltissime cure magiche con incantesimi appropriati, magie e cerimonie per attirare l‟amore, per eliminare ogni influenza negativa o portare certe cose a compimento; per vincere un gioco, per evocare spiriti, per assicurarsi buoni raccolti o un felice ritorno per un viaggiatore e per fare divinazione o cose malvagie in molti modi curiosi – tutte cose antiche, come dimostrato dalle allusioni degli scrittori classici che hanno conosciuto questi incantesimi. Ed io credo che in certi casi ciò che ho raccolto e scritto fornirà probabilmente molto di ciò che manca negli autori precedenti – sit verbo venia. Molti contadini nella Romagna e nella Toscana hanno familiarità con i resti di questi incantesimi, ma la loro abile ripetizione ed esecuzione è nelle mani di certe oscure streghe ed oscuri stregoni che appartengono a famiglie mistiche, in cui l‟arte occulta viene preservata di generazione in generazione con gelosa paura dei preti, della gente acculturata e di tutti coloro che diffidano di tutto ciò che non è “sulla via”, tutta quella “gente onesta”, così che non è esagerato dichiarare che i “viaggiatori” non hanno fiducia nella verità di nessun uomo, perché li hanno beccati a dire delle bugie. Come accadde a me un giorno a Bath, dove venne dichiarato in un vasto accampamento di zingari che io dovevo essere o Rumeno o di sangue rumeno, perché ero il bugiardo più grosso che avessero mai incontrato – la bugia, in questo caso, era un‟arrogante quanto vanagloriosa asserzione da parte mia in cui dicevo che, nonostante al momento fossi senza un penny, avevo a casa 24 sovrane d‟oro, 18 scellini d‟argento e due pence in bronzo. “Ed io non credo” aggiunse lo zingaro “che lui abbia sei dannati penny. Ma lui è a posto.” Così questi viaggiatori della scura strada della magia riconobbero nel portatore della Pietra Nera del Voodoo, il pupillo dell‟Indiano rosso medaolin ed il rye zingaro (ed uno che aveva anche il
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borsellino sempre pieno di feticci in sacchettini rossi), qualcuno che era degno di fiducia, anche se non era prodigo di caffè, piccole bottiglie di rhum, sigari ed altri requisiti minori che generalmente favoriscono molto la convivialità e la reciproca comprensione nella saggezza. Tra queste sacerdotesse dell‟incantesimo nascosto una dama più anziana ha generalmente in mano alcune ragazze più giovani, che istruisce prima nell‟arte dello stregare o del colpire i nemici e poi nei procedimenti più importanti per annullare o sciogliere gli incantesimi altrui, causare amore reciproco e donare fortuna. E qui posso osservare che molti degli incantesimi descritti in questo libro vengono considerati gelosamente come segreti che, mi è stato assicurato, se uno non è in confidenza con coloro che possiedono tale tradizione, potrebbe cercarla invano. Una grande parte di essa è quasi estinta ed è in articolo mortis, vel in extremis, mentre altri dettagli sono generalmente conosciuti. Una parte molto interessante e curiosa di questo mio libro consiste in una quantità di rimedi occulti tuttora conservati tra i contadini della montagna fin dall‟antichità. Marcellus Burdigalensis, medico di corte dell‟Imperatore Onorio nel IV secolo, raccolse un centinaio di cure magiche per le malattie più ricorrenti nelle classi rurali del tempo. Come ci informa in un libro intitolato De Medicamentis Empiricis, le ha raccolte “ab agrestibus et plebeis” (da contadini e gente comune). Questa collezione è stata pubblicata da Jacob Grimm in un lavoro intitolato Über Marcellus Burdigalensis, Berlin, 1849. Questi “talismani” erano molto antichi anche ai tempi di Marcellus e, come buona parte dell‟antica magia Romana, erano probabilmente di origine etrusca o toscana. Di queste cento magie ne ho trovate circa metà di uso corrente o almeno conosciute. Come vengono descritte da Marcellus sono spesso imperfette, mancando molti incantesimi. Alcuni di essi sono stato in grado di fornirli qui e penso che nessun lettore critico che li paragonasse a quelli da me raccolti potrebbe dubitare che queste formule italiane contengano almeno lo spirito degli originali antichi. In aggiunta a questi ho incluso molte storie curiose, aneddoti ed esempi, molti dei quali sono identici o simili a molti di quelli narrati da Ovidio, Virgilio, Plinio, Catone, Varro ed altri – ne risulta che un‟attento paragone tra essi può certamente convincerci che i contadini della Romagna Toscana, che hanno vissuto fin dalla preistoria con pochi cambiamenti, hanno conservato attraverso il dominio etrusco, latino e poi cristiano uno sciamanesimo primitivo o un grezzo animiamo (l‟adorazione degli spiriti) ed un sistema molto semplice di stregoneria che certamente interesserà gli studenti di etnologia.
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Il risultato delle mie ricerche è stata la raccolta di un numero eccezionale di formule magiche, storie e poemi che avrebbero oltrepassato limiti ragionevoli sia come numero di pagine che come pazienza del lettore, se li avessi pubblicati tutti. Ciò che è qui contenuto credo sarà molto interessante per tutti gli studenti di tradizione classica di ogni genere ed estremamente interessante in quanto illustra la sopravvivenza a tutt‟oggi degli “Dei in esilio” in maniera più letterale e su scala più estesa di quanto Heine abbia mai sognato. Ed io penso che spiegherà anche molte questioni minori: per esempio, Müller nella sua grande opera sugli Etruschi difficilmente avrebbe potuto dubitare che i Lasi fossero la stessa cosa dei Lari se avesse saputo che gli spiriti degli antenati vengono tuttora chiamati in Romagna Lasii, Lasi o LLasii. Devo esprimere qui la mia grande riconoscenza al mio amico Professor (ora Senatore) D.Comparetti di Firenze, che non solo ha messo la sua ammirevole biblioteca a mia disposizione, ma mi ha anche aiutato materialmente tramite “consigli, avvertimenti e critiche”. Ed anche suo genero, il Professor Milani, direttore del Museo Archeologico ed Etrusco e che come antiquario etrusco non è, io penso, secondo a nessuno. Ne approfitto per dirigere l‟attenzione del lettore sul suo magnifico lavoro, che sta per essere pubblicato con il titolo di Le Divinità e la Religione degli Etruschi e che è un resoconto completo di tutto ciò che si conosce sulla materia. Per quanto riguarda l‟autenticità delle mie informazioni, devo osservare che le persone da cui le ho ottenute sono state in ogni caso troppo illetterate per comprendere i reali motivi per cui le raccoglievo. Esse erano all‟oscuro di qualunque classico ad un livello che supponevo insolito in Italia. Ho letto molte volte le liste dei nomi delle Divinità Romane senza che ne fosse da loro riconosciuta alcuna, fino a quando venivo fermato – solitamente su un nome etrusco -, si prendevano un minuto di riflessione e quindi mi fornivano i risultati. La stessa cosa è accaduta riguardo a superstizioni, storie o altre tradizioni – spesso non le riconoscevano affatto o le conoscevano con grosse differenze. Se mi avessero voluto mentire, mi avrebbero detto di sì a tutto. Ma nella maggior parte dei casi i miei informatori non mi rispondevano ma andavano a consultarsi con altre streghe o scrivevano per chiedere informazioni ad amici che vivevano in Romagna. Così è accaduto spesso che mi ci siano voluti da settimane ad anni per raccogliere determinate informazioni. I veri pionieri del folklore hanno sempre un compito ingrato. Devono superare difficoltà di cui pochi lettore possono comprendere la portata e devono lottare con l‟imperfezione della lingua, dei ricordi e dell‟intelligenza di vecchi ignoranti che hanno
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mezzo dimenticato le tradizioni o con ignoranti più giovani che le hanno imparate solo a metà. Riguardo a questo io sono stato il più esatto possibile, date le circostanze, e se qualcuno dovesse avere bisogno di ciò che nìhil est, quod cura et diligentia perfici haud possit, posso solo rispondere che in questo lavoro io ho esaurito la mia. Ed è sfortunatamente vero che nel collezionare le tradizioni folkloristiche, come nel tradurle, il critico potrebbe cogliere errori a non finire, se volesse, o mostrare come lui avrebbe potuto migliorare l‟opera revisionando i migliori libri sulla materia – ed ecco una delle cause principali per cui oggigiorno molti dei libri migliori non vengono scritti affatto. Perché in verità non rendono molto denaro e, se vi si aggiunge il discredito, si può solo dire come quel ministro scozzese alla moglie: “Se tu non possiedi né fortuna né grazia, Dio sa quale brutto fardello mi sono caricato prendendo te.” Bisogna osservare che tutte queste superstizioni, osservanze, leggende, nomi ed attributi degli spiriti sono attualmente lontani dall‟essere generalmente conosciuti. Gran parte della tradizione è stata originariamente confinata alle strege, le streghe, che sono poche e distanti tra loro, come segreti della loro professione illegale. Nuovamente, in seguito le generazioni più giovani hanno smesso di interessarsi a tali cose e, riguardo ai nomi di certi spiriti, è difficile trovare anche pochi vecchi – magari uno qua ed uno là – che se li ricordino. Mi è stato quindi molto difficile verificare con ogni mezzo a mia disposizione l‟autenticità di ciò che mi veniva detto, particolarmente i nomi e gli attributi di spiriti o Dei. La persona più intelligente tra quelle che mi hanno aiutato in questo lavoro ha fatto del suo meglio per intervistare più di una vecchia. Per fare questo è stato impiegato in particolare un giovane contadino intelligente. Egli andava al mercato nei giorni in cui i contadini scendevano a frotte dalle montagne e chiedeva alle vecchie ed ai vecchi provenienti da vari luoghi se conoscessero questo o quello spirito. Ebbe molto successo nel verificare quasi tutti i nomi che fornisco qui, ma disse che aveva trovato difficoltà riguardo ad alcuni, prima di tutto perché solo pochi anziani conoscevano i nomi che ero particolarmente desideroso di confermare come Tinia, Faflon e Teramo e, in secondo luogo, perché questa gente era molto restia a parlare di ciò che sapeva, perché queste cose erano scongiurate (proibite dai preti). Aderendo strettamente alla lettera alle sue istruzioni, tuttavia egli non solo ottenne le verifiche ma indusse molti vecchi contadini a scrivere delle dichiarazioni, o fogliettini, riguardo a quello che avevano affermato. Scritte su strisce di carta di vari colori, queste dichiarazioni hanno un effetto curioso ed appaiono come testimonianze del carattere delle antiche Divinità. Ecco un esempio di questi documenti:
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“ I Lasii sono gli spiriti dei nostri antenati e vengono conosciuti a Santa Sofia.” Augusto Fierrari, marzo 1891 “Fafflond (Faflon) o Fardel è lo spirito del vino. Viene conosciuto come Politeo (Portico). Ottavio Magrini “Tigna, il grande spirito del lampo, è conosciuto qui a Dovadola dai tempi antichi.” V. Del Vivo “Teramo è lo spirito dei mercanti, dei ladri e dei messaggeri. Viene conosciuto a San Benedetto, dove le azioni di questi spiriti sono state riferite per molti anni. Tito Forconi, marzo 1891 Enrico Rossi testimonia su Mania della Notte, l‟incubo, che “veniva ricordata un tempo da molti ma ora è da molto tempo che nessuno a Galeata parla più con lei.” Ho molte altre di queste dichiarazioni; basti dire che questo giovane, con l‟aiuto del padre e degli amici, ha verificato con molto successo tutti i nomi tranne 3 o 4. Dovrei tuttavia dire che questi agenti erano eccezionalmente qualificati per questo obiettivo, avendo una donna saggia – in realtà due – in famiglia. In alcuni rari casi l‟ortografia dei nomi variava. Così Peppino dichiara in una lettera che il nome giusto di Faflon è Faflo e che i Lasii sono llasie. Tengo a dire che ho fatto tutto ciò che era in mio potere per verificare l‟autenticità e la reale esistenza dei nomi e degli attributi di questi spiriti, così come delle altre materie del folklore trattate in quest‟opera. Bisogna notare un‟altra difficoltà o contraddizione. Molte superstizioni ed osservanze vengono registrate come se fossero tuttora di uso corrente o ben conosciute, mentre in realtà sono quasi dimenticate, mentre altre sono ancora familiari alla massa. Ho parlato spesso di cose come viventi che stanno rapidamente divenendo obsolete perché così hanno detto i miei informatori, secondo la moda dei vecchi: ut est à nobis pauloantè commemoratum. Mi è stato detto che queste storie e questi riti stanno morendo molto rapidamente, che 20 anni or sono si sarebbe potuta raccogliere una vasta e curiosa collezione di esse e che tra 10 anni probabilmente sarà impossibile trovare i nomi delle vecchie Divinità o più di un semplice frammento di ciò che io ho preservato e che gran parte di esse è morta o svanita tra la gente da quando ho cominciato a raccoglierle. Per tutto ciò desidero il giusto riconoscimento. Devo anche chiederlo per ciò che qualche lettore potrebbe considerare come un difetto. Gran parte di queste tradizioni popolari provengono da persone che le hanno imparate molto tempo fa e che, consciamente o meno, hanno spesso solo un pallido ricordo di una canzone o di un incantesimi e così, volontariamente o meno, lo hanno ripetuto magari imperfettamente così come se fosse stato fatto tra contadini, che non sono affatto accurati in tali cose e tuttavia possiedono il
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grande dono dell‟improvvisazione. Che il motivo o la tradizione siano in ogni caso esistiti ed in questo senso conservati, di questo sono certo. Semplicemente voglio dire che ho raccolto e pubblicato meglio che potevo, facendo del mio meglio per operare una selezione tra una massa di materiale terribilmente mescolata e confusa e non avrei potuto fare di più. Coloro che sono più qualificati di me potranno fare un lavoro migliore. Ciò che apparirà strano a molti lettori è che molti degli incantesimi ed altre parti della narrazione che ho reso in rima sembrano in originale come mera prosa. Richiamo una speciale attenzione su questo, perché ha rappresentato per me una particolare difficoltà. Ciò che ho sentito cantare in arie, che suonava melodiosamente, l‟ho reso in una forma quasi poetica chiamata cantare alla contadinesca, che significa cantare la prosa in maniera particolare. Per illustrare ciò potrei citare una canzoncina molto popolare: “Ma guerda la Rusena afazeda a la finestra” che non possiede né in romagnolo né in Italiano traccia di rima o ritmo e che, datami per iscritto, sembra maggiormente in prosa rispetto alla maggioranza degli incantesimi o poemi di quest‟opera. Sono grato al Senatore Comparetti di Firenze per avermi fatto notare che questo avrebbe potuto sembrare a molti lettori un errore ed ho quindi dedicato a questo una spiegazione particolare. Ma devo anche alla sua vasta conoscenza il riconoscimento che non è meno vero che in molti paesi, per esempio in quelli slavi, vediamo incantesimi popolari che passano rapidamente dalla poesia alla semplice prosa. Questo è il primo stadio del decadimento ed è abbastanza naturale che coloro che hanno acquisito le tradizioni popolari in questa incerta forma mezzo mutata la rendano in maniera imperfetta. Quando verrà la prossima generazione, esse saranno interamente perdute e magari gli antiquari saranno grati di libri come il mio, per quanto pieni di difetti. Tratto dal mio Gipsy Sorcery quanto segue: “Negli ultimi anni è stato scoperto che in India, durante le migliaia di anni di dominio brahmanico, buddhista e maomettano è sempre esistito tra il popolo un grezzo sciamanesimo, un‟adorazione degli spiriti e delle pietre che ricorda la stregoneria e che ha formato una religione di per sé, venuta alla luce quando il governo inglese ha tolto l‟oppressione religiosa. Questa religione consisteva nel porre piccole pietre a mo‟ di Stonehenge o altri monumenti “druidici” ed in altri riti del tipo più primitivo. Ed è molto evidente che dappertutto le antiche religioni sono fondate su tale fede.” Ma io sono stato molto stupito di scoprire che in Toscana, la parte più illuminata dell‟Italia, durante tutto il dominio dei Romani è esistita una fede pagana, o qualcosa del genere, in grado straordinario. Perché non si tratta
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solo di una semplice possibilità di sopravvivenza delle superstizioni qui e là, come in Inghilterra ed in Francia, ma di un sistema completo, com‟è abbondantemente provato. Alcuni anni fa il Conte Angelo De Gubernatis durante una conversazione informò Mr. Gladstone che tuttora tra i contadini toscani vi è più paganesimo che cattolicesimo. Io ripetei questa affermazione ad una donna che stavo impiegando per raccogliere le storie tradizionali ed ella rispose: “Certamente vi è dieci volte tanto più fede nella vecchia religione, perché i contadini hanno fatto ricorso ai preti ed ai santi nelle grandi occasioni, ma usano la magia ogni giorno per qualunque cosa.” In un altro momento, esprimendo stupore riguardo al fatto che una determinata ragazza cresciuta nel paese ignorasse il nome degli spiriti e non ricordasse nulla riguardo alla stregoneria, ella dapprima se ne risentì e poi, eccitata, esclamò: “E come dovrebbe una stupida sciocca come me, che teme i preti ed i santi, sapere tutto? Io mi professo cattolica, sì, ed indosso una medaglia per provarlo” e qui, agitata, tirò fuori la medaglietta di un santo appesa ad una catenina – “ma non credo in nulla di tutto ciò- Tu sai in cosa credo.” “Sì, la vecchia religione” risposi io, dalla quale ho tratto quella strana stregoneria Etrusco-Romana che descrivo in questo libro. La magia era la sua vera religione. Molta di questa magia è mescolata con riti e santi cattolici ma anch‟essi sono spesso di origine pagana. Alcuni santi, come Antonio, Simeone ed Elisha, appaiono come stregoni o folletti e ci si rivolge a loro con antiche cerimonie pagane nelle cantine ed incantesimi. La credenza nei folletti, un termine generico per indicare i goblin ed altri spiriti familiari, trascende le fiabe tipo quelle dei fratelli Grimm per entrare nella credenza popolare come parte della religione ed essi vengono invocati in buona fede. In Toscana vi è una cultura di adorazione dei feticci che non è cattolica: per esempio, quella di strane pietre e di molte curiose reliquie. Tuttavia vi è, come ho sottolineato, molto mistero e segretezza in tutto questo culto. Vi sono i suoi professori: uomini, ma principalmente donne, che raccolgono incantesimi e magie e se li insegnano a vicenda e tengono incontri; vi è quindi una sorta di scuola per le streghe e gli stregoni che, per molte buone ragioni, elude l‟osservazione. Io ho avuto l‟occasione di conoscere a Firenze un veggente, iniziato a quei segreti, la cui memoria eccezionale non possedeva solo formule magiche ma anche canzoni e storie. Una familiarità con la tradizione popolare e la stregoneria quale quella che io posseggo grazie alla fiducia altrui in me, mi ha permesso di penetrare in questa strana foresta oscura abitata da streghe ed ombre, Dei scomparsi e goblin dimenticati dei tempi antichi, quando tradizioni popolari di ogni tipo abbondavano a livello tale che avrei molto altro da pubblicare oltre a questo
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libro. Per far questo sono andato in strani luoghi ed ho fatto strane conoscenze, così che il lettore potrà immaginarsi qualcosa molto fuori dal comune e spesso selvaggio e davvero strano – per esempio profetico – quando il veggente era sulle carte, come drammatico accompagnatore di ogni incantesimo e leggenda di questo libro, facendo giustizia. So bene uanto sia difficile raccogliere storie popolari tra gli Indiani rossi, molto reticenti, ed i Rumeni, ma l‟estrarre la stregoneria dalle streghe italiane è stato più difficile ancora. “Anch‟io ero tra le ombre.” La straordinaria tenacità con cui i contadini toscani hanno conservato questi frammenti della loro antica fede è in accordo con il loro antico carattere. Livio dice di loro che erano “una razza che superava tutti in devozione ai riti religiosi e nell‟arte di coltivarli (V, I, 6). Ma, come sottolinea Karl Ottfried Müller nel suo Die Etrusker, un‟opera che mi è stata molto utile, “mentre i Greci esprimevano i loro sentimenti religiosi con coraggio in varie forme… i Toscani le univano nella maniera più intima ad ogni interesse pratico domestico. La divinazione toscana ha conseguentemente il tratto più caratteristico della nazione ed il Hauptpunkt o l‟inizio della loro azione ed educazione intellettuale.” E questo spirito sopravvive tuttora. Tra tutte le guerre e le convulsioni dell‟Italia i contadini della Toscana sono rimasti la stessa razza. Inglesi e Francesi sono il risultato di mescolanze moderne di popoli ma gli Italiani, come Marble Faun di Hawthorne, sono assolutamente antichi, se non preistorici. In Italia vi sono famiglie che ritrovano i propri cognomi nei monumenti etruschi delle loro dimore. E Cicerone, Tacito, Livio, Virgilio e molti altri testimoniano che tutta la loro divinazione e le loro pratiche religiose sono state tratte da e basate su l‟autorità etrusca. “Questo” dice Müller “veniva condiviso dalla gente comune. In Italia vi erano scuole, come quelle dei profeti Ebrei e dei Druidi Gallici, in cui veniva insegnato il sistema.” E tuttora esiste tra le streghe toscane un‟ultima reliquia di questo. In tempi posteriori i maghi caldei presero piede a Roma con la loro astrologia, ma gli augures etruschi erano ancora una potenza, tanto che ancora nel V secolo A.D. venivano consultati per la nascita di Claudio. Nel 408 essi protessero Narnia invocando i fulmini contro i Goti (Müller). I libri di magia etrusca erano comuni tra i Romani. Al tempo di Cicerone (Cic. De Div. I, 33) ve ne erano molti. Mi è stato assicurato che esiste ancora una collezione scritta di incantesimi ed amuleti tuttora in uso – mi è stata promessa in dono, ma non sono riuscita ad ottenerla. Ho tuttavia un grosso manoscritto di questo tipo, scritto per me grazie a raccolte e ricordi e che ho usato per scrivere questo libro.
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Ho illustrato ampiamente la mia raccolta con esempi tratti dalla lettura e vi ho aggiunto delle storie che hanno curiose connessioni con le superstizioni e le tradizioni classiche. Vi sono anche alcuni dati riguardo a certe piante, che mostrano in che modo la credenza che molte erbe e fiori possiedano un essere fatato che vi dimora e siano essi stessi esseri fatati sopravviva tuttora, con un livello di personificazione che è da molto tempo scomparso nella maggior parte degli altri paesi europei.
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Prima Parte
Dei e Folletti Capitolo 1 Tinia “Tinia era la Divinità suprema degli Etruschi, analoga allo Zeus dei Greci ad a Jupiter; era il centro del mondo divino etrusco, il potere che parla nel tuono e discende nel fulmine. Egli solo aveva 3 diverse saette da lanciare.” The Cities of Etruria, G. Dennis Era una contadinella con un piccolo carretto a mano per le strade di Firenze. Se fosse stata a Londra avrebbe avuto da vendere delle mele o delle noci, ma era in Italia ed aveva uno stock di antichi classici in pergamena; aveva molto materiale teologico del tipo più tetro, il frammento di un lituus Romano ed un foglio di antiche medaglie di bronzo. Di queste ne presi 12, pagandole 2 o 3 pence ciascuna, come volevo e, quando il pagamento venne accettato con un sorriso, seppi che la venditrice dagli occhi blu aveva realizzato il cento per cento di profitto. Ad un esame vidi che avevo comprato: 1. la medaglia di bronzo che Pietro Aretino aveva coniato in proprio onore con l‟iscrizione Divus p. Aretinus flagellum Principum, di cui avevo spesso letto ma che non avevo mai visto e che avrei dato ogni giorno due pence per possedere; 2. un bronzo molto buono di Giulio Cesare, con la facciata posteriore appiattita con un martello ma con l‟immagine di quel grande uomo perfetta; 3. Nerone Claudio Cesare. Un bronzo dorato in buono stato di conservazione, con l‟occhio malvagio ed il collo taurino eseguiti a perfezione;
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una strana ed antica medaglia greca in bronzo bianco duro di Luson Basileös, con sull‟altro lato apparentemente le Tre Grazie con la scritta Apol ed accanto Dionuso Lares. Qui viene chiamata “denaro delle streghe”; 5. una medaglia del 1544, perfetta, rappresentante un Cardinale che, dall‟altro lato, è un giullare con cappello e campanelline con il motto Et Stulti aliquando sapite. Tutte erano interessanti e curiose ma non mi propongo di catalogarle. Ciò che mi ha colpito è stata la notevole rassomiglianza di tutti questi ritrovamenti – ed il modo in cui li ho avuti – con le leggende ed altre tradizioni che ho raccolto in queste pagine. Anche queste discendono dai tempi dell‟antica Roma; alcune sono tristemente rovinate ed altre, come il Nerone, sono ricoperte con una spessa patina olivastra che è stata rimossa per restaurarle, così come un curato inglese “restaura” una chiesa gotica; altre ancora, come il Giulio, hanno solo una leggera ruggine; alcune appartengono al rinascimento cattolico-pagano – una è una Leone I; in breve, in una società come nell‟altra vi sono gli stessi elementi, i Lari cristiani e pagano sono stati mutati in goblin, Dionysus-Faflon, denaro delle streghe, volgarità e grandezza imperiale. E tutte sono state raccolte, le medaglie come le cose varie, insieme alle loro leggende da povere contadine che ignoravano beatamente le loro origini classiche eccetto per il fatto che in esso vi era qualcosa di magico. Se riflettete un istante su questi oggetti, capirete che il bronzo della mia medaglia di Giulio Cesare può provenire dalla fusione di altre medaglie o oggetti più antichi di quando nacque colui che, come un Colosso, fu padrone del mondo. Più grezzo è un bronzo e più antico potrebbe essere; perciò ne deriva che queste leggende toccano la notte dei tempi. Vero è anche che vi sono cose grezze risalenti a date posteriori e nella mia collezione ve ne sono alcune. Procederò ora con una delle mie prime scoperte.
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Aplu, Tinia, Teramo Heine ha mostrato nel suo Gods in Exile come le antiche Divinità classiche siano scese nel mondo dopo essere state detronizzate. Se lui fosse stato consapevole dell‟umile condizione in cui erano stati ridotti in Toscana avrebbe avuto conferma della sua opinione. Cominciamo con Jupiter: “Gli Etruschi” scrive Ottfried Müller “adoravano un Dio che veniva paragonato al Romano Jupiter, la Divinità guida, e che veniva spesso chiamato in questo modo ma che in Toscano veniva conosciuto come Tina o Tinia. Tina era quindi il più importante dei loro Dei, il punto centrale dell‟intero pantheon di Divinità. Veniva onorato in ogni citta toscana ed anche a Roma – almeno fino ai tempi dei re etruschi, insieme a Juno e Minerva, nel tempio della cittadella. Nell‟arte toscana nelle sue mani vi era sempre il fulmine; egli è il Dio che parla in esso e discende in esso sulla terra.” “Conosci il nome Tinia?” chiesi alla mia autorità stregonesca, che non conosce solo i nomi popolari della mitologia toscana attuale ma anche i termini più reconditi conservati tra le strege, le streghe. “Tignia o Tinia? Sì; è un grande folletto (uno spirito, un goblin) ma maligno. Procura molto danno. Sì, è grande ma cattivo.” E quindi si prese una pausa per riflettere, quindi riprese: “Tinia è lo spirito del tuono, del fulmine e della grandine. E‟ molto potente. Se un contadino lo maledice, allora giunge un temporale o una grande tempesta ed egli appare nel fulmine e brucia tutto il raccolto. Se il contadino comprende ciò che è accaduto e chi ha rovinato i campi, capisce che è stato Tinia. Va quindi a mezzanotte al centro del campo o della vigna e chiama: „Folletto Tinia, Tinia, Tinia! A te mi raccomando che tu mi voglia perdonare, se ti ho maledetto non l‟ho fatto per cattiva intenzione, l‟ho fatto soltanto in atto di collera; se tu mi farai tornare un buon raccolto, folletto Tinia, sempre ti benedirò!‟”
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Questo, penso, stabilisce l‟identità del moderno Tinia con l‟antico Dio del tuono. Secondo Müller, questo nome appare solo una volta come Tina. La sua forma spesso si trova sugli specchi. E‟ molto interessante sapere che tuttora esiste come reale un‟invocazione al Giove etrusco e che, quale umile usanza, viene ancora adorato. Esiste un‟altra invocazione al tuono ed al fulmine, ma non è collegata con questa Divinità. E‟ la seguente: “Quando vedi tuoni e fulmini devi dire: „Santa Barbara benedetta, liberateci dalla saetta e dal gran tuono! Santa Barbara e San Simone, San Simone e Sant‟Eustachio, sempre io mi raccomando!‟” Perché vi sono due distinte religioni in Romagna, “una è buona se l‟altra fallisce” e molti credono ancora che gli spiriti o gli antichi Dei siano, in complesso, quelli su cui contare maggiormente. E‟ vero che questo sta scomparendo molto rapidamente e che solo pochi dei fedeli conoscono ancora i nomi e le invocazioni, tuttavia essi esistono ancora. Tra dieci anni alcuni dei più importanti di questi nomi di Dei saranno scomparsi; ora come ora, essi sono conosciuti solo da pochi tra i più vecchi contadini o da una strega, che mantiene questa conoscenza segreta. Stranamente connessa con Tinia è l‟erba che porta lo stesso nome e che viene considerata dal popolo con grande rispetto a causa delle sue qualità magiche superiori. Essa stessa è, infatti, uno spirito. Un esemplare mi è stato portato da Rocca San Casciano, con ciò che segue: “La pianta di Tigna dovrebbe essere tenuta in gran conto perché, quando uno è afflitto dallo spirito Tigna (Tinia) dovrebbe mettere questa erba in un piccolo sacchettino rosso e portarlo sempre con sé, specialmente al collo dei bambini. Quando Tigna comincia a molestare una famiglia è davvero terribile. Con questa pianta ci facciamo ogni mattina il segno della croce e diciamo: „Padre, in pace se ne vada per mezzo di questa erba quella testa di Tigna. Figlio, in pace se ne vada quello spirito maligno. Spirito in carne ed ossa, in pace te ne possa andare; vattene e per mezzo di questa erba in casa mia tu non possa entrare; e forza di farmi del male più non avrai.‟ E non dimenticate mai di benedirvi con questa erba.” Questo incantesimo è stato ricordato non perfettamente ed è certamente una forma spezzata, come nel caso di altri che non sono stati ricordati per molti anni. Tigna, come il lettore ricorderà dalla prefazione, viene descritto da V. Del Vivo come “il grande folletto del fulmine, che da lungo tempo è a Dovadola, dov‟è tuttora conosciuto.” La sua esistenza è ben confermata ma
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egli è una delle Divinità che stanno rapidamente scomparendo e che sono orami conosciute solo da molto pochi. In complesso, è molto più temuto che amato ed anche il Tinia degli Etruschi era una Divinità, al contrario di Jupiter, orribile e spaventosa. Pressochè tutte le Divinità etrusche erano – se paragonate a quelle Greco-Romane – di natura malevola e molte di esse possedevano tuoni ed elargivano molte tempeste e grandinate. Tutto quello che, con le debite proporzioni, il lettore troverà negli spiriti che esistono a tutt‟oggi in Toscana ed in Romagna. Si deve osservare che il nome di Tinia o il suo equivalente, si ritrova nelle leggende toscane come quello di un grande signore, il più ricco di tutto il paese- Come nella storia La Golpe, nelle Novelle Popolari Toscane di Pitré, il Marchese di Carabas nell‟italiana “Il Gatto con gli Stivali” viene chiamato “il Sor Pasquale del Tigna”. Sia nella storia inglese che in quella italiana il misterioso ed invisibile o nascosto Marchese, come il Sor de Tigna, è un deus ex machina, un potere superiore che viene sfruttato a beneficio del povero eroe. Non penso sia forzare la questione il congetturare che abbiamo in lui un Dio in esilio o un Dio disceso nel mondo. “Caduto dalla sua alta dimora.”
Teramo (Turus, Mercurio)
Teramo Il racconto che segue riguardo a questo spirito è stato ottenuto da molte persone autorevoli, ma specialmente da un‟anziana donna che viveva non lontano da Forlì ed è per diverse ragioni molto interessante:
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“Teramo è uno spirito favorevole a ladri e mercanti. Quando una banda di ladri di incontra in qualche luogo chiuso per progettare un furto, Teramo è sempre presente per aiutarli, a meno che essi non intendano uccidere (se non ragionano di spargere sangue). Ma se non progettano violenza di quel tipo egli è sempre là, anche se essi non vedono che un‟ombra. Quindi egli dice: „Giovanetti, presto all‟opera ed io verrò in vostro aiuto – lavorate in pace e non sarete scoperti ma non dimenticate di aiutare i poveri che hanno un grande bisogno. Fate questo ed io vi mostrerò cosa fare; ma se dimenticate la carità allora verrete scoperti e così non godrete niente.‟ Ma se essi intendono spargere sangue egli probabilmente metterà le loro vittime in guardia e causerà il loro arresto. Con i mercanti o i commercianti, se uno aveva del bestiame o qualcosa del genere da vendere Teramo era sempre all‟opera. E talvolta giocava brutti scherzi, come quando uno che aveva una bella moglie – o figlia che fosse – che tornò a casa per errore e la trovò a letto con un bellissimo uomo. O se un mercante concordava di spedire della merce ad un cliente in un certo periodo e mancava questo appuntamento, Teramo faceva sparire la merce e l‟uomo cui era stata promessa se la ritrovava in casa senza bisogno di pagare. Se avesse pagato, egli avrebbe ripreso la merce. Teramo è anche uno spirito messaggero e porta notizie da una città all‟altra o da una parte del mondo ad un‟altra molto velocemente. Ma per ottenere questo aiuto si deve andargli a genio (bastava però farsi prendere da lui a simpatia), così un piccolo proprietario terriero o un ladro e simili sono suoi amici. Quando qualcuno, ladro o innamorato, desidera mandare notizie ad un amico, deve entrare di notte in cantina e pregare Teramo, dicendo: „Teramo, Teramo, se è vero che tu mi sei amico io ti prego: che questo messaggio che io mando possa raggiungere velocemente e sicuramente la sua meta!‟ Quindi prende un piccione e lega il suo messaggio alla sua zampa, dicendo: „Vai, vola lontano per me e che Teramo di faccia compagnia!‟ Ma non si deve mai dimenticare lo spirito Teramo (sempre però rammentarsi dello spirito di Teramo).” Quest‟ultima esortazione significa che non ci si deve mai dimenticare di fare la giusta invocazione o di rivolgersi a lui nei tempi indicati. Abbiamo qui piuttosto evidentemente Mercurio, “la Divinità guardiana dei mercatores e dei collegii mercatorum così come dei ladri, che era il messaggero dai piedi alati degli Dei”, nonostante coloro che mi hanno raccontato questa storia non sapessero nulla del nome di Mercurio. Ma potrebbe essere che abbiamo qui in Teramo l‟antico nome etrusco di Mercurio, molto cambiato. “In Etruria” scrive Preller (Rom. Myth., pag.
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597) “il Greco Hermes veniva chiamato Turms, che è formato dal nome Greco così come Turan proviene da Urania.” Tutms o Turmus venne italianizzato in Turmo, che nell‟accento romagnolo, con una R prolungata, è diventato naturalmente Turamo. Siccome il nome di Teramo era molto importante, mi sono premurato di verificare in modo particolare che quanto mi era stato detto fosse autentico. Come il lettore ha visto nella prefazione, Tito Forconi ha testimoniato che a San Benedetto le azioni di Teramo come spirito guardiano di mercanti, ladri e messaggeri “sono state riferite per molti anni”. E da allora anche altri hanno testimoniato di conoscerlo. Egli è, tuttavia, uno di quelli che stanno rapidamente divenendo sconosciuti o dimenticati, eccetto che tra gli anziani, come ha dichiarato Peppino – questo perché, suppongo, i preti naturalmente odiano avere rivali nel garantire il perdono a ladri, camorristi, eccetera. “Fur ac nebulo Mercurius," dice Lattanzio "quid ad famem sui reliquit, nisi memoriam fraudum suarum?” E‟ importante sottolineare che ho avuto maggiori difficoltà a raccogliere delle prove dell‟esistenza di alcuni nomi particolari quali Tigna, Faflon e Teramo che erano, tuttavia, di grande importanza. “E‟ una buona cosa che tu sia venuto quando ti sei cominciato ad interessare di queste cose” disse un‟informatrice “perché nel giro di pochi anni la maggior parte di questi nomi sarà dimenticata da tutti.” Ed io credo sinceramente che in dieci anni non ne sopravviverà un decimo. Ed è stata una grande occasione quella in cui mi sono imbattuto a Firenze: la persona che tra tutte aveva un amore innato per la magia, le storie strane e le vecchie canzoni, che era essa stessa una veggente ed a cui erano stati insegnati gli antichi nomi degli spiriti ed innumerevoli incantesimi da una matrigna strega. Se non fosse stato per lei, avrei potuto cercare invano la maggior parte di ciò che ho scritto in questo libro. E‟ forse importante citare la connessione tra Teramo – un tempo Teramus – ed un antico Dio Sciita, Tharamis, di cui Lucano (1, I, Pharsal.) dice: "Et Tharamis Scythicæ non mitior ara Dianæ." Pare sia stato un Dio celtico, adorato dai Bretoni. Selden descrive un‟iscrizione che collega Tharamis deabus matribus con le Divinità materne, che lo identificano non con Giove ma con Mercurio. Ma di questo Dio celtico e di qualunque sua possibile connessione con Teramo non vi è in realtà alcuna prova. Sugli specchi etruschi, dice Dennis, il nome di questo Dio è generalmente Turms o Thurms; in un caso egli viene chiamato Turms Aitas o l‟infernale Mercurio (Gerhard, Etrus. Spiegel, II, tavola 182). Veniva associato da Tarquinio ai tre grandi Dei (Serv. Ad, Aen., II, pag. 296).
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Buschet Questo racconto mi è stato fornito a conclusione di quello di Teramo con cui, tuttavia, ha una connessione molto modesta: “Lo spirito Buschet era sempre in compagnia di Teramo in tutto ciò che faceva. Se un uomo aveva delle figlie graziose allora gli andava tutto bene, se non ne aveva nessuna subiva dei danni. C‟era un mercante che aveva una figlia molto bella ma Buschet non riusciva a persuaderla né ad entrare in casa, perché ella aveva avuto un innamorato il cui corpo, quando egli morì, ella tramutò in pietra e lo mise in una cassapanca, che teneva segretamente sotto il suo letto. E Buschet non poteva entrare in una casa in cui vi era un cadavere. Allora pensò di cantare una canzone che l‟avrebbe messa in allarme, ma ella non si spaventava in alcun modo, tanto grande era l„amore che provava per il morto. Ed egli cominciò a cantare: „O rosa, o amabile rosa! Così io ti chiamo perché tu sei così bella che sembri una rosa davvero; e siccome sei bella, o bellezza, vorrei premerti contro le mie labbra e baciarti dolcemente. E mi pare una cosa malvagia che tu abbia un innamorato morto sotto al tuo letto; non è una tomba adeguata e se tuo padre sapesse che è lì cosa direbbe allora? Dimmelo, povera ragazza! Ti do un consiglio, ora, e ti dirò cosa fare. Prendi il tuo innamorato morto da sotto al tuo letto e portalo via. Se ne andrà anche il male. Sei in pericolo mortale, perciò stai attenta; sei stata avvisata!‟ Ma ella non gli diede ascolto nè si spaventò, bensì andò a pregare sul corpo del suo innamorato. Allora Buschet andò a cantare sotto la finestra del padre: „O buon mercante, sotto la tua finestra canterò un piccolo stornello e spero che tu, con pazienza, ora ascolterai ciò che dirò; altrimenti ti garantisco che te ne pentirai! Tu sai bene che tua figlia da un anno rimane nella sua stanza; non pensavi che fosse così simile ad una santa o magari ad un vero angelo e non hai mai parlato così bene di lei! Ma invece, buon mercante, sappi che ella ti tradisce. Sono davvero spiacente di doverti dire che tutta la sua vita è votata al male e che lei ti copre di grande disonore. Vai nella stanza di tua figlia; vacci alle dieci e non la troverai dormiente nel suo letto, ma inginocchiata sopra ad una cassa che contiene un uomo morto mutato in pietra; oh, vergogna e dolore per te! Porta via quella bara, nascondila velocemente, perché se la giustizia sapesse di essa saresti nei guai, come sai, e ben presto, tutto a causa di quella tua figlia svergognata.‟ Nell‟udire questo il mercante, alzandosi, cercò la stanza della figlia, aprì la porta e la trovò a pregare sopra il suo innamorato freddo come pietra; le chiese quindi in che modo il morto fosse lì. Ed ella, tutta tremante, rispose: „Questi è colui che mi ha amata così teneramente, ah, troppo teneramente –
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ogni notte dormivamo assieme fino al mattino ma una notte egli morì tra le mie braccia. Ed io feci ciò che Dio mi ispirò: dalla mia stanza egli non sarebbe mai rinato perché io lo avrei tenuto qui a pregare per lui, amandolo sempre. Ora che è morto non è un peccato baciarlo.‟ Ma il padre non ascoltò il suo lamento nè la sua supplica; non si curava del suo dolore, perciò portò fuori l‟innamorato e lo mise nel camposanto. Così, naturalmente, Buschet fu felice. Il tempo passò ed ella udì di nuovo il suo canto; nell‟udirlo, dimenticò il suo innamorato ed alla fine lo spirito trionfò.” Questa traduzione è molto simile all‟originale in quanto a parole e metrica, nonostante non ne possieda la sua grazia delicate. Il lettore non potrà tuttavia mancare di osservare lo spirito selvaggio ed inquietante della stregoneria, il desiderio di una giusta morale o di un giusto sentimento umano e la maniera straordinaria in cui questa “povera semplice Isabel”, dopo tale squisita devozione all‟innamorato morto, lo dimentica per Buschet. Ma alla strega tutto questo suggerisce qualcosa di così completamente diverso che è pressochè impossibile da spiegare. La sua simpatia va al goblin o al Dio; egli è per lei come la Divinità Indiana e la baiadera del poema di Goethe. Nella ballata tedesca la ragazza deve passare attraverso il fuoco per innalzarsi al cielo; così ella sopporta una pena per divenire adatta allo spirito Buschet. E‟ il trionfo dell‟astuzia del mago senza scrupoli che delizia il poeta romagnolo e che interessava alla donna che mi fece il racconto. Questa faccenda della ragazza che aveva conservato nella bara il suo innamorato morto, su cui piangeva ogni notte, somiglia molto ad una storia delle Mille e Una Notte “dove una bella principessa, che è anche una strega, conserva il corpo di un amante negro, grazie alla sua arte magica, in stato di vita apparente e lo copre dei baci della disperazione cercando, con la grande magia dell‟amore, di risvegliarlo dal suo stato di mezza-morte alla vera pienezza della vita”. A questo proposito Heine dice: “Anche da ragazzo, leggendo questa storia araba, rimasi colpito da questa immagine di un amore passionale ed incomprensibile.” Rimane solo da sottolineare che “Hermes ed Apollo nei miti divennero presto amici” (The Etruscans, by John Fraser, B.A.). Buschet, in quanto compagno di Teramo, sarebbe altresì Aplu, Aplus o Apollo; ma non posso stabilire alcuna identità tra i nomi. Schet è una terminazione romagnola ed Apluschet è abbastanza possibile, nè è più remoto dall‟originale di quanto lo sia Teramo da Hermes; ma un lavoro del genere difficilmente sarebbe filologico. Apollo, come Buschet, provava una grande antipatia per i cadaveri e la pestilenza.
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Impusa della Morte “Vidi un Fantasma, in disusato aspetto, che richiamò dal suo furor la mente, mirabil mostro, e mostruoso oggetto. Donna giovin di viso, antica d' anni.” Satire di Salvator Rosa Impusa della Morte è probabilmente l‟Empusa dei Greci. E‟ una strega terribile, molto temuta. Vi è un breve detto o invocazione a lei rivolto: “Impusa della Morte mi destavo! (o mi svegliavo!).” Ella appare come mendicante errante, confuse con Feronia dei Mercati. Di lei sono venuto a sapere: “Impusa (chiamata anche Infrusa ed Infusa) era una strega così malvagia che causava tutto il male che poteva ed era così avara che non avrebbe dato un soldo a nessuno che glielo avesse chiesto. Questa vecchia strega possedeva un bel castello ma non permetteva nemmeno ai suoi parenti più stretti di entrarvi, per timore che potessero portarle via qualcosa. Infine morì e, prima di morire, nascose tutte le sue ricchezze. Appena fu morta il palazzo venne scosso da un terremoto e si sentì uno scuotere di catene come se lì intorno vi fossero tutti i diavoli dell‟inferno; la finestra si aprì e dalla sua mano volò via una cornacchia, che era la sua anima, che andò all‟inferno. Venne seppellita in quell‟angolo della chiesa che viene tenuta per i non battezzati. Il palazzo rimase vuoto, con solo pochi mobili, nonostante si sapesse del grande tesoro che vi era seppellito in esso. Ed alcuni di coloro che entrarono morirono di paura. Questa strega aveva un nipote cui era attaccata e fu a lui che apparve una notte, a mezzanotte, dicendo: „Nipotino, bel nipotino, per il bene che t‟ho voluto levami da queste pene; perché non avrò bene fino a che tu non avrai scoperto il mio tesoro. Io sono la tua zia, la tua zia Infrusa; così mi chiamo, essendo sempre infrusa col mio danaro, ma se tu avrai tanto coraggio da scoprire il tesoro che ho nascosto io sarò felice e tu sarai ricco; ma ti raccomando che tu abbia coraggio e di non spaventarti, perché tutti quelli che son morti sono morti per la paura.‟ Il nipote della Infrusa andò quindi a dormire nel palazzo; accese un bel fuoco e si rifornì di buon vino e buon cibo, quindi si sedette presso il fuoco a mangiare. Verso mezzanotte udì una voce ululare giù per il camino: „Butto?‟ Ed egli rispose: „Butta via!‟ E venne gettata giù prima la gamba di un uomo, poi un piede, un braccio, una mano e la testa e quindi tutte le parti di dodici uomini. E quando furono tutte giù si riunirono e formarono dodici uomini, che rimasero in piedi a guardarlo. Ma lui, calmo e tranquillo, chiese loro se volessero mangiare o bere. Ed essi risposero: „Vieni con noi!‟ Ma lui disse: „Ho mangiato e bevuto, non voglio andare via.‟ Allora essi se lo caricarono sulle spalle e lo trasportarono lontano fin dentro ad una cripta,
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presero delle vanghe e gli dissero di sceglierne una e scavare. Ed egli rispose: „Ho mangiato e bevuto e lo farò.‟ Così scavarono tutti assieme ed infine giunsero al tesoro ed era molto grande. Quindi uno di loro gli disse: „Va‟ a letto, tu che sei il padrone del tesoro e di questo bel palazzo e di tutte queste ricchezze per il tuo gran coraggio; e la tua zia Infrusa starà in pace ma sarà sempre un folletto che verrà tutte le notti a vedere i suoi danari, essendo tanto egoista; ma tu ne sarai sempre il padrone.‟” Questa è una variante di una ben nota storia di fate ma ha qualche valore nell‟indicare il carattere della Impusa. E‟ possibile che questa sia, nella sua rozzezza, un‟antica versione della storia. Va osservato, in questa come in altre storie toscane del genere, che la strega viene liberata dalle sue sofferenze non appena viene sollevata dalla responsabilità del proprio tesoro. In altre narrazioni ella trova pace non appena passa il proprio potere di strega a qualcun altro. In tutto ciò trovo che solo il nome sia in comune con il racconto greco di Empusa, che aveva una gamba di un asino ed una di ottone. Non è importante, dunque, che il nome sia greco, perché i Toscani hanno fin dai tempi più antichi avuto rapporti con la Grecia ed il nome è diventato popolare in Italia in data posteriore come nome di uno spirito orso che era uno degli Dei animali minori. In un‟opera molto curiosa e rara, tuttavia, intitolata Idea del Giardino del Mondo di Tommaso Tomai di Ravenna (seconda edizione, Venezia, 1690), siano citati “demoni chiamati incubi, succubi o empedusi ed altri lemuri che sono innamorati di uomini o donne.” E‟ importante anche notare che di questi nomi toscani poco è cambiato. E‟ poco importante che la Impusa non appaia nel racconto moderno con un piede di ottone o come quello di un asino (alterum verò habeat æneum aut asininum, Suidas); fin dal Medioevo questa parola veniva spesso usata come sinonimo di Lamia, Lemure o strega di qualunque genere.
Siero Siero, nella moderna mitologia toscana, è un folletto cattivo e birbone. Vi è anche il femminile dello stesso nome: Siera. Di lui abbiamo il seguente racconto: “Quando Siero è in collera con la famiglia di un contadino ed egli, incurante di ciò, va a mungere il bestiame, munge ciò che appare del buon latte; ma quando sta per essere usato esso si muta in acqua verde, che viene chiamata siero dal nome del folletto. Allora il contadino, per far sì che le cose vadano nuovamente bene in casa propria, implora Siero di essergli favorevole. Al che il goblin viene a bussare alla porta della casa e, se il contadino ha una figlia graziosa, grida: „Sì, ti farò felice, ma devi lasciarmi dormire una notte
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con tua figlia.‟ Ma, se ha una figlia bruttina, Siero ride e dice: „Se avessi avuto una ragazza meno brutta e tu ti fossi burlato meno di me io ti avrei reso ricco. Ma siccome tua figlia è così bruttina io non posso vendicarmi di tutte le brutte cose che hai detto di me.‟ E se il contadino ha delle ragazze né brutte né belle Siero grida: „Se ti ricorderai di benedirmi ogni giorno io ti farò felice; ma se dovessi scordartene sarai infelice per tutta la vita.‟” A Siero veniva associata Chuculvia, o Ch'uch'ulvia (con la ch fortemente aspirata dei Toscani), di cui ho potuto sapere che sulla terra fu un grande stregone ed ora è divenuto uno spirito maligno. Non pretendo di suggerire che questi siano discendenti o forme delle Divinità etrusche, ma vorrei sottolineare una coincidenza di nomi davvero singolare in un passaggio dell‟ Etrusker di Müller (vol. II, pag. 110, note): “Su un vaso vi è una Dea della morte, Asira, che sorregge un‟ascia sulla testa di Anfiarao. Una furia, Tuxuxla (Tuchuicha) con un becco d‟uccello, lega con dei serpenti Teseo, condannato al mondo di sotto, in un‟immagine su un muro nella tomba dell‟Orco, a Corneto.” Probabilmente in questa somiglianza di nomi non vi è null‟altro che la somiglianza stessa, ma è interessante il notarlo. .
Norcia, la Dea dei tartufi “Ye elves of hills, brooks, standing lakes and groves, And ye that on the sands with printless foot Do chase the ebbing Neptune, and do fly him When he comes back; you demi-puppets, that By moonshine do the green-sour ringlets make Whereof the ewe not bites; and you whose pastime Is to make midnight mushrooms.” The Tempest, Atto V, s. I “Nortia era la Dea del destino.” History of Etruria, T.Emilton Gray C‟è uno spirito rurale toscano di cui ho potuto sapere poco, eccetto che essa ha la predisposizione a portare guai. Una delle sue specialità è quella di distrarre e disturbare i cani quando cercano i tartufi. E‟ possibile che in altri momenti ella abbia da fare cose più dignitose. Il suo nome è Norcia, o Nortia. Nortia era nei tempi antichi una Dea etrusca molto importante –
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una Fortuna, secondo Müller. Il suo tempio era famoso presso gli archeologi romani per il calendario con dei chiodi infissi. Una iscrizione in esametri proveniente da Volscinium (Burmann, Anthol. Lat., cl. I, cap. XIX, pag. 57) comincia con: “Nortia te veneror lare cretus Volsiniensi”. Ma in tutto ciò io non trovo tartufi, bensì solo la riflessione che dovunque i contadini riducono gli Dei a fare piccole cose. E‟ vero che abbiamo due Dee con lo stesso nome nello stesso paese e questo è qualcosa. Nello scrivere questo ho scoperto che, quando un cercatore di tartufi non ha fortuna nello scoprire i suoi preziosi tuberi, si rivolge al suo cane in questo modo: “O cane, cane che da me sei tanto amato, la fortuna mi hai levato non trovandomi più i tartufi. Dunque, cane, mio bel cane, alla folletta di Norcia vatti a raccomandare che i tartufi ti faccia ritrovare e così io la portò tanto ringraziare; che la fortuna mi voglia ridare!” Per una straordinaria coincidenza, i tartufi vengono anche chiamati chiodi, perché le loro teste sono tonde e piccole. E Norcia è stata identificata con i chiodi (Preller, Myth., pag. 231). “E, dopotutto, è possibile – o anche probabile – che questa Norcia dei tartufi non abbia nulla a che fare con Nortia, ma prenda il proprio nome dalla città di Norcia o Norchia, famosa per i suoi maiali ed i suoi tartufi.” Così mi ha suggerito un amico molto colto. Tuttavia, tutti gli Dei principali degli Etruschi hanno dato il nome alle città. Di questo troviamo nella Etruria di Dennis (vol. I, pag. 204) che “Orioli suggerisce che la città di Norchia sia identica a Nyrtia, citata dall‟antico scoliasta su Giovenale (X, 74) come la città nativa di Seiano, che ha dato il suo nome o ha derivato il proprio dalla Dea Nortia, o Fortuna.” Come ho detto, questa Dea veniva identificata con i chiodi perché nel suo tempio a Vulsinii ogni anno il sacerdote piantava un chiodo nella porta, che aveva la funzione di una sorta di registro (Preller). Può sembrare ridicolo collegare questo con il nome volgare dato a funghi ed a tartufi; ma tali similitudini sono comuni tra la gente e non muoiono mai. Potremmo ricordare qui che Sant‟Antonio viene invocato dai contadini cattolici quando vanno in cerca di tartufi. Ma Norcia, come Dea della terra, si potrebbe supporre conosca meglio dove si trovano; perché ella era indubitabilmente una Dea di sotterra, una forma di Persefone. Nortia è tuttora generalmente conosciuta in Romagna, come attestano i contadini. Di una cosa non vi è alcun dubbio: la sua specialità è quella di fare “funghi a mezzanotte”.
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Nortia Dal museo etrusco di Gori
Aplu “Triste guarda Febo Apollo, il giovane; la sua lira non suona più che un tempo suonava con gioia alle feste degli Dei.” Which once rang with joy at the feasts of the gods." The Gods of Greece, H.Heine “Il nome del Dio Greco Apollo appare frequentemente sugli specchi di bronzo etruschi come Aplun, Apulu, Aplu.” - Über die Sprache der Etrusker, W. Corssen, vol. I, pag. 846. Quando, nel novembre del 1891, ritornai a Firenze, dopo qualche ricerca ritrovai la mia autorità principale nelle antiche tradizioni installata in ciò che, 300 o 400 anni prima, era stato un palazzo. Chiesi alla strega se conoscesse il nome di Aplu. Ella lo conosceva e le risvegliava alcuni ricordi nebulosi; ma disse che doveva consultare una vecchia di sua conoscenza, a quel riguardo. “Arriverà parlando.” E questo fu il risultato della consultazione: “Aplu è uno spirito che ama molto i cacciatori. Ma se loro, quando sono sfortunati nella caccia, parlano male di lui, allora durante la notte lui va a togliergli le coperte dal letto e fa loro sognare di essere all‟aperto e di avere avuto una caccia prosperosa. Quindi fa loro avere un incubo e la preda pare perduta. Ed essi si svegliano con il desiderio di cercare per i boschi e se gli esprimono il loro desiderio (per esempio invocandolo) ritorneranno quella
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mattina con molte prede.” Ed aggiunse qualcosa di simile: “E con lo spirito di Aplu sempre nella mente.” Fece quindi una pausa, poi disse: “Aplu è il più bello tra tutti gli spiriti maschili. E‟ anche uno spirito della musica e quando qualcuno vuole diventare un buon cacciatore o un buon musicista o un uomo istruito - un uomo dotto e di talento - deve ripetere: „Aplu, Aplu, Aplu! Tu che sei buono e tanto sapiente, e sei dotto e di talento, Aplu, Aplu, Aplu! Tu che sei tanto buono e da tutte leparti del mondo sei rammentato e da tutti si sente dire: Aplu, Aplu, Aplu! Anche lo spirito deve essere generoso e darci fortuna e talento. Aplu, Aplu, Aplu! Io ti prego di darmi fortuna e talento!‟ Questa formula mi è stata fornita in uno stato così confuso ed irregolare, dovuto all‟imperfetto ricordo della narratrice, che ho trovato delle difficoltà a renderla in questa forma. Aplu, come viene descritto in dettaglio da tutti gli scrittori che parlano di mitologia etrusca, era Apollo. E‟ una delle figure più comuni su vasi e specchi. La mia informatrice non ha mai udito il nome “Apollo”, come ho scoperto grazie a domande specifiche. Le chiesi se avesse mai visto la sua statua agli Uffizi ma, nonostante ella vivesse da molti anni a Firenze, non era mai stata in una galleria, così le diedi un franco e le raccomandai di investirlo in una lezione pratica di mitologia. Né lei ricordava di avere mai sentito parlare di Venere, il cui nome è molto familiare a tutti gli Italiani del sud e del centro, nonostante sapesse tutto di Turana, il suo originale etrusco, come appare in un altro capitolo. Ad alteram jam partem accedamus, come dice Gladstone.
Turanna “Turan è il nome etrusco di Venere ed appare così frequentemente insieme alle più indubitabili rappresentazione della Dea che è tempo perso il ricercare le sue origini etrusche,come ha fatto Müller, nalla latina Venus Fruti o di identificarla, secondo Schwenck, con Hera.” (Über die Gottheiten der Etrusker. Ed. Gerhard, Akademische Abhandlungen, Erster Band, pag. 324). Occorse molto tempo per trovare questo nome ora quasi dimenticato, ma un giorno esso spuntò come per caso o per ispirazione e quindi mi vennero raccontati i seguenti dettagli: “Turanna è uno spirito che, quand‟era in vita (o sulla terra), era una fata molto bella e buona e fece del bene a tutti quelle che erano come lei. Vi era in una terra una madre con un figlio che vivevano in grande miseria. Questa fata, con la sua bacchetta magica trasportò questo giovane tutto stracciato in un luogo lontano. Lei era là e gli chiese perchè egli si fosse
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Aplu (Apollo) ed Artemisia spinto così lontano in una contea dove non vi erano erbe per nutrirlo. Il giovane rispose che uno spirito benevolo lo aveva trasportato lì per fare la sua fortuna. La fata rispose: „Quello spirito sono io e farò di te un re.‟ Il giovane la guardò meravigliato e disse: „Signora, è impossibile che un miserabile quale io sono possa mai diventare un re.‟ „Vai, giovane, a quell‟albero che vedi. Vai sotto all‟albero. Là troverai delle noci, che porterai al re. La tua fortuna è promessa e la tua fortuna arriverà quando sarai sotto l‟albero. L‟albero che vedi là sotto. Porta le sue noci al re.‟ Egli si scoprì vestito come un signore e trovò un cesto di noci, tutti diamanti brillanti e perle preziose, ed una corona, su cui loro danzavano e cantavano. „Porta queste cose al re‟ disse la fata „e digli che desideri sua figlia in moglie. Egli inveirà contro di te con malevolenza. In quel momento, per magia farò apparire la principessa come se fosse incinta ed ella dirà che tu sei il suo sire. Allora il re, per evitare uno scandalo, la darà a te. E nell‟istante in cui sarete sposati ella non apparirà più incinta.‟ Così accadde. Quando il re montò in collera Turanna era in una foresta oscura, con in mano la carta del re di cuori - che era il povero giovane -, il re di picche che era il re – e la regina di cuori, che era la principessa. Il suo incantesimo, ciò che cantò per incantare il re: “Io sono Turanna la fata. Fino a che vivrò, la fata Turanna io sarò. E quando morta io sarò lo spirito di Turanna diverrò, sempre scongiurata, e chi lo meriterà molte grazie da me riceverà! Io, Turanna, bene e fortuna per quel giovane voglio fare, tre diavoli benigni vengo a scongiurare: uno per il re, che lo faccia convertire; uno per il povero, che fortuna gli faccia avere; uno
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per la figlia, che la faccia presentare al padre incinta e dire che è incinta del giovane che ha chiesto la sua mano. Questi tre diavoli scongiuro che piglino il re per i capelli e lo trascinino forte forte, gli diano le pene della morte, che non possa vivere e non possa stare fino a che la figlia a quel giovane non acconsentirà a dare.‟ E così il re acconsentì e, quando vide che in un istante sua figlia non era incinta, disse: „Sono stato gabbato dalla fata Turanna e mi sentivo come se stessi morendo e mi sentivo strappare via i capelli dalla testa.‟ Ma la sua parola era data ed egli non poteva ritirarla, così essi si sposarono e furono felici. E così il povero giovane, grazie alla protezione di Turanna,, conquistò un regno ed una moglie, si prese cura della madre e, a tempo debito, ebbe un bel figlio.” L‟intera storia è in realtà una canzone. Appare molto antica e viene riportata in una forma evidentemente abbreviata o quasi mutilata. L‟anziana donna che la ripetè non la ricordava bene. E di Turanna mi venne detto anche che: “E‟ uno spirito degli innamorati, di pace ed amore ed è la Dea della bellezza. Quando un giovane è innamorato, dovrebbe andare in un bosco e dire: „Turanna, Turanna, che di beltà sei la regina, del cielo e della terra, di felicità e di buon cuore! Turanna, Turanna! In questo folto bosco mi vengo ad inginocchiare perché tanto infelice e sfortunato sono. Amo una donna e non sono corrisposto. Turanna! Turanna! A te mi vengo a raccomandare, le tue tre carte a volere scongiurare che quella giovane mi possa amare. Turanna! Turanna! Fallo per il bene che hai sempre fatto; sei sempre stata tanto buona e generosa, sei buona quanto bella, che di beltà sei la stella!‟” Vorrei sottolineare che Turanna esegue i suoi miracoli e conferisce la fortuna per mezzo delle tre carte vincenti. Le carte sono i successori dei dadi in questa mitologia modernizzata ed è significativo che tra i Romani il lancio dei dadi più alto, i tre sei, era conosciuto come il lancio di Venere. Nuovamente mi dolgo di non possedere una copia di Pascasius Justus de Alea, un piccolo Elzeviro che ricordo comprai a 16 anni con l‟unico denaro che avevo. Ma potrei altrettanto dispiacermi per l‟opera perduta De Alea Lusu (Del gioco dei dadi) dell‟Imperatore Claudiano, di cui parla Svetonio. Ma la Real Encyclopædia di Pauly ci dice che lo jactus Veneris, o lancio di venere, era di tre sei quando venivano gettati tre dadi (Marziale, 14, 14) o 1, 3, 4 e 6 quando ne venivano gettati quattro. Da qui Venere come Regina di cuori ed anche con tre carte. Turanna è perciò probabilmente Turan, la Venere etrusca di cui Corssen, nel suo Sprache der Etrusker, cui sono fortemente indebitato per questo soggetto così come a Gerhard, Inghirami e Lanzi: “Turan è il nome di una Dea che viene spesso rappresentata sugli specchi etruschi come una bella donna completamente nuda o nuda fino ai fianchi, o con un aspetto da
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donna greca, i capelli inanellati o acconciati in maniera artistica e con indosso molti ricchi gioielli. Evidentemente lei è il duplicato etrusco della greca Afrodite.” E‟ molto caratteristico dei giocatori d‟azzardo e dei veggenti italiani l‟amministrare il destino dell‟umanità con le carte, caratteristica di Turanna. Il concetto della sua padronanza del destino con i dadi è probabilmente familiare al lettore come lo era a Rabelais, che faceva decidere con essi i casi al vecchio giudice. Rimane da dire che gli antichi consideravano i dadi cose sacre, ispirati misteriosamente e mossi dallo Spirito del Caso o, quando favorevoli, dalla Signora Venere con il suo gentile modo di fare; il grande, buono e glorioso Imperatore Claudiano scrisse un libro a lode dei dadi. Ma i cristiani posteriori li ebbero in odio, perchè I soldati Romani si giocarono con essi I panni del Cristo; e Bartolomeo Taegis, nel suo Risposte (Novara, 1554), dice che sono stati inventati dal diavolo e che “questo gioco è una tempesta dell‟anima, una nebbia della fama, un improvviso crollo della fortuna – come dimostrato dal re dei Parti, che inviò ad un altro monarca dei dadi dorati per ricordargli la sua incostanza.” A proposito di Turanna e delle sue carte ho qualcosa da dire. Diverse settimane prima del fallimento e della fuga del banchiere di Firenze Emanuele Fenzi, nel gennaio del 1892, la donna cui mi riferisco in particolare in queste pagine come veggente, consultando le carte per scoprire se avrei ritrovato i libri perduti di Livio o gli Annali di Claudiano o qualcos‟altro con la sua cartomanzia trascendentale, si imbattè in certi incidenti o predizioni che non erano collegate con la domanda e che continuavano a ripresentarsi come ospiti inattesi: come spesso accade quando i 25 demoni che vengono sempre invocati per tale divinazione sono più amichevoli del solito e non solo vengono di persona, ma portano con sé tutti i loro amici. L‟intruso principale in questa occasione era un uomo distinto, grande o ricco, da cui stavo per avere o riguardo a cui vi sarebbe stato un gran disturbo, cioè un grande guaio ed un grande parlare. A causa sua io stavo per perdere una piccola somma, ma avrei evitato per un soffio una grossa perdita. Non diedi peso a questo suggerimento di Turanna, sebbene non me ne dimenticassi, fino a quando alcune settimane dopo il fallimento del banchiere Fenzi fece un grande scalpore nella bella Firenze. A causa di quella bancarotta fraudolenta, io persi 460 franchi, ma ero stato sul punto di depositare con Emanuel – che non aveva che un piccolo credito a suo nome – una somma molto maggiore, il che mi avrebbe causato seri problemi; la mia colpevole pigrizia nel lavoro in questo caso mi risparmiò più denaro di quanto avrei guadagnato in tutto l‟inverno tenendovi dietro
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con diligenza. Mi ricordai quindi della predizione della mia Sibilla e ne riporto qui un resoconto accurato di quanto mi ricordo. Nel chiedere alla divinatrice se ricordasse ciò che aveva detto ed in che modo erano “venute” le carte, ella rispose: “Sì” e mi scrisse queste parole: “Quando si fecero le carte esse annunciarono che tu avresti dovuto avere del denaro da (o con ) un gran signore e per questo avresti avuto dei grossi dispiaceri, ma il dispiacere veniva a essere non tanto grande ed in questo disagio era coinvolto un viaggio, tra te e l‟altro signore. E tu ne uscirai bene ma vi saranno lacrime e grande dispiacere per lui.” Vi fu in effetti un viaggio – uno sparo verso la Luna ed uno spostamento di due giorni – a Corfù, come è stato detto, da parte del banchiere. I due racconti – il mio e quello della strega – sono interessanti in quanto descrivono esattamente la predizione come entrambi la ricordiamo. Si osservi che l‟interpretazione delle carte fu perfettamente esatta. “Hæc ita clara, ita explorata sunt, ut frustra sit qui testium nubem in fidem vocaverit.” “E‟ tutto così provato, esplorato, ben provato e chiaro che chi ne dubita lo fa invano.” Manoscritti del Medioevo come l‟“Othea” di Christina de Pisa dicono di Venere che amministra i cuori ed è collegata alle carte fortunate. Ella divenne la Regina di Cuori in un periodo molto primitivo. E‟ importante notare in questa connessione che il venerdì, il dies Veneris, era sempre un giorno fortunato, specialmente per il matrimonio, fino a quando i preti lo hanno invalidato. I Turchi insistono tuttora su questa grande verità, perché essi credono che fu di venerdì che Adamo sposò Eva, Salomone Balkis, Joseph Zuleika (cfr. Mrs. Potiphar), Mosè Sisera e Maometto Chadidscha ed Ayesha.
Pano “Pan! oh, Pan-we sing to thee! Hail, thou king of Arcady!” - Wilson “Eca súthi nési Pan . . . Hanc (cellam) mortale posuit Pan.” Über die Sprache der Etrusker, Von W. Corssen, 1874 Tutti i lettori di queste pagine ricorderanno di avere sentito dire molto tempo addietro che “il grande Pan è morto” ed il modo in cui questo fatto è stato rivelato a Thamnus, un Egiziano che lo proclamò una mezzanotte sotto comando, laddove venne udito un lamento di ninfe, satiri, driadi, oreadi e tutti gli spiriti che vivono nei boschi e nei corsi d‟acqua, come se tutto il popolo fatato dei tempi antichi - mortem obversari ante oculos – si fosse visto la morte davanti agli occhi “perché era in Pan che avevano riposto tutta la loro vita”. Di questo fatto Eusebio e, in tempi più recenti, un poeta inglese troppo dolce hanno discusso, mentre altri dicevano che egli non era
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affatto morto ma vive in eterno in tutta la Natura. “Queste cose hanno spesso occupato i miei pensieri”, nonostante mi portassero una strana sensazione, come di uno che, nell‟aprire una tomba etrusca, avesse visto per un solo istante un antico guerriero – perfetto come in vita – e poi abbia visto andare il suo volto in cenere, scoprii che in Romagna ed in Toscana vi è una soluzione perfetta a questa questione, che riconcilia le diverse opinioni. Perché là il grande Pan in effetti un tempo morì, pare per l‟amore che nutriva per qualche bella ninfa, ma ora vive come spirito oltremodo gentile ed amabile per tutti coloro che lo avvicinano con il giusto incantesimo o inno in nome di lei, scongiuro che io, con mia grande gioia, sono riuscito ad ottenere. Ciò che mi fu detto di lui fu questo – chiamandolo Pano: “Pano è uno spirito benigno per la campagna e per chi gli chiede del bene. Quando era in vita aveva un amore che amava grandemente. Chiunque implori da lui un favore deve andare di sera in un campo ed inginocchiarsi a lui sotto la luce della Luna, dicendo: „Pano, Pano, Pano! In ginocchio in un campo sono a lume della Luna, in nome della tua bella che tanto amavi e che da un campo, di sera, ti fu portata via e ti fu uccisa; per le pene di quella ti prego di farmi questa grazia!‟ Quindi gli si chiede qualche favore, come che la campagna diventi bella (questa è dunque una preghiera per un buon raccolto) o ciò che si desidera.” Da tutto ciò possiamo osservare che anche alla fine della coda di questo grande serpente-secolo Pan vive. E di coloro che lo piangono e simpatizzano per lui e lo invocano si può dire con Salvator Rosa: “Non è con loro una voce Etrusca.” Ma non ve ne sono molti, perché Pan è ora uno degli spiriti più oscuri e meno conosciuti. E‟ significativo che l‟antico Pan era noto per la sua sfortuna in amore. Si strusse per Eco e Siringa si mutò in una canna per sfuggirgli, così lui fabbricò il flauto di Pan, su cui pianse la sua scomparsa. Ella venne in ogni caso rapita da lui in un campo e fu la sua voce che da allora egli evocò sempre con i flauti di Pan, che in questi giorni sono divenute le canne dell‟organo della chiesa. Ma Pan è l‟unico amante sfortunato tra gli Dei. In queste circostanze il nome è stato un indizio. Non so se Pan venisse ricordato ai tempi dei Latini per Siringa ed Eco, ma è significativo che la tradizione contadina abbia conservato le caratteristiche peculiari della sua storia. Pan, il grande Dio della terra, ha fatto del suo ricordo una tomba eterna. Dio della terra, dei campi e dei raccolti, Pan è uno spirito benevolo ma se viene offeso ha il potere di distruggere il raccolto ed è per questo anche temuto. Da un‟altra persona
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Pan autorevole in Romagna sono venuto a sapere che “i vecchi di Premilcuore lo considerano uno spirito maligno, perché quando il grano è alto egli arriva nei venti che ruggiscono e lo piega fino a terra. Se non si rialza non può essere venduto e per questo i contadini lo maledicono.” Un certificato firmato da C.Placidi del 12 dicembre 1891, ora di fronte a me, attesta che: “Qui a Premilcuore ci si ricorda molto dello spirito Pano.” Si può osservare che Pan era temuto anche nell‟antichità come spirito del vento e del timor panico (Gazaus, pag. 174) e gli venivano spesso offerti sacrifici (Ovidio, Fasti, I, pag. 425). Secondo Firedrich, che ha dedicato un intero capitolo alla materia (Die Weltkörper, &c., 1864), Pan e le sue sette canne suonano la musica delle sfere e questo Dio è il capo del coro delle danze celesti che, suonando il suo flauto, ispira le Sette Sfere e l‟armonia divina (Serv. a Virgilio, Ecloghe II, pag. 31). Pan viene anche invocato in un inno orfico (XI, 6) come: “ispirato tra le stelle, colui che suona le armonie della creazione sui flauti scherzosi”. L‟idea che avevano del Dio-Tutto della Natura e dei sette pianeti suggerì, io pendo, un verso ad Emerson: “Sono il governatore delle sfere, delle sette stelle e dell‟anno solare.”
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Capitolo II Maso “Omnia transformat sese in miracula rerum.”Virgilio, Georgiche 1, 4. “Di ciò che fu dell‟antico Dio della guerra Marte dalla vittoria dei cristiani non posso dirvi molto. Sono incline a credere che durante il Medioevo egli abbia esercitato la legge del più forte. Il nipote del boia di Münster una volta lo incontrò a Bologna” - Heine, Die Götter in Exil. Di Maso non ho potuto sapere altro, se non che era un folletto molto grande, uno spirito che protegge o presiede ai raccolti ed un patrono particolare delle fanciulle o delle “donne che fanno l‟amore”. “L‟antica radice di Marte” sottolinea Preller “appare essere Mar o Mas ed indica la forza virile di una Divinità generatrice ed ispiratrice che, originariamente, era un Dio della natura ma in epoche più tarde si è ridotto ad un semplice Dio della guerra. Da mar provennero per duplicazione Marmar e Marmer, nomi con cui egli viene invocato nella canzone dei Fratelli Arval per proteggere e benedire i campi. Nei tempi antichi egli veniva onorato come Divinità protettrice del matrimonio e della vita matrimoniale. Qui gli viene associata Martea come Dea dell‟amore e del desiderio.” Se Maso fosse Marte, è probabile che lo avremmo riconosciuto qui solo grazie al suo primo nome ed ai suoi attributi più antichi. Si osservi che nella preghiera a Marte fornita da Catone (De Re Rustica, cap. 141), che è molto antica, questa Divinità, come osserva Panzer (Bayerische Sagen, pag. 525), viene invocata solo come Dio dei raccolti, “ist ganz als Ärntegott dargestellt” e le offerte
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tributategli indicano che egli fosse un Dio dei raccolti. Questa visione di Marte, secondo Panzer viene confermata da passaggi delle tavole Eugubeane, per quello che sono state decifrate. Elias Schedus (De Dis Germanis) ha messo insieme molte prove che Mars autem nullus alius nisi Sol (“Marte non è altro che il Sole”), come a dire il principio fruttificatore e vivificante della Natura. Ed è così che egli appare nell‟antica mitologia etrusca.
Marte alato/Maso
Mania della Notte “Il vero Dio dell‟oltretomba tra i Toscani” scrive Ottfried Müller “veniva chiamato Mantus e veniva paragonato al Dis Pater. Insieme a lui veniva adorata una Dea dei regni di sotterra, la Mania… Questa era una vera Divinità etrusca… Mantus e Mania appartengono agli strani e terribili Dei cui i Toscani libri fatales facevano sacrifici umani... Agli antichi Italiani pareva terribile Mania… che è inseparabile dalla fede toscana nei Lari, essendo alleata ai Mani. Ella era una Divinità terribile a cui venivano offerti dei ragazzi, secondo Tarquinio il Superbo. La sua spaventosa immagine – che in seguito divenne un giocattolo per bambini – veniva nell‟antichità appesa alle porte per evitare la contaminazione. Questa Mania era madre o nonna dei Mani ed anche madre dei Lari.” Müller indulge in ulteriore speculazione su questa Dea ctonia o Dea dell‟oscurità. Ed ella live ancora in Toscana e viene chiamata Mania della Notte, ma viene considerata semplicemente come un Incubo ed una Succube e come un misterioso spirito notturno che ispira sogni licenziosi. Mi è stato
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suggerito che “la parola greca mania, che significa follia o pazzia, non ha nulla a che vedere con il latino mania”, che risveglia in un certo senso la connessione tra l‟incubo e lo spirito della notte. Lascio questa discussione ad altri; a me basta avere mostrato qui che vi era una Mania della Notte etrusca nell‟antichità e che oggigiorno, in Romagna e Toscana, l‟incubo viene chiamato nel medesimo modo.
Marte Si può osservare che sia Mania della Notte che Marta del Giorno, o il suo prototipo Mater Matuta, si diceva fossero madri dei Lari. Questo indica l‟esistenza di una Dea primeva della notte e del giorno. “Mania” scrive Mrs. Hamilton Gray (History of Etruria) “era uno spirito molto temibile per gli antichi Italiani. Essi erano soliti appendere la sua immagine alle porte come spaventapasseri per spaventare il male.” Questo è pressoché identico alle osservanze degli antichi Assiri, riportate da Lenormant, di porre immagini di entità maligne o spaventose in certi luoghi per spaventare i demoni stessi.” Nella prefazione ho citato il fatto che Enrico Rossi ha testimoniato riguardo a Mania della Notte che ella “veniva ricordata un tempo da molti ma ora è molto tempo che nessuno parla di lei a Galeata”. Da cui si può capire che questo nome sta scomparendo rapidamente e, se non fosse per le mie
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ricerche, sarebbe stato tra quelli “tra gli Dei che hanno avuto il proprio tempo ed i cui fuochi non bruciano più”.
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Capitolo III Feronia “L‟etrusca Feronia – l‟Alba – è anche la Dea del commercio.” The Etruscans, John Fraser “Vividi gaudens Feronia luco.” Virgilio, Eneide VIII, 800. “Ora manusque tus lavimus, Feronia, lympha.” Orazio, Sat. I, V. 24 Esiste una Dea sulla cui identità con uno spirito moderno, o folletto, difficilmente si può dubitare. Feronia, secondo Müller, era l‟antica Dea dei mercati e delle fiere. Questo la identificherebbe naturalmente con, e farebbe di lei la patrona di tutte quelle figure che frequentano tali luoghi. Müller esprime il dubbio se ella fosse realmente un membro della Heiligthum – o mitologia – etrusca, siccome Varone la chiama Sabina. Ma siccome ella aveva dei templi in Etruria, egli reputa possibile che fosse comune ad entrambe le razze.. Gli antichi erano indecisi su dove collocarla tra le Divinità; ella appare tuttavia essere una dea della terra ed associata a Mania, “il che rende comprensibile quanto fosse in suo potere dare al Praenestic Herilus tre anime dal mondo di sotterra.” Ma la cosa più importante per il mio scopo è che ella era temuta e che la gente le portava delle offerte. Feronia è, al giorno d‟oggi, “una strega-folletto che vaga per la campagna travestita, chiedendo l‟elemosina. Quando i contadini sono generosi con lei, tutto va loro bene, ma se non le dovessero dare nulla, soffriranno per questo. Ella strega i bambini, i bovini, i cavalli e tutti gli animali che tengono nella stalla.” Una strega che gira, che esige offerte e che è più maligna che positiva è una discendente legittima di una dea dei mercati ed è, come una sorta di Mania, pronta a fare dei danni ed a vendicarsi. Non ci può essere dubbio sul fatto che l‟antica Feronia fosse Persefonica o ctonia o una regina
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del regno di sotto – nonostante ora sia una strega che, se non propiziata, infligge ai contadini ciò che temono maggiormente – perdita dei figli e del bestiame. Sabina od Etrusca, ella vive ancora ed è molto temuta in Toscana. Nello scrivere quest‟ultima riga sono venuto a conoscenza del fatto che Feronia infesta i mercati, specialmente “perché è lo spirito del mercato”. Riguardo ad essa ho anche quanto segue, che veniva attribuito ad Impusa ma che, sono pressoché certo, è stato un errore del copiatore: “Feronia era una vecchia che andava in giro a mendicare per il paese, ma era sempre stata una gran politica – che significa che era intelligente o che aveva un modo di fare molto astuto – ed era una strega. Tutti coloro che le davano l‟elemosina erano molto fortunati ed i loro affari prosperavano. E se la gente non le dava nulla a causa della loro povertà, quando ritornavano a casa dopo il tramonto trovavano abbondanti doni, bastanti per aiutare tutta la famiglia, e da allora tutto andava loro bene; ma se qualcuno che era ricco non le dava nulla ed aveva un cuore cattivo ella lo malediva così: „Siate maledetti da me, che vi maledico di tutto cuore! E così i vostri affari possano andare a rotta di collo, fame e malattie; così non avrete più bene!‟ Da questo essi sapevano che era una strega. Ma quando morì divenne terribile e fece molti danni. Tuttavia, quando coloro che l‟avevano innervosita, sapendo di averlo fatto, andavano alla sua tomba e chiedevano perdono erano sempre certi di ottenerlo.” La faccenda dell‟elemosinare, lo stile elegante e l‟aria distinta indicano una figura simile a Giunone e Cerere combinate. La maledizione a lei attribuita ha un grande potere e potrebbe essere molto antica. La connessione di Feronia con Mania spiega il perché ella venisse temuta come strega. Ed è davvero notevole che, mentre Müller pone l‟accento sul fatto che le venivano portate delle offerte, il racconto toscano moderno lo considera un puro caso. In definitiva, Feronia appare esattamente come una Dea nella mente della gente che credeva in lei e la temeva e prima di divenire un mero ricordo in una Märchen. E‟ la Märchen, la storia per bambini, l‟unica che hanno cercato quegli studiosi di tradizioni popolari che non hanno alcuna idea dell‟importanza dell‟esistenza di un mito tuttora vivo. La Feronia Etrusco-Romana era molto famosa per le grandi offerte che le venivano fatte. “Tutti coloro che dimoravano nei paraggi le portavano i primi frutti e molte offerte, così che col tempo nel suo tempio si formò un immenso tesoro in oro ed argento, che venne portato via dai soldati di Annibale” (Livio, XXVI, II; Silius Italicus, Pun. XIII; Preller, Rom.Myth. 377). Questo concorda con la storia moderna del suo esigere tributi. Ella era anche la patrona speciale degli schiavi liberati, un‟amica dei poveri ed i liberti di Roma le facevano offerte (Livio, XXII, 1). Curiosamente, questo è
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identico alla leggenda. Se, come afferma Müller, Feronia era un duplicato di Persefone, che spesso era una controparte della caritatevole Cerere, questo spiegherebbe l‟affermazione alquanto singolare che i poveri ricevevano sempre doni da lei “dopo il tramonto”: giungevano o venivano loro dati durante la notte. Anche il suo mercato ed i suo tempio era una grande risorsa per mercanti e commercianti, cosa che getta luce sull‟affermazione che ella fosse una gran politica – molto abile. Anche la moderna Feronia è una grande amica dei poveri. Ma vi è anche un‟altra ragione Feronia potrebbe avere conservato una reputazione di strega o operatrice di meraviglie. Nell‟antichità veniva particolarmente identificate con il grande miracolo, di cui tanti se ne sono operati nel Medioevo, di camminare sui carboni ardenti, come appare dal seguente passaggio di Strabone, Lib. 5: “Sub monte Soracte urbs est Feronia, quo nomine et Dea quædam nuncupatur, quam finitimi miro dignantur honore. Eodem in loco ipsius templum est, mirificum sacrigenus habens. Nam qui ejus numine afflantur, nudis pedibus prunas calcant. Eò ingens mortalium multitudo convenit, et celebritatis ipsius, quæ quotannis celebratur, gratia, paritur et spectaculi.” L‟ordalia sui carboni ardenti veni va applicata comunemente alle streghe e non è improbabile che le accusate si appellassero a Feronia per proteggerle, come da alcune tradizioni. Sia la moderna che l‟antica Feronia appaiono essere amiche dei poveri, degli schiavi e dei rifugiati. L‟identificazione della Dea antica con l‟ordalia indica protezione e benevolenza. Su questo interessante argomento il lettore può consultare: I. Roth, De more quo apud plerosque Europæos populos per ferrum candens ardentes prunas rogumque probatur, Ulm, 1676; Lescher, De probatione rerum dubiarum per ignem facto, Leipzig, 1695; Eckard, De ritu antiquissimo per ignes et carbones candendes incedendi, 1791; Nork, Sitten und Gebräuche der Deutschen. Si vedrà quindi che la moderna Feronia corrisponde in molti modi alla figura antica che porta il suo stesso nome. E vorrei richiamare l‟attenzione sul fatto che oltre al nome non è stato da me chiesto o suggerito altro. Secondo Fraser (The Etruscans) “Feronia aveva in Etruria una posizione onorevole, perchè non solo era la Dea dei Falerii, ma aveva anche un santuario nella città etrusca di Losna (in Latino Luna). Il nome di questa città, Losna, è un‟altra prova che Feronia è la Dea dell‟alba, perché esso proviene dal greco los o las, luce.” Monti ha scritto un poema molto bello, sebbene piuttosto fiacco, chiamato la Feroniade in cui l‟eroina come Dea si avvicina molto più alla figura della leggenda popolare moderna che alla precedente Feronia della tradizione classica. Ella è per lui inizialmente solo una piccola Divinità silvana etrusca, la regina delle viole, che vaga tra le
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foreste e le gole, una ninfa: “Ella per fiere balze e foreste errò gran tempo. Una ninfa già fu, delle propinque selve leggiadra abitatrice, ed era il suo nome Feronia.” Questa è la nostra Feronia e non la grande Dea dei tempi antichi.
Silviano “Silvanus”(il Dio dei campi e del bestiame) “conserva ancora il dominio sulla terra”. The Cities of Etruria, Gorge Tennis, vol. I. pag. 229 “Quin et Silvanos Faunusque et deorum genera silvis ac sua numina tanquam et cœlo attributa credimus.” Plinio, Hist. Nat., XII, 2. “Fama est, Cyparissum puerum ab ipso fuisse amatum, quare ubi in arborem sui nominis mutatus fuisset, Cupressum manibus semper gestasse Sylvanus dictus finit.” De Hermaphroditorum, Monstrosorum, &C., Caspari Bauhini, 1614. Silviano mi è stato descritto come “lo spirito dei boschi” e le sue caratteristiche peculiari sono state descritte come segue: “Silviano ama molto stuzzicare i contadini che fanno le cataste di carbone – letteralmente, che impilano il carbone e quindi lo bruciano. E quando sono tutte impilate, allora arriva Silviano e le mette sottosopra ed i contadini cominciano a litigare tra loro, accusandosi a vicenda dell‟accaduto. Così devono ricominciare daccapo il loro lavoro. Allora Silviano scoppia a ridere e gli uomini cominciano ad imprecare e magari a lottare, ognuno pensando che l‟altro stia ridendo di lui. E mentre accade tutto questo Silviano impila nuovamente la legna, con loro grande meraviglia di quando tornano al lavoro. Questo accadde una volta a due uomini ed essi pensarono che dovesse essere un miracolo operato da qualche santo. Così andarono dal parroco del luogo e gli narrarono l‟accaduto. Egli andò ad esaminare il luogo, ma non trovò nulla di notevole e disse loro che erano degli sciocchi, quindi ritornò con tutta la sua processione, convinto che non fosse accaduto nulla di meraviglioso. Ma Silviano è di natura buona ma altrettanto vendicativo e da quel giorno nulla andò più loro bene, né nella macchia né nel bosco. Altri uomini trovarono il loro lavoro già bell‟e pronto, mentre quello dei due veniva vanificato. E questa volta andarono da una vecchia strega, che comprese la faccenda e seppe cosa fare. Ella disse: “E‟ il folletto Silviano che avete indispettito e ora vi fa tutti i dispetti; ma dell‟erba che vi darò vi farà tornare nella sua buona grazia.” Quindi prese dell‟erba chiamata silvestra (o anche ginestra) e ne fece un piccolo involto quadrato, quindi, mettendolo sulle loro schiene disse: “Questo è invero lo spirito di Silviano che mi protegge!”
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Ed esso ritornarono nuovamente nelle sua grazie e non fecero mai più nulla per offenderlo. E da questo trassero una lezione: di non andare a chiamare preti quando è presente uno spirito.”
Silvanus (Silviano) e Ninfa Silvianus è abbastanza chiaramente l‟antico Romano Silvanus, di cui Preller dice: “Egli era come Fauno, un buono spirito, ma talvolta era anche uno spuk Geist che spaventava la gente. Veniva identificato con tutto ciò che era bello, romantico e rurale. Laddove venivano piantati dei bellissimi campi, dove venivano praticate aperture nella foresta, dove vi era un buon riparo, una grotta ombrosa o dove un ruscello mormorante attirava i pastori nella calura del mezzogiorno vi era sempre una zona sacra a Silvanus.” Così egli diventò molto caro a tutta la gente di campagna; era come uno di loro e tracce di questo amore si vedono in questa storia toscana. Per ragioni che non ho qui spazio di spiegare, affermo che l‟antica identificazione di Silvanus con il cipresso spiega completamente il suo collegamento con la bruciatura del legno da carbone e con chi la esegue. E, in qualità di spirito che ha a che fare specialmente con questo tipo di uomini, Silviano è identico al Rubezahl della Germania. Preller dichiara che le Silvane, o le ninfe Silvie dei boschi, appartengono piuttosto alle razze germaniche, celtiche e slave che alle latine. Ma perché? Non potrebbe lo stesso Rubezahl essere di nascita italiana? Silvanus era figlio di un Dio fluviale e di una capra e tutto ciò che è in relazione con lui è molto più suggestivo dell‟Italia pastorale che della selvaggia Germania.
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L‟assoluto paganesimo di questa storia e la sua “morale” non possono essere sfuggiti al lettore. La narratrice era assolutamente pagana come chiunque abbia vissuto ai tempi di Tarquinio e non ha mai perso occasione per dimostrare che considerava l‟adorazione degli spiriti antichi e tutte le cerimonie e gli incantesimi correlati molto superiori al cattolicesimo romano, per il quale aveva una particolare avversione. Per le vecchie streghe dei tempi antichi questo non è folklore ma una fede vivente ed io sono stato spesso trasportato in questa realtà come se fossi stato portato indietro di 2000 anni. Questo ed altri capitoli suggeriscono dunque la possibilità che la mitologia nordica sui goblin possa essere stata di origine italiana o provenire da una fonte comune.
Palò Questa Divinità mi è stata descritta con le seguenti parole: “Palò è uno spirito dei campi, delle vigne, dei prati, di tutti i tipi di raccolto e quando gli uomini lavorano, sia che stiano piantando il mais o che lavorino nelle vigne, non devono mai dimenticare di dire: “Lo spirito Palò sarà quello che mi farà la buona fortuna!” Ed il contadino sarà così certo di avere sempre buona fortuna.” Non è difficile riconoscere in Palò il Pales dei Romani o le antiche Divinità dell‟agricoltura di tutti i tipi. A lui o lei – i Pales pare fossero sia maschio che femmina – venivano fatte offerte dai contadini, che bevevano anche molto e saltavano oltre le fiamme. Preller scrive che al mattino i pastori pronunciavano per 4 volte una invocazione al Pales, quindi bevevano una miscela di latte e vino nuovo e poi saltavano oltre alla paglia in fiamme. L‟invocazione deve essere stata molto breve, visto che veniva ripetuta tante volte. Sarebbe strano – anche se non impossibile – che nelle 4 righe qui scritte vi sia almeno una eco dell‟invocazione primitiva. In queste tradizioni toscane vi è molto di incontestabilmente antico, tanto che io trovo talvolta impossibile da credere che vi sia in esse qualcosa di moderno. I critici potrebbero molto ragionevolmente indicare molti errori ed incoerenze nei dettagli, ma una visione dell‟intero lascia l‟impressione dell‟antichità. Un singolo nero non prova assolutamente l‟esistenza di una razza nera ma molti di loro la renderebbero estremamente probabile. Come nel caso della maggior parte delle Divinità, in onore di Pales è stato dato il nome ad una città. E‟ la moderna Palo, a metà strada tra Roma e Civitavecchia. Cito questo perché si potrebbe pensare, come nel caso di Norcia, che la moderna Divinità toscana sia stata chiamata in tal modo a causa della città.
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Esta “Nec tu aliud Vestam quam vivam intellige flammam, Nataque de flammis corpora nulla vides.” Ovidio, Fasti, 6 Quando una luce si estingue misteriosamente ed all‟improvviso o si muove apparentemente di propria volontà, specialmente quando due innamorati siedono assieme, si dice comunemente che “lo ha fatto Esta”. Si crede che Esta sia uno spirito che pone particolare attenzione alle luci ma oltre a questo non ho potuto sapere nulla di lei. Hestia era l‟antico nome di Vesta e Cicerone pensò che Vesta derivasse da Εστήα (in Greco Estia). In ogni caso, l‟improvviso spegnimento di una luce o di un fuoco pare indicare l‟allusione alla Dea della castità ed alla sua luce.
Carmenta Quando chiesi se il nome di Carmenta fosse noto, esso venne prontamente riconosciuto come quello di uno spirito che dona, veglia ed ama i bambini, che aiuta il parto e che è cara alle madri. Quindi mi fu ripetuto quanto segue: “Carmenta, Carmenta, che tanto bella sei e innamorata sei tanto dei fanciulli! Tante spose sono venute a te a raccomandarsi che dei figli tu facessi loro fare e tu, buona quanto bella, i loro voti hai ascoltato; ascolta pure i miei, ti prego di volerli ascoltare perché sono molto infelice. Mio marito non mi ama più, che tanto m‟amava, perché figli crear non so; ma da te, o bella Carmenta, mi vengo a raccomandare che un figlio tu mi possa far fare e la pace con mio marito possa ritornare!” Questa figura corrisponde sia nel nome che in ogni dettaglio alla Latina Carmenta o Carmentis, che era un‟altra forma di Fauna o Bona Dea. Di lei Preller dice: “La Dea della nascita, Carmenta, veniva adorata con molto zelo vicino alla Porta Carmentalis, che aveva preso il nome da lei; vi era un Flamen Carmentalis e due giorni del calendario, l‟undicesimo ed il quindicesimo di gennaio, erano chiamati Carmentalia ed erano dedicati alla sua adorazione. Queste erano tra le festività più particolari delle matrone romane. Ella era peculiarmente la Dea della gravidanza.”
Il Sentiero In Toscana si credeva che le pietre di confine che determinavano i limiti dei campi possedessero al loro interno o attaccati a loro degli spiriti chiamati “spiriti dei sentieri”. Veniva affermato distintamente che essi vivevano all‟interno di queste pietre. “E se qualcuno le rimuove lo spirito lo condurrà alla rovina.” Lo spirito singolo viene detto “sentiero”.
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Questo spirito corrisponde esattamente al Terminus dei Romani, la Divinità dei confini. Alla rimozione di tali contrassegni corrispondevano punizioni spaventose. L‟iscrizione su un terminus dice: Quisquis hoc sustulerit aut læserit, ultimus suorum moriatur (“Se qualcuno dovesse rimuovere o danneggiare questa pietra, che possa morire quale ultimo della sua razza”). Vi è quindi una sorta di litania di antiche maledizioni Latine, quasi uguali alla scomunica cattolico-romana ed applicate a questi “ladri di terre”. Che il ricordo di questi spiriti sia sopravvissuto è evidente dall‟unico commento fatto dalla mia informatrice: Lo spirito li guasta (lo spirito li rovina). Lattanzio, nel mettere in ridicolo i pagani per la loro adorazione a molteplici Divinità di cui ognuna ha pochi compiti, specifica Terminus come rozzo e selvaggio. “Egli era la pietra che Saturno trangugiò credendo che fosse Giove. Quando Tarquinio desiderò costruire il Campidoglio e trovò questi altari di molti Dei antichi, si consultò con un augure sulla loro dedicazione a Giove. Tutti furono concordi nel salvare Terminus, che fu fatto rimanere. Da allora i poeti la chiamano la roccia inamovibile del Campidoglio. E cosa posso dire di coloro che adorano tali materiali e tali pietre (lapides et stipites) eccetto che esse sono materiali e pietre?” (Adversus Gentes, libro I, cap. XX) E‟ un peccato che Lattanzio non sia vissuto alla fine del XIX secolo, quando avrebbe visto tra i cristiani una moltitudine di santi delle piccole cose, paragonati ai quali gli Dei pagani che lui cita come ridicoli sono Divinità solenni e rispettabili. Terminus, una roccia, quale simbolo di stabilità (perché in realtà non era nulla di più) è un‟immagine notevole, ma cosa dovremmo pensare di Antonio, santo dei maiali e dei tartufi; di Simeone, delle lotterie; o di Rocco, santo dei cani; o perché la Latina Cunina, che vegliava sui bambini nella culla e che Lattanzio chiama a irridere dovrebbe essere più ridicola di Santa Anna, che fa la stessa cosa o anche della Madonna stessa – l‟incarnazione della maternità? Ma i santi – ed anche la Vergine – non c‟erano ancora a quei tempi! Le condanne più catastrofiche e terribili della tarda chiesa cattolica e della sua agiologia si ritrovano nelle discussioni dei Padri contro i Gentili e specialmente nella vigorosa satira del “Cicerone cristiano”.
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Capitolo IV Faflon “Oh, Fufluns! Fufluns! Divinità terribile!” Pumpus di Perusia nel Gaudeamus, W. Scheffel “Ma andò meglio con Bacco di quanto fosse andato con Marte o Apollo dopo il grande ritiro degli Dei” Heine, The Gods in Exile L‟Arno, che scorre rombante davanti alla finestra della stanza in cui sto scrivendo, in piena per la molta pioggia primaverile è ora un grande fiume, molto fangoso e piuttosto incontrollabile. L‟ho visto in estate, quando era limpido e pulito, ma allora era solo un rivolo che andava da una fossa nel terreno ad un‟altra, come un filo di seta percorso da perle illuminate dal Sole o come un pellegrino che vaghi da un altare all‟altro. Sarebbe stato semplice, allora, per un centinaio di persone portarlo tutto via dentro a dei barili o per tutta la popolazione del luogo berlo – cosa che avrebbero sicuramente fatto come “MacPherson”, se fosse stato vino. Ora tutti gli uomini della Toscana, con tutti i loro secchi, non potrebbero fare una stima della sua acqua. Questo mi ricorda l‟obiettivo che mi sono posto. Se fosse stato solo di raccogliere, unire e correggere una collezione di storie di fate o proverbi o parabole o giochi, o anche esempi, sarebbe stato facile o almeno un lavoro definito. Ma questa massa di antica ed oscura mitologia non scritta giunge versata e schiumante come l‟Arno dalle fonti della Romagna, nei cui recessi misteriosi tuttora dimora “l‟antica covata del drago e le rocce che cadono nel fiume che scorre rombando”. Bene, è uno strano paese poco conosciuto – così dice Goethe – e mi ha inviato, nella sua freschezza primaverile, oscure Divinità di nome e fama
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dubbi, stregonerie, rime, leggende – diamanti e polvere – tutti confusi e misti. Cosa tenere? Cosa eliminare? Se paragonato a tutto ciò che ho incontrato finora nelle tradizioni popolari, questo è stato più come il contare i fantasmi di Ossian che altro. Molte volte mi sono quasi disperato e molte volte sono stato preso dallo sgomento. Ma la speranza sboccia eternamente nel petto umano e così andrò avanti a discutere della mia ultima scoperta di una Divinità che generalmente si suppone sia morta circa 2000 anni fa, mentre tuttora vive come un vero folletto tra le poche vecchie streghe della Romagna. Intendo Faflon.
Aplu, Fufluns e Semele Fuflunus era l‟Etrusco Bacco. “Il suo nome” scrive Müller (Die Etrusker, vol. II, pag. 79) “veniva pronunciato (lautet) Fuflunu, Fufluns, generalmente Fufluns.” (Gerhardtm I, 83, 84, 87, 90 ecc.; Corssen, I, pag. 313-315). Troviamo sui calici Fufunl (Fahr P., Spl. n° 453) e Fuflunsl (Corssen, I, pag. 430). Egli fa derivare il nome del Dio dalla radice indogermanica fu, generare, la qual cosa è molto dubitabile. Chiedendo alla mia migliore autorità se vi fosse in Romagna ed in Toscana uno spirito delle vigne o del vino, venni prontamente informato che vi era un essere del genere chiamato Fardel o Flavo ma, tra le streghe o coloro che erano meglio informati di tali misteri, Faflon. E mi venne narrata una leggenda:
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“Faflon è uno spirito che vive nelle vigne e, quando le donne o gli uomini hanno raccolto l‟uva e ne hanno riempito le ceste, allora arriva questo Faflon e le rovescia tutte sul terreno; ma guai ai contadini che si arrabbiassero per questo, perché allora Faflon li picchierebbe da tutte le parti e calpesterebbe i grappoli, così essi non ne trarrebbero alcun profitto. Ma se prendono la cosa senza problemi egli li raccoglie e li ripone nuovamente nelle ceste. Ora, c‟era un contadino che amava molto gli spiriti e spesso li benediceva. Un anno tutto gli andò male, il suo raccolto di uva e di tutti gli altri frutti andarono a male, tuttavia egli amava ancora Faflon e lo benediva. Una mattina egli si alzò per andare a cogliere quel poco che c‟era sulle viti, ma scoprì che anche quel poco era svanito. Il povero contadino cominciò a lamentarsi e disse: „Non mi resta che morire, perché ho perso quel poco di raccolto che avevo nella mia piccola vigna.‟ All‟improvviso apparì Faflon, tanto bello di una bellezza da fare incantare, e disse: „O contadino con le scarpe grosse e ruvide ma con il cervello buono, mi hai amato così tanto che io ti ricompenserò. Vai nella tua cantina e là una gran quantità d‟uva mostata troverai e gran vino tu farai.‟ Ora, ciò che Faflon aveva detto pareva un sogno, per il contadino, ma andò nella sua cantina ed invero il vino che fece quell‟anno lo rese ricco e non ebbe più bisogno di fare il contadino.” Nessuno può dubitare che questo Faflon – scritto talvolta nei manoscritti come Flaflon – sia il Fufluns o Fufunal degli Etruschi. Il suo aspetto molto bello è in perfetto accordo a quello di Bacco. E‟ esattamente in questo modo che Bacco appare in un lampo, togliendosi il travestimento per rivelare la sua bellezza, nelle storie classiche. Eccovi ora, parola per parola, una storia raccontatami da una strega riguardo ad una moderna Ariadne: “Vi era un contadino che aveva molte vigne, ma per diversi anni gli andò tutto così male che non aveva abbastanza vino da bere per la sua famiglia. Ora egli aveva una figlia di una bellezza da fare incantare ed una sera in cui egli sedeva disperato sua figlia disse: „Padre caro, non sapevi che sarebbe accaduto tutto questo? Hai dimenticato quello strano bel giovane che una volta venne da te e mi chiese perché era così innamorato? E quando tu gli negasti ciò che chiedeva egli disse: „Se io non potrò averla, voi non avrete vigne.‟‟ Allora il contadino si arrabbiò molto e colpì la figlia ed ella dovette andare a letto. Il padre andò quindi in cantina ma cosa vide! Su tutti i barili vi erano dei diavoli che giocavano, con gli occhi che mandavano fuoco e le bocche che mandavano fiamme e mentre danzavano cantavano: „Dai a Faflon quella tua ragazza e da allora avrai il vino. Se negherai la fanciulla, morirai mendico.‟ Allora l‟uomo diede la propria figlia a Faflon e
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meraviglia! Tutti i barili furono pieni e da quel momento le sue vigne furono abbondanti.” L‟immagine della cantina piena di Baccanali e Fauni giocosi è buona. Sospetto che sia stata un‟influenza cattolica a renderli “diavoli col fuoco che esce dalla bocca”. Ma forse era solo “il vino divino che fiammeggia nel Sansovino.” Mi sarebbe dispiaciuto se, alla fine di tutte queste storie su Bacco, non avessi trovato un inno a lui dedicato. Ed eccolo. Quando un contadino vuole un buon raccolto nelle vigne può pregare in chiesa per averlo ma, per esserne certo, ripete quanto segue al Dio gioviale: “Faflon, Faflon, Falon! A voi mi raccomando chè l‟uva nella mia vigna è molto scarsa; a voi mi raccomando che mi facciate avere buona vendemmia! Faflon, Faflon, Faflon! A voi mi raccomando! Che il vino nella mia cantina facciate venire abbondante e molto buono, Faflo, Faflon, Faflon!” Ecco, lettore, l‟ultimo inno reale e sincero a Bacco che sia mai stato cantato in Italia – e probabilmente l‟ultima canzone dei Baccanali che verrà mai udita sulla Terra. Vi sono state intere biblioteche di tali inni – Della Cruscan Redi ha scritto un Bacco in Toscana – ma quella era arte: questa è religione. Ed è possibile che questo inno bacchico fosse, in una qualche forma non molto diversa, il primo mai composto. Potrei aggiungere che i miei due amici contadini, che mi hanno aiutato lavorando nei giorni di mercato per raccogliere le testimonianze dei vecchi contadini provenienti da tutte le parti della Romagna, hanno confermato pienamente l‟esistenza di questo spirito, con questa variante – che Ottavio Magrini ha scritto il nome Faflond, mentre Peppino dichiara: “Il nome legittimo di questo spirito è Faflo”. Era uno degli Dei che venivano invocati particolarmente o gridati al mercato e dappertutto con risultati soddisfacenti. Fufluns era anticamente conosciuto anche come Vertumnus. “Sua compagna,” dice Dennis “probabilmente più che nel nome era Voltumna, la grande Dea sul cui altare i principi confederati dell‟Etruria tenevano i loro concilii.” (Cities, &c., of Etruria, vol. I, pag. lvii).
Lo Spirito della Contentezza Lo Spirito della contentezza è certamente uno spirito buono ed io auguro con tutto il cuore che possa dimorare con il mio lettore non solo per quanto riguarda questo libro, ma che possa essere nelle sua vita in tutto. Per gli Italiani è molto plausibile che, in un paese super-tassato come quello, possa trattenersi uno spirito simile; tuttavia, è certo che essi lo invocano quando intraprendono un viaggio in cerca di fortuna. E dicono quanto segue:
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“Quando qualcuno sta per mettersi in viaggio in cerca di fortuna dice agli amici: „Vado in viaggio per fare fortuna.‟ Ed essi rispondono: „Che lo Spirito della contentezza ti possa guidare sempre!‟” Non ci sono dubbi che questo Spirito sia la Fortuna Redux, “la Dea dei viaggi felici e dei ritorni prosperi ai cui templi ed altari, dopo la lunga assenza dell‟Imperatore Augusto, vennero fatti sacrifici.” Quando Augusto (19 A.C.) ritornò, il 12 ottobre, da una lunga assenza in Asia, questo giorno venne fissato come celebrazione annuale dell‟evento e venne innalzato un altare, che venne consacrato il 15 dicembre seguente. Non deve sfuggire all‟attenzione del lettore che il racconto italiano su questa Dea conclude con un‟esortazione a non dimenticare mai che la propria fortuna personale è dovuta allo spirito che è stato invocato; come a dire che è ad un‟antica Divinità Romana sotto un altro nome che dovete il successo e che il viaggiatore deve essere grato alla Fortuna Redux. In verità questa è una vestigia inconscia molto naïf del paganesimo. “Nelle nostre ceneri brillano ancora i fuochi abituali.” Schedio pone in relazione a questa Divinità la seguente iscrizione di un monumento: “FORTUNÆ REDUCI. LARI VIALI. ROMÆ AETERNÆ Q. AXIS. AELIA. NUS. VE. PROC. AUG. C.”
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Corredoio Si può considerare un fatto singolare che tutti questi spiriti toscani delle foreste e dei campi, dei focolari e delle vigne, siano di una perfetta e fresca semplicità ed incarnano la Natura reietta da cui derivano. E differiscono completamente e radicalmente da qualunque personificazione della chiesa cattolica romana, a partire dalla Trinità stessa – che è un “mistero” – fino al CupidoCherubino, alle luci dorate, ai martelli ed ai chiodi, ai cuori in fiamme, alle Madonne vestite di seta con oro che le circonda ed all‟intera massa di proprietà mistiche teatrali che invero fanno parte in parte della natura popolare, ma non del tutto. Questa semplicità naturale era propria dei pagani antichi e la sua esistenza nella tradizione popolare è sempre prova di determinati elementi, almeno per quanto riguarda l‟antichità. Nel mio Gipsy Sorcery ho sottolineato che se il Papa ed i Cardinali del 1891 fossero vissuti nel 1484 ed avessero osato esprimere ciò che loro tutti (con forse l‟eccezione di quelli Spagnoli) pensano ora della stregoneria sarebbero stati tutti torturati orribilmente e quindi bruciati vivi come eretici. Così possiamo osservare che l‟intera organizzazione moderna della chiesa sarebbe stata condannata completamente dai Padri per il suo carattere immensamente artificiale e teatrale. Per molti sarebbero stati disgustosi la sua deprimente malinconia miserabilmente affettata, il suo ideale infelice di una vita senza risate ed innocenza senza sorrisi. Ed a questo proposito giungiamo all‟affascinante spirito Corredoio, che è puramente pagano. In Romagna vi è uno spirito, una fata o una Dea (maschio o femmina) che è di natura gaia e festaiola. Viene chiamata Curedoia o Corredoio ed ama le danze e le feste. E‟ una vera fanatica della musica e, nonostante tu non possa sospettare della sua presenza, è certo che ella partecipi dovunque vi sia un ballo o uno scherzo. Offro con modestia, o anche con dubbio, il suggerimento che possiamo avere in lei la beau reste o un possibile frammento di Curitis o Quritis – il is ed il us del Latino vengono molto spesso mutate in vocali in Italiano, il che formerebbe Curitoio. “Curitis” dice Müller “era il nome di Giunone a Falerii, dove veniva adorata con zelo.” In suo onore venivano tenuti magnifici festival con ogni splendore e gaiezza; venivano sacrificate delle mucche bianche, le strade venivano ricoperte di tappeti (Ovidio, III, 12, 13, 24), le fanciulle – secondo l‟uso greco – erano vestite di bianco e recavano sulle teste gli utensili sacri in
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qualità di canefore. Gli Etruschi hanno sorpassato qualunque altro popolo dell‟antichità nella passione per le processioni, i festival e l‟intensità dei loro lazzi. I Romani sembrano avere preso il proprio stile dalla Grecia, ma il loro appassionato gusto per il piacere sontuoso dai Toscani. E se Curitis era il nome popolare di Giunone e se ella era invero sopra a tutte le altre cose la Dea della pompa e dei festival e della gaiezza, non è impossibile che questo nome sia sopravvissuto nella moderna Divinità della danza ed in ciò che corrisponde più da vicino alle grandi mostre del tempo antico. Di Corredoio ho quanto segue: “Corredoio è uno spirito che va molto nelle feste da ballo e che si diverte in ogni maniera. (Vi sono racconti contrastanti riguardo al sesso di Corredoio o Corredoia.) Si delizia nel giungere come una ventata e così alza le sottane a quelle signore, quindi scoppia a ridere forte e le signore arrossiscono. Quindi Corredoio volo all‟interno dell‟orchestra e fa girare su se stessi tutti i musicisti e quindi fa suonare da soli gli strumenti; e tutti sono meravigliati nell‟udire la musica e non vedere alcuno che la suoni – al che egli scoppia in un‟altra risata e se ne va (vola via).” Vi è un‟invocazione (o un incantesimo) estremamente curiosa a Corredoio: “Corredoio, Corredoio, Corredoio Corredoio, Corredoio, Corredoio che siei tanto buono e gentile, che non hai fatto mai del male quando vieni in casa mia; o bel Corredoio, vai e lo discacci con una bella risata, tu, o bel Corredoio, sei uno spirito, è vero, ma sei anche lo spirito dell‟allegria; tu vai nelle case a mettere la buona armonia. Dunque, bel Corredoio, tu che sei tanto bello vieni qualche volta in camera mia e così mi aiuterai a stare allegro ed a non avere mai guai. E così, se qualche grazia ti chiederò da te, bel Corredoio, sono certo che quella grazia io l‟avrò.” Tutto ciò è completamente al di fuori della chiesa ed è pagano più che si può. Nell‟intera religione cattolica – potrei dire cristiana – non vi è traccia di un tale glorioso Robin Goodfellow come Corredoio – che va a tutti i balli, suona tutti gli strumenti, fa girare tutte le donne in un walzer selvaggio e quindi scoppia in una risata, ho, ho, ho! e tuttavia conserva come occupazione costante l‟andare a promuovere pace ed armonia all‟interno delle famiglie o l‟andare a far piacere e giocare con i bambini ed andarsene lasciando tutti allegri. Questa invocazione è in Romagna una preghiera come qualunque che fosse tratta dal Libro delle Preghiere e prega la Divinità di “vegliare talvolta su qualcuno e tirarlo su di morale in maniera amichevole”, una Divinità molto bella, compita ed aggraziata; solo in Italia si può trovare un Dio che possa “fare un‟orchestra intera” e che passa la sua vita a rendere felice la gente. Invero non posso che provare gratitudine per la sopravvivenza di un tale frammento di paganesimo gioioso, non fosse
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altro che per mostrare ad un mondo stupito che pietà e gaiezza possono andare mano nella mano. I reti in Italia hanno insegnato alla gente che la religione e la salvezza e tutto ciò che è santo è permeato di lacrime, lamenti, digiuni, sangue, torture e morte – ed tuttavia nel frattempo, sotto queste ceneri di miseria, l‟antico spirito pagano Romano-Etrusco della natura umana e della tenerezza geniale è sopravvissuto. In tutte le religioni attuali nel mondo non vi è nulla di così reale, così toccante e bello come lo spirito di Corredoio. Sancte Corredoio ride pro nobis!
Orco Difficilmente sarebbe utile citare Orco, la forma italiana di Orcus, che è stato chiamato in innumerevoli storie di fate Ogre e che è conosciuto da ogni bambino italiano, non fosse altro che per la sua peculiare descrizione datami dalla mia informatrice principale. “Orco” ella disse “è uno spirito terribile che un tempo era un grande stregone.” Questa è in tutto il mondo la prima concezione degli spiriti e specialmente di coloro che vengono temuti. Tra le tribù selvagge ai primi stadi dello sciamanesimo ogni spirito importante un tempo è stato un uomo e sempre un mago. Potremmo dire che il Latino Orcus fosse una personificazione degli inferi o dell‟orribile così come Giove lo era del fulmine ma è un fatto che le razze selvagge applichino nomi come inferi e fulmine agli uomini. Euhemerus di Messina fa derivare tutti gli Dei da uomini, il che pare essere stato, fino ad un certo grado, giusto, almeno per quanto riguarda le razze coinvolte.
Tesana Tesana è “lo Spirito dell‟Alba”, che si potrebbe chiamare Aurora. E‟ buona e, se un contadino dorme quando il rosso mattino si intravede sulle colline, ella va da lui in sogno e dice: “Svegliandoti pian piano, o buon uomo, svegliati, che l‟alba spunta; sono uno spirito consolatore e vengo per aiutarti con buon coraggio e buona fortuna, ma sempre col tuo lavoro. E così, con la buona volontà di lavorare avrai sempre buona salute e volontà di lavorare: il ricco è nato ricco per aiutare il povero ed il povero per aiutare il ricco col suo lavoro, perché il signore non saprebbe affrontare le fatiche. Lavora, o buon contadino, che al momento spunta il Sole. Quando sei stanco chiamami in tuo soccorso ed io sarò sempre il tuo angelo consolatore!”
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Lalae, Linthun, Thesan e Memrun E così il contadino si sveglia e va al lavoro, contento ed allegro, credendo di avere visto in sogno e conversato con un santo o una santa, invece di avere parlato con uno spirito. Questo è assolutamente pagano, pagano stregonico, ed una protesta dell‟ “antica religione” nei confronti della nuova. Perché “uno spirito invece di un santo” qui non significa null‟altro che una Divinità Romano-Etrusca o puramente Etrusca. Non vi sono incarnazioni molto belle dell‟Alba nella mitologia cattolica romana, con i suoi santi rococò di legno e gesso tutti artificiosi e da bottega, anche qui in Italia. Questa graziosa Aurora, questo spirito dell‟alba appartiene ad una razza di esseri più pura e migliore. Ella prova sincero amore per i contadini, non richiedendo né tributi né preghiere né adorazione, né digiuno né vigilie per compiacere la propria vanità, ma semplicemente lo incoraggia. Invero questo è molto pagano e ed in lei si mantiene un semplice conservatorismo dei vecchi tempi: che il ricco ed il povero devono esistere ed adempiere ai propri reciprochi obblighi. Un amico colto, che ha rivisto quest‟opera, sottolinea di Tesana che Thesan, secondo Corssen, è una Dea etrusca dell‟alba (Die Sprache der Etrusker, I, pag. 259). Non può essere sfuggito al lettore che Tesana appare stranamente in questa leggenda come un‟essere che riflette sugli stadi, sulla società, le leggi umane e le relazioni. Gerhard (Gottheiten d. Etrusker, pag. 39 ed Etrus. Spiegeln, tavola 76) ribadisce che vi era identità tra Thesan e Themis.
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Questo è certamente straordinario. Prima di incontrare questa osservazione, mi era rimasto profondamente impresso il carattere delle riflessioni sui diritti sociali che è così evidente nella canzone, riflessioni che erano molto lontane dalla gamma di pensieri della donna che me le cantò.
Spulviero Gli antichi Toscani superarono tutte le altre nazioni per il numero dei loro Dei del tuono e della tempesta – ne avevano invero uno per ogni stagione –, tanto che i loro discendenti non hanno solo paura di Tinia, o Giove, ma anche di Spulviero, il temuto spirito del vento e della tempesta di cui si narra che abbia dato origine agli Indiani Algonchini. Spulviero, detto anche Spolvero, è lo Spirito del Vento. Il suo nome probabilmente deriva da polvere, riferentesi ai vortici o alle ventate di polvere causate dal vento – il Pau-pu-ke-wiss dei Chippewa. Potrebbe tuttavia essere una derivazione di pluvio, “pioggia”. Ma questa è la leggenda che mi è stata raccontata: “Lo Spirito del Vento, chiamato Spulviero, è uno spirito maligno che in vita era uno stregone, uno di quegli stregoni così malvagi che rovinò molte buone famiglie, gente di buon cuore che faceva del bene a tutti, e fece del male anche a coloro che fecero a lui del bene. Egli era così malvagio che quando qualcuno gli faceva del bene egli faceva loro del male né alcuno poteva vendicarsi di lui, perché volava veloce come il vento. Ma, per maligno che fosse, venne il suo momento ed egli morì; ma prima di morire andò in ospedale. Là si raccomandò a tutti coloro che erano presenti, chiedendo se qualcuno volesse ereditare la sua stregoneria, ma nessuno rispose, perché lo conoscevano tutti molto bene. Un servo portò due scope e le mise sotto al suo letto dicendo: “Lasciala a loro” e, se non fosse stato per questo, lui non avrebbe potuto morire. Così egli morì ed improvvisamente si alzò un terribile vento, tanto che l‟ospedale ne venne quasi spazzato via, ed il suo spirito se ne andò nel vento.” Qui si fa riferimento alla credenza che uno stregone o una strega non possa morire fino a quando il suo potere non sia stato trasferito a qualcun altro. La scopa è un antico talismano latino contro la stregoneria. Ciò che è realmente molto antico e puramente sciamanico in questa leggenda è la fede nel fatto che tutti gli spiriti o le Divinità siano stati un tempo degli stregoni. La catena dei fatti è intricata ma può essere seguita. Gli Etruschi si sono risvegliati al politeismo, pur conservando delle forme sciamaniche, ma la gente è rimasta ad uno stadio precedente, credendo che ogni grande spirito fosse un tempo un uomo. Così essi hanno in realtà riportato indietro un mito ai propri albori. Così Chuchulvia viene dichiarato uno stregone che ora è divenuto uno spirito malvagio. Ma io dubito di questo, perché non è
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probabile che i contadini della Romagna siano realmente cambiati dagli albori. I grandi saggi Etruschi hanno sviluppato degli Dei ma il popolo, pur accettandoli, ha sempre creduto nell‟Eumerismo, cioè che essi fossero solo dei maghi evoluti. E che questa leggenda sia moderna o più antica di quelle etrusche, una cosa è evidente: che il suo spirito è antico come il suo ricordo. Coloro he amano l‟antico non sempre riflettono che un ciottolo potrebbe essere più vecchio di qualunque cosa l‟uomo abbia mai fatto.
Urfia Di questo spirito non so nulla eccetto quanto segue: “E‟ una donna che si presenta (si manifesta) nelle case”. Credo sia uno spirito benevolo.
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Capitolo V Lari, Lasa e Lassi “E nos Lases iuvate, Neve luerve Marmar sins incurrere in pleoris. Satur furere Mars limen sali, sta berber. Semunis alternei advocavit conctos et nos Marmo iuvato. Triumpe. Triumpe.” - Canzone dei Fratelli Arval Con le parole latine Lar e Lares noi generalmente comprendiamo degli spiriti familiari domestici, su cui Müller (Die Etrusker) fornisce molte informazioni e congetture. Egli scrive: “Che i Lari appartengano alla mitologia toscana si vede dal nome, perché Larth e Laris erano cognomi comuni e devono avere originato un Ehrennahme, un soprannome. Ma sia tra i Toscani che tra i Romani era un nome che comprendeva molte cose… Vi erano Lares coelopolentes, permarini, viales, vicorum, compitales, civitatum, rurales, grundules ed infine i domestici ed i familiares, la cui comprensione nel corso del tempo è divenuta oscura, dividendo con gli altri questa confusione. I Lares rurali, d‟altra parte, sono quelli che nell‟antica canzone dei Fratelli Arval vengono chiamati “E nos Lases iuvate.” A Roma Lases era certamente la forma più antica del termine. Ora è certamente notevole a prima vista che sotto a queste Divinità estremamente variate vi siano delle anime umane.” Questo viene confermato da Müller con una grande quantità di prove. Egli aggiunge quindi: “I Lares familiares devono necessariamente essere inclusi tra questi, in quanto generalmente non erano altro che le anime degli antenati divenute Dei; molti degli antichi (Apuleio, Marziano e Varro) hanno dichiarato che il genius ed il lar, con specifico riferimento ai Lari domestici, erano la stessa
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cosa.” Il nostro autore dichiara che i Lasi erano generalmente spiriti femminili che si occupavano di adornare uomini e donne, come dipinto sui vasi, e che “per quello che riguarda gli Etruschi, è dubitabile che i Lasa ed i Lares siano collegati tra loro.” Parlando un giorno con la mia informatrice più autorevole sul folklore toscano, le chiesi se conoscesse parole come Lar, Lares, o Lare. “No, non le ho mai sentite.” Qualcosa con un nome simile infestava i cimiteri? “No, ma – riflettendo un istante – vi sono i Lassi o Lassie.” “E cosa sono?” Questa fu la risposta:
Lasa o spirito guardiano “I Lassi sono spiriti che vengono uditi o visti in una casa quando muore qualcuno della famiglia. Sono i fantasmi degli antenati della famiglia che ritornano in quei momenti.” Questo era conclusivo ed io non ho alcun dubbio che questo Lassi o Lasae siano i Lasa di cui si parla nella canzone dei Fratelli Arval. Naturalmente questo non è provati ma quando considero che Tinia, Fufluns, Feronia e Mania esistono tutti con la maggior parte delle loro caratteristiche antiche, devo ammettere che vi è qui una probabilità molto forte. I Lasa erano per gli antichi Latini i fantasmi degli antenati o spiriti domestici familiari e così sono i Lassi. E Müller non fornisce prove di sorta che i Lasa, “gli spiriti alati sui vasi, con una benda sulla fronte o un cappello e degli orecchini, nudi o vestiti con un corto chitone con bracciali, stivaletti o scarpe” e recanti in mano una grande varietà di oggetti non siano i Lari divinizzati. Mi
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sembra naturale che gli spiriti degli antenati, rivitalizzanti in gioventù e bellezza, possano essere i primi ad attendere ed aiutare il discendente che viene elevato al paradiso. Müller stesso dice altrove: “Nel Lar viene sempre alla luce il Genius.” Cosa sono questi Lasa se non i genii dei defunti? Esiste una storia sui Lasi o Lasii ed anche un‟invocazione a loro rivolta. Purtroppo non sono stato in grado, riguardo alle canzoni o ai passaggi metrici di tali racconti, di renderne l‟originale o la forma migliore. Nella maggior parte dei casi la mia informatrice li ha tradotti dall‟originale dialetto romagnolo in Italiano e spesso sono risultati manifestamente imperfetti o in parte cambiati. La storia è la seguente: “Un tempo vi era un gran signore molto ricco che aveva un figlio molto prodigo – che sciupava tutto il danaro. Suo padre gli disse: „Figlio mio, non potrò vivere a lungo, perciò ti prego di comportarti sempre bene. Non giocare d‟azzardo, come vorresti fare, sprecando tutto il tuo patrimonio. Finchè vivo posso prendermi cura di te, ma temo per te quando sarà morto.‟ Dopo poco tempo il padre morì ed in pochi giorni il figlio sperperò tutto. Non rimase altro che il palazzo, che vendette. Ma coloro che lo occuparono non riuscirono a dimorarvi in pace, perché a mezzanotte si udiva un grande clangore di catene e tutte le campane suonare. E si vedevano figure nere come il fumo passare, e fiamme di fuoco. Ed essi udirono una voce dire: „Sono il Lasio, in compagnia di tanti Lasii, e non avrete mai bene fino a che non renderete questo luogo a mio figlio.‟ Così essi resero il palazzo al proprietario; ma lui era troppo terrorizzato dalle apparizioni, finchè giunse alle sue orecchie una voce che disse: „Sono il Lasio di tutti i Lasii, son tuo padre e vengo adesso in tuo soccorso, purchè tu m‟obbedisca. Smetti il giuoco, altrimenti non avrò mai pace e tu ti troverai ancora in miseria estrema; ma se tu m‟obbedisci, io vivrò in pace e sarai tanto ricco da non finire il tuo patrimonio, anche divertendoti e facendo molto bene. Ma promettimi di non giuocare più!‟ Ed il figlio rispose: „Padre, perdonatemi, non giuocherò più!‟ Il padre disse allora: „Rompi quante travi che sono nel palazzo e piene di denaro le troverai; così starai bene ed io starò in pace ed andrò nelle requie. Amen!‟” Due cose mi colpiscono in questo strano semi-poema. Una è che la storia assomiglia molto a quella del Signore di Lynne nel Relics di Percy; l‟altra che è un tipo di narrativa molto più islandese che italiana. E‟ spietata, forte e molto semplice – si potrebbe dire quasi arcaica. Nella stregoneria esiste anche una invocazione di questi spiriti degli antenati non meno curiosa: “Lasii, Lasii, Lasii, che tanto buoni siete, di una grazia io ho gran bisogno; e da voi, spiriti e Lasi, in mezzo a una cantina mi vengo ad inginocchiare; a voialtri mi vengo a raccomandare che questa grazia mi vogliate fare. Lasii,
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Lasii, Lasii! A voi mi presento con tre candele accese e tre carte: l‟asso di picche, quello di fiori e quello di quadri; le butterò per aria, che voi certo mi vedete; perciò le butto in vostra presenza. Nel punto della mezzanotte queste carte per aria butterò; se la grazia mi farete, l‟asso di fiori scoperto trovare mi farete; se scoperto l‟asso di picche mi fate trovare è segno che la grazia non mi volete fare; se mi farete trovare quello di quadri è segno che la grazia mi fate.”
Fauno e lasa femmina o Fata “Ma” aggiunge la veggente con voce prosaica “non si verrà esauditi se non dopo molto tempo.” Giochi d‟azzardo e lotterie sono un elemento molto serio nella vita italiana, tanto che non ci si deve stupire che venga rivolta ai Lasii un‟invocazione come questa. Forse i Romani facevano la stessa cosa per avere fortuna at alea, ai dadi. Se avessi la mia copia del De Alea di Paschasius Justus lo scoprirei! In questo racconto i Lasii appaiono come spiriti benigni, devoti ad una famiglia. Mentre registravo questa storia del Lasio che ha donato il tesoro, mi sono imbattuto in Romische Mythologie, di L. Preller, in ciò che segue: “Il Lar familiaris è lo Schutzgeist, lo spirito guardiano della famiglia. Accanto ad esso, che viene semplicemente chiamato il lar o lar pater (il Lasio padre), vi sono molti lares familiares… Accade, magari, che il nonno confidi a qualcuno di un tesoro da lui nascosto segretamente… ed egli lo
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confida all‟unica figlia della casa, una buona ragazza che gli ha sempre fatto offerte quotidiane di incensi o vino o ghirlande.” Questa è, in breve, la stessa storia che ho riportato. Il Lar o Lasio ha un tesoro nascosto che dona al padrone di casa. Era confortante il pensare che vi fosse nella casa uno spirito familiare affezionato che poteva mutare il destino di qualcuno in meglio e così la credenza durò a lungo tra la gente rurale. Il giovane Peppino, che è andato molto in giro sia nelle case che nei mercati per raccogliere prove della conoscenza degli spiriti da me riportate, ha scoperto che i Lasii erano conosciuti ma con il nome di llasii. Qualche tempo dopo aver scritto il capitolo sui Lasii, udii quanto segue, che riporto accuratamente:
Tinia e Lasa “Quando avevo circa 12 anni mi accadde qualcosa che all‟epoca considerai divertente o buffo, ma che in seguito considerai in una luce molto diversa. Una volta andai con alcuni parenti in campagna. Un giorno ero in una foresta oscura e stavo camminando per raccogliere foglie e fiori dagli alberi quando mi trovai in un posto molto solitario vicino ad un corso d‟acqua. Avevo l‟abitudine di parlare con me stesso ad alta voce e dissi: „Oh, mi piacerebbe fare il bagno qui.‟ – era molto caldo – quando, all‟improvviso, mi comparve davanti una vecchia che disse: „Caro ragazzo, se vuoi fare il bagno svestiti senza paura, io ti proteggerò.‟ Vi era in lei qualcosa che mi piacque molto, una gentilezza ed una dolcezza che non so descrivere. E quando ebbi fatto il bagno e mi fui rivestito ella disse: „Bimbo, tu hai avuto molti problemi e molti altri ti attendono, ma non avere paura – non ti sgomentare – perché in vecchiaia avrai buona sorte.‟ E scomparve; non la
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rividi mai più ed attendo ancora la buona sorte, che non è ancora arrivata. Io credo che fosse una lasia, lo spirito di una qualche antenata morta da molto tempo che mi augurava del bene.” Le immagini dei Lasi abbondano sui vasi etruschi. Essi vengono rappresentati come begli spiriti, giovani e più spesso femmine che maschi. Sono pressoché sempre, credo, alati e generalmente recano una bottiglia o una larga fiala. L‟antica religione etrusca, che era distintamente eumeristica, considerava il divenire un Lar il primo passo per divenire un Dio. Su questo tema è interessante quanto segue: “Les Lares, ou Lases, qui jouent un róle si important dans les anciennes religions de l'Italie, qui peuplent le monde romain, qu'on trouve partont, au foyer de la famille, dans la ville, à la campagne, sur les routes - Lares familiares, urbani, rurales, viales, & c.; les Lares ont sans acun doute fait partie de la cosmogonie Etrusque. Leur nom seul semble le prouver, Larth on Laris est un nom et un titre d'honneur que l'on rencontre fréquemment sur les inscriptions funéraires de l'Etrurie. On lisait, d'ailleurs, dans les Livres Achérontiens qui faisaient partie de la doctrine de Tagès, que les âmes humaines pouvaient, en vertu de certaines expiations, participer a l'essence des dieux, et sous le nom de dii animales, ou âmes divines, prendre place parmi les Pénates et les Lares.” (Servius ad Aen., III, 168; cf. Fabretti, Gloss. Ital. s.v.). “Ainsi s'accomplissaient dans les croyances de l'Etrurie les mysterieuses destinées de l'âme humaine. Le Genius jovialis, après l'avoir recueille comme une émanation de la divinité, lui donnait entrée dans la vie; puis quand la mort venait séparer de la matière ce souffle divin, l'âme, éprouvée par les sacrifices, ou l'expiation, pouvait retourner parmi les dieux, et comme pénate elle remontait an rang on le Genius jovialis, ainsi que nous l'avons vu, était placé lui-meme.” (L'Etrurie et Les Etrusques, par A. Noël des Vergers, Paris, 1862, vol. I, pagg. 301, 302). Da questo estratto si vede che tuttora permane una singolare credenza che certe anime di stregoni talvolta rinascano come stregoni ancora più potenti e da qui divengano spiriti, cosa che è esattamente parallela all‟antica dottrina etrusca insegnata da Tagete.
Losna Müller (Die Etrusker, pag. 81) afferma che Corssen (I, pagg. 346-7) “ha erroneamente attribuito Losna, una Dea della Luna, all‟Etruria. Ella appare solo su uno specchio proveniente da Praeneste (Gerhard, I, clxxi) ed è Latina (Lucna, Luna).” Non sta a noi rispondere alla questione ma,
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domandando alla mia informatrice principale se conoscesse un essere come Losna, ricevetti la seguente risposta: “Losna è uno spirito del Sole e della Luna, di entrambi, non solo della Luna, Quando un fratello seduce la propria sorella è sempre opera sua. Ella ama deridere gaiamente la gente. Quando ha fatto il danno appare al tavolo in cui un contadino e la sua famiglia sono riuniti, ride e dice: „Sei uno stupido, non sai che tua figlia è incinta di suo fratello; ma un tempo tu hai detto: E‟ un grande piacere fare l‟amore col proprio fratello.‟ E quando ha fatto questo danno se ne va via cantando, perché ha causato discordia nella famiglia.” Questo impressionante mito pare essere molto antico. Tra gli zingari dell‟Europa dell‟Est vi è una leggenda che dice che loro discendono dal Sole e dalla Luna; avendo il Sole sedotto la propria sorella, la Luna, venne condannato a vagare per sempre ed in conseguenza anche loro non possono mai fermarsi. I nativi del Borneo e gli antichi Irlandesi credevano che l‟Uomo nella Luna fosse imprigionato là per la stessa azione. Infine, tra gli Eschimesi vi è una storia similare. Queste coincidenze sono fortuite ma in ogni caso notevoli. “Losna, che è Louna” dice Preller “appare su uno specchio etrusco con la mezzaluna associata a Polluce, su un altro monumento come Lala, Lara, Δέςττοιυα con il Dio-Sole Aplu.” E‟ possibile che alcune tradizioni riguardanti tale associazione con il Sole possano avere fatto nascere questa storia toscana, che ne è probabilmente solo un frammento. In ogni caso, è notevole che vi sia un‟allusione al Sole ed alla Luna come fratello e sorella incestuosi. Vorrei richiamare particolarmente l‟attenzione del lettore sull‟immagine che rappresenta Losna. Proviene da uno specchio che per un secolo è stato spesso inserito in opere sull‟arte etrusca. Esso è ora in mio possesso e giace sui miei fogli mentre scrivo. Secondo Corssen ((Sprache der Etrusker, vol. I, pag. 346), che fa riferimento all‟ Etruscan Mirrors di Gerhard, III, 165, a Ritschl, Cavendoni, Schoene, Benndorff, Helbig, & c., esso proviene da Praeneste ed il nome Lusna era quello originale, mentre Losna sarebbe una forma dialettica peculiare di Praeneste. Gli Etruschi ritenevano che specchi come questo possedessero poteri magici. Anche i Cinesi, al giorno d‟oggi, ne fanno di simili per questo motivo: lo specchio cinese, come quelli antichi, viene lucidato da una parte e possiede un‟immagine, o più comunemente un‟iscrizione, dall‟altra. Se il Sole splende sullo specchio e si riflette su una superficie bianca e liscia, l‟immagine dall‟altra parte diventa chiaramente visibile nel riflesso. Ho udito spiegazioni in merito che non mi hanno soddisfatto. Intorno all‟anno 1856 un dagherrotipista degli Stati Uniti, incidendo due linee a croce sul davanti di un piatto di rame ha scoperto che, nonostante la croce non fosse
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percettibile sul dorso, tuttavia quando vi si rifletteva la luce solare si poteva distintamente vedere nel riflesso. Perciò ne dedussi che la pressione sulla facciata aveva indurito il metallo dappertutto, cosa che spiega perfettamente il fenomeno. Suppongo che anche gli specchi etruschi, quando erano nuovi, possedessero la stessa qualità. Di questa invenzione non fa neppure da G.Battista Porta nelle sue molte ricette per fare specchi meravigliosi. Se ne possono fare anche con il vetro ricuocendo l‟immagine. Il che significa che prendiamo un disegno fatto su vetro duro, vi poniamo sopra uno strato di vetro morbido e, quando è raffreddato, levighiamo la superficie, che parrà uniforme; ma riflesso contro il Sole mostrerà che la luce proveniente dal vetro morbido è più opaca di quella che si riflette su quella dura.
Losna (dall‟originale specchio in bronzo etrusco ora in possesso dell‟autore) Tutti gli specchi, secondo l‟antica e moderna superstizione, sono repulsivi delle streghe e vanno bene contro il malocchio et similia. I fascinatori – come i basilischi – si vedevano rivoltare contro se stessi il proprio terribile sguardo se guardavano il loro riflesso “Si on luy presente un miroir, par endardement reciproque, ces rayons retournent sur l'autheur d'iceux.” In
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qualità di Dea lunare-solare, credo che Losna venisse particolarmente associata allo specchio come oggetto magico. Filostrato dichiara che se si tiene uno specchio davanti ad un uomo dormiente durante una grandinata o una tempesta con dei tuoni, la tempesta cesserà.
Laronda In Toscana, Laronda è uno spirito molto gentile e benevolo che, stranamente, è peculiare delle caserme, dimora in esse o negli accampamenti di soldati: “Sarebbe uno spirito delle caserme dei militari. E‟ molto buona.” Pare identificarsi con l‟antica Laronda, o Lara, etrusca, di cui Lattanzio dice: “Chi può astenersi dalle risa quando ode la Dea silente citata? Ella è colei che chiamano Lara o Laronda” (I, 20, 3-5). Ovidio parla di lei come della Dea muta. Ma, da un passaggio della Mythology di Preller. Deduco che era particolarmente conosciuta come benefica in quanto, in riferimento ad una preghiera a lei dedicata, egli sottolinea: “Qui comprendiamo chiaramente ein guter Geist - ein seliger”, uno spirito buono o felice. Ma ciò che è certamente notevole è che Laronda era in particolare la madre dei Lares compitales. “Il compitum è un punto in cui si incontrano diverse strade. In un tale luogo i Romani erigevano grosse costruzioni con passaggi e stanze che corrispondono letteralmente alle moderne caserme. In esse tutta la gente dei dintorni si incontrava per discutere i propri affari e tenere festival.” Perciò i Lares compitales erano gli spiriti guardiani di tali grosse costruzioni pubbliche, dove vivevano o si incontravano molti uomini. Ed a quel tempo, così come oggi, Laronda era lo spirito principale di ciò che corrisponde alle moderne caserme, che sono attualmente in Italia le uniche costruzioni che somiglino agli antichi compitum. Nel corso del tempo sono sorte delle storie o sono stati collegati dei nomi che hanno in realtà molta poca connessione. Una leggenda riguardante Laronda è la seguente: “Laronda è il folletto delle caserme. Un tempo era una donna di nome Rosa che, durante la sua vita, fu devota ai soldati. Dopo un po‟ di tempo gli ufficiali notarono la cosa e le proibirono di frequentare le caserme; lei se ne dispiacque tanto da ammalarsi, tanto che rimase a lungo confinata a letto. I soldati stessi la rimpiangevano tristemente e così fecero in modo che essa potesse andare da loro segretamente. Per un po‟ tutto andò bene. Tra quei soldati ve ne era uno che era fidanzato con una zingara, che era anche una strega. La strega scoprì che Rosa visitava le caserme e che tutti i soldati le erano devoti per la sua gaiezza e bontà non meno che per la sua bellezza. La zingara non ne fu felice e disse a Rosa:
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„Rosa, o Rosa, o bella Rosa! E‟ vero che io non sono bella come te, perché sono una zingara. E tu vieni stimata da tutti i soldati ed anche il mio innamorato ti ama, perciò ti prego di non frequentare più le caserme! – Perciò ti voglio pregare nelle caserme di non più andare! -‟ Allora Rosa rispose, francamente ma con risolutezza, che non avrebbe fatto alcunché per compiacere la sua sciocca gelosia e l‟altra, in collera, disse: „Che la mia maledizione possa cadere come piombo sulla tua testa, nè vivrai a lungo, ma ti do un anno. E finchè tu camperai tu non avrai che pene e guai. E siccome ami tanto i soldati, non avrai riposo dopo la morte, ma diverrai il folletto della ronda e La Ronda tu sarai.‟ Tutto accadde come minacciato ed i soldati si addolorarono per la sua morte. Ma, mentre si stavano dispiacendo, improvvisamente apparve loro ad una finestra una signora di grande bellezza vestita di bianco, che disse: „Io sono la bella Rosa, ma ora sono morta e sono divenuta il Folletto della Ronda dei soldati e, quando la notte volerà via dal mondo degli eterni, verrò a cercarvi e, quando udrete la mia chiamata, allora aprirete le finestre a La Ronda.‟” A molti questo adattamento di una storiella moderna ad una parola sarà bastevole per distruggere ogni collegamento con la classica Laronda. In tal modo potremmo invalidare completamente ogni e qualunque tradizione, così come Voltaire disse che le conchiglie pietrificate che si trovano sulle cime delle montagne sono probabilmente conchiglie lasciate da pellegrini provenienti dalla Terrasanta. Ma Laronda era fin dai tempi antichi lo spirito guardiano degli edifici pubblici. Ho sentito dire che Laronda potrebbe essere, o è, lo spirito di qualunque grande costruzione frequentata da molta gente, come un albergo. Questa pare l‟idea antica generale, mentre non ho garanzie che la storia narrata non sia di fabbricazione moderna basata su un motivo tradizionale. Se Laronda sia moderna perché vi è una storia moderna che è stata adattata al suo nome, allora naturalmente l‟esistenza di qualunque mito potrebbe essere congetturata in tal modo.
Lemuri Alla mia richiesta se fosse conosciuta una parola come Lemuri, mi venne detto che “i Lemuri sono gli spiriti dei camposanti”. Questo li identifica piuttosto chiaramente con i latini Lemures, che erano la stessa cosa delle Larvae, gli infelici e terrificanti fantasmi di coloro che erano morti di morte violenta o sotto interdizione, a cui vi sono innumerevoli allusioni in tutti gli scrittori latini.
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Tago Tago è uno spirito il cui nome pare essere conosciuto solo da pochi vecchi. Viene descritto come uno spirito bambino o che appare come tale. Di lui Gustavo Favi ha dichiarato: “Tago è uno spirito che viene invocato quando vediamo soffrire dei bambini, con una invocazione che fa sì che essi si ristabiliscano. Ma non ricordo questa preghiera per poterla trascrivere.”
Un‟altra autorità mi ha informato che esiste uno spirito bambino o uno spirito che appare come un bambino che tuttavia è uno stregone. Il suo nome è Terieg'h (un suono duro, gutturale ed incerto). Egli spunta dal terreno e predice il futuro o la sorte. Siccome vi sono solo questi spiriti in tale forma, suppongo che siano lo stesso essere. Il nome Tago suggerirà naturalmente agli studiosi quello di Tagete, “il saggio bambino etrusco spuntato dal terreno” la cui storia viene fornita nei dettagli da Preller e da molti altri, ma da nessuno in maniera così succinta o elegante come da Petrarca nel suo Italiano-Latino. Un giorno questo bambino, mentre un contadino stava arando – Hetrusco quodam arante in agro Tarquiniensi – balzò fuori dal solco, il corpo di un bambino ma la testa e la saggezza di un vecchio – puerili effigie sapientia senili – e cominciò immediatamente a stupire tutti con le sue profezie ed istruzioni in cui vi era quella che allora chiamavano saggezza religiosa ma che noi oggi chiamiamo magia. Ed invero fu dai suoi libri e dai suoi insegnamenti che vennero tratte tutte le divinazioni Romane e le osservanze sacre. E, se la tradizione etrusca cominciò con lui, sarebbe invero molto interessante il potere provare che egli sopravvive ancora nella sua casa in Etruria come Tago o Terieg‟h. In verità, vestigia come queste potrebbero non essere le più adatte allo spirito dell‟epoca, ma è importante che vengano registrate, fosse anche solo per mostrare la maniera straordinaria in cui si sono fissate nella tradizione popolare. Ma se Tago o Terieg‟h sia realmente Tagete lascio ad altri il
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compito di stabilirlo. Davus sum non Aedipius. Perchè, come dice Johannes Practorius nel suo Anthropodemus Plutonicus, “tutta la storia di Tagete potrebbe essere una favola con cui il diavolo, con le sue arti magiche, ha illuso e tradito l‟uomo con una meraviglia, perchè egli può usare le molte superstizioni che sono cominciate con Tagete, la sua predizione del futuro e la sua stregoneria.”
Tagete (dal Museo Etrusco di Gori.)
Fanio “Hæc loca capripedes, Satyras, nymphasque teneræ, Finitimi fingunt et Faunos esse loquntur, Quorum noctivago strepitu.” Lucretius, IV, 584 Per qualcuno che possegga umanità e buoni sentimenti vi è qualcosa di molto toccante nel modo in cui la gente in Europa è rimasta aggrappata ai propri antichi Dei ed ha resistito al cristianesimo. Perché non è del tutto vero, come viene generalmente fatto erroneamente credere, che essi abbiano accettato con gioia la mistica ed astratta religione Ebraico-Persiana cattolica romana fatta di amore professato a parole ed una oppressione clericale e feudale che non comprendevano. Né trovarono alcuna attrattiva nel suo dovere di obbedienza a crudeli tiranni feudali, all‟ascetismo, al digiuno ed alla paura del male. Furono costretti a tutto ciò e gli resistettero a lungo. Nonostante una crudele persecuzione (come osservano Horst e Michelet), i contadini persistettero nella loro devozione agli antichi Dei proibiti ed ogni pochi anni, a partire dal XV secolo, vi furono concilii che tuonarono loro contro, collegi che li condannarono e preti che bruciarono gente a causa di
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sacrifici pagani. E non erano in pochi coloro che, nonostante ciò, si aggrappavano all‟antica fede. Erano in tutta Europa e, come ho dimostrato, ve ne sono ancora alcuni in Toscana ed in Romagna. Questa antica religione della Natura era congeniale alla gente perché essi la comprendevano e la sentivano profondamente. Essi possedevano, come spero anche il lettore, l‟impressione che vi sia uno spirito nei boschi senza sentieri, una profonda canzone nell‟ombra silente, la vita nella terra a lungo dimenticata dei tempi antichi – luoghi di visioni nelle antiche rocce grigie che erano possibili portali attraverso i quali gli elfi o i loro stessi pensieri elfici potevano passare. Essi conoscevano la Voce della Cascata e ciò che diceva la roccia quando veniva gettata nella fonte o in una pozza silente al crepuscolo, “sotto le stelle”, ed il perché l‟alloro crepitava quando bruciava e quali parole diceva – tutti questi erano spiriti ed essi avevano imparato il linguaggio degli spiriti dai loro padri. Vi era un piacere indescrivibile, un senso di socievolezza nel credere che vi fosse un goblin familiare allegro e dispettoso che viveva nel fuoco o dimorava nei focolari, che stuzzicava le fanciulle ed infastidiva i ragazzi ed era “così amichevole”. Erano tutti come loro ed all‟interno della loro comprensione naturale ed essi credevano in loro perché, dovendo adottare un qualche tipo di sovrannaturalismo, prendevano ciò che era per loro più naturale, saggio e congeniale. Un pallido, sofferente spettro sanguinante, l‟eterna troppa bontà della Madonna e l‟agonia dei santi torturati senza fine da digiuni e preghiere non sono a noi congeniali, né una umanità sana mai li accetterebbe con amore fervente come fece con gli antichi Dei pagani. L‟intera storia del Medioevo – ed oltre, se si vuole – è quella di un‟umanità cui è stato fatto credere di credere nella miseria. E la prova di questo, lettore, è ben chiara ed è semplicemente questo: che in ogni luogo ed ogni volta che il cristianesimo possiede delle “superstizioni” o elementi pressoché in comune con l‟antico paganesimo, là la gente è più sinceramente religiosa. “L‟uomo è in realtà l‟unico oggetto che interessi all‟uomo”; egli sente e vive nell‟umanità e nella Natura e non gli importa realmente di ciò che è ad essa remoto o viene in essa forzato. Tu ed io, lettore, sentiamo il vero spirito dell‟antica religione pagana quando camminiamo nella foresta ed oltrepassiamo la linea del “lontano e poi non più, il linguaggio del mare che risuona sulle sabbie della riva”, o sediamo vicino al fuoco in una notte silenziosa. Noi non li trasformiamo in folletti, ma i nostri stessi pensieri e ricordi diventano per noi quasi come spiriti, perché noi sentiamo o vediamo in che modo possiamo dare loro vita o pensiero espresso in azioni o parole. Rendi questo letterale e non una mera immagine e poi, amico, sarai felice come un pagano risucchiato in un credo logorato – sì, quasi estinto -, che era tutto ciò che Wordsworth si augurava e
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non era contrario ai desideri di François Villon, che rimpiangeva le signore dei tempi antichi. Questo antico spirito di percezione della Natura senza “cultura” è profondamente impresso in tutto il folklore toscano-etrusco e vorrei che il mio cuore potesse esprimere i sentimenti che spesso esso ispira. Per gli antichi tutto ciò era sommato nella singola parola Faunus. Faunus (Fauno) edi Fauni erano l‟incarnazione dei boschi, dei corsi d‟acqua e dei campi, della vita fatata e dei fiori. Fui perciò lieto di scoprire che questa Divinità, che è semplicemente un‟altra forma di Pan, vive tuttora in Romagna, come attestato dai seguenti passaggi:
Divinità rurali etrusche “Fanio è uno stregone che viene in forma di spirito.” Questa sembra la concezione eumeristica di tutti gli spiriti di questa mitologia toscana molto primitiva: prima uno stregone o un uomo di potere sulla Terra, che viene ricordato dopo la morte e quindi si suppone dimori ancora nei luoghi delle sua vita precedente. Ciò che compie Fanio viene narrato come segue: “Fanio spaventa i contadini nei boschi. Appare come un uomo che balza su con le mani aperte buttate all‟indietro o appare come un diavolo che dissemina fuoco e quindi ride della paura che ha causato. E quando vi è un matrimonio egli spesso anticipa lo sposo nei suoi baci e quando lo sposo arriva ed abbraccia la moglie sente dei colpi e degli schiaffi che lo mandano in collera, finchè Fanio non scoppia a ridere e dice:
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„Vuoi sapere chi sono? Sono lo spirito Fanio e ciò che m‟è piaciuto in vita mi piace nell‟altro mondo; mi dovresti ringraziare che ti ho risparmiato tanta fatica!‟ Se il marito ne è infastidito e la moglie si arrabbia e maledice il folletto, egli la tormenta ancora di più e ritorna sotto forma di incubo per disturbare il suo sonno.” Non è difficile riconoscere in questo Fanio il Faunus dei Latini. Tutte le caratteristiche a lui attribuite nel racconto concordano accuratamente con ciò che riferisce Preller: “In alcune fasi della credenza popolare Faunus appare pressoché accomunato a Silvanus come spirito della foresta che si cela nelle tenebre profonde, nelle caverne nascoste o presso le cascate mormoranti, dove predice la sorte o cattura uccelli e dà la caccia alle ninfe… I Fauni, come classe, amano stuzzicare e tormentare i mortali nel sonno, così talvolta appaiono anche come demonietti disturbatori – come incubi – contro i quali coloro che ne sono attaccati usano ogni genere di radice e empirismi, in particolare la radice della peonia di bosco (Waldpäonie),che deve essere raccolta da degli uomini di notte, altrimenti il grande picchio caverebbe loro gli occhi a colpi di becco. Ma soprattutto le donne dovevano stare in guardia contro i Fauni ed i Silvani, perché questi lascivi folletti dei boschi scivolavano prontamente nei loro letti, da cui il nome popolare di Incubus loro attribuito.” “A causa della loro lussuria vennero chiamati Faunificarii. „Vel Incubones, vel Satyros, vel sylvestres quosdam homines quos nonulli Faunes picarios vocant.‟”(Hieron. in Isai, v. 13, 21). Questi Fauni e Silvani della credenza toscana sono alleati dei folletti maligni domestici. Tutti loro fanno l‟amore con le donne ed agiscono come incubi e causano sogni tempestosi. Pressoché gli stessi spiriti erano conosciuti in Assiria nell‟antichità. Lenormant dice (Magie Chaldaienne): “All‟Incubus ed alla Succubus si univa l‟Incubo nel Accadico Kiel-uddakarra, nell‟Assiro Ardat,… è probabile, a giudicare dal nome, che fosse uno di quegli spiriti familiari che rendono le stalle e le case teatro dei loro scherzi maligni; spiriti la cui esistenza è stata ammessa da così tanta gente ed in cui credono ancora i contadini di molte parti dell‟Europa.” Potremmo sottolineare che quasi tutti gli spiriti che appaiono in questa mitologia contadina sono della natura dei Fauni ed anche che il contadino romagnolo ha conservato gli antichi nomi etruschi degli Dei e delle Divinità rurali e silvane minori, come Silvanio, Fano e Palò, e non dei grandi Dei latini. Bacco viene invocato abbastanza comunemente nei giuramenti ma non ho potuto raccogliere alcuna informazione su di lui, eccetto che era “il Dio del vino e perciò deve essere la stessa cosa di Faflon”. I trattati migliori in cui
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mi sono imbattuto su Fauni, Satiri, Silvani, Incubi & c. formano i capitoli della strana opera di C. Bauhinus del 1667, intitolata De Hermaphroditis, &c. La peonia era considerata, in virtù del suo colore rosso, una grande protezione contro i Fauni quando agivano come incubi. Praetorius (Anthropodemus Plutonicus; Von Alpmännrigen, 1666) cita che la gente, per tenere alla larga gli Incubi, portava intorno al collo o appesi vicino a sè “selci, coralli o radici di peonia”.
Fauno (su un patera, Museo Etrusco, Firenze) E‟ importante notare che il ceppo sacro di legno che viene bruciato alla vigilia di Natale – il ceppo di Yule del Nord – viene preso con i dovuti riti ed incantesimi ai Fauni o ad altri spiriti del bosco perché, nonostante la sua condotta immorale e maligna, Fanio è uno dei preferiti, come lo era il Fauno antico, per molte ragioni non troppo difficili da scoprire ma che non è importante specificare. In un‟opera su Faunus “Del Dio Fauno, e de suoi seguaci (Eduard Gerhardm Napoli, 1825) l‟autore dichiara che qualunque Divinità egli sia stato, pur mischiato com‟era con altri, non è difficile da determinare. La verità è che tutti questi spiriti minori dei boschi e dei campi, dei focolari e delle camere da letto erano creature naturalmente familiari e maligne, così come lo sono i bambini in età scolare, e perciò erano tutti degli incubi, stuzzicatori di fanciulle e perciò seduttori e conseguentemente licenziosi ed allegri. Essi venivano, in realtà, distinti più dai loro splendori che dalla loro natura.”
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Querciola Questa parola si riferisce ad un‟erba o ad una piccola pianta che, come nel caso della ruta, del rosolaccio e di altre, è per una misteriosa associazione anche un essere fatato. La Querciuola è propriamente, in Italiano, una piccola quercia ma, come in molti altri casi, questo nome è stato trasferito da una pianta all‟altra. Ciò che ho imparato di essa (fornitomi con campioni della pianta) è questo: “Quando qualcuno ha litigato con l‟innamorato/a, dovrebbe andare a sedersi accanto alla pianta chiamata Querciola, dovunque cresca, perché l‟essere fatato che si chiama in tal modo è grande amico degli innamorati. Così quando uno è separato o distante, che sia nel cuore o materialmente, l‟altro siede vicino alla pianta e canta: „Fata Querciola! Sei tanto bella quanto buona; a te mi vengo a raccomandare che il mio bene tu mi faccia ritornare. Fata Querciola! Hai fatto tanto bene a tante persone; anch‟io voglio sperare che di me non ti vorrai dimenticare. Fata Querciola! Sei tanto bella e tanto buona; ti chiedo una grazia sola e spero non me la vorrai negare ed il mio amore mi farai ritornare. Fata Querciola! Soffrirei tante pene se da me non tornasse il mio bene, ma da me gli conviene tornare perché la fata mi ha promesso di farlo ritornare sotto il mio tetto.‟” Querciola o Querciuola, in quanto nome di una ninfa o si uno spirito silvano è abbastanza chiaramente collegato con quello di Querquetulana, un‟antica similitudine Romana o Italiana di Vira (vedi), una ninfa boschiva; un termine come Querciola si riferisce specificamente ad una driade, lo spirito di una quercia. Così Festus osserva (Preller, R.M., pag. 89, seconda edizione): “Querquetulanæ Viræ putantur significari nymphæ presidentes querqueto virescenti, quod genus silvæ indicant fuisse intra portam quæ ab eo dicta sit Querquetularia.” Querciola è perciò chiaramente una driade. Queste Querquetulanæ sono apparentemente sopravvissute negli spiriti chiamati Querkeln in Bavaria. Essi emigrarono da quel paese passando oltre il fiume Meno presso il villaggio di Wiesen (Bayerische Sagen von Fried. Panzer, Munich, 1848).
Sethano Non sono certo se questo nome sia Sethano o Sethlrano o Settrano, nè sono stato in grado di sapere di più di quanto è contenuto in queste righe: “Settrano è lo spirito del fuoco. Viene ricordato da tutti, qui. Si conosce un proverbio (un detto, un‟invocazione o un incantesimo) che viene ripetuto. Quando non si vuole che un fuoco bruci si invoca quello spirito”, Settetico.”
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Di tutti questi spiriti vi sono invocazioni e storie ma non in tutti i casi sono stato in grado di raccoglierle. Sethlans era l‟Etrusco Vulcano.
Sethlans, Vulcano ed il cavallo di Troia
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Capitolo VI Carradora Carradora fu in vita una strega buona che proteggeva i bambini contro le altre streghe cattive. Pare essere molto conosciuta. Mentre la storia che segue mi veniva narrata, colei che la raccontò fece una pausa, non ricordando il nome della pianta che veniva usata; ed una vecchia che era presente – non della Romagna, ma Fiorentina – la descrisse come corbezzolo. Ne deduco che questa storia sia largamente conosciuta. “Vi era una volta nel paese una donna che aveva una bambina piccola. Era una bella bimba ma giorno dopo giorno cominciò ad indebolirsi e la madre non sapeva che fare. Allora le consigliarono di andare da Carradora, che avrebbe saputo spiegarle tutto perché era una strega che faceva sia del bene che del male. Allora la signora andò dalla strega, che disse: „Vai a casa e metti a letto la bambina, metti un coltello alla finestra e ritorna da me.‟ E la signora fece così e ritornò da Carradora, che disse: „Le streghe vengono di notte a succhiare il sangue della tua bambina e bisogna impedirlo.‟ Quindi la strega prese del corbezzolo e delle spine e li mise in dei sacchettini rossi, che legò agli stipiti delle porte ed alle finestre; prese poi le interiora di un maialino e disse: „Queste sono le interiora di un piccolo maiale che servono a discacciare le streghe e le interiora di sì bella bambina sono giovani quanto lei cara ed è proprio atta per amare. E le corna alle streghe bisogna fare che
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qui dentro non possano più entrare.‟ Quindi la Carradora prese la bambina, la raggomitolò e la buttò in aria e così fu guarita.” La storia venne raccontata in maniera imperfetta perché non venne detto se le spine a forma di croce vennero poste sulla finestra o dovessero essere poste all‟interno di una finestra per impedire alle streghe di entrare. Carna o Cardæa era una Dea Romana minore molto antica. “Alcuni scrittori” dice Preller “la descrivono come la Dea che rafforzava il cuore e le viscere. Altri la chiamano Cardea, Dea dei cardini delle porte, e la classificano insieme a Forculus e Limentius.” Di lei egli dice quanto segue, cosa che ha certamente una straordinaria somiglianza con ciò che ho riferito: “Presso il Tevere vi era l‟antica grotta di Helernus, cui i Pontefici portavano offerte. Da qui giunse la ninfa che venne chiamata Cranæ ma che, per mezzo di Giano, divenne Carna, la Dea dei cardini delle porte, delle entrate e delle uscite. In qualità di ninfa, ella era casta come Diana e volando velocemente evitata gli sguardi degli uomini. Ma non potè sfuggire al doppio sguardo fi Giano, che conquistò il suo amore e le diede come ricompensa lo jus cardinis, il dominio su tutti i cardini e sulla spina alba allo scopo di tenere lontano il male da tutte le porte e specialmente per escludere le streghe che di notte vanno a succhiare il sangue dei bambini. Proca era figlia di un principe latino. Quando ebbe solo 5 giorni di età, le streghe cominciarono a succhiare il suo sangue. Giunse la balia e vide i segni delle zanne delle streghe sulle guance della bambina, che era pallida come un lenzuolo scolorito. Così andarono da Carna, o Cardea, che per prima cosa toccò gli stipiti e la soglia delle porte per tre volte con del corbezzolo e spruzzò l‟entrata con dell‟acqua, prese le viscere di un maialino da latte in mano e disse: „Voi, uccelli della notte (streghe) che vi dividete le viscere della bambina: la tenera creatura è per i ragazzi graziosi; cuore per cuore, viscere per viscere, anima per anima!‟ Quindi sollevò in aria le viscere e nessuno osò guardarle. (Questo sono certo che significhi che se ne andarono senza guardarsi indietro) Dopo di ciò nessuna strega potè entrare e la bambina si riebbe presto.” Essenzialmente questa è la stessa storia della precedente. Ma molto tempo prima mi è stato detto che la spina alba posata in una finestra impediva alle streghe di entrare e che le interiora di un maiale erano un potente mezzo per esorcizzarle. Che la Latina Cardea sia divenuta Carradora è abbastanza naturale.
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Vira Riguardo a questo spirito possiedo il seguente racconto: “Vira è una fata che, da fata che era in vita, divenne uno spirito che giorno e notte sta nelle foreste. E quando vede qualche bel giovane indaffarato a tagliare legna o a fare del carbone, se le piace ella gli appare sotto forma di una bellissima ragazza da fare abbagliare e quindi lui trova tutto il suo lavoro fatto, oppure gli mostra un tesoro. Un giorno ella scoprì un bel giovane molto triste, perché era molto povero. Cominciò a tagliare legna, piangendo perché non era in grado di portare nulla a casa alla madre. Allora Vira gli apparve e disse: „Buon giovane, non ti disperare: a far fortuna ti voglio mandare. Vi è un piccolo paese vicino a Benevento e là vi è la figlia del re che aspetta il mago dalle sette teste che vada a mangiarla; l‟aspetta a sedere sul balcone ma basta che uno vada dal re con le teste del mago che sia stato capace di ammazzare. E colui che lo farà sposerà la principessa. Ora, questo orco è stato ammazzato dal Signore Slaniani, che ora sta portando le teste al re per reclamare la mano della figlia, ma ella è destinata a te e non a lui. Quando le teste verranno messe sul carro per essere portate al re, io prenderò loro via le sette lingue e tu porterai queste al re, dicendo che hai ucciso tu l‟orco e che desideri sua figlia. Allora il re dirà che è stato un altro ad ottenere quella vittoria, prova ne sono le teste in suo possesso. E tu replicherai: „Chi dovrebbe essere il conquistatore – chi ha le teste o le lingue?‟ E verrà ammesso che la vittoria sarebbe stata di certo delle lingue e che, nonostante egli possa avere perduto le teste, sicuramente sarebbe stato lui a tagliarle ed a tagliarne via le lingue.‟ E così fece Vira. Il giovane, già molto bello, venne abbigliato splendidamente ed andò spavaldamente dal re, proclamando di avere ucciso con una mano sola l‟orco e chiese la bella principessa come ricompensa del suo valore. „Non può essere‟ disse il re. „Colui che ha ucciso il mostro ha portato con sé le sue teste e non ci può essere prova migliore.‟ „Una prova migliore sono le lingue‟ rispose il giovane, imperterrito, „ed io posso mostrarle tutte e sette.‟ Ma il Signore Slaniani sostenne che quelle non erano le lingue dell‟orco, perché nessuno avrebbe potuto prelevarle dalle teste, che egli non aveva mai perso di vista. Allora il re disse: „Bene, allora porta qui le teste. Se hanno le loro lingue la principessa sarà tua moglie e questo giovane verrà gettato in prigione. Ma se le lingue non ci sono più, con loro se ne saranno andate le tue possibilità, tu verrai imprigionato ed il giovane avrà la fanciulla.‟ Ma siccome il Signore Slaniani non aveva altri testimoni che le teste, quale fu il suo sgomento nello scoprire, quando le portarono, che le lingue erano sparite! Accadde perciò che il povero giovane
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che venne favorito dall‟aiuto della fata ottenne la ricompensa. Spesso va così, in questo mondo. Chi fa il lavoro duro spesso non viene ricompensato, mentre qualcuno che viene favorito dalla fortuna va avanti certo del premio. Vi sono Esseri superiori a noi che giocano con noi come con dei giocattoli. Il giovane non era nulla finchè non ebbe l‟aiuto dello spirito amorevole Vira.” Questa, per quanto riguarda le teste e le lingue del mago o del drago, è una storia di fate molto comune. Ne abbiamo una ultima eco in Quentin Durward, dove l‟eroe appare con la testa di William de la Mark, il Cinghiale Selvaggio delle Ardenne. Ma è caratteristico di questa versione che l‟intero principio della storia sia ribaltato. Nelle altre storie è il vero uccisore del drago che prende le lingue e l‟impostore possiede le teste, mentre in questa “il paggio ha ucciso il cinghiale ed il re ne ha ottenuto la gloria”. Questo indica una forma molto arcaica della storia. Tra le razze selvagge è il mago ad essere ammirato. Gli Indiani Algonchini chiamavano il loro grande Dio Glooskap o Glûsgabe, che significa “il Mentitore”, come dichiara il Dr. J.G.Brinton, perché pensavano che l‟attributo maggiormente distintivo della saggezza fosse l‟essere in grado di mentire. La gente molto civilizzata è timorosa di ammirare apertamente trucchetti come quello usato dal protégé di Vira. Non può essere sfuggito al lettore che, nel loro complesso, questi miti e storie indicavano una reale antichità; la loro morale è antica e sono tutte basate sull‟idea che gli esseri umani o fatati, che sono una sorta di esseri umani (una credenza che Praetorius e molti altri difendevano solo 200 anni fa), divengano spiriti o Divinità. Questa è la forma più antica di supernaturalismo, o animismo. Ma ciò che è maggiormente interessante in questa storia è il nome di Vira, che viene descritta distintamente come una fata “che sta sempre nelle foreste”. Nell‟antichità la Vira era uno spirito prettamente silvano e viene citata in tal modo da Preller (Rom. Myth., pag. 89): “Ma le donne dei tempi antichi che chiamiamo scias (donne sagge o streghe)… venivano anche chiamate precedentemente Viræ o Vires, perché appare anche questa forma, ed erano invero conosciute principalmente come Baumnymphen (ninfe degli alberi); le parole virere e viridis sono chiaramente collegate con questo nome.” “La razza delle donne degli alberi” dice Preller “viene generalmente indicata con i nomi greci di ninfe e driadi, mentre nell‟antichità italiana e nella sua tradizione popolare venivano chiamate Viræ, Vires, Virgines e Viragines.” Nella storia che abbiamo riportato, Vira agisce più come una strega che come una fata. Se consideriamo il nome Vira con altre caratteristiche, è tuttavia possibile che questa sia forse la più antica versione della leggenda.
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Bergoia “Bergoia è uno spirito sempre perfido che in vita fu una strega molto malvagia. Tuttavia, quand‟era giovane era molto buona e stava in una grande famiglia benestante in cui era amata come una figlia. E vi era una giovane fanciulla, figlia di quella famiglia, che l‟amava anch‟essa teneramente. Ma poco a poco, nessuno sapeva il perché o il percome, Bergoia cominciò a cambiare la sua natura e divenne tanto maligna quanto prima era stata amabile. Il cambiamento fu così grande che la fanciulla era certa che vi fosse dietro qualche strano motivo e, essendo una ragazza molto intelligente, si risolse di tenere d‟occhio da vicino Bergoia e di scoprire cosa era accaduto. Una sera, quando Bergoia le disse di andare a letto presto, ella vi andò ma rimase sveglia per guardare. Quando giunse la mezzanotte udì la voce di un uomo cantare dall‟esterno: „O Bergoia, bella Bergoia, vienimi ad aprire, che da questa finestra non posso salire. Bada, i tuoi padroni non svegliare perché con te un affare abbiamo da combinare. Se questo affare combineremo la tua signorina stregheremo; se la tua signorina non mi farai stregare, una strega di te farò diventare.‟ Allora la giovane, terrorizzata per ciò a cui era sfuggita a malapena, corse urlando dai genitori e disse loro ciò che aveva udito. E così colui che era fuori ed aveva chiamato si mutò in un impeto di rabbia in un cane nero e scomparve in un terribile lampo con Bergoia, che non venne mai più vista sulla terra come donna in carne ed ossa. Dopo la sua morte, Bergoia divenne uno spirito del tuono e del lampo e venne vista dardeggiare nel fuoco – si converte molte volte in saetta. Ella, tuttavia, prende spesso forma umana e va in una casa a chiedere cibo e riparo; se lo ottiene, si accontenta di fare tuoni e lampi e se i suoi ospiti si mostrano spaventati allora arriverà la grandine a devastare i loro raccolti. Ma guai a coloro che le rifiutano rifugio, perché giungerà una saetta che distruggerà o brucerà la casa o incendierà gli alberi. In tal modo gli uomini perdono grosse quantità di denaro a causa della distruzione dei raccolti, perché il lampo è un raggio di fuoco ed il fulmine come una stecca di ferro e chi ne è colpito muore, come potrebbe morire a causa dell‟odore mortale che il fulmine sparge intorno a sé. Queste sono le opere di Bergoia. Talvolta accade che Bergoia si senta attratta da un giovane e passi la notte con lui. Egli viene stregato e fa l‟amore ma non la vede mai, perché ella viene e se ne va nell‟ombra e scompare improvvisamente in un lampo di luce che uccide il suo amante. E così ella fa sempre del male a tutti, anche a coloro che non le hanno mai fatto nulla.”
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I Tusci, come osserva Ottfried Müller, possedevano nella loro mitologia un numero straordinario di spiriti del tuono e del fulmine, di furie e streghe infernali e, come ho osservato io, ve ne sono molte nella mitologia della Romagna. Pare che il culto o la religione degli Etruschi, come quella degli antichi Turani e Messicani, specialmente ad un certo stadio siano culti di sangue e di orrori grotteschi, che colpiscono sempre l‟uomo primitivo. In queste religioni tuoni e tempeste, morte, sacrifici sanguinari e spiriti maligni hanno la precedenza su concetti più raffinati. Il Dio è sempre uno stregone umano che continua ad infestare l‟umanità e ad esercitare le stesse funzioni che aveva in vita. Nessuno può evitare di riconoscere tracce molto distinte di questo nelle tradizioni romagnole. Questo racconto parla dell‟ “odore mortale che il fulmine sparge intorno a sé”. Gli zingari ungheresi dicono che odora di aglio. Possiamo osservare che queste leggende toscane sono confrontabili molto evidentemente con i loro miti originali. Molti dei nomi delle Divinità Etrusco-Italiane vengono in loro conservati pressoché immutati. In nessuna parte dell‟Impero Romano Cerere veniva adorata con tanto zelo come nella terra toscana; l‟idea di una Dea che vaga disperata, sollecitando cibo e riparo e punendo crudelmente coloro che la trattano scortesemente appare più di una volta in queste tradizioni. E non si può negare che, se si considerano nella loro completezza, paragonando un fatto all‟altro o tutte le caratteristiche particolari di queste leggende, esse concordano meravigliosamente con ciò che conosciamo delle loro antiche origini etrusche o latine e manifestano solo una piccola mescolanza con altre fonti. Vero questo, è curioso che vi fosse una Dea minore etrusca di nome Begoe che pare abbia comunicato ai mortali l‟intera teoria e sistema del tuono, o una ars fulguritorum che è stata conservata con altri scritti del tempo di Augusto nel tempio dell‟Apollo Palatino. Fulguritus significa id quod est fulmine ictum – ciò che è stato colpito dal tuono. Begoe era coinvolta con tuoni, tempeste e la perdita dei raccolti. Ma qui, come in tutti i casi del genere, do solo un semplice suggerimento, da correggersi o mettersi da parte da coloro che sono meglio qualificati per decidere in merito. Bergoia in questo mito toscano uccide animali ed uomini in un lampo o in un istante. “Begoe” ci viene detto da Mrs. Hamilton Gray (History of Etruria) “uccide una mucca semplicemente sussurrano nel suo orecchio il temibile nome del Supremo”. Penso che questo si riferisca al fulmine. “Il supremo ed il più irresistibile tra tutti i poteri dimora nel nome divino e misterioso, “il nome supremo” con cui solo Hea ha familiarità. Davanti a questo nome si inchina tutto nel cielo, nella terra e nell‟Ade ed esso solo sconfigge i Maskin (spiriti maligni) e ferma le loro devastazioni.”
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“Temetela (Ninkigal) con i nomi dei grandi Dei.” (Fox Talbot, citato in Magie Chaldaienne di Lenormant). Perciò nomen est numen, secondo Varone, cui potremmo qui giustamente aggiungere et numen est lumen – la divinità è luce.
Begoe (immagini dal Museo Etrusco di Gori)
Bughin Di questo spirito possiedo il seguente racconto: “Bughin è uno spirito che fa sia del bene che del male. Intorno al periodo del raccolto egli causa il carbonchio nel grano o lo fa diventare nero, così che il pane che si fa con esso è anch‟esso scuro ed ha un cattivo odore e sapore e non si riesce a mangiare, cosa che è una triste perdita per i poveri contadini. E quando essi hanno sofferto molto per questo, diciamo 3 o 4 anni, allora essi prendono due o tre spighe di grano, le devono mondare, pulire e metterle sul focolare dov‟è molto caldo, buttarne i rifiuti fuori dalla porta e, mettendo il grano sul focolare, dire: „Metto questo grano carbonchiato (abbrustolito) perché lo spirito di Bughin mi ha rovinato. A lui mi voglio raccomandare e lo voglio tanto pregare che questo male voglia riparare. Se questa grazia mi vuol fare, questo grano in mezzo alla stanza mi deve far saltare!‟ Se i chicchi riscaldati scoppiano e saltano, è segno che la ruggine non attaccherà il raccolto. Ma il contadino deve stare in guardia per assicurarsi
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le due spighe di grano tra le prime che matureranno prima che il carbonchio si manifesti.” I Romani avevano un Dio o una Divinità rurale che vegliava sopra il grano con la ruggine. Il suo nome era Robigo e nella tradizione degli Dei latini del raccolto si parla molto di lui, di cui potrei dire che appare come il prototipo degli stessi “Dei del Grano” in Germania o proviene dalla stessa fonte. I Latini avevano anche una mitologia minore in merito. Seia, o Segetia, vegliava i semi mentre erano sottoterra. Veniva chiamata anche Fructiseia e Simonia. Segesta li vegliava quando germogliavano; il Deus Nodotus aiutava la crescita dei virgulti – dicitur dens qui ad nodos perducit res satas – (Arnobius, IV, 7; Preller); Volutina formava l‟involucro esterno, Patelena apriva la cariosside (vedi Patelana). Accanto ad essi vi erano dodici Dei maschili che vegliavano su tutti i diversi processi della semina e del raccolto, oltre al Deus Spinensis che veniva invovato per conservare il raccolto libero da rovi ed erbe infestanti. In Bolognese Robigo potrebbe essere mutato facilmente e naturalmente in Bughin la cui radice, big, diventa bug o bugh grazie a molte analogie. In è una terminazione comune per i nomi propri.
Ganzio “Festa para Conso: Census tibi cætera dicet; ipso festa die dum sua sacra canes.” Ovidio, Fastorum Lib. III Il contadino in difficoltà per qualcosa ha sempre la scelta tra l‟appellarsi ad un santo cristiano o ad un antico Dio pagano: “L‟uno va bene se l‟altro fallisce”. Così, se un cavallo è malato egli può cominciare con il pregare Sant‟Antonio, di cui mi è stato detto quanto segue: “E‟ un santo che protegge tutti gli animali ma specialmente i cavalli. E quando qualcuno possiede un cavallo in cattive condizioni, va da Sant‟Antonio e dice: „Sant‟Antonio mio benigno, di pregarvi non son digno, ma voglio voi pregare che il mio cavallo vogliate liberare da tutte le malattie; sano e svelto me lo farete stare!‟ Ma se Sant‟Antonio dovesse fare orecchie da mercante a questa umile petizione, il supplicante si rivolge ad una Divinità molto più antica e probabilmente molto più esperta, che è Ganzio, quello “dei cavalli”; viene detto così perché dimora nelle stalle e, nonostante non sia esente da imbrogli e vizi, è sempre disponibile a dare il suo aiuto come “veterinario” esperto quando gli viene richiesto gentilmente. Di lui possiedo il seguente racconto:
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“Ganzio è lo spirito che sta sopra i cavalli. Ora, non è con intento malvagio ma per divertimento che spesso accade, quando uno stalliere entra nelle stalle, che Ganzio faccia comportare stranamente i cavalli e lanci impedimenti sulla strada, specialmente se il padrone sta aspettando fuori e, molto impaziente, comincia a rimproverarlo. Tuttavia, se il padrone non si arrabbi troppo o non tratta male lo stalliere, Ganzio si accontenta di far fare qualche capriola al cavallo; ma se il padrone è arrabbiato in maniera irragionevole, allora il cavallo prenderà – se possibile – la strada sbagliata o andrà in un posto pericoloso, oppure salterà o scapperà via imbizzarrito, ma sempre senza fare del male al proprio cavaliere. Ora, se si pensa che Ganzio stia giocando questi scherzi, il cavaliere dovrebbe dire: „Ganzio, Ganzio, benedetto tu sei, buono quanto bello. Son cattivo, hai bene regione; tratterò bene i servitori, giacchè tu mi hai dato una lezione. Ma ti vengo a pregare, Ganzio, più non mi spaventare; chè mi hai fatto una gran paura ma è vero, l‟ho voluta. Ganzio, vieni in casa mia, vieni a tenermi compagnia ma non farmi spaventare, nei burroni non mi gettare.‟ Devo sottolineare che la mia informatrice non ricordava molto bene questo incantesimo e lo ha “messo su” in tal modo meglio che ha potuto. Ma chi era originariamente questo Ganzio? Consus era una Divinità minore Romana molto antica ed era strettamente collegato con gli animali, specialmente con i cavalli e le corse. “I Greci” dice Preller “sulla base delle corse di carri che si tenevano durante il suo festival ed il fatto che il suo altare fosse interrato, dicevano che egli era la stessa cosa del loro Poseidon Hippios.” E‟ da sottolineare che egli veniva considerato molto gentile e premuroso nei confronti degli animali, perciò durante il suo festival a tutti i cavalli e muli veniva permesso di riposare e venivano incoronati di fiori e trattati bene in tutti i modi.” Consus sarebbe divenuto naturalmente Conso o Consio in Italiano, il cui toscano è Chonsio, il ch che spesso muta in g come lonbrigoli per lombrichi o piga per pica (picchio), in antico Umbro pei qu. L‟etimologia potrebbe essere “tenere l‟acqua”; la suggerisco come l‟unica che mi è giunta, ma potrebbe non essere corretta. Tuttavia, secondo questa Consus sarebbe pressoché inevitabilmente divenuto Consio e Ganzio. Dimenticavo di dire che Ganzio può essere invocato per qualunque faccenda riguardante i cavalli.
Alpena “Der Name der Göttin Alpan erkhärt sich durch Vergleichung stammverwandter Namen von ahnlichen Gottheiten bei den Indern und Germanen.” “Diese schafft und bringt nach der Darstellung des
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Spiegelbildes durch die Luft dahin schwebend den Schmuck der Pflanzenwelt. ” Corssen, Über die Sprache der Etrusker. Alpena, come detto, è un bellissimo spirito femminile che vola sempre per l‟aere. E‟ affascinante e, in aggiunta al suo nome, viene chiamata La Bellaria. E‟ la Dea dei fiori. Il nome richiama l‟Etrusca Alpan, anch‟essa una Dea aerea o almeno Peri, che appare su uno specchio proveniente da Vulci – ora in Vaticano – (vedi Mus. Etrusc. Vaticana, I, vol. XXIII, e Gerhard, Etrus. Spiegel, V, 28 f.t., CCCXXXI, f. 2141) con dei fiori o delle foglie in mano. Tutti i dettagli fornitimi concordano curiosamente con ciò che viene detto di Alpan da Corssen (Über die Sprache der Etrusker, vol. I, pag. 255): “Alpan” egli dice “crea la parte ornamentale del mondo delle piante e la porta, volando attraverso l‟aria, al seguito di Adonis, la Dea della primavera.” Il nome Alpena e la descrizione dei suoi attributi mi sono stati forniti da una contadina non come risultato di una mia richiesta, ma volontariamente. Siccome Alpena o Alpan è, come Albina, una delle Lichtgöttinin, le Dee della Luce, è probabile che, essendo così simili i loro nomi, siano la stessa Dea. Da Alpan gli Etruschi hanno sviluppato un‟altra Dea, Alpanu o Alpnu, che pare sia stata una forma inferiore di Venere (vedi Corssen, Über the Sprache der Etrusker). Da notarsi che nella moderna tradizione toscana vi sono diversi spiriti della luce e dell‟aria chiamati Bellaria, corrispondenti al gruppo etrusco-romano di Eos e delle ninfe dell‟alba. Nonostante Eos avesse pochi templi (“rarissima templa per orbem”, Ovisio, Met., XIII, 588), gli Etruschi la tenevano in grande considerazione e suo figlio Memnon (Memrun) appare spesso sui vasi (vedi Die Weltkörper in ihrer mythisch symbolischen Bedeutung, von J. B. Friedrich, 1864). Tutti gli spiriti alati etruschi che recavano fiori ed erano collegati con arcobaleni, nuvole, aria e luce, erano di fatto Bellarie e facevano parte dei Lase, che portavano delle bottiglie probabilmente di profumo – anche se avrebbe potuto essere qualcosa di più materiale – con cui davano il benvenuto all‟anima del mortale che entrava nei cieli.
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Alpan (Alpena o Albina) (da Corssen – ornamento di un vaso)
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Capitolo VII Tituno “Tituno è lo spirito della folgore ed è conosciuto in tutta la Romagna.” Così afferma Naudo Papetti. Un‟altra autorità (Peppino) mi dà questo nome come Tit'uno “lo spirito della folgore”, aggiungendo che gli dispiaceva di non potere dire molto in merito, ma che quando finirà la stagione dei bachi da seta andrà tra i contadini a raccogliere tutte le tradizioni che può. Nel frattempo, egli ha annotato di Tit‟uno quanto segue: “Questo spirito fece cose meravigliose nei tempi antichi, quando Giove lasciò cadere i suoi fulmini sulle grande pianure, distruggendo tutto. Allora la gente invocò questo spirito dicendo: „Spirito infernale, ti scongiuro in nome di Dio e del santo Isidoro.‟ Presero del sale e dell‟acqua benedetta e la spruzzarono sulla casa o il posto dov‟erano. Quindi i tuoni se ne andarono e non ritornarono più a fare danni, perché l‟invocazione era una protezione. Ed ho trovato un contadino che la ripete ma dice che vi fu un tempo in cui in Romagna lo facevano tutti.” Sicuramente il lettore sarà rimasto colpito dal fatto che, come ho osservato più volte in questo libro, vi sono molti spiriti del tuono e della folgore, come già tra gli antichi Etruschi.
Albina “Obstinet dicebant antiqui quod nunc ostendit, ut in veteribus carminibus: sed iam se cælo cedens Aurora obstinet suum patrem.” Festus, pag. 197 Quanto segue mi è stato ripetuto in parte cantato ed in parte recitato ed è stato trascritto rozzamente come mi è stato narrato; tuttavia vi è in esso una certa bellezza arcana, come di un‟alba oscurata dalle nuvole. Parla di uno spirito dell‟alba che si suppone essere molto adatto ad annunciare una giornata luminosa o a promettere speranza agli innamorati sfortunati. “Albina è una fata che appare quando spunta l‟alba a coloro che amano invano. Ella stessa, quand‟era in vita, amò e fu amata ma era in potere di
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una zia, che era una strega ed osteggiava il suo amore, che le disse: „Lascia questo tuo innamorato o ti accadrà ogni male. Per prima cosa sarai una fata e quando morirò prenderai la mia stregoneria e non avrai mai più pace o felicità.‟ Albina rispose: „Se anche tutto il mondo dovesse perire, sposerò il mio amore e, se dovrò divenire una strega o una fata, userò tutto il mio potere per fare del bene agli innamorati. Farò del male alle donne che tradiscono i loro innamorati.‟ Così Albina mantenne la parola. Se un giovane innamorato la prega appena spunta l‟alba, sarà certo di ottenere il suo favore. Quando un giovane ama non ricambiato, deve alzarsi prima dell‟alba e, inginocchiato in un campo aperto, dire: „Alba, alba che spunti, fai spuntar per me l‟aurora! Che Albina venga fuori, una grazia mi deve fare. A lei mi vengo a raccomandare. Dalla mia amante sono discacciato; anche Albina per amore quante ne ha passate! Ella sa che l‟amore è tanto forte che si preferisce piuttosto la morte che essere da un amante abbandonati!‟ Il nome di Albina è associato ad Alba o ad Aurora stessa. Ulteriori discussioni le lascio ai dotti. Ma è interessante sottolineare che in questa scena imperfetta abbiamo un frammento di un qualche poema più antico e probabilmente più perfetto che va molto oltre al potere creativo di una contadino illetterata. Albina teme il divenire una fata, uno spirito o una strega. Si può osservare che in tutta questa storia vi è qualcosa di misterioso e terribile riguardante la trasfigurazione della mortalità in folletti. Albina lo teme ma, piuttosto che rinnegare la sua fedeltà all‟innamorato e pur sapendo di perderlo, ella non indietreggerà di un passo e dichiara che, se sarà costretta a prendere su di lei del potere sovrannaturale, lo userà per fare del bene agli innamorati sfortunati. Cosa che viene realizzata. Tutto ciò non è stato sviluppato chiaramente ed in maniera artistica nell‟incantesimo, ma è piuttosto chiaro dall‟espressione della strega che ella possedeva un diamante che semplicemente non era in grado di mondare. Per comprendere meglio ciò immaginiamo che un contadino dello Hampshire canti questa canzone. Esisteva un‟antica città Romana, ora toscana, chiamata Albinia.
Verbio La strana maniera in cui fiochi ricordi di antichi miti vengono trasmessi nei nomi ed il modo in cui sono mutati tra la gente è illustrata nella seguente storia proveniente dalla Romagna: “Verbio era un bellissimo giovane, buono quanto bello, ed amava con tutto il suo cuore una fanciulla che pareva contraccambiarlo. Ma in breve tempo ella venne tentata da un altro giovane di bellezza maggiore, che era un
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incanto. Egli era straniero e non vi fu nulla da fare: Verbio venne messo da parte per questo bello straniero. Allora Verbio cadde malato per la disperazione e pareva stesse per morire; la fanciulla, nel sapere questo, si pentì grandemente e, piena di dolore, disse al suo nuovo amante: „Ho sbagliato ed ora capisco che Verbio mi ama sinceramente, come né tu né nessun altro potrebbe.‟ Il suo amante la guardò ed ella vide che non era un uomo, ma un diavolo. Ed egli disse: „Guarda cos‟hai fatto, guarda come sei stata malvagia a lasciare qualcuno che ti amava con tutta l‟anima sinceramente! Tuttavia è per me che tu l‟hai lasciato, sì, per me, un diavolo; ora entrambi voi siete perduti, perché tu hai promesso di essere mia per sempre e come te l‟audace Verbio. Ma se voi firmerete un contratto con il vostro sangue in cui è scritto che sarete miei, io vi garantirò molti, molti anni di felicità assieme.‟ Ora, Verbio non credeva al potere dei diavoli ed era semplicemente felice di riavere il suo amore, così firmò il contratto ed ella lo imitò. Ed essi vissero davvero felici per molti anni, ma gli anni terminarono e giunse il momento in cui spirò il termine del contratto ed essi morirono nello stesso istante. Improvvisamente si levò una terribile tempesta su tutta la zona, il cielo diurno divenne scuro ed orribili vampe di fuoco scaturirono dalle tenebre ed in mezzo alla tempesta si udì una voce cantare: „Donne, imparate ad amare un solo vero amore e sinceramente; quando siete amate sinceramente, siate avvisate dal mio esempio: ora pago il fio della mia fatale falsità.‟ E da quel giorno i due vagano come spiriti senza riposo.” Virbius era il servitore – “genius o indiges dei boschi di Diana o il re e sacerdote più antico – rex Nemorensis – che fondò la sua adorazione.” “Egli era” dice Preller “un demone maschio, adorato insieme a Diana. Veniva paragonato a, ed in effetti era, il Greco Ippolito che, dopo essere stato calpestato a morte dai cavalli selvaggi di Poseidone, venne fatto resuscitare e venne portato via da Diana.” Diana è conosciuta popolarmente al giorno d‟oggi come Regina delle Streghe, ma come una sorta di Hecate in un senso oscuro e terribile. E, se Verbio fosse la forma moderna di Virbius, sarebe evidente come sia divenuto uno spirito della notte che non conosce riposo. Sospetto che in una versione più antica di questa storia Verbio muoia e sia fatto resuscitare. Pico della Mirandola, nell‟attaccare il carattere morale di Diana, dichiara che “ella era molto liberale con quella verginità che fingeva di adorare, probabilmente per stimolare coloro che odiavano la lussuria. Perciò Endimione giacque con lei quale Luna, come fecero Ippolito e Virbius.” E Tertulliano (De falsa Religione, lib. I, cap. 17), che naturalmente desiderava
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distruggere il buon nome e la buona reputazione di ogni signora di qualunque mitologia che non fosse cristiana, prosegue nello stesso modo, chiedendo il perchè ella debba provare tanto dolore per salvare Virbius dall‟essere ucciso dai cavalli – “qui erat turbatis distractus equis” –, a meno che “Cosa, io chiedo,” grida il sant‟uomo, ispirato “cosa significa tutta questa brutta storia dei cavalli (quid equorum tam pertinax abominatio) se non una conscientia stupri, et amorem minime virginalem? (una coscienza di – ahem! – ed amore per qualcosa di tipo virginale?)” Esattamente. E così, da allora Diana, quale Luna sempre errante, e Virbio – l‟uomo nella Luna – sono andati errando assieme per la superficie dei cieli “come spiriti che non trovano riposo”. Sospetto che vi sia molto di più da scoprire riguardo a questo Verbio romagnolo e che ciò che ho scritto qui sia, come molti altri racconti, un misero frammento di una storia molto più completa. L‟idea della firma di un contratto ed assegnare l‟anima è un‟invenzione cristiana molto tarda, nonostante Horst trovi delle tracce di esso mille anni fa.
Dusio “Agostino (testimonio famoso) dice al quindicesimo libro della Città di Dio che i Silvani ed i Fauni (volgarmente detti Incubi), di molte volte sono stati maligni verso le donne e che le hanno desiderate e finalmente son giaciuti con loro, e che alcuni demoni, chiamati dai Franzesi Dusi, del continuo vanno cercando tal disonestà, e mettonla ad effetto.” La Strega di Pico della Mirandola In ciò che potremmo chiamare la Mitologia Minore Irregolare degli AngloSassoni vi è un potere conosciuto come il Deuce. Ho sempre pensato che questa parola fosse solo il Latino Deus, ma dei filologi lo hanno dedotto da un folletto francese, un Dus, che viene descritto all‟inizio del XV secolo come Dusius. Desu significa Dio, mentre Dus, secondo Du Cange, si trova in quasi tutte le lingue slave, celtiche e teutoniche d‟Europa e sempre come una sorta di demonietto, un seduttore di vergini ed un essere dalle abitudini familiari, semplici e pantofolaie. E‟ tuttavia vero che la parola che indica Dio è stata altrove resa al servizio del diabolico. In Inglese zingaro è Dùvel, derivante dalla stessa radice ariana di Deus. Alcuni anni orsono, una signora inglese che insegnava religione ad alcuni bambini zingari chiese loro in quale modo si chiamasse il Creatore. Un piccolo viaggiatore, pensando che il nome fosse quello usato in Romania, gridò “Dùvel”. Ben presto apparve sui giornali una “Raccapricciante prova di ignoranza e depravazione”, in cui veniva mostrato che gli ordini inferiori in realtà credevano che il mondo e tutte le cose fossero state fatte dal diavolo – à la Moloch o Malloch. Invero, Duvel e Devil (diavolo) suonano molto simili e, quando consideriamo la
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straordinaria preponderanza di potere che i cristiani cattolici riconoscono al diavolo, c‟è da meravigliarsi che questi nomi non siano stati interscambiati molto tempo prima. Isidore di Siviglia (in Gloss) parla dei Dusii come demones. Un‟altra antica autorità dichiara che vi sono realmente donne così refrattarie alla decenza o così mondane che sollecitano gli abbracci di questi demoni, quos Galli Dusios nuncupant, qua assidue hanc peragunt immunditiam, che i Francesi chiamano Dusii, perché perseverano costantemente in tale impurità.” Papias scrive: “Dusios nominant quas Romani faunos ficarias vocant” (“essi chiamano Dusii quelli che I Romani chiamavano Faunos Ficarios”). Tommaso di Canterbury parla di loro come di Dei della foresta o Silvani in Prussica e dice che i “gentili” del luogo non osano tagliare gli alberi a loro consacrati.” Ed un codice dell‟VIII secolo, citato da Du Cange, parla di aliqui rustici homines, “alcuni contadini che credono nelle streghe, nei dusiolas ed acquaticas o genisons.” Ma questa parola pare esistere nella maggior parte delle lingue del Nord. Zeuss dà Dusmus, diabolus per Dusius. Diefenbach (Origines) trova un Prussiano Dussia o Dussas, “forse dwœse, geist, uno spirito”. E Villemarqué dà come Britannico o Bretone Dus, Duz, plurale Duzed, un incubo. Dus appare anche nell‟antico Friesico come Dûs e nell‟alta Germania centrale come Daus.Presumo vi fosse un Etrusco o Sabino Dus, genitore o origine del goblin domestico ed anche dei Fauni. Appare molto spesso nei vasi un Dio fallico ridente con la coda da volpe, un volto liscio ed un naso camuso – sempre impudico ed indecente. Nessuno degli autori da me citati menziona un equivalente italiano della parola. Mi ha fatto perciò piacere scoprire che non solo il nome era conosciuto, ma che la descrizione di questo goblin corrispondesse in ogni dettaglio a quella degli scrittori precedenti. Questo è molto interessante perché attualmente si sente parlare poco di Dus nel resto dell‟Europa e forse potrebbe essere considerato come uno degli Dei andati a riposo. Ecco cosa mi è stato raccontato: “Dusio è un piccolo folletto dispettoso, un goblin. Stuzzica le ragazze e talvolta agisce come un incubo; molto spesso ispira sogni lascivi ed ha una connessione con le donne. Talvolta, sotto forma di un diavoletto alto non più di tre pollici (7,62 cm, n.d.t.), egli si appollaia sui loro cuscini. Non è cattivo, ma è dispettoso. Infesta le case ed i focolari.” Dopo che mi fu raccontato questo per la prima volta, mi venne scritto: “Dusio è un folletto, un goblin o uno spirito che siede sulle spalle delle ragazze. In una zona della Romagna vi era una ragazza al servizio della famiglia di un gentiluomo. In quel palazzo morì la zia del proprietario. La famiglia era formata solo da due fratelli, un giovane figlio ed una ragazza.
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Dopo la morte della zia, anche il padre morì. E dopo questi decessi non vi fu più pace nella casa a causa di strani rumori. Da principio la ragazza ne era spaventata, ma presto si abituò a quei suoni. In goni momento si udivano passi che salivano e scendevano le scale e porte che venivano sbattute. Poi Virginia – era questo il suo nome – vide alcune volte una forma come di una signora vestita in nero entrare e spazzare il pavimento. Venne quindi il Dusio, che le fece ogni sorta di scherzo impudico e faceva l'amore. Ora, a Virginia questo non piaceva, perché ella aveva un innamorato che le scriveva spesso ed aveva nascosto attentamente queste lettere per timore che i padroni le trovassero. Una notte Dusio entrò e cominciò i suoi scherzi. La stuzzicò in ogni modo e tolse le coperte del letto, le lenzuola e tutto da Virginia. Allora ella andò a prendere alcune delle sue lettere e, accendendole con la candela, le bruciò tutte nello scaldino, o braciere. Il giorno seguente, ella andò a parlare con una vecchia che era per lei come una madre, a cui raccontò di tutti gli scherzi che le giocava Dusio e di come le stesse rovinando la vita. Allora la vecchia disse: „Se dovesse cercare di farlo nuovamente digli: Dusio, Diosio, vattene via! Vattene in pace, che Dio ti benedica! Lui allora se ne andrà via e non ti molesterà più.‟ Ma Virginia fu così sbadata o così tesa che, invece di ripetere queste parole, disse: „Dusio, Dusio, cosa fai?‟ E lui, scoppiando a ridere, disse: „Mi sto accertando che il tuo padrone e la tua padrona trovino le tue lettere.‟” In questa storia ho omesso alcuni dettagli sulla famiglia, il loro nome ed il luogo in cui sono accaduti i fatti. Mi è stato assicurato essere una storia vera. Interessante qui, oltre al fatto che Dusio corrisponde esattamente allo spirito impudico Dusius degli antichi scrittori, è la parola diosio nell‟incantesimo. La mia informatrice non me l‟ha saputa spiegare. Penso di averla già sentita in precedenza, ma non ricordo dove. Penso che sia l‟equivalente di “tu che saresti, o sei, un Dio”. Praetorius, nel suo Blockes Berges Berichtung (1669), accenna qualcosa riguardo a Dusius. “E‟ stato osservato” afferma “sì, e sperimentato e reso noto da molti uomini credibili che i Silvani o Piccoli Uomini del Bosco, altrimenti conosciuti come Incubos e Squatters (Auflröcker), sono pazzamente impudichi con le donne. E vi sono altri dello stesso genere che i Francesi chiamano Dusii che sono eguali in tale impurità, tanto che è davvero un peccato ed una vergogna, e Giraldus, Livio ed Isidoro lo testimoniano. Ma tutti loro si sono infranti sulla parola Dusius. Perché dovrebbe essere Drusius e significare diavolo del bosco, che i Latini chiamavano con lo stesso senso Silvanus. Come ha detto S.Agostino, i nostri antichi antenati chiamavano questi spiriti e diavoli Druten, ed è molto
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probabile, perché questa parola concorda bene con Druidi, che vivevano in boschi e foreste.” Può essere o può non essere.
Remle Il racconto che segue mi è giunto da una famiglia che vive vicino a Forlì: “Remle è lo spirito delle macine e, quando un contadino che lo ha offeso in qualche maniera prende il grano da macinare, scopre che qualcosa non va e che la ruota non gira, perché Remle va in mezzo alla macina ed impedisce che il grano venga macinato. Il contadino deve allora dire: „Remle, Remle, a te mi raccomando, che sei tanto buono e grande. Ti prego, la macina lasciami andare, perché ha da fare, e il contadino ti manderà a farti ringraziare!‟” Non ho trovato nomi simili a questo collegati con Divinità toscane o latine. In Italiano remolare significa ritardare o impedire e, siccome Remle ritarda o impedisce il lavoro della macina, è probabile che sia questa l‟origine del nome. Mola, la pietra per macinare, permolare, macinare, molàto, macinato sembrano tutte strettamente connesse ad esso. In Romagnolo la parola Remle vuole dire la stessa cosa dell‟Italiano crusca. Tuttavia, io mi chiedo se questo sia il nome originale o se sia indicativo del suo reale significato. Sembra molto naturale supporre che vi sia un goblin che dimora nel misterioso chiaroscuro di una macina – “reso di nebbia dalla farina che fluttua”.
Jano, Meana, Montulga e Talena “Ora, per il bifronte Giano! La Natura ha formato strane creature nella sua epoca.” “Quod quidem apud Thuscos Italiæ populos accidisse, historia traditur, neque ego hæc loquor quasi poëticum fabulam.” Psellus de Daemonibus Accludo in questa sezione quattro spiriti che vi sono giunti volando dopo il riposo. Il primo di essi è Jano, che viene descritto così: “Jano è uno spirito con due teste, una di cristiano (cioè di umano) ed una di animale e possiede un buon cuore, specialmente la parte di animale, e chiunque desideri da lui un favore deve invocarli (deve pregarli) entrambi e, per far questo, deve prendere due carte da un mazzo di tarocchi, generalmente la Ruota della Fortuna ed il Diavolo (il diavolo indiavolato), e metterle sul ferro (la testiera) del letto, quindi dire: „Diavolo che sei capo di tutti i diavoli, la testa ti voglio schiacciare fino a che lo spirito di Jano per me non andrai a pregare!‟”
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Jano è piuttosto chiaramente Janus, che era nell‟antichità un Dio del caso e della sorte e che è disceso legittimamente e naturalmente nell‟associazione con le carte. Ho visto un‟antica stata Romana o Lombarda di questo Dio in cui una delle teste era di animale e l‟altra umana (vedi Gypsy Sorcery, pag. 208 in cui, tuttavia, entrambe le teste vengono erroneamente date di animale). Credo vi siano pochissimi Dei cui erano collegati così tanti misteri occulti, strani e proibiti come Janus e di questo rimangono chiare tracce nella tradizione moderna. Avendo due teste, o essendo onnivedente, egli divenne il simbolo della prudenza – la Prudentia della scultura gotica che è anche il mistico Baphomet, la figura a due teste avvolta da un serpente dei Cavalieri Templari. Ve ne è una anche sulla porta del Battistero a Firenze. Il Baphomet significava per gli adepti segretezza ed “illuminazione” o, propriamente, libertà di pensiero, adorazione della natura o agnosticismo. Janus era il Dio della porta, l‟entrata o l‟ammissione ai misteri. Egli sconfigge il male, il capo dei diavoli, ed è padrone del fato o della sorte. L‟incantesimo a lui dedicato è perciò di grande interesse e valore, in quanto indica probabilmente una tradizione molto curiosa tratta dall‟antica iniziazione. Egli è lo stano spirito profetico. Meana – Di questo spirito ho il seguente scritto: “Meana è uno spirito amabilmente incline alla gente e particolarmente agli innamorati. Quando desideriamo da lei un favore dobbiamo dire: „Per l‟immagine di Meana e per la sua bella persona, uno che la guardi bisogna che l‟adori sulla sua tomba. Pregherò finchè il suo spirito non vedrò; se vederlo io potrò, il suo spirito sempre pregherò che nessuno spirito maligno mi possa molestare ed a Satana converrà sempre lasciarmi stare. Lo spirito di Meana sempre pregherò e sarò certo che mai non perirò!‟” Meana, secondo Eduard Gerhard (Gesammelte Akademische Abhandlungen, 1866), è il nome etrusco di una Dea alata della sorte. Egli la collega con mens, Menerva (Minerva) e Mnemosine. Le sue immagini la indicano come uno spirito aereo simile ai lasa e somigliante a Belluria, o che perlomeno nella tradizione popolare è collegata con la benevolenza e l‟amore. Non ho abbastanza spazio per scrivere tutto ciò che sono venuto a sapere riguardo a Meana; basti dire che, come Dea dell‟amore particolarmente devota alle spose, è identica a Mena, descritta da Kornmann in lingua, di cui mi perdonerete la mancata traduzione: “Quæstiuncula. Cur novis nuptis Mena appareat? Latet ibi mysterium magnum serpentis antiqui. Id quod et Romanis ignotum non fuit. Quis nova nupta super ingentem fascinum, id est membrum Priapi sedere jubebatur, qui erat in loco altiori, quem indicat Lucanus inquiens.
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Torvus stat, id est, stratum, pendulum, et erectum. In quod ascendebatur gradibus ebore ornatis, hoc autem fiebat propterea, ut illarum pudicitiam prior Deus delibasse videretur, docet ex Varrone Aurel. Augustinus lib. 6, Civit Dei, c. 9, et Lactantius, lib. 1.” (Miracles of the living and of the dead, Henry Kornmann, Francoforte 1614). Secondo lo strano libro intitolato di John G. Simon Delineatio Impotentiæ Conjugalis, 1682, il serpente, se non viene ricomposto e seppellito sotto la soglia, impediva il concepimento. Vide anche De Natura Hermaphroditorum di Caspar Bauhinus, 1614, in cui vi sono capitoli interessanti su satiri, Fauni, eccetera. La storia della vergine eolica e del suo amore-serpente appartiene a questa serie. In ultimo, mi è stata inviata una lettera molto lunga in cui si afferma che “Mena o Merna è uno spirito che appare alle spose in Romagna ed in Toscana sotto forma di serpente, ma solo a coloro che conoscono l‟invocazione appropriata. Se il serpente appare perpendicolarmente in tutta la sua lunghezza (in forma fallica), questo significa una vita lunga e felice; se contorto, presagisce molti dispiaceri, eccetera; ma se Mena giunge sotto forma di donna, è presagio di infelicità e discordia. In tal caso l‟incantesimo è il seguente: „Ti scongiuro, o serpente! Merna! Merna! Merna! Del malaugurio, che tu mi faccia tornare in pace con mio marito. SE no, come mi indicherà la fata Merna, io ti confinerò nel più profondo abisso che possa esistere sopra la terra. Merna! Merna!‟ Allora, se Merna appare come serpente tutto va bene, altrimenti la sposa deve sedere per sei notti sotto un ginepro vicino ad un ruscello e gettarvi dentro tre bacche di ginepro, fare un fuoco con tre rami di betulla, gettarne le ceneri nel ruscello e ripetere: „Fata Merna, ti invoco per la tranquillità dell‟anima mia e per quella del mio caro marito!‟ Allora lo spirito apparirà in forma di pesce e la sposa dovrà prendere del fango dal ruscello, mescolarlo a sale ed olio, riscaldarlo – se possibile – contro al corpo del marito, quindi formarlo a foggia di pesce e metterlo dentro ad una scatola, quindi portare la scatola nella chiesa dove ha avuto luogo il suo matrimonio. Allora Mena appare e dice alla sposa con tutti i dettagli di restare per tre notti in chiesa e di bruciare la scatola ed il pesce di fango con del legno di cipresso, quindi di fare in modo che il marito inghiotta le ceneri nella zuppa. Allora tutto andrà bene.” Montulga – Di questo spirito mi è stato detto: “Montulga è uno spirito molto bello chiamato Montulga della Bellaria. Gli affari di chi crede in lei
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prospereranno. Colui che vuole invocarla dovrà andare in un boschetto di pini e dire: „Qui di riposa all‟odore dei pini, l‟odore più bello, più bello che ci sia, e qui in ginocchio… di un pino mi metto a pregare la regina – la regina delle stelle o sia la regina della Luna e del Sole la protettrice – protettrice dell‟amore, la regina dell‟aria pura che di far bene agli infelici sempre si cura.‟” Io credo che Montulga possa essere l‟Etrusca Munthuch. Nella moderna tradizione toscana, un bellaria è uno spirito aereo della grazia e dei fiori, alla cui famiglia appartiene Albina o Alpena, e sono le compagne o la controparte di Venere. Di Munthuch sono venuto a sapere da Corssen che questo nome aveva una forma più antica, Munthu-châ. “Ella appartiene al mondo delle piante di primavera. In uno specchio danza con un satiro” e tutto questo la associa con i campi e le foreste “in un boschetto di pini accanto ad una fonte ombrosa.” Se il nome è Muntucha, la elle e la g in Bolognese lo muterebbero naturalmente in Muntulga.
Muntucha o Montulga Talena – Credo che sia scritto Salena nella lettera in cui mi si parla di questo spirito, ma non sono certo della iniziale. Viene così descritta: “Talena è uno spirito femminile che causa terrore di notte. E‟ vestita di bianco.” Se il nome è Talena, non vi è nulla nella sua descrizione che la colleghi con la Talena o Thalna degli Etruschi, di cui Gerhard dice: “Thalna e Thalne e forse anche Talena… è sugli specchi etruschi una Dea” di cui potremmo brevemente dire (per condensare la massa di personaggi autorevoli da lui citati) che si credeva fosse una forma di Venere, Giunone e
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Diana, nessuna delle quali è un incubo. Se fosse Salena, non consco alcuna Divinità cui potrebbe corrispondere.
Bellaria La donna che mi ha inviato le informazioni relative a questi quattro spiriti aggiunge un post-sciptum: “Questo è tutto quello che sono stata in grado di sapere da varia gente.” Crede che queste informazioni siano derivate principalmente, se non del tutto, da Volterra, ma non ho potuto verificare fino a quale grado.
Pico Su questo spirito sono molto incerto e non so nulla al suo riguardo. L‟ho trovato tra le note che sono state prese come “un piccolo spirito colla berretta”, un folletto con un cappello, probabilmente una forma dei Red Caps, i Folletti delle Case. Quasi certamente si tratta dell‟antico Picus, o lo spirito del picchio dalla testa rossa. Tempo dopo, quando questo libro stava per andare in stampa, ho ricevuto tramite lettera dei racconti riguardanti molti spiriti che, tradotti pienamente, avrebbero riempito probabilmente altre 60 pagine, per cui non vi è – naturalmente – spazio. In parte e brevemente si tratta dei seguenti: Nurbia e la Pietra della Salute (cfr. Nurbia, lo spirito della malattia, che viene invocato mentre si prepara la pietra della salute, una pietra usata per curare reumatismi, eccetera): Lamia, la strega-serpente. Una lunga storia ed un lungo poema che temo siano ora andati perduti; la Strega Zumia; il prete Stregone Arrimini;
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la fata Julda, una storia che include tre spiriti: Trillo, Jullo e Burillo; gli spiriti-strega Gerda e Meta con una storia; il fornaio Tozzi e sua figlia Fiorlinda, una storia; la Penna Maligna, una cerimonia indescrivibilmente rivoltante con un incantesimo, proveniente da Volterra; la Corda o l‟Incantesimo della Vigna (cattolico-romana). A queste potrei aggiungere molti poemi o ballate tutti riferentisi alla stregoneria e tutti, con una sola eccezione, inediti. Tutto ciò riempirebbe circa 150 pagine.
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Capitolo VIII Floria “Dictes moy, en quel pays, est Flora la belle Romaine. ” F. Villon Questa interessante storia è stata una delle mie ultime scoperte: “Questo spirito, Floria, un tempo era una bella ragazza che amava, riamata, un giovane. Ma Floria aveva un‟amica ed esse si confidavano tutto. Floria non sapeva che la sua amica era una strega, né che fosse innamorata del suo amante, perch‟ella glielo aveva tenuto nascosto. Ma era vero e quella strega era molto gelosa, invidiosa e maligna. E così un giorno, mentre camminavano insieme da sole per la campagna, la strega uccise Floria e indossò le sue vesti. A sera si presentò quindi all‟amante – alla sera si presentò al giovane col nome (la forma) di Floria, essendo una strega. Così il giovane la sposò ed ebbero un bel bambino. Ma una notte, mentre la madre lo teneva in braccio, apparve lo spirito di Floria, che prese il bambino e lo mise a letto, quindi disse al marito: „Guarda che quella non è Floria! Floria son‟io, sempre; quella che tu hai sposato è l‟amica che m‟uccise per sposarti; ma guarda che a mezzanotte ti scapperà, perché non è che una strega.‟ E se lui l‟avesse uccisa, ella avrebbe sempre protetto sia lui che il bambino e sarebbe andata a trovarlo ogni notte. Allora il giovane prese per i capelli la strega e la legò al letto; ed ella urlò ed imprecò orribilmente da mezzanotte fino alle tre, quando il suo potere di strega la lasciò ed ella divenne come le altre donne; disse quindi al marito:
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„Guarda il bambino, guarda nel suo letto: vi troverai delle croci e delle ghirlande. E‟ da un anno che è incantato.‟ Allora il marito la colpì con un martello e la uccise. E da quel momento amò sempre lo spirito di Floria.” In questa storia, che venne raccolta e mi venne inviata da Peppino, è in realtà Floria a vibrare il colpo di martello ed è evidente che Floria è la vera madre del bambino e che la strega è arrivata dopo il matrimonio sotto forma della moglie. Floria – Flora era certamente l‟equivalente di Horta, che al tempo degli Etruschi era la stessa cosa di Nortia – Fortuna – che recava i chiodi della sorte. Non ricordo ora se sia nell‟opera di Inghirami o in quella di Eduard Gerhard che ella viene descritta come recante un martello. Padre Secchi segue Müller (Etrusker, III, 3, 7) nel dichiarare che Horta, una dea etrusca equivalente a Salus, ha dato il nome ad Orte ed è distinta da Nortia, o Fortuna, la Grande Dea dei Volsinii. “Una distinzione tra lei e Fortuna è indicata da Tacito” (vide Dennis, Cities of Etruria, vol. i., p. 140, note). Ma queste obiezioni provano che la Nortia con il martello veniva considerata da molti la stessa cosa di Horta. Ed anche la leggenda di Peppina concorda. Dennis suggerisce che Horta fosse una Dea dei giardini, perciò un sinonimo di Flora. Anche Pomona era una forma di Flora e nella sua leggenda, per uno strano cambiamento, non è la strega a prendere forma femminile ma Vertumnus che appare a lei sotto forma di una vecchia. Per confuso che appaia tutto ciò, credo che questa leggenda sia antica o classica. Ma è molto importante il fatto che sui vasi etruschi il martello appaia particolarmente come implemento della morte nelle mani dell‟equivalente di Nemesis, come in questa storia. Esso è, infatti, l‟invariabile simbolo della morte ed è nelle mani di Charun e di tutti i demoni. Lanzi fornisce un bellissimo spirito femminile che lo reca in mano. Le croci e le ghirlande cui si allude si riferiscono alle “ghirlande delle streghe” altrove descritte.
Ra Sono grato alla Signora Hayllar per l‟informazione sull‟esistenza di uno spirito di nome Ra, di cui si parla molto a Volterra. Non sono dovuto andare lontano per conoscere qualcosa di questo folletto perché il primo nativo della città, un giovane ciabattino, cui domandai in merito, mi narrò subito quanto segue: “Ra è uno spirito che protegge i bambini. Quando sono in pericolo i genitori si rivolgono a lui e lo incantano con queste parole: „Dormi, dormi, bambino mio, dormi il sonno degli angioli; quando tu ti sveglierai, la felicità riacquisterai.‟
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Allora il bambino si risveglierà libero dal dolore o dal malanno, al sicuro da ogni pericolo, specialmente quello di cadere nelle balze (precipizi, cavità sotterranee) di San Giosto a Volterra. Lo spirito Ra è conosciuto a Volterra fin dall‟anno 1001, perché proprio in quell‟anno egli protesse un bambino piccolo che gli era stato incantato ed era caduto nella balza da diverse iarde di altezza, ma sopra una massa di ginestra. Allora i contadini corsero a salvarlo, ma lui continuò a gridare: Ra! Ra! E, quando gli buttarono giù una scala, egli non la scalò. Mentre stavano aspettando, arrivò uno strano signore che disse: „Voi non potete salvarlo, solo io posso farlo con il mio potere sovrannaturale. Io sono lo spirito Ra ed ora vedrete come farò.‟ Dicendo questo, battè per tre volte il piede sul terreno e crebbe una grande quantità di piante di ginestra grazie alle quali, come da un ramo all‟altro di un albero, essi discesero e portarono su il bambino.” Sono grato al Professor Senatore Comparetti per il suggerimento che Ra possa essere Rhea Sylvia. Le Divinità etrusche erano maschio e femmina. Rea Cibele, moglie e sorella di Crono e madre di Giove, era in particolare la patrona di burroni, strapiombi e rocce (Die Götter und Heroen. von Stoll), e Ra appare come a casa propria nei burroni. Rea era anche una Dea nutrice o protettrice dei bambini. Il cambiamento di sesso non è importante perché, come abbiamo visto, Cupra e Siera hanno cambiato il proprio e questo era ancora più comune nell‟antichità. In questa storia Ra salva un povero bambino dall‟abisso grazie alla pianta di ginestra ed è una curiosa coincidenza che Deus exaltat humiles (Dio esalti gli umili) fu sempre, nel Medioevo, il motto che accompagnava la ginestra, entrambi recati da Luigi il Pio di Francia nel 1234 (Helyot, Description of knightly and Monkish orders, versione tedesca, 1756).
Bovo “Come conosci tu Buovo? Mi sapresti dare notizia alcuna di esso?” I Reali di Francia E‟ straordinario che si possa chiedere a 100 contadini o altri popolani toscani del loro folklore mitico e non trovarne traccia, per poi incontrare qualcuno che pare essere il cronista o il custode di un museo di tali curiosità. E così ho ottenuto dal mio giovane ciabattino molte cose meravigliose, tra cui quanto segue riguardo allo spirito Bovo: “Volterra non è stato il primo nome della nostra città, perchè il primo fu Antona, il secondo Voltona ed il terzo Volterra. Al tempo in cui era chiamata Antona vi viveva un principe chiamato Bovo di Antona, che veniva considerato dal popolo uno stregone; si diceva anche che fosse immensamente ricco, perchè aveva costruito un carro d‟oro con quattro
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cavalli d‟oro e quando fu lì lì per morire vi si fece adagiare e lì morì dopo lunga sofferenza. Quando fu morto, il suo spirito apparve ed ordinò che mettessero in movimento il grande carro con il suo corpo e lo portassero da Volterra fino ad una montagna chiamata Catini, che si vede dalla città, e qui lo seppellissero. Questo venne fatto e la gente crede che il carro ed il corpo del re esistano tuttora. Sono stati effettuati scavi in cui sono state trovate reliquie dell‟epoca di questo Bovo di Antona ed in tempi recenti le sue carte con immagini raffiguranti la sua epoca, ma non è stato ancora trovato il grande carro. Dopo la sua morte, lo spirito di Bovo ritornò di notte nel suo palazzo, che adornò con ogni possibile magnificenza ed illuminò brillantemente. E tutta la moltitudine che vide questa illuminazione e questi festeggiamenti non riuscì ad immaginare cosa significasse, sapendo che il principe Bovo era solo. Ma, una sera, certi spiriti arditi tra loro, spinti dalla curiosità, bussarono al portone e non ottennero risposta. Dopo mezzanotte, essi udirono delle gaie risate ed allora bussarono nuovamente; il cancello si aprì per magia ma in un istante fu buio e la gente che entrò vide tutte le cose come erano state al tempo della vita del re. Allora non compresero cosa ne fosse stato di tutto quello splendore che avevano visto da fuori e conclusero che dovesse essere tutto opera dello spirito di Bovo. Decisero perciò che i quattro più coraggiosi tra loro sarebbero rimasti lì la notte seguente, cosa che fecero. A mezzanotte, tutti i tappeti e gli arazzi cominciarono ad ondeggiare ed a spostarsi e tutti i mobili si mutarono in oggetti di grande valore. Allora essi decisero di invocare lo spirito di Bovo, che apparve vestito con un grande mantello bianco e, alla loro richiesta di cosa volesse (cioè cosa lo facesse infestare il palazzo e gli impedisse il riposo) egli rispose: „In tutta la mia vita non sono mai stato amato da una donna; vorrei che questo palazzo fosse abitato da una bella ragazza, cui io apparirò come un bel giovane. Se non avrete successo nel trovare una tale donna, allora rimarrò confinato in questo palazzo, disturbando la pace dei cittadini. Ma se farete questo, come ricompensa apparirò a colui che l‟avrà portata. A mezzanotte egli potrà invocare lo spirito di Bovo ed io lo aiuterò sempre a fare bene.‟” Questo è evidentemente solo l‟inizio di una leggenda. Buovo di Antona è molto conosciuto come eroe di una storia popolare. Su di lui vi sono poemi e Reiner ha scritto una monografia su questo soggetto, dimostrando che fu uno dei campioni della Cristianità ed, in realtà, il nostro vecchio amico Bevis di Southampton. Ma io sospetto che in questo caso particolare un folletto locale con un nome simile abbia preso a prestito la fama di quell‟eroe medioevale perché, avendo letto la storia popolare di Buovo di
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Antona, che forma la quarta parte (142 pagine) de I Reali di Francia (Firenze, 1890), trovo non via sia una sola somiglianza con l‟eroe di questa storia e che, lungi dall‟aver vissuto senza amore, il campione conquistò e sposò la bella Drusiana, che morì di dolore per lui 40 giorni dopo la sua morte. L‟unico Antona riconosciuto nella cronaca è molto evidentemente il porto di Southampton, fondato da Bovetto ed intitolato alla sua regina, Librantona.
Attilio Attilio, Atiglio, Ottilio o Tilio – perchè non riesco a ben determinare il suo nome – è un buon folletto molto simile a Dusio, o un buon Brownie, nel folklore inglese. Ma è un terribile fastidio, specialmente per le serve con cui, tuttavia, egli fa l‟amore e con cui si comporta pressoché come Dusio, condividendo il loro giaciglio, facendo loro in cambio tutti i lavori di casa e regali a non finire. E si deve ammettere con riluttanza che, nonostante il suo carattere immorale, Attilio è molto popolare tra loro. Guisepre Pitré, che certamente non può venire accusato di credulità (Bib,. Vol. XVIII, pag. 163), sottolinea che se ascoltiamo parlare la gente delle classi più basse dobbiamo, in tutta onestà, rimanere incerti se tutti questi uomini e donne siano preda di continue visioni o se noi stessi stiamo sognando ad occhi aperti. Da parte mia, credo fermamente che nelle comunità molto credulone vi siano persone, specialmente fanciulle, che onestamente credono di vedere, e talvolta sentire e toccare, esseri sovrannaturali. Vi sono poteri latenti in noi che non comprendiamo affatto ed uno di questi è il creare sensazioni, che consiste nel riprodurre o formare attingendo alla memoria delle sensazioni, che siano di tocco o di gusto, che un tempo abbiamo sperimentato. Non potrei altrimenti spiegare molte cose che ho incontrato tra coloro che credono in tutte queste meraviglie. Le strege (streghe), con tutti i loro trucchi, credono nella loro arte e portano su di sé dei feticci. E non si può negare che vi siano fanciulle che possiedono degli Attilio e dei Dusio e gente che vede di sfuggita Faflon nelle vigne al tramonto e nelle cantine piene di vino a mezzanotte. La vita è perciò per loro tutta una bella terra fatata o un sogno di streghe e diavoli, a seconda della loro disposizioni o dell‟avere o meno l‟indigestione. Quella che segue è la storia ed il mistero di Attilio come mi è stata narrata il primo gennaio 1891 da una certa Maddalena di Rocca San Casciano: “Attilio è un buon folletto, ma fa tutto ciò che può per infastidire le serve. Un tempo ve ne era una graziosa che aveva dei padroni esigenti e duri. Bene, accadde ogni giorno per tre giorni che quando la povera ragazza, cotto il pranzo, andava ad apparecchiare la tavola, al ritorno trovava tutto il
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cibo rovesciato e sparso in giro. La fanciulla piangeva amaramente ma non sapeva cosa fare. Se veniva rimproverata? Certo, fino quasi a farla impazzire. Ma quando, il terzo giorno, il pranzo venne rovinato allo stesso modo, il padrone e la padrona si arrabbiarono. Dissero che erano stanchi di andare fuori a mangiare alla trattoria e che ella avrebbe dovuto fare del suo meglio per riaccomodare ciò che rimaneva. Così ella tornò in cucina tutta triste e si sentì ancora più triste quando guardò i resti e vide che poteva fare ben poco di essi. Improvvisamente, ella udì la voce più dolce mai sentita cantare vicino a lei queste parole: „Di‟ a me, Attilio, se ami Attilio, perché se mi ami il pranzo sarà già pronto.‟ Ella rimase in piedi meravigliata e senza parlare, fin quando apparve davanti a lei il giovane più meraviglioso che avesse mai visto in vita sua. Era vestito all‟antica, con lunghe calze ed una tunica di velluto, ed aveva dei lunghi riccioli dorati ed un piccolo cappello di velluto con una piuma bianca; la fanciulla si sentì come se stesse per cadere in ginocchio ed adorarlo, da tanto era elegante. Ed ella, incantata, potè solo rispondere: „Sì, sì, certamente!‟ Ed Attilio cantò: „Attilio son io ed ho bisogno d‟amare e tu sei quella che mi hai ispirato tanto amore.‟ Come potete immaginare, la fanciulla era deliziata. Ed egli continuò a cantare: „Sì, ti amo, e ti amo tanto, se tu mi ami. Sono Attilio e sono uno spirto folletto.‟ E meraviglia! con un tocco il pranzo fu di nuovo a posto e, quando la ragazza lo servì, i padroni dissero che non avevano mai gustato un pasto così piacevole. Ed ogni giorno Attilio fece la maggior parte del lavoro ed era sempre con lei ed ella poteva vederlo nonostante egli fosse invisibile a chiunque altro.” E‟ notevole che, mentre in tutte le storie Medioevali orientali, tedesche o francesi è un cavaliere o un favorito che conquista l‟amore di uno spirito, quelle italiane attribuiscono amanti fatati alle fanciulle. Questa è una caratteristica molto curiosa in questo folklore. Il Dusio ed il Fauno e tutti i prototipi di Robin Goodfellow e Puck ed i Brownie delle case vengono rappresentati come spiriti burloni che danno sempre fastidio alle ragazze. Nel Nord, sotto influenze più caste, questi spiriti lascivi sono in breve tempo divenuti esseri molto morali che non vanno al di là degli scherzi fanciulleschi. Ma in Italia non è mutato nulla e così essi continuano a rimanere gli stessi furfanti tra le ragazze, come lo erano quando i satiri saltellavano in mezzo ai boschi ed i lemuri si aggiravano presso le tombe, le streghe rubavano i cuori degli uomini e la gente era tutta contenta! Attilio è certamente qui un lar familiaris, uno spirito del focolare che fin dai tempi di Tarquinio e Tanquilio ha sedotto le serve nelle famiglie toscane, così come ha sedotto Ocris, “colei che serviva a tavola” nei tempi antichi.
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Egli è in cucina e cuoce il pranzo ed è anche nel focolare. Della sua esistenza ho solo un testimone. Egli corrisponde anche al Francese Lutin.
La bella Marta
(La Madre del Giorno) “Nam et Romulus post mortem Quirinus factus est, et Leda Nemesis, et Circe Marica, et Ino, Postquam se precipitavit in Mare, Lucothea, Mater que Matuta.” Lattanzio, Div. Institut. de falsa Religione, lib. I, cap. 21 La bella Marta, chiamata anche Madre del Giorno, è di gran lunga la figura più notevole nella mitologia popolare della Toscana. Da principio mi sbagliai, indotto a credere dal suo nome che si trattasse di Santa Marta, con cui credevo fosse stata confusa così come i Santi Antonio e Simeone lo erano stati con antiche Divinità. Ma ben presto scoprii che ella non ha nulla in comune con la Marta della Bibbia né con quella dell‟agiologia cattolica romana. Dubito, invero, ben poco sul fatto che questa bella Marta sia la trasformazione dell‟antica Mater Matuta, cui sono guidato non tanto dalla somiglianza del nome quanto dal fatto che ella possiede un Beinahme, un attributo, che è del giorno. Scrive Müller: “Nel porto di Pyrgoi vi era il tempio riccamente adorno di una Dea che veniva generalmente chiamata dai Greci Leukothea… Indubitabilmente si trattava dell‟onorata Mater Matuta, adorata fin dal tempo di Servio a Roma, nella terra dei Volsci ed anche in Etruria. Gli archeologi greci e romani le considerarono la stessa Dea. Tuttavia, a Roma questa Mater Matuta veniva considerata molto più una Dea del mattino che del mare, perché il suo nome significa chiaramente Madre del Giorno e, quando i Greci lo tradussero in Leukothea, o Dea bianca, probabilmente avranno pensato più alla luce del mattino presto che alla bianca spuma del mare. La madre della luce del giorno potrebbe venire considerata la Divinità che portava l‟uomo alla luce; per questa ragione Strabone la chiamò Eilethyia. Secondo lui, la Dea di Pyrgoi era una Dea dell‟alba e dell‟umanità.” La bella Marta toscana dimora nei boschi o nei campi e, nonostante sia uno spirito del giorno, viene adorata di notte. Tuttavia questo è spiegabile con il fatto che tutti gli “spiriti” sono collegato all‟antica religione, chiamata ora stregoneria, i cui riti vengono condotti nella segretezza e nell‟oscurità. Marta è propizia agli innamorati ed all‟amore coniugale. Il seguente incantesimo, che si racconta da sé, indica chiaramente il fatto che gli Dei Silvani vengono tuttora adorati letteralmente come santi e non invocati semplicemente come folletti. Una moglie od una ragazza che sia gelosa del suo innamorata vada di notte nel giardino più bello cui abbia accesso e, in ginocchio, pronunci:
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“Bella Marta! Bella Marta! Bella Marta! Tu sei bella come una stella; io ti vengo a rimirare e da te mi vengo ad inginocchiare per poterti meglio pregare. La mezzanotte è ora suonata e da te sono inginocchiata, in mezzo ad un bel giardino, che tu Marta bella ne sei regina; io ti porto un fazzoletto: in una punta troverai i capelli del mio amor e tu, bella Marta, fanne ciò che vuoi, purchè il mio bene tu faccia tribolare e mio marito tu lo faccia diventare e che altra donna non possa mai amare. Se questa grazia mi farai, tutte le sere una candela accesa tu avrai. Questa grazia tu mi hai fatto, bella Marta, ti ringrazio.” Nell‟incantesimo che segue, la Bella Marta viene invocata distintamente dagli inferi. Io non penso che ella venga popolarmente considerata infernale o maligna, ma che questo sia stato fatto per distinguerla dalle sante – una cosa strettamente osservata tra gli stregoni. E siccome i preti hanno sempre insegnato alla gente che tutti gli spiriti non sanzionati dalla Chiesa sono diavoli, indica una grande fedeltà ai costumi dei loro antenati il fatto che i contadini continuino ad adorarli anche se infernali. Per questa invocazione dovreste andare in un bosco o una foresta a mezzanotte, guardare una stella e dire: “Buonanotte, o Donna Marta. Non chiamo la Marta di casa nel Paradiso, ma chiamo quella di casa nell‟Inferno. Prenditi dei panni belli alla presenza di… Prima mi era tanto amico, ora mi è tanto nemico; amici e nemici, tutti gli sembrino brutta gente fuor che io, la sua stella rilucente. A stella stella da levante oscie, da lui portante: cinque dita per lui io batto al muro. Cinque anime io scongiuro, cinque preti, cinque frati, cinque anime dannate. All‟anima, alla vita del tal… in vite ne andrete, in pensiero lo porterete, per la barba ed i capelli lo piglierete, col pensiero da me lo trascinerete; se questo mi farete, tre segni mi darete: porta picchiare, cane abbaiare, uomo fischiare. Se questo mi farai, tre segni mi darai!” Questo è considerato un incantesimo molto serio, terribile e potente. Il guardare fissamente una stella collega apparentemente Marta a Mater Matuta o Leukothea, la Dea della luce, ed a Marta del Giorno, perché questa stella si suppone essere Venere o la Stella del Mattino. Parte di questo incantesimo appare in altri, la parte che consiste nell‟invocazione di diversi gruppi di cinque preti e diavoli affinché entrino nell‟anima e nella vita di chi viene indicato. Sia per la categoria dei numeri che per l‟invocazione agli spiriti ad entrare nella vita, nell‟anima e nel corpo di qualcuno, questo corrisponde precisamente a ciò che si trova negli incantesimi dei Caldei. Paracelo, e con lui pressoché ogni scrittore del XVI secolo, avrebbe riconosciuto in questa riguardo alla stella un‟invocazione dello spirito astrale, specialmente in quanto misteriosamente collegato con spirito cui
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viene ordinato di possedere una determinata persona. Non dubito che in esso vi sia uno strano retaggio di antiche credenze; una cosa è certa ed è che viene considerato un incantesimo molto potente dalle streghe, che lo recitano con profondo sentimento. Ed è importante il modo appassionato in cui questo spirito si manifesta quando si recitano seriamente degli incantesimi o anche li si scrivono. Bella Marta appare in un romanzo come una delle streghe buone di Benevento ed anche come una driade: “Un tempo vi era a Benevento un grande albero, probabilmente una quercia, in cui vi era una cavità. I contadini, passandole accanto, spesso vedevano una donna molto bella che scompariva non sapevano dove. Ma un giovane uomo, spinto dalla curiosità, disse: „Verrò qui presto, seguirò la signora e scoprirò dove dimora.‟ Così egli andò nel bosco ed attese con calma fino a quando ella apparve; quindi la seguì fino a quando giunse alla grande quercia ed entrò in essa come se vi fosse una porta. Anch‟egli vi entrò e, meraviglia! si trovò in un grande e splendido palazzo! Si sarebbe potuto camminare per tre giorni da una stanza all‟altra senza finire di girare ed erano tutte di una bellezza meravigliosa. Improvvisamente una piccola mano bianca si posò sulla sua spalla ed una dolce voce morbida disse: „Benvenuto!‟. Girandosi, egli vide la bella signora della foresta che aveva seguito ed ella disse: „Non temere, ti do il benvenuto e ti renderò felice, perché tu sei un buon giovane ed io sono la bella Marta. Vai, gioca e vinci sempre, e quando vorrai avere qualcosa pronuncia questo incantesimo: „Bella Marta! Bella Marta! Bella Marta! Sei più bella d‟una santa. All‟albero tuo vengo a pregare se una grazia mi vuoi fare. Se questa grazia mi farai, la mia padrona tu sarai; qualunque cosa mi chiederai, bella Marta, tu l‟avrai.‟ Perciò, ogni volta che vedrai una grande quercia nel bosco e ripeterai questo incantesimo, ti andrà tutto bene.‟” Qui Marta è indubitabilmente una driade ed il contadino è Rhoecus. Rhoecus era un grande giocatore; fu perchè era assorbito in una partita a dama che colpì l‟ape che disse alla ninfa chi aveva accecato il ragazzo che aveva tagliato l‟albero che era caduto sul giovane che aveva tanta passione per il gioco d‟azzardo. Nell‟anno 1846, a Firenze, un gentiluomo inglese che aveva passato la maggior parte della sua vita in Italia, mi consultò gravemente e seriamente in merito a quali tra diversi numeri avrebbe dovuto scegliere per vincere ad una lotteria. Questo spirito del gioco, dell‟azzardo e dell‟ispirazione è profondamente parte della vita italiana come lo era in antico. Ed è per
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questo che non mi meraviglio che esso fosse il primo pensiero di quella bella ninfa. Ella conosceva il suo uomo. E‟ interessante notare che in Sicilia la Madre della Luce viene invocata quando si rovescia del sale (Pitré, Bib., vol. IV, pag. 144): “Matri di lu lumi, cugghitivillu lui.” La Bella Marta viene invocata quando tre fanciulle, sempre nude, consultano i tarocchi o le carte per sapere se un innamorato è sincero o chi sposeranno. Anche questo è collegato ai due incantesimi descritti. Secondo Pitré, Santa Marta viene talvolta invocata nella stregoneria, nonostante l‟Arcivescovo Torres (Ricordi di Confessori, &c.; Pitré, Bib., vol. IV, pag. 148) scomunichi “coloro che pronunciano preghiere non approvate o anche disapprovate dalla Santa Chiesa per ottenere amore disonesto e lascivo e tali preghiere vengono falsamente attribuite a San Daniele, Santa Marta, Santa Elena e simili.” La Mater Matuta o Madre dell‟Alba – che è Venere – potrebbe essere stata anche patrona degli innamorati e la Donna del Giorno. Riguardo alle tre fanciulle che si incontrano per divinare su chi sposeranno, penso fosse Dione Cassio a sottolineare, riguardo alla divinazione con le ceneri, “Vel cum aliquem tres personas cogitate jubet, quibuscum matrimonii inire optet, tum tres ducunt sulcos in cinere” (“Quando tre si incontrano per scoprire chi sposeranno, tracciano tre linee nelle ceneri”) Il lettore troverà altro al riguardo nel capitolo sulla divinazione con le ceneri. Si può osservare che nell‟ultimo incantesimo la bella Marta viene detta “più bella di ogni santa”. Qui si mostra la stergeria romagnola, la stregoneria, che è totalmente pagana e sempre gelosa dell‟influenza cattolica romana. I festival della Mater Matuta, che erano largamente diffusi in Italia, venivano chiamati Matralia o Martralia, e possono fornire un indizio sul nome moderno di Marta. Ma ripeto che all‟inizio non diedi alcun significato alla somiglianza della parola Marta con Mater, nonostante non vi siano ragioni per cui il primo non potrebbe essere derivato dal secondo. Di questo nome Fraser scrive (The Etruscans): “Anche Max Müller specula (Science of Languages, vol. II, pag. 152) sulla derivazione di mane e matutæ. Egli dice: „Da questo apparirebbe che in Latino la radice man, che nelle altre lingue ariane viene conosciuta meglio nel senso di pensare, era in antico usato come il Sanscrito budh per esprimere la coscienza rivitalizzata dell‟interezza della Natura all‟avvicinarsi della luce del mattino, nonostante vi fosse un‟altra radice totalmente distinta e peculiare all‟espressione latina di tale idea.‟ Questa radice poteva essere mat? E‟ interessante osservare che Tertulliano osserva che la Venere Etrusca veniva chiamata Murtia (vide Dennis, Cities of Et., vol. I, pag. 58). E siccome la bella Marta viene chiamata il più bello tra gli
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spiriti, è associata alle carte e viene identificata con la stella del mattino, appare possibile che sia una forma di Afrodite o Venere,
Diana ed Erodiade
(Le Regine delle Streghe in Italia ) “Orsù dimmi, o buona strega, che vuoi dire che non andavi a questi balli e giuochi di Diana o di Erodiade, ovvero sì come le chiamate, a quelli de la Donna?” - La Strega di Pico della Mirandola “Hecate trium potestatum numen est. Ipsa est enim Luna, Diana Proserpina.” – Servius E‟ interessante il fatto che, mentre la stregoneria negli ultimi tempi è stata considerata tra le razze del Nord come una creazione di Satana, in Italia non ha mai perso un carattere classico. In questo paese la strega è solo una maga ed è spesso una fata benevola. Chi la governa non è il diavolo ma Diana, cui viene associata, come dimostrerò, Erodiade. Quest‟ultima, che presiede alla danze delle streghe, venne collegata naturalmente alla Erodiade del Nuovo Testamento, ma vi era una Erodiade più antica, controparte di Lilith, la prima moglie di Adamo, grazie al quale ella divenne madre di tutti i diavoli minori, o dei folletti. E‟ evidente che in questa competenza Erodiade è stata confusa con Diana. Quest‟ultima era, come Ecate, a capo di tutte le streghe, mentre Lilith-Erodiade era tutt‟uno tra gli Ebrei. Vi è un passaggio in Odericus Vitalis (nato in Inghilterra nel 1075 - Hist. Eccl. v. 556) che illustra questo, che Diana era genitrice o protettrice dei folletti: “Deinde Taurinus fanum Dianæ intravit. Zabulon que coram populo visibilem adstare coegit, quo viso ethnica plebs valde timuit. Nam manifeste apparuit eis æthiops niger et fuligo, barbam habens prolixam et scintillas igneas ex ore mittens. . . . Dæmon adhuc in eadem urbe degit et in variis frequenter formis apparens, neminem laedit. Hanc vulgus Gobelinurn appellat.” (“Allora Taurinus entrò nel tempio di Diana e costrinse Zabulon ad apparire visibilmente davanti alla gente il quale, essendo visto, venne temuto grandemente dalla gente pagana. Perché evidentemente si mostrò come un nero e sudicio Etiope con un barbone ed emettendo scintille di fuoco dalla bocca. Il demone visitò spesso la stessa città, apparendo in molte forme, tuttavia non fece del male a nessuno. La gente comune lo chiamò Goblin e dichiarò che per i meriti di San Taurinus egli si tratteneva dal fare del male.”) Qui abbiamo il Goblin come spirito familiare del tempio di Diana, la strega madre, così come gli Ebrei dichiaravano che i goblin erano i figlio di LilithErodiade. Come fu che il mito semitico venne ad unirsi con quello greco-
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romano è materia da investigare. Che sia esistito è provato dalla testimonianza di diversi scrittori antichi. Nella Dæmonomagie di Horst (1818), uno scrittore che era molto oltre il suo tempo, ho trovato quanto segue: “Negli atti d‟accusa alle streghe viene generalmente affermato che… la parte accusata ha agito con” (ha adorato) “Diana ed Erodiade. E‟ davvero notevole che si ritrovi questo tra le dichiarazioni di un concilio pubblico della Chiesa – quello di Ancira della metà del V secolo - così come in processi alle streghe più tardi. Venne affermato che certe donne immaginavano di volare di notte per l‟aria con Diana ed Erodiade. Ma, siccome di questo venne parlato durante il concilio di Ancira come di una cosa ben nota, la credenza dev‟essere molto più antica ed io non dubito che esistano registrazioni storiche molto antecedenti a questa che mi sono sconosciute.” Paulus Grillandus, nel suo Treatise on Witches (1547), grande autorità nel suo tempo, parla diverse volte della stessa cosa, che le streghe “putant Dianam et Herodiam esse veras deas” – pensano che Diana ed Erodiade siano vere Dee –, tanto profondamente sono coinvolte negli errori dei pagani.” E deduce tutto il male possibile sulle loro vie a causa del loro inizio falso e pagano – “ex qua omnes alii errores et illusiones successive dependent cum credant illas Dianam et Herodiadem esse veras deas”. Ed egli qui ignora molto incoerentemente il fatto che egli stesso ha altrove dichiarato Satana l‟unico maestro dell‟intera sorellanza. Jerome Cardanus (De Subtilitate, 1, 19), nel descrivere una evocazione diabolica da parte di uno stregone della sua epoca – Quoties veneficus ille rem non divinam sed diabolicam facturus esset – non fa parola riguardo ad un qualunque diavolo ma rappresenta Hecate o Diana come spirito capo - Execratur illis precibus, Hecate dictante, primum adorandam, eccetera -. Che Diana-Hecate fosse la regina delle streghe nel periodo classico si sa da molti autori, così come che essa veniva invocata in tutte le stregonerie di genere ctonio, oscuro o notturno. Ella, in quanto Dea della Luna, veniva paragonata ad un gatto che caccia la stella-topo. Era come la Bast di Bubastis, la Dea-gatto dell‟Egitto, e la Freya del Nord, il cui carro veniva trainato da gatti, è chiaramente una Diana Norvegese. E‟ importante notare che, mentre le streghe in Italia si supponeva facessero del male come l‟antica Canidia, esse lo fanno semplicemente in quanto sono maghe. La Chiesa cattolica ha imposto alla credenza popolare sulla stregoneria cose che le erano estranee con il demonismo cristiano; tuttavia, è ancora più notevole il fatto che anche al giorno d‟oggi è Diana, e non Satana, che comanda le streghe italiane. E vi sono molti punti di questa credenza popolare che sono molto più antichi del cristianesimo. Così a Venezia, come a Firenze, la stregoneria non è tutta il
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risultato di un atto con il diavolo, ma una dote peculiare che può essere trasferita, anche con un trucco, ad una persona innocente. Illustrerò questo con una storia che ho udito narrare in buona fede nel 1886 e che è accaduta a Firenze, peraltro già apparsa nel mio libro Gypsy Sorcery: “Vi era in città una ragazza che divenne strega contro la sua volontà. E come? Era malata in ospedale ed accanto a lei vi era in un letto una vecchia ammalata gravemente che tuttavia non poteva morire. E la vecchia si lamentava e piangeva continuamente: „Ohimè, muoio! A chi lascio?‟ Ma non diceva cosa. Allora la povera ragazza, pensando naturalmente che intendesse delle proprietà, disse: „Lasciate a me, son tanto povera.‟ All‟improvviso la vecchia morì e la povera giovane si ritrovò in eredità la stregoneria. Ora, la ragazza tornò nella casa dove viveva con sua madre e suo fratello e, divenuta una strega, cominciò ad uscire spesso di notte; la madre la vide e disse al fratello: „Un giorno tu troverai tua sorella con la pancia grossa (incinta).‟ „Non pensare una cosa del genere, mamma‟ rispose lui. „Tuttavia, scoprirò dove va.‟ Così egli rimase sveglio e, una notte, vide la sorella uscire dalla porta verso mezzanotte. La prese per i capelli e la fece girare intorno al suo braccio. Ella cominciò ad urlare orribilmente quando ecco! arrivarono correndo un gran numero di gatti e cominciarono a miagolare ed a fare un gran chiasso; per un‟ora la sorella tentò di fuggire ma invano, perché i suoi capelli erano legati ed ella urlava mentre i gatti gridavano, fino a quando uno di essi venne colpito e tutti loro svanirono; la sorella era svenuta. Ma da quel momento non ebbe più la stregoneria in lei e divenne una buona donna com‟era prima.” In questo non vi è alcun contratto con Satana – è una strega di Diana, legata dall‟incantesimo della Luna, uno dei gatti della notte. Nelle storie veneziane una strega perde tutto il suo potere se viene punta e cade una goccia di sangue o anche se viene scoperta. E‟ vero che i monaci hanno importato ed immesso a forza nella superstizione popolare italiana grosse infusioni di diavolo. Tuttavia, nel contesto la vera strega italiana non ha nulla a che fare con Satana o con un inferno cristiano e rimane come nell‟antichità una figlia di Diana. C‟è qualcosa di rinfrescante, di rivitalizzante nel pensiero che esiste un luogo nel mondo – e nella stessa Italia papista – dove il veleno del diabolismo non è prevalso completamente. Nel trattato sul Noce Magico di Benevento di P.Pipernus (Napoli, 1647) vi sono diversi passaggi che fanno riferimento a Diana quale Regina delle streghe, di cui uno è curioso, in quanto pare identificare Lamia con Lilith e Diana. Se ne deduce che le streghe che nell‟antichità seducevano giovani fino alla morte erano la stessa cosa di Lamia – una Lilith ebraica, e le Empuse, Marmolicie o i Lari ed i Lemuri appaiono in varie immagini dedicate a Diana – in variis figuris
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Dianæ dedicatis. Ma Elias Schedius (Dis Germanis, Amsterdam, 1648) ha messo assieme forti prove, provenienti da molte fonti ebree e non, che Diana era identica a Lilith e le due venivano identificate con la Romana Lucina: Tu Lucina volentibus Juno dicta puerperis Dicta lumine Luna." (Catullus Epigr., 35) Qui Luna significa Diana. Un‟altra cosa singolare è che vi erano nell‟antichità comunità di streghe quali le Eriphie da Eriphia, le Michalee da Michala, le Hecatee, le Medee, le Circee, le Tessale, in Sicilia Ciclopi e Lestrigoni ed Erodiadi – “communiori vocabulo in aliquibus regionibus nuncupantur ex Idumæa Herodiade prope Jordani flumen habitante, choreis, ludisquc venereis effuse fruente, quæ multos et multas ad suum convictum trahebat, Dianæ ludorum memorans.” In un altro passaggio Pipernus congettura che vi fosse una Erodiade prima di quella che fu causa della morte di San Giovanni. Negli incantesimi e nei talismani slavi, che sono generalmente molto antichi e di origine orientale, Lilith appare essere la stessa cosa di Erodiade. Ha dodici figlie che sono i dodici tipi di febbre. Questa classificazione delle malattie o degli spiriti maligni in categorie di sette, dodici, eccetera, si ritrova nella magia caldaia come viene descritta da Lenormant. Tutto debitamente considerato, concordo con Pipernus che vi fosse una Erodiade di molto precedente a quella del Nuovo Testamento che, danzando, fece perdere la testa ad Erode e fece da lui mozzare la testa di San Giovanni. Riguardo a questa faccenda, mi meraviglio di non averla ancora mai vista trattare da alcuno scrittore della moderna società cristiana sotto un punto di vista pratico. Supponiamo che una signora, una vedova intelligente e compita che ha avuto la buona sorte di divenire la moglie del governatore generale diciamo del Cathay. Il governatore muore e suo fratello gli succede nella carica e sposa la vedova (una cosa realmente comandata dall‟Antico Testamento ed un costume comune in tempi posteriori) o la moglie divorziata del fratello. Arriva un prete di una nuova setta ed informa il governatore che questo matrimonio è illegale. Immaginate i sentimenti di Erodiade! Da una parte il divorzio – forse la morte o la povertà – con una figlia in procinto di nascere; dall‟altra, un profeta descritto come un pazzo. Ed a quei tempi veniva considerata una cosa naturale, insignificante e comune il mettere a morte qualcuno che intralciava la tua strada, se si poteva, proprio come fece calvino con Servetus quando gli si mise in mezzo o come venne fatto a diversi milioni di eretici (alcuni per il loro denaro)
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dalla Madre Chiesa. E così Erodiade fece quello che credo la maggior parte delle matrone cristiane di mentalità mondana farebbero oggigiorno nelle medesime circostanze – e tolse di mezzo San Giovanni. Ciò che mi domando in questa storia è chi fosse Erodiade – di che sangue fosse, quali erano le sue proprietà? In questa storia di comune vendetta, tuttavia, non vi è nulla che possa ricondurla ad occupare la posizione di Regina, insieme a Diana, di una immensa e ramificata confederazione di streghe e stregoni. Che le streghe e gli stregoni abbiano mai praticato la stregoneria o meno – qualunque cosa fosse – una cosa è certa: che bande di peccatori uomini e donne che si credevano ispirati dal diavolo uscivano sotto la luce lunare armati di scope, forconi, capre, eccetera e bevevano, sprecavano e danzavano tutta la notte. Praetorius dice: “Ma le danze degli stregoni rendono la gente pazza e furiosa, così che le donne perdono il frutto dei loro corpi.” Ora, potrebbe essere naturale per certe femmine dovunque ed in qualunque paese il danzare pazzamente e nude, ma io dichiaro che le tradizioni dell‟antichità in merito sono tutte di origine Sirio-Indo-Persiana. Moses Maimond ci dice che quando si alzava il Sole le figlie degli antichi Persiani danzavano nude, cantando. Delancre, scrivendo delle streghe, osserva che esse facevano la stessa cosa delle ragazze persiane durante i sacrifici. Quindi le donne danzanti dell‟India e della Persia hanno una origine comune. La tradizione dice che un certo re dell‟India un tempo mandò dieci danzatori e musici in dono al re di Persia ed essi si mutarono in irrimediabili inetti. E tutti i danzatori in tutte le epoche formarono una corporazione chiusa. Solo i professionisti danzavano. E‟ perciò possibile, se non probabile, che Erodiade – madre e figlia – appartenesse all‟antica e non onorevole compagnia delle streghe e degli zingari e che il loro nome, coincidente con quello di Erode, sia stato attribuito in tempi precedenti ad una forma di Lilith. Ho incontrato in Italia molte persone che, pur non conoscendo nulla di Diana come Dea Romana, la conoscono come Regina delle streghe. Riguardo ad essa, possiamo osservare che al tempo dei Romani veniva adorata particolarmente dagli schiavi fuggitivi “forse perché si nascondevano nelle foreste.” Perciò potrebbe essere che le streghe e gli stregoni abbiano, in quanto fuoricasta, ereditato una certa predilezione per lei. Come Dea della segretezza e della stregoneria, ella era anche patrona di coloro che fuggono il giorno ed hanno rapporti con l‟umanità: le streghe, i fuorilegge, gli uomini falliti, gli schiavi in fuga, i favoriti della Luna e tutti i Figli della Notte erano tutti sotto la sua protezione ed è piacevole pensare che in epoche in cui vi era una tale enorme oppressione degli sfortunati le vittime avessero, se non un Dio, almeno una Dea che potevano pregare.
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Offerte agli Spiriti Così come vengono invocati e si crede fin dalle prime ere in Toscana negli stessi spiriti di rocce e fiumi, di fonti, caverne e foreste, così continuano ad essere fatte loro le stesse offerte che venivano fatte nell‟antichità. E, quando chiesi informazioni in materia, ricevetti prontamente diverse spiegazioni o illustrazioni di ciò che si comprendevano essere doni votivi. Si deve comprendere che questi differiscono completamente in spirito e forma da qualunque cosa venga offerta ai santi. “Sì. Per esempio, se un contadino passa accanto ad un boschetto e ad una roccia in cui vivono folletti o fate, sotterrerà lì del denaro o degli spilli per fare loro piacere, dicendo: „Questo lo sotterro per far piacere agli spiriti (o alle streghe) che ne potrebbero aver bisogno. E così pure a me in cambio daranno la buona fortuna!‟ O potrebbe essere che egli passi vicino ad una fonte o ad un corso d‟acqua, e lì dentro getterà il suo dono, ripetendo le stesse parole adattate al luogo.” Ma venni ulteriormente informato sulla materia con queste parole: “Offerte agli spiriti o ai folletti? Sì. Quando uno spirito viene di notte in una casa e causa molto fastidio come incubo, sedendo sul petto della gente e soffocandola, se essi mostrano paura il folletto toglierà via loro tutte le coperte, li farà cadere dal letto e se ne andrà con uno scoppio di risa. Per prevenire questo, gli si fa un‟offerta. Ciò che preferisce sono tre girasoli posti sul davanzale fuori dalla finestra. Quindi dite: „Metto questi tre girasoli alla finestra perché lo spirito non mi venga a tormentare dove si trova il Sole a girare. Se in casa mia vuol venire, almeno non mi faccia ingrullire, la notte in pace mi faccia dormire!‟ E quando avrà fatto e detto questo, lo spirito smetterà di disturbarlo – non potrà più dargli noia – ed egli potrà riposare.” La prossima illustrazione è molto curiosa: “Talvolta i goblin e le streghe si incontrano nei boschetti o nei giardini e se qualcuno volesse sapere chi o cosa essi siano, che guardi da una finestra a mezzanotte e vedrà delle forme che si radunano sotto gli alberi, di cui una è il capo che dà gli ordini. Se appaiono in forme umane, sono spiriti che passano liberamente a volontà e quindi rimangono come sono. Ma se sono streghe e stregoni, giungono sotto forma di capre, capretti, talpe o altri animali, perché quando lasciano le loro case lasciano anche le loro forme umane dormienti nei loro letti, così come le loro camicie, perciò devono assumere l‟aspetto di animali o divenire animali. Ora, queste streghe causano molto danno sradicando le piante e spezzando rami per fare dei
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giacigli per fare l‟amore e così i contadini o i proprietari di giardini o boschetti, spargono paglia o foglie o erba come offerta e nel mentre dicono: „Quest‟erba fresca per terra voglio spandere perché le streghe vengano a riposare coll‟amante.‟ Ed esse hanno questo potere; che, se assumono la forma di capre, possono prendere via persone che non sono streghe, che siano gentili o semplici, nel sonno per portarle ai loro raduni e così scelgono i giovani e la ragazze più belli con cui fare l‟amore. Ora, tra le streghe e gli stregoni vi sono anche principi e principesse che, per nascondere la loro dissolutezza ed il loro disonore, prendono forma di capre e portano via sulle loro groppe i partner per la danza; e così percorrono volando molte miglia in pochi minuti e vanno con loro in città distanti o in altri luoghi, dove festeggiano, devono, danzano e fanno l‟amore. Ma quando si avvicina l‟alba riportano nuovamente a casa questi partner i quali, al risveglio, pensano di avere fatto dei bei sogni. Ma in realtà questa diversione è stata più reale di quanto suppongano. Ma se si guardano intorno troveranno sempre nella loro stanza del denaro, che sia di rame o d‟argento, perché questo denaro stregato deve sempre essere dato. E quando lo trovano, o trovano spilli o aghi, devono gettarli tutti in un fiume o in acqua corrente, perché in tal modo verranno liberati dalla possibile vendetta della stregoneria.” Il lasciare dei girasoli sul davanzale della finestra, secondo un‟antica simbologia, significa scoprire l‟offensore e per esso significa che è stato scoperto. Perciò, in accordo con questo, Albertus Magnus ci informa che se qualcuno ha subito un furto, se dormirà con dei girasoli sotto il cuscino sognerà chi è il ladro. Questo perché il girasole è simbolo del Sole che splende – cioè che vede e cerca – su tutte le cose. Ed in quanto immagine del giorno esso spaventa gli spiriti dell‟oscurità. La terza storia è molto importante per spiegare almeno una ragione per cui vengono gettati nella fonti monete e spilli. Ed è molto importante nel gettare una nuova luce sulla causa della trasformazione delle streghe in animali, perché in tutti i molti trattati che ho letto sulla stregoneria non ricordo di avere visto una spiegazione in merito. Secondo questa teoria probabilmente antica, come credevano Battista Porta e molti altri, i corpi rimangono addormentati mentre le anime si involano o la cavalcata delle streghe viene solo sognata. Secondo la mia informatrice romagnola l‟anima della strega entra in alcuni animali perché ha desiderio di una forma migliore. In alcune opere di Praetorius ed altri ho trovato storie di gente che è andata spesso ai Sabbat sopra a delle capre e ne è ritornata, pur non essendo mai stata streghe o stregoni.
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Capitolo IX Lo spirito dello scaldino Durante il regno di Carlo II, in Inghilterra si diceva spesso che le donne in Olanda rimanevano incinte semplicemente a causa dell‟abitudine di portare sotto la sottana un piccolo ricettacolo, uno scaldino in cui venivano collocati dei carboncini ardenti. Questi scaldini, fatti di legno e latta, si possono ancora vedere tra le donne dei mercati a Philadelphia. Il risultato di tale gravidanza era un piccolo elfo o un goblin, che è una strana piccola creatura di carne e sangue. In Italia le donne portano uno scaldino, un recipiente a forma di cestino ma fatto di terracotta smaltata. Viene riempita con cenere e carbone ed è così comune che in Italia ve ne sono tanti quanti sono gli abitanti – almeno al nord. E, siccome vengono spesso messi sotto i vestiti vicino al corpo, non stupisce che sia nata l‟idea che quel piacevole calore potesse ingravidare. Era conosciuto fin dalla più remota antichità e Spenser ci racconta nel “Ferie Queene” di come una bella signora venne esposta nel sonno ai raggi del Sole i quali, entrando nella sua persona, la ingravidarono. I Toscani, più poetici o più di mentalità classica rispetto agli Olandesi, credono che lo scaldino metta la donna incinta ma di un folletto o di una graziosa fata aerea, la cui regola di vita è “la luce viene, la luce va”, perché rimane per breve tempo nel ventre e ne fugge o nasce senza essere notato di notte, svanendo senza essere notato come l‟aria.
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Quando una ragazza o una donna sospetta di essere stata resa madre, se dovesse desiderare di vedere la sua progenie ripeterà le seguenti parole: “Folletto! Folletto! Folletto! Che voli per l‟aria più lesto del vento, tu lo fai per non farti vedere da alcuno, ma io che desidero vederti sono una persona che tanto ti ama; sono la tua vera madre, perciò mi raccomando che tu ti faccia vedere almeno per una volta!” Ed egli giunge in sogno o magari nella realtà – chissà? Chi sa qualcosa di tutto ciò o di quale vita vivono coloro che credono in queste cose? Devono avere visto o immaginato qualcosa, altrimenti come potrebbero queste persone conservare queste fantasie di epoca in epoca, di padre in figlio ed oltre. O tutta la vita è un sogno? E tuttavia in che modo possano farlo appare comprensibile, se ci si riflette. Quando un uomo non è interamente assorbito dalla vita nelle città, nelle fabbriche, nelle case o nella “società” e quando è a casa “nei boschi selvaggi dove cantano gli uccelli”, allora la Natura o il suo istinto per la compagnia lo fa sentire come se vi fossero delle anime negli alberi, uno spirito che dimora nel focolare, sotto alla soglia, persino nello scaldino in cui bruciano i carboncini. Lo stadio polipanteistico, quando l‟uomo passò dalla fase del fare di ogni oggetto un Dio alla sensazione di essere uno spirito in un tutto, deve essere coevo ad una sorta di maggiore sviluppo della vita sociale, ma quando la vita rurale o la vita selvatica o la Natura esercitavano ancora una profonda influenza. In una vita simile ci circondiamo lietamente di strani compagni e crediamo che la Natura, che è così meravigliosa ed apparentemente ispirata come vita e pensiero ad essere un tutto unico, esista anche in esseri separati. Gli uomini non ragionano in questi termini, ma gli Indiani Americani o i contadini toscani lo sentono ed agiscono nel suo spirito. Mentre questo spirito di Natura esisteva ancora, Shakespeare scrisse sotto la sua ispirazione ed artisti di spinsero e tutta l‟arte provenne da esso. E, da quando esso è morto, noi diciamo che la poesia e l‟arte sono imitazioni di ciò che fece chi realmente viveva in esso. Ciò che è più curioso nel fatto di avere un figlio che scaturisce dal fuoco in una maniera così familiare è che la storia più antica di questo genere è Etrusca. Viene narrata da Dionisio, Ovidio e Plutarco e dice così: “Tarquinius e sua moglie, la saggia Tanaquil, erano seduti a mangiare mentre Ocris, la figlia prigioniera del re di Corniculum, li attendeva. Quando si avvicinò al fuoco per gettarvi le usuali offerte al Lar familiaris, uscì dalle fiamme un fascinum (fallo). Spaventata, ella lo disse a Tanaquil, che si occupò lei stessa di vestirla con abiti nuziali e la fece sedere vicino al focolare. In tal modo, ella concepì dal calore ed ebbe un figlio, Servius
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Tullius. E venne detto che una volta, mentre lui dormiva, i suoi capelli apparvero come se fossero fiamme.” In effetti, questa è un‟altra forma della storia del bambino concepito grazie allo scaldino. Il lettore osserverà che Dusio, Cupra, Attilio o il Lar familiaris, che in queste storie toscane è lo spirito del focolare, seduce sempre una serva. E questo suggerisce qualcosa che il lettore farebbe bene a tenere a mente: prendendo tutto assieme – le storie toscane popolari moderne, gli incantesimi, le magie e le osservanze o le descrizioni degli spiriti – e paragonandoli a ciò che ci è stato detto dagli scrittori latini, troviamo che l‟antico conferma continuamente l‟estrema antichità del moderno. Che il fuoco fosse una creatura o una esistenza vivente (come viene tuttora riconosciuto dalla Chiesa d‟Inghilterra) era credenza di tutte le religioni di tutte le epoche, come viene illustrato da Schedius e Friedrich con una vasta gamma di autorità in materia. Che esso fosse uno spirito in grado di concepire figli spirituale era una conseguenza naturale. Penso perciò che, tutto considerato, nella credenza sullo scaldino abbiamo una probabile ben fondata continuazione dell‟antica storia etrusca del gobelin del fuoco e della bella figlia del re caduta in servitù. E‟ interessante sottolineare che nella tomba Golini, a Orvieto, così come a Pompei, sopra il forno o il focolare veniva rappresentato un fascinum, o fallo, probabilmente a significare lo spirito del focolare.
Artemisia Sono rimasto stupito nello scoprire che il nome Artemisia è conosciuto solo come nome di una strega – qui un vampiro – che succhia il sangue dei morti nelle loro tombe. Questo indica una qualche connessione con Diana come strega malvagia. Il nome è stato prontamente riconosciuto, ma non sono riuscito a saperne di più al riguardo. Preller identifica Diana Artemis con Hecate.
Red Cap “Lord Foulis sat within his tower, and beside him old Red Cap sly; 'Now tell me thou sprite who art mickle of might, the death that I shall die.'" Minstrelsy of the Border “Ecco un‟antica descrizione dell‟abito degli esseri fatati: „Essi indossano un cappello conico rosso, un mantello di panno verde con intarsiati dei fiori selvatici, dei pantaloni verdi abbottonati con bottoni di seta ed una cintura d‟argento. Portano faretre di crosta ed archi fatti con le costole di un uomo seppellito laddove “tre terre di signori” si incontrano; le loro frecce sono
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fatte di canne con la punta si selce bianca e vengono intinte nella rugiada della cicuta; cavalcano destrieri i cui zoccoli non “spargono la rugiada dalla coppa di una campanula.‟” – Anonimo In Romagna ed in Toscana vi è una classe di goblin o esseri fatati che sono pressoché identici ai Leprechaun irlandesi, che possiedono tesori che vengono ceduti solo dietro costrizione. Non ho potuto sapere se l‟elfo italiano abbia un qualunque altro nome oltre a Il Folletto con la Berretta. Mi è stato descritto come segue: “Quando di notte udite nella vostra stanza dei rumori misteriosi o un suono come se qualcuno frugasse e siete certi che provengano da visitatori sovrannaturali, preparatevi mettendo un lampada accesa nella stanza e coprendola con una ciotola di terracotta, ma così bene che non di possa vedere un solo barlume di luce. Quindi, quando udrete un rumore nella stanza, scoprite la luce il più velocemente possibile e, se lì vi sono dei goblin, se ci riuscite prendete il cappello di uno di loro e dite: „La berretta ti ho portato via! Ma non è la berretta che ti ho portato via, m ala pace che più non ti darò se non mi dici prima dov‟è nascosto il tesoro.‟ Che in Romagnolo suona così: „A t‟ho porté vì la bretta, ma an t‟ho porté vì la bretta, t‟ho porté vì la pes, che più an t‟darò in fè che tu n‟m‟avré det indole le piate e tesor!‟ Allora lo spirito, per riavere il suo cappello, dirà dov‟è nascosto un tesoro.” Questo è abbastanza classico. “In Italia conoscevano” dice Preller (Römische Mythologie, p. 488) “una classe di spiriti che sapevano dove fossero nascosti i tesori e che li sorvegliavano. Venivano chiamati Incubones e indossavano dei cappelli (simbolo della loro natura segreta). Se qualcuno riusciva a rubare questi cappelli, poteva costringerli a rivelare dove questi tesori fossero nascosti.” (vedi Petronius, s. 38; vedi Grimm, Deutsche Mythologie, pag. 479). Questo elfo dal cappello rosso e dalla camicia stretta è comune nelle pitture murali romane e sui vasi etruschi. E‟ diffuso in tutto il mondo, in Germania e nei paesi scandinavi ed anche gli Indiani Algonchini d‟America lo hanno preso dai Norvegesi. Ma è molto probabile che gli Etruschi o i loro vicini siano stati i primi ad averlo. Cosa che, tuttavia, lascio determinare a uomini più dotti. E‟ tuttavia certo che gli Indiani d‟America ed i contadini romagnoli sono le uniche persone al giorno d‟oggi che credono realmente nella sua esistenza. Non è improbabile che questo goblin con il cappello rosso sia una derivazione del picchio dalla testa rossa Picus, che in tempi antichi gli Italiani credevano fosse uno spirito guardiano di tesori e talvolta, sotto costrizione, mostrava loro dov‟erano nascosti, come ho mostrato in un altro capitolo. Tutto questo, come tutto il
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resto contenuto in quest‟opera, lo sottopongo solo in quanto tale ed il suo valore spetta ad altri determinarlo.
Red Cap su una lampada Romana Preller sostiene che i Red Cap ed altre Divinità minori, o goblin domestici dal carattere scherzoso, appartengano alle mitologie teutoniche o celtiche più che a quella italiana. Ma egli dimentica qui che, nonostante il mondo abbia imparato grazie alle favole dei Grimm o ad influenze personali infantili ad associare questi spiriti al Nord, in realtà la storia autentica e scritta li mostra come familiari agli antichi Latini ben prima che si sentisse parlare delle credenze celtiche o germaniche. Secondo David MacRitchie, l‟origine di tutto il “piccolo popolo” è da ricercarsi in una precedente razza di nani, scacciata da un popolo più vasto e forte – un processo che probabilmente è stato visto in tutto il mondo. Questo non interferirebbe con la creazione di altre personificazioni di nanetti, come quello che appare alla maggior parte dei bambini che trattano il pollice e le dita come una sorta di esseri fatati o credono che le rane e gli uccelli assumano forma umana di nani. In merito al Red Cap, come ho già detto, vi sono testimonianza che pare indichino la sua origine etrusca ed è una personificazione del picchio dalla testa rossa, che è una piccola forma di Picus o Picumnus. I goblin domestici italiani, come quelli del Nord, si dice che imitino i suoni. Uno scrittore del XVI secolo ci dice che il giorno prima dell‟arrivo di una grossa quantità di mercanti alla locanda, la gente che vi dimora spesso ode gli Elfi imitare il suono di piatti di bilancia risuonare come se vi fosse messo del
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peso sopra, il tintinnìo del denaro e tutte le circostanze della compravendita. Ed è davvero notevole che, come si può vedere presso il Museo Etrusco di Gori, i goblin dal cappello rosso (red cap) dell‟antica Italia vengono talvolta rappresentati con pesi e bilance e con atteggiamenti da mercanti. Ma in tutti i paesi si dice che tengano delle fiere, come il “Mercato dei Goblin” di Cristiana Rossetti testimonia. Colui che si ritrova in queste fiere può comprare diamanti e perle per un penny, ma deve fuggire subito o subirà delle sventure. E se arriva un visitatore, si può udire la sua voce e la notte prima di una pioggia o di una tempesta il piccolo popolo farà suoni come di una doccia o del soffio del vento quando tutto è silenzioso. “Cos‟è che fa un rumore così veloce e vicino? E‟ la pioggia sul tetto quella che odo? Non è la pioggia, non è la grandine, ma sono gli Elfi e le streghe che danzano come una tempesta. Prima in un ticchettio e poi in una impennata, questo è il modo della danza elfica.” Uno scrittore del Philadelphia News somma i diversi nomi con cui è conosciuto il piccolo popolo. Sono: “fate, elfi, gente elfica, esseri fatati, archetti, ouphes, fanciulle-alce, donne-alce, nani, troll, norne, nisses, coboldi, duende, brownies, colli, stromkarls, fati, piccoli individui, ondine, fatine delle acque, salamandre, goblin, hobgoblin, pooka, banshee, kelpie, pixy, popolo del muschio, buon popolo, buoni vicini, uomini di pace, donne selvagge, signore bianche, peri, djinn, geni e gnomi.” Scusando i meri sinonimi, tutti questi possono essere trovati nella tradizione italiana antica e tuttora esistono tra le montagne. Ma in realtà si possono trovare in tutto il mondo, che si tratti delle terre più orientali o dell‟America.
La stregoneria nell’arte antica “Twist ye, twine ye, even so, Mingle threads of joy and woe.” Guy Mannering “Pingue duos angues: pueri, locus est sacer.” Persius (sat. I, 113) Ella era seduta ad un tavolo su cui vi era una di quelle semplici e belle lampade lunghe d‟ottone con tre luci, come ci sono giunte fin dal tempo dei Romani; nelle sue mani vi era uno scaldino, che era tutto il fuoco che essa conoscesse come riscaldamento; alla finestra crescevano erbe di un profondo significato mistico, non per bellezza ma per la magia, ed io le chiesi se fossero stati ritrovati molti oggetti antichi laddove ella dimorava. Riflettendo un istante, come al solito, ella disse: “Molti. Gli stranieri vengono da noi e scavano fuori dal terreno i vasi neri e gialli che i nostri antenati fabbricarono molto tempo fa. Come a Cesena, per esempio. Cesena è in Romagna. Talvolta i contadini, scavando il terreno per costruirvi sopra, trovano delle medaglie e dei vasi antichi di migliaia di
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anni. E tutte queste cose erano state fatte per le streghe secondo la loro credenza e tutte queste cose fanno parte della magia e della stregoneria, perchè in quei tempi tutta la zona era piena di streghe. E la ragione per cui vengono ritrovati in luoghi segreti e tra antiche rovine o simili è questa: quando giunsero i preti, non permisero che le streghe venissero seppellite nei camposanti, perchè dicevano che streghe e stregoni erano degli scomunicati. Così essi fecero in modo di farsi seppellire da gente dei loro e quando una strega moriva le altre la interravano segretamente nella sua casa o nella sua cantina con i suoi vasi e le sue medaglie da strega e tutte le cose che usava nella sua arte. E prima di morire ella insegnava agli altri tutti i suoi segreti. Ed ecco perchè non le troviamo mai sepolte nei terreni cristiani e troviamo vasi e medaglie molto antiche nelle loro tombe, perchè queste cose fanno tutte parte della loro antica credenza o della stregoneria e così esse non potevano essere poste nei camposanti. Perchè nei tempi antichi la stregoneria aveva una religione e veniva chiamata la religione della stregoneria e quello che vedete sui vasi antichi sono nomi e ritratti di streghe e stregoni dell‟antichità. E su di essi vi sono immagini di Tigna e di Faflon e di tutte le altre streghe o maghi che sono divenuti spiriti.” Ho letto di un uomo che si è “allontanato da una realtà cristiana e si è corrotto fino a divenire un idealista pagano”. Questo era scritto in una storia ma i miei amici erano realmente delle sopravvivenze pagane e, nonostante il fuoco dello spirito sia bruciato piano tanto da essere stato sommerso dalle ceneri e solo ogni tanto ha fatto scaturire una fiammata, era per me meraviglioso – sì, terribile – che un tale scintillio di fede pagana sia sopravvissuto e che vi sono ora donne vive che parlano degli etruschi Giove e Bacco come di Divinità che vengono tuttora adorate da alcuni e le cui immagini si vedono sui vasi antichi. Nonostante si sia degradata alla condizione più umile e stia scomparendo rapidamente, la stregoneria è tuttora una credenza e non semplici frammenti di folklore o di antiche superstizioni. Sì, le cerimonie e gli incantesimi, i talismani e gli amuleti che ho visto così spesso fare o preparare fino a che sono divenute per me cose familiari, tutto ciò possiedono la stessa canuta antichità. Il motivo per cui sembra esservi tanta luce in un sorriso italiano, tale intensità di passione, anche nei contadini, unita ad una certa indescrivibile pittoricità è perchè tutte le loro abitudini di pensiero e tradizioni sono derivate nel corso dei millenni da stadi della società in cui l‟Arte e la Fede nel senso più profondo hanno influenzato ogni azione della vita. E, nonostante l‟Arte non esista più, gli impulsi che ha creato continuano a vivere nel sangue e nella mente e si trasmettono ereditariamente – così come l‟acqua di un fiume continua a saltare ed a spumeggiare molto tempo
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dopo che è passata oltre a qualche grossa cateratta. E‟ stata l‟Arte ad ispirare i vasi etruschi, i gioielli e gli specchi; nè meno artistico fu il sentimento che creò Divinità, goblins, spiriti folletti ed elfi con le loro caratteristiche e le loro leggende e la loro mistica consanguinea, la stregoneria. La fede senza l‟arte è come un uovo non ancora schiuso; l‟arte senza la fede è un guscio d‟uovo vuoto che non vale nulla – tranne che per alcuni stregoni, come Zola, il quale ne fece una imbarcazione per viaggiare verso il diavolo. Questi discendenti degli antichi Italiani che hanno conservato le loro antiche superstizioni nella semplice fede hanno anche – inconsciamente – portato con sè l‟arte che dona la vita – e la vita è luce e fuoco e sentimento. Questo parlare degli antichi Etruschi mi ha fatto pensare ai serpenti ed io chiesi se i contadini della Romagna avessero qualche credenza in merito. “Sì. Talvolta essi dipingono un serpente sul muro per tenere alla larga il malocchio o le streghe maligne e per portare fortuna. Ma la testa deve essere rivolta verso il basso ed intrecciata e la coda al di sopra.” “Ed i serpenti intrecciati significano fortuna?” “Ah, questo è risaputo e non solo per quanto riguarda i serpenti, ma tutti i tipi di corde che si possono intrecciare o qualunque cosa possa attirare lo sguardo di una strega. Quando una famiglia teme di venire stregata, dovrebbe intraprendere qualche tipo di lavoro intrecciato, perché le streghe non possono entrare in una casa dove c‟è qualcosa del genere appeso come, per esempio, schemi di due o tre serpenti intrecciati o altri tipi di ricami, ma sempre con schemi di intreccio. Così, nel fare camice o mutande o qualunque vestito per uomini o donne, nel cucirli si dovrebbe sempre cercare di incrociare il filo di cotone come si fa nel cucire le scarpe e formare una croce con esso, perché le scarpe sono più soggette alle stregonerie (perché le scarpe sono quelle più facili a prendere le stregonerie). E quando le streghe vedono questi intrecci non possono fare nulla, perché non possono contare né i fili né i punti. E se abbiamo su di noi o vicino a noi qualcosa del genere, esse non possono entrare perché l‟oggetto abbaglia o offusca la loro vista ed esse sono incapaci di fare danno. E per fare bene questo (tenere il sistema) dovreste prendere del filo di cotone o di seta o di lino e fare una treccia con 6, 7 o 8 capi o quanti volete – più sono e meglio è – e portarla sempre nel vostro borsellino; questo vi proteggerà dalle streghe. Potete trovare trecce del genere fatte molto bene con seta di tutti i colori in alcuni negozi (ed anche di cotone, n.d.t.) ed esse fungono da talismani contro il malocchio.” Nella mia opera Gypsy Sorcery vi è il seguente passaggio (pagina 98):
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“Esiste una credenza molto curiosa o un principio riguardante l‟uso delle canzoni nel fare scomparire le streghe o nell‟allontanare la loro stregoneria. E‟ che la strega sia obbligata, volente o nolente, ad ascoltare fino alla fine ciò che è in metrica – un‟idea basata sull‟attrazione della melodia, che è molto più forte tra le popolazioni selvagge ed i bambini che tra gli adulti civilizzati. Pressoché compagna di questa è la credenza che se la strega vede degli schemi intrecciati o confusi e stupefacenti, essa deve seguirli e così i suoi pensieri vengono sviati o dispersi. Da qui le iscrizioni serpentine dei Celti e dei Norvegesi e le loro bande intrecciate che si credeva fermamente portassero fortuna o sviassero le influenze negative. Una persona che ha viaggiato in Persia afferma che gli schemi dei tappeti di quel paese sono fatti nella maniera più stupefacente possibile „per sviare il malocchio‟. Ed è con questo scopo che, nella stregoneria italiana come nelle altre, così tanti incantesimi e talismani sono basati sull‟intreccio di corde (vedi l‟incantesimo della pietra forata). La base di questa credenza è il fascino o l‟interesse che molte persone, specialmente i bambini, provano per l‟azione di tracciare degli schemi, le linee di un labirinto o per analizzare e disingarbugliare nodi.” Ho condotto studi seri ed estensivi sugli schemi intrecciati, cominciando con la Palæographia Picta di Westwood in cui egli afferma che gli Irlandesi siano l‟origine di tale arte. Li ho studiati con grande interesse nei musei in Irlanda, Norvegia, Svezia e Danimarca, Inghilterra e Scozia e ne ho copiati letteralmente migliaia. Fin dall‟inizio ero profondamente convinto che in tutti questi intrecci celtici di infinite lucertole irlandesi ed eterni serpenti scandinavi fino ai nastri gotici, alla corda fiorentina ed agli intrecci di viti, vi fosse un significato mistico espresso in una scrittura occulta e riguardante profondi e strani segreti della stregoneria. E‟ interessante citare ciò che mi ha dato questo suggerimento. Vi è un libro di cui Trollope dichiara di credere di essere l‟unica persona in Europa ad averlo mai letto. Io l‟ho, tuttavia, potuto studiare in tre occasioni ed in tre versioni prima di compiere il sedicesimo anno di età, cosa che menzioni per mostrare quale impressione esso fece su di me, perché un tal genere di lettura a quell‟età colpisce profondamente nell‟animo. Si trattava di The Unheard-of Curiosities di Gaffarel, in cui egli afferma in maniera infantile ma che colpisce la grande idea di Paracelso che le stelle in cielo, nei loro relativi aspetti e corsi, formano I punti delle lettere ebraiche o geomantiche e che le linee sulla corteccia degli alberi e quelle sulle conchiglie del mare e sui pesci, la curva delle acque quando si agitano nel ruscello o si innalzano nelle onde dell‟oceano, il volo dell‟uccello e la flessione tremolante di una fiamma o tutte le forme ispirate dallo spirito della Natura, o l‟Archeus, formano degli eternamente varianti geroglifici di
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una vasta scrittura, di cui possiamo ottenere la chiave grazie all‟ispirazione ed allo studio. La poesia di quest‟idea entrò nella mia anima ed io la serbai per molto tempo, fino a leggerne altro in Wordsworth ed in Shelley. Era il mio primo anno di college ed ero solito fare ogni giorno delle lunghe passeggiate solitarie tra i boschi e sedere presso rocce grigie ed acque silenti, cercando di rintracciare con l‟aiuto della poesia un poco di questa divina calligrafia Identico a questa legge o istinto per cui il malocchio deve per forza seguire gli schemi, è che la strega sia obbligata a contare, con gré mal gré, tutti i chicchi di riso o sesamo o grano che incontri. Così nelle Arabian Nights il ghoul Amina deve mangiare il suo riso chicco per chicco con uno spillone. Nel South Carolina il riso cotto a forma di croce posto vicino ad un letto impedisce ad una strega di arrivare alla sua vittima, perch‟essa deve rimuoverlo chicco a chicco fino a quando potrà raggiungerlo e non può evitarlo. Ed ho mostrato altrove che il rosolaccio, o Riso della Dea dei Quattro Venti, viene considerato protettivo perché le streghe non riescono a contare le sue foglie simili a riso e così ne rimangono sconcertate. Questa credenza veniva portata fino al considerare le superfici corrugate e ruvide una sorta di protezione dal male. Così la stalagmite, o pietra di salagrana, è molto popolare contro il malocchio, che significa tutta la stregoneria avversa. Io congetturo – perché non è possibile ancora provarlo – che i popoli celtici dell‟est dell‟antichità, durante la migrazione delle razze – ad esempio attraverso l‟Ungheria, la Gran Bretagna e la Gallia –, abbiano posseduto intrecci e li abbiano usati costantemente. I Bretoni, generalmente, facevano dei cesti dipinti con colori allegri – bascaudæ – che venivano inviati a Roma. Questo suggerisce intrecci. I monaci e gli artigiani irlandesi svilupparono questi schemi per i cesti usando manifestamente, come evocativo più accomodante, nastri, funi o corde come ho fatto io stesso per fare dei disegni. Non penso sia necessario adottare la piuttosto spiacevole idea proposta in un grande libro sul ricamo in cui si dice che per modelli venissero usate le viscere di animali. Un mese di disegno intelligente vale tutta la teoria del mondo e non credo che venissero impiegate delle viscere per suggerire dei motivi più di quanto creda che venissero utilizzati al medesimo scopo dei vermi, come mi venne una volta suggerito da un certo intagliatore di legno che non riusciva a vedere beltà in alcuna cosa eccetto che negli schemi barocchi. Ma per ritornare agli intrecci o al magico potere dei nodi intrecciati, se ne parla molto nella tradizione delle strege. Il gelso, molto importante in Italia, possiede naturalmente superstizioni sue proprie, e tra esse vi è, curiosa, la seguente:
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“Quando un contadino pota i gelsi che sono per i bachi da seta, deve tagliarli in modo che i rami restino intrecciati, nel qual caso i bachi saranno protetti dal malocchio o da influenze negative da parte di qualche strega. Ma deve stare attento anche che, per quanto belli possano essere i bachi, nessuno lo dica, perché il dirli „belli‟ durante le tre malattie che essi attraversano prima di fare la seta causerebbe la loro morte. State anche attenti a qualcuno che entrasse in casa e dicesse „Belli quei bachi!‟: gettate a quella persona una manciata di foglie perchè essa, infastidita, getterà le foglie ai bachi ed il malocchio, se l‟hanno preso, verrà rimosso.” In Italia, così come nell‟est, si teme molto una lode imprevista, che sia sugli animali o sui bambini, perché coloro che fascinano o stregano la usano sempre. Anche le convolvolacee, che includono il caprifoglio ed il convolvolo purpureo, sono una protezione contro le streghe a causa dei loro viticci intrecciati. “Coloro che temono un incantesimo o il malocchio dovrebbero tenere il convolvolo nei loro giardini o in un vaso sulla finestra, perché tra tutti gli altri fiori esso è quello che le streghe non possono sopportare; e non possono entrare in una casa dove vi né quella pianta a causa dei suoi viticci (nerbolini) simili ad una massa di serpentelli intrecciati ed aggrovigliati, per cui rimangono fuori. Questa pianta fiorisce di notte ed i suoi bei fiori in un bouquet con i suoi viticci abbagliano la vista delle streghe e le mantengono lontane.” Questo, come potrebbe pensare il lettore, è valido anche per un intreccio gotico o ornamenti serpentini, nodi d‟amore o per pesci o frasi in Hegel! Lenormant, nel suo Magie Chaldaienne, parla dell‟antichissima usanza dei nodi magici – che consiste nel fare delle trecce come gli antichi Assiri, di cui egli dice che veniva fermamente creduta l‟efficacia anche nel Medioevo ed illustra quanto segue contro una malattia o un dolore alla testa: “Annodate a destra e disponete la superficie in bande regolari sulla sinistra del diadema della donna; dividetela per due volte in sette piccoli fasci: avvolgete la testa dell‟invalido con essa; avvolgete la fronte dell‟invalido con essa; avvolgete la sedia della vita con essa; avvolgete le sue mani ed i suoi piedi con lui seduto sul letto; versate su di lui dell‟acqua incantata. Lasciate che la malattia della sua testa sia portata via nei cieli come un vento violento, che la terra possa inghiottirlo come acque che passano!” Da questo possiamo capire che l‟annodare i capelli era un incantesimo per il mal di testa. Nel complesso, questa applicazione delle corde alle tempie o ad altre parti del corpo è pressoché identica all‟uso odierno. Questo soggetto dell‟intreccio come protezione contro la magia negativa o come amuleto è pressoché compagno dell‟idea che i buchi e le scabrosità nelle pietre – vedi
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la salagrana –, le rime magiche e la musica confondente, così come i colori mischiati, attraggano e confondano la mente. Tutti producono lo stesso effetto. Sono grato a Miss Mary Owen del Missouri per ciò che segue (imparato da una strega nera), che p abbastanza collegato all‟intreccio: “Quando un uomo è visitato nel sonno da streghe che lo tormentano, dovrebbe allacciare al camino un panno di lino grezzo o un setaccio; legate alla testiera del letto un paio di corde di lana o un mazzo di foglie di felce in cui i semi siano quasi maturi; spargete una tazza di semi di mostarda sulla soglia di casa. La strega dovrà contare gli interstizi del panno o del setaccio, i semi della felce o i denti delle corde e dovrà raccogliere ogni seme di mostarda contandoli; solo dopo sarà libera di tormentare i dormienti annodando loro le lenzuola, saltando sui loro petti o sussurrando loro sogni terribili.” Le nere Takroori, le streghe africane, traggono largamente la loro magia e la loro tradizione dalle streghe arabiche cabaliste, come so avendo esaminato i loro libri quand‟ero in Egitto, e questo gli Arabi lo sanno. E‟ molto curioso il fatto che Praetorius parli di un uomo che, nell‟antichità, usava striglie o corde di lana per difendersi da una strega-incubo. In questi casi io penso vi sia probabilmente una tradizione o una trasmissione.
La Dea dei Quattro Venti – l’erba rosolaccio “Vieni dai quattro venti, o respiro, e alita su questi uccisi, che possano vivere.” – Ezechiele XXXVII, 9 Tra la gente primitiva o superstiziosa, la virtù medicinale o le altre virtù delle erbe vengono attribuite a cause profondamente misteriose di natura sovrannaturale. In Romagna, così come tra gli Indiani d‟America, questa fede è tale che certe piante vengono considerate essere esse stesse in qualche strano modo delle fate o degli spiriti. Colui che porta vicino a sé una di esse – sempre in un sacchetto rosso, come ai tempi antichi etruscoromani – porta con sé un piccolo angelo custode o, se la pianta in un vaso, sarà come gli antichi Egizi di cui Giovenale dice avevano Dei che crescevano nei loro giardini, alludendo alla loro venerazione per le cipolle o l‟aglio. Una di queste piante, che è oggetto di cultura non solo in senso letterale ma anche religioso ed estetico, è il rosolaccio, che ha il curioso nome a doppio senso del riso – risata o sorriso – della Dea dei Quattro Venti. Il racconto che segue mi è stato fornito con un campione della pianta: “Il rosolaccio è una pianta le cui foglie, cresciute come una mano con molte piccole dita, appaiono come chicchi di riso e viene perciò chiamata il riso (o il sorriso) della Dea dei Quattro Venti. Viene chiamata anche la pianta della fortuna perché essa porta molta fortuna. Se ne può piantare in un piccolo
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vaso un germoglio per farlo crescere o, se ciò è impossibile, in un sacchetto rosso. Il vaso deve rimanere sempre alla finestra, mentre il sacchetto dovrebbe essere appeso dietro alla finestra; fatto questo, nessuna strega potrà entrare perché vi sono così tanti chicchi (o foglie simili a chicchi) o occhi che le streghe non riescono a contarli e quindi non possono andare oltre. Perché sono così vicine le une alle altre che contarle è impossibile. E se dovesse accadere che in una famiglia un bambino o un adulto venga stregato, allora noi prendiamo questa pianta, sia che stia crescendo o che sia in un sacchetto, ed andiamo dal sofferente che deve essere a digiuno, anche di acqua, al mattino presto e diciamo: „Dea, o Dea dei Quattro Venti, non vi è altra bella al pari di te. Un‟erba miracolosa hai fatto nascere, perché la stregoneria passi da…‟ Quindi si fa il segno della croce con l‟erba per tre volte e questo deve essere fatto per tre mattine.” “Ma chi era la Dea dei Quattro Venti?” “Beh, ho sentito dire che sua madre era una bella ragazza di alto rango, forse una principessa; comunque, ella amava un povero giovane ed i suoi genitori non volevano saperne di tale unione. Come accadde chi lo sa? Ma il giovane uomo rimase accanto a lei e trovarono un passaggio sotterraneo che conduceva alla sua stanza – alcuni dicevano che fosse stata lei a scavarlo, essendo un essere fatato –, portando ad una finta porta nella stanza di lei sotto il suo letto. Alla fine ella rimase incinta e rimase per molti mesi nella sua stanza per evitare che il mondo lo sapesse. Preparò una bella culla tutta fatta di rose e sua madre, che era una fata, mantenne il segreto e la aiutò; quando giunse il tempo della nascita, la madre fece un fuoco di alloro in modo che con il suo crepitio coprisse i vagiti della bambina. E, mentre la madre bruciava l‟alloro, ella disse: „Figlia mia amata, amata, a batta di (al suono del) lauro tu sei nata e di rose conbugigata (avvolta); figlia mia amata, amata, una fata di te pure ho fatta.‟ E questa bambina fu la Dea dei Quattro Venti – e questa fu la fata detta la Dea dei Quattro Venti.” Questa storia meravigliosa e misteriosa suggerisce di certo molto a qualunque studioso di folklore. Prima di tutto, la Dea bambina del Vento viene cullata in una culla di rose. Friefrich (Symbolik d. Natur) osserva che nel mito greco il Vento, Eolos, ha nella sua casa sei figli e sei figlie – wohl die ælteste Andeutung einer Windrose –, la prima indicazione della rosa del vento o anemone.” Il vero rosolaccio è il papavero rosso o il fiore del grano, ma il nome rose si riferisce al colore. Abbiamo tuttavia in esso una connessione delle rose con il vento e la goccia di rugiada “cullata dal vento nella culla di rose”. L‟anemone, o fiore del vento, è nata dal sangue di
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Adonis, che nel fiore rivive come spirito del vento. Adonis, lo spirito della primavera, è la stessa cosa di Favonius, “lo Zefiro greco, il dolce e fruttuoso vento del sud che giunge con la rondine e la primavera.” Difficilmente si potrà negare che tutto questo pare essere indicato in questa strana storia toscana. Il fatto di bruciare rametti di alloro così da creare rumore è molto antico. “Vi era una speciale divinazione o predizione del futuro che si effettuava facendo bruciare foglie di alloro e veniva considerato un buon segno se esse scricchiolavano e facevano molto rumore.” (Tibullus, Eleg., II, 6, 81). Da qui è venuto un detto comune, clamosior lauro ardente – “fa più rumore dell‟alloro che brucia” o, come ci viene detto dall‟autore del Trinum Magicum (1611A.C.), “et lauri quoque ramis divinatio sumebatur”, “e vi era anche una divinazione tramite i rametti dell‟alloro, che se facevano grande rumore era buon segno ed il contrario se bruciavano quietamente”. Ma lo scopo principale di questa storia è di mostrare in che modo la bambina venne fatta divenire da semplice mortale a fata o Dea, come Cerere tentò di fare con il piccolo Trittolemo. Anch‟ella usò il fuoco ma non so se fosse di rametti d‟alloro. Ma l‟alloro, come dichiara Friedrich, non era consacrato unicamente alla profezia o alla magia ed, in quanto sempreverde, all‟immortalità, ma era principalmente simbolo di una nuova vita – “neues Leben im Tode”. “Tra i Romani il cadavere veniva durante il funerale spruzzato d‟acqua con rametti d‟alloro e ai primordi del cristianesimo i morti venivano adagiati su foglie di alloro a significare che coloro che morivano in Cristo non cessavano di vivere. Ed anche il battesimo, o la nuova vita in Cristo, era simboleggiato dall‟alloro.” (Winckelmann, Versuch einer Allegorie, besonders für die Kunst, III, c; ed anche Hartung, Die Relig. der Römer, parte I, pag. 46). Winckelmann dice anche che su una medaglia rara Lucilla, la moglie dell‟Imperatore Lucius Verus, viene rappresentata con in mano un fascio di alloro, vicino alle sue ginocchia una donna che attinge acqua ed in piedi accanto a lei dei bambini mezzi nudi in attesa del battesimo. Questa è un‟applicazione particolare della storia toscana con una differenza: che in un caso vi è un battesimo con il fuoco e nell‟altro con l‟acqua. In entrambi i casi il bambino viene preparato per una nuova vita per mezzo del mistico alloro. Vi è dell‟oscuro in questo mito, ma si può sottolineare che lo zefiro, la rugiada e la rosa erano uniti misticamente nelle leggende antiche e che riappaiono alla nascita della Dea dei Quattro Venti. Nuovamente, i contadini solitamente conservano o fanno riferimento solo a storie di esseri fatati, nonostante questa non sia una storia nel vero senso della parola ma una spiegazione dell‟origine di uno spirito che viene, potremmo dire, adorato in una pianta.
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In un‟altra leggenda romagnola il vento appare come maschio e femmina. E‟ la seguente: “Il Vento è un mago e Corina (in Romagnolo Curena) è sua sorella. Un giovane aveva una innamorata e credeva che ella gli avesse mentito mentre ella era innocente. Ma il giovane, nel suo dolore, andò molto lontano per non vederla più. Allora ella andò da una donna saggia, che consultò le carte (che significa che divinò in qualche modo) per sapere se avrebbe mai rivisto il suo innamorato e la vecchia le raccomandò di andare dal Vento e da sua sorella Curena. (qui vi è una lacuna manifesta, n.d.a.) Ed essi partirono con lei; il mattino era appena sorto quando giunsero ad una città, la posarono davanti alla finestra del suo amore ed ella cantò: „Amore, sei stato falso con me mentre io sono stata sempre sincera con te; per me tu lasciasti la tua casa, ora io sono giunta da te. In due ore di viaggio sono giunta qui, nonostante fosse un viaggio da un anno. Il vento selvaggio mi ha portato come una nuvola e Curena fischiava forte; essi mi hanno portato sulle tue tracce. Non girarmi mai le spalle. Ora le nostre sofferenze sono finite, non dovrai mai più lasciarmi.‟ Così essi si riunirono e vissero felici per sempre.” E‟ possibile che in questa Curena si abbia la teutonica “moglie del Vento”, che è sempre in caccia e che soffia un corno che viene indicato come cor o curen. Corinth, Corinna e Curena appaiono certamente compagne di Coronis, il corvo del vento tipico del vento di nord-est, o Skiron. Riguardo al rosolaccio è evidente che i nomi e le associazioni della pianta che ho descritto sono confusi e frammischiati a quelli del papavero rosso o fiore del grano, che è il vero rosolaccio, e dell‟anemone o fiore del vento. Ed in Irlanda vi sono coloro che conservano il cosiddetto fiore del vento selvatico, che è bianco ed ha una foglia triplice ed è il vero trifoglio d‟Irlanda. Vi sono alcuni che affermano che il vero trifoglio d‟Irlanda sia l‟acetosa rossa, perché il sangue del Salvatore vi sarebbe gocciolato sopra così come il sangue di Adonis cadde sull‟anemone. Di questa confusione ve ne è molta in tutte le leggende di un popolo in cui l‟antica tradizione ha da lungo tempo cominciato a decadere e ne è cresciuta al posto una nuova, ed io prego il lettore di perdonarmi se non riesco a chiarirla.
La Madonna del Fuoco “Sic in igne praeter alia clementa, sacra omnia insistebant, quod is, credo, proximus cœlo sit, quod in specie ignis Deus Mosen primum allocutus.” Elias Schedius, De Dis Germanis, 1648 Era antico costume a Forlì, in Romagna, di fare annualmente una grande processione, in occasione della quale veniva mostrata l‟immagine della
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Vergine seduta su un drago circondato da fiamme. Questa cerimonia estremamente pagana non esiste ora più, per quanto riguarda Forlì, ma continua nella piccola cittadina adiacente di Civitella. Ho dato uno sguardo ad un‟opera piuttosto vasta e grandemente illustrata pubblicata circa 200 anni fa, interamente dedicata al descrivere questa Madonna del Fuoco e dei Draghi, da cui ho dedotto che un tempo il festival doveva essere davvero magnifico. E‟ da notare che le streghe e gli stregoni, guidati da una sagace intuizione o da un‟antica tradizione, considerano questa Madonna come una delle loro Divinità pagane che è stata loro ingiustamente “sgraffignata” e posta nel pantheon cristiano. A questo proposito una della sorellanza si espresse non senza una certa pia indignazione, dicendo che la Signora del Fuoco era un grande spirito prima che si sentisse parlare dell‟altra Madonna; le sue parole furono, in parte, le seguenti: “Ella era uno spirito (pagano) che operava invero molti miracoli e così i preti la presero e la chiamarono la donna miracolosa del fuoco. Ma in realtà i preti sapevano che questa Madonna del Fuoco faceva molti miracoli e riportava in vita coloro che erano morti prima che essi facessero qualunque cosa (il senso qui è che ella faceva tutto ciò prima di essere detta o conosciuta come cristiana). La prima cosa che si seppe di lei fu che appariva come una bella signora in un certo giardino e così tutto il vicinato cominciò a parlare di lei e disse che era Nostra Signora, o la Madonna. A Civitella vi era un‟antica e ricca famiglia e nei loro campi vi era un bambinetto sordo che teneva dietro alle pecore. Una mattina la signora andò da lui e questo bambino, che era muto, cominciò a parlare e disse: „Signora, non ho mai potuto parlare prima, ero muto dalla nascita. Tu sei una vergine miracolosa. Dimmi cosa devo fare per esprimerti la mia gratitudine.‟ Ed ella rispose: „Vai dalla grande famiglia e dì loro che devono andare a Roma a cercare una certa grande pietra che mi devono inviare e, fatto questo, la loro razza non si estinguerà mai; ma, se rifiutano, i loro guai non cesseranno mai.‟ Ed egli così fece ma venne trattato da pazzo. Mentre lo trattavano in tal modo, tuttavia, apparvero davanti a loro grandi lampi di fuoco – gran fiaccole di fuoco – ed essi seppero che era la Signora del Fuoco. Così mandarono a cercare la pietra e, non appena la dama la ebbe, vi salì sopra ed ivi rimase quale immagine. Così essi la portarono in una chiesa e ve la posero e la chiamarono Signora del Fuoco e la Madonna Miracolosa – e le misero nome la Madonna del Fuoco, la Madonna Miracolosa. E questa famiglia la lasciò là a patto che si continuasse a tenere una festa con il fuoco miracoloso. E tutti i contadini, quando sono malati o hanno dei cattivi raccolti o qualche guaio, partecipano a questa cerimonia.”
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Ottfried Müller e Preller osservano che gli Etruschi facevano molta attenzione a tuoni e fulmini e che tutti i loro principali Dei e Dee si credeva detenessero questo terribile potere durante certi mesi. Tracce di questo continuano a riapparire nelle leggende della Romagna, come il lettore troverà in molti punti di quest‟opera, come la storia dello Spirito del Giuoco. Io penso che questa storia, se collegata con la credenza delle streghe che questa Madonna del Fuoco sia realmente uno dei loro spiriti, ne indichi un‟origine pre-cristiana. Potrebbe invero trattarsi di vesta, la Dea Romana del fuoco, convertita e cristianizzata. La pietra miracolosa probabilmente si riferisce alla selce da cui scaturisce per cozzo il fuoco.
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Capitolo X Cupra “Ex eo tempore… illum sic concubisse secum, ut viri cum fœminis solent, nec percipiente viro, cum simul in lecto essent.” - Bodinus, lib. 2, capit. 7 Tutto ciò che so di questo spirito è contenuto in questa strana storia: “Cupra è un folletto, o spirito, che, se prende in simpatia una donna e lei si lascia ispirare da lui, la segue quasi sempre anche di giorno. In una città della Romagna vi era una fanciulla di straordinaria bellezza che era oltretutto stranamente fortunata in tutte le cose – quello desiderava e quello le appariva. Accadde che, svegliandosi nella notte, ella scoprì di avere accanto a sé un bellissimo giovane e questo accadde spesso, finchè alla fine ella ne parlò con la madre. Sua madre le raccomandò di chiudere con cura la porta e di non andare a letto fino al mattino. Ed egli giunse ugualmente ma la madre, che stava guardando segretamente, non vide nessuno. Allora sparsero foglie dappertutto, pensando che quando il misterioso amante sarebbe passato sopra di esse vi sarebbe stato un rumore. Ed egli venne e fece grande rumore con le foglie e rise forte, ma non una sola foglia si mosse. Allora la madre, in collera, disse alla figlia: „Vai a letto ed io giacerò al tuo fianco; ma non credo che vi sia qualcuno qui eccetto noi.‟ Allora Cupra rise forte e cantò: „Sì, sono a letto con tua figlia, incinta d‟un bel bambino; son‟uno spirito folletto che tua figlia voglio amar e molti figli voglio crear; molti figli io avrò e tua figlia sempre amerò.‟
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Ora, dopo questo nessuno la volle sposare, tuttavia ella era felice e contenta, perché aveva tutto ciò che desiderava e venne a lungo amata dal suo amante.” In questo vi è un poco di Cupido e Psiche, il cui bel mito indubitabilmente è cresciuto su una qualche semplice e grezza vecchia storia riguardante una fanciulla ed un amante spiritico. Non ho dubbi che questa storia così come è riportata qui sia un semplice frammento. Come tra gli Indiani d‟America, scopriamo che vi sono pezzi di storie che talvolta vengono messi all‟interno di altre. Il lettore non potrà evitare di essere colpito dal fatto che vi è un tono molto poco moralistico – in queste storie è evidente un‟allegra e festosa sensualità. Questi folletti sono tutti, quando non sono terribili, molto simili a Fauni e Silvani, spiriti antichi da cui essi sono, senza dubbio, discesi legittimamente. Questa storia su Cupra è simile ad una di Bodinus dove, tuttavia, il diavolo stesso è l‟amante ed una fanciulla di dodici anni la sua bonne fortune. Potrebbero provenire entrambe da una fonte comune. Secondo Preller (Römische Mythologie) vi era sulla costa di Picenum una Dea di nome Cupra che si supponeva essere una Giunone di origine etrusca. Il suo tempio venne restaurato da Adriano. “Ma il nome si può probabilmente spiegare con la parola sabina cyprus (buono), da cui il Vicus Cyprius a Roma ed un Mars Cyprius in Umbria.” Non mi sento autorizzato a suggerire un collegamente tra questi nomi e quello del Cupra di questa storia, né ad insistere su una qualunque identità positiva di qualunque delle mie scoperte con gli antichi. Vi potrebbero essere stati, per quanto ne so, errori o incomprensioni riguardo a qualcuno di questi nomi o a tutti. Ho semplicemente trascritto ciò che ho raccolto. Tutte le Divinità etrusco.romane erano a coppie, maschio e femmina, e da qui deriva probabilmente la moderna confusione riguardo a certi nomi. Essi si sono anche “incrociati” tra di loro. “Thalna o Cupra” dice Gorge Dennis (The Cities and Cemeteries of Etruria, 1878) “era l‟Etrusca Hera o Giunone ed I suoi altari principali pare fossero a Veii, Falerii e Perusia. Come la sua controparte tra i Greci ed i Romani, ella pare sia stata adorata sotto altre forme, secondo i suoi vari attributi, come Feronia, Uni, EilithyaLeucothea.” L‟incidente delle foglie collega Cupra alla tradizione classica. Gerhard (Gottheit: der Etrusker, pag. 40) pensa che Thalna sia descrittivo di Cupra in quanto Dea delle nascite e della luce. Veniamo a conoscenza del nome di Cupra da Strabone, V, pag. 241. Di essa Noel des Vergers, nel suo L'Etrurie et les Etrusques, Parigi, 1862, dice : “Junon, que Strabo appelle Cupra, bien que nous ne trouvious pas ce nom sur les monuments
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ceramiques ou les miroirs, avait comme Jupiter un temple dans l'arx ou la citadelle des villes Etrusques. ”
Le streghe del noce “A Benevento vi è un albero di noce e là di notte, da molte terre, oltre le acque e sul vento, vengono volando streghe di ogni sorta su capre e verri ed ordi e gatti, alcune su manici di scopa, altre come pipistrelli, ululando, sfrecciando, affrettandosi tutte vengono all‟albero alla chiamata del maestro.” – Domenico Piccini, Ottava della Notte “Sott'acqua e sott‟a viento, sott' 'e nuce 'e Veneviento.” – detto napoletano E‟ probabile che una delle prime concezioni del sovrannaturale formate da un uomo sia stata quella del Tabù o Taboo: se la strega o lo sciamano o l‟evocatore di spiriti desiderava proteggere o conservare una certa proprietà dai rapinatori, grazie al potere magico o ad incantesimi faceva in modo che la persona che violava il divieto soffrisse. Se uno stregone o un capo possedeva un‟arma o un ornamento di valore, venivano pronunciati su di esso degli incantesimi per proteggerlo e, se veniva rubato, in breve tempo qualche misterioso malanno attaccava il ladro. Grazie ad un qualche avvelenamento qua e là dei sospetti delinquenti, il taboo divenne naturalmente in breve temuto e creduto. Venne esteso naturalmente agli alberi che avevano frutti di pregio, ai campi ed ai loro raccolti, alle mogli ed al bestiame. Poi, col tempo, tutto ciò che apparteneva ai sacerdoti ed ai capi venne posto sotto taboo. Al giorno d‟oggi, nelle Isole del Pacifico dove i nativi non sono stati civilizzati, accade spesso che un uomo che ha mangiato un frutto o anche solo ha toccato un oggetto appartenente ad un capo, nonostante in quel momento non sapesse che era proibito, in breve tempo muoia di semplice paura. Le leggi del taboo nelle Fiji ed in molti altri posti erano così numerose ed intricate che, se venissero trascritte, formerebbero un‟opera pressoché vasta e difficile da padroneggiare come il Commentario di Blackstone. A poco a poco esso è penetrato in ogni relazione della vita. Laddove giungeva il potere del sacerdote – e giungeva dappertutto – vi era un terribile taboo. Esso sedeva vicino ad ogni fuoco, era con l‟uomo quando si svegliava nella notte; vi erano certi tipi di cibo che non dovevano essere mangiati, certe posizioni che non dovevano essere assunte, pensieri che non si dovevano avere. Vi erano parole che non dovevano mai essere pronunciate, nomi dei morti che non dovevano mai essere detti; e siccome la gente traeva il proprio nome dalle cose, il linguaggio doveva mutare continuamente. Sopra a tutto e sotto a tutto e dentro a tutto vi era il taboo, o la volontà del sacerdote.
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Nella superba opera di Catlin sugli Indiani del Nord America vi è il ritratto di uno Chippeway emaciato fino ad essere uno scheletro vivente. Circa 50 anni prima nel suo paese, in un luogo remoto, vi era una grande quantità di rame vergine che veniva considerato con superstiziosa reverenza. Gli stregoni della tribù avevano decretato che ogni Indiano che avesse guidato un uomo bianco alla grande pepita sarebbe stato certamente maledetto e sarebbe morto. Un uomo, tentato dai doni ed in un momento di temporanea libertà di pensiero, ruppe il divieto e condusse un commerciante bianco al misterioso manitou. Allora giunse la reazione. Egli si credette maledetto e così si consumò dal dolore. Un viaggiatore nelle Fiji scrisse che un nativo, avendo una volta per puro caso toccato qualcosa appartenente ad un capo e venendo a sapere che era taboo, morì di terrore in pochi giorni. Una storia imparziale ed accurata dello sviluppo del taboo, o proibizione, sarebbe la storia della religione e della razza umana. Riguardo alle proprietà della chiesa essa venne conosciuta come sacrilegio – la conversione di cose sacre ad usi secolari. Gli esempi dei predicatori del Medioevo ci mostrano la dottrina dei taboo portata agli estremi dell‟assurdità. Rabelais rise di queste stravaganze ma gli strali della sua ironia ritornarono spuntati, come se le frecce del derisore avessero mancato il bersaglio quando vennero scoccate contro una foglia presa dai Santi Decreti. Ma il taboo rimane tuttavia forte dappertutto. Sarebbe interessante sapere quanti oggetti venivano considerati maledetti e maltrattati a causa della loro cattiva fama cominciata con un taboo. Durante il Medioevo ed anche prima, il noce veniva considerato caro ai demoni e scelto in particolare dalle streghe come luogo di raduno. Tra i Romani esso simboleggiava l‟oscurità o il male, perciò si credeva che se fosse stata piantata vicino ad una quercia esse si sarebbero danneggiate a vicenda, perchè quest‟ultima era sacra a Giove, il Dio del fulmine, il principio della luce (Nork, Realwörterbuch, vol. III, pag. 387). Nelle mitologie più antiche la noce era un simbolo erotico. Tra gli Ebrei, la notte di nozze gli sposi ringraziavano Dio per aver piantato l‟albero di noce nel Giardino dell‟Eden; e tra i Romani era uso spargere nuces in tali occasioni. “Ma siccome la passione sensuale è compagna el peccato, è chiaro che il noce è anche un simbolo demoniaco. I Rabbi divhiaravano che il diavolo lo sceglie come luogo preferito per riposare e consigliavano alla gente di non dormire mai sotto di esso, perché ogni suo rametto ha nove foglie e su ogni foglia dimora un diavolo” (Friedrich, Symbolik, pag. 315). Bunsen (Rom. iii., 3, 210) ci dice che un tempo vi era in Piazza della Chiesa del Popolo un grande noce le cui foglie erano così infestate da demoni che il Papa Pasquale II lo
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maledisse, lo fece tagliare e vi fece erigere al posto una chiesa – un atto pressochè sciamanico o voodoo sotto ogni aspetto. Maledicta sis o nuce! Tutte queste sciocchezze su erotismo, diavolerie ed oscurità sono indubitabilmente state tratte da molte fonti, ma l‟inizio di tutto fu che qualche stregone antico, per salvare le sue noci, informò i suoi vicini che l‟albero era coperto da taboo e che i diavoli sedevano su di essa per tormentare coloro che l‟avessero derubato. Ho sentito parlare di un predicatore tedesco di massa che spiegava l‟origine del male con il fatto che “Eva derubò un Baumgart (un frutteto)” e so di un caso autentico di teologia all‟asilo in cui una bambinetta, cui venne chiesto il perchè Dio avesse vietato ad Adamo ed Eva di mangiare le mele, rispose che le voleva Lui per farsene delle torte ma venne corretta da un‟altra che le disse: “No, Lui voleva tenersele per l‟inverno”, cosa che ai bambini era solitamente proibito fare. In ogni caso questo fu il primo taboo che si ricordi; e siccome i semplici Adamo ed Eva erano stati creati con una sventata natura umana curiosa e non abbastanza saggi da resistere a Satana, lo spirito incarnato del genio e del male, i loro discendenti sono stati dannati eternamente all‟inferno, centinaia di milioni di persone. Questo allegro mito non invalida in alcun modo le molte grandi verità che abbondano nella Bibbia, come sostengono Paine ed Ingersoll –; no, essa contiene una grande verità: che la curiosità frivola e la disobbedienza infantile sono una grande fonte di male. Gli Ebrei consideravano la ferma ed incondizionata obbedienza, senza spazio per la debolezza umana, come la legge delle leggi. Essa ha conservato l‟Egitto unito in buone condizioni per migliaia di anni e Mosè, che era un grande studioso delle leggi, la applicò. Ma al giorno d‟oggi non è applicabile in Inghilterra o in America o in una qualunque repubblica o semi-repubblica. La libertà di pensiero ha oggi i suoi diritti ed è una legge come le altre. Ma, per ritornare al nostro noce – così come tutte le streghe della Germania avevano l‟abitudine di riunirsi sul Blocksberg, quelle dell‟Italia avevano i loro rendezvous o sabbat o, in Italiano, tregenda, presso un grande noce a Benevento. Questo terribile albero viene citato da molti scrittori di stregoneria ed allusioni ad esso sono molto comuni nella letteratura italiana, ma io non ne avevo mai saputo molto fino a quando trovai un libriccino – De Nuce Maga Beneventana – di Peter Pipernus, il quale forma un supplemento alla sua opera De Effectibus Magicis, di cui ho scritto altrove. Venni così a sapere che il noce è dotato dalla Natura di qualità sia buone che cattive e su questo potremmo notare che se realmente il noce possedesse lo straordinario numero di qualità mediche ed altre virtù ad esso ascritte da
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Pipernus, non sarebbe una meraviglia che venisse considerato sovrannaturale ad un grado eccelso. Infine, dalle testimonianze e dalle tradizioni riportate nei manoscritti di un antico processo alle streghe e da informazioni ottenute da molti santi Inquisitori, si giunge al fatto che si credeva tra i membri della fratellanza degli stregoni non solo fin dai tempi dei Lombardi, ma anche dal tempo degli antichi Sanniti, che vi fosse sempre stato a Benevento un noce immenso sempreverde (la stessa cosa che si diceva delle antiche querce di Celti e Germani) e le cui noci erano di forma piramidale, “qua tragularibus lineis emittebat”. Queste noci venivano vendute a caro prezzo, perché la gente credeva che proteggessero contro gli incidenti, i terremoti, che curassero l‟epilessia ed erano anche certi che facessero avere figli maschi retentis intra matricem nucleis. Esse erano anche potenti amuleti contro la stregoneria, nonostante venissero usate dalle streghe in molte diavolerie. Penso che vi sia qui un accenno alle curiose noci triangolari che venivano da Est e di cui molte furono vendute a Firenze sotto forma di rosari. Esse venivano anche portate singolarmente come amuleti magici. Ve ne è una varietà in Cina che ricorda esattamente la testa di un bufalo, corna e tutto. Possiedo dei campioni di entrambi i tipi. Per continuare, abbiamo la topografia della regione dove cresceva l‟albero – poichè Pipernus si avvicina al nemico con molta gradualità – ed infine arriviamo al campo in cui vi è questo Re delle Tenebre, come il nostro autore dice molto chiaramente, “più come un Nox che un Nux”. Pipernus ci fornisce una lunga lista di cause per cui il noce veniva temuti dai cristiani ed amato dalle streghe, di cui l‟unica razionale è che in antico, a causa della sua densa ombra, era sacra a Proserpina, alla Notte ed agli Dei inferi. Bene, siccome accadde che la buona gente di Benevento avesse un grande noce dove adoravano i serpenti o “Divinità sotto forma di una bestia che viene volgarmente chiamata vipera” e, altrettanto orribile, facevano corse di cavalli in cui i cavalieri afferravano mazzi di sommacco (Rhus coriaria, n.d.t.) appesi all‟albero. A Benevento vi era un grande santo, Barbatus, cui queste cose pagane con il loro grande spettacolo tradizionale di serpenti e corse ed il resto del trambusto dava terribilmente fastidio perché, allora come oggi, due tradizioni diverse non vanno d‟accordo. La competizione non era per lui l‟anima della questione. Il governante della regione era Romualdus, che era pagano, e Barbatus cercava di convertirlo ma egli non lo faceva. Invano Barbatus lampeggiava ed infiorava i suoi miracoli – et miraculis coruscans – intorno alla testa di questo mulo imperterrito. La sua unica risposta fu di determinare che “quel gallo non lotterà”. Si avvicinavano voci di guerra, in quella contrada. Costantinopoli – cioè
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l‟Imperatore Costantino – stava giungendo innumera multitudine suorum collecta, con un vasto esercito per spazzare via Benevento. Romualdus era un grande guerriero ma, come disse San Crisostomo: “è inutile per una capra cercare di opporsi ad un toro”. Egli venne ridotto agli estremi ed infine Costantino, da bravo e gentile cristiano, decretò che un determinato giorno avrebbe preso la città e messo ogni essere umano che vi era in essa utriusque sexus, a morte. Arrepta occasione – Barbatus vide la sua occasione e la sfruttò. Tenne un grande incontro pubblico in cui attribuì tutti questi guai a quella sporca vipera ed alle loro corse di cavalli pagane ed alle noci malvagie. Oserei anche dire che essi bevevano vino insieme alle noci, ma di questo la storia non dice nulla. E terminò dicendo loro che, se avessero alzato gli occhi al di sopra di vipere e noci e corse verso il cielo, sarebbero stati tutti salvati. Al che Romualdus disse che, se questo avrebbe salvato la città, lui per primo li avrebbe alzati; per farla breve, Cesare Costantino ed il suo esercito Beneventum non penetrabit, non presero Benevento. Barbatus fu allora molto felice. Tagliò il noce, uccise i serpenti, fermò le corse di cavalli, confiscò tutti i galli combattenti, gettò i ramponi nel fiume (“essi erano soliti usare dei ramponi per tagliare i noccioli, a quei tempi” Alectromachia, vol. I) e con battesimi, confessioni e sepolture divenne ricco. Non è difficile vedere in che modo abbia funzionato questo miracolo. Quando sei in corrispondenza con il tuo Costantino, è semplice concordare una sua non invasione della tua Benevento. Un capo che, come Romualdus, fosse stato obbligato a combattere fino alla morte a causa dell‟opinione pubblica quando era solo una questione di guerra, poteva tranquillamente compromettersi su un miracolo. L‟intera storia del progresso del cristianesimo in Svezia, Norvegia e Danimarca è una cronaca di paganesimo estinto a causa della forza bruta o grazie a vecchi trucchi uguali a quello di Barbatus. Il noce venne tagliato ma il re non muore mai. E‟ vero, aggiunge Pipernus, che vi è ora nello stesso posto un altro noce grande e alto, nel cui incavo potrebbero nascondersi tre uomini, - e vicino ad esso si trovano talvolta ossa e pezzi di carne, segni di banchetti di streghe -, scelto probabilmente al posto di quello antico. Come appare dalla testimonianza di un certo Violanta che, interrogato – probabilmente con una ruota di tortura e tenaglie incandescenti alla maniera cristiana del 1519, la data dell‟interrogatorio –, disse di essere stato a quell‟albero; che loro adoravano Diana (non il diavolo, che veniva adorato solo in Germania) o Erodiade, la Dea della danza che, tuttavia, come già detto in precedenza, appare negli scritti rabbinici come Lilith, che era la Diana ebraica, la madre di tutte le streghe e teneva grandi feste e “si divertiva”. Si potrebbe osservare che Pipernus
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dichiarava che le donne rimanevano incinte semplicemente per mezzo delle noci di questo albero. Non vi è menzione di partecipazione maschile in questa faccenda. Molto di recente investigai se a Firenze vi fosse qualche racconto attuale sulle proprietà magiche delle noci e mi venne raccontata prontamente la seguente storia, al cui riguardo non ho alcun genere di suggerimento. “Il paese di Benevento è in Romagna (? n.d.t.) ed è il vero posto delle streghe, il posto dove esse si incontrano. Un pomeriggio un gentiluomo andò a passeggiare con la sua adorata figlia. Passarono sotto ad un noce che aveva molte belle noci ed ella desiderò mangiarle. Ma appena ne ebbe mangiata una sentì male allo stomaco e ritornarono perciò immediatamente a casa, dove ella si mise a letto. Tutta la sua famiglia era disperata, perché l‟amavano teneramente. Non passò molto che il suo corpo cominciò a crescere in grossezza ed essi, pensando che fosse incinta, cominciarono a trattarla duramente fin quando, alla fine di nove mesi, ella diede alla luce un agnellino; era molto bello ed i suoi genitori non sapevano cosa pensare in merito a questo fenomeno. Le fecero domande pressanti su se avesse mai avuto un amante ma ella giurò che mai lo aveva avuto e che non sapeva altro oltre al fatto che si era sentita male dopo avere mangiato la noce. Allora il padre portò la figlia all‟albero ed ella mangiò un‟altra noce; improvvisamente l‟albero svanì ed apparve una vecchia strega che, toccato l‟agnello, lo fece diventare un bellissimo giovane. E la strega disse: „Questo è l‟amante che tu non permetti a tua figlia di sposare. Io, con la mia stregoneria, l‟ho fatto entrare in lei e l‟ho fatto sortire dalle sue viscere e così ella sarà obbligata a sposarlo.‟” Nell‟udire questa storia mistica dissi: “Allora l‟amante divenne padre di se stesso?” “Sicuro!” fu la risposta. Qui potrei raccontare la storia della suora che divenne posseduta o, come direbbero alcuni, incinta per aver inghiottito un diavoletto con una foglia di lattuga avendo mangiato l‟insalata senza dire prima la preghiera e così via; storie del genere, suggerite da meditazioni sull‟immacolata concezione, non sono rare. Ma in questo caso lo scopo è dimostrare che il fatto che le noci dell‟albero di Benevento producessero tali risultati è ben conosciuto da molto tempo. La storia pare essere una parodia stregonica della nascita di Cristo. Le streghe di Benevento pare non siano state in alcun modo individui poco raccomandabili. In questa storia appaiono come soccorritrici – in uno strano modo, per la verità – di una coppia di innamorati sfortunati, cosa che costituisce certamente l‟ideale di benevolenza umana per la maggior parte delle giovani signore. Ed in Spagna, Irlanda ed altrove le fate hanno preso da loro il merito di una storia che non è invero loro e che è stato tuttavia loro accreditato da molto tempo.
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Si tratta della storia del gobbo che perse la sua gobba. Tra le 200 o 300 commediette in cui dei buoni ed onesti Stenterello sono gli eroi e che al giorno d‟oggi vengono recitate continuamente a Firenze, ve ne è una chiamata Le Streghe di Benevento che si basa sulla leggenda e che io ho ritrovato in Pipernus. Forse la vostra memoria potrebbe essere un poco arrugginita – comunque ve la racconterò con delle interpolazioni. “Vi era un uomo di nome Lambertus Alutarius che era gobbo, gioioso ed allegro, gradito a tutti. Una notte, nel tornare a casa a lume della Luna, passò vicino al grande noce di Benevento. Là vide una grande assemblea di persone, uomini e donne, vestiti finemente che cantavano e danzavano, allegri come bambini – ma la loro canzone era strana ed in un qualche modo monotona, perché consisteva solo in: „ben venga il giovedì e il venerdì‟. Pensando che fosse una festa di mietitori – putans esse messores – Lamberto, per aiutarli, prendendo il ritmo cantò in rima: „e lo sabato e la domenica‟. Lo fece così bene che tutti i danzatori scoppiarono a ridere e, provando rispetto per tale ammirevole poeta, lo fecero danzare e festeggiare con loro. Ed un allegro diavolo” (Pipernus lo chiama diabolus, ma deve essere stato uno allegro) “saltò dietro di lui e, con uno scatto tremendo simile a quando viene estratto un dente, che gli causò un dolore intenso ma momentaneo, prese via la sua gobba. Al che Lamberto urlò: „O Jesu, Virgo Maria!‟ e l‟intero incanto scomparve – luci, piatti, pietanze, tutto lo splendore e la gloria del festival svanì. Eppure Lamberto non provò esattamente la sensazione di uno che si trovi in una sala da banchetto completamente deserta – perché anche la gobba se ne era andata insieme alle streghe ed egli si ritrovò una magnifica figura dritta ed alta – quando le streghe fanno qualcosa „la fanno bene‟, come un certo „nobiluomo sfortunato‟ aveva l‟abitudine di dire. Egli andò a casa e bussò allo spuntare dell‟alba, mentre era buio per tre quarti, e la signora Lambert, guardando fuori, gli ingiunse di andarsene. Quis est iste temerarius? „Chi è quel vagabondo insolente?‟ fu il suo grido indignato. Lambertus tuus „Il tuo Lamberto‟ rispose lui. „La voce è invero quella di Lamberto‟ ella disse „ma voi non siete lui‟. E quindi alia voce proclamans, alzando un gran fracasso elle chiamò tutti i vicini ed i parenti che, dopo averlo esaminato attentamente ed avere ascoltato con stupore e delizia la sua storia riguardo a quanto era accaduto presso il grande noce, lo riconobbero. Ma il suo cambiamento esteriore dev‟essere stato molto grande, perché il nostro autore afferma che „il giorno seguente, mentre passeggiava per le strade di Altavilla, nemmeno i suoi maggiori creditori lo riconobbero.‟ A cui aggiunge in maniera impudente che „casi
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del genere sono molto comuni tra noi‟ e molti scrittori quos brevitate omittimus,che ometto per mancanza di spazio, lo attestano.” Mi sarebbe piaciuto vedere alcuni di quei “tanti casi”. In Italia vi sono due correnti molto diverse e contraddittorie di tradizione stregonesca. Una riguarda la realmente antica leggenda latino-etrusca, in cui la strega è semplicemente una maga o una incantatrice, generalmente benevola e gentile. Ella è realmente una fata come la francese fée, che è sempre una signora che ama i bambini ed aiuta i pover‟uomini. Di questo tipo di stregoneria non vi è nulla riguardo a vendita di anime al diavolo e tutte le disgustose abominazioni del vivere solo per il male. Vi sono streghe buone e streghe cattive, l‟antica Canidia di Orazio continua ad esistere ma, nonostante ella storpi asini e rovini le vigne, non fa del mandare la gente all‟inferno la sua specialità. Pare che gli Italiani abbiano creduto che l‟uomo poteva farlo abbondantemente da solo, senza aiuto. L‟altra corrente è di tipo diabolico ed è dovuta pressoché interamente alla Chiesa ed ai preti. E‟ il tipo che ha causato la mania della streghe con le sue torture ed i roghi. E‟ molto curioso che, nonostante tutti gli sforzi di San Barbato e di un esercito di teologi dopo di lui, le antiche e geniali associazioni classiche sopravvivano tuttora e le streghe di Benevento si crede ancora che siano un‟associazione gioiosa, bella e festosa la cui regina è Diana – con molto poco di Ecate-Exe in sé. A riprova di questo mi è stata fornita, dalla stessa persona autorevole da cui ho ottenuto la storia dell‟agnello, un‟altra leggenda. “Vi era a Benevento una povera famiglia i cui membri si guadagnavano da vivere andando in giro per il paese a raccogliere frutta, che vendevano. Un giorno il figlio più giovane stava girovagando in cerca quando si imbattè in un noce, ma uno così bello che era una cosa da non credere – era incredibile quante noce avesse! Invero egli pensò di ricavarne un bel po‟ ma, quando si mise a raccoglierle, esse si aprirono e da ognuna venne fuori una bella giovane signora che improvvisamente crebbe a misura d‟uomo. Esse erano gioiose ed allegre e così belle che parevano occhi di sole. Dalle foglie si udiva provenire della dolce musica, che lo faceva danzare; era una bella festa! Ma egli non aveva dimenticato il motivo per cui era lì e che la famiglia a casa aveva bisogno di pane. Ma le signore, che erano fate, lo sapevano e, quando la danza finì, gli diedero alcune noci e dissero: „Quando sarai a casa aprine due, tienine una terza per la figlia del re e portane questa piccola cesta (panierina) piena al re. E dì alla figlia del re di non aprire la sua noce fino a quando non sarà andata a letto.‟ Quando egli fu tornato ed aprì la sua noce, da essa scaturì un tale fiume d‟oro che si ritrovò più ricco del re. Così si costruì un castello di straordinario splendore, tutto di pietre
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preziose. E, aprendo la seconda noce, ne uscì uno splendido completo di abiti che, quando l‟ebbe indossato, divenne l‟uomo più bello del mondo. Così andò dal re e venne ben accolto; ma, quando chiese la mano della principessa, il monarca rispose che era spiacente, ma sua figlia era stata promessa da lui ad un altro principe. Per questo altro principe ella non provava alcun amore, mentre si innamorò a prima vista del giovane. Così ella accettò la noce ed andò a letto; ma meraviglia! Cosa ne uscì se non l‟uomo che l‟aveva chiesta in moglie! Ora, siccome ella non poteva farvi nulla e, per di più, non aveva neanche voglia di farvi nulla, gli disse non solo di restare ma anche di ritornare, cosa che egli fece con zelo molte e molte volte, con il naturale risultato che la principessa si ritrovò incinta e dichiarò che „si doveva fare qualcosa‟. Così ella andò dal padre e gli disse che non avrebbe mai sposato il principe cui lui l‟aveva promessa e che si sarebbe dovuto tenere un grande raduno di giovani, i quali avrebbero dovuto accettare che ella scegliesse chi voleva e supportare la sua scelta. Così venne fatto e vi furono feste, balli ed infine un grande raduno di giovani uomini. Tra questi apparve il suo innamorato – quel giovane della noce. Egli era vestito come un povero contadino e sedeva al tavolo dei più umili tra i presenti. Allora la principessa andò dall‟uno all‟altro di coloro che desideravano sposarla e trovò in ognuno qualche pecca, fino a quando giunse al suo innamorato e disse: „Questo è colui che scelgo‟ e gli gettò il suo fazzoletto, segno che lo avrebbe sposato. Tutti i presenti montarono in collera per il fatto che ella avesse scelto un tale pezzente e nemmeno il re era contento. Infine fu deciso che vi sarebbe stato un combattimento e che se il giovane avesse vinto avrebbe potuto sposare la principessa. Egli era forte e coraggioso, ma fu tuttavia una grande prova. Ma le Signore del noce aiutarono il loro amico, così tutti caddero di fronte a lui. Né mai nell‟agone lo toccò una lancia o una spada, egli era protetto da un incantesimo ed i cavalieri nemici cadevano davanti a lui come pecore davanti ad un lupo. Fu il vincitore e sposò la figlia del re; dopo pochi mesi nacque un bel bambino che venne chiamato, in segno di gratitudine alle dame fatate, Noce di Benevento. E così furono felici e contenti.” Le streghe del noce appaiono in questa storia come fate, ma esse sono le stesse anime affascinanti che rimossero la gobba a Lamberto e resero il giovane padre di se stesso. Non posso negare che esse manifestino certamente una decisa disposizione a giocare gli scherzi erotici più eccentrici e confermo ciò che William Grant Stewart dice sulle fate scozzesi, che “i loro appetiti sono appassionati e voluttuosi tanto quanto le loro inclinazioni sono corrotte e malvagie” – malvagie qui significa ciò che ho udito da un altro Scozzese come “vara leecherous”. Si osservi che in
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questa storia vi è effettivamente un noce che produce un bambino sotto un altro aspetto e che questo, unito all‟asserzione di Pipernius, mi induce a credere che in sostanza queste due storie siano estremamente antiche. Sono anche importanti come prova del fatto che, nonostante gli incessanti sforzi dei monaci di portare avanti la dichiarazione del Salmo XCVI, 5 che “tutti gli Dei dei Gentili sono diavoli”, vi erano delle eccezioni in cui i bellissimi spiriti benevoli dell‟antichità erano sopravvissuti alle calunnie ebraicocattoliche. Non è importante che l‟altra metà di questa storia corrisponda esattamente ad una faccenda narrata in una saga islandese. Ma, per ritornare al noce, Janet Ross ci dice nel suo Land of Manfred che Monsignor Schifosi le raccontò quanto segue, tratto da un manoscritto di Nicastro sulla storia di Benevento: “Al tempo di Romualdo i Longobardi adoravano delle vipere d‟oro ed il Duca stesso, nonostante avesse promesso al Vescovo Barbatus di abbracciare il cristianesimo, aveva nel suo palazzo un altare sui cui vi era un dragone d‟oro alato a due teste con due sfingi di diaspro ad ogni lato e vari idoli provenienti dal tempio di Iside. Questo incollerì il vescovo che, aiutato dalla Duchessa Theodorada, sua discepola, andò con un‟ascia a fare a pezzi il drago e gli idoli. Dei frammenti del mostro alato egli fece un calice per la sua chiesa.” Potrebbe essere tutto vero, come l‟altra storia, ma questo racconto su vipere d‟oro, draghi ed idoli egizi ha un che di negozio di ciarpame che pare essere sbucato da scrittori posteriori. Ma va bene. Non nobis tantæ componere lites.
Le streghe e la stregoneria “Oc eru ther hiner mestu flaugd konur, ther kanna Galldra oc fiolkyngi, so ecki standist noytt vid them.” (“E vi saranno tante donne malvagie che conoscono incanti e magie e nessuno potrà far loro del male”) Saga di Ulf Uggason “Oh, ma ve ne sono, certo” sottolineò la mia cacciatrice di teste. “Perché qui a Firenze vi è un prete che è uno stregone”. “Santo! Ora, se tu mi avessi detto che vi era un ladro tra la polizia avrei potuto non essere stupito. Ma lui non può essere un vero stregone!” “Ma sì. Gesualda là lo conosce. E puoi vederlo da te, se vuoi.” Pensai che in complesso non volevo. Perché sapevo che, in primo luogo, sarei stato presentato come uno stregone inglese e quindi mi venne in mente qualcosa riguardo a Catone, che si meravigliava che un augure potesse guardarne un altro in volto. Non che io temessi sorrisi e strizzate d‟occhi reciproci – il confessionale è ordinato alla continenza aldilà delle parola. Ma
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ero sopraffatto da una grande ammirazione per un prete che poteva essere abbastanza onesto da chiamare se stesso con il suo giusto nome, così chiesi in che modo egli fosse giunto a praticare la nostra nobile professione. “Ah!” disse la strega con un sorriso. “Non potè farci nulla. Dovette diventarlo. Venne chiamato a confessare una strega morente e non sapeva con chi aveva a che fare. Così ella rese la sua confessione e quindi disse che aveva qualcosa da lasciargli. La voleva? Oh, certo – sì, sicuro. „Allora‟ ella disse „ti lascio la mia stregoneria!‟ E prima che lui potesse dire una parola ella era morta ed egli si ritrovò stregone.” Qualche tempo dopo avere scritto quanto sopra, ricevetti da un‟altra fonte le seguenti autentiche informazioni aggiuntive riguardo a questo prete gobelin, della cui reale esistenza non ho il minimo dubbio: “Questo prete venne chiamato per convertire una vecchia donna che, dicendo che aveva qualcosa, ripeteva continuamente: „Non ho parenti – a chi la lascerò? Non posso lasciare questo mondo finchè non l‟avrò lasciata.‟ Allora il prete disse: „Lasciala a me!‟ La donna allora gli diede una piccola chiave di una certa scatola o cofanetto e morì. Quando il prete aprì il cofanetto vi trovò dentro un topo. E lo spirito della stregoneria venne su di lui. E, quando giunge, se la strega tocca qualcuno questo qualcuno sarà stregato e deperirà o morirà. Ma questo prete, essendo un buon uomo, non avrebbe toccato o abbracciato nessuno in tali periodi bensì, andando in giro per la campagna, toccava alberi, grano o mais e qualunque cosa toccava avvizziva. Così egli faceva il minor male possibile; ma non poteva evitare di essere uno stregone.” Questa storia è estremamente interessante in quanto vi si menziona il topo. Esso era l‟anima della strega. Praetorius, nel suo Anthropodemus Plutonicus, narra la meravigliosa storia di una strega la cui anima uscì dalla bocca sotto forma di un topo rosso, idea che Goethe usa in Faust. Siccome la mia informatrice faceva a sua volta parte della sorellanza della stregoneria, non ho alcun dubbio che ella abbia fatto con questa storia il possibile per provare che tutto il potere e la santità della Chiesa e del cristianesimo non poteva servire a rimuovere il grande potere della stregoneria. Ma ella credeva in quello che mi narrava ed è interessante sapere che nella città di Firenze, nel mese di gennaio 1891, vi era gente che credeva in uno sciamanesimo preistorico più forte e potente della Chiesa. Le ere si sono succedute, i culti di Etruschi, Sabino-Latini, Romani e cristiani sono succeduti l‟uno all‟altro ma attraverso tutto ciò le streghe e gli stregoni, umili e inosservati, si sono mantenuti se stessi. In effetti, diventando io familiare con la reale e profonda credenza nella religione della stregoneria in Toscana, scoprii che non vi sono dopotutto grandi
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anomalie in un prete stregone, perché la stregoneria è un business come qualunque altro. E‟ piacevole riflettere sul fatto che non vi è alcun diavolo in essa. Non viene in alcun modo considerata cristianamente come una pia possessione ma in qualche strano modo la strega lavora libera dalla teologia. Vero, vi sono streghe buone e cattive, ma tutte quelle che ho conosciuto appartenevano interamente alle buone. Erano le loro rivali e nemiche ad essere le maledette streghe ma di queste io non ne ho mai incontrate. Eravamo tutti buoni. Sembra incredibile e contraddittorio il fatto che durante il Medioevo la stregoneria, che si supponeva essere basata su un patto con il diavolo, infuriò in Italia – testimoni gli scritti spazzatura di Pico della Mirandola, Grillandus, Peter Pipernus ed altri. Ed è assolutamente vero che, prima di questo carnevale dell‟Inferno e molto sotto ad esso, rimase viva per tutto il tempo tra la gente l‟antica magia pre-EtruscoRomana e con essa un‟altra stregoneria che non aveva nulla a che fare con l‟inferno o i diavoli o il peccato originale o qualunque cosa fosse ebraica, persiana, cristiana – ed essa visse, incurante degli uomini dotti e dei preti e della loro pietà. La mania della stregoneria morì e la Chiesa sta morendo velocemente; tuttavia, qui in Toscana, la stregoneria senza un diavolo o un Dio – lo sciamanesimo dell‟antichità con un poco di colore etrusco-romano posteriore – sopravvive, come tutto in questo libro indica. La conoscenza ispira riflessioni molto strane riguardo alla reale natura dell‟Italiano del Nord, perché tale capacità di sopravvivenza indica carattere. Il conservatorismo degli antichi Romani era il loro tratto peculiare. Non si trattava di una cieca adesione come quella degli Egizi ad un ordine di cose stabilito, perché era basato sul buon senso. Questo è fortemente manifesto nelle opere di Catone e di Varone sull‟agricoltura. Essi osservavano strettamente tutti gli antichi riti ed insegnavano anche incantesimi, molto simili a quelli delle streghe; ma sotto a tutto ciò vi era uno spirito di indipendenza. Catone dice (De Agricultura, c. 3, 5): “Rem divinam, nisi Conpititalibus in conpito aut in foco ne facit--haruspicem, augurem, hariolum, Chaldæum ne quem consulisse velit, segetem ne defrudet, nam id infelix est”. L‟Italia, nei suoi momenti più bui – come ai tempi di Crescentius o dei Borgia (perché Cesare Borgia mirava ad una Italia unita e Machiavelli era un vero patriota) –, non desiderava avere poche menti illuminate. Così mi pare che, anche in questa stregoneria contadina che si conservava nonostante la Chiesa, vi sia una sorta di conservatorismo che non si sottomette alla Chiesa, perché è una forma di sovrannaturalismo troppo potente. E‟ cieca, umile ed ignorante ma possiede una sorta di vitalità ed indipendenza propria che indica grande potere. Non è assurdo,
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alla luce dell‟ipnotismo e delle influenze conosciute dell‟immaginazione (qualunque possano essere) che dei contadini ignoranti credano in una quantità limitata di incantesimi e magie. Catone lo fece e fu uno degli uomini più sensibili mai vissuti. Ciò che meraviglia è che la sua limitata quantità di superstizione si sia conservata contro la stupenda e sottile influenza di una superstizione molto più grande. Come dice Marcellus, potrebbe essere Venenum, veneno vincitur. Quando gente dalla mentalità media mi chiedeva “In cosa credono gli zingari?”, spesso è accaduto che la giusta risposta fosse “Esattamente in ciò che voi fate – nulla in assoluto!” Perché la semplice ammissione indifferente, non meditata della verità di una religione o dell‟esistenza di un Dio non costituisce fede e vi sono molte poche persone, diciamo a Londra, che se un nuovo tipo di religione dovesse divenire di moda, non mancherebbero di cadervi dentro pensando ben poco alla sua reale natura. Ma che sia una questione di scienza, chimica, economia politica, slute pubblica, navigazione o morale, non ci si può semplicemente adagiare, perché essa richiede intelligenza attiva. Un prete fissa molto facilmente un punto disputato in teologia con il suo ipse dixit, ma un avvocato non può liberare il suo cliente semplicemente esperimento la propria convinzione della sua innocenza. Egli deve lavorare sodo per provare la sua tesi. Ma per quanto un cristiano possa essere indifferente e tiepido, c‟è sempre qualcosa nel corso della sua vita che mostra la fede in cui è nato e così, siccome le streghe e gli stregoni toscani o di altre zone non professano alcuna dottrina, si potrebbe dedurre dalle loro tradizioni ed incantesimi diverse cose curiose e molto originali, che indubbiamente un tempo venivano insegnate o credute con grande zelo. Sono le seguenti: il lettore avrà notato da molti passaggi ed aneddoti di quest‟opera che la stregoneria come esiste ora in Italia è molto diversa da quella che veniva o viene rappresentata essere nel Nord Europa. Talvolta quest‟ultima, come veniva insegnata dai preti con il suo principio di vendita dell‟anima al diavolo, appare come una cosa completamente vile e diabolica. Ma tutto ciò è cristiano. La vera stregoneria italiana, e particolarmente quella toscana, è in sé assolutamente pagana. Non ha nulla a che fare con patti con Satana, con l‟inferno o il paradiso. Quando il diavolo o i diavoli vi sono menzionati, lo sono sotto falsi colori, perch‟essi sono semplici spiriti, magari malvagi ma non esseri il cui unico scopo è di distruggere le anime. Secondo il cattolicesimo romano, e potrei anche aggiungere il primo protestantesimo, vi sono sciami incredibili di diavoli (molti di più degli spiriti buoni) che sono tutto il tempo occupati a tentare ed a dannare l‟umanità e nella maggior parte dei casi hanno successo con grande facilità.
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La stregoneria italiana è come una dote. Può essere assunta volontariamente accompagnandosi a delle streghe, studiando la loro tradizione e prendendo parte ai loro incantesimi; questo può essere fatto con spirito buono o cattivo ed in nessun caso l‟anima è dannata per questo in senso cristiano. Le streghe evidentemente non sono tanto avanzate nell‟umanità e nella religione dell‟illimitata compassione ed amore divini da concepire che un‟anima possa essere inviata all‟inferno per l‟eternità per aver dimenticato un Ave Maria, come viene illustrato in maniera molto bella da molte storie cattoliche autenticate. Il dono della stregoneria non è invero per tutti. Molti lo desiderano ma in realtà molto pochi lo ottengono nei suoi gradi superiori. Ma uno che lo ottenga dovrà conservarlo fino a quando qualcun‟altro lo prenderà – nel qual caso la strega è, com‟era, assolta e ripulita da tutti i suoi peccati. Certo, lei può indurre con l‟inganno una persona ignara a prendere il potere fingendo di lasciarle un‟eredità – la preziosa eredità è la sua stregeria. Perch‟ella non può morire finchè è una strega e molto spesso desidera andare in cielo o comunque occuparsi di se stessa e talvolta ci vuole tutto il suo ingegno per liberarsi dell‟incomodo. Come ho già detto, vi è ora un prete a Firenze che è stato preso in tal modo da una strega morente la quale, dopo avere ricevuto da lui l‟assoluzione, ingrata lo ha raggirato offrendogli un‟eredità che egli ha accettato e che lo ha mutato in uno stregone. Ed ora egli va in giro per la città confessando e facendo magia alternativamente, dando sacramenti che suppongo siano “in una forma o nell‟altra”, come un medico eclettico che tratta i suoi pazienti sia con l‟allopatia che con l‟omeopatia, come preferiscono. A Venezia si può perdere la stregoneria se dalla strega fuoriesce anche una sola goccia di sangue mentre sta esercitando il proprio potere sovrannaturale o anche se viene colta ad esercitarlo. In una storia di Firenze, raccontata come accaduta in un altro luogo, ad una ragazza viene tolta la stregoneria impedendole con la violenza di partecipare al sabbat. Tutto questo indica un tipo radicalmente diverso di strega rispetto a quello descritto da Sprenger, Bodinus, Wierus e mille altri scrittori. E‟ particolarmente notevole la credenza che gli stregoni e le streghe molto potenti quando muoiono divengano spiriti che vagano per la campagna in nuvole o vapori o tempeste o vagano sulla terra travestiti da mortali. Questa è la stessa dottrina degli Indiani del Nord America, tra cui si sente continuamente parlare di Glooskaps, Manobozhos e Hiawathas, un tempo stregoni umani, ma non si sente mai una parola su un qualche Grande Spirito eccetto che nei trattato con il governo e nelle interviste con i missionari, essendo esso pressoché sconosciuto fino a quando non ne sentirono parlare dai bianchi. Allo stadio dello sciamanesimo l‟uomo è
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sempre eufemistico e rende spiriti i suoi amici o i grandi uomini defunti. In Romagna si credeva anche che coloro che hanno la fede delle streghe muoiano ma riappaiono nuovamente in forma umana. Questa è una dottrina esoterica piuttosto oscura, conosciuta nelle famiglie di streghe ma di cui non si parla molto. Un figlio nasce e, dopo una debita consultazione famigliare, una qualche vecchia e saggia strega rinviene in esso un nonno morto da lungo tempo dal suo sorriso, dalle sue caratteristiche o dalla sua espressione. Così si tramanda lo sciamanesimo, antico come il mondo, del Grande Lama del Tibet – lo strano e misterioso centro della “religione” più antica del mondo. Il Dr. O.W.Holmes ha acutamente osservato che, quando nasce un bambino, qualcuno abbastanza vecchio da avere triangolato la successione può in esso riconoscere molto spesso il nonno o il prozio. Nelle famiglie di streghe, che si stringono tra loro e tra loro si sposano, queste triangolazioni conducono a scoperte di palingenesi più frequenti rispetto alle altre famiglie. In una delle strane storie di questo libro riguardo a Benevento, un padre rinasce come suo figlio e quindi sposa la sua seconda madre. Ma lo spirito dello stregone defunto ha certamente – talvolta – la possibilità di scelta nella faccenda ed occasionalmente egli sceglie di rinascere come un nobile o un principe. Nello scrivere quanto sopra, ho avuto le seguenti informazioni sulla trasmigrazione delle anime e la riapparizione degli antenati nei loro discendenti. “Talvolta nella sua vita un uomo potrebbe dire „Dopo la mia morte che io possa rinascere di nuovo come stregone, perché vorrei vivere di nuovo!‟. Ma non è nemmeno necessario dirlo perché, se egli ha detto una cosa del genere, anche senza pensare alle streghe, esse lo vedono e lo odono. Così accadrà che egli rinasca anche dal figlio di suo figlio di suo figlio e così sarà il proprio bis-bis-nipote o bis-nipote o nipote. E quando uno così nasce, viene riconosciuto come stregone o strega, perché avrà occhi fieri (occhi burberi), molto abbassati e maligni, capelli molto spessi e questi sono i più cattivi di tutti. Uno di essi nacque in un paesino della Romagna chiamato Castrocaro. Era una fanciulla cresciuta con una mentalità maligna ed un cuore duro, o nessun cuore, così che quando divenne una donna non ebbe nessuno con cui avere dei bambini suoi. Ed ella disse che sarebbe rinata come strega per vendicarsi di coloro che odiava, il che significava tutti, visto che non amava nessuno. E così accadde che, molti anni dopo, la moglie di suo nipote diede alla luce una figlia con occhi abbassati e cattivi e pesanti capelli neri, l‟immagine stessa di una strega. Ed in un sogno la madre udì: „Questa bambina non è tua figlia ma una strega malvagia che sarà completamente selvaggia e, accada quel che accada, farà molto male a
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tutti!‟ E così si seppe che ella era rinata sotto forma di bambina, ma era in realtà uno spirito di male e vendetta; in breve tempo, tutti a Castrocaro si ammalarono ed i bambini furono stregati. La povera madre fu obbligata a diventare una strega, ad obbedire alla terribile figlia ed a fare tutte le azioni terribili che ella le ordinava , e non osava confessarlo a nessuno. Il padre si questo essere terribile infine comprese tutto ed agì in tal modo: organizzò una grande festa con un grande ballo in una grande piazza pubblica e riunì da un lato tutti coloro che erano stati vittima della strega, mentre dall‟altra vi erano molti preti con dell‟acqua santa. Alle undici di sera cenarono ed a mezzanotte le streghe desiderarono andarsene. Ma i preti le trattennero ed obbligarono la figlia a curarle, a togliere la stregoneria da tutte le sue vittime. La legarono con delle corde e cantarono: „Tutto il male che tu hai fatto tu lo possa riparare e in cielo tu non possa andare; né in forma di gatto né di nessun animale tu possa tornare. Requiescat in pace. Amen!‟ Ed allora lo spirito delle strega, facendo un suono terribile come uno stridor di catene e spargendo fiamme scomparve e non fu mai più rivisto.” In questa storia possiamo vedere il processo grazie a cui la strega o il mago, rinascendo, diviene più potente e passa ad uno stadio più alto come spirito. Questo è estremamente interessante perché fornisce una chiara comprensione del metodo per cui un uomo o una donna che viene temuto diventa un Dio. E‟ pressoché la stessa cosa nel Bramanesimo, nel Buddhismo e nello Sciamanesimo Tibetano. Nuove incarnazioni in forma umana danno maggiore potere. Questa storia è ancora più notevole in quanto la narratrice era perfettamente convinta della sua realtà. Riguardo a questa storia, ella osservò che vi sono streghe molto buone così come molto cattive e che vi è un‟aristocrazia molto lontana dal volgo, o le streghe comuni. Ella, infatti, mi fece capire che nel mondo della stregoneria vi sono le stesse distinzioni che vi sono nel nostro mondo. “La credenza che gli uomini possano divenire Dei” scrive Mrs. Hamilton Gray (Hist. of Etruria) “è molto antica tra gli Etruschi. Ne Il Libro Acherontico di Tagete, tradotto da Labeo, vi erano certi riti tramite i quali le anime potevano divenire Dei, chiamati „Dii-Animale‟ perché erano state anime umane. Prima di potere diventare Divinità superiori, esse erano Penati e Lari.” Questo concorda con la credenza attuale. Molto caratteristico è il fatto che questi devoti credono in due distinti gruppi o sistemi di esseri sovrannaturali – uno composto di danti, angeli e della “gerarchia celeste” delle Scritture e l‟altro di “spiriti” i quali, ad un esame, si rivelano essere i membri dell‟antica mitologia etrusca, con aggiunte sciamaniche di morti che furono stregoni particolari. Per illustrare sia questa che la credenza nel
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potere di una promessa o di un giuramento fatto agli spiriti, trascrivo questa curiosa storia, che è ancora più curiosa in quanto la donna da cui l‟ho avuta credeva assolutamente nella sua realtà. Il suo giusto posto sarebbe forse stato tra gli spiriti, perché mi è stata raccontata per illustrare la maniera in cui gli spiriti, o folletti, sono nati, ma è in stretta relazione a ciò che viene descritto in questo capitolo. “Zanchi era un uomo generalmente amato e stimato ed era devoto alla sua famiglia. Ebbe prima una moglie che morì, e poi un‟altra che non visse a lungo e da ognuna di esse ebbe un figlio. Il suo cuore era, tuttavia, desideroso di una figlia, perciò si risposò ancora ed ebbe dalla sua terza moglie altri due figli maschi. Egli era quasi disperato pensando che non avrebbe avuto questa gioia che per lui sarebbe stata così grande. Ora, tutti i suoi figli morirono eccetto due ed egli continuò a pregare per una figlia, rivolgendosi non solo a tutti i santi, ma anche agli antichi spiriti della zona, dichiarando che se avesse potuto solo avere ciò che desiderava sarebbe morto con gioia – a patto che avesse potuto ritornare sulla terra per vedere la bambina. Ora, questo voto non restò inosservato perché se i santi non vi badarono lo fecero gli spiriti e dopo non molto egli ebbe una figlia, che amava teneramente; ma quando la bambina ebbe otto mesi di età, il voto venne reclamato ed il padre lasciò questo mondo per un altro. La vedova era una donna dal cuore tenero e devota ed amava i figli del marito come la sua propria figlia; ed ogni notte pregava davanti ad un‟immagine per i suoi figli ed il marito deceduti. Una notte ella vide una forma che si librava sulla figlia dormiente e vide che era lo spirito del marito. Egli tornò notte dopo notte. Con il tempo la vedova morì ma Zanchi, grazie al suo voto, divenne uno spirito e continuò a fare visita ai suoi figli, specialmente alla figlia.” Qui vediamo che un uomo, grazie ad una preghiera ad antichi spiriti pagani, diventa uno di loro. Non vi sono indicazioni che venne punito – semplicemente si trasferì interamente in un‟altra regione. Da tutti gli incantesimi contenuti in questo libro possiamo osservare che anche il peggiore del male fatto dalle streghe italiane si basa su una sensazione individuale di negatività. Nella stregoneria tedesca o inglese la maga agisce per “pura malvagità”: come principio generale, non risparmiando l‟amico o il nemico e facendo tutto ciò che fa piacere al diavolo. Lo stregone o la strega agisce per gelosia, invidia o odio personale. Egli o ella danneggia una persona perché è stata pagata per farlo da una terza persona. I folletti, o spiriti, fanno del male ma è perché i contadini non li benedicono mai o, peggio ancora, parlano di loro in maniera irrispettosa. Si dice quasi eccezionalmente di Spulviero che, quando viveva come stregone, era così malvagio che colpiva chiunque indifferentemente. Secondo l‟immagine di
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questa classe di esseri dipinta dagli antichi dottori in stregoneria della Chiesa, questo sarebbe stato solo suo dovere. In Italia la vendetta viene serbata profondamente quanto nelle terre di frontiera in America – troviamo molto di quelle zone nella stregoneria, ma è solo a causa della natura umana. Le streghe di una certa classe hanno la loro dimora in strani luoghi selvaggi. Mi è stato detto che: “Quando uno passa accanto ad una caverna dove dimorano le streghe – o sian folletti o siano le fate – si fa il segno della castagna e ripete: „O strega maledetta, che da me tu possa stare sempre distante!‟” La storia seguente mi è stata fornita mezza cantata e mezza recitata, ma il “sì, sì” era sempre cantata e talvolta con una strana risata; le streghe formano delle barche con le piume degli uccelli ed in un istante esse volano: “In un attimo esse volano sopra a terre e fiumi ma devi stare attento, sì, sì! a fare i letti dei bambini con le piume. E se uno ha dei bambini, sì, sì! con le piume dei letti esse faranno loro molto male. E voi vi troverai in mezzo, sì, sì! corone fatte di piume a forma di cappone. E state attenti, sì, sì! a farci dormir i bimbi se non ve li volete far stregar. Se volete che i bambini dormano e non vengano stregati, dovete tenerli lontani dalle piume. Ed ora è finita, sì, sì! Racconta la tua storia, amico mio, sì, sì! Perché la mia è giunta alla fine, sì, sì!” In questa grezza canzone, che non venne improvvisata ma ripetuta come se fosse ben conosciuta e fosse parte di una narrazione più lunga (la mia informatrice è stata molto attenta al fatto che io mettessi i sì, sì nei posti giusti), l‟allusione a barche fatte di piume è classica. “Le piume” dice Friedrich “sono simbolo di volo ed ispirazione. Così le Muse venivano rappresentate con piume sul capo per esprimere il volo ed il rapimento poetico.” “Le avevano conquistate dalle Sirene”. Così come vi sono streghe buone e streghe cattive, esse fanno dei doni che possono portare buona o cattiva sorte; ma questi devono essere accettati con grande sospetto o un uomo potrebbe ritrovarsi indiavolato senza saperlo. Se qualcuno ha involontariamente accettato da qualche vecchia delle castagne secche o delle noci o delle mandorle ed in seguito sospetta che essa sia una strega, non dovrebbe mangiarle o si potrebbe ritrovare stregato. “In un caso del genere, che egli attenda fino a martedì o venerdì e quindi prenda della ginestra verde esattamente a mezzogiorno o a mezzanotte. Quindi ne formi una croce e la metta sul fuoco, ponendo su di essa i doni della sospetta strega e dicendo:
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„Se sei una strega, strega, strega, strega! Tu sia maledetta e su per il camino, maledetta, tu possa saltare come queste noci (o qualunque altra cosa sia) e bruciata tu possa restare!‟ Ma le streghe sono furbe. Uno dei loro trucchi consiste nel lasciare cadere un anello incantato. Se qualcuno lo raccoglie e se lo mette al dito, comincerà a consumarsi come una candela che brucia. Allora, scoperto questo, egli dovrà fare un grande fuoco di ginestra e mettere l‟anello molto vicino al fuoco, quindi dire: „Se questo anello è stregato, su per il camino possa saltare in compagnia della ginestra che i ho appoggiato, appoggiato al focolare!‟ Allora, se l‟anello è stregato volerà su per il camino, ma egli in quello stesso istante dovrà prontamente fare la castagna con entrambe le mani, altrimenti esso ricadrà e l‟uomo rimarrà stregato.” Vi è anche un altro incantesimo da fare quando si riceve in dono qualcosa da mangiare da una donna anziana. Prendete una scopa e mettetela presso il fuoco, gettate parte del cibo sospetto tra le fiamme e dite: “Se la roba che tu, o vecchia indegna, mi hai dato è stregata, nel tempo stesso che la butto nel fuoco, o vecchia indegna, tre colpi possa fare: uno sopra il camino che tu possa accettare (a te diretto), uno dalla finestra che quella sempre arda come tempesta ed uno alla porta che in casa mia entrare più non possa! Strega, strega, strega vile e nera, brutta strega!” Possiamo osservare qui che le streghe del tipo maligno effettuano i loro peggiori incantesimi donando cibo e che questo è una caratteristica prominente nella stregoneria italiana più che in qualunque altra. In tal modo esse mutano la gente in animali o li costringono a credersi mutati in persone del sesso opposto. Ed è per questo che erano famose nell‟antichità, come riferisce Fulgosus (lib. 8, cap. 2): “In Italia vi sono certe donne che, con certi tipi di cibo, agiscono sulle menti umane in modo che esse si credano essere ciò che non sono”. Queste idee sono state probabilmente prodotte in primo luogo da suggestione o ipnosi e secondariamente dalla somministrazione di determinati veleni quali lo stramonio, che causa strane illusioni. Fulgosus suggerisce comunque che queste sono illusioni e che, probabilmente, il mutare uomini in animali da parte di Circe e la fanciulla egizia che si credette una giumenta e venne curata da Hilarion erano tutte torte cotte dalla stessa farina. In questo il lettore concorderà senza dubbio con lui. I ragazzi di strada e le canaglie, che in Italia sono crudeli come negli altri paesi, hanno un metodo molto semplice per accertarsi se una vecchia sia una strega. Se doveste vederne una per strada dovete seguirla, facendo il segno della castagna e gridare dietro di lei per molte volte: “Strega, strega,
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strega, fico! (significante il segno della castagna)” E se lei si volta e risponde “Zident!” (Romagnolo, in Italiano “Accidenti!”) “Cattiva sorte a voi!”, potete stare certi che è una strega. Ma deve rispondere con queste parole e non con altre. In Italia la strega non viene identificata tanto con la scopa come proprio veicolo quanto nel Nord Europa. Ella cavalca una capra, ma viene tenuta lontana o esorcizzata con una scopa, cosa che ha un‟antica origine latina. In antico la scopa era simbolo di purificazione – da qui una protezione magica contro gli spiriti maligni che amano la sporcizia. Perciò Varone riferisce che, quando nasce un bambino, la soglia di casa veniva toccata con una scopa, un‟accetta ed un pestello per tenere lontani gli spiriti; questo è pressochè uguale all‟usanza romagnola di lasciare una scopa per traverso nella porta per impedire alle streghe di entrare. Infatti, in tutti gli esempi che ho raccolto l‟unica allusione alla scopa riguardo alle streghe è come oggetto che temono molto. Quello che Silvanus (considerato uno spirito che fa delle cattiverie) temeva di più erano la scopa, l‟accetta ed il pestello o i tre principali simboli di cultura, pulizia e fertilità. Dopo aver scritto quanto precede, sono venuto a conoscenza di quanto segue, che prova che l‟intero antico rito come viene descritto da Varone viene tuttora osservato. “Quando nasce un bambino, per liberarsi dalle streghe si devono prendere un‟accetta, un pestello ed una scopa e si devono mettere tutti e tre a forma di croce sulla soglia di casa; colui che lo fa deve dire: „Tutto questo l‟ho incrociato perché voialtre streghe maledette il soglio della mia casa non potete traversare!‟” Il pestello viene considerato per qualche ragione molto efficace in magia. Le streghe in Italia come nelle province del Danubio amano danzare e rotolare e volare in una confusione selvaggia, dandosi la caccia a vicenda sulle cime dei rami ondeggianti e, quando essi si muovono molto con poco vento, potete essere certi che o loro o delle fate sono lì. “Sulle cime di alberi ondeggianti, quando si flettono nella brezza, è allora che le streghe danzano, come fanno capriole e saltellano su e giù al ritmo di un flauto, saltando alla luce della Luna!”
Gli uomini della grandine e delle nuvole “Sei entrato nei tesori di neve? O hai visto i tesori di grandine?” Job. XXXVIII, 22 “Nuvole fluttuanti – marinai dell‟aria!” Schiller Penso fosse Washington Irving a descrivere un uomo che desiderava essere superstiziose perchè pensava che chi lo era dovesse vivere in una sorta di terra fatata. Anche Walter Scott desiderava credere a ciò con il suo forte
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buon senso scozzese, rafforzato dall‟educazione, rifiutava. E se la fede del Medioevo non avesse insegnato agli uomini che ogni concetto sovrannaturale che non sia incluso negli insegnamenti della Chiesa era infernale e che lo erano anche fate, elfi e diavoli, gli uomini di quel tempo avrebbero potuto certamente essere più felici e circondarsi di baldacchini sempre diversi, con ghirlande e stelle dorate, riconoscendo nella rugiada la mano di uno spirito artista, adornando con perle liquide i fili d‟erba, vedendo occhi di luce nelle gocce di pioggia ed udendo sussurri d‟amore nella brezza. La maledizione, o bando, della Chiesa venne rimossa dalla poesia durante la Riforma, la terra elle fate ritornò a vivere ed a prosperare nelle parole di Shakespeare ed invero in quella di altre centinaia, se non migliaia, di altri scrittori. In realtà, nonostante le sue cause prime stessero morendo, essa ricevette uno sviluppo così grande che il suo che il suo potere fu più grande che mai, come una pianta di fragole che, morendo in un posto, invia i suoi semi in un altro e, da arido, esso diventa in breve tempo fertile e produce abbondanti boccioli coloro avorio e frutti di corallo con macchiette dorate. Esempio che calza invero bene, in quanto la fragola è il frutto fatato per eccellenza. Jerome Bosch, in un‟immagine, gli dà il potere di mutare gli uomini in strani esseri. Questa cosa è stata presa poco in considerazione. L‟Elfo, che era letterale e molto limitato o quasi un luogo comune per i contadini, ebbe la sua apoteosi nelle menti raffinate e coltivate dell‟era d‟oro della letteratura inglese con Ariel. E, per dire la verità, non esiste una così squisita adorazione della terra degli Elfi come quella che si trova nelle opere di Shakespeare, Herrick, Drayton ed in innumerevoli ballate e leggende che questo Rinascimento fatato ha chiamato alla vita. Il Vescovo Corbet era in errore quando diceva che le Fate “erano dell‟antica professione” o cattoliche. Esse erano tutti diavoli dannati, sotto la Chiesa, e divennero deliziose piccole Divinità solo per i Protestanti. Questo punto di vista potrebbe essere nuovo per molti dei miei lettori, ma vale la pena di considerare seriamente quanto sia prezioso un senso artistico ben coltivato o quanto un istinto per la bellezza preservi l‟uomo dalle influenze maligne e rivoltanti. I contadini italiani odierni non identificano le streghe con le orribili megere della Germania e dell‟Inghilterra, che si incontrano semplicemente per adorare il diavolo. Il loro capo non è lo sporco e volgare Diavolo ma una bella signora – come Diana. Ed ecco che abbiamo qui il risultato di una certa raffinatezza dell‟arte che neppure i monaci sono riusciti ad estinguere. Non solo è vero che un uomo che crede – come l‟Indiano d‟America – che ogni albero e pietra abbia uno spirito che vi dimora è sempre in una sorta di terra delle fate, ma è anche invidiabile il fatto che egli non è mai solo. Quando siede in un bosco selvaggio vicino ad
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un albero verde o color ruggine, egli è consapevole della presenza degli Elfi o vede da molti segni che sono passati di lì. Ogni vestigia dell‟antichità, punte di freccia, vasellame e selci cave, è stata toccata da mani fatate e tanto più se si tratta di vestigia dell‟antichità come rocce, fiumi e foreste. Per la mente realmente raffinata o coltivata vi è un campo infinito per queste sensazioni, se chi la possiede ha molta familiarità con tale tradizione; perciò anche noi possiamo vivere nella terra delle fate e: “By a spell to us unknown we can never be alone” (“grazie ad un incantesimo a noi sconosciuto possiamo non essere mai soli”). Io non penso che Shakespeare o Herrick credessero realmente nell‟esistenza delle fate, ma sono certo che nessun contadino del X secolo abbia mai popolato le foreste ed i campi con esseri fatati ed associazioni più belli di quanto fecero loro. E, dopotutto, chissà quanta vita e mistero e regno fatato e regno degli spiriti giaccia realmente nella Natura – quali elementi e sensi e leggi che ci sono ancora sconosciute? Continuate a dormire ed a sognare – non è ancora tempo per l‟uomo di essere risvegliato dal suo riposo – potete giacere ancora un poco! Leggi, padroneggia e digerisci interiormente, o lettore, tutto questo folklore dei tempi antichi. Non ti farà alcun male avere la mente piena di immagini fatate come quella di Don Quixote lo era di sogni di cavalleria. Perché mentre la poesia non è da meno, il valore storico e le lezioni che insegna sono di grande importanza. Avrete letto questo libro con poco scopo se esso non vi avrà indotto a riflettere sul fatto che, studiando gli stupefacenti errori del passato, impariamo quanti di essi rimangono e quanti pochi tra noi li comprendono. Vi è tuttavia un fascino particolare nella conoscenza di ciò che l‟uomo ha creduto realmente, che sia vero o falso. Io amo guardare le zigrinature ed i nodi negli alberi e ricordare che sono stati causati dalle teste delle streghe che sono state seppellite accanto ad essi e che si costringono nuovamente a vivere; o scrutare attraverso una selce bucata per aiutare la mia vista e magari vedere gli Elfi. O guardare le nuvole come navi – “marinai dell‟aria” – e pensare ai “tesori di grandine” immagazzinati in esse! E questo richiama una delle concezioni più strane e squisitamente belle dell‟antichità – che vi sia, lontano nella Terra delle Nuvole, una città misteriosa chiamata Magonia in cui si forma la grandine e da cui essa viene portata su navi che sembrano come “nuvole che navigano nel verde dorato del tramonto”. I monaci, che hanno indemoniato, rimpicciolito e sporcato ogni cosa, hanno aggiunto a questa fantasia che queste navi venivano condotto da streghe e diavoli allo scopo di distruggere i raccolti e che per il ritorno venivano caricate della frutta così danneggiata o distrutta. Su questo
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tema l‟Arcivescovo Agobardo di Lione, del X secolo, si espresse come segue: “La maggior parte della gente è così stupida da credere e dichiarare che vi sia una terra chiamata Magonia da cui provengono navi che solcano l‟aria e che ricevono a bordo tutta la frutta che viene distrutta da grandine e tempeste. E che le streghe che causano le tempeste sono in collegamento con l‟equipaggio della nave e sono da essi pagate.” Il medesimo Vescovo riferisce che egli stesso una volta salvò la vita di 4 esseri umani, 3 uomini ed una donna, che il volgo voleva lapidare a morte perché credeva che essi fossero gente proveniente da Magonia che fosse caduta da un vascello-nuvola durante una tempesta. E‟ un vero peccato che il Vescovo non ci abbia lasciato alcun racconto in merito a questo quartetto – come apparivano e quale lingua parlassero. Immagino che sarebbe stato provato che si trattava di zingari! Sic vita. Ma imparo dall‟Anthropodemus Plutonicus di Praetorius che questi Graupenmenschen, o uomini-grandine di Magonia, sono rari artisti elfici e che qua e là essi foggiano la loro merce in strane forme ed entrano nel proprio lavoro anche loro stessi o per magia fanno sì che in esso appaiano piccoli esseri fatati, allo scopo di presagire misticamente strane cose. “Davvero memorabile è quello che accadde nell‟anno di cristo 1395 quando caddero, come pioggia di ciottoli, magnifici chicchi di grandine su cui vi erano dei volti umani, sia maschili che femminili. I primi avevano delle barbe come quelle degli uomini, le femmine avevano capelli lunghi e veli ed essi vennero visti da un uomo altamente credibile, che li tenne anche in mano, come dichiara Cranzius in Wandal, lib. 9, c. 3. Ed a Cremona, nell‟anno 1240, nel monastero di San Gabriele, cadde un chicco di grandine in cui si potè vedere, come se vi fosse stata scolpita con attenzione, la forma di una croce con il volto del Signore Cristo e le lettere JESUS NAZARENUS. Ed una delle gocce d‟acqua provenienti da esso, bagnando gli occhi di un cieco gli diedero la vista, come appare dallo scrittore Vinsich, Histor. lib. 30, c. 138 e da lui Majolus, p.15 d.tom.; ed anche Nauclerus, Gener. 41, i cui fatti autenticati dovrebbero di per sè mostrare che gli abitanti di Magonia erano dei buoni cristiani.” “M.Heinrich Gobald, in Breviar. Histor., pag. 473, dichiara che il 18 giugno del 1650 vi fu, come annunciate da Presburg, una terribile tempesta di grandine, come nessuno aveva mai visto. I chicchi erano di varie forme ed alcuni di essi erano grossi come teste di Turco.” Dopo poco tempo giunsero guerre, fame, rivelazioni e rivoluzioni, adulteri e corrotti vennero colpiti a morte e da questo si dedusse che: “Un Figlio della Mezzanotte regnerà a lungo ed il suo dominio sarà duro come ferro e pieno di dolore; quando pestilenza, fame e guerra
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prenderanno il potere. Tuttavia, all‟inizio egli governerà Mosca con molta pace e diverrà un monarca potente.” Seguono 40 pagine di profezie selvagge su ciò che accadrà nell‟anno 1666, secondo quanto presagito dai chicchi di grandine. Io, e forse anche tu, lettore, ho visto cadere insieme chicchi di grandine piccoli e così grandi da ricordare la testa di un Turco con il turbante, ma non è mai successo che questo fosse presagio di eventi politici. Non pensiamo neanche al Figlio della Mezzanotte, che è comunque un bel termine che potrebbe servire come titolo di una novella o di un poema. Tuttavia, quando vedi le navi-nuvola che viaggiano nel cielo, potresti ricordarti della misteriosa città di Magonia e, quando verrai colpito da un chicco di grandine, considerarlo come un gioco degli artigiani fatati di quella famosa città. Appare da molte fonti autorevoli che ciò che a noi appare come “nuvole fluttuanti – marinai dell‟aria” siano in realtà imbarcazioni misteriose o molto spesso spiriti che si affrettano per il cielo, le navi ed i marinai della “graziosa terra delle nuvole” diretti lontano per uno scopo; vi è in merito una storia molto strana raccontata da Meteranus (Niederland Histor., b. 28). Per prima cosa, ricordiamo che come gli eroi norvegesi del Valhalla si incontrano ogni giorno per fare le prove dei loro antichi duelli e lotte, essere uccisi e quindi rivivere, così i misteriosi abitanti della terra dell‟aria ritornano sulla terra nell‟anniversario di qualche antica battaglia, come in America le battaglie di Bunker Hill, Concord, Saratoga ed altre, anche se recenti come quella di Gettysburg, ed eserciti spettrali le celebrano combattendo nuovamente la battaglia di notte. Così accadde che in Francia, nella terra di Angouléme, nel dicembre del 1608, fluttuarono in cielo molte piccolo nuvole che parevano ciottoli sulla sabbia spostati dalla marea crescente. Quindi, una ad una e poi due a due, cominciarono a cadere verso la terra dolcemente e gentilmente, come fiocchi di neve. “Una ad una e due a due, crebbero come uno squadrone possente.” E quando toccarono terra divennero improvvisamente guerrieri. “Tutti loro” dichiara Meteranus “erano uomini molto alti, diritti e belli; avevano armi blu, bandiere e tutto il resto di un color ceruleo o blu cielo; e di essi ve ne erano 12.900. Ed essi si divisero in due eserciti e combatterono dalle 5 di pomeriggio fino alle nove di sera, quindi svanirono tutti.” Ma è principalmente nel deserto silenzioso o nelle montagne solitarie, in luoghi nascosti lontano dalle pianure che vediamo questi esseri che sono corpore aërea, tempore eterna (di forma aerea ma con un‟anima eterna) che volano per il cielo su mistiche imbarcazioni erranti. Talvolta essi si fermano, tuttavia, per un periodo, o di loro spontanea volontà o a causa dell‟incantesimo di uno stregone, e costruiscono con un solo pensiero delle
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torri cinte da nuvole e bei palazzi, rosati e dorati nel sole morente, volte con pilastri, cittadelle di perla e file e file di bastioni, ripetuti come scale gigantesche che si perdono alte nell‟aria. A coloro che hanno “il dono”, essi appaiono come se fossero realmente costruzioni umane e questo non stupisce, perché esse sono fatte appositamente per sembrare nuvole per deludere l‟umanità. Perché Magonia invero è: “Una grande e strana città, più amabile nelle sue luci di tutto il verde dorato delle colline e nelle sue ombre gloriose lontane. Il porpora versa confini di nuvole tonanti, una città di tutti i colori e di belle forme e baluginii di acqua che cade giorno e notte… Illuminata dalle fonti dell‟arcobaleno di giorno, illuminata dalla pioggia di stelle colorate di notte… e fuori, lontane e dormienti nella luce, le isole e l‟azzurro del male e più in alto, attraverso un labirinto di guglie e torri e ripidi muri di alabastro, la città si erge – tutte le sue facciate ingioiellate che splendono verso il mare… Fino a che, alla fine, attraverso miglia di aria tenebrosa, le montagne blu e viola chiudono il cielo.” Ho scritto questo nella città di Firenze nel maggio 1891, mentre un giorno stavo conversando con una donna che entrò in casa mia proprio mentre stava infuriando una tempesta. Ed ella disse: “Stavo andando all‟ufficio postale e qualcuno mi disse: „Tu sei davvero una strega, perché i chicchi di grandine scaturiscono dai tuoi piedi.‟” Allora entrambi ridemmo ed io chiesi se le streghe fanno grandinare; questa fu la risposta, che trascrissi parola per parola in Italiano: “La gente dice che quando il tempo si guasta e cominciano tuoni e fulmini è una tempesta causata dal vento e che le nuvole scure sono acqua ed i venti portano in giro queste nuvole che spargono acqua. Ma in realtà la cosa è molto diversa. Perché lassù nel cielo vi sono città fatte da streghe e stregoni che furono un tempo buttati fuori dal paradiso o che lasciarono questo mondo ed hanno fatto per loro un altro mondo in cielo. Ma anche in cielo essi conservano quei sentimenti negativi (tengono sempre i suoi rancori) che hanno sempre avuto e così scelgono di peggiorare il tempo, in modo da fare molti danni agli uomini. Ed allora entrano in una barca e la stipano di grandine; e tutte le nuvole che vediamo non sono nuvole d‟aria, ma barche. Quindi il loro capo prende la grandine e la getta ad una strega e così si colpiscono tra loro e cantano: „Tiro queste granate (chicchi di grandine) ma non tiro le granate, le tiro perché si convertano tutte in grandine. E voglio sperare che tutta la campagna a male voglia andare e così tutti di fame in terra dovranno andare!‟” Di questa Terra della Grandine nel cielo ho ricevuto un‟altra storia, che differisce in alcuni dettagli ma che penso non sia meno interessante:
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“Quando la gente vede le nuvole in aria dice che si tratta di aria (vapore) ed è segno di pioggia, ma in esse vi è più di quanto si supponga. Perché in cielo vi è un altro mondo fatto dagli stregoni e dalle streghe che, quando sono morti, non sono stati ammessi al paradiso e così hanno fatto un mondo per se stessi che ha un mare (lago) interno. E quando il tempo è scuro e volano nuvole prima della tempesta, queste nuvole sono barche piene di grandine ed in esse vi sono stregoni e streghe che si gettano l‟un l‟altro i chicchi di grandine e così essa cade a terra e causa grandi danni. Quando questo accade, di dovrebbe invocare lo spirito del tuono (Tituno o Tignia). Le piccole nuvole leggere che passano nella luce quando vi è bel tempo sono piccole barche in cui vi sono le fanciulle ed i bambini che le streghe hanno preso prigionieri. Ma, talvolta, quando è bello li inviano fuori a navigare nell‟aria.” Possiedo invero un terzo racconto scritto a mano riguardante questi prigionieri, ma dopo averlo letto per 6 volte sono stato obbligato a dichiararlo incomprensibile. E‟ solo una ulteriore testimonianza. C‟è qualcosa in merito al fatto che le streghe avrebbero degli specchi con cui fanno segnali luminosi alle barche di ritorno o con cui fanno dei lampi. Le streghe sulla terra talvolta fanno visita a questa Magonia, o Terra della Città di Nuvola, ma corrono il rischio di essere catturate o uccise dalle tempeste che loro stesse fanno sorgere. Così Friedrich Panzer ci narra nella sue Bavarian Tales che, durante la prima metà dell‟ultimo secolo, vi fu a Forchheim, nella Franconia Superiore, una tempesta di grandine così tremenda che la gente temette che l‟intera città ne fosse distrutta. Allora i frati francescani si riunirono nel giardino del convento e, non appena pronunciarono la prima benedizione, meraviglia! Una bella donna, completamente nuda, venne gettata da una nube tempestosa giù al centro dell‟erba; ed i santi fratelli, grandemente meravigliati di questa visione per loro certamente nuova, le si avvicinarono e riconobbero in colei che era caduta così improvvisamente tra loro la moglie del mugnaio del paese, una donna sospettata da tempo di stregoneria. Uno dei monaci le gettò sopra una veste ed ella venne portata all‟interno del convento. “Così facendo” dice il racconto (piuttosto oscuramente) “essi le evitarono la morte per mezzo del fuoco”. Suppongo che questo significhi che ella fece ai Francescani un‟impressione così favorevole che essi protessero la loro proie inattendue (vide Le Moyen de Parvenir) dall‟essere arrostita. Così, dai giorni antichi queste storie sono sopravvissute ibernate come i mammuth della Siberia fino a quando qualche scopritore non le rivela ed allora ci si meraviglia che cose simili abbiano potuto rimanere ibernate così a lungo. Con il tempo ritornano le cose antiche e le antiche medaglie, anche
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se dissepolte, sono ancora più belle per la loro ruggine. Quanto profondamente (o potremmo dire quanto terribilmente) sia impressa nei contadini italiani la credenza che la grandine sia causata da diavoli e streghe appare da quanto segue, tratto da un quotidiano di Londra del settembre 1891. E‟ interessante in quanto coinvolge la credenza degli antichi Romani nel potere sacro delle campane come conduttrici di diavoli, che venne in seguito convertita dai preti in questo bel racconto: “L‟insegnante è pressochè un estraneo, in Italia, come il prete di Montalto ha ben ragione di sapere. Quando arriva una tempesta, là vi è la pratica di suonare freneticamente una delle campane della chiesa, cosa che si suppone abbia un effetto positivo sull‟umore dell‟addetto al tempo. Questo venne doverosamente fatto dal sagrestano un giorno della scorsa settimana ed invero egli è fortunato che non presta servizio nel nostro clima, altrimenti difficilmente quest‟estate avrebbe lasciato la corda della campana. Comunque, il prete ha la sfortuna di essere troppo lontano dal suo gregge e fermò lo scampanìo, dicendo alla gente di entrare in chiesa. Non appena la campana si fermò, cominciò a grandinare ed il prete non fece in tempo a raggiungere l‟altare che un contadino chiamato Marca lo riprese amaramente per avere fermato la campana, causando così la tempesta. Esibendo una roncola, attaccò il prete, che parò il colpo ma ricevette una temibile ferita da una donna che disse di essere la madre di Marca e nel mentre gridava: „Lascia perdere!‟ Allora Marca fuggì e non è stato ancora catturato.” Invero Marca era molto più pagano che cristiano. Lo spirito dell‟antica Roma era grande in lui – egli non avrebbe lasciato che la fede moderna divenisse favola.
Storie di streghe e goblin In Romagna e Toscana il raccontare storie è una istituzione con delle osservanze. I contadini in inverno si incontrano, “magari 10, ve ne possono anche essere 20 o 30 intorno ad un fuoco e, prima di tutto, recitano con debita solennità un rosario o 5 paternoster con gli ave e le altre preghiere e quindi cominciano a raccontare storie di esseri fatati, streghe e folletti.” Questa antichissima usanza viene tuttora generalmente osservata. Prima di tutto, alcuni anziani raccontano una storia, che viene poi commentata sollecitando negli ascoltatori i propri ricordi; quindi ne viene suggerita un‟altra ed in tal modo di mantiene vivo il folklore. Nell‟anno 1808 venne pubblicato in Bolognese – che è, con alcune differenze, il dialetto che parlano questi contadini – una traduzione di storie napoletane di esseri fatati che pare siano in buona parte riprese dal Pentamerone di Gian Battista Basile, ma adattate a nuove circostanze. Così le stesse storie, ora
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conosciute in tutta Italia, sono penetrate in Romagna ma nella regione del bolognese ve ne sono molte le cui tracce si ritrovano nella gamma usuale delle leggende italiane e molto spesso derivano da fonti molto antiche, con elementi e caratteristiche pressochè peculiari. Quelle che seguono sono alcune delle storie che ho udito. Le streghe e la barca “Vi erano due streghe, madre e figlia, che vivevano vicino alla riva del mare e la giovane era una bella fanciulla ed aveva un innamorato, che in breve tempo fu lì per sposare. Ma si cominciò a dire che quelle due donne si erano date alla stregoneria ed avevano comportamenti selvaggi e qualcuno riportò la voce al giovane, dicendo che non avrebbe dovuto prendere una moglie del genere. Così egli si risolse di vedere con i suoi occhi andando a casa delle due donne e rimanendo là fino a mezzanotte, quando sapeva che, se esse fossero state streghe, non sarebbero potute rimanere a casa. Ed egli andò e sedette fino a dopo le undici di sera; quando gli dissero di tornare a casa sua, egli rispose: „Lasciatemi sedere ancora un poco‟ e così disse varie volte, fino a che le due non perdettero la pazienza. Allora, vedendo che lui non se ne andava, con la loro stregoneria lo fecero cadere in un sonno profondo e tramite un tubicino succhiarono via tutto il sangue dalle sue vene e ne fecero un budino di sangue o migliaccino, che portarono con loro. Questo diede loro il potere di essere invisibili fino al loro ritorno. Ma vi era un altro uomo alla loro ricerca, quella notte, ed era il fratello del giovane che esse avevano addormentato, perch‟egli sospettava di loro da molto tempo ed era stato lui a mettere in guardia il fratello. Ora, questi aveva una barca ed ogni mattina notava che di notte qualcuno l‟aveva slegata, concludendo quindi che fossero state queste streghe. Così si nascose accuratamente nelle barca ed attese, in guardia. A mezzanotte arrivarono le due streghe. Desideravano andare a Gerusalemme per prendere dei garofani (molto usati in magia). Quando salirono sulla barca, la madre disse: „Barca, barca, vai per due!‟ Ma la barca non si mosse. Allora la madre disse alla figlia: „Forse sei incinta – farebbe tre.‟ Ma la figlia negò. Allora la madre gridò di nuovo: „Barca, barca, vai per due!‟ Ancora non si mosse, così la madre gridò: „Vai per due, vai per tre, per quattro, per quanti tu vuoi!‟ Allora la barca filò via come una freccia, come un fulmine, come il pensiero ed in breve furono a Gerusalemme, dove colsero i loro fiori e, rientrate nella barca, ritornarono. Allora il barcaiolo fu soddisfatto di avere avuto conferma che le donne erano streghe ed andò a casa a riferirlo a suo fratello, che trovò quasi morto e fuori di mente. Egli andò dalle streghe e le minacciò fino a che non gli diedero il migliaccino. Appena il giovane lo
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mangiò, tutto il suo sangue e la vita ritornarono ed egli stette bene come prima. Ma le streghe volarono via non appena egli si alzò, sui tetti delle case e sui colli e, a meno che non si siano fermate, stanno ancora volando.” Bernoni racconta questa storia nella sua narrativa sulle streghe veneziane ma più imperfettamente, perché non fa menzione di un innamorato o del risucchio e della rimessa a posto del sangue. Nelle storie classiche di Apuleio e di altri, il succhiare il sangue era l‟attività principale della striga, per cui penso che questa possa essere la versione più antica della storia. Nella storia veneziana, la barca va ad Alessandria ed il barcaiolo ottiene là dei datteri e delle foglie fresche, che esibisce al ritorno come prova della sua avventura. L‟ottenimento dei fiori del mistico garofano fornisce una ragione eccellente per il viaggio. Hawthorne ha scritto una storia in cui una barca piena di streghe sotto forma di gatti fanno un viaggio simile per ottenere del rosmarino, anch‟esso erba delle streghe. La vendetta di Pippo “Vi era un uomo di nome Pippo che era sposato da poco tempo con una giovane e bella moglie quando fu obbligato ad intraprendere un lungo viaggio. Ed accade così che questo viaggio fu prolungato a causa di un imprevisto e le sue lettere non raggiunsero la sua casa; così la moglie, che era giovane e molto semplice, credendo ai pettegolezzi ed alle cattiverie della gente, pensò presto che suo marito fosse fuggito. Ora, vi era un rpete nel villaggio che era abbastanza furbo ed ella andò da lui a lamentarsi amaramente che suo marito l‟aveva abbandonata, lasciandola incinta. Nell‟udire questo, il prete apparve molto serio e disse che era molto malvagio da parte di suo marito comportarsi in tal modo; sì, che era un peccato mortale a causa del quale sia lei che Pippo sarebbero stati dannati al girone più basso dell‟inferno, perché ella avrebbe dato alla luce un bambino che era stato solo cominciato e non finito, perché probabilmente egli sarebbe nato senza la testa o gli arti ed ella sarebbe stata molto fortunata se fossero mancati solo una mano ed un piede o gli occhi. E disse che tutte le donne che portano in grembo mostri del genere sarebbero state certo condannate al peggio. Ora la moglie, che era una semplice contadina, era molto devota e si confessava frequentemente; credendo ad ogni parola del prete si spaventò terribilmente e gli chiese cosa fare. Egli rispose che vi era modo di rimediare ed egli lo avrebbe fatto, per salvare l‟anima di lei e per il bene del bambino avrebbe provato. Ella avrebbe dovuto passare la notte con lui che, grazie ai suoi potrei miracolosi di prete ed alle sue preghiere, avrebbe fatto in modo che il bambino nascesse perfetto ed ella sarebbe stata libera dal peccato. Ma le fece giurare di non dire una parola di ciò ad alcun essere umano e specialmente a Pippo, altrimenti sarebbe fallito tutto. Così
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ella acconsentì ed il prete ebbe ciò che voleva. Nessuno lo sapeva ma Pippo era uno stregone e, lanciando la sua mente per sapere cosa stesse accadendo a casa sua, venne a sapere ciò che era accaduto. Allora, quando ritornò, invece di andare a casa sua prese la forma di una bella suora ed andò dal prete. Il prete aveva due giovani sorelle, famose per la loro straordinaria bellezza e Pippo venne ricevuto molto gentilmente da loro e dal loro fratello. Quando chiese alloggio per la notte, le due giovani lo invitarono a dormire con loro, cosa che egli fece, naturalmente seducendole accuratamente. La mattina seguente, rimasto solo col prete, lo guardò languidamente e, quando l‟altro colse l‟occasione di peccare con una suora, gli chiese di andare in cantina per fare l'amore. Al che il prete rimase estasiato; ma, quando furono soli, Pippo assunse la sua forma naturale, che era terribile, e disse: „Io sono Pippo, la cui moglie tu facesti sbagliare con le tue bugie. Tu mi hai fatto del male, ma io ho fatto di peggio alle tue sorelle e peggio di tutti a te, perchè ora tu sei maledetto di fronte a Dio, tu, falso prete!‟ Ed il prete non potè dire né fare nulla. Ed arrivarono davanti a lui molti spiriti che lo derisero ed egli dovette lasciare il sacerdozio. E questa fu la vendetta di Pippo.‟ Avrei potuto omettere questa storia realmente boccaccesca, se non fosse che illustra in maniera molto chiara l‟antipatia dei credenti nella stregoneria e degli spiriti antichi per i preti. Una storiella licenziosa che non fa alcuna profonda impressione di moralità od immoralità alla mente degli Europei del Sud quanta ne fa in quelli del Nord, ma il porre distintamente lo stregone contro il prete, o l‟antica magia contro il cristianesimo è, se il lettore vi rifletterà, un caso piuttosto singolare. In essa il punto fa indubitabilmente a favore della strega ed è molto interessante il fatto che faccia notare che l‟antagonismo tra lo sciamanesimo e la Chiesa esiste ancora, come è sempre esistito indubitabilmente in tutte le epoche. Potrei aggiungere che tra le storie che ho ricevuto dopo che quest‟opera è stata mandata in stampa ve ne è una intitolata Il prete Arrimini in cui un prete diventa uno stregone, manifestando, come questa storia, un marcato paganesimo o spirito anti-cristiano. Pispi “In una zona della Romagna vi era un uomo di nome Pispi che era un grande ladro; sì, uno che portava via grandi tesori e tuttavia non veniva mai scoperto. Egli entrava in un caffè e conosceva i gentiluomini che aveva depredato, quindi, nell‟andarsene, diceva: „Signori, io sono Pispi, il famoso ladro‟ ma nessuno riusciva a catturarlo o a mettere le mani su di lui; e quando lo incontravano non lo riconoscevano, perché egli mutava volto e forma continuamente, tanto che infine si credette che egli fosse un diavolo.
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Ma, in realtà, era uno stregone. Infine fu sul punto di morire ma non vi riuscì. E si lamentò ed implorò i presenti di prendere il suo potere, ma nessuno lo accettò perché credevano tutti che egli fosse un diavolo. Infine, qualcuno mise due scope sotto il suo letto e così lui morì. Ma il suo spirito non aveva pace, perch‟egli aveva lasciato un tesoro. Ora, Pispi era in realtà uno spirito buono, perché derubava gente molto ricca e dava gran parte del bottino ai poveri. Cercò quindi qualche pover‟uomo bisognoso ed infine lo trovò nella persona di un prigioniero che era stato condannato alla galera a vita; ed egli gli disse: „Con il mio potere ti sbarazzerò dalle tue sofferenze e ti libererò. Vai nei boschi nel tal posto e là vi è una quercia chiamata Istia; sepolto alla profondità di una yarda troverai un tesoro dentro ad uno stivale che è dentro ad un vaso di terracotta. E quando sarai ricco e libero non dimenticare i poveri!‟ E così Pispi ebbe pace ed il povero prigioniero divenne ricco e felice.” Non sarebbe valsa la pena di riportare questa storiella grezza se non fosse stato per il nome del suo protagonista: Pispi è un tipico ladro ed in Olanda la mandragora, che si pensa cresca dal gocciolamento del liquido del cervello, eccetera, di un ladro sulla forca, viene chiamata Pisdifje, o piccolo ladro del cervello. Colui che possiede questa pisdifje può entrare in tutte le case, aprire tutte le porte e rubare liberamente senza venire scoperto. Questa radice veniva chiamata con molti nomi quali mandragora, alraun, forca, mannikin e mannikin di terra in Germania, veniva considerata un demone e riceveva offerte o una sorta di adorazione. Ovviamente, non vi è alcuna connessione filologica tra i nomi di Pispi e Pisdifje, ma la connessione delle associazioni tra questi nomi ed il ladro che non poteva venire scoperto e la radice-demone che permette ad un ladro di evitare la detenzione è tuttavia molto curiosa. I nani “Von wilden Getwergen Han ich gehoeret sagen, Sie sin in Holn Bergen.” Das Nibelungenlied Un giorno mi informai se vi fossero degli Elfi o dei piccolo nani in Romagna e mi venne detto che vi erano con queste parole: “Dei nani! Ce ne sono molti. Dimorano in luoghi solitari, lontano nelle montagne, profondamente all‟interno di caverne o tra antiche rovine e rocce. Talvolta un contadino ne vede uno o più; egli può scorgerli da lontano mentre vanno a casa presto tra la notte ed il giorno, affrettandosi prima che il Sole cali ad entrare in casa. Essi vivono come le altre persone, sono buoni e cattivi come le altre persone ma sono in realtà dei folletti. Vi racconterò una storia molto antica al loro riguardo:
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„Vi era un tempo una fanciulla che era stata tradita dal suo amante ed abbandonata per un‟altra e così lei, in un accesso di rabbia, decide di andare a cercarlo. Oltre le alte montagne blu, oltre i fiumi che scorrono, attraverso l‟erba umida, lungo la dura strada, in città rumorose, in chiese, dove vi era gente e dove non vi era nessuno, si mise in cammino per andare in cerca di lui. E quando ebbe viaggiato per molti giorni e desiderava un poco di riposo, giunse ad una casa lontana tra le rocce e bussò alla porta. Ne uscì un piccolo nano, che le chiese cosa volesse, ed ella rispose: „Buon amico, ti prego per carità di darmi alloggio, perché i miei piedi sono deboli e stanchi. Sto cercando il mio innamorato, che voglio uccidere per la sua falsità, tuttavia spero di non trovarlo perché lo amo ancora!‟ Quindi entrò, cenò ed andò a letto. A mezzanotte, ridendo, scherzando e saltando entrarono nella stanza sciami di piccoli nani o goblins – tutti uomini piccioli – che urlarono di gioia nel vederla. Tirarono i suoi capelli e danzarono su di lei, diedero pizzicotti alle sue orecchie ed al naso ed ella, in collera, li spinse vie, li colpì, li raccolse e li sbattè contro il muro come potè, ma ad essi non importò e scalarono a sciami il suo letto come api fino all‟alba, quando scomparvero ed ella si addormentò. Svegliandosi, si alzò ed andò per la sua strada, finchè da un colle scese un altro nano che le disse: „Fermati a parlare con me; posso dirti in verità dove trovare il tuo innamorato e, se tu lo vorrai trovare, vieni da me a mezzanotte ed io te lo dirò.‟ Allora la fanciulla rispose: „Dammi la tua mano, pegno della parola.‟ Ma il nano disse: „Non posso dare la mia mano come la danno i mortali, perché io sono uno spirito e spiriti erano i goblin che ti hanno disturbato questa notte; eppure sei loro piaciuta, perché hai mostrato spirito.‟ A mezzanotte la fanciulla andò quindi dal nano, egli le diede una piuma ed ella venne mutata in una rondine; egli disse: „Vola sul vento e laddove ti dirige seguilo, seguilo, seguilo e troverai il tuo amante. E quando lo avrai trovato allora avrai viaggiato ad una distanza di due mesi, ma per un mio incantesimo avrai in realtà compiuto questo volo in un minuto. Quando vedrai il tuo amante, toccalo con questa piuma ed egli allora amerà solo te e non penserà all‟altra. Ti sposerà dopo tre giorni, ma durante questo periodo dovrai venire ogni sera al calar del Sole alla mia grotta e dire: Grotta, grotta, grotta! Per l‟incantesimo di appellarsi a tutti gli spiriti buoni, incanta, ti prego, il mio amante affinchè egli non possa mai amare un‟altra donna! Così, dopo tre giorni, che egli sia mio marito!‟
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E quando furono trascorsi tre giorni, ella lo toccò con la piuma e riassunse la sua forma e fu al suo fianco. Ed incominciarono a baciarsi ed egli non potè amare più altra donna; la sposò e la storia è finita.” La rondine, in quanto uccello di primavera, porta fortuna, perciò in Toscana le penne di rondine legate con un nastro rosso formano un amuleto.
Il melo “Un tempo vi era una bella signora che sposò un signore ricco e bello; era grande desiderio del suo cuore l‟avere un erede ma, siccome sua moglie non gli dava figli, egli divenne quasi pazzo per il dispiacere e la rabbia e la minacciò delle peggiori torture se non fosse divenuta madre. Ella passava tutto il suo tempo in preghiera e dava tutto il suo denaro ai poveri, ma invano. Allora suo marito prese ad odiarla e mise al suo posto una serva e, trovandola un giorno mentre stava dando del pane ad alcuni poveri, egli le troncò le mani, così che lei non potesse dare più aiuto. Ed ella visse tra i servi più infimi in grande disagio. Un giorno giunse al castello un frate, che le chiese qualcosa in carità; ella rispose che non aveva nulla da dare e che se lo avesse avuto non avrebbe potuto darlo essendo senza mani. E così egli apprese il modo in cui era stata trattata, perch‟ella disse: „Siccome non gli ho dato un figlio, mio marito è pazzo di rabbia che io dia elemosine ed invero mi ha tagliato via le mani; che il Cielo mi aiuti ed aiuti i poveri! Perché io non posso dar loro più nulla!‟ Allora il frate la guardò per lungo tempo in silenzio, considerando la sua estrema miseria e bontà, e disse: „Signora, andate nel giardino laddove cresce un melo, il più bello mai visto; bella signora, abbracciate quell‟albero e, mentre lo abbracciate, dite queste parole il più vicino ad esso che potete: Pano, o mio bel pomo! Te con grande amore voglio abbracciare che mio marito a letto con sé questa notte mi possa portare e così mi possa ingravidare; e che mio marito mi possa amare! Fatto questo, prendete dall‟albero due mele e mangiatele. Andate da vostro marito ed egli vi amerà e vi porterà nel suo letto ed a tempo debito avrete due bellissimi bambini.‟ E così accadde ed il marito si dolette amaramente per la sua crudeltà e la perdita delle sue mani. Ed ella ebbe i due bambini, ma la ragazza che era stata serva e sua amante lo persuase che sua moglie gli era stata infedele e che i figli non erano suoi. Allora egli prese un asino su cui vi erano due panieri, mise i figli uno in ciascuno di essi e la fece issare al centro, mandandola via. Ella vagò in grande dolore, a malapena in grado con i suoi moncherini di accudire ai figli e di viaggiare. Ma infine giunse ad una fonte
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e si fermò a bere. E meraviglia! Non appena lo fece le sue mani ricrebbero, perché quella era la fonte che rinnova la giovinezza e la vita. Allora il suo cuore si alleggerì, perché ella sentì che la fortuna non l‟aveva lasciata. Ed invero andò tutto bene, perché giunse ad un castello dove non vide nessuno; vi entrò e trovò cibo sulle tavole e vino e tutto ciò di cui aveva bisogno dappertutto. Quando lei ed i bambini ebbero mangiato, al pasto seguente vi era nuovamente del cibo. Ora, questo castello apparteneva alle fate che, vedendola lì, ne ebbero pietà e si presero cura di lei in tal modo. Tenendo in considerazione il suo caso, esse inviarono al marito un sogno; ed il sogno gli giunse di notte e gli raccontò tutta la verità, come sua moglie fosse stata sincera con lui e come lui si fosse comportato male. Allora egli si mise in cerca del lontano castello fino a quando lo trovò e riportò lei ed i bambini a casa. Quando giunsero vicino all‟entrata, videro davanti ad essa una statua che non vi era mai stata. Ora, la serva malvagia aveva detto: „Che possa essere mutata in pietra se non è vero ciò che ho detto di vostra moglie‟ e queste parole furono ricordate dalle fate (spiriti), perché esse odono ogni cosa, e la statua era la ragazza mutata in pietra. Ma marito e moglie vissero felici per sempre.” Il concetto del melo suggerisce la storia di Giunone, che concepì Marte senza l‟aiuto di Giove dal tocco di un fiore (Ovisio, Fasti, V, 253). Anche la fonte della giovinezza in questa storia richiama le mele d‟oro delle Esperidi ed in particolare quelle sorvegliate dalla Scandinava Iduna, che manteneva giovani gli Dei. Vi sono molti miti in tutti i paesi che collegano al melo la generazione e la nascita. Così in questa storia, come in tutte quelle che provengono da questo paese, vi sono scene e tocchi che possono essere stati copiati da immagini più antiche. E‟ interessante osservare che anche in questa storia deve essere pronunciato all‟albero l‟incantesimo prima che esso eserciti il suo potere fertilizzante. Lo spirito del giuoco Questa è una storia curiosa ed evidentemente molto antica, probabilmente modernizzata: “E‟ uno spirito maligno, ora, - come potremmo dire, un diavolo - ma molto tempo addietro, prima che gli alberi che ora crescono cominciassero a germogliare, un giovane signore ricco e bello: sì, egli aveva molti più olivi di quante olive io avrei potuto mangiare e più vigne di quanti bicchieri di vino io potrei bere; ma voleva di più e così giocava d‟azzardo. Ora, alcuni uomini spendono tutto il loro patrimonio in maniera gaudiosa ma lui sprecò il suo litigando, maledicendo e dicendo blasfemie. Infine, quando non rimase nulla di tutto quello che aveva tranne alcuni campi aridi ed egli
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cercava disperatamente del denaro da potersi giocare, vide la orribile fattoria che rimaneva e disse: „Venderei anche questa, sì, e al diavolo, e gli darei la mia anima da calciare quando la mia vita finirà. Sì, egli potrà uccidermi con il fulmine ed un ruggente tuono che erompa dalla terra se quando vado in giro potessi bruciare tutti i raccolti di grano, vigne, gelsi, fichi ed olivi – maledetti tutti quelli che vedo intorno a me e lontano! Un tempo erano miei; guarda il grano splendere come oro al Sole; l‟oro che avevo – l‟oro che ho perso! Cosa darei se il diavolo mi desse il potere di vincere al gioco! E poi, quando udrò il tuono rombare con un lampo, che le carte bruciassero bruciando i raccolti con le case e tutto di coloro che me le hanno strappate. Sì, certo, e quando sarò morto infesterò la sala da gioco e se qualcuno vincerà gli farò udire un tuono (che naturalmente brucerà i suoi raccolti). Ma se qualche poveraccio come me mi pregherà per avere aiuto quando avrà perso al gioco, allora gli darò volentieri la fortuna del diavolo alle carte e brucerò i raccolti ai suoi nemici, a coloro cui ha venduto le sue terre!‟ Quando il giovane ritornò a casa, trovò un bel signore che attendeva di vederlo. E lo straniero, molto cortesemente, disse: „Voi vorreste vendere, penso, questa vostra piccola proprietà ed io desidero comprarla. Voi siete un giovane galante, bravo e coraggioso, di prim‟ordine. Amo compiacere uomini del genere perché so che, quando viene per loro il momento di entrare al mio servizio, diventano i migliori tra i servi. Bene, concordo con i vostri termini, tutto ciò che chiedete lo avrete: fortuna alle carte, tuoni e fulmini inclusi; riavrete le vostre ricchezze – le ricchezze torneranno.‟ Così accadde e per un lungo periodo egli vinse. Venne osservato che quando giocava forte all‟ultima carta si udiva sempre un tuono ed una grande tempesta si abbatteva da qualche parte, vicino o lontano. Passarono gli anni ma un giorno, quando venne il suo tempo, vi fu un tremendo scoppio di fuoco che incendiò la stanza e meraviglia! Il giocatore apparve improvvisamente come un carbone ardente dalla testa ai piedi ed una voce esclamò: „Quello che è stato chiesto è stato garantito appieno; questo è il tuo ultimo giorno, questa è l‟ora finale; hai chiesto il fulmine e lo hai avuto; ora lo hai ed ora vivi nel suo fuoco!‟ E così sprofondò nella terra ed essi ricordarono ciò che aveva detto e molti lo rimpiansero e, quando erano nei guai ed avevano bisogno del suo aiuto lo chiamavano e dicevano: „Spirito del tuono e del fulmine, spirito dell‟aiuto, aiutaci! Perché di te noi abbiamo gran bisogno, perché tu eri come siamo noi; aiutaci, aiutaci nel
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nostro gioco, facci vincere molto denaro, altrimenti la rovina è davanti a noi; tu non ci abbandonerai. Noi speriamo che tu verrai a giocare in nostra compagnia.‟” Patàna “Patalena proteggeva il grano durante la crescita o la germogliazione. In Germania, una Divinità del genere veniva chiamata la Roggenmutter, da cui il detto per i bambini: „Lasciate stare i fiori! Non entrate nel grano! Là vi è la Roggenmutter da notte a mattino. Ora in basso lei si tuffa, ora guarda tutto in alto, prenderà tutti i bambini che vanno in cerca di fiori, grandi o piccoli.” Friedrich, Symbolik La storia che segue è davvero curiosa sotto molti aspetti: “Pàtana era una bella ragazza ma aveva una matrigna che era una strega ed anche maligna; così ella rinchiuse Patàna in una torre in cui non era permesso a nessuno di andare. La vecchia andava ogni giorno in città a vendere il latte. Un giorno passò vicino al palazzo del re; ora, il re aveva un figlio che amava tanto che non vi era null‟altro al mondo di cui si interessasse. Il giovane principe era alla finestra del palazzo e teneva in mano dei ciottoli. La vecchia arrivò e si sedette di fronte, posando le sue brocche di latte a terra. Il giovane principe, con cattiveria, lanciò un sasso e ruppe una brocca. La vecchia, arrabbiata, gli gridò: „Tu sei il figlio del re e crederesti di esser più potente di me; ed io ti farò vedere, ai! che sarò più potente assai. Non avrai gioia in vita fino a quando la bella Patàna non sarà tua moglie e questo non accadrà mai, perché tu non avrai mai la fanciulla!‟ Allora il principe non ebbe più riposo né gioia né di giorno né di notte. Infine uscì per il mondo in cerca di Patàna e viaggiò lontano, finchè un giorno incontrò un povero vecchio che gli chiese qualcosa da mangiare perché stava morendo di fame. Il principe gli diede qualcosa e disse: „Tu non sei infelice quanto lo sono io, perché io non potrò avere riposo fino a che non avrò trovato la bella Patàna e non so dove sia.‟ Il vecchio rispose: „Posso dirvelo io; andata lungo questa strada finchè non vedrete una torre che si innalza nella foresta; là dimora Patàna con la sua matrigna, ma assicuratevi di andarvi quando la strega è assente e di dare del cibo a tutto ciò che vi è nella torre: anche la più piccola ciotola, grazie ad un incantesimo, direbbe tutto alla vecchia strega a meno che non sia stato sfamato. Prendete anche questo ciottolo, vi darà il potere di parlare con la voce della strega, e quindi urlate forte: Bella Patàna, più bella di un raggio di Sole, butta giù le trecce e tirami su!‟ E così egli fece e venne tirato su nella torre, dove Patàna lo ricevette con gioia. Quindi fecero una grande ciotola piena di pappa (mollica di pane bollita) ed egli sfamò, come pensava, tutti gli arredi e gli utensili, tutti
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tranne una ciotola di terracotta, che dimenticò. E fu questa a fare la spia ed a tradirlo. Patàna prese quindi un pettine, un coltello ed una forchetta e disse: „Che noi siamo liberi!‟, la porta della torre si aprì ed essi volarono via. Ma ben presto la bella Patàna, guardando indietro, vide la matrigna volare dietro di loro, perché la ciotola che non era stata sfamata le aveva raccontato tutto, compreso il modo in cui erano andati via. Allora lei gettò a terra la forchetta ed essa divenne una chiesa, di cui lei stessa era il sacrestano. E la strega, non riconoscendola, le chiese se avesse visto passare il figlio del re con una ragazza. Il sagrestano rispose: „Non è il momento di rispondere a domande oziose, la campana ha suonato due volte per la messa, entrate ad udirla!‟ La strega se ne andò, incollerita, ed essi proseguirono ma, in breve, la videro volare nuovamente dietro di loro. Allora Patàna gettò a terra il pettine ed esso divenne un giardino e lei il giardiniere. Quando arrivò la strega e le pose la stessa domanda di prima, Patàna rispose: „Se volete dare loro la caccia, avrete bisogno di cavalli. Ne ho due da vendervi, belli ed a prezzo d‟occasione; venite, entrate a vederli.‟ Allora la strega, in collera, tornò a casa nella sua torre e la ciotola le disse che il giardino era solo un pettine ed il giardiniere Patàna. Ella uscì nuovamente ed in breve la videro nuovamente volare dietro di loro. Patàna gettò a terra il coltello e si mutò in una vasca di fontana, mutando il principe in un pesce che vi nuotava dentro. Ma, questa volta, quando fece la mutazione ella disse: „Prendo qui questo coltello e lo pianto nel terreno, che io possa divenire una fontana zampillante ed il mio amore un pesce, Che egli possa nuotare così bene che la strega che ora giunge non possa mai, mai catturarlo.‟ E la strega, una volta giunta, cercò e cercò di catturare il pesce ma invano. Infine, incollerita, gridò: „Che tu possa lasciare Patàna, lasciarla nel castello; se, ritornando a casa tua, tua madre ti bacerà una volta tu dimenticherai Patàna.‟ E se ne andò. Quando giunsero al castello, il giovane principe lasciò Patàna per un istante ed andò a vedere i suoi genitori, determinato tuttavia a fare in modo che sua madre non lo baciasse. Ed ella, felice di vederlo, cercò invero di farlo ma egli lo evitò. Furono allora fatti tutti i preparativi per il matrimonio e lui, stanco, cadde addormentato ed allora la madre lo baciò. Al suo risveglio, egli vide tutto pronto per un matrimonio ma non riuscì a ricordare nulla in merito alla sposa. Così passò il tempo ed egli stava per sposare un‟altra dama. Quando la bella Patàna udì questo, andò a palazzo e disse al cuoco: „Io sono la signora del castello e desidero fare un dono per il pranzo del matrimonio, che consisterà in due pesci.‟ Così le venne preparato il forno e vi fu messa dentro della legna; lei stessa fece cuocere i pesci ed erano così belli che nessuno ne aveva mai visti di migliori. Quando vennero
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portati a tavola tutti si meravigliarono nel vederli e, chiamato il cuoco, quando gli chiesero dove li avesse presi egli rispose che non li aveva presi lui ma che erano stati portati in dono dalla signora del castello. Allora la sposa, che era anch‟essa un poco strega, disse: „Oh, non è nulla, posso farlo anch‟io.‟ Ma la legna non le obbedì e, quando entrò nel forno, vi fu una fiammata ed essa venne bruciata fino a morire. E, fatto questo, i due pesci sulla tavola cominciarono a conversare tra loro, dicendo così: „Non ricordi il modo in cui il figlio del re entrò nella torre?‟ „Ricordo bene come volò via con la bella Patàna.‟ „Non ricordi com‟ella lo ha protetto dalla strega malvagia?‟ „Ricordo bene la chiesa ed il giardino, il pesce e la fontana.‟ „Non ricordi il bacio di sua madre, come egli dimenticò Patàna?‟ „Ricordo bene tutta questa strana storia, ma ora egli ricorda.‟ Allora il principe, udendo ciò, ricordò tutto. Così sposò la bella Patàna, colei che è adesso la Regina delle Fate.” Questa è forse la storia più comune tra quelle di fate italiane ed in una qualche forma è conosciuta in tutta Europa. L‟ho riportata qui perché il nome della sua protagonista, Patàna, è interessante in connessione ad alcune vicende della storia. Patàna era una Dea Romana che appare con molti nomi diversi, talvolta come una derivazione di Cerere o una Divinità del genere, e talvolta come Cerere stessa. Così vi erano Patelena, che apriva la cariosside del grano, Patellana e Patella, che inducevano la crescita del grano o ne presiedevano alla nascita; ella era la Dea del grano che germoglia o della crescita (vedi Bughin). “Perciò” dice Preller (R. Myth., pag. 592) “ella era la Dea del raccolto, la bionda Cerere dei Greci e, in realtà, come Dea dei raccolti pare sia stata principalmente conosciuta sotto questo nome nell‟antica Italia. Le tavole Inguviniche menzionano una Dea Padella e la tavoletta votiva di Oscan una Patana, che sono probabilmente la stessa cosa di Patella, che è la Divinità Panda. Pare anche che questo nome fosse comune per questa Dea al posto del Romano-Latino Ceres.” Chiesi alla mia fonte autorevole se conoscesse il nome di qualche spirito che causava la crescita di raccolti, alberi o simili. Ella suggerì subito Patàna, che in una storia aveva creato un giardino, una chiesa e la nascita di una fonte dalla terra. Varone (De vita pop. Ro. Citato da PRELLER) dice che questa Panda o Pandana , “ di cui Aelius pensava fosse Cerere, aveva un santuario dove veniva dato del pane a coloro che vi si rifugiavano.” Nella storia italiana a tutti gli oggetti dell‟arredamento viene dato da mangiare del pane bollito in acqua, così come gli spiriti dei morti vengono pacificati con del cibo; qui la mobilia può significare i rifugiati, che ricevono della pappa o pane bollito. Essendo Patàna stata confusa con Cerere e considerata come una sua forma minore o sua figlia, è possibile che l‟eroina di questa storia
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abbia mutato luogo con la matrigna. In questo caso abbiamo un parallelo molto curioso in Cerere che insegue Persefone o Proserpina. Nell‟una come nell‟altra, una madre-matrigna insegue i fuggitivi, Cerere mette Trittolemo sul fuoco per renderlo immortale (cosa che accade in una storia di streghe romagnola) ed in questa storia Patàna stessa entra nel fuoco. A Roma Cerere veniva considerata come nemica del matrimonio: “Alii dicunt Cererem proper raptum filire nuptias execratam” (Serv., V, A. III, 139) ed è evidente che nella nostra leggenda ella si oppone all‟unione senza una ragione apparente. Cerere nella leggenda latina viene derisa da un ragazzo, figlio di Metaniera, e lo punisce mutandolo in una lucertola; la strega-madre di Patàna va in collera con il giovane principe e gli infligge una punizione. E‟ perfettamente vero che con un poco di ingenuità si posso stabilire simili paralleli tra quasi tutte le storie di fate e qualche mito antico, ma qui abbiamo un nome in comune con i fatti corrispondenti, di cui possiamo presumere una identità di origine. Possiamo aggiungere che la storia della ciotola fatata che non è stata sfamata, dimenticata o negletta, che si vendica per la dimenticanza è di origine molto antica. LA troviamo per la prima volta nella Discordia, che andò in collera per non essere stata invitata al matrimonio di Teti e Pelia (Luciano, Dialog. Marin., v.; cfr. Hygni, fol. 92, Coluthus, De raptu Helen, v. 60). Questo incidente ricompare nel Medioevo nella fata che non venne invitata a presenziare alla nascita di Oberon e venne in seguito condannata a rimanere un nano. Questo non deriva necessariamente dalla tradizione, ma può avere il suo valore, così come tutti gli avvenimenti del folklore che vengono troppo frequentemente e rozzamente messi da parte da buona parte dei critici per pelano la cipolla fino a che non ne rimane nulla, dimenticando che per avere un risultato bisogna fermarsi dopo avere rimosso le foglie esterne. Vi è uno spirito nella tradizione, così come la lettera. Schedius, nel citare varie Divinità minori romane, include “Patellana seu Patula”. Il Moro “Vi era in Romagna una ricca signora che veniva trattata scortesemente dal marito perchè non aveva figli. Ed egli le diceva spesso che, se non avesse dato alla luce un figlio o una figlia, in breve tempo l‟avrebbe lasciata e si sarebbe preso un‟altra. Così la povera signora andava ogni giorno in chiesa per pregare Dio di essere così gentile da darle un figlio, ma questo non le venne concesso e perciò, dopo un periodo, ella non andò più in chiesa e smise di fare elemosine. Un giorno se ne stava sconsolata alla finestra, perch‟ella amava il marito e non ne era ricambiata, quando da una finestra di fronte un signore scuro (Signore Moro) la chiamò ed ella, alzando la testa, gli chiese cosa volesse. Il Moro, che era uno stregone (ossia uno
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magliatore, o maliardo), rispose: „Guardami fissamente negli occhi e tutto ti andrà bene. E questa notte, quando tuo marito ti abbraccerà, pensa fissamente a me e rimarrai incinta.‟ Così accadde e la povera signora fu molto felice di riguadagnare l‟amore di suo marito ed allo stesso tempo di diventare madre. Ma la gioia vola come le nuvole e così fece lei, perché quando il figlio nacque era scuro come il Moro, sì, e gli somigliava. Allora il marito abbandonò sia la moglie che il figlio, dicendo che il figlio non era suo. E la signora biasimò il Moro, dicendo che l‟aveva tradita. Ma il Moro replicò: „Non ti preoccupare, o buona signora, perché posso ancora mettere pace tra te e tuo marito. Domani verrà predicato un sermone sulla carità e, quando il frate ti darà la benedizione, metti il bambino per terra e lascia che vada dove vuole.‟ E così fece la signora. Ora, suo marito non andava mai in chiesa ma, udendo che quel giorno vi sarebbe stato un famoso predicatore, era presente. E quando la signora mise il bambino per terra, quale fu la sua sorpresa nel vederlo alzarsi, correre sui suoi piedini, andare da suo padre ed abbracciarlo con le sue manine, dicendo con parole distinte: „Babbo, perdona mamma, è innocente e tu vedi che è un miracolo di Dio che io sia venuto da te.‟ E da quel momento il bambino non pronunciò più una parola fino all‟età in cui solitamente i bambini parlano. Allora il padre, mosso dal miracolo, si riconciliò con sua moglie, ritornarono a casa e vissero felicemente.” Questa storia suggerirà al lettore molte figure familiari quali Otello, Tamora ed Aaron, la bella maga ed il suo negro nelle Milla e una Notte, e particolarmente la storia misteriosa della regina francese e del paggio nero. In essa vi è di particolarmente importante il fatto che la stregoneria viene resa superiore alla religione perché, anche se alla fine il miracolo si svolge in una chiesa e viene, per così dire, attribuito a Dio, è il Moro che ha ottenuto lo scopo. L‟avvenimento del bambino che parla si ritrova nel folklore di ogni terra, ma è notevole che le prime tracce di esso in Europa siano attribuibili al bambino etrusco Tagete, che viene fuori dal terreno arato, probabilmente nel posto da cui questa storia deriva. La strega Lea “Questa strega era una donna ricca, molto egoista e licenziosa, che cambiava spesso I suoi amanti. Ne teneva uno per un periodo e, quando era stanca di lui, lo conduceva in una stanza dove vi era una botola sul pavimento, attraverso la quale egli cadeva in un profondo pozzo fino ad una prigione sotterranea, dove periva miseramente. E così ella fece molte vittime e più ne sacrificava più era contenta, perché era una strega malvagia, insaziabile di lussuria ed assassinio. Ma questo non accadde con uno dei
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suoi amanti, che conosceva la sua natura. Quando ella gli chiese di passare oltre all‟entrata segreta, egli rispose: „Tu, la più vile delle donne, pensi che perché sei ricca e potente tutti debbano inginocchiarsi davanti a te? Ricca e potente e, oltre a questo, corrotta e civetta, vile che sei. Per coprire ogni disonore, ne mandi molti a Dio – fai morire i tuoi amanti. Ma non lo farai con me, perché io sono uno stregone figlio di una strega e sono più potente di te. E ne avrai la prova. „Tre volte ti chiamo, Lea, Lea o Lea! Sei maledetta dal profondo del cuore da mia madre e da me, perchè tu uccidesti mio fratello; per questo io ti condanno: un serpente diverrai. Ogni notte, come serpente, succhierai il sangue dei cadaveri, i cadaveri dei tuoi amanti morti; ma prima di tutto tu andrai sul corpo di mio fratello, metterai in lui la vita, vi esalerai dentro, lo farai rivivere. Da quel momento tutti gli uomini ti conosceranno come una strega maledetta!‟ E così accadde che dopo tre giorni il fratello morto venne fatto rivivere, ma la bella Lea rimase sempre una strega serpente.” Parrebbe esservi in questa storia una eco di Libitina, la Dea della lussuria e della morte. “Ab lubendo libido, lubidinosus, ac: Venus Libentina et Libitina” (Varone, 1.1, VI, 47; Preller, pag. 387). Ella veniva generalmente riconosciuta anche come Dea dei cadaveri e dei morti. Preller cita molti esempi che illustrano il fatto che la morte e la vita lussuriosa – schwellendes Leben – venivano collegati intimamente in un mito in una singola persona e che la sabina Feronia veniva paragonata alla greca Persefone ed a Flora. Vi sono anche le affinità tra Venere e Proserpina. La storia somiglia molto ad una di Odino, che è stata scritta in un poema germanico da Herz. Richiama anche “la fiera ed orgogliosa regina per ordine di cui De Buridan venne gettato a mezzanotte nella Senna.” Questa è la ben nota leggenda della Tour de Nesle.. Ma io credo che sia una vecchia storia italiana, probabilmente arcaica, perché in essa la connessione tra lussuria e morte è evidenziata molto fortemente e stranamente. Che a Lea venga data la forma di un serpente allo scopo di fare rivivere il morto non potrà mancare di colpire chi ha familiarità con la tradizione classica sui serpenti. E‟ davvero troppo ardito congetturare che la parola Lia o Lea derivi da Libitina, ma è certo che le caratteristiche delle due sono le stesse. Libitina era anche conosciuta tra i Romani come Lubia e come Dea della lussuria (Preller, 581), “cui nomen ab libidine” (Agostino, IV, 8) ed il nome potrebbe essere stato abbreviato ulteriormente. Il passo da Libia o Livia a Lia sarebbe pressoché inevitabile in un dialetto contadino. Dobbiamo sempre ricordare in tali casi che la storia proviene dallo stesso paese di quelle figure antiche.
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Santi stregoni Era la cosa più naturale del mondo che vi fossero certe mescolanze, compromessi e punti di affinità tra la stregeria, o “vecchia religione”, basata sulla mitologia etrusca o romana e sui loro riti, ed il cattolicesimo romano: entrambe erano basate sulla magia, entrambe usavano feticci, amuleti, incantesimi e facevano ricorso a spiriti. In alcuni casi gli spiriti o i santi cristiani corrispondevano a, ed in realtà derivavano da, la stessa fonte dei pagani. Le maghe tra i contadini toscani non erano lente nel percepirlo. Quanto sia realmente radicata la vecchia religione si può immaginare oggi dalla storia raccontata in Faflon, del contadino che, qualunque cosa accadesse, non mancava mai di benedire i folletti – cioè le Divinità rurali. Le famiglie in cui la stregheria o la conoscenza di amuleti, antiche tradizioni e canzoni viene mantenuta, tra loro non fingono di essere cristiane. Come a dire che mantengono le osservanze esteriori e crescono i bambini come cattolici, “rimanendo” con i preti, ma quando i bambini crescono, se osservano in loro una qualche attitudine alla magia alcune vecchie nonne o zie li prendono per mano e li iniziano all‟antica fede. O almeno era così, perchè ora tutto sta scomparendo rapidamente. Certi santi venivano considerato essere dei folletti. Folletto è un termine generico per quasi ogni tipo di spirito non cristiano. Fate, gobelin, spettri, ninfe, vengono tutti chiamati con questo nome. Vi è un Manuale di Spiriti Folletti pubblicato ad Asti nel 1864 che comprende diavoli, vampiri, ondine e comete sotto questa parola. Il capo dei santi-goblin è Sant‟Antonio. Questa figura aveva particolare familiarità con strani spiriti di ogni sorta. I preti dissero che egli venne assediato e tentato da diavoli, ma le maghe sapevano che tutti i loro cari e bei Dei, o folletti – i loro Faflon, Bacco e Bella Marta del Mattino – venivano chiamati diavoli e così avevano le loro idee in merito. Esse non obiettavano al fatto che fosse tentato da questi “diavoli”, quando essi si presentavano come esseri di una bellezza che incantava, a riempire le loro cantine di vino ed a dare loro fortuna senza fine nel gioco e nell‟amore. Anche i preti consideravano molto importante il fatto che Antonio comandasse tutti i tipi di diavoli e folletti – ergo egli era un evocatore di spiriti ed uno stregone ed era “del mestiere” come loro. “I Santi Antonio e Simeone non possono essere santi” mi disse una strega, “perché noi facciamo sempre loro incantesimi di notte in una cantina.” Questo viene naturalmente sempre fatto con gli spiriti pagani e mai con i santi. Ma conclusivo è questo: è decisamente una cosa della stregoneria e non cristiana il dire le preghiere del Signore al contrario o “doppiate”, cioè ripetere due volte ogni frase. Questo – il pater noster doppio – richiamerà qualunque spirito pagano al doppio della velocità e viene particolarmente
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indirizzato verso Sant‟Antonio, e reca il suo nome. Così, quando qualcuno ha perduto qualcosa, si dice un doppio paternoster a Sant‟Antonio, in tal modo: „Pater noster, Pater noster! Qui es in coelis, qui es in coelis!‟ eccetera. „Ma dire il paternoster così è della stregherai e non della vera religione cattolica‟; così disse uno che aveva ricevuto un‟educazione liberale nell‟arte. Quasi pagano appare questo santo nella seguente cerimonia, ogni dettaglio della quale è preso dall‟antica stregoneria. Quando una ragazza desidera conquistare o riottenere un amante, o se qualcuno desidera qualunque altra cosa, lei (o lui, ma generalmente lei) mette due fioriere contenenti l‟erba di Sant‟Antonio una ad ogni lato di una finestra aperta a mezzanotte, con una fioriera di ruta al centro. Devono essere legate con un nastro di color rosso scarlatto, cui bisogna fare tre nodi e fermare la treccia con degli spilli, come una nappa (fatta con tre nodi e puntati con tre spilli per fiocco) e, rivolta verso la finestra, deve dire: „Sant‟Antonio mio benigno, di pregarvi non son digno; se questa grazia mi farete tre fiamme di fuoco per me farete: una sopra la mia testa, che per me arde e tempesta; una accanto al mio cuore che mi levi questo dolore; una vicino alla mia porta che di questa grazia non se ne sorta (non se ne vada). Se questa grazia mi avete fatto, fatemi sentire tre voci: porta bussare, uomo fischiare e cane abbaiare!‟ Quando sarà stata pronunciata questa preghiera, attendete con attenzione alla finestra e, se udite un busso alla porta o un uomo fischiare o un cane abbaiare, allora la richiesta – grazia- verrà concessa; uno solo di questi suoni sarà sufficiente per saperlo. Ma se un cavallo nero o un mulo dovessero passare, oppure un carro funebre che trasporta un cadavere, allora la preghiera è rifiutata. Ma se passa lì accanto un cavallo bianco, il favore verrà concesso – con molto tempo – dopo un po‟ di tempo.” Può sorgere il pensiero che, nonostante essa sia indirizzata ad un santo medioevale, vi siano molte probabilità e, giudicando dalle analogie e dalle associazioni, la certezza, che Sant‟Antonio sia qualche spirito etrusco o romano sotto spoglie cristiane, perché tutti i dettagli della cerimonia sono pagani, così come la divinazione per mezzo dei suoni. Sant‟Antonio protegge i suoi amici da molti guai, ma specialmente dalla stregoneria. Perciò in Romagna dicono di lui: “Sant' Antogne, Sant' Antogne sopre came, liberez dai sase! Liberez dai asase! E dal streghi chliùvengu, in ca‟ mia a stregem i mi burdel chi 'e tent bel! Sant' Antogne e santa pia, tui lontan el streghi da ca‟ mia, so ven el streghi in ca mia ai buttar dre la graneda, chi vega via!” In Italiano:
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“Sant‟Antonio sopra il camino liberateci dagli assassini! Liberateci dagli assassini! E dalle Streghe, che non vengano in casa mia a stregare i miei bambini che sono tanti belli, Santo mio, Santo pio! Tenetemi lontano le streghe da casa mia! Se vengono le streghe in casa mia, buttatele dietro la granata (ginestra) Che vadano via!” Non è un poema molto bello ma è buono come l‟originale, che non è certo scritto in “Italiano scelto”. Riguardo a Sant‟Antonio sul camino, mi è stato detto che egli è in particolare il folletto, o spirito, del focolare. Questo lo rende pressoché identico al russo Domovoy e gli dà – cosa da notare – un posto distinto come Lar o spiritus domesticus, lar familiaris. Sant‟Eliseo è indubitabilmente a prima vista Elisha. Ha la testa pelata ed appare come distruttore dei ragazzi cattivi. Ma – gratta un Russo e troverai un Tartaro – quando guardiamo questo interessante santo cristiano egli appare tristemente pagano, anche gioviale, perché vi è in lui una traccia distinta di Giove. Quando una giovane signora scopre che il suo innamorato sta andando fuori strada ella, come nella più nera stregoneria, prende alcuni capelli di lui, va a mezzanotte in una cantina e maledice, dice blasfemie ed evoca secondo il buon vecchio stile toscano: “Santo Eliseo dalla testa pelata, una grazia mi vorrete fare; i ragazzi da un leone li avete fatti mangiare, spero di me non vi vorrete dimenticare. Stanotte a mezzanotte dentro alla cantina vi verrò a portare i peli dell‟amor mio perché una parrucca ve ne possiate fare ed al posto dei peli dell‟amor mio tutti diavoli e streghe li farete diventare, che non possa vivere, non possa stare, che non abbia più pace né a bere né a mangiare fino a che l‟amor mio alle porte di casa mia non faranno ritornare; non gli diano pace e con altre donne non lo facciano parlare!” Davvero un‟invocazione curiosa ed una simpatica occupazione per un santo cristiano. Ma chi era Eliseo o Elisaeus? Vi è un‟antico Jpiter Elocouesy o Aclisaeus, non collegato con i leoni, che era ben conosciuto nella stessa terra toscana; ma lascio questo ad altri. L‟Elisha della Bibbia era un magnifico operatore di miracoli e questo può averlo fatto considerare dai Toscani un mago. Sant‟Elia appare nella seguente prescrizione ed invocazione: “Per curare un‟afflizione degli occhi, prendete tre radici legate con un nastro rosso, tre foglie di trifoglio e quindi dite: „Stacco queste tre foglie per Sant‟Elia, che il mal d‟occhi mi mandi via!‟ Prendete quindi tre grani di pepe nero, tre chiodi di garofano, una grossa manciata di sale e mettete il tutto a bollire in una pentola di terracotta nuova, lasciandola bollire per un quarto d‟ora. Durante questo tempo, mettete il volto sopra ad essa in modo che gli occhi possano essere esposti al vapore (attenzione a non avvicinarsi
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troppo alla pentola: il vapore può bruciare, da troppo vicino! n.d.t.) e continuate a fare il segno della castagna (il segno del pollice fra le dita) sopra alla pentola dicendo: „Per ……. che maledetto sia! (sputate quindi tre volte dietro di voi) Per Santo Elia, Santo Elia, Santo Elia! Che il male degli occhi mi mandi via!‟ E si deve far questo per tre giorni.” Un altro stregone è Simeone. Viene chiamato talvolta Simeone Mago, che indubitabilmente viene confuso spesso con Simon Mago; infatti, ho accertato questo da una strega di media educazione: quando la gente non viene incoraggiata a studiare la Bibbia, tali piccoli errori sono inevitabili. Ma, prima di concludere questo capitolo, mostrerò che in Italia vi è una completa confusione tra la vecchia magia ed il cristianesimo e che I preti, lungi dall‟opporvisi, in realtà la incoraggiano e la aiutano, in base al principio che si possono sempre vendere più merci se vi è un rivale in competizione. Quanto segue è stato ripreso parola per parola da una strega. Il vecchio Simeone Santo “Questo santo è un folletto – uno spirito pagano. Vi sono molti di questi spiriti che nella stregoneria vengono chiamati santi. E non è tutto perché come si invoca Simeone si possono invocare altri spiriti facendo la novena.” (questa è un incantesimo cattolico romano, una copia del quale mi è stata fornita in un negozio di croci e rosari) “Semplicemente si sostituisce il nome di un folletto a quello di Simeone – qualunque spirito si voglia. Ma, per quanto riguarda Simeone stesso, quando si va a letto si deve ripetere la sua novena per tre notti di seguito a mezzanotte. Ma si deve essere coraggiosi, perch‟egli arriverà in varie forme, vestito come un prete in bianco o come un frate con una lunga barba. Ma non si tema se dovesse mutare forma. E lui chiederà: „Cosa volete che mi avete scomodato?‟ Allora rispondete prontamente ciò che desiderate – tre numeri della lotteria o dov‟è nascosto un tesoro o come potete ottenere l‟amore di una certa donna: qualunque fortuna si desidera. Ma, nel ripetere la novena, state attenti a non sbagliare una sola sillaba ed a ripeterla senza timore (colla mente molto ferma) ed otterrete in tal modo ciò che volete da lui. Ma se non siete senza timore e pronti nel rispondere, egli vi darà uno schiaffo tanto forte che le sue cinque dita rimarranno impresse sul vostro volto – sì, e talvolta non scompaiono più.” La novena è la seguente: “O gloriosissimo San Vecchio Simeone, che meritaste ed aveste la bella sorte di ricevere e portare nella vostre fortunate braccia il Divin Pargoletto Gesù e le annunziaste e profetizzaste e le vostre Profezie furono sante verità; oh, Santo, concedetemi la grazia che vi addomando. Amen.”
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Questa è l‟iscrizione sotto una stampa colorata in cui il santo viene rappresentato vestito con una camicia grigia lunga fino a terra, una gonna scarlatta fino al ginocchio, una fascia gialla a cintura ed una sorta di mitra alta come cappello, simile a quella che veniva portata dai maghi e dalle maghe e dai preti egiziani nell‟antichità e che nel II o III secolo venne a far parte, insieme ad una quantità di altre proprietà e vesti orientali, del cattolicesimo romano nella Grande Opera di San Pietro. Quello che segue è il racconto si un incantesimo fattomi da un credente nell‟antica magia toscana. In esso vi è chiaro un antico spirito pagano del mago Simeone, che mutò forma come Proteus. E‟ molto curioso compararlo al seguente metodo cattolico romano di fare un oracolo, come dato nel Libretto delle stregonerie, un‟opera popolare da pochi soldi e mezza pia. Il buon vecchio Simeone “Procuratevi un‟immagine o una statuetta di gesso di questo grande santo, che presiedette alla circoncisione di nostro Signore Gesù Cristo insieme al vecchio San Giuseppe ed alla Vergine Maria, essendo entrambi i molto amati genitori del Signore Dio il Redentore. Non fa differenza se l‟immagine del santo è di gesso o un disegno, se ripetiamo la meravigliosa orazione (novena) a lui dedicata e, secondo le istruzioni in essa contenute, recitiamo la preghiera d‟uso. Ed è certo che, dopo la novena, il buon vecchio apparirà in qualche forma e darà a chi sta pregando ciò che chiede; ma ciò che accorda principalmente sono i numeri fortunati della lotteria. Non c‟è motivo di temere, perché il santo generalmente appare in sogno mentre dormite e la sua forma è così buona e benevola che non vi è pericolo di svegliarsi tremanti e spaventati. La difficoltà consiste nel sapere come decifrare l‟esatto significato delle parole e dei segni che il santo darà. Molte persone non raggiungono il proprio scopo, secondo quanto dicono molti che l‟hanno sperimentato, da tanto è difficile decifrare e sciogliere i problemi o l‟allegoria.” Qui, lettore, devi fare la tua scelta. Uno è il vero e proprio serio antico pagano classico Proteus Simon, che richiede il coraggio di un antico Norvegese per affrontarlo, o quello di uno che “ha depredato le tombe di eroi antichi ed ha preso dai cadaveri che le trattenevano le scimitarre maledette”, mentre l‟altro è tutto acqua di rose, zucchero e nastrini rosa chiaro. Ma avreste dovuto vedere la strega che mi ha prescritto questo incantesimo allopatico! Un giorno diedi ad una giovane donna un amuleto – una pietra a forma di topo – per la fortuna. La sua prima domanda fu: “Mi farà vincere alla lotteria?” “Per quello” risposi “devi metterlo sotto al cuscino e pregare San Simeone” “Sì, sì,” gridò lei entusiasta “conosco la novena.” Quando la
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incontrai nuovamente qualche tempo dopo, ella dichiarò che il topo (che portava in un sacchetto rosso appeso al collo ma nascosto) le aveva subito portato una vincita alla lotteria e molta altra fortuna inaspettata. Abbiamo qui due forme di magia – una antica romano-etrusca e l‟altra una sua modificazione sotto l‟influenza cattolica romana. Sospetto che la prima fosse inizialmente puramente etrusca, ma venne modificata per concordare con Simon Mago. Possiedo altre forme di incantesimi diabolici o pagani che sono inequivocabilmente pre- o anti-cristiani e che concordano con questa forma così tanto da provarne una origine comune. Ecco ulteriori esempi. Non è notevole che vi siano santi mezzi pagani in un paese dove la stessa religione cristiana fa straordinari e frequenti compromessi con la comune magia e la stregoneria nera? Nei tempi antichi le anime di quegli uomini che avevano ucciso molte vittime venivano invocate più di tutte le altre, credendo che essi portassero con sé nell‟altro mondo il potere audace che avevano conquistato grazie al sangue. Disgustosa ed atroce adorazione di criminali morti è al giorno d‟oggi molto seguita in Sicilia con la cordiale approvazione del sacerdozio, come il lettore potrà imparare in dettaglio in un capitolo della Biblioteca delle Tradizioni popolari Siciliane edito da Giuseppe Pitrè, vol. XVII, Palermo, 1889. In esso viene detto che, quando gli assassini ed altri atroci criminali venivano decapitati, se si erano confessati ed avevano ricevuto l‟assoluzione prima della morte si credeva diventassero un tipo di santo particolarmente favorito che, se invocato quando qualcuno è in pericolo di venire derubato ed ucciso, scendono dal cielo ed aiutano la vittima. E questo si è portato così avanti che a Palermo esiste anche una “chiesa delle anime dei corpi decollati”, con molte immagini dei santi miracoli fatti dagli assassini santificati. M. Pitrè ha dedicato 25 pagine a questo soggetto, mostrando l‟estensione si questa tra le più vili forme di superstizione e stregoneria, lo zelo dei suoi adoratori ed il grado in cui viene incoraggiata dai preti. Vi è un‟opera intitolata a San Francesco di Assisi, Discorsi sacri, fatta pubblicare dal Rev. Fortunato Mondello, Palermo, 1874, in cui tale adorazione viene lodata ed esaltata con molto falso fervore di seconda mano in quello stile di scrittura fervida di cattiva qualità che ricorda una delle statue di santi di gesso di terza categoria nelle chiese gesuite dell‟ultimo secolo, in cui lo scultore tenta di rendere un sentimento sacro ma riesce solo a renderla spasmodicamente sciocca. Questa è in realtà adorazione del diavolo. Questi santi sono stati la schiuma del locale brigantaggio, della violenza, del furto e della malvagità – demoni incarnati – ed ora, perché sono passati attraverso delle semplici parole e sono stati spruzzati ed oliati, vengono adorati come Dio, vengono pregati ed i loro parenti sono fieri di loro. In tutto ciò non appare una sola
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parola per le loro sfortunate vittime. No, perché queste ultime sono andate direttamente all‟inferno, essendo morte per la maggior parte “nel peccato”, senza confessione. “Nei dintorni di Napoli ed in Sicilia si credeva che un uomo sarebbe stato certo di non andare all‟inferno se avesse preso della farina, l‟avesse avvolta in un foglio di carta, l‟avesse portata ad un prete che la tenesse sull‟altare vicino alla coppa e la rendesse potente con le parole della consacrazione.” (Ibid., pag. 142). Questa pratica venne condannata nel 1638 ma vi sono molte cerimonie similari tuttora praticate con l‟aiuto di preti. Così a Firenze, se una donna desidera rimanere incinta, va da un prete e prende da lui una mela incantata con cui va da Santa Anna, la San Na che era la Lucina dell‟epoca Romana, e ripete una preghiera o un incantesimo. E tutto ciò non è magia! Oh, caro, no – è una cosa diversa! Thana era infatti l‟etrusca Lucina, la Dea della nascita, ed Anna potrebbe essere derivata da essa, che era identica a Losna. San Lorenzo è un altro pagano sotto mentite spoglie. Venne arrostito sulla graticola. Il suo giorno è il 10 agosto, quando moltissimi bambini visitano la sua chiesa e si voltano per tre volte davanti all‟altare o vi girano attorno per tre volte recitando orazioni, incantesimi e preghiere per avere buona sorte. E ciascuna volta far mostra d‟uscire di chiesa.” Questo voltarsi o girare intorno per avere fortuna è vestigio dell‟antica adorazione della Fortuna e del girare della sua ruota. Ad oggi in Sicilia il voltare il coltello o fare girare una ruota è una invocazione alla Fortuna, secondo Pitrè. Per ricorrere a Simeone, difficilmente si potrebbe evitare di chiedersi riguardo ad esso, in quanto santo della circoncisione (siccome fu lui a compiere quest‟atto e Cristo vi fu sottomesso) che ci dà qui un esempio divino e siccome la circoncisione viene glorificata in ogni chiesa ed in migliaia di immagini (come in questa novena), perché i cattolici non la subiscono. Di certo il Papa, i cardinali ed i sacerdoti dovrebbero conformarsi a ciò che glorificano ed esserne esempio. “O, se così, perché no” “Matter of Breviary”, citazione di Frate John. Simeone in quanto santo dei sogni ha preso il posto di Somnus. Potrebbe essere che Somnus, che divenne Somno, fosse chiamato Somnone e così si sia fuso con Simeone. Questa è una mera congettura, ma la differenza tra San Simeone e San Somnone non è tremenda e Simeone è il santo dei sogni. Mentre stavo andando in stampa con queste pagine, ho ricevuto diversi documenti curiosi che mi dispiace non potere dare in dettaglio. Il primo è una leggenda sullo spirito di un mago che in terra era un prete di nome Arrimini, che si nascose nel noce magico (probabilmente di Benevento) ed acquisì poteri magici per mezzo del sangue di una strega. Il secondo è una strana ed interessante storia sulla rivalità di due streghe di nome Meta e Goda, in cui quest‟ultima viene a soffrire per avere tentato di stregare il
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figlio del re. Entrambe queste storie provengono dalla Toscana o dalla Romagna; quella di Arrimini da Premilcuore ed è scritta da Peppino, di cui abbiamo parlato varie volte in questo libro. Potrei qui porre l‟enfasi sul fatto che queste leggende di streghe o di magia posseggono un carattere marcatamente proprio, essendo tutte più dure, crude ed inquietanti delle usuali storie italiane di fate, nelle quali vi sono tuttavia molte tracce di quelle di streghe.
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Seconda Parte
Incantesimi, divinazione, talismani e cure, medicina, amuleti
Capitolo I La stalla del maiale Nella saga di Heimskringla, un‟antica storia norvegese, si racconta che quando Ranghild, la moglie del Re Halfdan il Bruno, era incinta fece sogni meravigliosi. Una volta le sembrò di essere in piedi in un giardino e di stare cercando di togliere una spina dalla sua camicia, ma essa crebbe nella sua mano fino a divenire un lungo fuso. Un capo del fuso mise radici in terra, mentre l‟altro divenne un grande albero, così alto che il suo sguardo poteva a malapena vederne la cima. La parte inferiore del tronco era rossa come sangue, più in alto era verde e bella, mentre i rami erano bianchi come neve. Essi erano di grandezze molto diverse e le sembrava che si estendessero per l‟intero regno di Norvegia. Anche il Re Halfdan, nell‟udire questo, desiderò sognare per spiegare meglio il mistero. Consultò un mago, che gli disse che il modo
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sicuro per avere sogni profetici era di dormire in un porcile. Il re lo fece e sognò che i suo capelli crescevano fino a divenire molto lunghi e belli. Cadevano intorno alla sua testa e sulle sue spalle in lucide ciocche, ma erano di lunghezza e colori diversi; ed una ciocca era più lunga, più chiara e più bella delle altre. Questo venne interpretato come presagio che una razza potente di re sarebbe nata da lui, nonostante essi non avrebbero avuto uguale fama tra loro. La ciocca più grossa sarebbe arrivata a giorni, secondo Snorri Sturleson, e si pensò indicasse Olaf il Santo. La regina era incinta di Harold, che divenne famoso per le sue lunghe ciocche grazie alle quali venne chiamato Harold Harfagr, o Harold dai Bei Capelli. La credenza che i sogni profetici potessero essere assicurati dormendo in una porcilaia è largamente diffusa. I Rumeni ed i cosiddetti Sassoni e probabilmente tutti gli Slavi e gli abitanti zingari dell‟Ungheria hanno familiarità con essa. Perciò non rimasi stupito quando, chiedendo alla mia veggente toscana se la gente avesse mai dormito in una stalla di maiale, o porcilaia, ella rispose che per avere un vero sogno era il metodo maggiormente approvato conosciuto e procedette a spiegare in che modo dovesse farsi con queste parole: “Per conoscere in sogno il futuro si deve dormire in una porcilaia e soprattutto si deve essere certi che sia occupata da una maiala incinta o gravida. E si deve dormire bocconi, cioè proni e rannicchiati o distesi sulla schiena, ma non sul fianco. E prima di dormire si deve dire: „Mi addormento per fare un buon sogno; Sant‟Antonio, che siete sopra i maiali, fatemi la grazia che possa fare un buon sogno secondo il mio desiderio.‟ E facendo questo sicuramente si vedrà in sogno ciò che accadrà o la spiegazione di ciò che si desidera sapere.” E‟ interessante osservare che così come tutto ciò che era collegato alla generazione veniva associato alla luce ed alla primavera che si rinnova, il maiale, nonostante fosse come il cinghiale simbolo di morte ed oscurità, essendo tuttavia enormemente prolifico “ed uno dei più libidinosi tra gli animali, era sacro a Venere e per questa ragione, secondo i Pitagorici, gli uomini lussuriosi vengono trasformati in maiali” (De Gubernatis, vol. II, pag. 6). Infatti la pudendum fem. stessa, quale simbolo di fertilità, veniva conosciuta come maiale ed è per questa ragione stata portata come amuleto per la fortuna. La conchiglia ciprea, grazie alla sua somiglianza con questo organo veniva anche chiamata maiale ed attualmente viene usata moltissimo come amuleto contro il malocchio. In Varone (De Re Rustica, II, 4) leggiamo: “Nuptiarum initio, antiqui reges ac sublimes viri in Hetruria in conjunctione nuptiali nova nupta, et novus maritus primum porcum
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immolant; prisci quoque Latini et etiam Græci in Italia fecisse videntur, nam et nostræ mulieres, maxime nutrices naturam, qua fœminæ sunt, in virginibus appellant porcum, et Græce choiron, significantes esse dignum insigni nuptiarum.” Come il dormire in un porcile dà sogni veri, così il maiale pare che in molte terre sia stato in antichità stretto compagno della verità, perché Romani, Scandinavi e Germani giuravano tutti su di esso (Livius, I, 24; Mome, Geschichte des Heidenthums, I, pag. 259; Claudius Paradinus Symbola heroica - Antwerp, 1583 -, pag. 8). Anche nella Saga di Hervor il Re Heidreck giura per un cinghiale, simbolo sacro a Freya. Il maiale veniva così comunemente usato nei sacrifici ed era così strettamente connesso ai misteri ed ai sacri riti che un Tedesco, Casselius, pubblicò in merito un‟opera - De Sacrificiis porcinis in cultu deorum veterum, Bremen, 1769. Per saperne di più sul maiale nella mitologia antica e nella leggenda il lettore può consultare Die Symbolik und Mythologie der Natur di J. B. Friedrich. Wurzburg, 1859. Generalmente non è risaputo che la ragione per cui I Turchi vietano di mangiare maiale è che tutte le cose viventi furono convertite al Maomettanismo eccetto il maiale, che rimase pagano. Ed in Olanda vi è tra i contadini un detto: “il maiale sotto alla botte”, che fa riferimento al ritornello ebraico della “bestia impura” e ne dà una storia a riguardo: “Quando Cristo una volta andò a predicare, gli Ebrei misero in ridicolo il suo insegnamento e, per testare la sua saggezza, nascosero uno di loro sotto ad una botte e gli chiesero cosa vi fosse lì; egli rispose: “un maiale” ed essi risero, facendosi beffe di lui. Ma meraviglia! quando sollevarono il barile il loro amico era lì, mutato in un maiale. Ed egli corse via e si mescolò con gli altri maiali e, siccome gli Ebrei non riuscirono a prenderlo, fino ad oggi non hanno mai mangiato maiale per timore di divorare lui o i suoi discendenti.” Vi è un‟altra storia curiosa riguardo al sognare in una porcilaia. “Quando il Conte Haakon stava fuggendo dai suoi sottoposti che si erano ribellati (A.D. 995), con lui vi era un solo uno schiavo di nome Kark, che era stato compagno di giochi nella sua infanzia, ed essi andarono dalla sua signora Thora di Rimul. Ella li nascose in una profonda fossa sotto alla sua porcilaia, che venne coperta con tavole e terra. Ed i maiali vi erano sopra. Arrivò quindi a Rimul Olaf Tryggvesson, della razza di Harold dai Bei Capelli, per cercare ed uccidere Haakon. Chiamando a raduno i suoi uomini, egli salì su una grande pietra sopra la porcilaia e dichiarò a voce alta che avrebbe dato una grossa ricompensa a chi avesse trovato il Conte e lo avesse ucciso. Il Conte lo udì e vide che anche lo schiavo Kark stava ascoltando attentamente. „Perché sei così pallido, ora,‟ chiese il Conte – „ed
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ora sei nuovamente nero come la terra? Intendi tradirmi?‟ „No‟ rispose Kark. „Siamo nati entrambi la stessa notte‟ disse il Conte „e le nostre morti non saranno lontane tra loro.‟ Sedettero in silenzio. Infine Kark si addormentò ma parlava e si muoveva nel sonno. Il Conte lo svegliò e gli chiese cosa avesse sognato. „Ho sognato‟ rispose Kark „che eravamo entrambi a bordo di una nave ed io stavo al timone.‟ „Questo deve significare che tu governi sulla tua vita e sulla mia. Siimi fedele e, quando giungeranno tempi migliori, ti ricompenserò.‟ Lo schiavo si riaddormentò nuovamente ed ebbe un incubo. Il Conte lo svegliò di nuovo e gli chiese del suo sogno. „Pensavo di essere a Hlode‟ disse Kark „ed Olaf Tryggvesson aveva messo intorno al mio collo un anello dorato.‟ „Questo significa‟ disse il Conte „che Olaf ti metterà al collo un anello rosso se andrai a cercarlo. Perciò stai attento a lui e siimi fedele.‟ Ma quando il Conte cadde addormentato Kark lo uccise con il suo coltello, recidendogli la gola. Dopo poco egli raggiunse Olaf con la testa di Haakon e reclamò la ricompensa promessa, ma Olaf adempì alla profezia dell‟assassinato: non mise al collo di Kark un anello d‟oro, bensì uno di sangue, perché lo decapitò. Questo perché nonostante Haakon Jarlo, Conte Haco, fosse il suo più mortale nemico e gli avesse fatto molto male durante tutta la sua vita, a lui piaceva poco che un uomo così grande fosse stato ucciso a tradimento da uno schiavo che aveva sempre trattato con gentilezza. E la saga termina: „Oc er Olafr kiendi thetta var hofut Hakonar Jarlo, tha reddist ban thrælnum, oc bad han uppfesta, oc sagdi hann hofa skild maklig laun, fyri sin Drottin svik. Sveik hann Hakon Jarl, svikia. mann hann mik, ef han ma. Enn sua skal leida drottins svikun.‟ In Italiano: „E quando Olaf seppe che era la testa del Conte Haakon, montò in collera con lo schiavo, ordinò che fosse impiccato e disse: Egli deve essere malvagio per avere tradito il suo padrone. Perché, se lo ha fatto con il Conte Haakon, così tradirà anche me, se potrà Ŕ e così verranno ricompensati tutti i traditori dei propri padroni.‟” Siccome siamo influenzati da ciò che ci circonda, è naturale che certi posti siano stati scelti per sognarci dentro. “Abbiamo letto” dice Pico della Mirandola nel suo Strega “che i medici della Calabria e di Taurus erano soliti dormire nel sepolcro di Podalirius ed altri in quello di Esculapius.” Una porcilaia è, ovviamente, molto distante da un tempio o da una tomba. Siccome la storia precedente è prettamente nordica, potrebbe essere giunta in Romagna attraverso I Lombardi. Si può osservare che solo nelle tradizioni italiane vengono forniti i dettagli di questa cerimonia. La presenza della scrofa incinta è significativa. Fu grazie ad una predizione
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riguardante una scrofa del genere che Odino venne sospettato da Re Heidreck nella Saga di Hervor. Ma, non molto tempo dopo avere scritto queste note, incrociai nel Symbolik di Creuzer (che conobbi ad Heidelberg nel 1847) un passaggio che pare gettare molta luce su questa connessione della porcilaia con il tempio: “A Demeter o Cerere incinta venivano offerti in sacrificio in particolare scrofe, come ci dice lo Stoico Cornutus, che visse 68 anni dopo Cristo e con lui Arnobius (Disput. adversus Gentes, edit. Elmenhorst, pag. 135), aggiungendo che era a causa della grande fertilità di questo animale.” Accadde dunque che i maiali venissero tenuti nelle cantine del tempio di Cerere e Proserpina, come riferisce Creuzer: “In onore di queste Dee i Beoziani mettevano dei maialini nelle cappelle sotterranee, che l‟anno seguente sarebbero stati visti nei prati di Dodona. Pausania e Clemente Alessandrino dicono che questo veniva fatto anche in altri posti.” Cerere era prevalentemente una Dea della fertilità e perciò della fortuna e di tutte le influenze positive; le venivano perciò offerti dei piccoli maiali d‟oro e d‟argento, che venivano anche indossati dalle signore romane in parte per assicurarsi la gravidanza ed in parte per avere fortuna – un costume rivisse alcuni anni fa a Parigi. E‟ da notare che la superstizione italiana richiede che vi debba essere una scrofa incinta nella porcilaia. Secondo Aristofane, il sacrificio della scrofa doveva essere fatto quando si era stati iniziati ai misteri. Per informazioni in merito consultate anche Bayerische Sagen und Bräuche, Beitrag zur Deutschen Mythologie di Friedrich Panzer, München, 1848. Da quanto detto, pare che gli antichi dormissero in certi templi di Dei per avere sogni profetici e che questi templi venissero usati parzialmente come porcilaie. E pare certo che Cerere venisse consultata frequentemente per mezzo dei sogni e che questo sognare aveva luogo nei suoi templi, dove venivano tenuti dei maiali.
L’incantesimo dell’edera e della statua “Cur hederâ cincta est? hedera est gratissima Baccho, Hoc quoque, curita sit, dicere nulla mora est. Nysiades Nymphæ puerum quærente noverâ Hanc frondem cunis apposuêre novis.” Ovidio, Fasti, III La prima delle cure mediche magiche di Marcellus di Bordeaux è la seguente: “Herba in capite statuæ cujus libet nasci solet, ea decrescente luna, sublata capitique circumligata dolorem tollit.” “Se viene colta dell‟erba che cresce sulla testa di una qualunque statua in fase di Luna calante, cingendosene la testa rimuove il dolore.” La sesta è pressochè identica:
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“Herba vel hedera in capite statuæ cujus libet nasci solet, ea si in panno rufo ligata capiti vel temporibus alligetur, mirum remedium hemicraniæ vel heterocraniæ prestabit.” “Se cresce dell‟erba o dell‟edera sulla testa di una qualunque statua e viene raccolta e posta in un panno rosso sulla testa o le tempie, sarà un rimedio meraviglioso per il mal di testa o nevralgia.” Investigai per molto tempo a Firenze prima di trovare la cura che segue: “Quando prendete dell‟erba dalla testa di una statua per curare un mal di testa dovete dire: „Non prendo l‟erba, ma prendo la magia, che il mal di capo mi vada via e chi mi ha dato la malia il diavolo la porti via.‟ Dovete quindi fare il segno delle corna (o jettatura) dietro di voi.” Fatelo nell‟antico stile Romano sopra la spalla destra. Marcellus, in quanto medico della corte imperiale, probabilmente non ottenne le sue prescrizioni molto accuratamente dalla gente. Sono pressoché certo che questo incantesimo italiano sia molto più antico del III secolo. E‟ nella stessa forma di molti altri ma in esso si presume che anche un mal di testa possa essere il risultato di una magia negativa. Questa è la più antica forma di stregoneria. Non dubito che l‟edera fosse la pianta originariamente usata in questa cura. Nell‟antico simbolismo religioso, come nell‟inghirlandarne la testa di Bacco, essa significava la vita stessa, molto profondamente ed in maniera importante. Perciò, quando veniva trovata a crescere sopra ad una statua, si supponeva naturalmente che fosse molto efficace. I primi cristiani presero a prestito molte cose dionisiache e, tra le altre, l‟edera. Essi la mettevano nelle tombe quale simbolo della nuova vita in Cristo. Ho detto che l‟edera sulla testa di una statua era, nel simbolismo Romano, tipica della salute e della vita. Su una testa, come ghirlanda, serto o fascia, significava anche ispirazione, poesia o genio attivo, come appare dal seguente passo di Ovidio: “Siquis habes nostris similes in imagine vultus, deme meis hederas bacchica serta comis, ista decent lætos felicia signa poetas, temporibus non est apta corona meis.” Tristium, lib. I, cl. 6 Riguardo all‟incoronazione con edera o rose ed a molti altri usi, si può dire che in realtà sappiamo molto poco dei sentimenti, delle sensazioni e delle associazioni che in antico vi erano connessi. E‟ notevole il fatto che, secondo una tradizione molto antica e diffusa, una pianta che cresca lontano dalla terra o sopra ad essa di crede possieda virtù magiche o di guarigione o che sia posseduta da uno spirito. Il vischio, per la sua natura aerea, divenne pressoché il centro del rituale druidico ed il muschio possiede molti misteri. Si crede che il sempreverde tedesco Hauswurz o Donnerkraut protegga una
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casa dai fulmini (Grimm, D.M.,2 ed. B. 1, s. 445); anche il frassino montano è dedicato a Thor, o al tuono. Ma ricordate che ogni qual volta vedrete dell‟erba, dell‟edera o dei fiori su vecchi muri o grigie rovine, là dimorano le civette ed ivi elfi e fate amano dimorare o danzare o passare il tempo, com‟è stato provato da tante osservazioni che negarle sarebbe come negare la testimonianza della tradizione. Così rimanete fiduciosi che laddove “alti sulle torri crescono bei fiori, violacciocche, edera ed erba, là di notte alla luce della Luna potrete vedere passare le fate.” Tutta la magia medioevale, così come quella Romana, abbonda di allusioni sul fatto che, mentre è impegnato a fare un incantesimo, l‟operatore non deve guardare dietro di sé. Questa ingiunzione fa parte di alcune tradizioni molto antiche e curiose. In Toscana, se qualcuno raccoglie delle ceneri o altri oggetti per uso magico, nell‟andarsene non deve guardarsi intorno. E se un viaggiatore viene seguito da uno spirito maligno o da un diavolo, quest‟ultimo non avrà alcun potere su di lui a meno che non “giri la testa”. Così in Teocrito (Idyl, 91) questa retrospezione è vietata nel raccogliere ceneri; anche Virgilio (Ecloghe, 8) scrive: “Fers cineris Amarylli foras, rivoque fluenti Transque caput jace ne respexeris.” Hildebrand (Theurgia, pag. 297) narra una storia meravigliosa su come un giovane di nobile nascita veniva tormentato dai demoni. Il suo angelo custode gli promise che se avesse pregato Dio, se non avesse bevuto con i diavoli e non si fosse guardato indietro neppure una volta bey Verlust seines Lebens – sulla sua vita ed avesse potuto continuare così fino al canto del gallo sarebbe stato bene. Cosa che accadde. Praetorius, che dedica diverse pagine al soggetto del “perchè le streghe quando viaggiano sulle loro scope non devono guardare dietro di loro altrimenti cadrebbero” – che pare essere una condizione del volo tramite scopa e del viaggiare sopra una capra (Blocksberg, pag. 414) –, congettura molto acutamente che Satana abbia preso questa idea dalla moglie di Lot. Questo non girarsi è probabilmente collegato all‟ininterrotta attenzione o pensiero che ha largamente a che fare con l‟esecuzione di tutti gli incantesimi. Quando l‟attenzione della strega viene distratta da schemi intricati, chicchi o canzoni, il suo potere maligno viene sospeso per quel periodo.
L’incantesimo del ragno “L'araignée est un signe de bonheur et annonce particulierement de l'argent pour la personne sur laquelle est trouvè.” Com‟è naturale, il ragno appare nel folklore sia come buono che cattivo, portatore di fortuna e di sfortuna. A causa della sua bruttezza e del suo veleno è simbolo di odio e inimicizia. “La tarantola causa con il suo morso
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una sorta di pazzia che, secondo la superstizione popolare, può essere curata solo danzando.” Vi è una spiegazione fisica a questa cura: un esercizio violento spesso elimina gli umori malati dal sangue. Una febbre tifoidea si può allontanare con il duro lavoro. Nell‟America dell‟Ovest un uomo morso da un serpente a sonagli deve bere tutto il whiskey che può reggere e correre o camminare fino a crollare dalla fatica. Così la tarantella è una danza molto conosciuta che la superstizione popolare assegna alle streghe. E‟ la danza di apertura della loro Tregenda, o Sabbat. Vi è una leggenda in cui si afferma che questa tarantella abbia avuto origine come segue: un prete che stava portando il sacramento passò vicino ad una festa di danzatori, che egli non salutò. Così li costrinse a continuare a danzare e più follemente che mai (Naturgeschichte zur Dämpfung des Aberglaubens, Hamburg, 1793, pag. 102). Ma, mentre vi sono molte leggende su spiriti maligni che appaiono come ragni, d‟altra parte vi è lo straordinario istinto - o ingenuità -mostrato dall‟insetto nel fare la sua tela e la sua abitudine di rimanere sempre nello stesso posto in una casa; le sue previsioni riguardo al tempo hanno fatto sì che venisse riconosciuto generalmente come simbolo di industriosità, abilità, abitudini domestiche fisse e profezia. Perciò esso porta fortuna e benessere ed è una sorta di economo. Se un ragno si arrampica su di voi e voi non gli fate del male, “vi è del denaro in arrivo”. Ed ancora, la sua meravigliosa perseveranza nel rifare la sua tela o nel porla in un luogo predeterminato ha fatto nascere più di una storiella morale e ne ha adornate molte dai tempi del Bruce ad oggi. Naturalmente, esso ha trovato posto nella medicina magica. In Toscana vi è il seguente incantesimo da pronunciare: “Ragno, o mio bel ragno, benedetto tu sia! La tela che tu fai lasciala in casa mia, la tela che tu fai falla con buona fortuna e con malissimo fortuna e che la fortuna resti in casa mia. Quando la tela hai fatta vattene, o ragno mio! Ma non di casa mia, vattene dalla tela che tu mi hai fatto, mi hai fatto con buona fortuna; ed io la prenderò, in un sacchetto di lana rosso la metterò e dentro un marengo d‟oro vi unirò e così sempre più buona fortuna io avrò. E questo sacchettino come un oracolo terrò e lo terrò dentro al seno e mai più lo lascerò!” Sputare a terra per tre volte è una formula finale comune di molti incantesimi toscani. Potrei dire che esso ed il segno della castagna o anche quello della jettatura, funzionano tutti ad libitum. Non vi sono prove, ma è possibile che tutti questi moderni incantesimi possano essere traduzioni dal Latino, mentre è quasi certo che quelli latini vennero presi dall‟Etrusco o dall‟Oscan o da qualche lingua primitiva. Se così, ricerche future sulle lingue primitive dell‟Italia potrebbero verificare questa asserzione.
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Riguardo alla tela del ragno, vi è una simpatica tavoletta tedesca che narra che quando la Vergine Maria ascese al cielo il suo velo, cadendo, venne preso e fatto a pezzi dai venti. Perciò le tele argentate dei ragni che si vedono volare in aria d‟estate vengono chiamate Mariengarn, filo di Maria, o ciò che viene filato. Vale la pena notare che nella storia di Scott Waverley Meg Merrilies, mentre intreccia dei fili di vari colori in un amuleto – costume tuttora esistente in Italia –, canta: “intrecciati, avvolgiti anche così, mescola fili di gioia e dolore!” E questo è quasi lo stesso passaggio dell‟incantesimo toscano del ragno: “la tela che tu fai falla con buona fortuna e con malissima fortuna.” Questa è un‟antichissima e curiosissima formula per dichiarare che qualunque cosa uno faccia non deve fermarsi ad un certo punto. Tramite essa quasi ogni azione si muta in magia. Così il trovare e raccogliere qualunque cosa la converte nello stesso tempo in un feticcio o assicura che tutto andrà bene se, nel prenderla, diciamo: “non colgo – nome dell‟oggetto –, colgo la fortuna, che possa non abbandonarmi mai!” E‟ un incantesimo con applicazioni universali che rende in grado di assicurarsi un desiderio al di fuori di ogni occasione. Il ragno viene usato anche in divinazione. Quanto segue si trova in un manualetto popolare: “Il ragno industrioso. Nel Libro dei Sogni e nelle opere dei famosi cabalisti Rutilio Benicosa, Casamia, l‟Indovino, Il Palmaverde, Nostradamus e le antiche Sibille o Aruspici, spesso troviamo dei metodi per divinare il segreto dell‟ottenere i numeri della lotteria. Tra i molti straordinari esperimenti fatti, il più singolare è quello per mezzo del ragno. Prendete uno di questi insetti – che sia molto grande – e mettetelo, senza fargli alcun male, in una scatolina sul cui fondo vi sono molti piccoli pezzi di carta numerati da 1 a 90. Copritela con un velo trasparente e date al ragno il tempo di tessere una tela. Naturalmente l‟insetto, nell‟andare qua e là, girerà certi numeri. Questi dovranno essere annotati. Fate questo tre volte e quindi lasciate andare il ragno. Molti hanno avuto dei numeri fortunati della lotteria per mezzo di questo esperimento.” Potremmo osservare che, per il successo di questo sortilegio, è necessario lasciare andare il ragno. Così, in molti degli amuleti di Marcellus, gli animali usati negli incantesimi devono essere rilasciati sani e salvi - Ecce dimitto te vivam! Il ragno viene usato anche in altre divinazioni. Così, se scrivete “sì” o “no”, esso scoprirà per voi una risposta affermativa o negativa epr qualunque domanda o selezionerà i nomi di amici o nemici o svelerà i giorni fortunati. Ma vi è un lato rivoltante e raccapricciante nel carattere del ragno. Tutti i filatori che vediamo sono femmine; il maschio è una piccola creatura insignificante sproporzionato come grandezza o forza
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alla sua compagna la quale, invero, molto spesso lo divora come se fosse un moscerino. Ma egli è forzato da un impulso irresistibile ad accoppiarsi con lei e, quando ella acconsente e l‟unione viene effettuata, egli viene mangiato intero per dessert. Talvolta l‟Aracne mangia molti corteggiatori prima di cedere, così che ogni tela è un vero Tour de Nesle. “Una vecchia lucertola mi disse: „niente in questo mondo va mai all‟indietro. Tutto va sempre avanti – le pietre divengono piante, le piante divengono animali, gli animali divengono esseri umani e gli umani diventano Dei.‟ „E cosa accade ai vecchi Dei?‟ „Qualcosa si farà‟ disse la lucertola.” Heine, Pictures of Travel
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Capitolo II Uccelli e tesori “Nessuno sa meglio di un uccello dell‟aria dove sono nascosti i tesori.” Aristofane, Gli Uccelli Era un‟antica credenza in molti paesi che gli uccelli sapessero tutto e che, come dice Ovidio, annunciassero il volere degli Dei perché sono accanto a loro; il che significa che essi volano fino al cielo o, come dice Seneca, “gli uccelli sono ispirati dalle Divinità”. Ed era una convinzione particolare degli antichi EtruscoLatini, così come dei Greci, che essi sapessero dov‟erano nascosti i tesori. Così Aristofane, ne Gli Uccelli, dice che: “Quando un uomo chiede agli uccelli dove sono nascosti dei metalli preziosi, essi indicano sempre le miniere più ricche.” In relazione a questo vi è la storia che segue, proveniente da Rocca San Casciano e che pare essere molto vecchia: “Quando qualcuno vuole trovare un tesoro, deve prendere la porta della casa in cui abita e portarla di notte in mezzo ai campi fino a quando giungerà ad un albero. Lì sotto dovrà attendere fino a che molti uccelli gli voleranno sopra e, quando arriveranno, egli dovrà gettare per terra la porta, facendo un gran rumore. Allora gli uccelli, impauriti, parleranno con voce umana e diranno dovè sepolto un tesoro.” La misteriosa connessione tra la porta ed il trovare tesori appare anche in altri paesi. Così, nelle Stories di Grimm, Caterina la Stupida porta via dalla sua casa la porta e, per mezzo suo – cioè buttandola a terra e facendo quindi un terribile rumore – spaventa una banda di ladri, che lasciano dietro di loro
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un tesoro. La stessa storia è comune in Italia, dove si narrano con grande rozzezza i casi di uno stupido giovane. Il lettore troverà, studiando e comparando con accuratezza tutto ciò che ho scritto in questo libro, che queste tradizioni romagnole sono si stampo molto arcaico e non pare siano state riprese da altre fonti ma, in forse tutti i casi, essere originali. Sono rimasto tuttavia molto stupito nello scoprire quanto le mie fonti autorevoli fossero ignoranti per quanto riguarda le tradizioni, la mitologia popolare ed il folklore del sud dell‟Italia, come fornite nelle raccolte di Pitré. Non vi sono casi paralleli in Europa di gente che, parlando quasi la stessa lingua ed appartenendo alla stessa razza, hanno così poche tradizioni in comune come i Toscani con i Napoletani o i Siciliani. Vi è nel folklore della Romagna, come nella lingua della gente, qualcosa di rozzo, semplice e nordico – non proprio tedesco o scandinavo – ma con delle tracce di una qualche razza primitiva simile a loro e tuttavia non uguale. Potrebbe avere qualcosa dei Lombardi e probabilmente dei Celti ma, dopotutto, queste tradizioni e magie non sono né lombarde né celtiche. Sotto ogni analogia appaiono etrusche, oltre che sabine. Questo trovare un tesoro per mezzo degli uccelli concorda meravigliosamente con l‟antichissima leggenda latina del veggente Atta Navius che, quand‟era bambino nella sua casa sabina, badava ai maiali. Una volta, mentre dormiva, alcuni dei suoi animali andarono via ed egli, svegliandosi, non riuscì a trovarli. All‟inizio pianse amaramente, temendo la collera del padre, ma, facendosi coraggio, andò alla cappella dei Lari, nella vigna vicino, e pregò gli spiriti guardiani di poter ritrovare i suoi maiali, promettendo loro che se lo avessero fatto egli gli avrebbe offerto il migliore tra i grappoli del luogo. Egli ritrovò i maiali ma come avrebbe trovato il migliore e più grosso tra i grappoli? Vide uno stormo di uccelli ed essi ve lo condussero. Allora suo padre, saputo questo, lo portò in città e lo mise a scuola dai maestri di divinazione e di altra istruzione. Se sostituiamo al grappolo più grosso un tesoro, abbiamo qui lo spirito o l‟essenza della tradizione toscana. La divinazione non solo per mezzo del volo ma anche delle voci degli uccelli era uno degli elementi più importanti dell‟antica predizione etrusca – l‟ augurium ex avium volatu vel garritu era la seconda tra le 5 classi principali. L‟uccello che indica in particolare i tesori di notte nell‟antica tradizione latina è il Picus Martins, il grande picchio. “Egli appare sempre” dice Preller (Myth. pag. 298) come un uccello dei boschi, dove vive da solo e picchietta e fende e conosce tutti i segreti ed i tesori nascosti.” Il suo nome umbro era peiqu, in Romagnolo attualmente è piga. Il suo collegamento con la porta appare essere questo: Eliano (Hist. An., I, 45) e Plinio (Hist. Nat., X, 20) dicono che se il buco o la porta del nido del
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picchio su un albero viene chiusa, l‟uccello porterà un‟erba che rimuoverà immediatamente l‟impedimento. Se si prende questa erba, essa aprirà tutte le porte. Ma offro questa informazione come pura congettura. In ogni caso, questa coincidenza è degna di nota. Come nei tempi antichi, il picchio dalla testa rossa veniva considerato un goblin di nome Picus, che sapeva dov‟erano nascosti i tesori e talvolta lo rivelava. E‟ probabile che da questo mito siano derivati gli elfi con i cappelli rossi, che avevano gli stessi attributi.
L’incantesimo della stella cadente “Quelle meteore o stelle cadenti che gli uomini dell‟antichità non riuscivano a spiegare, venivano considerate presagi divini o intimazioni dei desideri degli Dei e secondo Omero significavano che vi sarebbe stata guerra o pace.” Fiedrich, Symbolik der Natur, pag. 100. In tutto il mondo la gente dice che, se vediamo una meteora o una stella cadente sfrecciare nel cielo e riusciamo ad esprimere un desiderio prima che scompaia, quel desiderio si avvererà. Tra gli antichi Norvegesi una tale linea di fuoco in cielo si credeva fosse causata da un drago che splendeva da lontano, da qui le frequenti citazioni sull‟apparizione di tali esseri. Nella medicina di Marcellus la vista di un tale corpo celeste viene applicata ad una cura celestiale per l‟annebbiamento della vista, come segue: “Ut omnino non lippias, cum stellam cadere vel transcurre videris, numera, et celeriter numera, donec se condat, tot enim annis, quot numerabis, non lippies.” “Affinchè la tua vista possa non calare mai, quando vedi una stella cadere o volare per il cielo conta e conta velocemente fino a che scomparirà e tanti numeri avrai contato tanti anni avrai una vista chiara.” In Toscana, quando si vede una stella che cade si deve dire: “Non la stella casca, ma casca l‟amante mio; che venga di giorno o di notte o al punto di mezzanotte a battere alla porta di casa mia; che non possa vivere, non possa stare finchè alla porta di casa mia non viene a picchiare.” O anche questo per un nemico: “Non è la stella che casca, ma casca la maledizione, che di giorno e di notte non faccio altro che maledire; che la mia maledizione caschi su (nome del nemico).” Il concetto che come una stella cade dal cielo così il proprio nemico possa cadere steso dalla propria maledizione che lo perseguita è brillante, originale, vendicativo e colmo di “pura malvagità”. Non dubito che ad un vero credente e “buon odiatore” esso possa essere di immenso aiuto. E‟ suggestivo di Lucifero, la Stella del Mattino, che cade verso l‟inferno dalle
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altezze del cielo, mentre un arabo vede in essa un djinn audace che ha tentato di scalare le mura del paradiso ed è stato respinto dagli angeli.
L’incantesimo delle ghiande “‟Gli uomini antichi si divoravano a vicenda‟ dice Diodoro Siculo „ma Giove lo proibì, dando loro al posto le ghiande.‟ Esse vengono chiamate le figlie della quercia, perché ricordano teste femminili con i capelli acconciati alla moda antica.” Preller Viene data da Marcellus una curiosa canzoncina d‟inizio e di fine ed una cerimonia per curare le affezioni delle tonsille. E‟ la seguente: “Glandulas mane carminabis, si dies minuetur, si nox, ad vesperam, et digito medicinali, ac pollice continens eas, dices: Novem glandulæ sorores,Octo glandulæ sorores, Septem glandulæ sorores, Sex glandulæ sorores, Quinque glandulæ sorores, Quattuor glandulæ sorores, Tres glandulæ sorores, Duæ glandulæ sorores, Una glandula soror. Novem fiunt glandulæ, Octo fiunt glandulæ, Septem fiunt glandulæ, Sex fiunt glandulæ, Quinque fiunt glandulæ, Quattuor fiunt glandulæ, Tres fiunt glandulæ, Duæ fiunt glandulæ, Una fit glandulæ, Nulla fit glandula.” Questo viene preceduto da un altro incantesimo, cui viene fatto riferimento. L‟intero rituale è il seguente: il paziente deve prendere nove ghiande, tutte prima dell‟alba o del tramonto, e tenerle (penso significhi contarle una ad una) tra il dito medio ed il pollice e dire: “Nove piccole ghiande sorelle, otto piccole ghiande sorelle, sette piccole ghiande sorelle” e così via fino ad arrivare ad “una piccola ghianda sorella”. Si comincia quindi con “Nove erano le ghiande” e si conta indietro fino ad arrivare a “nulla fit glandula” – “ed ora non vi è più alcuna ghianda”. Sono certo che la formula originale comprendeva 10 piccole ghiande sorelle, seguendo le dita. Questo incantesimo è tutttora in uso in Toscana, nonostante io non sia riuscito a sapere se viene applicato particolarmente alla cura delle tonsille. Ma, anche ai tempi di Marcellus, esso non era limitato a questo; egli stesso dà altri due incantesimi in cui vi sono 9 chicchi d‟orzo che vengono contati allo stesso modo ed anche una parola per fermare il sanguinamento: “Si cycuma, cucuma, ucuma, Cuma, ma, a.” Questo incantesimo viene applicato in Toscana anche alla fortuna, come segue: prendendo 10 ghiande l‟operatore canta: “Tu lo sai lo voglio fare, indietro io voglio mandare, la verità in mia mano deve dare; queste ghiande all‟indietro io conterò, fino all‟uno io tornerò. E se mai non sbaglierò la vittoria vincerò. Adesso io incomincio da uno, due,
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tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove e dieci; dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno! Senza mai sbagliare, la vittoria io devo fare e mai nel contare io sbaglierò; la vittoria io vincerò!” L‟idea che vi è negli incantesimi di Marcellus è che il successo della cura dipende dal fatto che chi conta non commetta errori e, nella moderna versione toscana, che se uno intraprende qualcosa e desidera sapere se avrà successo, può dedurre il risultato in tal modo. Secondo Johannes Meursius (De Ludis Græcorum), tra i Greci vi era un gioco con le ghiande chiamato Tropa. La descrizione non viene fornita ma io congetturo che fosse uguale a quello italiano, che è allo stesso tempo un incantesimo per la buona sorte ed un gioco per bambini, trattandosi come in “Peter Piper picked a peck of pickled peppers” di ripetere velocemente una formula difficile senza errori. Vi sono tuttavia altre specie di divinazioni riguardanti questo frutto. Prendete tante ghiande quanto lettere vi sono nel nome di una persona, piantatele e se tutte crescono bene questa persona prospererà o voi conquisterete il suo amore. Il lettore che fosse interessato alle rime delle conte all‟indietro troverà molto in materia nell‟opera di Carrington Bolton, in un‟altra pubblicata recentemente da D. Nutt, Londra, e nelle English Folk Rhymes di G.F. Northall (Londra, Kegan, Paul, Trench, Trübner & Co.). Si può trovare una grande quantità di antica sapienza in merito alla divinazione tramite i numeri ed argomenti simili in un‟opera molto rara, di cui posseggo una copia, intitolara Tractatus Philologicus de Sortitione Veterum, Hebræorum inprimis ex S. Scriptura Talmude, &c., di Martin Maurutius, Basilea, 1692. Mauritius cita dall‟opera di Rabbi Ben Ezra una curiosa storiella su come le vite di certi uomini che vennero gettati in mare furono perdute e quelle di certi Talmidim salvate dal pronunciare giudiziosamente una canzone di conta. Vi è di questa una antica versione tedesca curiosa e rozza. Il capitolo è in connessione con quello intitolato De Sortibus poeticis.
L’incantesimo della rondine “O rondinella bella, tu sei un‟incantatrice.” Canzoni Popolari d'Agrumi Marcellus di Bordeaux, nel trattare dei disturbi degli occhi, ci informa che con l‟aiuto della hirundo, o rondine, tutti quei problemi possono essere efficacemente mandati via, come segue: “Cum primum hirundinem audieris vel videris tacitus illieo ad fontem decurres vel ad puteum, et inde aqua oculos fovebis et rogabis deum, et eo anno non lippias, doloremque omnem oculorum tuorum hirundines auferant.” “Quando udite o vedete la prima rondine, andate senza parlare alla prima sorgente o fontana e là lavatevi gli occhi e pregate Dio che nel corso di
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quell‟anno la loro vista non cali e così la rondine porterà via da essi tutti i problemi.” In Toscana, al giorno d‟oggi, il sofferente fa la stessa cosa per il mal agli occhi e quindi ripete quanto segue: “La prima rondinella di primavera è arrivata, la buona fortuna m‟ha portata; ad una fonte sono andata e gli occhi mi sono lavata, che da tanto tempo ero ammalata e nessun medico mi è riuscito; ma la prima rondinella che è arrivata questa grazia me l‟ha fatta; benedette siano sempre le belle, le beate rondinelle!” Potremmo osservare che questo incantesimo contiene tutto quello che entra nella prescrizione Romana e, di più, fornisce l‟incantesimo verbale che in essa manca. Et rogabis Deum – e pregate Dio – è certamente una interpolazione cristiana primitive. In Italia la rondine stessa viene invocata e ringraziata, cosa che concorda perfettamente con gli inni antichi di Greci e Latini in cui viene citata. Marcellus ci insegna anche che nonostante “la prima rondine non fa un‟estate”, essa governa la primavera, che sia tempo bello o piovoso, e può anche prevenire il mal di denti: quando la vedete – come prima – trattenete la lingua e “ad aquam nitidam accedes” – andate dove vi è dell‟acqua pura splendente, immegetevi il dito medio della mano destra e dite: “Hirundo tibi dico Quomodo hoc in rostro iterum non erit Sic mihi dentes non doleant toto anno.” “Ti dico, o rondine, come questo non sarà mai nel tuo becco così possano i miei denti non dolermi più per un anno.” “E, rinnovando questo ogni anno, avrete sempre dei denti sani.” Anche questo è essenzialmente identico all‟incantesimo toscano moderno. In Toscana si crede che se la rondine fa il nido in una casa porti fortuna. Ma guai a distruggerle, perché porterebbero molte disgrazie – ma attenzione a non disturbarle, perché questo porterebbe molti guai. Marcellus fornisce un‟altra prescrizione per gli occhi, come segue: “Si muleris saliva, quæ pueros, non puellas ediderit, et abstinuerit se pridie viro et cibis acrioribus, et imprimis si pura et nitida erit, angulos oculorum tetigeris, omnem acritudinem lippitudinis lenies, humoremque siccabis.” Che significa che se gli occhi vi dolgono dovete prendere la saliva di una donna che ha dato alla luce solo figli maschi e non femmine. E deve essersi astenuta dall‟unione sessuale e dal cibo stimolante per tre giorni. Allora, se la sua saliva sarà chiara e luminosa, ungetevene gli occhi e saranno curati. In Italia la cura è come segue: “Se una donna ha dato alla luce un bambino di sette mesi, prendete la sua saliva mescolata a latte ed ungete con essa gli occhi, dicendo:
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„Bagno gli occhi a questa donna; non li bagno col mio sputo ma li bagno coll‟innocenza e la purità del mio bambino‟. Fate quindi il segno della croce sugli occhi e dite: „Benedetta tu sia per l‟innocenza del mio bambino; in tre giorni io possa guarire!‟ Sputate quindi per tre volte dietro di voi e ripetete questo per tre giorni di seguito a digiuno.” Così come l‟ho fornito è indubbiamente piena di confusione, ma è chiaramente identico all‟incantesimo di Marcellus. In un‟altra prescrizione, Marcellus dichiara che: “Mulier quæ geminos peperit, renes dolentes super calcet, continuo sanabit”. “Se una donna che ha partorito dei gemelli cammina sulle reni quando dolgono le curerà.” Prendendoli tutti assieme, potremmo dire che gli incantesimi dei Romani e quelli moderni corrispondono nel generale, se non proprio in ogni dettaglio. Vi è anche un altro incantesimo toscano per il mal d‟occhi: “Prendete del sambuco e bollitelo e con esso bagnate gli occhi, facendo tre volte il segno della croce, e dite: „Santa Lucia, santa Lucia, il mal degli occhi gli vada via!‟ Ma bisogna che a far questo sia un uomo o una donna che è nato prematuro a sette mesi.” Tutte queste cure per gli occhi fanno riferimento in qualche modo ad una donna che ha partorito solo maschi o ad un figlio nato a sette mesi. Vi è tuttavia un altro rimedio toscano simile a questi. Per curare un dolore all‟orecchio andate da una donna che sta allattando un bambino di sette mesi e, mentre il bambino succhia tre volte, si devono mettere tre gocce del latte della donna nell‟orecchio dei sofferente e dire: „Le butto questo latte perché il male all‟orecchio le possa passare!‟” Per ritornare alla rondine in Toscana, le penne di questo uccello sono un amuleto, come segue: “Quando si vuole una grazia o una fortuna, sono portate, legate con un nastro rosso (vengono portate addosso legate tra loro con un nastro rosso) ed a questo scopo vengono anche messe nei letti. Si crede che la rondine sia buona per i problemi oculari (come la lucertola) perché essa è simbolo di luce o vista. Così come era annunciatrice della primavera e del Sole, veniva associata naturalmente alla chiara visione. In tal modo in tutta la Natura correva la catena d‟oro che collegava tutte le cose in una vena poetica.
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Cure minori di Marcellus (con i loro paralleli moderni) Marcellus ci informa ((cap. I, pag. 35, GRIMM, pag. 10) riguardo al mal di testa: “Cum intrabis urbent quam libet, ante portam capillos qui in via jacebunt quot volueris collige, dicens: tecum ipse ad capitis dolorem te remedium tollere, et ex his unum capiti alligato, ceteros post tergum jacta, nec retro respice.” “Quando entrate in qualche città, raccogliete davanti al cancello d‟entrata quanti più capelli potete che giacciono per terra, dicendo a voi stessi che lo fate per rimuovere il vostro mal di testa, e legate uno di quei capelli alla vostra testa. Gettate gli altri dietro di voi e non guardatevi indietro.” A tutt‟oggi questa pratica viene conosciuta in Toscana senza varianti speciali eccetto che insieme ai capelli bisognerebbe gettare del sale. Sono incline a pensare che questo facesse parte anche dell‟incantesimo antico ma che Marcellus non lo sapeva. Il sale era una parte essenziale di tutte le offerte ed i sacrifici nell‟antichità (Marx, IX, 49). Si pensava che li rendesse vincolanti e li perfezionasse. Molto simile a questo è quanto segue, tuttora in uso: “Quando si trovano dei capelli, si dovrebbero gettare nel fuoco e chi fa questo deve dire: „Se sei un‟anima buona va‟ in pace! Se sei una strega scoppia, che i tuoi colpi si sentano da lontano e che il diavolo li possa sentire e si possa scatenare per venirti a pigliare!‟” Dell‟uso dei capelli umani negli incantesimi per fare del male parlerò in un altro capitolo. Marcellus ci fornisce (cap. 8, 67) una cura per gli occhi particolarmente sgradevole, ma non per questo meno curiosa: “Mel Atticum et stercus infantis, quod primum dimittit, statim ex lacte mulieris, quæ puerum allactat, permiscebis, et sic inunges; sed prius eum qui curandus est, erectum ad scalam alligabis, quia tanta vis medicaminis est; ut eam nisi alligatus patienter ferre non possit, cujus beneficium tam præsens est, ut tertio die, abstersa omni macula, mirifice visum reddat incolumem.” “Prendete del miele di Attica e le prime feci di un bambino, mescolate al latte della madre ed ungetene gli occhi, ma prima legate il paziente alle scale (o ad una scala), che ha un tale potere curativo che se egli non fosse così legato non potrebbe sostenerlo, ed il suo beneficio di vedrà il terzo giorno, quando tutto lo sporco verrà tolto e la vista sarà perfetta.” Il legare ad una scala o alle scale si ritrova nel seguente incantesimo toscano:
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“Se qualcuno è stregato, legate lui o i suoi abiti (questi ultimi sono da preferirsi) ad una scala (o alle scale) che sia fatta di legno; prendete quindi un coltello e, mentre lo affilate, dite: „Non lego questa roba, ma lego la strega, che non abbia più bene!‟” In tutte queste cure la cerimonia e l‟incantesimo sono la parte di gran lunga più importante, o il sine qua non erit remedium. Marcellus (n° 30, cap. 14, pag. 103) dà quanto segue per la gola: “Picem mollem cerebro ejus impone, qui uvam dolebit et præcipue ut super limen stans superiori limiti ipsam picem capite suo adfigat.” “Mettete un pezzo di pece molle sulla testa di colui che soffre ci mal di gola e specialmente guardate che egli lo faccia quando è fuori dall‟angolo esterno della soglia di casa.” In Toscana molte medicine magiche si prendono sulla soglia di casa; anche in altre stregonerie essa compare. Questo perché essa è la linea o il limite tra il luogo abitato e la vita esterna dove gli spiriti vagano liberi; è una ben compresa legge della demonologia che essi non possano entrare in una stanza se non sono invitati. Evidentemente vi sono numerose eccezioni alla regola, altrimenti non si avrebbero le case infestate. Nel cap. 19, pag. 130, Marcellus ci dice che: “Serpentis senectus, id est exuviæ licio alligatæ et vulso circumdatæ mire prosunt.” “Una pelle di serpente legata alla cintura è di grande aiuto.” In Romagna e Toscana si crede che se si trova una pelle di serpente si debba dire: “Ho trovato la pelle di questo serpente, che possa portare la fortuna a me; non porterò la pelle di serpente, ma porterò la buona fortuna, che sia sempre in casa mia.” Al di là dell‟immensa quantità di informazioni che sono state raccolte sul tema del simbolismo del serpente, una cosa è innegabile: che questa creatura era, tra gli Etruschi, i Greci ed i Romani, un simbolo di salute, longevità e fortuna. Ed è in questo senso che esso appare sia nell‟opera di Marcellus che negli incantesimi toscani, come cura o amuleto. Congetturo che vi fosse in antico un incantesimo che veniva pronunciato quando si trovava la pelle e che era sconosciuto al medico romano, in quanto un attento esame di tutte queste prescrizioni o incanti in qualunque forma non può mancare di convincere che le parole fossero sempre un sine qua non ed in effetti la parte più importante del tutto. Come curiosa prova della tradizione sui serpenti esistente in Romagna, potrei citare che l‟immagine di un serpente viene dipinta sul muro per avere fortuna o evitare il malocchio,
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ma deve sempre essere con la testa verso il basso e la coda all‟insù. Marcellus dà quanto segue: “Si arista vel quælibet sordicula oculum fuerit ingressa obcluso alio oculo ipsoque qui dolet patefacto et digitis medicinali ac pollice leviter pertracto, ter singula despuens dices: Os Gorgonis basio. Hoc item carmen si ter novies dicatur etiam de faucibus hominis vel jumenti os aut si quid aliud hæserit, potenter eximit.” Che significa che se si ha un granello o dello sporco in un occhio, chiudete l‟altro, ponete il dito medio su quello che duole e dite: “Bacio il volto della Gorgone.” per tre volte e questo incanto è così potente che potrà tirare via un osso dalla gola di un uomo o di una giumenta. In Italia si dice: “Se vi è qualcosa nell‟occhio o nella gola di un uomo o di un animale, sputate tre volte e dite: „O grande Serpente, io ti bacio il volto!‟” A questo la mia informatrice ha aggiunto: “ma dovete guardare verso terra nel dire questo.” Riferentesi a Marcellus ho trovato che per rimuovere una piccola macchietta irritata dall‟occhio (varulus) si officia una cerimonia che termina toccando tre volte il suolo e sputando. Naturalmente, il toccare il terreno implica il guardarlo. Marcellus fornisce una cura per il dolore agli occhi: “Qui crebo lippitudinis vitio laborabit, millefolium herbam radicis vellat, et ex ea circulum facit, ut per illum aspiciat, et dicat ter, 'excicum acrisos,' et totiens ad os sibi circulum illum admoveat et per medium exspuat,” eccetera. Che significa che il paziente dovrebbe svellere una pianta di millefoglie o achillea, farne un anello e sputare per tre volte dentro a questo anello. Dovrà quindi ripiantare a terra la pianta e, se essa crescerà, il paziente guarirà. In Toscana vi è allo stesso scopo un rimedio che concorda perfettamente con una parte di questo. Viene chiamato La Corona della Ruta. “Quando qualcuno soffre di male agli occhi, prendete un rametto di ruta e legatelo in forma di una corona con del nastro rosso. Il paziente dovrebbe essere a letto e non dovrebbe vedere la ghirlanda mentre viene fatta; essa deve essere sempre preparata da una donna in un‟altra stanza e non deve essere vista né da bambini né da animali, e colei che la lega deve dire: „Preparo questa corona per metterla sopra gli occhi di quella ammalata (o ammalato che sia) che degli occhi possa guarire e mal d‟occhi non le (gli) possa ritornare.‟ E quando la dà all‟invalido, egli deve guardarvi attraverso per tre volte e dire: „Santa Lucia, Santa Lucia, Santa Lucia! Dal mal d‟occhi fatemi guarire!‟ Quindi deve sputare attraverso la corona per tre volte.”
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Cosa in generale molto simile alla antica formula Romano-Etrusca. Santa Lucia è la moderna santa cattolica della luce ed è probabilmente la diretta discendente dell‟Etrusca Losna, Dea della Luna ed anche del Sole (vedi Losna). Il nostro autore raccomanda (cap. 14, pag. 100; pag. 14, Grimm) per il mal di denti di portare addosso “salis granum, panis micam, carbonen mortuum in phœnicio alligabis” – “un grano di sale, una briciola di pane, un carbone spento legati in un panno rosso”. In Toscana si fa pressochè la stessa cosa e questo nasce come amuleto per avere salute e fortuna.
Losna Le quattro cose della buona fortuna “Prendete un sacchettino rosso e cucitelo con del filo di lana rosso – non seta nè cotone; anche il sacchetto deve essere di lana e di stoffa ruvida e, mentre lo cucite, dite: „Cucio questo sacchettino per la buona fortuna mia e della mia famiglia e che ci tenga sempre lontano dalle disgrazie come pure dalle malattie.‟ Prendete quindi della mollica di pane ed un poco di sale grezzo, un rametto di ruta e del cumino e, mentre li mescolate, continuate a ripetere lo stesso incantesimo. Quando avrete finito, l‟amuleto dovrà essere sempre portato sulla stessa persona, di notte come di giorno.” La verbena Marcellus raccomanda la verbena come cura magica per i tumori. Un‟autorità nella stregoneria, udendo questo, disse: “Non penso che venga usata in medicina, ma” aggiunse con animazione “è ammirevole all‟interno di e come talismano.” Mi disse quindi quanto segue, ponendo l‟accento sul fatto che essa deve essere portata sulla persona: “La verbena è un‟erba che porta grande fortuna e deve essere sempre portata addosso. Notate particolarmente che, se una vecchia vuole vendervene un poco, quando ve la offre non dovete mai rifiutarla, altrimenti
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ella potrebbe maledirvi (stregarvi). Dovete sempre comprarne un poco e dire: „Non compro questa verbena perché è erba ma compro la fortuna che essa porta!‟” La mia strega era nel giusto quando diceva che la verbena è ammirevole in magia e come talismano. Se avesse conosciuto e letto il Latino, avrebbe potuto supportare la sua affermazione con una vasta gamma di citazioni di autori classici. Tuttavia, indubbiamente ella ha avuto molti più antenati di me che parlavano Latino e magari questa tradizione le è giunta da essi, perch‟ella dice che erano tutti stregoni e streghe – tutti! La verbena veniva chiamata par eminence la pianta sacra - hiera botane – dai Greci ed era considerata la più sacra nei sacrifici, dove veniva bruciata specialmente durante le invocazioni agli spiriti e le predizioni. Era la pianta di Venere e dava, si credeva, grande potere di procreazione e, soprattutto – come scrive Friedrich –, scacciava gli spiriti maligni, distruggeva la stregoneria e tutte le influenze del genere. Gli ambasciatori la portavano con sé quale simbolo di pace. “Semper e legatis unus utique Verbenarius loquitur” – “Uno di un gruppo di legati veniva chiamato il portatore di verbena” (Plinio, Nat. History, XXII, 3). “Perchè là dimorava nella verbena una certa fata che donava fortuna a coloro che la invocavano.” Pensate a questo quando odorate la verbena! Ricordate anche che, se ne prendete un poco da una chiesa, vi porterà fortuna: “Ex ara hinc sume verbenas tibi atque eas substerne” (Terentius, Andr., IV, 4). Il nostro autore ci fornisce due rimedi per hordeolis oculorum – “i granelli negli occhi” – ed in entrambi egli prescrive che nove chicchi d‟orzo vengano trattati magicamente, come togliendone le punte una ad una e ripetendo ogni volta un incantesimo greco. In Toscana ho trovato per gli occhi, per lo stesso problema, quanto segue: “Prendete nove chicchi d‟orzo e metteteli in una pentola nera con nove fiori di sambuco e nove pezzetti di ruta. Bollite il tutto per un quarto d‟ora e lasciate quindi raffreddare fino a diventare tiepido. Immergetevi quindi un pezzo di lino e posatelo sugli occhi del paziente, quindi prendete i nove chicchi d‟orzo, i fiori di sambuco e la ruta, poneteli tutti sul panno e dite: „Tutto questo l‟ho fatto bollire per metterlo sopra agli occhi di questo malato, che con la grazia di Santa Lucia prima di tre giorni possa guarire.‟” Si noti che questo metodo moderno è realmente un buon rimedio (tutto eccetto i nove chicchi d‟orzo), mentre quello di Marcellus è una semplice sciocchezza. Per una stregatura molto immorale – “Si quem coire noles, fieri que cupies in usu venerio tardiorem, confestim enervabitur” Marcellus prescrive nove chicchi di grano.
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Santa Lucia è la santa della luce e quindi della vista. Le due cose erano identiche nell‟antica mitologia Romana. In verità, se potessi scrivere tutto ciò che ho visto nell‟esplorare la stregoneria italiana, molto pochi davvero mi crederebbero e meno ancora potrebbero comprendere. Perché tutto questo appartiene ad un mondo e ad una vita di cui nessuna persona istruita che io abbia conosciuto ha alcuna comprensione e per cui non può certamente avere alcuna simpatia. Sotto le ceneri dell‟Italia vi è un fuoco bruciante di cui vediamo ora solo una scintilla ma che non si è mai estinto, non più di quello del Vesuvio. Immaginate una contadina inglese o tedesca che viene presa da tali spasmi di stregoneria e poesia – ho conosciuto in Italia una persona che, nel recitare un incantesimo, è stata colta dalle convulsioni. Ed in tutte le persone, basse o alte, vi è qualcosa che pare represso – un genio o un‟arte sottile o un potere magico – una scienza che si manifesterà a tempo debito. Vi è in Marcellus una notevole prescrizione per un disturbo all‟anca. Consiste in questo: il rimedio deve essere somministrato al paziente “super scabellum vel sellam ita ut pede uno quem dolet stans ad orientem versus potionem bibat, et cum biberit saltu desiliat, et ter uno pede saliat, et hoc per triduum faciat, confestim remedio gratulabitur.” Che significa: “in piedi su uno sgabello o una sedia così che, un piede rivolto in avanti, il paziente fronteggi l‟est e beva la sua medicina, quindi salti giù e saltelli per tre volte su un piede e così starà bene nel giro di tre giorni.” In un‟altra egli prescrive una pozione da prendersi in piedi su un piede solo sulla soglia. Gli elementi principali di questa performance ginnica appaiono nel seguente incantesimo toscano: “Quando uno prende una medicina, dovrebbe essere in piedi su uno sgabello o sulla soglia di una porta e dire: „Prendo questa medicina perché sono ammalato, ma non sono ammalato di fisico, ma di morale. Perciò prendo questa medicina sopra a questo sgabello, che mi possa guarire da questa malattia e mi voglia dare felicità e bene; perciò scendo da questo sgabello e su questo piede sinistro, sempre dal sinistro piede, per tre volte mi rigiro e per tre volte io chiamo il gran Salvatore. E, se non mi corrisponde, allora mi rivolgerò alle streghe, alle streghe o agli stregoni.‟” In antico, una delle cure più decantate era di mettere il paziente in balneo repleta a humano sanguine – in un bagno pieno di sangue umano. Un bagno del genere, fatto con il sangue di bambini piccoli, venne ordinato una volta all‟Imperatore Costantino e, siccome egli venne mosso a pietà dalle lacrime e dalle grida delle loro madri, si risolse a non farlo e la sua straordinaria umanità venne ricompensata da una miracolosa guarigione. Secondo gli
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antichi cronisti, pare che questo fosse considerato – anche dai cristiani – un grande atto di misericordia e magnanimità. Non pare ben compreso da tutti che per diversi secoli dopo la caduta del potere di Roma il mondo, invece di avanzare, come si crede popolarmente, grazie al cristianesimo, ebbe una ricaduta per quanto riguardo la barbarie e l‟inumanità. Non comprendo chiaramente per quale male Marcellus abbia inteso la seguente prescrizione – nisi ad verrucas – ma la trascrivo com‟è secondo Grimm: “De tribus tumulis terræ, quos talpæ hiciunt, ter sinistra manu quot adprehenderis tolles, hoc est novem pugnos plenos, et aceto addito, temperabis.” “Prendete da tre tumuli di talpa tre volte tre manciate di terra, cioè nove manciate, e mischiatele con dell‟aceto.” Quanto segue è un incantesimo romagnolo per stregare o far del male a qualcuno: “Prendete da tre tumuli di talpa della terra e mettetela in un sacchetto rosso; e, mentre rimuovete la terra, dite: „O terra che da terra vi raccatto dopra tre mucchi che dalle talpe siete stati ammucchiati, e come avete ammucchiato questa terra ammucchiate i dispiaceri di quella famiglia; che non abbiano bene né pace e tutte le sfortune piombino sopra al suo capo!‟” Potrei quasi credere che Marcellus abbia messo questo incantesimo al posto sbagliato nell‟applicarlo ad una cura. In un incantesimo toscano per spezzare l‟amore, la pece appare nel suo antico significato come ingrediente della stregoneria: “Quando volete impedire che un giovane uomo faccia visita ad una ragazza in una casa, prendete della pece da calzolai e quattro chiodi. Fate con questi ultimi due croci e mettetele sotto le sedie dove si siederanno l‟innamorato e la fanciulla. Ed alla fine essi litigheranno e lui non andrà mai più in quella casa.” L‟ultimo incantesimo, o ricetta di Marcellus è per curare la gotta: “Carmen idioticum, quod lenire podagram dicitur sic: In manus tuas exspues, antequam a lecto terram contingas, et a summis talis et plantis ad summos digitos manus duces et dices: Fuge, fuge, podagra, et omnibus nervorum dolor, De pedibus meis et omnibus membris meis! Aut si alii præcantas, dices illius quem peperit illa: Venenum veneno vincitur Saliva jejuna vinci non potest. Ter dices haec et ad singulas plantas tuas, vel illius, cui medebere, spues.” In breve : sputatevi sulle mani prima di alzarvi al mattino, passate le mani dalla pianta dei piedi alla fine delle dita e dite : “Volate, volate, o gotta e tutti i miei dolori nervosi da entrambi i miei piedi, nè indugiate nelle mie
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vene !” O, se cantate per qualcun altro, dite di ciò che soffre: “Il veleno vince il veleno, lo sputo a digiuno non può essere vinto.” Dite questo per tre volte e sputate ogni volta sulle vostre piante dei piedi o su quelle di chi volete curare. In Toscana vi è una malattia davvero terribile causata, dicono alcuni, dal mangiare della farina cattiva; altri l‟attribuiscono al vivere male ed alla malaria: viene chiamato pellagra. Il nome ricorda molto la podagra, o gotta, perciò mi è stato detto che la cura che segue è per la pellagra e la mia informatrice ha aggiunto anche per la gotta, di cui non c‟è bisogno di dire che è molto comune tra i contadini. La pellagra causa pazzia. “Per guarire la gotta o la pellagra, prendete per tre mattine un bambino ancora a digiuno e fatelo sputare per tre volte sopra la gotta laddove si manifesta e, mentre fa questo, fategli dire: „Gotta, o gotta (o pellagra)! Va‟ via dal mio piede, il veleno vince il veleno, come pure lo sputo vince il veleno e lo sputo mio d‟un bambino innocente sarà quello che vincerà la gotta maledetta, che non torni mai più a fare capo sopra alla tua persona.‟ Quindi il bambino deve sputare dietro di sé per tre volte e ripetere tutto questo per tre mattine.” Come commento su questo capitolo, Miss Mary A.Owen aggiunge le seguenti note tratte dalla stregoneria afro-americana: “I voodoo fanno attenzione a non buttare in giro i capelli perché, se un uccello prende un capello e lo intreccia nel nido, il proprietario di quel capello avrà degli orribili mal di testa – nulla potrà curarlo fino a quando il capello non sarà trovato e bruciato. Inoltre, se una persona ottiene un capello di un‟altra e lo introduce in una fessura nella corteccia di un albero in crescita, lo sfortunato impazzirà non appena la corteccia crescerà sul capello.” “Potete chiamare un amico alla vostra presenza dall‟altro capo della Terra mettendo quattro dei vostri capelli in una bottiglia d‟acqua, chiamando la bottiglia con il nome della persona che desiderate vedere e mettendola alla porta da cui desiderate entri. Entro 4 giorni (in quel periodo di tempo i capelli si saranno mutati in serpenti) egli dovrà essere di fronte a voi.”
I tre Saggi dell’Est e le medaglie delle streghe “Die heil'gen drei Kön'ge aus Morgenland Sie frugen in jedem Städtchen; „Wo geht der Weg nach Bethlehem, Ihr lieben Buben und Mädchen?‟” Heine, Buch der Lieder
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Nel giornale sulla tradizione degli zingari del gennaio 1889 apparve un articolo molto interessante di David Mackitchie, in cui egli discuteva un‟antica opinione sul fatto che i Magi, i Tre Re dell‟Est, spesso sono stati considerati essere, come li descrive Longfellow, “i tre re degli zingari Gaspar, Melchoir e Balthasar”. Questa potrebbe essere una tavoletta popolare, ma vi sono numerose prove che, fossero Indiano o di altro sangue orientale, con ogni probabilità potevano essere collegati con gli zingari per quanto riguarda la loro tradizione. Se i tre re erano Magi, o Saggi dell‟Est, potremmo concludere che fossero Caldei o Persiano, di cui ve ne erano molti che giravano per l‟Impero Latino in epoca tarda. Essi erano tutti veggenti o divinatori ed in questa veste appaiono a Betlemme. Significa che facevano parte dell‟antica scuola di magia caldaica-accadica, che penso abbiano una possibile origine comune con quella etrusca, ad oggi sopravvissuta con pochi cambiamenti nelle magie della Toscana e della Romagna; ed entrambe queste scuole erano uguali alla magia shamanica degli abitanti pre-ariani dell‟India. Riducendo ai soli fatti, è molto più che una possibilità il fatto che la “saggezza” o la tradizione dei tre re fosse di origine “zingara”, cioè indiana o persiana o magari caldaica e che essi fossero realmente divinatori o veggenti itineranti. Questa non è più di una congettura, ma un fatto molto curioso getta una strana luce su di essa: in Ungheria conobbi degli zingari che, quando un bambino era molto malato, cercavano di curarlo appendendogli al collo dei talleri di Maria Teresa. In Romagna e Toscana vi è un‟antica credenza sul fatto che certe monete Romane siano una difesa sicura contro la stregoneria, specialmente per i bambini. Per combattere questa credenza, i preti hanno fatto della medaglie particolari che, come gli oggetti più antichi, vengono chiamate correntemente “medaglie delle streghe”. Nel corso di una conversazione, presi le seguenti note a riguardo: “Quando si ha una medaglia delle streghe e si mette questa medaglia al collo, con questa si sarà sempre liberi delle streghe. Queste medaglie vengono messe principalmente addosso ai bambini ma anche a persone adulte. E, quando la si mette addosso, si deve dire: „Metto questa medaglia per liberare liberamus dalle streghe.‟” Chiedendo se coloro che credevano nell‟antica religione, o stregoneria, avessero fede nelle nuove medaglie delle streghe, ricevetti un racconto che non annotai ma che in sostanza diceva che i cattolici credevano nelle vecchie medaglie delle streghe o nella stregoneria avendone avute molte cose giustificate – avendone avute molte prove. E che i credenti nella stregoneria avevano accettato le nuove medaglie eccezionalmente per certe ragioni, che concordavano con la magia. Perché “si portano queste
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medaglie perchè le tre rege sulla faccia erano stessi grandi stregoni”. In seguito ricevetti alcune di queste nuove medaglie; vengono vendute per un soldo. Sono ottagonali, sono fatte di ottone e recano su un lato i tre re che adorano Gesù bambino, mentre dall‟altro la seguente iscrizione:
Una reputazione di magia pende sui Magi ed i credenti nella stregoneria li hanno accettati come amici. E‟ stato un pensiero felice quello di metterli sulle nuove monete delle streghe, rendendole così “accettabili da tutte le parti”. Tuttavia, ho sentito dire da un cattolico che questo compromesso di santi con il diavolo causò uno scandalo tra i veri credenti. Potremmo qui sottolineare che il misterioso gruppo dei tre maghi non era in alcun modo conosciuto prima sotto forme differenti e sotto altri nomi né ai cristiani né ai pagani e che, nella tradizione posteriore, i tre esseri fatati che appaiono alla nascita di un bambino non solo gli presentano dei doni ma predicono il suo futuro. Vale la pena notare anche che il frankincense, che era uno dei doni dei Magi, entra nella composizione di tutti i moderni amuleti o pacchettinifeticcio della Romagna – ne è stato presentato uno anche a me che ne conteneva un poco –, che anche la mirra è una di queste medicine magiche e che, se l‟offerta al Gesù bambino avesse avuto un qualche significato, era magico ed intendeva sviare le influenze del male e della stregoneria. Si potrebbe presumere che i Toscani abbiano preso in prestito l‟uso dell‟incenso dai riti della chiesa cattolica romana, ma anche lo stesso cardinale Newman non negò che l‟incenso veniva usato nei riti sacri dagli antichi Romani. Mirra, incenso ed oro combinati formano un antico e popolare dono per i bambini. Erano cose magiche e che portavano fortuna
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tra i Romani e qualunque cosa fosse collegata alla superstizione, alla fortuna ed alla divinazione tra di essi era di origine etrusca, perché l‟intero corpo delle loro credenze in merito è derivato dal mitico Tagete. Vi è un altro tipo di denaro delle streghe invero molto misterioso; viene chiamato la sega delle streghe. Ne fornisco una descrizione come mi è stata data verbatim: “La sega delle streghe è una piccola moneta che possiedono le streghe. Esse vanno con questa nei martedì e nei venerdì per le strade a tagliare o a grattare via la terra dalle impronte della gente; con la moneta rimuovono quella terra e con essa fanno grande danno” (a quelle persone). L‟incantesimo contro la sega delle streghe – sega mulega – viene citato nella canzone “sega mulega stregoni e streghe di Gaeta che filano la seta.” “Mulega è una parola delle streghe per designare la terra che prendono dalle impronte. Significa che non è terra quella di cui tagliano via un pezzo, ma è un pezzo di carne che scomparirà dalle piante dei loro piedi. Se qualcuno sospetta di essere stato stregato in tal modo, che rimanga quasi nudo e prenda un nastro nero o rosso. Quindi dovrà essere misurata con quel nastro prima l‟intera estensione delle braccia aperte e poi la sua altezza da capo a piedi.” Questa canzone di sega mulega è una canzoncina da bambini molto comune, che si canta quando si fa la culla con uno spago, cosa che suggerisce la misurazione con il nastro. Ma anche in questo essa è strettamente alleata alla stregoneria perchè, quando la corda forma una bara o altre immagini, se ne traggono presagi, come mi è stato mostrato sotto i miei stessi occhi. Ora è una canzoncina per bambini, ma un tempo era un incantesimo ed una strega mi disse che, se adeguatamente compresa, lo è ancora e deve essere cantata mentre si divina con una corda. E‟ la seguente: “Sega mûlega, stregoni e streghe di Gaeta che filano la seta, la seta ed il bombaggio; mi piace quel giovane che sbatte il castagno, batte tanto forte le streghe che fa tremare le porte; le porte sono d'argento, che pesano cinquecento, cinquecento, cinquanta, la mia gallina canta. Non era gallina che cantava ma è un gallo. Non è un gallo che canta, ma una strega senza fallo. Se una strega é, una strega pur sia! Ma che il diavolo la porti via!” Incantesimo o canzoncina per bambini che sia, di certo vi è in essa uno spirito selvaggio del Nord che supera di gran lunga quello della canzone delle streghe Ghurughiu che Goethe udì a Napoli.
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Capitolo III L’esorcismo della morte “Vattene, o morte! Io non ti temo!” Canzone del mietitore, Des Knaben Wunderhorn “Carmen autem evocat: orium idem tradit . . qui pestem a suis aversam in hastes ferret” Livio, 1, VIII L‟incantesimo che segue, molto singolare e strano, comprende uno dei segreti più profondi che le donne sagge non divulgano. E‟ completamente pagano e non vi sono in esso tracce di cristianesimo, nonostante venga usato in un‟occasione in cui si suppone che i cattolici impieghino tutti i debiti riti della chiesa. Esso si basa sull‟antica credenza che la morte possa essere sviata da un incantesimo pronunciato da una maga ed è molto interessante sotto vari aspetti, in quanto mostra il grado in cui l‟antica magia etrusco-Romana prevale tuttora nei distretti rurali della Toscana – magia che non è carente neppure all‟ombra del Duomo della stessa Firenze, come ben so. Io credo di non essere molto accurato quando chiamo questo “etrusco-romano”. Infatti, così com‟è, la religione che forma la reale fede delle strege e dei loro patroni risale ad un‟epoca di cui non vi sono registrazioni. Il politeismo greco-romano morì prima che il cristianesimo sorgesse; prima di loro vi erano Etruschi, Oscani, Sabini o Umbri e molto, molto prima di questi, la semplice magia degli stamani tartari. Ed io ho più o meno colto per strada dagli Etruschi qua e dai Romani là, ma principalmente ciò che era migliaia di anni fa e permane a tutt‟oggi. Per tornare all‟incantesimo:
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“Quando qualcuno in una casa è molto malato e si teme che muoia, andate da una strega e dite: „Ho bisogno di un favore da te: che la morte non giunga al mio malato – al mio malato non voglia far venire e sono venuto da te a sentire perché tu bene me lo possa dire.‟ Quindi, la notte in cui ci si aspetta la morte, la strega dorme e la Morte le appare in sogno e le annuncia che un certo giorno l‟invalido le è destinato o sarà in suo potere. Quindi, la notte in cui la Morte verrà a prendere la sua vittima, la strega prenderà una zucca e vi farà occhi, naso e due buchi in cui metterà due baccelli di fagiolo pieni dei loro fagioli a somiglianza di corna. E, quando si aspetta la Morte, la strega fa il segno delle corna (la jettatura, chiamata le corna in Toscana) e si mette a scongiurare, comincia l‟incantesimo in tal modo: „O spirito di Morte indegna, da questa casa te ne puoi andare; questo malato nella notte tu non potrai pigliare, perché le corna a jettatura ti sono venuta a fare! E appena l‟alba sarà spuntata l‟ammalato più non ti sarai guadagnato e dalla morte verrà liberato!‟” Questa immagine della strega che sconfigge la Morte colpisce molto e potrebbe essere studiata come soggetto da un artista; mi è stato assicurato che tutto ciò viene mantenuto segreto ai preti ma che è il caso di scriverlo in questo libro. Ovidio descrive in dettaglio una cerimonia essenzialmente identica. Vi era a Roma una festa dell‟espiazione ai Lemuri, gli spiriti della morte, che veniva celebrata il 9, 11 e 13 di maggio ed il suo fine era di scongiurare la morte per l‟anno a venire. “A mezzanotte il padre della famiglia camminava a piedi nudi per la casa, facendo con le dita il segno che gli spiriti temono – signaque dat digitis, medio cum pollice junctis-occurrat tacito ne levis umbra sibi (che è il segno delle corna, o la jettatura). Quindi si lavava le mani con pura acqua di fonte, si metteva in bocca dei fagioli e gli gettava in giro per la casa senza guardarsi indietro, dicendo nove volte: „Dono questi e con questi fagioli riscatto me ed i miei!‟ Quindi si lavava nuovamente le mani per nove volte, ripetendo: „Manes exite paterni!‟. Ora poteva guardarsi intorno, perché la cerimonia era finita.” Qui non viene menzionata la testa di zucca, ma vi sono i fagioli e la jettatura. Preller, tuttavia, dichiara distintamente che con il tempo la cerimonia delle Larvae venne sviluppata ulteriormente, fino a divenire una cerimonia con apparizioni terribili e spettri. “Essi la accompagnavano con imitazioni di scheletri e figure spettrali.” Questo identifica l‟incantesimo toscano con le cerimonie romane, perché la zucca aveva evidentemente il significato di rappresentare un teschio. Anche al giorno d‟oggi la zucca vuota con una lampada in centro e che si suppone appaia come un teschio con occhi fieri è ben nota a tutti i contadini e Brom Bones la impiega nella leggenda di Washington Irving sulla valle addormentata per spaventare
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Ichabod Crane. Questo significa che la Morte viene spaventata e scacciata da ciò che le somiglia. Così, tra i popoli di Babilonia e Ninive, come possiamo leggere in Chaldæan Magic di Lenormant, i grandi poteri del male – tra cui vi era la Morte –, temevano di più di tutto ciò che somigliava loro, e per questo motivo per proteggere le case venivano poste qua e là delle figure orribili. Anche gli specchi sono una protezione contro i demoni. Non ho dubbi sul fatto che, nonostante nel Medioevo vi fosse in realtà una passione per gli eccentrici e gli strani, la vera ragione per la moltiplicazione di goblin grotteschi dappertutto fosse una credenza similare. Vi è uno strano tipo di omeopatia nella tradizione di quel tempo, un‟applicazione a piene mani del principio del similia similibus curantur: l‟uccisione della stregoneria tramite la stregoneria, diavoli che scacciano diavoli, cure grazie all‟arma che ha fatto partire il colpo, cose che hanno raggiunto la perfezione in Paracelso. Questo non è un caso ed appare troppo di frequente per essere accidentale o il risultato di cause correlative, ed io credo che questa fede antica che la Morte si spaventasse grazie alla Morte ne sia stato l‟inizio. Credo infatti che, come i leoni ed i mostri alla base delle colonne risalgono dall‟architettura bizantina a quella di Babilonia e Ninive, così il mettere immagini grottesche di diavoletti, demoni e goblin abbia avuto origine nello stesso paese, in base al principio che il diavolo teme ciò che gli assomiglia. Questa credenza spiega la presenza di una quantità così grande di quelle strane figure diaboliche nelle chiese cristiane, figure che sono state a lungo un rompicapo per gli archeologi. Esse avevano lo scopo di scacciare i diavoli.
L’incantesimo della culla Quando nacqui – fu nella città di Philadelphia – ebbi per bambinaia una vecchia Olandese di nome Van Der Poel, che suppongo fosse qualcosa di simile ad una strega o, come tutte le vecchie Olandesi, avesse familiarità con le cose occulte. Un giorno io, il bambino, scomparvi insieme alla mia culla. Venne setacciata la casa con comprensibile allarme ed infine venni ritrovato nella mia culla nella soffitta. Intorno alla culla vi erano delle candele accese, una Bibbia aperta e su di me un piatto di sale. Penso vi fosse anche una chiave o delle forbici, ma di questo non sono certo. Venne spiegata come una cerimonia necessaria ad assicurare il mio successo o la mia felicità futura. Anche altre autorità più vecchie dichiarano che questo farà crescere il bambino nella vita, in quanto l‟essere in soffitta è simbolo di ascensione; significa anche che la persona che viene portata lì diverrà un adepto della tradizione occulta, o della stregoneria e della magia. Dal Journal of American Folk-Lore del giugno 1892 sono venuto a sapere che
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tra di discendenti dei coloni tedeschi nella Carolina del Nord “la prima volta che un bambino viene portato fuori dalla stanza in cui è nato deve essere sollevato” (scale) “o non andrà in paradiso. Se la porta della stanza scende (?n.d.t.)… allora la persona che porta il bambino deve salire su una sedia o su un libro con il bambino in braccio” (N.C.Hoke). Nel riferire questo ad una strega toscana, ella la riconobbe come una cerimonia ben nota e mi spiegò come veniva eseguita in Romagna: “In Romagna vi sono streghe buone e cattive. Quando sono attaccate ad una famiglia o ad un luogo e sanno che là è nato un bambino, entrano nella casa il più segretamente possibile e prendono la culla con il bambino, la portano in soffitta o nell‟attico che sia, nella stanza più elevata sotto al tetto. Quindi la strega prende il sacco (saconcini) della culla e vi pone sopra il bambino, mette quindi sulla sua testa del sale grezzo ed una Bibbia aperta ai piedi; quindi mette quattro catene d‟oro e quattro anelli, d‟oro anch‟essi, ad ogni angolo del letto e due candele accese vengono poste vicino alla testa del bambino. Quindi il lettino, con il bambino dentro, viene sospeso con le catene al soffitto e la strega ripete: „Io ho fatto questo non per interesse mio, solo per l‟amore che porto a questa famiglia che per quanto sono grandi in ricchezza (non perché siano ricchi), ma che il loro figlio più grande possa venire di talento e, se l‟ho messo sospeso così in alto, è perché col suo talento possa venire la persona più alta e più importante di questo mondo.‟” Davvero un augurio gentile e, se avesse sempre funzionato, non vi sarebbe carenza di talento al mondo. In questa cerimonia italiana la strega buona deve, dopo avere ripetuto l‟invocazione, andarsene senza guardarsi indietro e non tornare in quella casa per quel giorno; quest‟ultima condizione è di antica origine latina. Questo incantesimo veniva ripetuto a parole, non cantato.
Divinazione con il piombo L‟usanza di divinare per mezzo di stagno fuso o piombo fuso versato in acqua è, come sottolinea Friedrich, molto antico, come si può evincere dal fatto che è conosciuto da ogni razza cui questi metalli siano noti. La cerimonia consiste nel fondere il piombo (i Latini usavano anche la cera), nel versarlo in acqua e nell‟evincere gli eventi futuri dalle sue forme. Queste venivano poi portate a letto dalla persona cui l‟oracolo era destinato ed essa, per influenza dell‟immagine, in sogno trovava conferma di quanto predetto. Il modo di divinare per mezzo del piombo fuso è il seguente – è di qualche importanza perché non solo è elaborato, ma, come potremmo mostrare per analogia, è molto antico in ogni dettaglio:
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“Dovete prendere tre semi di una rosa, tre foglie di ortica, due foglie di ruta e tre semi di cumino. Mischiate il tutto. Prendete quindi del piombo e, a mezzanotte, accendete due candele di sego (esiste anche vegetale, n.d.t.), legandole con un nastro rosso. Prendete quindi un piatto, mettetevi sopra il piombo e le erbe (le erbe per ultime), mettete il piatto sul fuoco e, quando il piombo sarà fuso, incorporatevi le erbe. Versate quindi il piombo nell‟acqua e guardate quali forme assume. Se dovesse assumere la forma di un fiume è un cattivo segno, ma si può usare per gettarlo nella casa di un nemico per fargli del male. Se il piombo può essere gettato nell‟acqua corrente e prende la forma di una fonte battesimale, è un presagio molto buono e dovrebbe essere conservato in un sacchetto rosso legato alla cornice del letto o, ancora meglio, messo all‟interno del letto, avendo cura che nessuno lo tocchi. Quando mettete nel piatto il piombo e le erbe, si deve dire: „Lo faccio per vedere se verrà la fortuna (o sfortuna) in casa mia.‟” Possiedo un‟altra descrizione di questa cerimonia, più dettagliata: “Fondete il piombo e mettetevi dentro semi di rosa, foglie di ruta e tre semi di cumino. A mezzanotte accendete due candele legate fra loro con un nastro rosso. Quando il piombo sarà fuso, mettete il piatto fuori dalla finestra dicendo: „O streghe, streghe che la granata (ginestra) non potete vedere, io ve la levo per farvi piacere; o streghe, che di venerdì siete beate, questa grazia mi potete fare e questa grazia mi farete se volete; se questa grazia voi mi fate, che il mio piombo mi faccia la forma di una fonte... significa che andranno bene le cose mie; se il piombo fa la forma di un fiume è segno che le cose vanno molto male.‟” Questo mi venne cantato in maniera così irregolare e interconnessa con la conversazione ordinaria che non sono riuscito a distinguere chiaramente tra l‟incantesimo e la spiegazione. Quindi la mia informatrice riprese: “Mettete la fonte in un sacchetto rosso, gettatelo nella casa di qualcuno cui augurate buona sorte e dite: „Non vi butto il piombo, ma la felicità, che venga in casa vostra!‟ Ma, per fare del male ad un nemico, gettate il fiume nella sua casa e dite: „Non butto il piombo, ma la sfortuna; che venga in casa tua, che tu non possa avere pace nè bene.‟ Se il piombo forma un fiume, il segno negativo, per sviarlo mettetelo sulla mensola del camino o in qualche angolo e mettete sul fuoco un poco di quell‟erba che viene chiamata in Romagnolo felchsa ed in Italiano felce. E‟ una pianta che causa grande sofferenza alle streghe. E, mentre brucia, dite: „Brucio questa roba perchè voialtre streghe maledette non possiate avere mai bene, perchè io vi ho cercato una fortuna che non mi avete voluto dare!‟”
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Credo che questa formula del mischiare il piombo con le ceneri delle erbe e dei semi sia la vera formula antica Romano-Etrusca perchè la ruta, l‟ortica, il cumino ed i semi di rosa entrano negli incantesimi più antichi che conosciamo. Ma quello che rende completa la cerimonia (e che la rende maggiormente curiosa) è i bruciare le foglie di felce per distruggere l‟influenza delle streghe. Mi venne spiegato che era molto potente contro tutte le magie e le influenze maligne ed era un ogni modo un‟erba misteriosa e strana. Di essa Friedrich dice: “Molte stregonerie, meraviglie e superstizioni vengono associate a questa pianta, la maggior parte delle quali viene tenuta segreta... In particolare, viene considerata con molto rispetto la felce a gradini, perchè le vengono attribuite molte virtù, in particolare come potere contro gli spiriti maligni. Le sue radici vengono utilizzate nelle invocazioni di buoni e cattivi. I cinque gradini sullo stelo, che si suppone somiglino ad una mano, vengono chiamati mano di fortuna, o mano di Giovanni, e vengono portati come protezione contro la sfortuna o la stregoneria.” Se il piombo, le ceneri ed il resto si dovessero semplicemente amalgamare in un pezzo, non vi è uno speciale significato. Divinare con il piombo significa il formarsi di forme o immagini grazie all‟aiuto di incantesimi ed è perciò strettamente collegato al versare il bianco di un uovo nell‟acqua ed al giudicare dalle forme che assume il futuro riguardo alle domande poste. Questa pratica è antica quanto il mondo ed esiste dappertutto, ma in Toscana si fa così: “Prendete un bicchiere d‟acqua a mezzanotte esatta. Fatevi cadere dentro il bianco di un uovo e dite: „ Mostro questo uovo, strega maledetta, che in cambio possa vedere il mio destino. Per un giorno ai tuoi ordini starà alla finestra, che la mia fortuna io possa conoscere, che esso mi possa mostrare il mio futuro!‟ Dopo 24 ore guardatelo da vicino. Se avrà preso la forma di un camposanto, significa una morte in famiglia; se mostra una chiesa ed un prete che dà la benedizione, significa un matrimonio. Le stelle predicono felicità e, se vengono tracciati i lineamenti di qualche persona, significa fortuna per quella particolare persona.” Le streghe che profetizzano per mezzo delle uova devono essere una classe di signore singolarmente amabili. Ci si rivolge a loro con una maledizione e poi viene loro modestamente richiesto di prendersi la briga di preparare una predizione!
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Divinazione per mezzo dell’olio “Est enim evangelium signum pacis et saluberrimum OLEUM gratiæ et misericordiæ divinae.” Coquius, Histor. ac contemplatio sacra Plantarum, Vlissing, 1664. Per le strade di Firenze, non lontano dalla Signoria, vi sono delle case che probabilmente erano già vecchie ai tempi di Dante – chissà? –; o chissà se conoscono l‟età di ogni cosa in questa terra dove abbondano vestigia anche preistoriche e nulla appare più strano del nuovo? In una di quelle case entrai – nella totale oscurità – e percepii che la mia strada era di sopra, dove vi era una porta invisibile; bussai ed entrai in una vasta stanza divisa da un‟altra solo da un grande arco antico. Vi era una mezza luce proveniente da una singola finestra e l‟insieme formava un‟immagine molto simile ad un Rembrandt. Al tavolo sedeva la veggente e davanti a lei vi era un bicchiere d‟acqua in cui, con strani gesti mentre pronunciava un incantesimo, stava versando dell‟olio da una bottiglia. “Che fai, figlia di mille streghe?” “Sto facendo un incantesimo con l‟olio. Vuoi imparare come si fa?” Sì, lo volevo. Sapevo che la divinazione con l‟olio era proibita da legge e vangelo, chiesa e stato, anche negli editti di Carlomagno e che in tutte le epoche era stato uno dei secreta rariora che le streghe conservavano per le occasioni speciali. L‟autore del Trinum Magicum, sive Secretorum Magicorum Opus, pubblicato nel 1611, ci dice: “Aliqui itidem aquam in vitreum catinum effundunt, oleique guttulam admiscent et sic in aqua mira se cernere posse putant.” In Italiano: “Alcuni ancora versano un poco di acqua in un bacile, mischiandovi quindi una goccia d‟olio e così pensano di vedere cose meravigliose nell‟acqua.” Questo era tutto ciò che lui sapeva in merito, perchè se ne avesse saputo di più di certo lo avrebbe fatto. L‟intero oracolo venne tuttavia consultato sinceramente, debitamente ed accuratamente in mia presenza e funzionò così come lo descrivo, passo per passo: “Prendete la bottiglia con l‟olio – una piccola –, fate con essa per tre volte il segno della croce sul capo e sul volto dicendo: „In nome del cielo, delle stelle e della Luna, mi levo questo malocchio (o altra cosa) per mia maggior fortuna!‟ Quindi, con la stessa bottiglia o fiala, fate tre croci con la mano destra sul bicchiere d‟acqua, esattamente da parte a parte, facendo anche le corna o jettatura con il dito indice ed il mignolo della mano sinistra stesi ed il dito medio e l‟anulare chiusi o tenuti fermi dal pollice. E queste dita estese riposano sul margine del bicchiere. Nel fare questo, la strega ripete: „Befania! Befania! Befania! Chi mi ha dato il malocchio me lo porti via!‟
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Quindi versate o lasciate cadere con molta attenzione tre gocce di olio. Se si mescolano in una è un buon segno o un segno affermativo per una domanda. Se desiderate sapere se troverete ciò che state cercando o se incontrerete un amico o qualunque cosa del genere, tutto andrà come desiderata. Ma se le tre gocce rimangono separate è un segno negativo. Quindi, per esplorare attentamente tutte le possibilità, questa cerimonia viene rinnovata per tre volte. Ed ogni volta gettate l‟acqua e l‟olio per strada o in un cortile. Se passerà per primo un uomo, tutto andrà bene ; se una donna, i presagi continuano a rimanere sfavorevoli. Fate allora una volta ancora la castagna, il segno del pollice tra le dita indice e medio, che è molto più potente delle corna.” (anche gli antichi scrittori Romani lo chiamano terribile); “notate che anche questo va fatto sul margine del bicchiere con la mano sinistra, mentre con la mano destra versate attentamente l‟olio in modo da formare con esso una croce sull‟acqua (che è stata rinnovata). Quindi fatevi la croce sulla testa e sul volto con l‟olio per tre volte, ripetendo l‟invocazione a Befania tre volte come prima” (tutto questo venne fatto con incredibile velocità). “E se, dopotutto, l‟oracolo non è propizio, versate nel bicchiere circa un cucchiaino di sale e ripetete la formula di Befania. Se l‟olio diventasse di colore biancastro, è segno che Befania si placa e che ora tutto andrà bene.” Ma, se ella fosse refrattaria ad ogni incantesimo nonchè al sale sacro, allora versate nel bicchiere un carbone ardente – l‟ultima risorsa disperata di imprudenza diabolica. “Flectere si nequeo superbos Acheronta movebo.” Questo mescola l‟olio all‟acqua a dispetto di tutti i diavoli e, fatto questo, andate avanti con la fiera ed orgogliosa sensazione che, nonostante tutti i presagi siano contro di voi, voi prevarrete con la vostra forte volontà. Ma qui, nel terminare, vi è ancora da fare qualcosa. Esprimete la vostra gratitudine allo Spirito del Fuoco, che è breve ma estremamente pagana e senza dubbio molto antica: “O fuoco benedetto che brucia immensamente e brucia tutta le gente, ti prego di bruciare questo malocchio e chi me l'ha dato!” Quindi, come negli antichi riti Latini, il carbone e tutto il resto devono essere gettati in un corso d‟acqua e voi dovrete andarvene senza guardarvi indietro. “Fers cineris Amarilli foras, rivoque fluenti, transque caput jace, ne respexeris.” Il lettore vedrà, facendo un paragone, che questo incantesimo ha molto in comune con la divinazione per mezzo delle ceneri. Devo confessare che ammiro molto questo genere di divinazioni ed ho una perfetta fiducia nell‟ultima porzione di questo, il carbone ardente. La strega aveva vicino uno scaldino – un braciere di terracotta a forma di cesto – proprio come le sue antenate lo avevano sempre ai tempi di Virgilio e forse
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molto prima dell‟epoca di Tarquinio; e, quando il carbone entrava sibilando nell‟olio e nell‟acqua, il suo volto aveva la bella espressione della maga che sconfigge un nemico. Era una bella immagine ed un grande artista avrebbe apprezzato gli occhi neri lampeggianti sotto una massa di capelli arruffati – la mia mente andò dalla strega del Vesuvio a Virgilio, ad Apuleio e Teocrito, che avevano tutti visto lo stesso antico e terribile volto. Altri oracoli ed incantesimi fatti con il carbone ti danno un responso, un “sì” o un “no”, ma in questo si comincia gentilmente ed amabilmente con l‟olio e con un gentile e pagano incantesimo ai pianeti. Voi date al Fato tutte le possibilità e siete prodighi di cortesie magiche o cerimonie. Ma non lasciate perdere se il responso non è favorevole. Affatto. Procedete con il piccante maggiore, il sale. Anche il sale è gentile, ma in esso vi è una intimazione che significa che sotto il vostro guanto di velluto vi è un pugno di ferro, che volete che la faccenda vada bene. Quindi, fallito il sale, viene il carbone ardente. Se il cielo cadesse, voi lo sorreggereste con la vostra lancia e sconfiggereste il diavolo. In altre parole, quello che doveva essere può essere forzato a prendere un altro corso grazie alla perseveranza negli incantesimi. Il che corrisponde a preghiera e penitenza – in tutte le religioni –, le quali insegnano che il futuro può essere cambiato o formato per adattarlo ai “buoni”. Molti lettori potrebbero non aver riflettuto sul fatto che tutte queste divinazioni sono equivalenti ad una preghiera accompagnata da formalità. Quando la gente religiosa – come viene fatto spesso in America – si riunisce a pregare per un certo obiettivo o per un certo oggetto, è pressochè la stessa cosa che se avessero divinato con l‟olio ed il sale ed avessero invocato Befania. Nell‟anno 1859, quando Theodore Parker era estremamente detestabile alla rigida ortodossia di tutte le sette, molte pie signore presbiteriane si riunirono allo scopo di pregare che egli potesse morire; e la sua morte, poco tempo dopo, venne attribuita al loro fervido zelo. Non ne venne fatto un segreto – esse se ne vantarono nei quotidiani religiosi. Nel periodo in cui ero direttore di Vanity Fair a New York, una signora scrisse una poesia che poneva graziosamente in ridicolo questo lavoro di voodoo ed io disegnai per essa una illustrazione, che pubblicai. Non vedo in quale modo questo pio pregare per la morte di un uomo dia diverso dalla stregoneria più malvagia descritta in questo libro. Qualunque sforzo di chiedere o forzare dallo Sconosciuto o dal Sovrannaturale certa conoscenza o certi favori, che sia una preghiera, un digiuno, un incantesimo o delle cerimonie, è magia – chiamatela come volete. Sin dall‟inizio del tempo gli uomini si sono torturati e messi a morte a vicenda per avere impiegato metodi differenti di evocazione di spiriti; i cattolici hanno bruciato,
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imprigionato e torturato a morte letteralmente milioni di persone, i maomettano ed i bramini ed i miti buddhisti hanno fatto anch‟essi del loro meglio in quest‟opera e non uno di loro ha mai riflettuto sul fatto che essi erano solo ombre o nuvole della stessa oscurità primeva delle streghe e del diavolo. Vi è un altro metodo per usare l‟olio, non per la divinazione o per lottare con le streghe ma per stregare, cioè per fascinare gli uomini. Consiste nel rubare da una chiesa un poco di olio battesimale, se ci si riesce – altrimenti, l‟olio che viene benedetto e posto nelle lampade davanti alla Vergine o ai santi andrà bene ugualmente. E, se una ragazza si unge con esso le labbra, l‟uomo che la bacerà “verrà preso da uno strano e selvaggio amore; egli non farà attenzione al mondo oscuro sotto di lui , egli non farà attenzione al cielo sopra.” No, tutto sarà perduto in un delirio di devozione alla demoiselle à l'huile davanti a lui, paragonata alla quale la migliore sardina non sarà nulla. Egli dovrà averla, senza badare a spese. Quella di rubare l‟olio dalle chiese è un‟abitudine molto antica e profana e viene considerata come il peggior sacrilegio dai preti, i quali guardano ad ogni sorta di magia e stregoneria – eccetto la loro – come indubbiamente condannabile. Paulus Grillandus che, ai suoi tempi, come ci informa con orgoglio, ordinò la tortura e la bruciatura da vivi di centinaia di eretici e streghe, racconta la storia che segue a proposito di ragazze cattive che rubano l‟ostia sacra per fare amuleti per l‟amore. Nella sua opera, datata 1547, egli riferisce che: “Non è ora un anno da quando vidi ed esaminai a Roma due donne impudiche e senza vergogna (due impudice mulieres), che venivano tenute in prigionia dal Reverendo signore locum tenens del Reverendo D. Vicarii Papae” (Grillandus era “in società”, a quel tempo, e desiderava mostrare la propria abilità) “ed esaminando” (questo tipo di esame significava ruota di tortura e tenaglie arroventate) “ho trovato che esse avevano preso l‟olio del battesimo e se ne erano unte le labbra mentre pronunciavano queste parole: abrenuncio tibi; fatto questo, se baciavano degli uomini questi li amavano. Ma, nonostante tutta la loro arte, esse espiarono il loro crimine soffrendo l‟estrema giusta punizione.” Questo significa, oscuramente, qualcosa di peggio della ruota e del bruciare vivi o convicta et combusta, perchè per questo santo arrostitore, Grillandus, tale punizione era un semplice luogo comune. Tuttavia, nonostante la chiesa e di pali del rogo, in Italia le ragazze hanno continuato a farlo – cioè a rubare l‟olio – e questo non meraviglia molto, perchè la paura della tortura e la certezza dell‟inferno eterno non avrebbero mai impedito ad una vera figlia di Eva di fare qualcosa che avrebbe attirato ammirazione. E questo è il
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modo in cui si opera ora, come mi è stato descritto da una che aveva familiarità con il procedimento: “Quando una donna desidera ispirare amore sincero in un uomo, dovrebbe entrare in chiesa quando i preti e le donne stanno cantando la benedizione e, da una lampada che brucia davanti ad un santo maschio (pure che non sia una santa), prendere tre gocce di olio, che deve essere benedetto, ma solo con il dito indice e metterle in un piattino, quindi dire: „Non prendo questo olio per il mio dolore, ma prendo la benedizione da questo santo (nome del santo) perchè questa benedizione vada sempre al mio amore, che non possa partirsi mai da questo mio cuore!‟ Quindi si deve portare a casa il piattino e lo si deve nascondere con cura in modo che nessuno possa vederlo e per tre giovedì consecutivi le labbra devono essere unte con quell‟olio. E, baciando l‟amante sulle labbra, la ragazza deve dire: „Io ti bacio e ti bacio sinceramente e, sempre nascosto dalla gente, io ti bacio di vero cuore e ti bacio di vero amore; e questo santo... mi voglia aiutare che tu pure mi possa amare e presto tu mi voglia sposare.‟” Per avere detto e fatto queste inezie, alle giovani veniva strappata la carne con tenaglie roventi, le giunture venivano staccate dai loro alloggiamenti dalla ruota di tortura, veniva versato sopra tutto il loro corpo dell‟olio bollente (vedi Horst, Dæmonomagia, Sprenger, ecc.) e quindi venivano bruciate vive. Questo a Roma, davanti al Papa e per suo ordine, quando la chiesa romana era nel pieno del suo potere, della sua infallibile saggezza e cristiana filantropia, luce, dolcezza, mansuetudine e misericordia. Credo che questa moderna cerimonia italiana doni l‟intera verità e tutti i dettagli riguardo al furto dell‟olio. Non credo che parole come abrenuncio tibi siano mai state pronunciate; i preti, nelle loro accuse, dichiarano sempre che le streghe rinunciavano e denunciavano sempre il cristianesimo, ma di tutto ciò non vi è traccia nelle pratiche delle streghe come sono realmente; e, considerando il modo in cui venivano trattate, è stupefacente che esse non li ingiuriassero in ogni occasione. Lo scopo del furto dell‟olio era di ottenere la misteriosa virtù o potere occulto della benedizione pronunciata dal prete, altrimenti perchè avrebbero dovuto rubarlo e quale senso vi sarebbe stato nel prenderlo se ne avessero negato il potere? E‟ vero, l‟intero procedimento non ha alcun senso, che sia da parte del prete o della strega, ma la donna non desiderava nulla di crudele o inumano, solo di ottenere un innamorato. Non è magia o stregoneria quando un prete pronuncia in incantesimo idiota o una benedizione sull‟olio da bruciare in una lampada o tocca con esso un peccatore sul letto di morte ma, se una ragazza prende alcune gocce di questo stesso liquido incantato per attrarre un innamorato, è un crimine – un
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peccato mortale eccetera. E‟ stato riferito che durante la prima occupazione di Parigi da parte dell‟esercito alleato, i Cosacchi non solo bevvero l‟olio delle lampade che vi erano nelle strade ma che, al colmo della loro empietà, svuotarono completamente tutto quello che vi era nelle lampade delle chiese. Ora, se il rubare solo tre gocce dell‟ oleum benedictum da parte di una ragazzetta sciocca meritava tutte le torture della Santa Inquisizione – ed in seguito un passaggio “attraverso le fiamme materiali e temporali nelle fiamme immateriali ed eterne” –, cosa avrebbero dovuto decretare di fare a un selvaggio peccatore di tutti i peccati ed eretico di un Cosacco che aveva “fatto fuori” l‟intera lampada? L‟immaginazione indietreggia sgomenta davanti a tale tremenda malvagità. Quando avete inviato la vostra serva nel fondo dell‟abisso (come dice Jacob Böhme) dell‟inferno degli inferni, cosa potete fare ad un malfattore più grande? Riflettiamo! Vi è una strana morale dietro a tutto ciò. Io, lettore, sono stato – e voi con me in ispirito – in una conventicola sacrilega di streghe dove, secondo le testimonianze generali di tutti i grandi, saggi e buoni uomini vissuti 200 anni fa, Satana stesso era presente, guardando torvo noi che “stavamo cercando tremendamente di notte una delizia infernale basilare”. E noi abbiamo eseguito cerimonie che vengono distintamente descritte come condannabili da tutte le grandi autorità sia della chiesa cattolica che di quella presbiteriana – autorità, ricordatevi, come Lutero –, che vengono a tutt‟oggi credute ed a cui ci si sottomette. Sì, con questa storia dell‟olio e del carbone, dell‟acqua calda e della lampada da chiesa ci siamo dannati al di là di ogni redenzione, attraverso tutti i colori dell‟arcobaleno dalla A a eccetera. Stai attento, o lettore, a ciò che ho attraversato io, per il tuo bene! “Materia da breviario”, disse Frate John.
Piromanzia ed incenso “Das Feuer ist heilig, und wird göttlich verehrt weil es ein reines Element ist, und deshalb mussten seine Priesterinnen auch reine Jungfrauen sein.” Das Feuer, J.B.Friedrich, Symbolik der Natur, pag. 60. “Sic in igne præter alia elementa, sacra omnia insistebant, quod is, crecto proximus coelo sit.” Polydore Virgil de Inv. Rerum. L‟autore del Trinum Magicum (1611), riferendosi all‟antica divinazione Romana, descrive minuziosamente quella attraverso il fuoco. Ci dice che: “Vi è anche la piromanzia, in cui veniva gettata della resina in polvere nelle fiamme. Se la fiamma si alzava unita, era buon segno; se era sottile e divisa, sfortunato; se in tre punti, un evento o un risultato glorioso; se molto dispersa, una morte per malattia; se crepitante o con un colpo secco, sfortuna; se si estingueva improvvisamente, grande pericolo.”
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Per resina si intende qui l‟incenso, il frankincense. L‟identità della moderna piromanzia in Toscana con quella dell‟antica Roma, che si tratti dell‟osservazione delle fiamme mettendo dei semi, del frankincense o delle foglie di papavero su carboni, è notevole. Mi venne narrato come segue: Fiamma “Accendete la legna e se, nel farlo, prende fuoco con difficoltà o forma delle fiamme piccole o brutte, è un cattivo segno riguardo agli eventi o a ciò che abbiamo in mente. In Romagna, i vecchi dicono che se si vuole sapere come andrà una cosa si deve studiare il fuoco con attenzione. Se brucia bene tutto andrà bene; se male, le cose finiranno male. Se brucia con una fiamma chiara e bella, è segno di buona sorte; diverse fiamme od ora da una parte e poi dall‟altra con un colpo secco, significa che parenti o amici verranno presto a trovarvi. E, prima di consultare il fuoco, se desiderate avere presagi ben chiari ripetete questo: „Fuoco, Fuoco benedetto! Alla mia casa fortuna aspetto, e sempre a te vengo a sperare che l'augurio di buona fortuna tu mi voglia dare!‟ E le fiamme colorate o variate sono come quelle spezzate.” Questo ricorda molto vividamente un passaggio dall‟Edipo di Seneca: “Tir. Quid flamma? largus jamne comprehendit dapes? Man. Subito repulsit lumen, et subito occidit. Tir. Utrumne clarus ignis, et nitidus stetit, rectusque purum verticem coelo tulit, et summam in auras fusus explicant comam? An latera circumserpit incertus viæ. Et fluctuante turbidus fumo labat? Man. Non una facies mobilis flamma fuit, imbrifera quales implicat varios sibi iris colores, parte quæ magna poli curvatæ picto nunciat nimbos sinu. Quis desit illi quisue sit dubites color: cæmlea fulvis mista oberravit notis Sanguinea rursus, ultimum in tenebras abit Sed ecce pugnax ignis in partes duas discedit - immugit aris ignis et trepidant foci.” Questo corrisponde accuratamente ai moderni presagi ed incantesimi. Semi sui carboni “Vi era” osserva l‟autore di Trinum Magicum, “un altro tipo di captromanzia. Venivano gettati su carboni ardenti dei semi di sesamo o di papavero nero e venivano tratti dei presagi dal fumo che si innalzava da essi, come osserva Dione Cassio.” In Toscana questa divinazione è ora così: “Prendete dal raccolto alcuni chicchi, metteteli sui carboni e, se bruciano o scoppiano bene, è segno che il raccolto dell‟anno successivo sarà buono. E se non bruciano sarà cattivo. Vengono usati anche i papaveri, ma io non ne so nulla.” Questo è forse il vero metodo che seguivano in antico. In antico si usavano grano, orzo o capsule di papaveri, ma in seguito si scoprì che il mais
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esplodeva o “scoppiava” meglio e li ha quindi sostituiti. Quanto segue è un resoconto maggiormente dettagliato di questa divinazione: “Prendete alcuni chicchi di granturco (mais) e metteteli su un piatto; a mezzanotte mettete il piatto sul fuoco e dite: „Metto questo granturco, quanti diavoli siete vi scongiuro che mi diciate o mi facciate sapere se il mio amore oggi mi verrà a vedere; se il mio amore mi ama, se mi sposerà questo granturco tre cambiamenti mi farà: se mi ama, il granturco farà la forma di un cuore, se mi sposerà farà la forma di un fiore; ma se non mi ama fate, diavoli maledetti, che il granturco non faccia forma.‟” Incenso sui carboni Viene usato per accertarsi su chi ha stregato qualcuno o per rimuovere un incantesimo malvagio. “Prendete uno scaldino (un recipiente di terraglia smaltata a forma di cestino) con del carbone che arde, quindi prendete incenso e cumino e metteteli sui carboni. Poi, con un grosso coltello nella mano sinistra e lo scaldino nella destra, andate in tutte le stanze e sopra e sotto al letto, pronunciando per tutto il tempo la benedizione. E con questo coltello mescolate il contenuto dello scaldino. Mentre il cumino e l‟incenso bruciano, ripetete: „Non brucio questo incenso, ma brucio il corpo, l‟anima e tutti i sentimenti del corpo di quella infame (o quell‟infame) che mi ha messa la mala fortuna in casa mia!‟ Quando tutto l‟incenso sarà bruciato, mettete nello scaldino un foglio di carta gialla (sempre gialla) e due chiodi legati a forma di croce. Se non sapete chi ha provocato il male, gettate l‟incenso ed i carboni in un corso d‟acqua o in un fiume. Ma, se sospettate di qualcuno, portate lo scaldino ed i chiodi in casa sua e nascondetelo sotto il tetto, dove non possa essere trovato. Non dimenticate di tenere dentro allo scaldino i chiodi a croce. Allora il/la colpevole sarà costretta o forzata a sciogliere il male o l‟incantesimo; non avrà riposo fino a che non lo avrà fatto.” Qui si comprende che per avere successo l‟incenso deve bruciare liberamente. Negli antichi oracoli Romani (huc illud pertinere puto de Nymphæ o prope Apolloniam”) veniva preso dell‟incenso, veniva pronunciata la preghiera o l‟incantesimo e l‟incenso veniva gettato nel fuoco. Se veniva bruciato completamente il presagio era favorevole ed anche se fuoriusciva con un colpo secco dalle fiamme e bruciava o la fiamma lo seguiva era tutto a posto. Questo non si applica alle probabilità di matrimonio o morte - morte nuptiisque exceptis.
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Nonostante siano differenti come metodo ed oggetti, vi è abbastanza in comune tra la cerimonia antica e quella moderna da fare trarre la conclusione che quest‟ultima sia derivata da un‟antica fonte Romana. Vi è anche un altro incantesimo molto interessante e palesemente molto antico con l‟incenso che brucia, il quale aveva lo scopo di rimuovere il male di ogni tipo o di invocare la buona sorte dalla strega misteriosa conosciuta come Befania. “Prendete del frankincense, sia del tipo migliore che del tipo inferiore, ed anche dei semi di cumino. Abbiate pronto uno scaldino nuovo, che viene tenuto solo per questo scopo. E, se dovesse accadere che affari di qualunque genere vadano male, riempite lo scaldino (o un piatto ignifugo di terracotta) con dei carboni ardenti, quindi prendete tre pizzichi dell‟incenso migliore e tre di quello di seconda qualità e metteteli tutti in fila sulla soglia di casa. Prendete quindi il resto dell‟incenso ed il cumino e metteteli nel carbone ardente, portatelo quindi in giro e fatelo ondeggiare sopra il letto ed in ogni angolo dicendo: „In nome del cielo, delle stelle e della Luna, mi levo questo malocchio per mia maggior fortuna! Befania! Befania! Befania! Chi mi ha dato il malocchio maledetto sia, Befania! Chi mi ha dato il malocchio me lo porti via e maggior fortuna venga in casa mia!‟ Quindi, quando nello scaldino si sarà tutto consumato, accendete i mucchietti d‟incenso sulla soglia di casa, oltrepassateli per tre volte e sputate dietro di voi oltre la spalla per tre volte, quindi dite: „Befania! Befania! Befania! Chi mi ha dato il malocchio me lo porti via!‟ Passate quindi per tre volte avanti e indietro davanti al fuoco, sputando oltre la spalla sinistra e ripetendo il medesimo incantesimo.” In Toscana vi è un incantesimo contro i pettegoli, i calunniatori, i diffamatori e coloro che diffondono malignità. E‟ il seguente: “Contro le persone che sparlano di noi (le persone chi ciarlano sui nostro conto), prendete dell‟incenso con il pollice, l‟indice ed il medio e mettetelo sulla soglia di casa ed alla finestra, mettete una conocchia ed un fuso con il peso penzoloni e date fuoco all‟incenso; quindi dite: „Incenso, incenso! Che bene tu possa bruciare e così possano bruciare le malelingue che ciarlano tanto di me; e, appena tu sarai bruciato, la rocca e il fuso dalla finestra me ne andrò a levare e anche quelle voglio bruciare, e così bruciare e così bruciare pure quelle malelingue; e di me non torneranno più a ciarlare fino a che la rocca e il fuso come prima non torneranno; queste come prima non potranno mai tornare. E le linguacce indegne male di me non potranno più parlare! E così bruciare, e così bruciare‟”, eccetera.
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Il fuso e la conocchia erano una parte importante della magia classica e, come sottolinea Preller, “il filare e l‟avvolgere appartengono per loro natura alla stregoneria.” Vi è una curiosa illustrazione di questo nella seguente ricetta romagnola per costruire uno spaventapasseri magico, per evitare che goblin e fate rubino della frutta: “Prendete degli stracci rossi e con essi, unitamente ad un fuso ed una conocchia, formate un‟immagine simile ad una vecchia. Mettete due di queste immagini nel campo o nella vigna. Quindi formate una croce con due scope e dite: „Se è uno spirito a fare che la frutta mi viene a sinpare, o tu vecchia me li vorrai discacciare; se poi fossero strege o granate, che in croce vi ho messo, mandate indietro tutte le strege e stregoni, che non vengano a mangiarmi i pomi!‟” Nel Nord si crede che una strega possa venire scoperta per mezzo del fuoco. Wolf (Deutsche Märchen und Sagen) riferisce che, quando i bakbini di un contadini sono stregati, viene fatto un fuoco. Se le fiamme dovessero unirsi e formarne una sola – proprio come nell‟incantesimo italiano –, la prima persona che entrerà nell casa sarà la strega.
L’incantesimo della lampada “Nei festival della grande madre di tutta la vita, Neith, gli Egiziani bruciavano lampade in cui vi erano olio e sale – e questo simboleggiava la nuova vita dell‟anno, perchè il sale simboleggiava la creazione della vita e la luce che procedeva dall‟oscurità all‟esistenza; perciò si adattava bene a quella festività.” Friedrich, Symbolik der Natur. La pittoresca lampada italiana, consistente in un lungo tondo di ottone a goccia la cui coppa scivola su e giù con generalmente 3 stoppini e il tondo supportato da una base, è di origine Romana ed è ben nota a tutti i viaggiatori. In magia viene usata come segue – quando un bambino è stregato, per scoprire chi ha fatto su di lui un incantesimo: “Prendete una lampada detta lucerna e, avendo accesi tutti e tre i suoi stoppini, mettetela su un tavolo quadrato con un coltello affilato e tre spilli. Quindi, a mezzanotte, seduti in una sedia vicino al tavolo, fate il segno della jettatura (le corna) e, desiderando di conoscere il nome della persona che ha stregato qualcuno, andate a dormire ed esso vi verrà rivelato in sogno. Ma prima ripetete quanto segue: „Maria, Vergine benedetta, se la malattia di questo bambino (o altra persona) proviene da un qualunque male, venite da me nel sonno. Maria, Vergine benedetta, mi raccomando a Voi perchè mi facciate il favore che egli guarisca presto. Ma se egli sia stato stregato da qualcuno allora, o
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diavolo liberato dall‟inferno, estingui una di queste lampade e fammi sapere chi è la causa di questa malattia; e se è una strega che io possa conoscere il suo nome e che possa trovarla e la sua vita non duri più di tre giorni.‟ Fatto questo, colui che era stregato si riprenderà in tre giorni e non verrà più afflitto in tal modo.” Questa singolare miscela di invocazioni alla Vergine ed al diavolo venne ulteriormente confusa apparentemente dalla memoria imperfetta del narratore di questo incantesimo. Vi è un altro metodo per usare la lampada, grazie al quale vengono forniti nomi o segni che vengono indicati dalle luci che si estinguono, ed ognuna di queste luci viene preventivamente numerata o fornita di nome. Marcellus ci dice quanto segue (94, Grimm, pag. 25): “Si quem coire noles, fierique cupies in usu venerio tardiorem, de lucerna quæ sponte exstinguetur, fungos adhuc viventes in potione ejus exstingue, bibendamque inscio trade: confestim enervabitur.” Che in pratica significa che per privare un uomo del suo potere virile si deve dargli da bere del vino in cui è stato estinto il fumo di uno stoppino. In Toscana vi è quanto segue, usato per qualunque malattia: “Quando qualcuno è malato, che nella sua stanza venga posta una lampada che bruci olio e piccola (una lucernina, sempre se è possibile) e, quando viene spenta, prendete lo smoccolatoio e mettetelo nel vino e date questo da bere al malato. Se egli lo beve volontariamente starà bene, se lo rifiuta è segno che non guarirà.” Comprendiamo qui che l‟odore viene messo nel vino senza che il paziente lo sappia. Dovrei aggiungere che si suppone che in ogni lampada vi sia un suo spirito peculiare, che può essere invocato. Significa che se comprate una di quelle lampade di forma antica – anche se qualunque lampada Romana andrà bene allo scopo – e pronunciate su di essa con fede e serietà una invocazione ad uno spirito – o meglio trovate qualche vecchia che pratica la stregoneria che lo faccia per voi con dell‟incenso –, allora avrete con voi il vostro spirito domestico, un elfo o una fata che potrete consultare in molti modi. E come la gente in Inghilterra dice che un fuoco, con le sue fiamme che si muovono come se fossero vive, è “di compagnia”, così la ragazza italiana, mentre siede e cuce, trova una compagnia fatata nella luce misteriosa, silenziosa e tuttavia animata della lampada, il cui fuoco pareva al Rosacroce Lord Blaize tanto misterioso da scrivere un libro su di esso e sui segreti benedetti del sale, libro in cui la filosofia di Sartor Resartus veniva chiaramente anticipata. Se volete una lampada triplice come questa, lettore, dovete comprarne una antica e vi costerà dai tre ai cinque franchi.
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Capitolo IV Incantesimi negativi Tra le streghe toscane esistono molti incantesimi il cui scopo è quello di danneggiare o anche uccidere i nemici e vi è ragione di credere che questi siano i più antichi tra tutti perchè, più risaliamo a ciò che vi è dietro alla geniale incorporazione delle forze della Natura ed al politeismo, più la stregoneria diventa vendicativa ed oscura. Possiamo provarlo nelle razze tuttora esistenti. Così come si dice che il bambino passi attraverso gli stadi corrispondenti alle forme animali inferiori fino a quelle animali superiori, così possiamo vedere l‟uomo primitivo o preistorico più o meno modificato da suolo e clima nei Fuegi, nei Papuasi o negli Australiani ed in particolare nelle razze africane. In mezzo a tutte queste razze l‟orribile ed antica stregoneria, il cui scopo è molto di più la morte, il danno e la vendetta piuttosto che il fare del bene, predomina sulla benevolenza. Ed il fatto che ancora tanti in Italia usino le forme più antiche conosciute di stregoneria, è una prova pressochè conclusiva della sua antichità. Come gli animali devono distruggere la vita prima di poterne godere, così l‟uomo pare avere trovato in questo suo stadio animale il suo primo grande piacere nel fare del male o nell‟uccidere altri. E‟ perfettamente vero che le razze in uno stato di società primitivo o basso, anche se separate e senza rapporti tra loro, in condizioni similari sviluppano le stesse superstizioni o miti, ma da questo non segue che non vi sia stato “prestito” di tradizione. Al contrario, un esame imparziale di tutto questo folklore con un‟analisi comparativa delle più scrupolose, mostra che vi è stata una immensa e spesso misteriosa quantità di trasmissione e che la teoria delle idee innate – o ciò che viene definito come tale – dev‟essere
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esercitata con molta parsimonia. Si potrebbe tuttavia di certo concedere che gli incantesimi romagnoli non siano cresciuti da soli negli ultimi anni, ma provengano in realtà da fonti antiche, in quanto coloro che ora li detengono vivono nello stesso paese degli Etruschi o degli antichi Latini, che erano loro progenitori, ed essi conservano innumerevoli usanze dei loro antenati – come descritte dagli scrittori classici –; nessuno potrebbe quindi contestare la possibilità che essi abbiano ereditato le loro credenze. Possiedo molti di questi incantesimi per fare del male, ma posso scriverne solo alcuni. Il primo è il seguente; proviene da una vasta raccolta manoscritta fatta per me da un esperto. E‟ stato tratto dagli archivi delle streghe, cioè copiato, come molte di queste ricette lo sono state da altri archivi che vengono gelosamente conservati segreti, in quanto le donne sagge preferiscono impartire la loro saggezza a viva voce. Il “male” viene in questo caso spiegato ingenuamente come quello che è stato fatto alla donna da un uomo nello smettere di amarla. “Per fare una malia così che un uomo possa essere sviato dall‟amare un‟altra donna e sia solo attaccato a sua moglie, prendete tre marroni di ippocastano (marroni d‟India, marroni selvatici) e polverizzateli il più finemente possibile.” (Anche Marcellus pone enfasi sulla stessa triturazione) “Quindi prendete un nuovo recipiente di terracotta e mettetevi dentro la polvere, mischiatela con tre gocce del sangue del marito o della donna che egli ama e, se possibile, aggiungetevi quanto più sangue potete ottenere ed a questo unite mezzo litro di alcolico ed un poco di acqua; bollite a bagnomaria (balneum Mariæ), cioè mettete il recipiente dentro ad un altro recipiente pieno di acqua e, quando avrà bollito per un quarto d‟ora, mettete il recipiente sotto il letto; a mezzanotte la moglie dovrà quindi lasciare il letto e bagnare un poco la testa del marito a forma di croce ed anche sotto i testicoli e dire: „Non bagno te, bagno il tuo cuore, che sempre più tu mi possa amare e più tu non mi possa lasciare e con altre donne tu non possa andare, e quell‟affare con altre donne non ti si possa alzare.‟ Questo deve essere fatto per sette notti, tre volte a notte. Quindi buttate il recipiente e tutto il suo contenuto in un corso d‟acqua dicendo: „Butto via questa pentola e butto via il pensiero di mio marito per altre e che porti tutto l‟amore a me, che io pure tanto l‟amo.‟ E, avendo gettato il tutto nell‟acqua, andate via senza guardarvi indietro e per i tre giorni seguenti non passate vicino a quel luogo.” “Rivoque fluenti-jace ne respexeris” – “vicino all‟acqua corrente non guardare indietro nuovamente”. Questa parte è dell‟epoca di Virgilio ed io
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non dubito che l‟intero incantesimo risalga a quel tempo. Il prossimo si intitola “per fare del male ad un nemico”: “Per fare soffrire un uomo o una donna, prendete un grano di pepe nero ed un (illeggibile) come quelli che si trovano nei campi, bolliteli con i capelli dell‟uomo della donna e ripetete: „Non faccio bollire questi capelli ma faccio bollire questa roba unita all‟anima ed al cuore di quello, che non possa più vivere e non possa più stare, in mezzo alle streghe tu ti debba sempre trovare.‟” Il successo di tali incantesimi dipende principalmente dalla serietà o dallo zelo con cui vengono pronunciati. Quando la strega li pronuncia per se stessa o per altri, lo fa con un‟aria di terribile vendicatività, tale da fare rabbrividire. In una comunità dove tutti sono molto superstiziosi e dove anche la religione dominante insegna con zelo il terrore dell‟esorcismo e della scomunica e le virtù degli amuleti, è normale aspettarsi che gli ignoranti avranno timore anche di un altro tipo di magia. Perciò, se un uomo crede di essere stato oggetto di voodoo, che sia da parte di un prete o di una strega, è in uno stato di terrore mortale; potrebbe anche morire per l‟apprensione. Un breve e semplice metodo per prendere la gente per le orecchie è quello di comprare un poco di quell‟erba conosciuta come discordia. “E quando desiderate una vendetta” (cosa non insolita, in Italia) “gettatela in una casa e dite: „Non butto questo pezzo di roba ma butto la discordia, che non possa dare più pace in questa casa!‟” Ed anche quanto segue: “Per un nemico – prendete del sale e del pepe, metteteli nei suoi vestiti o nella sua casa e dite: „Vi metto questo pepe e questo sale, che in vita vostra pace e felicità non vi possa dare.‟” Si suppone che il pepe causi sentimenti negativi ed incoraggi le liti. “Les anciens livres des songes” dice De Gubernatis (Mythologie des Plantes, vol. II), “prétendent que le poivre vu en songe est de mauvais augure, et une source des querelles dans la maison et dehors, et toutes sortes de déplaisirs.” Possiedo due incantesimi per stregare la gente nel giorno del loro matrimonio in modo che essi siano completamente infelici e non vadano mai d‟accordo. Uno è il seguente: “Se desiderate che una donna non trovi mai la felicità nel matrimonio, prendete nel giorno delle nozze un fiore d‟arancio e mettetelo in un poco di sale fino, pepe e cumino con della discordia, quindi attaccatelo alla schiena della sposa dicendo:
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„Tu sia maledetta! Tu non possa avere un giorno di pace! E quando vai ad inginocchiarti davanti all‟altare, tu possa essere già pentita del passo che fai.‟” In un‟altra, si deve prendere del sangue mestruale chi viene dalla donna, mischiarlo con ruta e cumino, bollire il tutto in acqua pura e farne dei confetti da dare alla sposa ed allo sposo il giorno del matrimonio. E, mentre li preparate, ripetete: “Faccio questi confetti perchè portino la maledizione e la scomunica ai due sposi (pronunciare qui il loro nome), che non possano vivere uniti! Tutti i giorni possano litigare e uniti un anno non possano stare! Questa è la contentezza che si devono dare, basta!” Quest‟ultima parola viene senza dubbio ripetuta dal lettore. Ho molti altri di questi incantesimi di stregoneria nera troppo abominevoli per essere ripetuti, perciò sono lieto che i miei limiti mi vietino di scrivere ulteriori maledizioni. Molto strettamente connessi a questi incantesimi vi sono quelli diretti contro le streghe ed altri intesi a riportare gli amanti infedeli, maschi o femmine, ai loro beneamati. La maledizione è il fondamento della stregoneria. Browning fece dire al suo monaco spagnolo: “Se l‟odio uccidesse gli uomini, Fratello Laurence, che il sangue di Dio non mi faccia uccidere voi!” Le streghe tuttavia credono, come fanno tutti coloro tra cui vivono, che l‟odio intenso e concentrato, o la volontà, unitamente agli incantesimi possa uccidere. E vi sono molti che, credendosi tanto odiati, muoiono. Quando l‟odio viene realmente risvegliato da un torto profondo, che sia a causa della coscienza o dell‟opera misteriosa del destino e di cause oltre la nostra conoscenza, è meraviglioso vedere quanto spesso la freccia colpisca – presto o tardi! Non credete a nulla, se volete, nè nel cielo sopra nè nella terra sotto, ma “tenete conto del racconto di Orcus – di quel racconto tenete conto” e, se vi è qualcuno sulla terra cui avete fatto deliberatamente e profondamente del male, troverete la vostra Nemesi. “Temete colui che avete colpito.” Vi è una opinione popolare generalmente prevalente che è stata inculcata con cura dagli insegnanti di religione, ed è che l‟uomo che cerca vendetta ha sempre completamente torto. Questo è nella sostanza simile alla dottrina repubblicana che dice che la minoranza non ha diritti – o semplicemente vae victis (guai ai vinti, n.d.t.)! Era tutto molto carino nel passato, ma ora non si può negare che le nostre leggi, legali o sociali – così come la religione le ha formate – ci proteggono solo contro le offese maggiori. Una grande proporzione dei danni più amari e che colpiscono maggiormente l‟uomo civilizzato non riescono ad ottenere una punizione legale nè sociale. Questo, così come il precetto di sopportare pazientemente tutte le offese – o di
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porgere l‟altra guancia – è contrario alla natura umana ed alla giustizia. Potrebbe andare bene in un monastero, ma non è applicabile alla vita in generale. Ed è per questo che la strega, lo sciamano, l‟avvocato ed il prete vivono. Ve ne sarebbero molti meno se avessimo ideali migliori. Se dovessimo vendere tutto ciò che abbiamo e donarlo ai poveri, invece di fare del bene creeremmo un immenso esercito di mendicanti e l‟applicazione generale del principio del porgere l‟altra guancia per farsela colpire svilupperebbe semplicemente la prepotenza, la crudeltà e la distruzione oltre ogni limite tollerabile. Invero, questo principio è stato predicato moltissimo dai monaci durante il Medioevo, con il risultato di creare maggiore crudeltà, tortura ed oltraggio di quanto si fosse mai conosciuto prima nei paesi civilizzati. Nella debita proporzione, o anche al di fuori di tutte le proporzioni, per le vergini mansuete, il Beato Angelico e le illimitate carità sante vi furono la spremitura degli ultimi penny ai contadini, rapina, tortura ed omicidio. L‟ideale dell‟eccesso di bontà ha prodotto come naturale risultato un eccesso di male: più morbida è la luce e più scure le tenebre, ed è una regola – con poche eccezioni – che nelle gallerie dove Angelico e Memling e tutte quelle opere di “ineffabile dolcezza” e tenerezza divina abbondano, anche qui troviamo immagini rivoltanti di gente spezzata sulla ruota, scorticata viva, che sta bollendo, arrostendo o cui stanno spezzando le giunture, eseguite con una forza geniale che mostra quanto tali soggetti fossero cari a tutti in quei giorni. Una delle invenzioni più orribili della tortura legale medioevale era a somiglianza della Vergine benedetta.
L’incantesimo della pietra forata e della salagrana “Guardate attraverso una pietra forate e vedrete passare le fate. O, di un viola blu è una scarpa delle fate! Violette blu nell‟erba.” Il lettore è probabilmente consapevole del fatto che se va sopra ad un pozzo profondo scoperto potrà vedere le stelle a mezzogiorno; o che, se guarda attraverso un lungo tubo potrà distinguere più chiaramente gli oggetti – perchè non tutti sanno che le proprietà di un telescopio non sono interamente nelle lenti: no, anche un piccolo rotolo di cartone simile ad un imbuto ci aiuta a vedere le immagini in una galleria. E se solo guardiamo attraverso la nostra mano chiusa a cilindro o copriamo gli occhi o uniamo le palpebre noi, escludendo le “luci laterali”, miglioriamo la nostra vista. Il lettore che desiderasse conservare la sua vista inalterata non dovrebbe mai leggere di notte di fronte ad una luce; in tal caso egli avrà una doppia tensione oculare, una dovuta alla luce ed una alla scrittura. Che gli legga
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quindi con la luce alle spalle. Fu la scoperta di questo principio a portare all‟antica credenza che, guardando attraverso certi anelli consacrati o a pietre con dei buchi o ad una ghirlanda di verbena, si potesse migliorare la vista o vedere cose invisibili normalmente. Non so dire quanto l‟immaginazione abbia aiutato la gente che abitualmente “ha visioni e sogni”, ma la cerimonia grazie al quale in Toscana questo accade è la seguente: “Per vedere gli spiriti, prendete una pietra dal mare, una in cui vi sia un foro, un buco tondo, quindi andate ad un cimitero e, in piedi a poca distanza da esso, chiudete un occhio e, guardando con l‟altro il cimitero attraverso la pietra, ripetete: „In nome di San Pietro e di San Biagio, fate che da questa pietra io possa vedere che forma fanno gli spiriti.‟ Ripetete quindi un de profundis in tal modo: „De profundis clamao in te Domine, Domine! Et Domine et fiantatis, Bugsein et regina materna, Edognis Domine !‟ Quindi potrete vedere per mezzo di quella pietra gli spiriti che non hanno pace, tutti in fiamme, camminare di persona come quando erano vivi, alcuni come preti nelle loro vesti bianche o nere, alcuni in nero, alcuni come frati o come una vecchia con una torcia in mano. E di questi ve ne sono molti che, essendo stati avari in vita, hanno lasciato dietro di sè tesori nascosti, il cui pensiero non gli dà riposo. Allora, se qualcuno sarà coraggioso e audace, mentre essi parleranno tra loro parlerà e dirà: „Se in nome di Dio volete riposare (salvarvi), ditemi dov‟è il vostro tesoro e cosa devo fare per averlo, così sarete salvati.‟ Quindi, se egli è povero e vuole divenire ricco, basta che non abbia timore a far questo e questo è un modo facile per divenire ricchi.” Davvero “facile, se fosse vero” – ed io vorrei sottolineare che la vecchia con la torcia in mano è una figura classica. Vi sono molte tradizioni strane in merito alle pietre forate degne di studio. Apparentemente, tutto ciò comincia in India. Presso il fiume Gundak, in Nepal, vennero ritrovate delle pietre chiamate salagrama, che vengono considerate molto sacre. Una volta, quando Vishnu il Conservatore era inseguito da Shiva il Distruttore, implorò l‟aiuto di Maya (l‟Illusione), che lo mutò in una pietra. Attraverso questa pietra Shiva, sotto forma di un verme, si tracciò una strada. Ma Vishnu fuggì e, quando ebbe riassunto la sua forma, comandò che quella pietra d‟illusione (sala-maya) venisse adorata. Essendo state trovate presso Salipura o Salagra, hanno ricevuto il nome da questa località. Generalmente hanno le dimensioni di un‟arancia e sono in realtà una sorta di ammonite. Nel tardo Edda leggiamo che una volta Odino, per rubare l‟idromele della
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poesia, si trasformò in un verme e si fece strada attraverso un buco in una roccia. Da allora tutte le pietre forate furono chiamate pietre di Odino o, in Inghilterra, pietre sacre. Vi sono molte credenze ad esse associate, come ben sanno tutti coloro che hanno familiarità con il folklore inglese, ma ciò che più conta è il fatto che siano amuleti contro la stregoneria e gli incubi e che, essendo pietre fortunate, corrispondono esattamente alle salagrane dell‟India. Conosco una famiglia dello Yorkshire che possiede una pietra a forma di arpa con un foro al suo interno, che tengono sempre appesa davanti alla porta d‟entrata della loro casa. E‟ da notare che nel mito induista appare molto forte, come nelle mitologie della Norvegia e degli Algonchini, Maya, l‟Illusione. Thor ne viene beffato quando va al Jötunheim; essa gioca per tutto il tempo con i fulmini estivi attraverso i misteri di mezzanotte della tradizione norvegese; anche il monaco Oddo, nella sua Vita del Re Olof, dichiara che tutte le incredibili meraviglie narrate nelle antiche leggende erano dovute ad essa. Nelle saghe degli Algonchini viene abbastanza chiaramente illustrata la loro probabile derivazione dai Norvegesi. E‟ perciò interessante sapere che questa reverenza per le pietre forate si trova in forma peculiare in Toscana. Un volta mi venne inviato dalla Romagna, come gradevolissimo dono dalla compagnia delle streghe, una pietra che mi venne assicurata essere stata potrei dire adorata per lungo tempo. Che fosse stata realmente oggetto di venerazione era evidente dal suo essere circondata da quei piccoli ornamenti di pasta di pane colorata, eccetera, che vediamo spesso sulle immagini dei santi e di Gesù bambino. Era un pezzo di stalagmite pieno di cavità; ho visto pietre simili in vendita in un negozio di curiosità ad un prezzo sproporzionato al loro valore perchè si trattava di amuleti, e di nuovo ne ho trovata una che era stata evidentemente portata addosso e perduta. Le selci con dei buchi, così come ammoniti, sono comuni in Inghilterra ma non lo sono affatto in Italia, perciò la stalagmite ha funto da sostituto. Da quando ho scritto ciò che precede, ho imparato molte cose curiose in merito alle stalagmiti che venivano considerate con tale reverenza in Toscana. Ne ho trovata per strada una che, esaminata da esperti, venne detta essere un indubitabilmente eccellente amuleto. Ma, per metterla a posto, venne riconsacrata nella giusta maniera pronunciandovi sopra l‟incantesimo appropriato e mettendola dentro ad un sacchetto rosso con del cumino. Ma quale fu la mia sorpresa nel venire a sapere che il nome giusto di questa pietra era salagrana, che assomiglia certamente molto alla parola indiana salagrama. Nel domandare con cura a molte persone ricevetti la seguente affermazione in merito:
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“La salagrana è una pietra che somiglia molto alla forma di una spugna. Viene chiamata pietra ma non è una pietra, perchè è lo sterco degli animali chiamati ronbrigoli (lombrichi), che mangiano solo terra e defecano delle collinette che prendono la forma di una pietra o piuttosto di una spugna, che si pietrifica. Si trovano comunemente nelle grotte. Tengono alla larga le streghe. Uno dovrebbe fare un piccolo sacchetto rosso e mettervi dentro la salagrana con dell‟oro, dell‟argento ed una piccola manciata di concordia (un‟erba) e questo sacchetto deve essere tenuto segreto a tutti. E prima dite: „Questo sacchettino bello e preparato mi è stato regalato e sempre lo voglio conservare perchè voialtre streghe indegne non mi possiate ammaliare, perchè nella pietra che contiene il mio sacchettino sono tanti grani che non potete arrivare a contare; e contiene pure tanti buchi che non vi fanno varcare la soglia dell‟uscio e così la malia non mi potete dare; altro che fortuna in casa mia non mi può restare, fortuna d‟interesse come pure d‟amore, tutta quella che mi richiede il cuore!‟” L‟esatta somiglianza della stalagmite agli escrementi di un verme è notevole ed era naturale che si supponesse fatta di quel materiale. Ma, per curiosa che sia la coincidenza dei nomi di salagrana e salagrama, molto più curioso in questo incantesimo è il passaggio che dichiara che “vi sono tanti grani che non potete arrivare a contare” e “tanti buchi che non vi fanno varcare la soglia dell‟uscio”. Questo coinvolge una credenza molto misteriosa ed antica, che sostiene che, quando una strega si trova davanti ad un grande numero di semi o di chicchi (grani), non può proseguire la sua opera fino a che non li avrà contati tutti. Perciò in tutto il mondo si crede che, se un uomo viene perseguitato (cavalcato) da una strega, deve mettere molti chicchi piccoli di qualche tipo a forma di croce vicino al letto. La strega, arrivando, non potrà quindi raggiungerlo fino a che non li avrà contati tutti uno ad uno. E nelle Mille e una notte Amina il fantasma deve mangiare il suo riso, chicco per chicco, con uno spillone. Una persona che ha viaggiato in Persia ha notato che gli schemi dei tappeti di quel paese sono intricati in modo che il malocchio, rimanendo su di essi e seguendo il disegno, perda il suo potere. Questo era lo scopo di tutti gli intrecci dei disegni dei Celti e dei Norvegesi. Quando la strega vede la salagrana, il suo sguardo viene catturato improvvisamente dai suoi fori e dalle sue venature. Oltre alla somiglianza delle parole salagrana e salagrama, abbiamo il fatto molto curioso che la prima si crede erroneamente essere formata dai vermi, mentre i buchi nella seconda, secondo la tradizione, erano fatte dai vermi. Perciò, oltre alla somiglianza dei nomi, abbiamo la coincidenza ben più singolare di pietre dei vermi adorate sia in India che in Italia. La salagrana italiana non ha sempre dei buchi, ma si presenta come avente dei granuli
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somiglianti a dei fori o come corrugata, cosa che si suppone catturi il malocchio.
L’incantesimo della conchiglia e del tono della pietra “Scuotetene una ed essa si risveglia, quindi applicate le sue labbra pulite al vostro orecchio attento ed essa ricorda le sue auguste dimore, e mormora come se l‟oceano mormorasse lì.” “Fingebantur autem ille cecinisse; ut est in veteri epigrammate de cantu Sirenum. Quod tuba, quod litui quod cornua rauca quarantur Quodque leves calami quod suavis cantat.” Johannes Praetorius, 1665 Gli zingari dell‟Ungheria (vedi Gipsy Sorcery) credono o fanno credere che, ascoltando una conchiglia, si possono udire delle parole. Il gonzo ode il suono che si ode sempre in una grande conchiglia; viene quindi bendato e la conchiglia viene sostituita con una che ha da una parte un tubo, cui è attaccato un lungo tubo attraverso cui parla lo zingaro. Una di queste conchiglie con il tubo attaccato mi venne mostrata da una zingara vicino a Budapest. Molto simile a questo tubo telefonico è quanto segue, imparato da una strega toscana: “Per la conchiglia prendete un filo o una corda che sia legata ad un albero; deve essere lunga tre o cinque braccia o più ma sempre in numero dispari, mentre l‟altro capo viene legato alla conchiglia dicendo: „O spirito della conchiglia, una cosa a te vengo a domandare perchè tu mi possa dare soddisfazione; se questa grazia che io desidero tu mi farai, da questa conchiglia al mio orecchio tre cose mi farai sentire: gallo cantare, cane abbaiare e gatto miagolare. Se queste tre cose io sentirò, è segno che la grazia che io desidero sicuro io avrò.‟ Questo è oscuro, ma una cosa è chiara: che la corda è una linea telefonica usata per convogliare la voce della maga, così come viene portata attraverso il tubo. Così funziona l‟oracolo. In un libretto stampato a Firenze ed intitolato Il libretto delle stregonerie, troviamo un altro metodo di divinazione per mezzo del suono o per frode auditiva. Viene chiamato L'amante nel pozzo: “Prendete una pietra di dimensioni abbastanza larghe, più tonda che potete, e di notte andate ad un pozzo coperto; sarebbe meglio se fosse in mezzo a qualche campo o giardino. Appena l‟orologio batte l‟una gettate la pietra con gran fracasso nell‟acqua. Ascoltate quindi con attenzione il suono prodotto dalla caduta della pietra. Nonostante possa essere un poco oscuro o confuso e non sempre molto comprensibile, tuttavia con un poco di
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pazienza ed attenzione si può scoprire nel suono che fa la pietra nell‟acqua il nome della persona che si sposerà o una risposta ad una domanda.” Da una fonte molto migliore – cioè vivente – sono venuto a sapere che questo incantesimo può essere fatto per danneggiare un nemico: andate presso un fiume e gettate la pietra più violentemente e con disprezzo che potete, dicendo: “Non butto questa pietra, ma butto il bene e la fortuna della persona...; che il bene gli vada nell‟acqua corrente e così non abbia più bene.” Un antico metodo di divinazione per mezzo delle pietre gettate nell‟acqua si rifaceva alla vista e non all‟udito. L‟autore del Tractatus Magicus (1611) lo descrive senza riferimenti, ma le sue fonti sono quasi tutte scrittori classici. “Variæ ejus sunt species divinationis per aquas... alia conjectis in aquam stativam tribus lapillis et observatis gyris, qui trifariam invicem implexi circa lapillas sumitur.” Che significa: gettate tre ciottoli in acqua e giudicate dagli anelli che formano come andranno le cose; cosa che ho fatto, con solo questa conclusione: che i cerchi sono come la reputazione degli uomini che compiono grandi azioni – all‟inizio possono esserci ed in breve scomparire, si spargono fin lontano ma diminuiscono mano a mano che si spargono. Sì, sì – “la gloria è come un cerchio nell‟acqua”. In antico si credeva che tutte le pietre possedessero una voce, che poteva essere tirata fuori in vari modi. In un interessante articolo sulla divinazione sulla St. James's Gazette del 27 febbraio 1886, che ho citato altrove, troviamo: “Sappiamo, in base alla distinta autorità di molti maghi del XVI e XVII secolo, che Eleno aveva predetto la caduta di Troia grazie alla forma di divinazione conosciuta come „litomanzia‟. Durante la notte, alla luce delle torce, venivano lavate ad una fonte molte pietre ed era essenziale per il successo dell‟esperimento che la persona che le maneggiava fosse velata. Recitate diverse preghiere e fatte numerose genuflessioni le pietre, in toni dolci e bassi, davano risposta alla domanda posta loro.” Invero, vi sono dei sermoni nelle pietre ed una leggenda ci dice che esse riconoscono un buon sermone quando ne odono uno. Un Santo irlandese, che era cieco, venne una volta indotto da un ragazzaccio a predicare ad una moltitudine di ciottoli e, quando ebbe finito, tutte le lapides gridarono: “Amen!”
Il canto del gallo Un giorno chiesi ad una delle donne sagge se pensasse che vi fossero stati molti cambiamenti negli ultimi anni tra i contadini per quanto riguarda l‟educazione e le nuove idee. Ella rispose:
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“Davvero, signore, oggi non è come un tempo. Le cose vanno magari meglio per i contadini, ma essi stanno prendendo nuove idee e non sanno più cosa pensare. Se un tempo qualcosa andava male, era sempre un malocchio – vi era della malasorte che era stata gettata loro ed essi la scacciavano. E vi erano sempre dei buoni segni – se un gallo cantava era un buon presagio. Allora, quando esso cantava, dicevano: „O bel gallo, tu che canti la mattina allo spuntar dell‟alba! Canta in cortesia la buona fortuna per casa mia!‟” La strega aveva ragione nel dire o nell‟intendere dire che questi presagi erano una volta questioni molto serie che facevano parte di ogni fase della vita. Ed il canto del gallo era un presagio molto incoraggiante ed importante per tutti i cristiani. E‟ un buon segno quando il gallo canta spesso durante la notte, cosa che i Beoti sapevano (Plinio, 1. 10, c. 25), e questo li ispirò così tanto che conquistarono gli Spartani. Mosè proibì agli Ebrei di divinare per mezzo del canto degli uccelli; questo mi ricorda un passaggio in una delle storie di Lever in cui l‟eroe viene mandato al Trinity College di Dublino per avere tenuto “uccelli da canto” – in questo caso galli selvatici. Tuttavia, possiamo continuare a credere con Shakespeare che la vigilia di Natale “l‟uccello dell‟alba canta per tutta la notte”. Gli Ebrei fecero tuttavia un‟eccezione in favore del gallo, perchè nel Talmud si dice che quando esso canta si dovrebbe dire: “Benedetto sia l‟Eterno che ha donato al gallo la comprensione di riconoscere il giorno dalla notte.” E, come sottolinea con intelligenza Friedrich, “siccome essi a quei tempi non possedevano orologi, in ogni casa tenevano un gallo.” Mi è stato scritto, in merito ai galli ed alla magia, che nei tempi antichi talvolta accadeva che un gallo, ispirato da un demone, facesse un uovo da cui nasceva un basilisco – una creatura terribilmente brillante, perciò egli veniva fecondato. Come osserva Lattanzio (possiedo una copia delle sue opere, edite a Genova nel 1613) i demoni, che non sono nè angeli nè uomini, sono esseri intelligenti – peritos ac rerum scios. Essi hanno inventato l‟astrologia e la divinazione etrusca, l‟augurio, gli oracoli, la magia, la mitologia ed inoltre hanno insegnato agli uomini come fare immagini ornate e simulate di squisita bellezza di re da lungo tempo defunti ed hanno attribuito loro altri nomi.” Deve essere perciò stato semplice per loro fare un basilisco, uno scherzo. Quindi crebbero fino a divenire Dei, loro che un tempo furono uomini. Questa è la dottrina di Euhemerus di Messina, che pervade tutta la mitologia romagnola. “Come i galli nel loro precedente umile stato erano uova, così gli Dei erano uomini, nonostante ora essi siano così grandi.” “Namque Deus, Dæmon et heros, unus idemque erat rudibus hominibus” – Dio, il diavolo e gli eroi erano la stessa cosa per i
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rozzi uomini antichi, come dichiara Elias Schedius. La divinazione era naturalmente connessa – magari senza molta tradizione – ad un uccello che conosceva così misteriosamente il tempo del giorno e della notte.
Divinazione con le ceneri “Solet etiam divinatio interdum ex cineribus fieri” Tractatus Magicus, 1611 Questa è estremamente interessante per la sua grande antichità e viene citata in molte opere. Di essa l‟autore del Tritium Magicum, riferendosi apparentemente a Dione Cassio, dice: “Ed essi avevano l‟usanza di divinare talvolta con le ceneri dei sacrifici. Ed anche al giorno d‟oggi ve ne è traccia, quando ciò che deve essere divinato viene scritto nelle ceneri con il dito o con un bastoncino. Quindi le ceneri vengono sparse dalla brezza fresca e si cerca le lettere che esse formano spostandosi. O se tre fanciulle desiderano sapere quale tra loro sposerà un uomo, allora tracciano tre linee nelle ceneri; egli dice loro di scegliere una linea (sulcum) e di voltarsi in modo da non vedere le linee, che nel frattempo un‟altra indica con le tenaglie, fino a quando una di loro non avrà scelto lo stesso solco per tre volte; quando una di esse sceglierà quella di lui, ella sarà la sua futura moglie.” Il rito toscano mi è stato insegnato in questo modo: “Prendete un bicchiere o una tazza piena di acqua pura calda e tre sedie in cui tre ragazze o donne della stessa età dovranno sedere. Ognuna dovrà prendere un pizzico di sale e metterlo nell‟acqua bollente tutte assieme o improvvisamente. Colei il cui sale si dissolve per prima sarà la più fortunata. Quindi ognuna dovrà prendere un sacchettino di lana rossa pieno di ceneri finemente setacciate; siederanno con la tazza al centro tutte e tre vestite di nero e con veli neri ed ognuna avrà una ostia sacra con disegnata una tazza. Per ottenere questa, le tre donne devono andare in una chiesa e prendere la comunione e, quando il prete dà loro l‟ostia consacrata da mettere in bocca, devono farla scivolare in mano senza che il prete lo sappia. Quindi, quando queste tre ostie saranno contrassegnate con il disegno di una tazza, non sarà necessario benedirle ma due dovranno avere disegni speciali come un cuore o un fiore, in modo da poterle riconoscere, sopra alla tazza, tracciandoli con uno spillo. Quindi ognuna di esse getterà le sue ceneri con l‟ostia nell‟acqua bollente e diranno, tutte o una sola di loro: „Non butto la cenere, non butto l‟ostia ma butto il corpo e l‟anima (persona che si vuole nominare); che non abbia più pace nè bene fino a che questa cosa non ho ottenuto per bene.‟
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Devono quindi mettere le mani dietro alla schiena e fare il segno della castagna e non girarsi a guardare la tazza per un quarto d‟ora; quando infine guarderanno, vedranno se le ostie stanno galleggiando sulla superficie. In questo caso tutte loro avranno ottenuto il loro desiderio e, se solo una galleggia, allora la sua proprietaria sarà favorita ma se nessuna galleggia non vi saranno favori. Allora esse se ne andranno senza guardarsi indietro.” Questo concorda con l‟antica cerimonia in cui vi sono delle ceneri usate da tre donne, che se ne vanno via senza voltarsi in giro. Il tutto viene infine buttato in un corso d‟acqua. In questo abbiamo un souvenir di Virgilio e di Teocrito. “Hinc cineres sub primum sideris ortum, Colligat, et fluvii ferat ad vada proxima vivi Una ministrarum, venitque ad flabra secundi Spurgat arenosis petris Namque ipsa retrorsum Respiciens properé redeat.” Ciò che rende ancora più interessante questo incantesimo toscano è che è il solo resoconto completo che ho mai visto sul modo in cui le streghe del Medioevo usavano le ostie consacrate nella loro magia. Paulus Grillandus, nella sua opera De Sortilegiis, parla di questo con grande orrore e ci dice che venivano usate specialmente dalle donne per incantesimi d‟amore: “In istis etiam sortilegiis ad amorem ut plurimum admiscentur sacramenta ecclesiarum, sicut est hostia consecrata”. (Paulus Grillandus, Tractatus de Hæreticis et Sortilegiis, Lione, 1547, lib. II, fol. 20, 21). Grillandus cita diversi casi del genere; uno di un prete “che prese la sacratissimam hostiam ipsam – la sacrissima ostia egli stesso, pronunciando come incantesimo verba satis turpia atque nephandaque hic referre non expediat – parole così vili e malvagie che non è il caso di riferire qui.” Non ho dubbi che queste parole “nephanda” o malvagie fossero le stesse dell‟incantesimo italiano. “Nephanda” prova abbondantemente che se Grillandus non ha voluto dare degli incantesimi negativi ai suoi lettori, non ha però obiettato a dare loro delle compitazioni pessime. Le sue streghe talvolta hanno scritto “parole orribili” con il sangue sulle ostie, altre volte le hanno polverizzate e somministrate nel vino. E‟ importante notare che egli – credendo pienamente che un tale uso delle ostie fosse un grande peccato – tutto questo lo ha pubblicato. Invero egli ci dice che in un caso egli non percepì nè vide alcun effetto – che fa pensare che egli abbia provato l‟incantesimo di cui parla; ma i credenti nella magia potrebbero ben dire che se anche fosse stato così la parte interpellata non si sarebbe manifestata in sua presenza. O egli ha pubblicato le speranze caratteristiche della gente per fare dei soldi? Talvolta le streghe gettavano delle ceneri sulla gente e questo causava delle terribili malattie cutanee. Nel leggere quest‟opera ad Homburg les Bains incontrai un cieco molto vecchio che era in stretta
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corrispondenza con diversi professori, ecc., nonostante fosse stato un povero carpentiere; ed egli mi disse che le streghe preparano da un tipo particolare di sassi di carbone delle ceneri che gettavano sulle loro vittime e che egli aveva sofferto in tal modo per sei anni. “Molta gente” disse “ridicolizza questo, ma è vero.” Le ceneri nel simbolismo antico significavano ciò che era morto e passato o obliato. Pulvis et umbra sumus. E‟ notevole che tra gli antichi Slavi vi era una forma di divinazione per mezzo delle ceneri che somigliava molto a quella dei Romani. Le donne sedevano intorno al focolare e tracciavano delle linee a caso nella cenere. Queste linee venivano poi contate e, se il loro numero era pari, il presagio era fortunato (Schwenk, Mythologie der Slaven, pag. 24). Un oracolo pressochè identico viene consultato tuttora in Polonia. Le ceneri vengono sparse sul pavimento intorno al letto di un malato ed una “donna saggia predice dalle linee se il paziente guarirà” (Grimm, Deutsche Mythologie, vol. II, pag. 1117). A proposito di ceneri e morti, potrei citare qui che nell‟anno 1855 in Pennsylvania un Tedesco bruciò il corpo della moglie – atto che venne generalmente amaramente biasimato come paganeggiante, vile, rivoltante e non cristiano dalla stampa. Io, tuttavia, scrissi sul Philadelphia Evening Bulletin un editoriale che difendeva il Tedesco ed in cui dichiaravo che sarebbe una cosa eccellente per la salute pubblica – così come per gli interessi del commercio di carbone – se la pratica di bruciare i morti divenisse generale. Probabilmente estinguerebbe il colera e la febbre gialla per sempre. Queste mie osservazioni vennero considerate a quel tempo molto coraggiose persino negli Stati Uniti, dove non è insolita la libertà di espressione. Non so se io sia stato la prima persona a patrocinare la cremazione nei tempi moderni, ma credo di potere affermare di essere almeno uno dei suoi Vorgänger, o pionieri.
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Capitolo V L’ametista “Il nato a febbraio troverà la sincerità e la pace della mente, la libertà dalla passione e dalla preoccupazione, se porterà l‟ametista.” Detti di compleanno “L‟amethiste a un lustre violet rouge, et est ainsi nommé, comme n‟estant yure, aussi il resiste à l‟yuronguerie... et profite aussi à ceux qui se veulent addonner à l‟estude.” Jean Baptiste Porta, De la Magie Naturelle. Conobbi un tempo un giovane Francese che affermava di essere il solo uomo vivente a conoscere l‟antica lingua di Cartagine – o una città simile –, che aveva recuperato dai suoi antichi monumenti. “Così sai realmente leggere l‟antico Fenicio!” esclamai con ammirazione. “Mais, Monsieur,” fu la risposta “je le parle.” “E con chi lo parli?” chiesi. Ed egli rispose: “Monsieur, je fais des monologues.” Spesso riguardo a tutto questo folklore Etrusco-Romano sento come se l‟avessi riscoperto o scavato e decifrato, come una lingua dimenticata e dopotutto ero, come il mio Francese, l‟unica anima sulla Terra a conoscere questo linguaggio da lungo tempo sepolto o a preoccuparsene e quando ne parlavo facevo così un monologo. E vi sono un fascino ed una solenne bellezza nel linguaggio spirituale o stregonico dei tempi antichi; e non è una meraviglia, perchè vi fu un‟epoca in cui esso spostava il mondo e gli oracoli parlavano in esso e grandi religioni vivevano in esso e con esse vivevano, in tutta la loro profonda fede ed i molto coloriti scintillii di gloria, gli Etruschi ed i Romani. E quando ora ed allora trovo un fiore della fede primeva che continua a crescere sotto le vili erbacce che hanno ricoperto tutto questo antico giardino, il mio cuore ha un sobbalzo ed io comincio a parlare da solo proprio come sto facendo ora.
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Cosa mi ha spinto a fare questo fu quanto segue: vi è a Firenze una signora cui una suora con cui era stata gentile inviò tre pietre singolari quale dono di gratitudine, dicendo di non avere altro da darle. Appena le ebbi in mano vidi che si trattata di amuleti, probabilmente lasciati da qualche peccatore pentito che credeva nella stregoneria ad un padre confessore. Una era un‟ametista, di poco valore come gemma ma lunga circa due pollici e mezzo (un pollice = 2,54 cm, n.d.t.) e che penso fosse originariamente celtica, che in qualche epoca posteriore ha perso l‟angolo. Era probabilmente delle ere più antiche, quindi venne probabilmente portata da qualche antico Romano e venne così persa e ritrovata fin quando mi venne donata per Natale in un sacchetto di seta rossa il 25 dicembre 1891. Delle altre due pietre, una era una salagrana e l‟altra un pezzo di antimonio. Tutti sanno che l‟ametista prende il suo nome dalle sue proprietà anti-vino perchè, se ne portate una addosso, non potrete essere danneggiati dal vino. Io sapevo questo e null‟altro fin quando portai la pietra alla mia sibilla e le chiesi un‟opinione professionale su di essa. Ed essa giunse in una forma che mi stupì. Notai particolarmente che, nonostante essa non ne facesse menzione, pareva considerare la pietra come qualcosa a lei conosciuto personalmente, almeno da resoconti a lei fatti, e che la studiava con grande rispetto. Venni a sapere che era un feticcio molto famoso che era stato perduto da lungo tempo ma di cui si era conservata la tradizione, come per le pietre nere voodoo in America. Ed io ne sono ora più convinto che mai. “E‟ un amuleto magnifico,” ella disse, come sorpresa “molto antico e bello; questa pietra avvinata – questa pietra mescolata con del vino –, interrata per molti anni e quindi dissotterrata, deve essere portata addosso per avere una buona memoria. Se qualcuno volesse intossicarti per tradirti, se la porti egli non avrà successo. Portala sempre con te e dì: „Pietra che da qualche stregone o strega tu sei certo stato sotterrato perchè la fortuna ad altri non hai voluto lasciare; ma si vede che tu ne sei pentita ed hai voluto nelle mie mani farla recapitare. Ed io saprò bene conservarla e sempre al mio fianco portarla; ti scongiuro, o pietra! Scongiuro questa pietra che sempre fortuna mi voglia portare e da ogni male mi voglia liberare, specialmente dai nemici che volessero farmi qualche tradimento questa pietra mi possa liberare. E se mi volessero ubriacare o con vino o con liquore questo pezzo di pietra avvinato sarà sempre il mio stregone liberatore! Ti scongiuro, o pietra!‟” Ora sapevo che l‟ametista veniva considerata in antico infallibile contro l‟intossicazione o, come dice Baptiste Porta: “L'amethiste attaché au col sur la bouche du ventricule (al fianco) deliure de l'yurongnerie”. Ma non sapevo che fosse “buona per la memoria”, parola con cui scoprii che la mia
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strega intendeva, nella sua maniera semplice, anche l‟intelletto e l‟intelligenza. La credenza di quella veggente era evidentemente che questo famoso amuleto – di cui vi era una tradizione – fosse stato seppellito da o con il suo padrone tanto tempo prima in modo che nessun altro lo ereditasse, ma che esso era stato riportato alla luce grazie ad influenze stregoniche particolarmente per me. Possiedo due dozzine di libri ma non sapevo che tra di loro vi fosse un trattato – De Gemmis – scritto da Franciscus Rueus e stampato a Francoforte nel 1608. Mi era sfuggito, essendo legato alla fine del De Miraculis Occultis di Levinus Lemnius. E, girando per la mia piccola biblioteca nella speranza di trovare qualcosa a conferma della connessione dell‟ametista con l‟intelletto, scoprii per puro caso di avere proprio il libro che mi serviva. In esso vi è infatti un capitolo – XI, De Amethysto – in cui si dice che essa non solo protegge dall‟intossicazione ma stimola il genio, proprio come aveva dichiarato la strega: “Addunt et alii malas illum arcere cogitationes, et præcox felixque ingenium efficere” (“essa manda via i cattivi pensieri e conferisce maturità e felice genio”). E porta anche fortuna; ma qui Rueus ricorda se stesso e dichiara che non insegnerà le superstizioni pagane e non cristiane che si dicono di essa – come invece ho fatto io. Tutto questo mi ricorda una storia di quand‟ero giovane. Quando ero bambino a Philadelphia avevo un maestro quacchero di nome Jacob Pierce che ci dava lezioni di mineralogia e ci incoraggiava a fare delle collezioni, dandoci ogni sabato dei “campioni” come ricompensa per la buona condotta – distribuzione in cui io, devo dire con vergogna – raramente ebbi la prima o qualunque altra scelta (nonostante sia accaduto una volta che la pietra rifiutata che mi capitò fosse la gemma migliore tra tutte). Essendo perciò un mineralogista zelante, accadde un giorno che trovai sulla banchina, in mezzo alla zavorra pietrosa di scarto portata da un vascello da Tampa Bay, Florida, molte ammoniti, tra cui ve ne era una che era stata mutata in puro calcedonio da ciò che la circondava. Con le tasche sovraccariche andai nell‟ufficio di un certo broker e banchiere che, avendo esaminato con i suoi amici i miei ritrovamenti, disse non essere “altro se non comuni gusci d‟ostrica e roba del genere”. E, dopo che ebbi con fatica investigato sulle mie tre pietre-amuleto, mi venne detto che erano molto probabilmente solo tre comuni campioni di minerale che erano stati raccolti dalla suora – cosa che potrebbe naturalmente essere vero –, essendo le suore italiane ed i loro poveri stipendi, come si sa, dedite alla scienza in generale ed alla geologia in particolare. Il campione in premio che ebbi dal mio insegnante era un ametista, che “barattai” con un altro ragazzino con un palloncino, che prese fuoco mentre lo stavo gonfiando e così perì. Dii avertite omen!
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Potrei aggiungere che i Rabbini chiamavano l‟ametista achlamah, da chalam, sognare, perchè essi credevano che essa attirasse verso il suo possessore sogni meravigliosi. E Sant‟Isidoro la paragonò alla Trinità, perchè essa possedeva in sè tre colori: primo, il porpora, che è imperiale e denota Dio Padre e Governatore del Mondo; il viola, o il colore dell‟umiltà (Dio Figlio nella sua umiltà tra gli uomini) ed il rosa, espressione dell‟amore e dello Spirito Santo (vide Picinelli, Mundus Symbolic, pag. 684). Tra gli Egizi l‟ametista corrispondeva al segno zodiacale della Capra Œdip-Ægypt, II, pag. 2) e, siccome la capra era nemica del vino, così anche l‟ametista lo era. A proposito di queste citazioni devo, in tutta franchezza e semplice onestà, sottolineare che se qui e là in questo libro vi sono alcune lievi dimostrazioni di erudizione, questo è principalmente dovuto alla ragazza con il banchetto da cui acquisto le antichità e le pergamene ad un prezzo che va da un penny a tre (questo solo in caso di grande tentazione) a volume. Li porto a casa e li imparo per bene e da essi traggo questi estratti eruditi. Vi è quindi il mio tabaccaio, che per mesi ha avvolto i miei sigari in pagine dell‟antica Encyclopaedie Française o in pagine Latine di tradizione legale, cui devo molta gratitudine. E, in un‟altra occasione, quando comprai due vasi Etruschi per sette franchi, indussi il venditore a gettarvi dentro l‟opera di Marsilio Ficino sul neo-platonico Giamblico, ecc. (Lione, 1577), dietro alla cui edizione ero stato per oltre un lungo anno. E, siccome essa includeva il Pimander ed altro di Hermes Trismegistus (la cui opera copiai interamente quando avevo 16 anni, non essendo in grado di comprarlo), potete giudicare quanto fossi lieto di averlo!
L’incantesimo della campana “Molto le streghe temono l‟incanto quando di notte odono una campana esse volano oltre il cielo quando odono dondo, dondo, dondo!” Canzone romagnola L‟uso principale, se non il solo, delle campane nei tempi antichi era quello di scacciare i demoni o il male sotto ogni forma; ed è evidente che esse vennero introdotte nelle chiese cristiane molto più a questo scopo che per chiamare alla preghiera. In Irlanda le campane delle chiese erano generalmente della misura e della forma delle campane da mucca media dell‟America e non facevano più rumore di queste ultime. Non molti anni or sono venne ritrovato a Roma un tintinnabulum, una campanella d‟argento recante caratteri magici il cui scopo era di sviare il malocchio – ne possiedo una copia presentata dall‟ultimo Sir Patrick Colquhoun – ed anche una campanella molto piccola in bronzo Etrusca (o Romana, secondo il Professor Milani) ritrovata a Chiusi – riposa ora sul mio foglio, mentre
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scrivo – e di quale aiuto ci sarebbe ora se potesse parlare e raccontare tutto ciò che ha visto! Queste piccole ed antiche campanelle quadrate di bronzo Romani con degli angoli rotondi sono molto ricercati tra i contadini come amuleti. Tra i monti vengono sempre conservate in una delle due piccole credenze o recessi a lato del camino. Vi è una canzoncina in dialetto bolognese che illustra la paura delle streghe quando odono al crepuscolo “quelle campane serali”. La storia che segue viene da Volterra e viene resa parola per parola, delineando la maniera in cui l‟antica fede nelle campane è stata conservata fino ad oggi: “La campanella viene grandemente stimata in Romagna, così coma a Volterra, come jettatura, o segno contro le streghe. Quando uno esce di sera dovrebbe sempre portarne una in tasca, ma però bisogna che sia di bronzo e quadrata; mentre va in giro la campanella suona nella sua tasca ma, siccome è lì dentro, il suono è indistinto e le streghe non possono contare quante volte il pallino batte e sono così obbligate a volare e non possono avvicinarsi al portatore nè fargli del male. Mettendola quindi nella nicchia o nella piccola credenza vicino al caminetto (al buco del camino), ripetete questo incantesimo: „Metto nel buco del camino questa campanella per tenere lontano Pluto e le sue compagne, che in questa casa non si possano presentare nè in forma di cane nè di gatto, nè di topo nè di civetta, nè di serpe nè di cornacchia; quando alla mia casa si vengono a presentare questa campanella suonerà e tutti i maligni si possano allontanare.‟” Pluto e non Satana appare qui come capo delle streghe. Ho notato che più andiamo dalle montagne della Romagna verso le pianure, più appaiono gli Dei Romani. Il ciabattino che mi diede questo incantesimo aveva, tuttavia, una infarinatura di lettere, avendo studiato e letto. Pluto potrebbe essere un vestigio ma egli ne dubita gentilmente. Siccome io non priverei un Dio morente della sua ultima occasione di vita sulla terra, aggiungerò che una ulteriore inchiesta rimosse questo sospetto. Pluto vive ancora. Potremmo qui notare, a tal proposito, che la credenza che le campane suonino da sole e le catene sbattano rumorosamente per annunciare la presenza di spiriti è di antica origine Romana, come troviamo confermato da Maffei nel suo Arte Magica Distrutta, un‟opera in cui l‟autore cavalca a tutta forza contro il mulino a vento della stregoneria, annullandola completamente ma non percependo che con la stessa lancia stava distruggendo anche un altro spettro nero conosciuto come la Santa Fede Cattolica, o La Chiesa Apostolica, le cui meraviglie ed i cui miracoli provengono tutti dalla stessa antica tinozza. Pensa a questo, o amico, quando in qualche ora oscura e tetra
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sarai in chiesa ed udirai il padre suonare la sua campanella, e lascia che un felice brivido di paganesimo scorra nel tuo cuore a questo suono!
1. Campana di bronzo etrusca proveniente da Chiusi, portato come amuleto; 2. antica campana magica Romana Non solo le campane ma anche le trombe ed i cimbali venivano usati per scacciare i demoni – cosa che mi ricorda il fatto che pochi sanno da dove proviene l‟idea dell‟ultima tromba nel giorno del giudizio: “Tuba mirum spargens sonum, per sepulchras regionum, cogens onmes ante thronum.” E‟ l‟ultimo fiato ad essere emesso al capezzale di un mondo morente e deriva da una fonte pagana, come precisato nel seguente passaggio dello stesso Arte Magica Distrutta di Maffei (1757): “Vi era una strana cerimonia religiosa che i Gentili osservavano quando stavano morendo. Consisteva nel suonare, richiamando l‟ultima agonia del corno o della tromba o di strumenti di metallo e che facevano grande rumore. Il motivo di questo era senza dubbio la credenza che scacciasse le larve (demoni) che, si credeva, odiavano il suono del metalli, opinione descritta da Luciano in Philops. Le Dire erano streghe che volavano per l‟aria e si occupavano di portare via colui di cui Plinio scrive che faceva rumore. (1. 28, c.2). Eusebio ci dice che i demoni venivano scacciati dal suono dei timpani.” Che le campane possiedano anime, volontà e proprie strade appare da molti meravigliosi esempi in cui si narra abbiano suonato da sole senza aiuto umano – come fecero alla morte di Von Rodenstein –, sebbene Praetorius, che dedica diverse pagine a questo importante soggetto nel suo
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meraviglioso e raro Glückskopf (1669), suggerisca che questo venga fatto da un poltergeist, che è uno spirito molto portato al rumore ed al dispetto e che io credo appaia molto spesso sotto forma di studente di medicina, ma sempre come un giovane. Rimane da sottolineare che la campanella di bronzo si suppone essere una signora fatata – come suggerisce la sua forma – ed è più umana possedendo una voce. Questa leggenda non sfuggì ai monaci, che le considerarono delle sante, come potete leggere nel capitolo sulle campane nel “Doctor” di Southey: “Bellula bella, mi puella: tu me corde tenes!”
L’incantesimo della bollitura degli abiti Il lettore non deve supporre che gli incantesimi e le diavolerie di vari tipi che sono qui solennemente confidati siano noti alla moltitudine. Molti, è vero, sono trapelati ma la maggior parte sono segreti ricchi e rari, tesaurizzati tra gli eletti che, morendo, li lasciano come ricca eredità. Questo mi venne rammentato da un curioso incidente cui si allude nella prefazione. Per prima cosa, vi prego di leggere quanto segue, che mi è stato dato 4 anni or sono – nel 1888 – da una strega: “Quando si ha un bambino stregato prendete i suoi abiti e metteteli in una pentola a bollire a mezzanotte. Devono entrarvi tutte le vesti, scarpe e calze comprese. Prendete quindi un coltello nuovo e molto largo ed affilatelo su un tavolo, quindi, infilandolo nel tavolo, dite: „Non infilo questo coltello ma infilo la maledetta strega che non viene! Che non viene! Non possa resistere sin quando il mio bambino in salute non fa ritornare!‟ Allora la strega apparirà alla finestra – potrebbe essere alla porta – sotto forma di qualche spettro. Ma non abbiate timore, perchè non sono altro che forme cambiate e non prendete via il coltello dal tavolo nè permettete che gli abiti smettano di bollire fino alle tre. Costretta da questo incantesimo a venire e ad obbedire, la strega rimuoverà la malattia dal bambino.” Ne Il Secolo di Milano, che è di gran lunga il giornale più diffuso in Italia, apparve il 3 marzo 1891 il seguente resoconto di un problema molto serio e singolare: Una scena Medioevale a Porta Ticinese Ci sembra di sognare e tuttavia ciò che riferiamo è accaduto ieri mattina a Milano ed è vero in ognuno dei suoi spaventosi e schockanti dettagli. In via Ripa Porta Ticinese n° 61, in una modesta stanza al quarto piano, abita la famiglia di un verniciatore, Malaterra Franciosi e sua moglie, Virginia, di 25 anni, guantaia, con due bambini, uno dei quali è malato da un mese di una malattia sconosciuta, ostinata e strana. Una vicina dei Franciosi, una
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donna che ostentava qualche conoscenza di medicina, dichiarò che il bambino era stregato, che sarebbe stato inutile fare ricorso a medici e preti e che l‟unico modo di curarlo era di scoprire la strega che aveva provocato il danno. Ma come si doveva fare? La donna, dopo molte insistenze da parte dei Franciosi, in gran segreto insegnò loro come fare: mettendo i vestiti del bambino in una pentola e bollendoli. Ella dichiarò che all‟istante della bollitura la strega sarebbe stata attirata sul luogo da una irresistibile forza diabolica e così sarebbe stata costretta a farsi conoscere. Questo venne fatto ed i vestiti vennero messi nella pentola e la pentola sul fuoco. Per puro caso, proprio mentre l‟acqua cominciava a bollire entrò una donna. Questa era Angela Micheletti, 34 anni, incinta di 7 mesi, moglie di un bracciante. Era un‟amica dei Franciosi ed aveva con sè un paio di scarpe di legno da accomodare, ed entrò per chiedere della salute del bambino. Nel vederla, la madre urlò: „Dalli alla strega!‟ La Micheletti, pensando che la sua amica fosse impazzita, cercò di calmarla ma l‟altra, ancora più esasperata, urlò con tutte le sue forze: „Aiuto, la strega!‟. La Micheletti corse via per strada. In un attimo si radunò una grande folla che, udendo il grido d‟accusa, si gettò sulla Micheletti come se fosse stata un cane impazzito per lacerarla a brani. Così ella fuggì, inseguita dalla folla impazzita che gridava „Dalli alla strega!‟. La povera creatura, più morta che viva, prese rifugio nella chiesa di Santa Maria del Naviglio ma la folla irruppe e, mentre ella si inginocchiava davanti all‟altare maggiore, alzando le mani a supplica, piangendo e gridando pietà, i suoi capelli vennero letteralmente strappati dalla sua testa e spartiti tra le donne che l‟avevano attaccata, quindi venne picchiata crudelmente. Il parroco cercò di farle scudo ma invano ed egli stesso sfuggì a malapena alle botte. La povera vittima venne quindi portata via dalla chiesa tra insulti e maledizioni e trascinata fino alla stanza dei Franciosi. Qui vi fu un‟altra scena selvaggia. Avendo chiesto alla Micheletti di togliere l‟incantesimo al bambino, ella rispose affermando la sua innocenza in merito e ricevette grida, maledizioni e colpi. Infine il delegato, Sig. Omodeo, riuscì a disperdere la folla con l‟aiuto della polizia militare e con grande fatica. Allora la donna Franciosi, convinta troppo tardi della sua imperdonabile follia, cadde in ginocchio davanti alla Micheletti esclamando: „Non sono io quella da biasimare, sono stata consigliata a far questo da un‟altra Ŕ ero accecata dall‟amore per mio figlio!‟ Nel pomeriggio la povera Micheletti, accompagnata dal marito e dal Sig. Omodeo, venne portata a casa in una carrozza chiusa e messa a letto. Questa mattina stava meglio, ma tremava ancora per la terribile
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esperienza. La triste impressione di questa selvaggia scena Medioevale rimarrà impressa a lungo nel ricordo del quartiere di Porta Ticinese. Le donne che strapparono i capelli dalla testa della Micheletti andarono a casa loro e li bruciarono, pronunciando incantesimi, quindi corsero nella stanza della Franciosi per vedere se il bambino era guarito. E, quando dichiararono che lo avevano trovato un po‟ meglio, gridarono: „Ecco se non è vero ch‟è stato stregato!‟ Talvolta vengono bolliti solo i guanti o le calze per certi “punti” caratteristici di stregatura. Riguardo al bruciare i capelli per rimuovere una stregoneria ho parlato altrove. Ma il vero significato morale di questa storia orribile non appare evidente come dovrebbe. E‟ questo: è stato giusto che il parroco cercasse di difendere la donna all‟altare e tutto il resto, ma quel prete aveva mai detto in vita sua anche solo una volta che non esiste una cosa come la stregoneria e che è tutta un‟illusione? Vi è un solo prete in Italia o un solo insegnante cattolico il cui dovere è quello di illuminare il proprio gregge che abbia mai spiegato loro chiaramente che non vi sono cose come la stregoneria? No, naturalmente no. Perchè questo significherebbe attirare dei dubbi sulla verità della loro stessa magia, dei loro incantesimi e delle loro stregonerie – proprio come il bambino americano che, quando suo padre gli disse che non esisteva Santa Claus (Babbo Natale, n.d.t.), chiese in tono di rimprovero: “E mi hai preso in giro nello stesso modo anche riguardo a Gesù?” La chiesa di Roma non nega l‟esistenza della moderna stregoneria. Vi sono tre, e non so quanto altri, libri cattolici romani scritti per provare che tutti i grandi miracoli dei moderni spiritualisti, come il portare delle sigarette in luoghi segreti, suonare banjo al buio e portare dei mazzi di penny dal Paradiso, sono tutti fatti dal diavolo e questi libri hanno avuto l‟imprimatur e l‟approvazione del Papa. Potete immaginare se questi Milanesi fossero stati Protestanti – avrebbero agito come hanno fatto? Dai loro frutti li riconoscerete! Ora, in tutta questa superstizione Milano è una luce nell‟ombra paragonata alla nostra Firenze e Firenze è come Milano se paragonata alla Toscana-Romagna. Peppino, il giovane cui ho fatto frequentemente cenno, mi ha fornito anche un lungo e dettagliato resoconto di come, abbastanza recentemente, un bambino che stava morendo nel paesino di Premilcuore, in Romagna, venne salvato facendo bollire i suoi abiti e dicendo: “Diavoli tutti dell‟inferno, scatenatevi tutti e fate venire la strega del mio bambino in mia presenza. Così sia!” Quindi la strega apparve e, lanciando il gomitolo di prassi in aria, il bambino guarì. La strega venne quindi portata da altre due streghe nei
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campi e fatta rotolare senza pietà sul terreno fino a quando perse tutti i suoi poteri magici.
Stregoneria con gli anelli “A droite l'anneau presage prompt et heureux mariage, a gauche il figure: abandon, rupture.” Le Jeu de Cartes de Mlle. Lenormand La divinazione per mezzo degli anelli era ben conosciuta agli antichi Romani e viene così descritta (Trac. Magicus, pag. 92): “Dactylomantia divinat annulis ad certam cœli posituram constructis vel incantamentis, et super tripodem ad certa verba motis” – “la dactilomanzia è il divinare per mezzo di anelli fatti durante certe congiunzioni planetarie o con incantesimi e spostati su un tripode con certe parole”. Per tripode leggiamo tamburello e per anelli qualunque oggetto piccolo ed avremo una delle più antiche forme di divinazione esistenti. Questi piccoli oggetti sono, tra gli zingari ungheresi, semi del mortale stramonio, in Lapponia, la piccola immagine di una rana. Nell‟Italia moderna vi è un altro tipo di profezia con gli anelli. E‟ comunque molto antica e conosciuta in molti paesi. Prendete una coppa o un vaso o un cilindro, dividete il suo lato superiore interno in tante parti quante sono le lettere dell‟alfabeto. Prendete un anello d‟oro o di qualunque altro tipo e consacratelo (consacrasi l‟anello prima dell‟operazione). Quindi legatevi un filo, tenete il capo del filo nella mano destra ed un rametto di verbena nella sinistra. Lasciate penzolare l‟anello nel cilindro. Secondo una autorità il filo dovrebbe essere avvolto intorno al pollice e passare sopra il polso in modo da assicurare la giusta vibrazione. Ponete quindi una domanda e l‟anello comincerà ad oscillare e colpirà le lettere, fornendo la risposta.
Come ho detto, si tratta di un tipo molto antico di predizione o invocazione. E‟ lo stesso principio della planchette, ma richiede un solo operatore. Si può osservare che, quando la persona che tiene il filo è molto seria o credente e
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si è preparata a lavorare con l‟oracolo tramite seria riflessione, le risposte indicate sono spesso notevoli, per non dire stupefacenti, e, che siano prodotte da una involontaria azione mentale o da cause esterne, nella maggior parte dei casi sono interessanti. Ho incontrato qualcuno che affermava che per mezzo del filo e dell‟anello si poteva sempre sapere l‟ora esatta quando l‟orlo della coppa viene diviso in 12 parti. “Come sarebbe, visto che il giorno è diviso in 24 ore?” E‟ lo stesso e spesso vengono date risposte veritiere perchè l‟azione è soggettiva o proviene dall‟operatore. Un‟altra variante di questo tipo di divinazione è di porre l‟ago di una bilancia o un ago simile a quello di una bussola da marinaio su un perno al centro di un piatto. Intorno al bordo, in circolo, vi sono lettere e numeri. E‟ una sorta di roulette. Date un giro alla sbarretta e, quando cessa di girare, osservate la lettera o il numero opposto a quella in cui si ferma. Nuovamente, prendete una superficie liscia e rotonda, diciamo un piatto di legno circondato da un bordo alto mezzo pollice (un pollice = 2,54 cm, n.d.t.). Questa superficie viene coperta con numeri e lettere. Prendete quindi un anello e fatelo ruotare come si fa ruotare una moneta. Le conclusioni si traggono dalle lettere, ecc., su cui cade. Si dice che il migliore anello per la divinazione sia un anello antico che sia stato portato a lungo. Io ne possiedo uno d‟argento con l‟immagine di un rospo tagliato nell‟ematite, antico di circa 400 anni che, non ne dubito, era stato spesso provato negli incantesimi. Ho anche un anello d‟argento e smalto da messaggero che un tempo apparteneva a Re Ruggero di Sicilia il quale, se potesse dire tutto ciò cui ha assistito, potrebbe descrivere la storia della strolaga di Schiller.
Amuleti, presagi e piccole stregonerie Includo in questo capitolo certe stranezze del folklore che non sono prive di interesse. La prima è la pigna. “Prendete una pigna, dopo averne rimosso tutti i pinoli (semi). Quindi, mettete su ogni petalo di legno o all‟interno di essa tra i petali, un lupino essiccato. Prendete quindi una fioriera e riempitela con della terra fine, piantatevi la pigna e copritela con della terra. Mettetela all‟aria ed annaffiatela come ogni fiore. Se dovesse crescere bene e bella è segno che tutto vi andrà bene. Ma se cresce male è un cattivo segno. Dovete però tenerla sempre vicino a voi per assicurarvi la buona sorte e portarla con voi anche quando viaggiate. Per mantenere il principio dovreste piantare una nuova pigna ogni anno.” Le giovani signore americane hanno un oracolo simile nelle patata dolci, che formano un veggente molto grazioso; se una di esse fiorisce o dà belle
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foglie, è segno che la proprietaria vestirà magnificamente il giorno del suo matrimonio ed avrà una grande festa che, suppongo, “sarà su tutti i giornali”. A proposito di questo piccolo giardinaggio, potremmo citare che fin dal tempo dei Romani e forse da molto prima il piantare del crescione, della mostarda o semi di qualunque tipo per divinare la sorte tramite la loro crescita era comune in tutti i paesi. Un metodo molto semplice è il seguente: se avete un uccello, diciamo un canarino, prendete una scatola vuota di 18 pollici o 2 piedi di lunghezza (un piede = 30,48 cm, n.d.t.) riempitela con della terra, quindi appendetevi sopra la gabbia. Mescolate alla terra i residui della pulizia della gabbia ed alcuni semi di canapa o semi per canarini; questi cresceranno presto e, quando germoglieranno o saranno alti circa un pollice, verranno divorati dall‟uccello con avidità. Questo è molto fortunato per il canarino. Le chiavi molto antiche sono dei buoni amuleti per la fortuna. Dovrebbero essere portati in tasca o appesi nella stanza con un nastro rosso. Ed è molto fortunato il trovarne una. Mentre la raccogliete dovreste dire: “Non è la chiave che ho trovato che porto con me, non porto la chiave ma porto la fortuna, che sia sempre appresso a me.” E questo dovrebbe essere fatto per qualunque cosa si trovi. Sognare una chiave o vederne una è un buon segno: “La clef près de ta main annonce qu‟à la fin tu auras du succès Dans tes derniers projets. ” Se soffiate o fischiate in una chiave, particolarmente in una antica, essa chiamerà a voi degli spiriti o degli esseri fatati ce vi saranno propizi e vi aiuteranno, in amore soprattutto. Possiamo divinare con le chiavi in molti modi: chiudendo una serratura quando una coppia è sposata, si può fermare ogni intimità tra di loro. Ma è con il setaccio che il Maestro di Chiavi diventa un grande stregone, come venne detto una volta nella St. James's Gazette: “I metodi per scoprire i nomi dei ladri e dei luoghi in cui vi erano dei beni rubati erano infiniti; e molte vecchie megere, fin quasi ai nostri tempi, hanno ottenuto un guadagno notevole per mezzo di „infallibili‟ divinazioni antiche come gli adoratori del fuoco. Le formule usate più di frequente per questi scopo erano conosciute come „la chiave‟ ed „il setaccio‟. Il nome di una persona sospettata veniva scritto un pezzo di carta, che veniva posto intorno ad una chiave; la chiave veniva legata ad un volume delle Scritture ed il tutto veniva sospeso, grazie ad una corda prodotta a questo fine, alle dita di una giovane donna non sposata. Per tre volte ella ripeteva a voce bassa il verso „Exurge, Domine‟ e, se a queste parole la chiave ed il libro giravano, la colpevolezza del sospetto veniva provata. Se non si muovevano la sua innocenza era chiara. La divinazione per mezzo del setaccio venne tenuta per lungo tempo in grande rispetto, perchè era considerata il metodo
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più sicuro tra tutti. Da qui, dice Erasmus, il detto “divinare con il setaccio” per esprimere la certezza di una cosa. Un setaccio veniva sospeso ad un paio di forbici tenute da due assistenti. L‟operatore, pronunciato il nome della persona sospettata, ripeteva una formula consistente in sei parole: dies, mies, jesquet, benedoe, fet, dovina, „che nè lui nè i suoi assistenti comprendevano‟. Se la persona il cui nome veniva citato era colpevole, le sei parole magiche „costringevano il demone a fare girare il setaccio‟. Pierre D‟Abanne, l‟autore di un manoscritto molto divertente sugli elementi della magia, conservato nella Bibliothèque de l'Arsenal, racconta che egli aveva usato questo metodo per tre volte con il successo più completo e quindi lo aveva abbandonato temendo che il demone, per vendicarsi dell‟essere stato costretto a dire la verità per tre volte in successione ad un uomo – essendo senza dubbio per lui, che per natura è mentitore, un grosso peso –, potesse avvolgere il suo tormentatore in reti da cui non vi sarebbe stato scampo. Non passate mai vicino ad una moneta, anche se falsa: se doveste lasciarla lì, la vostra fortuna passerebbe alla persona che la trovasse e la tenesse. Ma, nel raccoglierla, ripete quanto scritto più sopra. “Per conoscere il futuro o come finirà una faccenda o quale fortuna avrete ad una lotteria: prendete il calice di un papavero, fatevi un buco, scuotete via i semi e ponetevi dentro un foglietto con su scritta la vostra domanda. Ponetelo quindi sotto al vostro cuscino e ripetete: „In nome del cielo, delle stelle, della Luna, fatemi fare il sogno secondo... (le mie intenzioni).‟” Il papavero non era sacro solo al Dio dei sogni e del sonno ma, a causa del suo enorme numero di semi, era un simbolo di fertilità e benessere. Perciò le teste di papavero dorate che si vedono così spesso nelle vetrine degli apotecari, sono o erano in origine degli amuleti per portare denaro. Un altro amuleto associato al sogno è fatto prendendo due rametti o pezzi di rametto da una quercia (in Inghilterra da un frassino montano); legateli a forma di croce o poneteli l‟uno sull‟altro sul tavolo o in piedi vicino al vostro letto e, prima di andare a dormire, ripetete: “Non metto questa quercia ma metto la fortuna, che non ossa abbandonare mai la casa mia.” I rametti dovrebbero essere legati con del nastro rosso (di lana) e la croce così formata ed incantata diviene un amuleto che può essere appeso per portare fortuna o scacciare la sfortuna. Quando si indossano nuovi vestiti, si dovrebbe ripetere questo incantesimo: “Porto questo vestito per maggior fortuna; sia maledetto, maledetto sia chi cerca nella mia vita di portar qualche malìa!”
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Se doveste trovare o raccolgiere o anche vedere un qualche oggetto, potete divinare da esso ciò che accadrà. Così, se il primo pezzo di nastro o spago o panno che trovate è di un qualche colore, specialmente se è nuovo e fresco, significherà: rosso (in particolare scarlatto: buona sorte, prosperità e successo in amore; giallo: gelosia o, secondo alcuni, oro; grigio: pace, calma, soddisfazione; argento: inquietudine, disturbo, passione, dolore; oro: fortuna, prosperità, guadagno, intelligenza; nero: vessazione, malcontento, problemi; arancio: sfortuna. La credenza nella virtù magica del rosso, particolarmente della lana rossa, in Italia è altrettanto diffusa quanto antica. Siccome è il colore del fuoco e del sangue, esso è sacro al calore ed alla vita. Così un nastro o un panno rosso ad una finestra o sopra ad un letto porta fortuna. “Quando si vede una farfalla molto bella e grande, prendetela con la maggiore cura che potete senza farle del male e guardate sotto le sue ali, perchè spesso vi potrete trovare dei caratteri che indicano i numeri vincenti della lotteria o un sì o un no ad una domanda. Quindi lasciatela andare, perchè la vostra fortuna dipenderà dal non farle del male. E questo è anche il caso dei serpenti o degli animali che hanno dei segni, perchè in tutte le cose vi è una scrittura, se siamo in grado di leggerla.” Il trovare un ferro di cavallo è fortunato in Toscana come dappertutto. Anche il fieno porta fortuna; se trovate un ferro di cavallo, fate un sacchetto rosso e mettetevelo dentro con del fieno ed esso diverrà un amuleto ammirevole. Deve essere tenuto sempre nel letto. “Se un giovane ama una fanciulla, conquisterà il suo affetto donandole un amorino, che è una pianta (Reseda Odorata, n.d.t.).” In questo caso possiamo dire che nomen est omen. Le scarpe o i guanti, quando vengono bolliti nell‟acqua producono un liquido che non è gustoso ma è tuttavia molto utile nella stregoneria, anche se non ho informazioni in merito all‟esatto modo in cui questa soupe au shoe viene servita. Quando i bambini vedono una lucciola cantano una strana canzoncina che è anche un incantesimo per avere fortuna: “Lucciola, lucciola, vieni a gara! Metti la briglia alla cavalla, metti la briglia al figliuolo del re, che la fortuna venga con me, lucciola mia vieni da me!” Quando una donna ha il mal di gola deve prendere il proprio grembiule e misurarlo o arrotolarlo a forma di croce (misurarlo in forma di croce) per
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tre mattine di seguito. Quindi, fatto questo, prima di mangiare deve mettere tre spilli incrociati con un coltello affilato conficcato nel tavolo e dire: “Diavolo, vi discongiuro! In carne ed ossa, se questa donna è stregata questa strega tenerla legata più non possa, sino a quando questa donna non guarirà questo coltello dalla tavola non sortirà e così la strega più pace non avrà!” Questo è interessante, in quanto ricorda lo sciamanesimo per cui ogni dolore o malattia si suppone essere causato dalla stregoneria – una dottrina che esiste ancora pienamente in un‟altra forma conosciuta come “Preghiere per il malato”. I gusci delle uova formano dei calici delle streghe per bere. Per impedire che vengano usati in tal modo, dopo avere mangiato l‟uovo si dovrebbe spezzare il guscio in frammenti e gettarli in un corso d‟acqua, dicendo: “Se sei una strega va‟ al diavolo, che ti porti via assieme coll‟acqua corsia (corrente)!” Si dice comunemente che: “Lo spillare o il versare vino è un segno molto fortunato, ma se si spilla o versa olio, molta fortuna se ne andrà.” Tuttavia, quando si rovescia del vino, alcuni pensano che sia opera delle streghe e così mettono il palmo della mano nel vino, si colpiscono con esso la fronte e dicono, facendosi il segnod ella croce: “In nome del cielo, delle stelle e della Luna! Chi mi ha dato il malaugurio mi lasci la buona fortuna!” Ma che vin repandu porte bonheur è un‟antica credenza. E‟ il tema di una antica storia Normanno-Francese. In Romagna si osserva una usanza molto curiosa, che mi venne descritta in tal modo: “Quando non piove da molto tempo ed i campi sono aridi, si prendono delle pietre e le si fanno rotolare lungo il campo dicendo: „Queste pietre voglio rullare ma non rullo le pietre, rullo l‟acqua che in terra possa venire ed i campi mi possa inumidire e così un buon raccolto possa venire!‟” Preller afferma (Rom. Myth., pag. 312) che nel tempio di Marte veniva conservata un grosso cilindro di pietra che, quando vi era una grande siccità, veniva fatta rotolare dai suoi sacerdoti per la città. E noi sappiamo che un‟applicazione simile di pietre simili era comune in Italia nelle stagioni asciutte, particolarmente in campagna. Labeo, nella usa opera sul libro dei rituali Etruschi, scrive: “Fibrae jecoris sandaracei coloris dum fuerint, manales tunc vertere opus, est petras, id est quas solebant antiqui in modum cylindrorum per limites trahere pro pluviæ commutanda inopia.” Tracce di questa usanza si ritrovano in altri paesi. Come tra i Romani, nel Nord Italia viene posta nelle vigne l‟immagine di un grappolo d‟uva dipinto rozzamente
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come amuleto per assicurarsi un buon raccolto. Vi sono molte idee curiose attuali che non sono altro che vestigia Romane ed Etrusche e che si suppone siano collegate con l‟antica stregoneria. In merito a ciò ho ottenuto le seguenti informazioni molto interessanti: “Quando una donna è incinta non dovrebbe guardare gli animali e dovrebbe fare particolare attenzione a quelle figure dipinte o scolpite nel bronzo, su pelle o panno, che rappresentano esseri per metà animali e per metà umani, con teste come capre e gambe di cristiani o volti con le gambe di diavoli, come quelli di un cavallo (per esempio, Pan e gli Dei della selva). Se una donna in quel periodo vede queste immagini, potrebbe accadere facilmente che avrà un figlio simile a loro, perchè in tal caso egli potrebbe nascere di forma simile e così divenire facilmente uno stregone.” Questo significa che la vecchia stregoneria latente si trasmetterà al bambino e si svilupperà in esso. Le immagini cui ci si riferisce qui sono perlopiù le antiche figure su bronzo Romane o le Divinità rurali o i lares, che si trovano molto frequentemente durante gli scavi. Tra di esse vi sono molte offerte ex voto, identiche come natura alle figurette in cera così comuni nelle chiese cattoliche. E‟ da notare che gli antichi spendevano molto di più per tali segni di gratitudine di quanto facciano gli odierni cattolici. Il bronzo era più caro di quanto sia oggi la cera ma veniva impiegato liberamente dai fedeli. Certi incantesimi vengono usati in Toscana con un doppio significato, cioè per fare del male ad una determinata persona, per sconfiggere una strega malvagia, per spezzare un incantesimo o per curare una malattia. Tra questi vi è il seguente: una pianta o un‟erba su cui è stato pronunciato un incantesimo (simile nella forma a molti che ho già fornito) viene lasciata ad appassire in quanto si crede che, mentre appassisce, la persona o la malattia o l‟incantesimo morirà o svanirà lentamente (moralmente non accettabile, a mio parere, n.d.t.). Nuovamente, una mela viene tagliata a pezzi – una forma comune di magia – o un‟arancia o un limone viene riempito con degli spilli e lasciato essiccare, con le stesse conseguenze. O anche si spezza un bastoncino, formula verosimilmente conosciuta nell‟Ovest dov‟è divenuta una forma legale, o anche si fa a brani un pezzo di lana infeltrita o panno tessuto. Tutti questi incantesimi sono molto antichi e si possono trovare in certe suppliche scritte nel Magie Chaldaïenne di Lenormant, per cui vennero tradotte da dei cilindri accadici. L‟autore sottolinea che, nel pronunciarli, l‟operatore doveva eseguire certe evocazioni che ricordano quelle descritte nella Pharmaceutria di Teocrito e nella n° 8 delle Ecloghe di Virgilio, che sono essenzialmente quelle tuttora in uso. Gli incantesimi assiri sono come segue: I
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“Come questa pianta appassisce, così anche appassirà l‟incantesimo! Il fuoco che brucia lo divorerà! Non si arrampicherà sulle file di un pergolato di viti; non verrà fatto crescere in un frutteto, in un...; la terra non riceverà le sue radici; i suoi frutti non cresceranno ed il Sole non sorriderà su di essa; non verrà offerta ai festival dei Re e degli Dei! L‟uomo che ha lanciato il fato maligno, sua moglie, l‟operazione violenza, il dito che punta, l‟incantesimo scritto, le maledizioni, i peccati, il male che è nel mio corpo, nella mia carne, nei miei lividi, possano essere fatti appassire come questa pianta! Possa il fuoco che brucia divorarli in questo giorno! Possa il fato maligno andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!” II “Come questo frutto viene diviso in pezzi, così sia anche l‟incantesimo! Il fuoco che brucia lo divorerà! Esso non ritornerà al ramo da cui è stato tolto; non verrà offerto nei festival dei Re o degli Dei! L‟uomo che ha lanciato il fato maligno, sua moglie, l‟operazione violenza, il dito che punta, l‟incantesimo scritto, le maledizioni, i peccati, il male che è nel mio corpo, nella mia carne, nei miei lividi, possano essere tutti divisi in pezzi come questo frutto! Possa il fuoco che brucia divorarlo in questo giorno! Possa il fato maligno andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!” III “Come questo rametto viene raccolto e fatto a pezzi, così sia fatto anche all‟incantesimo! Il fuoco che brucia lo divorerà! Le sue fibre non si riuniranno al tronco; esso non arriverà ad un perfetto stato di splendore! L‟uomo che ha lanciato il fato maligno, sua moglie, l‟operazione violenza, il dito che punta, l‟incantesimo scritto, le maledizioni, i peccati, il male che è nel mio corpo, nella mia carne, nei miei lividi, possano essere fatti a pezzi come questo rametto! Possa il fuoco che brucia divorarlo in questo giorno! Possa il fato maligno andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!” IV “Come questa lana viene lacerata così sia l‟incantesimo! Il fuoco che brucia lo divorerà! Non ritornerà sulla schiena della sua pecora; non verrà offerta per le vesti dei Re e degli Dei! L‟uomo che ha lanciato il fato maligno, sua moglie, l‟operazione violenza, il dito che punta, l‟incantesimo scritto, le maledizioni, i peccati, il male che è nel mio corpo, nella mia carne, nei miei lividi, possano essere lacerati come questa lana! Possa il fuoco che brucia divorarlo in questo giorno! Possa il fato maligno andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!” Come questi vi sono altri due incantesimi, uno applicato al lacerare un vessillo e l‟altro al fare a pezzi un pezzo di materiale ornato. Richiamo l‟attenzione sul fatto che essi sono molto simili agli incantesimi toscani
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moderni per quanto riguarda il soggetto, lo spirito ed il trattamento generale, tanto da provare senza ombra di dubbio una loro origine comune. Questi cilindri caldaici parlano di 77 febbri (cioè di tutti i malanni) come provenienti dai 7 demoni della malattia principali. Anche gli eretici slavi Bogomili del XIV riconoscevano le 77 febbri ed avevano per esse un esorcismo. E, in un antico incantesimo tedesco attuale in Pennsylvania, abbiamo una cura per la febbre come segue: “Buongiorno, caro Giovedì! Prendi via da... le 77 febbri! O, tu, caro Signore Cristo, prendile via da lui...” Nell‟incantesimo caldaico contro la peste (la 77a personificata) l‟operatore deve voltare il viso verso il Sole nascente. Nell‟incantesimo tedesco egli non deve parlare a nessuno fino a dopo l‟alba, cosa che coinvolge la medesima idea. E‟ da notare che in tutto il mondo un sasso nero a forma di rene si suppone essere uno degli amuleti più potenti. Al Congresso sul Folklore del 1891, vennero mostrate pietre simili provenienti da diversi paesi. Io stesso ne possiedo una che mi venne portata dal Missouri e che mi venne presentata da Miss Mary A.Owen, cui i voodoo neri ed i loro discepoli tributavano straordinario valore e reverenza. Era stata conservata con cura gelosa per molte generazioni nelle famiglie di questi stregoni ed in origine proveniva dall‟Africa. Per diventare un voodoo ordinario, il postulante deve digiunare e guardare, superare penitenze rivoltanti e coltivare “il potere” e “ la volontà” per tutta la vita. Ma il possedere un‟autentica “cunjerin” o pietra evocatoria rende tutto questo superfluo, in quanto il proprietario diviene, per il semplice fatto di possederla, un grande maestro voodoo, o multote, e non richiede ulteriori iniziazioni. Nemmeno lo stregone nero capo del Missouri, o il Re, è stato mai in grado di ottenerne una. Sarebbe inutile cercare di spacciare un sasso nero simile per uno vero, perchè si dice che ve ne sono in tutto il Nord America solo o, o piuttosto 5, essendo il mio uno di quelli, ed i loro possessori sono ben noti, così come ogni segno sulle pietre. I credenti neri fanno un pellegrinaggio di mille miglia per essere toccati da questa pietra meravigliosa o per tenerla in mano. Mentre scrivo la sto tenendo nella mano sinistra, confidando che possa in tal modo incantarti o almeno interessarti, o lettore. Come tutti gli amuleti voodoo, deve essere portato in un involto o in una borsina che può essere chiusa avvolgendole una corda intorno, che non deve tuttavia essere annodata, perchè questo impedirebbe il libero ingresso o la libera uscita dello spirito che dimora in essa. Una volta alla settimana dovrebbe essere immerso o bagnato con del whiskey ma io sono certo che anche l‟acqua di Colonia vada ugualmente bene, perchè la sua ricetta venne data da un angelo a Santa Elisabetta d‟Ungheria.
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Piombo ed antimonio “Talismani erano pietre, o gemme con pezzetti di metallo... in forza del quale si credeva avessero straordinarie virtú e singolari, ma la frequenza loro e il credito venne da‟ Gnostici e da Basilidiano, dei quali assai parla nel suo libro santo Ireneo.” Arte Magica Distrutta, Maffei, 1757 “Non solùm verò in plantis quæ vestigium habent vitæ, sed etiam in lapidibus aspicere licet, imitationem et participationem, quandam luminum supernorum.” Proclus de Sacrificio et Magia (Interpre Marsilio Ficino), LUGDUNI, 1577 Un pezzo di minerale di piombo si suppone possegga una virtù peculiare quale amuleto contro il malocchio o per portare fortuna. Di questi ne ho visti tre, due dei quali possiedo, con la invocazione che deve essere pronunciata quando se ne lega uno dentro alla solita borsina di lana rossa. Molto più potente, tuttavia, sono le antiche pietre da lancio Romane, o proiettili di piombo a punta di cui se trovano molti dappertutto e di cui ne possiedo due, che comprai per mezzo franco ciascuno come talismani per il malocchio. Ma ancora più efficace è un grumo di antimonio grezzo. Si suppone che esso contenga anche zinco e rame, che gli danno un grande potere. Per questo ho anche le scongiurazioni, che sono come segue. Io credo, tuttavia, che siano state ricordate imperfettamente:
Pietra da lancio Romana “Antimonio che sei di zinco e di rame il più potente, ti tengo sempre con me perché mi allontani la cattiva gente, da me li allontanerai e la buona fortuna a me attirerai!” Quello per il piombo venne ottenuto per me scritto nelle seguenti parole, verb. et lit.: “Antimonio che di piombo sei, non hai la stessa forza dello zinco e del rame, ma prestati per la forza che hai; tutte le cattive persone da me allontanerai e la buona fortuna mi attirerai!” Si osserverà che in entrambe queste invocazioni viene posto un grande accento sulla virtù del rame, che deriva probabilmente dall‟antico sentimento religioso Romano in merito, come il “corpo” di bronzo. Ma,
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dopo ulteriori inchieste, vista la difficoltà della mia informatrice nel fare prendere forma alle sue idee, tirai fuori quanto segue: “I metalli hanno tutti le loro virtù occulte e la loro luce – il loro lustro – quando vengono spezzati; profonda nella terra e nell‟oscurità, questa luce continua a splendere in se stessa, è una luce temuta dagli esseri malvagi. Il rame e l‟oro hanno la luce più rossa; questa è la cosa che porta più fortuna e si pensa che il rame formi parte dell‟antimonio. L‟antimonio è più forte del piombo, perchè e fatto di tre metalli o quasi sempre ha in esso del rame e del piombo.” Vi è una strana conferma di questa teoria in Cardanus (De Rerum Varietate, XVI, 8, 9) ed in Peter de Aries (Sympathia septem metallorum et septem selectorum lapidum ad planetas. Paris, 1711) o, come viene detto da Nork nel suo Etymologisch-symbolisch-mythologisches Realwörterbuch: “Ciò che le stelle sono nel cielo notturno sono i metalli splendenti nell‟oscuro abisso della terra, perciò è comprensibile che questi portatori terrestri di luce vengano associati a quelli celesti e, come l‟adorazione della luce venne concentrata nel Sole e nei pianeti, così ad ogni pianeta dominante venne assegnato un metallo brillante a seconda del suo grado di radiazione.” Questo è interessante anche perchè suggerisce la fonte da cui Novalis trasse la sua idea che i minatori fossero astrologi invertiti, che leggevano nella terra il passato così come gli altri veggenti leggono nei cieli il futuro. Alcuni giorni fa acquistai in un vecchio negozio un amuleto di minerale di piombo in cui era incastonato un pezzo di rame. Questo era, come dicono gli afro-americani, “una potente pietra cunjerin”, così la acquistai per un franco – il prezzo includeva due piccole immagini antiche di bronzo Etrusche, una di Aplu ed un‟altra del Dio Nosoo, o il deus incognitus. A proposito di questo negozio, era uno di quelli in cui veniva applicato il principio dei prezzi fissi. Questo giovane uomo aveva il primo volume del Museum Etruscum di Antonio F.Gori, 1737, con su scritto “10 franchi” ma, vedendo che lo volevo, me lo offrì per 8. “Aggiungici quella Vergine del XIV secolo su un pannello, con uno sfondo dorato” dissi “ed affare fatto”. Così venne aggiunta in tutta fretta la Madonna – in realtà valeva circa 10 pence – e fummo entrambi soddisfatti. Questa era invero – come annunciava un cartello in un negozio francese che vendeva “idolatrie” cattolico-romane – “une Vièrge d'occasion”. Potrei citare qui che questo è il solo tipo di immagini che io compri; in questo assomiglio molto ad un giovane gentiluomo di mia conoscenza che ammira solo le signore con grosse fortune. Tutte queste Madonne, come la mia, hanno sfondi dorati. L‟immagine cadde ben presto a pezzi ma, con del gesso, dei colori a
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guazzo, bianco d‟uovo, gomma ed oro la restaurai in modo che ora sembra più che nuova, perchè in essa non si notano i suoi 450 anni o più. Ma allora i dintorni erano favorevoli a tale lavoro, perchè Firenze è un luogo famoso per restaurare Vergini danneggiate – e io ho udito alcune storie meravigliose riguardo a tali rifatture, che ometto per mancanza di spazio.
Amuleto etrusco bronzeo contro il malocchio (in possesso dell’autore)
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Titolo originale: Etruscan Roman Remains in Popular Tradition Autore : Charles Godfrey Leland Prima edizione: U.S.A., 1892 Traduzione ed impaginazione: L.Milani Impostazione grafica e di copertina: G.Venturi Immagini tratte dal libro originale, da Microforum Italia e fonti public domain Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere usata o riprodotta in alcun modo ed in alcun luogo, compreso l‟uso in Internet, senza il permesso scritto della Elfi Edizioni eccetto in caso di recensioni librarie o brevi passaggi riportati in articoli, citando la fonte. L‟uso delle erbe e delle cure, nonchè degli incantesimi riportati in questo libro non è consigliato come sostituto di appropriata terapia medica. L‟Editore non si assume alcuna responsabilità per eventuali danni causati dall‟uso delle erbe e di alcunchè descritto in questo libro, nè per le opinioni espresse dall‟autore.
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