Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli CAPITOLO I/prima parte L’ impresa è un sistema costituito da un insieme di elementi, risorse, attori legati tra di loro da relazioni orientate alla realizzazione di determinate attività. Esso tende alla stabilità. Fonda la sua esistenza e il suo processo evolutivo su due elementi: 1) Il patrimonio genetico; Formato dalla spinta imprenditoriale,le risorse disponibili, e le relazioni che l’ impresa crea nel suo ambiente. 2) Il progetto strategico;Costituito dalla vision e missione dell’ impresa, strategia competitiva,modello di sviluppo e utilizzazione delle risorse. Le proprietà del sistema sono: 1)E complesso: cioè si scompone in vari sottosistemi. 2)E gerarchico:i sottosistemi sono connessi, e si scompongono fino ad arrivare alle unità elementari. 3)E parzialmente aperto. 4)E morfogenetico: il sistema trova al suo interno le condizioni e le risorse per evolversi. 5)E cognitivo 6)E autopoietico: cioè riesce a creare da se la propria realtà,raggiungendo una completa auto sufficienza. Gli obiettivi dell’ impresa dipendono dagli interessi personali dei suoi vari stakeholders, quei soggetti interni o esterni che interagiscono con il sistema impresa. Quindi l’ impresa che e strettamente legata ad i suoi attori raggiunge il suo fine a lungo termine attraverso: - il raggiungimento dell’ equilibrio economico - l’ aumento del patrimonio di risorse disponibili-rafforzamento delle capacità di utilizzazione delle risorse-. Nella economia contemporanea la singola impresa è sempre più spesso parte di un sistema costituito da molte unità produttive, con un unico obiettivo. Questo sistema che raggruppa piccole imprese di uno stesso ambiente geografico è denominato DISTRETTO INDUSTRIALE. Quando le relazioni assumono stabilità diventa un sistema di tipo reticolare. Il contesto ambientale in cui opera l’ impresa si distingue in: “Ambiente esteso”dato da tutte le entità che influenzano il sistema(le politiche di governo, evoluzione tecnologica, società e cultura). Le figure sono: acquirenti, fornitori, distributori, investitori, autorità pubbliche, forze sociali, organismi rilevanti. “Ambiente competitivo” quel insieme di forze che agisce sul comportamento strategico e operativo dell’ impresa. “Ambiente competitivo di business” insieme dei fattori competitivi più importanti per l’ impresa. L’ impresa percepisce l’ ambiente e può definire i suoi confini in modo in volontario o attuando specifiche strategia di informazione. Può avere una percezione sbagliata delle condizioni ambientali che nel medio lungo termine potranno essere causa di difficoltà o crisi dell’ impresa. Per l’ impresa l’ ambiente è rilevante per due ragioni: Per l’ insieme di attori e condizioni che la caratterizzano e che determinano le potenzialità dell’ impresa. Per l’ energie che fornisce all’ impresa sostenendo il proprio processo evolutivo . L’ AMBIENTE COMPETITIVO non significa l’ ambiente dove l’ impresa compete, ma il luogo dove operano gli attori e si manifestano le forze che direttamente interagiscono con l’ attività dell’ impresa contrastando a favorendo lo svolgersi di quest’ ultima. L’ impresa e gli attori dell’ ambiente interagiscono fra di loro in base a ripetitività e al grado di conflittualità. Queste relazioni sono influenzate delle cinque forze competitive(modello proposto da Porter) più altre due forze che completano la descrizione di codesto ambiente. 1
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli /seconda parte La prima forza è “l’intensità della concorrenza nel settore”. Il primo aspetto che determina questa forza e il grado di concentrazione nel settore in cui opera l’ impresa che si suddivide in assoluto e relativo. Un indicatore molto diffuso pere calcolare in maniera relativa il grado di concentrazione è l’ indice di Hirschmann-Herfindal ottenuto dalla somma del quadrato delle quote di mercato delle singole imprese. Esso non fornisce un indicazione chiara sull’intensità della competizione,ma può rappresentare uno strumento, una volta che si conosce la composizione del settore, per cercare forme di accordo che annullino i costi di azioni competitive per conquistare una quota di mercato maggiore. L’intensità della c. nel settore e influenzato pure dal rapporto esistente tra la dimensione della domanda e la dimensione dell’offerta. Bisogna considerare la differenza fra i rispettivi tassi di crescita. Quanto più basso è il tasso di crescita rispetto a quello di offerta ,tanto più è elevata la concorrenza. Quando un settore è maturo ci deve essere una contrazione dell’ offerta ostacolata da barriere all’ uscita: ostacoli di natura strutturale che rallentano o addirittura impediscono l’uscita delle impresa dal mercato, quali possono essere la non utilizzabilità degli impianti in altri processi produttivi per via di un forte specializzazione, l’intervento di attori istituzionali, la resistenza al cambiamento. Quando si ha un aumento della leva operativa( ovvero i costi fissi rappresentano la componente principale dei costi totali) e si manifesta un eccesso di domanda, e quindi ciascuna impresa è spinta a ridurre il prezzo di vendita. Per evitare di perdere quote di mercato e quindi del proprio volume di vendita. L’ intensità della concorrenza è inversamente proporzionale al grado di differenziazione. Prodotti sono considerati concorrenti, quando sono simili e l’ imprese e come se fossero in concorrenza perfetta dove l’ impresa non ottiene nessun profitto. La possibilità di differenziare il prodotto permette all’impresa di acquisire una posizione di dominio o addirittura di quasi monopolio. Differenziare incide sui costi dell’ impresa e quindi non sempre è una decisione positiva dal punto di vista della redditività. L’intensità della concorrenza può essere valutata attraverso l’osservazione dei comportamenti posti in essere dalle imprese(in special modo le leadership). Come la determinazione del prezzo(un continuo cambiamento del prezzo e sintomo di elevata concorrenza nel settore), l’offerta di nuovi prodotti e sviluppo di quelli esistenti e servizi aggiuntivi, e comunicazione cioè lancio di nuove campagne pubblicitarie e promozioni sono tutti indicatori di forte concorrenza. La seconda forza è “la minaccia di nuovi entranti”. Un fattore che influenza la competitività di un settore è la spinta delle imprese al di fuori che vogliono entrare nel mercato. Gli incumbents (imprese presenti in un dato settore) modificano le proprie strategie verso il tentativo di controllare i rivali esterni, la percezione della minaccia di nuovi entranti viene ridotta naturalmente se la quota di domanda aumenta. Le barriere all’entrata influenzano le imprese che vogliono entrare nel mercato. Esistono: barriere istituzionali, strutturali, e strategiche. Le prime sono determinate dal governo. Quelle di tipo strutturale derivano dagli elementi che caratterizzano il settore e l’equilibrio esistente tra i diversi attori, hanno origine diversa: A] Le economie di scala, per il livello di dimensione. B] Le economie di esperienza, quando la produzione all’interno del settore determina un costo di produzione molto più basso di quello a cui è in grado di operare un nuovo entrante. C] Le economie di scopo, alcune per il maggior tempo trascorso nel settore hanno vantaggi di costo. D] il livello elevato delle fonti di finanziamento, per una nuova attività. Le barriere strategiche derivano dal comportamento che gli incumbent attuano o minacciano di attuare con l’ obiettivo esplicito di scoraggiare l’entrata di concorrenti potenziali. Le barriere strategiche per essere efficaci devono avere credibilità ed allo stesso tempo convenienti economicamente.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli “La concorrenza dei prodotti o dei servizi sostitutivi”. I prodotti o i servizi sostitutivi, pur avendo caratteristiche diverse, assolvono ad un uso analogo dei prodotti nel settore in questione. Due prodotti sono elastici quando la loro elasticità incrociata è molto elevata. All’aumentare del prezzo di uno aumenta la domanda dell’altro bene e viceversa. Le imprese possono adottare delle misure per ridurre le pressione competitiva: un miglioramento del rapporto valore/prezzo, differenziazione del prodotto, rafforzamento della comunicazione, avvicinamento all’acquirente finale e rafforzamento del sistema operativo. Altre due forza competitive sono: “il potere contrattuale dei fornitori ed acquirenti”. Quanto più i fornitori hanno il controllo sull’ impresa cliente tanto più influenzeranno il prezzo i tempi di pagamento della merce la dimensione degli ordini di lotti, assistenza al prodotto. Questo vale pure per l’impresa cliente con un forte potere contrattuale. “L’ intensità è il segno dell’azione degli stakeholders”. Quattro tipi di stakeholders hanno un ruolo importante sull’ andamento dell’ ambiente competitivo e non possono essere considerati come parte dell’ ambiente esteso: Le autorità pubbliche di regolamentazione esistenti nel settore dell’impresa, le autorità amministrative che governano il territorio, i sindacati, gli organismi della società civile. “L’ integrazione con imprese complementari rispetto alla domanda”. Il successo dell’ offerta a volte è determinato da un integrazione con offerte di attività complementari, influenzando la posizione competitiva di queste imprese che cosi si differenziano da quelle che non hanno simili opportunità. Il concetto di raggruppamento strategico. E un gruppo di imprese all’interno di un determinato settore, che adottano strategie simili, dispongono di stesse risorse,con analogie nella struttura organizzativa, assetto societario. I raggruppamenti strategici possono essere mappati a seconda della strategia che adottano le singole imprese. Le principali variabili sono: l’ ampiezza dell’offerta, la tipologia di clienti serviti, l’estensione geografica, il grado di integrazione verticale, posizionamento del prezzo, livello di innovazione. I raggruppamenti si formano nel tempo, poi possono essere ulteriormente distinti dalle strategie che adottano e dal modello organizzativo.Miles e Snow propongono le seguenti categorie: I rules sutters, che formano la leadership;Gli anticipatori, imprese che si evolvono seguendo l’ ambiente;I difensori che cercano di ridurre il più possibile i costi;I reattori, quelle molto flessibili;Gli specialisti, imprese che basano il loro modello evolutivo su una particolare risorsa distintiva; I generalisti, imprese che non hanno risorse diverse e distintive rispetto agli altri. L’ ambiente competitivo specifico di business rappresenta quella area che riguarda specialmente il business dell’impresa in considerazione. E delineato dalle stesse categorie di forze, soggetti utilizzate per distinguere l’ ambiente competitivo dell’impresa.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli CAPITOLO II/prima parte La risorsa costituisce una delle componenti fondamentali del “sistema aziendale”. Hamel sottolinea come l’ impresa non vada considerata come un insieme di attività coordinate per produrre un dato output, ma un portafoglio di competenze e di attività che creano valore. Le risorse possono essere definite come l’ insieme di fattori tangibili e intangibili che l’ impresa controlla e utilizza nei suoi processi operativi. Una risorsa è un’entità che è dotata delle proprietà non solo per partecipare a determinate attività produttive, ma anche per auto-alimentare la generazione di altre risorse. Secondo la proprietà autopoietica dell’impresa le risorse sono alla base del processo di creazione ed evoluzione dell’ impresa. Le risorse possono essere tangibili o intangibili. Le prime si possono quantificare nel patrimonio aziendale , pure alcune risorse intangibili(conoscenza tecnologica, marchio)possono essere presenti nel bilancio dell’impresa. Tuttavia gran parte delle di esse possono essere determinate solo dall’avviamento dell’impresa. Le risorse umane presentano aspetti dell’una e dell’altra categoria di risorse, e quantitativamente sono rappresentate dall’ effettivo valore che apportano alle competenze dell’impresa. Le risorse intangibili sono:la conoscenza, capacità innovativa, immagine e reputazione dell’azienda, fedeltà dei clienti, relazioni con gli stakeholders esterni, e il grado di responsabilità sociale,il capitale organizzativo, ecc. Esse hanno il ruolo di aumentare il valore dei processi operativi attuati dalle imprese. L’insieme delle risorse che spiegano un aumento del valore rispetto a quello del capitale finanziario(o netto) e definito capitale intellettuale, a sua volta diviso in capitale umano(insieme delle conoscenze delle persone) e capitale strutturale(insieme di clienti su cui può contare l’impresa ed il “capitale organizzativo”, composto dalla capacità innovativa dell’impresa e dal sistema di valori culturali ed etici). Le risorse intangibili sono sedimentabili all’interno dell’organizzazione, cioè il patrimonio di risorse intangibili può essere difficilmente sviluppato dall’esterno, mentre può essere incrementato attraverso il processo autopoietico interno. Sono deperibili(possono diventare obsolete quando cambia l’ambiente esterno);possono consumarsi durante il loro utilizzo(è il caso della professionalità delle risorse umane). Hanno un certo grado di flessibilità. Sono trasferibili all’interno dell’impresa che le possiede e utilizzabili in contesti competitivi diversi. Due risorse intangibili richiedono uno approfondimento la “conoscenza” e la “fiducia”. La “conoscenza” è l’insieme degli schemi cognitivi diffusi all’interno dell’impresa che sono alla base dei comportamenti aziendali. La “fiducia” è rappresentata come l’insieme di schemi cognitivi attraverso cui determinati soggetti danno una rappresentazione stabile ne l tempo dell’impresa. Queste due risorse sono strettamente collegate fra di loro, Esse sono all’origine del patrimonio delle risorse aziendali, ne esprimono anche il valore potenziale. Il valore del marchio per esempio, consiste nella fiducia che riesce a trasmettere all’esterno circa la bontà del prodotto e dell’impresa che lo possiede. La conoscenza è distinta in due livelli: 1] Superficiale. Consiste nell’ insieme di comportamenti prevedibili dell’organizzazione, determinando risposte automatiche ai problemi che emergono all’interno dell’impresa. Essa ha due limiti non genera nuova conoscenza, e inadatta al verificarsi di situazioni diverse da quelle consuete. 2] La conoscenza profonda è alla base della capacità di apprendere dell’impresa dallo scambio esterno e di elaborare nuovi schemi per fronteggiare situazioni diverse dal solito. La fiducia rappresenta un valore importante per l’ impresa, poiché riduce i costi di comunicazione del prodotto è aumenta la fedeltà del cliente, che matura ne tempo una certa considerazione dell’impresa, attraverso le informazioni che riceve di un determinato prodotto. La risorsa fiducia si manifesta nel capitale di reputazione dell’impresa formato da sei fattori:qualità dell’ambienta lavorativo, qualità dell’offerta, emozioni suscitate, vision, risultati economici e stabilità finanziaria, responsabilità sociale dell’impresa. /seconda parte La capacità organizzativa è la capacita di coordinare ed integrare le risorse, condizione essenziale per lo sviluppo del sistema aziendale e ai fini dell’acquisizione del vantaggio competitivo. La capacità di 4
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli coordinare e di utilizzare al meglio le risorse è più importante delle risorse stesse. A riguardo, Hamel a Prahalad descrivono diversi esempi di imprese che, pur con un patrimonio di risorse relativamente inferiore a quella dei principali concorrenti, riescono ad avere maggior successo. Organizzando le proprie risorse con altre esterne si possono creare addirittura nuove offerte(le vacanze-studio per i giovani) generando un nuovo business, ed un offerta migliore in quanto innovativa. Una competenza può essere intesa come l’intelligenza che conduce alla realizzazione di operazioni finalizzate al raggiungimento di certi risultati più o meno complessi. Le risorse e competenze per generare un vantaggio competitivo devono avere tre proprietà: la scarsità ; la rilevanza; la proteggibilità. Le risorse devono essere scarse, poco diffuse nell’imprese concorrenti. Alcuni autori ritengono che per generare un vantaggio competitivo una risorsa debba essere addirittura unica, ovvero in uso esclusivo dell’impresa che la detiene, riteniamo che questa posizione sia accettabile solo in casi particolari; il concetto di scarsità non può essere limitato a una questione quantitativa, l’impatto sul vantaggio competitivo non dipende dalla risorsa in se ma dalle competenze che da esse derivano. La “rilevanza”, rispetto ai fattori critici di successo. La proteggibilità. Per generare un vantaggio competitivo l’impresa deve acquisire un controllo proprietario sulle risorse che escluda i concorrenti. Il concetto di competenza distintiva sta ad indicare le attività che un’organizzazione è in grado di attuare in modo migliore rispetto ai concorrenti. Per far ciò bisogna integrare condizioni esterne, capacità organizzative, coordinare fattori tangibili, e intangibili in modo efficace ed efficiente. Il concetto di strategic assets è l’insieme di risorse e competenze specifiche di una impresa, scarse e appropriabili, difficili da acquisire sul mercato ed imitare, che conferiscono un vantaggio competitivo e combinandosi con gli”strategic industry factors(r&c che a livello settoriale spiegano il maggior successo potenziale rispetto ad altri settori o mercati) forniscono pure una rendita economica. Le core competencies sono le competenze fondamentali per l’impresa su cui essa basa la propria posizione di vantaggio. Contribuiscono all’efficienza con cui l’impresa realizza la sua offerta. Rappresentano il fattore competitivo determinante per entrare in nuovi business. Sono difficilmente imitabili dai concorrenti. Le competenze distintive si legano ai prodotti o servizi finali, attraverso i core products cioè i prodotti di base che sono l’elemento chiave in cui si esprimono le capacità distintive dell’impresa e che caratterizza tutta la sua offerta. Il benchmarking è una procedura di monitoraggio attraverso la quale l’impresa compara il proprio modo di realizzare le attività con quello delle imprese concorrenti che svolgono le attività comparative nel migliore dei modi. Individuati i differenziali di efficienza ed efficacia rispetto ad altre imprese, si procede all’analisi delle motivazioni che spiegano questi differenziali. Con questa analisi comparativa l'impresa può migliorare la realizzazione di specifiche attività, avvicinandosi ai risultati dei cosiddetti best in class. Le competenze distintive hanno durata temporale .La durata è riferita alla natura distintiva, cioè agli aspetti che la rendono origine di vantaggio competitivo. La durata della “distintività” è condizionata dal grado di trasferibilità e replicabilità delle risorse chiave. Queste due condizioni sono tanto minori quanto più marcata è la natura intangibile della risorsa stessa. La trasferibilità è più marcata per un risorsa molto mobile, quindi facilmente acquisibile da altre imprese, si consideri poi la facilità con cui una risorsa o competenza distintiva di un impresa può essere replicata da altri soggetti. Le competenze sono assolutamente non imitabili quando sono basate su fattori “unici” in senso fisico. Si pensi ad una conoscenza tecnologica tutelata dal brevetto, o nel caso del marchio il cui valore in termini di reputazione è il risultato di un a complessa evoluzione attraversata dall’impresa. Alcune propriètà delle r&c rendono difficili un imitazione: “asset mass efficiency”(indica che più si accumula una determinate risorsa più questa attrae nuovi flussi di quella stessa risorsa verso lo stesso centro di accumulazione) e l’interconnectedness of asset stock( il possesso di un livello adeguato di una risorsa favorisce l’attrazione di risorse complementari). Queste due si relazionano alla strategia “di muoversi per primi”. Tale decisone genera alcuni vantaggi competitivi: anticipa la discesa lungo la curva di esperienza permette di sviluppare la reputazione, permette di avvantaggiarsi di eventuali costi di conversione(switching cost)peri clienti. L’impresa può cercare di allungare la durate delle r&c distintive cercando di rendere più complesse determinate routine organizzative, può contrastare i fattori di circolazione delle informazioni. Agendo 5
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli sulle casual ambiguity che rendono di difficile comprensione all’esterno dell’ impresa le relazioni causa effetto tra certe azioni relative all’utilizzo delle risorse. Le competenze chiave su cui si basa la strategia competitiva devono avere natura dinamica, per fronteggiare l’inevitabile non di rado declino della natura distintiva di una risorsa. Le competenze dinamiche favoriscono il rapido cambiamento strategico e organizzativo per rispondere in maniera adeguata all’evoluzione dell’ambiente competitivo. Esse sono fondamentali in ambienti dove si manifestano condizioni di ipercompetizione. , dove i fattori di vantaggio competitivo sono molto instabili e quindi temporanei. Vi sono diversi fattori che limitano le effettiva possibilità di utilizzare le competenze dinamiche. Bisogna considerare l’ effetto di path dipendency connaturato con l’ attuazione di qualsiasi strategia competitiva, cioè le strategie competitive si evolvono lungo un sentiero che è “vincolante” per l’impresa limitando la dinamicità di quest’ultima. Cambiamento e stabilità non sono necessariamente in contraddizione. Il punto di convergenza tra i due termini sta nell’esistenza di fattori-perno attorno a cui l’ organizzazione mantiene una sua continuità anche quando è attraversata da profondi mutamenti. La “conoscenza profonda” costituisce uno di questi fattori-perno, in quanto determina la capacità dell’impresa di ridisegnare le proprie strategie in relazione al cambiamento ambientale. Risorse e competenze distintive sono considerate il riferimento di base della strategia dell’impresa, che le valorizza nel migliore dei modi. Questa valorizzazione ha una finalità duplice: verso l’esterno, determinando una posizione di vantaggio competitivo per l’impresa; verso l’interno, favorendo il processo di auto-creazione delle risorse dell’impresa. La funzione essenziale della strategia è l’ acquisizione e delle risorse e sviluppo delle competenze distintive. La strategia competitiva che ne deriva è volta ad utilizzare nel modo migliore le risorse e competenze distintive che ne derivano, e attraverso queste, a raggiungere una certa posizione di vantaggio. I contenuti della strategia intesa come valorizzazione e sfruttamento delle risorse disponibili si articolano su quattro aree: a) la focalizzazione delle r&c distintive per raggiungere i migliori risultati nelle attività che l’impresa ritiene cruciali. b) Combinazione, utilizzazione di diverse r&c per accrescere il valore potenziale e l’originalità dell’offerta. c) il Leveraging fa leva sulle competenze distintive già sperimentate per operare con successo su nuovi mercati. Alla basse della diversificazione. d) La replicazione interna delle competenze distintive. Anche per quanto riguarda la strategia intesa come acquisizione di risorse e sviluppo delle competenze distintive, si definiscono quattro orientamenti di fondo: a) Accumulazione, capacita di accumulare e gestire le risorse nel tempo all’interno dell’impresa. b) L’integrazione. c) Conservazione, che si applica come già visto nello sviluppo di fattori di ambiguità, la ricerca della protezione legale, la co-evoluzione di risorse complementari. Condizione fondamentale per l’acquisizione del vantaggio competitivo è la capacità dell’impresa di porre in essere una strategia di acquisizione e sviluppo delle risorse diversa da quelle delle concorrenti. La teoria aziendalisitica individua due abilità per l’acquisizione del vantaggio competitivo: resource picking e capability building. La prima consiste nel sapere individuare e acquisire meglio e più rapidamente dei concorrenti le risorse che hanno un potenziale valore. La seconda riguarda la capacità di sviluppare le competenze distintive sfruttano al meglio il potenziale delle risorse e innovare tali competenze quando al cambiamento dell’ambiente.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli CAPITOLO III/prima parte Uno dei principali filoni di ricerca che hanno affrontato il tema della formulazione delle strategie e l’ approccio normativo-proggetuale che si propone di fornire al soggetto strategico una metodologia per la formulazione delle strategie. IL soggetto strategico si identifica in un singolo individuo o un gruppo di alti dirigenti molto coeso che condivide lo stesso obiettivo e medesimi valori. La “Scuola della pianificazione strategica” propone un approccio fortemente deterministico e razionale, in cui l’ambiente esteso viene preso come principale unità di analisi considerato sufficientemente prevedibile, la struttura del settore( numero di imprese, barriere all’entrata e all’uscita) determina la condotta dell’impresa, in termini di scelte strategiche e organizzative. La SWOT Analisys, introdotta da Andrews e successivamente ripresa da Porter con il modello delle “cinque forze competitive” ed altri modelli di diversi autori sono tra i principali contributi riconducibili a tale filone. L’eccessiva progettualità nella formazione delle strategie hanno evidenziato i limiti interpretativi dei contributi di questa Scuola. Secondo l’approccio imprenditoriale di Normann la formulazione delle strategie non deriva da un analisi delle tendenze ambientali o da una razionale definizione delle possibili strategie, ma dalla vision dell’impresa che sfrutta al massimo le opportunità strategiche offerte dall’ambiente. La formulazione imprenditoriale è più soggettiva rispetto alla prima. L’impresa cerca il programma strategico che fornisce il miglior vantaggio competitivo ex-post; cioè attraverso un processo sperimentale per tentativi ed errori, evolvendosi con l’ambiente di riferimento. Un secondo filone di studi concettualizza la strategia come un processo decisionale complesso, articolato e frammentato. In tal senso, il soggetto decisore è visto come una coalizione che coinvolge i diversi livelli dell’organizzazione. Qui il focus si sposta sul come si decide e non cosa si decide, il soggetto strategico cambia, diviene come delle coalizioni di natura personalistica/leaderistica, burocratica. La formulazione delle strategie dal punto di vista dell’approccio basato sulle risorse e competenze può limitare lo sviluppo di azioni strategiche, creando un effetto di dipendenza dal sentiero di sviluppo adottato dall’impresa a(path dipendency) nello sviluppo delle stesse basi per la competizione. Nello studio delle strategie, si è affermata negli ultimi anni una crescente attenzione per la conoscenza di base(knowledge based) dell’impresa. Questo approccio identifica nella conoscenza la risorsa centrale per l’impresa come vera e propria fonte primaria di vantaggio competitivo.. In quanto “risorsa” la conoscenza è scarsa difficile da trasferire, costosa da replicare ed è difficilmente appropriabile. Essa si distingue in tacita ed esplicita. La conoscenza esplicita è codificabile è trasmissibile in linguaggi formali e sistematici(documenti, programmi, presentazioni, specifiche tecniche, reports, ecc.). La conoscenza tacita è invece intuitiva e non verbalizzabile difficile da formalizzare e comunicare. Le diverse forme di conoscenza sono la socializzazione(può avvenire sia a livello individuale che organizzativo), esternalizzazione((sforzo di rendere esplicita la conoscenza tacita attraverso documenti ecc.), internalizzazione( della conoscenza esplicita), infine la combinazione( trasmissione della conoscenza a diversi livelli dell’organizzazione o fra diversi individui ), che può essere agevolata tramite una infrastruttura di Informatiion Tecnology .
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli /seconda parte Il processo di formazione della strategia scaturisce dalla combinazione di strategia intenzionale e decisa, combinata con le strategie emergenti che scaturiscono dal sistema organizzativo. La strategia intenzionale può essere vista come l’assunzione da parte del soggetto strategico di un disegno di sviluppo dell’impresa, fondato su obiettivi generali. La strategia intenzionale non viene totalmente attuata nella strategia decisa. Alcune opzioni strategiche infatti possono essere rimosse a causa dei processi di negoziazione nella coalizione strategica, della valutazione dei rischi. La strategia decisa difficilmente viene realizzata a causa delle scarse capacità organizzative, nella sua trasformazione in azioni collettive per la variabilità dell’ambiente esterno. Infine tale strategia può non produrre gli effetti desiderati(strategia non attuata). Nel contesto dello strategic menagment le competenze vengono spesso sviluppate nella prospettiva organizzativa piuttosto che in quella individuale. Lo sviluppo della conoscenza organizzativa si basa sul processo di trasformazione della conoscenza nelle due dimensioni:a9tacita-organizzativa,b) individuale-collettiva. La conoscenza si trasferisce tra individui e tra questi ultimi e l’organizzazione e viceversa, nella forma tacita o esplicita, attivando un meccanismo circolare di creazione della nuova conoscenza. Poiché l’apprendimento organizzativo fondato sull’esperienza e sull’attività di ricerca all’interno della singola impresa è lento e parziale nasconio le alleanze strategiche con altre imprese Per difendere le competenze distintive ci sono alcuni strumenti: la protezione brevettale e organizzativa delle tecnologie, lo sviluppo della prospettiva del Knowledge management, cioè delle funzioni di acquisizione e uso delle conoscenze con la costituzione di ruoli dei processi di formazione delle competenze- come il knowledge manager, il director of organizational learning, il chief learning officer, il vicepresident of konwledge transfer. Alle categorie di Strategic Business Unit-SBU possono essere collegate le categorie delle competenze distintive che arricchiscono il potenziale degli strumenti di valutazione e formulazione delle strategie. Le due concezioni dell’impresa come portafoglio di SBU(struttura strategica) e come portafoglio di competenze (architettura strategica) tendono a coesistere in relazione alla dinamicità del settore nel quale si collocano le SBU, delineando l’ assetto strategico complessivo.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli CAPITOLO IV/prima parte Il vantaggio competitivo è il risultato di una strategia che conduce l’impresa ad occupare e mantenere una posizione favorevole nel mercato, in cui opera, con una redditività maggiore dei concorrenti. L’impresa non dispone “naturalmente” di un vantaggio competitivo ma attraverso una specifica attuazione di strategie che la pone in condizione di superiorità rispetto agli altri competitors. Però occorre che tali attività generino condizioni a cui il mercato attribuisca un valore significativo. Quindi l’impresa raggiunge una posizione di vantaggio competitivo quando raggiunge l’eccellenza rispetto ai rivali in quegli ambiti a cui corrispondono i fattori critici di successo nel suo mercato. I fattori critici di successo sono quegli elementi dell’ offerta che il mercato valuta indispensabili o apprezza particolarmente. Dal punto di vista dell’impresa sono quegli aspetti della propria organizzazione che li distinguono dai concorrenti. L’ origine del vantaggio competitivo sta nella capacità dell’impresa di individuare e sfruttare opportunità innovative migliori dei concorrenti, e la capacita di attribuire ai clienti un valore superiore di quello fornito dai concorrenti. Le risorse e le condizioni interne all’impresa sono le basi su cui si costruisce la strategia che conduce al vantaggio competitivo. La strategia volta a creare un vantaggio competitivo deve caratterizzata da quella che Porter chiama la strategic fit:il successo dell’impresa non deriva tanto dall’eccellenza con cui essa svolge singole attività, quanto, soprattutto, dalla coerenza complessiva con cui sono attuate tutte le attività volte alla realizzazione di una certa offerta. Lo strategic fit è basato sull’individuazione di un’idea forte di fondo e sull’abilità di attuare questa idea con attività che si integrano l’una con l’altra, rafforzandosi. Il successo dell’impresa è spiegato anche da due altri tipi di coerenza: A) la coerenza tra le attività e l’assetto organizzativo dell’impresa; B) la coerenza tra le attività e le condizioni ambientali. Il vantaggio competitivo può essere interpretato come la capacità dell’impresa di acquisire una differenza positiva, riconosciuta dal mercato rispetto ai concorrenti. La distinzione dai concorrenti riguarda due piani diversi: a)l’efficienza operativa. b)il posizionamento strategico. La prima distinzione comporta che l’impresa svolga le stesse attività dei concorrenti, ma in maniera migliore più efficiente. L’esempio più evidente riguarda il ciclo produttivo. Un innovazione tecnologica riesce a realizzare fasi della produzione a costi medi inferiori di quelli sostenuti per le stesse fasi dai concorrenti. L’intensità della distinzione si riduce velocemente nel tempo, per via di una convergenza almeno tra i principali operatori verso la frontiera tecnologica. Facilitata dalla crescente diffusione tra le imprese delle best pratices e procedure di benchmarking; e la condivisione da parte delle imprese degli stessi fornitori Il vantaggio competitivo è il risultato dell’individuazione di una posizione di mercato a cui i clienti attribuiscono un valore e che i concorrenti non possono raggiungere, quindi per differenziarsi ed avere una redditività maggiore bisogna acquisire una posizione in un’area “felice” del mercato, sfruttando le risorse che permettono di stabilirsi in tale area in un modo migliore rispetto ai concorrenti. La difendibilità del posizionamento dipende dal modo più o meno complesso dell’utilizzo delle risorse e competenze detenuto dall’impresa. Il posizionamento di un impresa è poco attaccabile quando le sue risorse e competenze distintive sono difficili da imitare o acquisire dai concorrenti. Due fattori “riducono” la posizione di vantaggio acquisito dall’impresa nel tempo: i cambiamenti (esogeni ed endogeni) dell’ambiente rilevante, in special modo del mercato, che modificano i fattori critici di successo; l’ azione da parte dei concorrenti per appropriarsi delle fonti da cui deriva il vantaggio competitivo. La stabilità del vantaggio competitivo è direttamente legata alla durata delle risorse e competenze distintive. Ghemawat individua tre fonti poco imitabili che rendono la posizione di vantaggio molto duratura: a) La dimensione poiché permette all’impresa di avvantaggiarsi delle economie di produzione( scala, scopo di esperienza)
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli b) L’accesso preferenziale alle risorse critiche o al mercato, l’ impresa che ne detiene il controllo pone notevole attenzione a rafforzare le condizioni che ne sono alla base.. c) i limiti delle opzioni strategiche dei concorrenti. Diversi fattori possono bloccare i concorrenti, impedendo loro di seguire la strada del leader del settore: la realizzazione di investimnenti fortemente idiosincratici, lentezza dell’innovazione tecnologica, la vischiosità del loro sistema organizzativo. L’impresa per difendere il suo vantaggio competitivo opera in modo che esso non sia percepito dai competitors. Una seconda opzione sono le barriere strategiche, nell’attuare comportamenti che scoraggiano i rivali dal tentare di raggiungere la stessa posizione dell’impresa, con azioni di moral suasion o azioni aggressiva che anticipano eventuali strategie competitive. Cercare di preservare le fonti di vantaggio competitivo da parte dell’impresa può essere addirittura controproducente, poiché “blocca l’impresa su posizioni che diventano rapidamente obsolete. Il concetto di ipercompetizione può descrivere un ambiente dove l’intensità del confronto competitivo tra gli operatori è molto elevata ed i fattori critici di successo del mercato si modificano velocemente. I vantaggi acquisiti tendono ad essere stabili. Con una continua innovazione delle fonti del vantaggio l’impresa può ovviare al fenomeno dell’obsolescenza che colpisce quest’ultime. Lo strumento di analisi delle attività delle da cui l’impresa crea valore per il mercato e raggiunge una posizione di vantaggio competitivo è l’utilizzazione della catena di Porter, per l’analisi delle relazioni si usa uno strumento concettualmente simile chiamato “catena delle relazioni”. La catena del valore scompone l’impresa o la singola area di business nell’insieme di attività e di sotto-attività attraverso cui l’impresa crea valore per il mercato. Si distinguono in attività primarie e di supporto. Le prime sono quelle su cui si articola il processo di produzione e vendita in senso stretto. Le seconde sono trasversali al sistema aziendale e rendono possibile il miglior funzionamento delle attività primarie. Le attività primarie sono: a) Logistica in entrata; pianificazione e gestione delle consegne dei fornitori; gestione dei vettori di trasporto dei materiali in entrata; gestione dei magazzini materie prime e semilavorati, ecc. b)Attività operative; predisposizione degli impianti, organizzazione del ciclo produttivo, trasformazione degli input, assemblaggio dei semilavorati, controllo qualità, movimentazione degli output verso i magazzini. c) Logistica in uscita; Gestione dei magazzini prodotti finiti, pianificazione delle consegne e distributori. d) Marketing e vendite; Gestione delle vendite, politiche di marketing e comunicazione. e) Servizi; Assistenza post vendita, analisi della soddisfazione dei clienti. Le attività secondarie sono: a) Approvvigionamenti. Analisi e selezione dei fornitori,, gestione degli acquisti finalizzati alla produzione e determinazione del prezzo. b) Sviluppo della tecnologia; c) Gestione delle risorse umane; Selezione del personale; retribuzione, relazioni sindacali. d) Attività infrastrutturali; Pianificazione strategica e di marketing, gestione finanziaria, rapporti istituzionali e affari legali. LA catena del valore dell’impresa(a monte la catena dei fornitori a valle catena dei clienti)non deve essere considerata in maniera isolata, ma va integrata con le catene di valore degli altri business dell’impresa generando un “sistema del valore” . Nella catena delle relazioni si fa riferimento alle relazioni tra i soggetti all’interno dell’impresa e le relazioni che quest’ultimi instaurano con gli attori esterni. E importante per l’impresa riuscire a misurare le consistenza del suo vantaggio competitivo, poter valutare in termini quantitativi la validità della propria posizione nell’ambiente rilevante, sul piano sia della situazione economica finanziaria che delle opportunità di sviluppo futuro. Dal punto di vista temporale è possibile compiere una misurazione delle condizioni ex ante; valutare cioè i fattori da cui dipende l’acquisizione e il mantenimento di una posizione di vantaggio competitivo. Oppure una misurazione ex-post, attraverso il calcolo degli indicatori di bilancio che registrano i risultati economici dell’impresa. ROI = Margine operativo netto/Capitale investito nella gestione caratteristica La capacità degli investimenti nella gestione caratteristica di “produrre” reddito operativo
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli ROS = Margine operativo netto/Fatturato Capacità delle vendite di “generare” margine operativo netto. Spiega in quale misura l’impresa è in grado di trattenere reddito dalle vendite. Al denominatore può essere considerato il valore della produzione se l’attività delle impresa comporti normalmente elevate variazioni di scorte e di lavori in corso. Tasso di rotazione del capitale = Fatturato/Capitale investito nella gestione caratteristica Spiega la quantità di capitale investito necessario per produrre un certo livello di vendite(ROI 0 ROS x tasso di rotazione. ROE = Reddito netto/Capitale netto Capacità del capitale netto investito di generare reddito. Valore aggiunto/Attivo totale(capitale investito totale) Capacità del totale dell’attivo dell’impresa di “generare” valore aggiunto, ovvero il margine per remunerare i fattori della produzione(lavoro, capitale, capitale finanziario). Valore aggiunto/N. addetti Capacità del fattore lavoro di produrre valore aggiunto. Misura la produttività del lavoro Possiamo misurare la competitività attraverso la variazione percentuale in un certo arco temporale delle principali grandezze economiche, valore aggiunto, margine operativo lordo netto, con la misurazione expost del vantaggio competitivo del fatturato o il valore di produzione, ed infine vanno considerati gli indicatori che misurano l’efficienza delle vendite e la soddisfazione del cliente. (vedi tabella 4.1) La misurazione ex-ante coglie in termini quantitativi la posizione dell’impresa. Nella tabella 4.2 è indicata una rosa di indicatori utilizzabili per una valutazione ex-ante della posizione dell’impresa. Il vantaggio competitivo inteso come capacità dell’impresa di realizzare un profitto superiore ai concorrenti può derivare da due condizioni di fondo: vendere in prodotto analogo a quello dei concorrenti ad un prezzo più basso, offrire un prodotto o servizio con caratteristiche differenti a cui il consumatore attribuisce un valore maggiore. Da queste condizioni derivano le strategie competitive di vantaggio di costo e differenziazione. L’impresa può attuare una delle due strategie a livello dell’intero mercato o a un singolo segmento di mercato, in questo si individua una terza strategia competitiva: la focalizzazione. Le prime due strategie non si escludono a vicenda, anzi , il fatto per esempio che l’impresa per differenziasi sostenga costi particolari non vuol dire che non debba puntare alla massima efficienza e cioè minimizzare il costo medio totale. Un maniera analoga il vantaggio di costo che implica la standardizzazione dell’offerta non implica che essa sia indifferenziata. Due esempi chiari di questa convergenza sono il mobile Ikea e gli accessori Prada. Nel primo caso l’idea chiave alla base del successo e il prezzo molto basso del prodotto attraverso un produzione su larga scala e annullando i costi di manodopera per il montaggio finale Ikea acquisisce un vantaggio assoluto di costi e con una gamma molto ampia e dal design particolare si differenzia. Per Prada il fattore chiave di successo e presentato dall’unicità del design e materiali usati, che poi si sposano con un vantaggi o di costi acquisito grazie ad economie di scala poichè il suo mercato è globale e consente all’impresa di realizzare grandi volumi di produzione. Un’impresa che opera a un livello di costi unitari inferiore a quello dei rivali controlla la leva competitiva del prezzo. L’impresa può abbassare il prezzo di vendita della propria offerta a un livello che, pur rimanendo al di sopra del costo medio, risulta inferiore a quello dei concorrenti. L’aumento della domanda si riflette nell’incremento del livello di produzione dell’impresa; aumenta i grado di sfruttamento delle economie di scale e l’accumulo di esperienza, può favorire un maggiore controllo nella sua filiera di produzione, quindi rafforzare il proprio vantaggio di costo, mettendola nella condizione di ridurre nuovamente il prezzo di vendita e acquisire nuova domanda. In linea teorica il processo di acquisizione di quote di mercato dei rivali accade in maniera molto rapida; nella realtà molti fattori lo rallentano, l’informazione di un prezzo più basso richiede un certo periodo di 11
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli tempo per essere percepita dalla domanda, l’impresa leader può non disporre d dileguati impianti per un aumento della produzione( con una conseguente offerta poco elastica), inoltre un aumento di quest’ultima genera diseconomie di scala per problemi di coordinamento. Bisogna pure considerare il grado d’inerzia del consumatore, che può valutare la riduzione di prezzo non sufficiente a spingerlo a cambiare fornitore. Il vantaggio di costo non si manifesta solo nella riduzione di prezzo. Se l’impresa leader mantiene un prezzo al livello medio degli altri competitors può comunque beneficiare di un reddito positivo perché i suoi costi sono più bassi della concorrenza. Il maggiore margine di reddito generato dalla leadership di costo si riflette nell’aumento delle fonti finanziarie disponibili; il più alto livello delle fonti disponibili consente all’impresa di effettuare investimenti volti a migliorare l’efficienza o di differenziarsi. I definitiva, la leadership di costo si traduce in una maggiore capacità di crescita dell’impresa, e/o in un rafforzamento della propria posizione competitiva. La determinazione della strategia di vantaggio di costo si basa sull’utilizzazione della catena del valore. Si comincerà a evidenziare le attività della catena del valore che sono cruciali dal punto di vista dei costi, e che hanno maggiore rilievo nella strategia in esame. La seconda fase dell’analisi compara i costi sostenuti dall’impresa con quelli che i concorrenti affrontano nelle attività corrispondenti. La terza fase rappresenta il passaggio logico tra la fase del processo e la fase relativa alla elaborazione della strategia qui sono determinati i costi delle singole attività della catena del valore. Quindi si procede a definire la strategia per raggiungere il vantaggio di costo. Nell’ultima fase si attuano le azioni per mettere in pratica la strategia. Per le determinanti del livello di costo di una certa attività prendiamo in esame fattori come: a) Le economia di scala, diminuzione del costo medio all’aumentare della produzione. b) Le economie di scopo, riduzione dei costi medi totali dovuta all’aumentare dell’estensione dell’attività dell’impresa. c) Le economie di apprendimento, riduzione dei costi unitari di produzione all’aumentare della quantità prodotta dall’impresa nel tempo. Lo svolgimento continuo di un’attività determina la progressiva maturazione di esperienza che porta ad operare in maniera sempre più efficiente ed efficace. d) Il grado di utilizzazione delle capacità produttive, i costi fissi medi di un impianto si riducono all’aumentare del volume di produzione. e) Tecnologia del processo salvo casi particolari, una stessa attività può essere realizzata con modalità diverse e utilizzando tecniche differenti che può portare ad una differenziale di costo rispetto ai concorrenti. f) Localizzazione delle attività produttive, ha un rilievo fondamentale sul costo di un impresa, la vicinanza delle attività produttive alle fonti di approvvigionamento degli input e ai mercati di sbocco. g)Il potere contrattuale dei fornitori, influenza la redditività potenziale delle imprese. Una posizione “forte” dei fornitori si traduce in elevati costi per la fornitura. Nel caso di fornitori esteri, bisogna considerare l’influenza che le possibili variazioni del tasso di cambio esercitano sul prezzo di acquisto. h) L’ottimizzazione delle relazione con i distributori, concetto speculare a quello fatto per i fornitori. Un altro fattore per costruire un vantaggio di costo è controllare l’efficienza complessiva della catena del valore. Il concetto di “x-efficiency è l’insieme di costi che l’impresa sostiene nelle varie attività gestionali e che potrebbero essere eliminati senza alcun effetto negativo sull’efficienza ed efficacia. Le strategie per acquisire il vantaggio di costo possono essere: Il massimo sfruttamento delle economie di produzione(di scala, scopo e di esperienza). L’innovazione di processo o di prodotto, strada per ottenere un vantaggio di costo almeno a medio termine. L’impresa difatti produce un prodotto che a parità di valore , ha un costo idi produzione inferiore. Riorganizzazione geografica dell’attività produttiva, localizzazione degli stabilimenti in aree che offrono le migliori opportunità per ridurre i costi medi rispetto al settore. Riduzione delle “x-efficiencies” che si sviluppano nel sistema organizzativo aziendale, meccanismi incentivanti e/o disincentivanti che spingano i singoli a comportamenti virtuosi e li coinvolgano nel programma di riduzione delle inefficienze organizzative. L’impresa può aver un vantaggio pure dalla riconfigurazione della catena del valore che può manifestarsi secondo quattro modalità: esternalizzazione(decentramento della produzione); reigegnerizzazione della
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli catena del valore(ridisegna il sistema produttivo); razionalizzazione della struttura produttiva (riduzione del numero di stabilimenti); modificazione nella filiera produttiva. La differenziazione consiste nel distinguere la propria offerta da quella dei concorrenti con modalità a cui i clienti riconoscono un valore, attraverso queste quattro condizioni: L’unicità. Elementi che distinguono in maniera netta la propria offerta dai competitors e riguardano le componenti fisiche del prodotto, caratteristiche intangibili, elementi che non riguardano strettamente il prodotto. Il valore dei fattori di unicità. Quei fattori unici che creano effettivamente valore per il cliente, valore che si manifesta in due maniere: riduzione dei costi che egli sostiene per realizzare una certa attività, aumento delle prestazioni che egli ottiene da una certa attività. Questo è il punto di partenza della differenziazione, l’analisi e comprensione dei bisogni del consumatore(delle sue preferenze). La percezione del valore di unicità da parte del cliente è la sostenibilità economica (una maggiore redditività). Se un cliente attribuisce un valore al prodotto, l’impresa fissa il prezzo maggiore di quello degli altri operatori nella stessa area di business, senza risentire di una riduzione della domanda. Deve però stare attenta ha non collocarsi in aree con obiettivi diversi da quelli prefissati e con dinamiche competitive diverse che possono richiedere competenze a cui l’impresa non è necessariamente dotata. Non bisogna confondere la differenziazione con la segmentazione. Il modo in cui l’impresa determina l’unicità della sua offerta rispetto a quella degli avversari, la seconda riguarda dove essa intende competere, valorizzando i suoi elementi d’unicità. La differenziazione può essere attuata a tre livelli: 1) Componenti tangibili, attributi concreti del prodotto; 2) Componenti intangibili, tutti gli elementi che influenzano la percezione che il cliente ha del valore di un prodotto e del suo posizionamento rispetto a quelli concorrenti. 3) Componenti aggiuntive e relazionali, quegli elementi aggiuntivi che l’impresa propone insieme al prodotto che aumentano il valore complessivo dell’offerta. (Vedi tabella 4.10) Come per la determinazione del vantaggio di costo, gli interventi volti a differenziare l’offerta vanno ideati e attuati con riferimento alle singole fasi della catena del valore agendo sui fattori di unicità più rilevanti e sulle attività della catena del valore dove l’impresa ritiene di avere le potenzialità migliori per creare unicità cui i clienti attribuiscono valore. /seconda parte La strategia di focalizzazione è una terza strategia competitiva di base, rappresenta un’attuazione di una delle due precedenti in un’area relativamente piccola del mercato. La focalizzazione ha alcuni vantaggi importanti: a) consente all’impresa di indirizzare tutti i propri sforzi economici e strategici in un contesto circoscritto b) favorisce la specializzazione delle risorse e delle conoscenze da parte dell’impresa c) facilita la maturazione di esperienza produttiva e di mercato d) riduce la pressione competitiva proveniente dalle grandi imprese, che tendono ad avere minore attenzione verso le aree di business di piccola dimensione. La strategia di focalizzazione presenta alcuni rischi quali: a) investire e specializzarsi in un’area del mercato economicamente non sostenibile. b) investire e specializzarsi in un’area del mercato facilmente aggredibile. c) seguire il ciclo di vita dell’area di mercato dove si è focalizzata l’attività. La strategia verticale determina i confini”verticali” (a monte e a valle) dell’attività svolta dall’impresa, ovvero nella scelta della attività che l’impresa intende svolgere direttamente al suo interno e di quelle che affida all’esterno. L’integrazione verticale di un’impresa descrive attività verticalmente correlate ai fini della produzione di un determinato output. Volpato definisce la filiera produttiva l’insieme di lavorazioni conseguenti che vengono effettuate per trasformare un certo insieme di materie prime in un prodotto finito e collocarlo sul mercato. Quanto è maggiore questo numero tanto più elevato il grado di integrazione dell’impresa(schema in figura 4.12). Il processo di integrazione verticale può procedere verso “monte” o verso “valle”; nel primo caso l’impresa assume il controllo diretto delle attività di 13
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli produzione di input che in precedenza erano acquistati all’esterno. Nel secondo caso, essa porta al suo interno le attività di produzione che utilizzano gli output in precedenza venduti a soggetti esterni che svolgevano direttamente quelle attività. Criterio fondamentale per determinare i confini verticali è quello del costo. L’impresa tende a realizzare all’interno quelle attività il cui costo è inferiore al prezzo da pagare se eventualmente fossero prese dall’esterno. Per conoscere l’attività da realizzare all’interno si veda la relazione:
( Cp + Ca ) ≤≥ ( P + Ct )
Dove: Cp indica i costi interni di produzione dell’attività. Ca indica i costi “amministrativi” derivanti dalla gestione dell’attività all’interno dell’impresa. P è il prezzo da pagare per quello stesso output da acquistare sul mercato. Ct Indica l’insieme dei costi che l’impresa sostiene per l’operazioni inerenti all’acquisto dell’output. In un mercato in concorrenza perfetta dove il prezzo di vendita è uguale al costo di produzione interno dell’impresa, la scelta del grado d’integrazione verticale è ricondotta al confronto tra i costi amministrativi ed i costi di transazione. Secondo la teoria di Coase l’integrazione verticale è il frutto di un scelta aziendale volta a minimizzare i costi per un determinato input produttivo o per poter realizzare un certo output finale. Integrazione verticale e transazioni sul mercato non sono le uniche alternative possibili per ottenere un certo fattore di produzione, ma le due situazioni estreme. Una relazione intermedia è chiarita dalla “teoria dell’agenzia”, spiega il rapporto fra due soggetti, l’agent agisce nell’interesse dell’altra il principal, si evidenziano però problemi di asimmetria informativa che esistenti . I confini verticali dell’impresa variano anche in relazione al ciclo di vita del settore. Nella fase di introduzione l’impresa è fortemente integrata sia a monte che a valle. La fase di sviluppo è caratterizzata da un processo di progressiva de-integrazione, favorita in primo luogo dall’entrate di numerosi nuovi operatori. Nella fase di maturità, da un lato c’è l’esigenza di minimizzare i costi totali,dalla altra parte l’affermarsi di una strategia di nicchia o di “grandi volumi” spingono l’impresa a concentrare i propri sforzi su poche attività. L’integrazione verticale si riflette sia sui costi di produzione, sia sulle modalità di creazione di valore per il cliente, sia infine sul grado di controllo che l’impresa ha delle dinamiche competitive di tipo verticale orizzontale. I vantaggi dell’ integrazione verticale sul piano dei costi si manifestano con l’integrazione di attività di una filiera produttiva realizzate all’interno dell’impresa, l’integrazione permette di controllare quelle attività che maggiormente risultano cruciali per la determinazione del valore finale del prodotto. L’impresa può essere spinta a intervenire in attività della filiera a monte o a valle rispetto a quelle di origine, dall’intento di controllare la concorrenza nel proprio mercato. L’integrazione verticale può divenire la soluzione più conveniente quando il distributore ha elevato potere nel suo mercato, controllando eventuali comportamenti distortivi. Gli svantaggi dell’integrazione verticale comprendono dal punto di vista dei costi transazionali, quei costi di amministrazione o di coordinamento delle attività realizzate all’interno dell’impresa. Questi costi sono chiamati da Milgrom e Roberts “costi di influenza(influence costs). Si tratta dei costi sostenuti dalle diverse unità organizzative al fine di orientare a loro favore l’allocazione delle risorse. Quanto più la struttura organizzativa è complessa e articolata tanto più i costi influenza sono elevati. Con le forme contrattuali di quasi-integrazione verticale l’impresa può stabilire con il proprio fornitore o cliente una relazione di lunga durata attraverso un idoneo contratto. Nella relazione verticale verso valle, il franchising rappresenta una forma importante e diffusa di integrazione contrattuale. Sulla base di questo contratto un soggetto franchisor garantisce la fornitura dei propri prodotti o servizi a un altro franchisee che si impegna a distribuirli in esclusiva impegnandosi nei loro confronti a rispettare una certa politica di prezzo nel mercato. La strategia di diversificazione è l’insieme di azioni a sviluppare la presenza competitiva in una molteplicità di settori non necessariamente correlati. Può essere attuata in maniere diverse: attraverso crescita interna, attraverso accordi e in particolare joint venture, attraverso fusioni e acquisizioni di imprese collocate nel settore verso cui si diversifica. La diversificazione si distingue in base al grado 14
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli d’intensità: di tipo “conglomerale”(descrive l’espansione dell’impresa in settori sostanzialmente privi di alcun collegamento di mercato con quelli in cui essa è già insediata), e “correlato”(descrive l’operare dell’impresa in ambiti competitivi che, per quanto distinti, sono connessi). I fattori che determinano tale correlazione sono: utilizzazione delle stesse risorse tangibili o intangibili; condivisione di competenze organizzative; condivisione di approccio strategico; condivisione di attività e di procedure operative; La correlazione tra due settori diversificati può essere descritta attraverso tre criteri fondamentali: la sua intensità, la sua direzione, i fattori attraverso i quali si esprime la correlazione stessa. Le spinte che portano ad attuare da parte dell’impresa strategie di diversificazione sono: 1) Scarse opportunità di crescere nel settore di provenienza. 2) Capacità e risorse in eccesso rispetto all’attività nel proprio settore. 3) Riduzione del rischio(vedi formula pag. 170), l’impresa che opre in entrambe aree riduce la variabilità totale dei rendimenti che essa può ottenere complessivamente nei due mercati e quindi il rischio 4) L’aumento del potere di mercato dell’impresa, permette all’impresa di attuare tre politiche che hanno effetto sul controllo della concorrenza. La prima è il cosiddetto dumping prevede che l’impresa utilizzi gli alti margini economici che ottiene in un settore dove gode di una posizione competitiva forte o per finanziare una politica di prezzo molto aggressiva in altri settori dove è più esposta alla concorrenza. Questa strategia diviene illecita se l’impresa fissa un prezzo più basso dei propri costi di produzione(prezzo predatorio). Una seconda strategia è quella dell’acquisto reciproco, l’impresa opera in un settore dove i suoi clienti possono essere anche suoi fornitori in un altro settore dove essa è diversificata. La terza politica riguarda le interdipendenze con i concorrenti. 5) Riconversione industriale, l’impresa di fronte a una crisi strutturale della sua presenza nel settore, decide di convertire la propria produzione su altri mercati, “sostituendo questi ultimi con i primi. L’internazionalizzazione dell’impresa è il risultato di un preciso orientamento strategico che forma investimento di risorse e la coinvolge in una rete di relazioni con altri soggetti presenti nelle varie aree geografiche. Le forze interne che spingono all’internazionalizzazione sono l’acquisizione di vantaggi competitivi, sfruttamento delle aree geografiche, ricerca nelle aree di condizioni che possono tradursi in elementi di vantaggio competitivo per l’impresa. I fattori esterni sono connessi all’adeguamento o allo sfruttamento degli stimoli dall’ambiente rilevante. Le leve competitive che un azienda può sfruttare sono: un asset intangibile per sviluppare maggiori conoscenze; strategia di comunicazione, di marketing, una immagine internazionale e una maggiore riconoscibilità della marca e del prodotto per il consumatore; un altro vantaggio competitivo consiste nell’effetto made-in. Questo effetto si manifesta nella percezione del consumatore che attribuisce valore a prodotti realizzati in una determinata area geografica. Le fasi normali in cui si può dividere il processo d’internazionalizzazione sono: a) entrata nel mercato estero, scelte che riguardano le modalità operative per entrare nella nuova area(esportazione, accordi, joint ventures, investimento commerciale e produttivo diretto, ecc.) b) assestamento, della presenza nel mercato estero, nella gestione dell’impianto economico, strategico e organizzativo della nuova dimensione geografica delle attività. c) sviluppo della posizione competitiva nel mercato estero, arricchimento di un sistema di relazioni con gli stakeholders locali. d) razionalizzazione della sua posizione produttiva e commerciale nelle diverse aree geografiche. La catena del valore di ogni area di business in cui l’impresa è impegnata viene organizzata a livello globale, perseguendo un triplice obiettivo : ottimizzare la struttura dei costi di produzione; sfruttare i vantaggi competitivi offerti dalla presenza nelle diverse aree geografiche; beneficiare delle interdipendenze strategiche che si possono delineare tra le catene del valore, organizzate a livello mondiale, dei diversi business.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli CAPITOLO V/prima parte La pianificazione è una procedura formale di una sequenza di azioni interdipendenti e di un insieme di risultati che queste devono raggiungere in un determinato arco temporale( si veda figura 5.1 pag. 187 ). La pianificazione strategica in quanto procedura formale e sistemica costituisce lo strumento per definire una strategia e per attuarla. Secondo Mintzberg però la pianificazione può costituire uno strumento utile per rappresentare la realtà, riducendone la complessità, ma non può determinare la realtà stessa. È la percezione che costituisce la fonte della decisione strategica, l’essenza dell’intuizione consiste nella capacità di organizzare in maniera rapida ed efficace il sapere. Rispetto alla decisione strategica la pianificazione interviene a tre livelli( vedi figura 5.2 pag. 191):il primo, che potremmo indicare “preparatorio” alla decisione strategica, il secondo, di “esplicitazione”, e il terzo di “accompagnamento all’attuazione”. Evoluzione storica del modello di pianificazione in quattro fasi:1) l’attività di budgeting, l’attività di pianificazione del budget quindi alla previsione dei costi e dei ricavi a un anno. 2) La pianificazione di lungo termine, amplia l’orizzonte temporale oltre l’anno ed estende le previsioni ad altre variabili quantitative(es. quote di mercato da raggiungere,capacità produttiva,il numero dei dipendenti, ecc.). 3) Pianificazione strategica si passa a considerare anche l’ambiente, l’obiettivo di queste attività è il determinare le alternative strategiche che permettono il miglior posizionamento dell’impresa in termini di rapporto rischi/rendimento in un determinato contesto ambientale. L’idea di pianificazione ha dei limiti; un attore aziendale ritiene di poter determinare ex-ante il percorso strategico che l’impresa pone in essere, ma deve saper tenere conto di repentini cambiamenti delle condizioni ambientali e competitive. 4) Management strategico la funzione fondamentale di questo approccio consiste nell’attivare i meccanismi interni che rafforzano la relazione tra la determinazione dell’orientamento strategico e la definizione delegazioni operative che conseguirne. La decisione strategica e quella operativa sono sostanzialmente connesse. La pianificazione d’impresa indica un percorso di azioni che deve risultare ottimale rispetto a tre fattori: a) gli obiettivi dell’impresa; b)le risorse disponibili; c)le condizioni ambientali. Il processo di pianificazione ha natura “circolare” e “iterativa”. “Circolare” nel senso che le fasi della pianificazione non procedono secondo una sequenza lineare, ma con numerosi meccanismi di retroazione.”Iterativa” nel senso che le decisioni, esplicitate nel piano sono progressivamente affinate nel tempo, in funzione anche del particolare modo in cui l’impresa percorre effettivamente il sentiero in origine pianificato. La natura iterativa della pianificazione è determinata, poi, dalle relazioni che esistono tra le decisione pianificate, la azioni poste in essere, i risultati prodotti, e l’esperienza maturata(figura5.3). La circolarità è limitata dal potere gerarchico che, in misura maggiore o minore, regola le relazioni tra i livelli organizzativi che partecipano alla pianificazione. Il limite alla natura iterativa della pianificazione e che si rischia di rendere il piano un documento formale mente completo e coerente, ma di fatto poco rilevante nell’ordinare il procedere delle azioni aziendali. Il processo di pianificazione è articolato su due aspetti:a) il livello organizzativo responsabile; b) gli stadi del presso,ciascuno stadio è composto da fasi costituite da un’insieme di attività. Secondo un modello di pianificazione proposto da Hax e Majiluf, i livelli organizzativi sono tre: a) direzione centrale; b)direzione di divisione c) direzione di funzione a livello centrale; Gli stadi del processo sono quattro: determinazione delle condizioni di fondo, formulazione dell’orientamento strategico, indicazione del programma di azioni, predisposizione delle condizioni di implementazione e controllo del piano(fasi in tabella 5.4). Il piano è il risultato materiale del processo di pianificazione del processo di pianificazione. Gli elementi costitutivi sono rispettivamente: scenari, missione, obiettivi e target attesi, strategie , azioni, valutazione delle risorse. Gli attributi sono l’orizzonte temporale, la ciclicità, il grado di complessità e il grado di flessibilità.L’attributo fondamentale che distingue un piano è il suo orizzonte temporale. Varia da caso a caso, essendo legata alle caratteristiche del modello di direzione dell’impresa e del settore in cui opera. Esso esplicita l’orientamento strategico dell’impresa fa riferimento a un periodo che raramente supera i cinque anni ed è inferiore ai tre anni. In passato, il limite superiore era maggiore di dieci anni, ma si è capito che gli ambienti competitivi sono troppo variabili e complessi per tali intervalli di tempo. Attributo 16
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli essenziale di un piano è la sua flessibilità, capacità ed efficace adeguamento di fronte al cambiamento delle condizioni interne o esterne. Le condizioni di fondo sono il frutto di decisioni assunte dal vertice aziendale, sono il risultato del particolare percorso evolutivo dell’impresa. Le condizioni di fondo a livello corporate sono: La visione esprime ciò che l’impresa si propone di divenire entro un determinato tempo futuro, il punto d’arrivo verso cui l’impresa tende e orienta tutte le sue attività. La missione deriva dalla visone dell’impresa, esprime cosa l’impresa vuole compiere per diventare ciò che ha stabilito. Il modello di crescita dell’impresa a cui l’impresa intende far riferimento(si vede figura 5.6). Il sistema di valori dell’impresa o 2 “principi guida” che sono alla base delle scelte strategiche dei comportamenti del sistema aziendale( per approfondimenti si veda figura 5.7). La divisione è l’unità organizzativa del sistema aziendale responsabile della gestione di una o più unità di business. Si usa il concetto di “area strategica di affari”(ASA), con dizione anglosassone strategic business unit(SBU). Una parte della dottrina aziendalistica distingue i due concetti. Considera le SBU come unità operative che gestiscono un particolare business appartenente a una più ampia area strategica di affari. Un ASA è descritta dall’incrocio di tre variabili: la gamma di prodotti/servizi offerti dall’impresa; b) l’area di mercato a cui questa gamma è riferimento; c) gruppo di concorrenti con cui l’impresa si confronta. L’ASA delinea i confini di un business definito e distinto dal resto delle aree di business in cui l’impresa è impegnata. Al suo interno sono esplicitati obiettivi e orientamenti strategici che riguardano specificatamente quel business e che la distinguono ma non la separano dal resto dell’impresa. La visione e la missione a livello di area di business assumono lo stesso significato osservato con riferimento all’impresa nel suo insieme. La visione è il ruolo che si vuole che il business giochi nel lungo termine. La missione descrive gli scopi che il business intende perseguire. È la strategia dell’impresa nel suo insieme che determina l’identità che ciascun business deve raggiungere nel tempo(visione) e che gli assegna la missione. Per quanto riguarda l’area di business, è necessaria l’analisi delle risorse e competenze interne disponibili. Per realizzare l’analisi interna è utile servirsi della catena del valore e di quella delle relazioni riferite alla specifica area di business in questione ponendo particolare attenzione, alle connessioni hanno con quelle delle altre aree di business dell’impresa. Le condizioni esterne sono descritte dai fattori che determinano l’”ambiente specifico del business”. Questo ambiente e determinato dall’azione esercitata dalle sette forze competitive( si veda figura 5.10). La direzione centrale delinea la strategia che orienta il comportamento di medio-lungo termine del sistema impresa nel suo insieme con il fine ultimo di creare valore; poiché il valore è prodotto direttamente dalla gestione delle unità di business. La direzione centrale determina l’insieme di aree di business in cui estendere l’impegno competitivo dell’impresa. Questa scelta implica due attività conseguenti: A) la segmentazione dell’attività dell’impresa in aree di business; B) l’analisi e la valutazione delle singole aree di business; La distinzione delle unità di business dell’impresa è svolta con il metodo di Abell. Le tre dimensione di base sono: a) il gruppo di clienti cui il business fa riferimento b) la funzione d’uso della linea di prodotto del business; c) la tecnologia utilizzata. Le due dimensioni aggiuntive sono : a) l’area geografica; b) il grado di integrazione verticale dell’attività svolta. I due criteri di valutazione della convenienza delle unità di business sono: a) le potenzialità economiche del business in sé; b) gli effetti strategici ed economici che derivano dall’inserimento del business nel portafoglio dell’impresa(valenza strategica). Per analizzare le potenzialità economiche di un singolo business una metodologia molto diffusa è la cosiddetta “matrice grado di attrattività del business-capacità competitiva dell’impresa”. 17
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Un secondo metodo utilizzabile per valutare le condizioni di un determinato business e il suo ruolo nel portafoglio dell’impresa consiste nel confronto delle caratteristiche della gamma di prodotti o servizi offerti dall’impresa rispetto a quella dei concorrenti nello stesso segmento o nello stesso raggruppamento strategico. La S.W.O.T. analysis descrive un business dell’impresa in termini di punti di forza e di debolezza interni e di minacce e opportunità ambientali. I punti di forza e di debolezza sono valutati non tanto in senso assoluto, quanto soprattutto relativamente ai principali concorrenti nello stesso raggruppamento strategico. Le minacce e le opportunità ambientali vanno considerate nella prospettiva soggettiva dell’impresa. L’analisi della redditività di breve e medio termine del portafoglio può essere effettuata con una griglia che mette in relazione l’andamento della quota di mercato con un indice di redditività. Una griglia di questo genere è stata proposta dalla marakon associates e diffusa in ambito accademico da Hax e Majiluf. L’andamento della quota di mercato di una determinata unità di business è descritto dal rapporto q/Q dove q è la variazione in un determinato periodo della quota di mercato dell’impresa, e Q è la variazione nello stesso periodo dell’intera domanda. La redditività può essere espressa con la differenza ROE-Ke, dove Ke rappresenta il rendimento atteso sul capitale proprio, oppure la differenza ROA-Ki, dove Ki rappresenta il rendimento atteso sul capitale investito(capitale proprio più capitale di terzi).Laa matrice può essere arricchita se si ipotizza che il tasso di crescita del volume d’affari dell’impresa sia proporzionale al livello dell’autofinanziamento, ovvero valga la relazione: q = ROE * x con x il tasso di ritenzione degli utili, compreso tra 0 e 1. Se si ipotizza che x=1, la diagonale a 45 gradi che parte dall’origine permette di distinguere i business che generano cassa da quelli che la assorbono(figura 5.12 e 5.13). L’equilibrio finanziario del “portafoglio” può essere descritto attraverso la cosiddetta “matrice Boston Consulting group”. I due parametri che definiscono la griglia sono: a) il tasso di crescita della domanda; B) la quota di mercato relativa a quella del principale concorrente. Il primo parametro può essere costituito dal tasso di crescita medio dei settori delle diverse aree di business, oppure dal tasso di crescita del PIL nell’area geografica dove è collocato il mercato dell’impresa. Per il secondo parametro, il valore di riferimento è l’unità rappresentata dalla quota di mercato dell’impresa nell’unità di business quando è uguale a quella del principale concorrente. Si individuano quattro quadranti: i business “dog” caratterizzati da basso tasso di crescita della domanda e piccola quota di mercato; i “question mark”, con alto tasso di crescita e piccola quota di mercato; i business “star” con alto tasso di crescita della domanda e piccola quota di mercato; i business “cash cow” con basso tasso di crescita della domanda e alta quota di mercato. Si posso aggiungere altre due a queste; i “dudes” con bassa quota di mercato, gli “old war horses” dove l’impresa ha un’elevata quota di mercato. L’individuazione e lo sfruttamento delle sinergie tra le unità di business è il contenuto delle cosiddette “strategie orizzontali”. Porter indica tre tipologie di interrelazioni tra le unità: a) le interrelazioni tangibili; b) le interrelazioni intangibili; c) le interrelazioni con i concorrenti. Le interrelazioni tangibili derivanti dalla connessione(potenziale) tra la catene del valore di unita di business diverse. In concreto sono prodotte dalla condivisione di determinate attività o asset aziendali, si manifestano principalmente nell’ambito della funzione di approvvigionamento, della funzione produzione e della funzione marketing. Le interrelazioni di tipo intangibile riguardano la condivisione e lo scambio di conoscenza tra le aree di business diverse. Le interrelazioni con i concorrenti si manifestano tra le arre di business in cui l’impresa si confronta con gli stessi rivali. L’individuazione di quest’ultime appare abbastanza agevole. Si considera l’insieme di aree di business che costituiscono il portafoglio strategico dell’impresa, e per ciascuno si elencano i rivali con cui l’impresa si confronta(Tabella 5.4). I criteri di allocazione delle risorse riguardano il modo in cui l’impresa potrà accedere a determinate risorse. L’assegnazione delle risorse è un problema che si risolve su due piani: quello della valutazione della convenienza gestionale e quello della determinazione di un equilibrio “politico” tra le parti coinvolte. La valutazione di convenienza fa riferimento a due criteri essenziali: uno economico, l’altro strategico. Il criterio economico richiede l’individuazione dei fattori che influenzano la creazione di valore nelle varie 18
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli aree di business, in particolare i flussi di cassa netti e il rischio. L’allocazione delle risorse deve quindi, rispettare l’equilibrio temporale tra gli impieghi e le fonti acquisite dall’esterno. Il criterio strategico, si osserva che a ciascuna area di business sono assegnate le risorse necessarie affinché essa possa svolgere in maniera idonea il ruolo che le è assegnato nell’ambito della strategia di portafoglio. La direzione di divisione ha il compito di consolidare i piani della singole aree di business. Gli obiettivi assegnati alle unità di business sono di carattere sia economico finanziario sia strategico(incremento della quota di mercato, il raggiungimento di determinati valori della produzione, innovazione del prodotto, ecc.)-Per tracciare una strategia del business può essere utile identificare i nodi competitivi chiave: quegli aspetti specifici dell’area di business su cui si gioca gran parte del successo o dell’insuccesso di ciascun concorrente. La strategia di un’area di business si manifesta in un insieme di programmi di azioni, finalizzati al raggiungimento degli obiettivi assegnati al business. La strategia dell’unità di business esprime i seguenti contenuti Strategia competitiva; strategia di mercato; strategia di produzione; strategia di acquisizione e sviluppo delle risorse. Le “direzioni funzionali” sono le unità organizzative finalizzate allo svolgimento di attività “trasversali” alle diverse componenti del sistema impresa. Si possano distinguere due tipologie di direzione, quelle del primo tipo possono essere: approvvigionamenti, servizi logistici, gestione del patrimonio immobiliare, finanza risorse umane ricerca e sviluppo. Quelle del secondo tipo sono: Pianificazione, affari istituzionali e legali, comunicazione e relazione con il cliente, amministrazione e controllo. Per strategia funzionale si intende l’insieme di scelte di medio-lungo termine che guidano l’azione della varie funzioni che a livello centrale supportano lo svolgimento dei business dell’azienda. Gli obiettivi della strategia funzionale sono garantire le migliori condizioni nel proprio ambito funzionale per supportare le funzioni di direzione centrale, l’attuazione della strategia competitiva dell’impresa. Le categorie di decisione tipica delle più diffuse “direzioni” funzionali sono: funzione finanziaria; strategia di finanziamento,(condizione dei debiti, relazioni con le banche, con il mercato), relazione con le banche politica del dividendo e scelta dell’autofinanziamento, strategia dei rischi finanziari, di portafoglio, di investimento(decisioni di capital budgeting del vertice dell’impresa), gestione del sistema pensionistico dell’azienda, strategia di comunicazione finanziaria. Funzione amministrazione e controllo; Funzione risorsa umane. Funzione approvvigionamenti; politiche per la scelta dei fornitori, architettura del sistema di app.( concentrazione vs. diversificazione dei fornitori, politiche degli acquisti e delle scorte. Funzione di comunicazione e relazione con il cliente; strategia di comunicazione e di Costumer Relation Management. R&S; individuazione delle linee di ricerca( definizione della scala di priorità tra i progetti, allocazione delle risorse; scelta delle tecnologie di ricerca, politica di brevetti e gestione degli “spill-overs”, sviluppo del sistema di collaborazioni e alleanze sull’attività di ricerca, strategia di acquisto o vendita della conoscenza, strategia di introduzione dell’innovazione prodotta dalla ricerca. CAPITOLO VI/parte prima Il sistema organizzativo aziendale è la risultante dell’interazione tra i seguenti elementi: * strategie e orientamenti di fondo; * strutture e ruoli; * risorse umane; * meccanismi operativi, * tecnologie. Per il suo ruolo di trasformazione della base di risorse critiche in vantaggi competitivi, costituisce esso stesso una fonte di vantaggio competitivo. Costituisce il terreno nel quale si sviluppano integrano e si rinnovano le routine organizzative che incorporano le competenze collettive. Tra le dimensioni del sistema organizzativo aziendale, la struttura organizzativa rappresenta l’elemento che maggiormente si caratterizza per la valenza di vantaggio competitivo. La struttura organizzativa è l’infrastruttura sulla 19
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli quale si fonda la capacità di evoluzione dell’impresa. La progettazione organizzativa non si risolve nella scelta di un modello organizzativo di riferimento, ma si sviluppa attraverso continue modifiche in ragione delle dinamiche interne e delle influenze dell’ambiente esterno( turbolenza ambientale). La progettazione organizzativa deriva dall’analisi strategica condotta: • a livelli corporate nell’architettura delle unità di business. • A livello di business , evidenziando per ciascuna SBU il quadro competitivo e il relativo posizionamento, con la definizione delle conseguenti risposte strategiche. La progettazione della struttura organizzativa è vista come l’architettura organizzativa dell’impresa, la struttura viene rappresentata nell’organigramma, che evidenzia i livelli gerarchici su cui essa si articola e che esplicita i rapporti di dipendenza formale esistenti tra le posizioni organizzative. La scelta del modello di struttura organizzativa dipende da una serie di variabili interne ed esterne: La dimensione aziendale, la situazione prodotti-mercati(varietà dei prodotti o mercati del portafoglio), la tecnologia ossi il contenuto tecnologico dei vari prodotti, la struttura e la dinamica dell’ambiente, le strategie adottate sia a livello si SBU(differenziazione, vantaggio di costo, focalizzazione), sia a livello di corporate(verticali e orizzontali). Le variabili per la struttura organizzativa sono: l’efficienza, l’elasticità operativa, elasticità strategica, elasticità strutturale. Il modello funzionale(forma ad U) prevede la ripartizione delle responsabilità organizzative di primo livello secondo le funzioni fondamentali dell’impresa(Figura 6.1a). La rigidità del modello funzionale può essere attenuta realizzando una ripartizione delle attività, con criteri diversi da quello funzionale(Figura 6.1b). C’è un ulteriore evoluzione con l’istituzione di posizioni organizzative di tipo matriciale che esprimono dei “ruoli integratori” (per esempio Brand manager, Product manager, Area Manager). Il modello divisionale. Secondo tale modello, l’organizzazione viene scomposta in Divisioni che si configurano come quasi-imprese, dotate di ampi margini di autonomia. Attraverso la costituzione di unità organizzative che si configurano come centri di profitto, la situazione divisionale consente di recuperare i vantaggi della piccola dimensione d’impresa(flessibilità), mantenendo quelli tipici delle grandi imprese(economia di scala, economie di scope ecc.). tuttavia, l’autonomia delle Divisioni può risultare eccessiva, alimentando tendenze opportunistiche e fenomeni di sub-ottimizzazione a livello divisionale(figura6.2). Questo modello dilatando i limiti dimensionali derivanti dalla crescente complessità di gestione, evitando l’insorgere di diseconomie di scala che producono nel lungo periodo un andamento crescente della curva ci costo medio degli output; L’elasticità strategica e dovuta all’attuazione di strategie orizzontali tra le diverse divisioni. Il modello divisionale si è storicamente affermato come soluzione alternativa al modello funzionale, consentendo all’impresa di far fronte efficacemente a situazioni ambientali caratterizzate da: • crescita delle dimensioni aziendali; • proliferazione di prodotti-servizi; • sviluppo tecnologico; • turbolenza ambientale; • strategie di differenziazione. Le Divisioni possono assumere diverse configurazioni: 1) settore dell’impresa senza alcuna autonomia giuridica(Divisioni); 2) azienda con propria autonomia gestionale e giuridica che fa capo alle strutture direzionali di una holding capo-gruppo o di una “finanziaria di gestione”; 3) finanziaria di gestione o capo-gruppo che gestisce segmenti di attività correlati o comunque omogenei, appartenente a sua volta, a una Holding a un ente gestione. Tra i modelli a holding( forma ad H) con legami deboli. Tra le forme di holding si distinguono due soluzioni, asseconda del ruolo svolto dalla Capo Gruppo(Corporate) che controlla le altre imprese autonome(Società operative). La prima soluzione è rappresentata dalla finanziaria di gestione. In tale configurazione, ciascuna società controllata risulta strategicamente autonoma e gestisce un area di business omogenea che presenta delle interdipendenze intangibili con le SBU delle altre aziende del gruppo. La seconda soluzione è quella del capogruppocaposettore.; Essa viene solitamente preferita quando le interdipendenze da sfruttare dono di carattere tangibile od operativo. 20
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli La struttura per progetti prevede una struttura funzionale di base(permanente) e una struttura temporanea per progetti(figura 6.4). La prima dimensione garantisce l’efficienza dell’intera struttura, la seconda consente il mantenimento di un’elevata elasticità strategica. Questo tipo di struttura opera efficacemente al verificarsi delle seguenti condizioni: 1) dimensioni medio-grandi; prodotti a brevissimo ciclo di vita; 3) prodotti che rispondo a specifiche richieste della clientela, sempre diverse; 4) elevato fatturato unitario di commesse industriali, progetti di ricerca, ecc; 5) necessità di innovazione continua; 6) strategie di segmentazione e forte differenziazione. La struttura a matrice si caratterizza per il fatto di essere articolata su due o più dimensioni. Presentano sullo stesso livello organizzativo una dimensione funzionale e una divisionale, oppure di due insiemi di Divisioni focalizzate su aspetti diversi del business(per esempio prodotto/mercato)(figura 6.5). Tale modello gode di elevata elasticità strutturale e rappresenta la soluzione organizzativa più efficace al verificarsi delle seguenti condizioni: 1) dimensioni medio-grandi; 2) prodotti a breve ciclo di vita; 3) necessità di svolgere attività interne di sviluppo tecnologico; 4) strategie di segmentazione e forte differenziazione. La struttura a matrice si caratterizza per un elevato grado di complessità interna. Le forme organizzative reticolari possono svilupparsi in ambito di strutture divisionali o a holding(reti interne) e si caratterizzano per la costituzione e il mantenimento di una rete(network) di rapporti tra le società del gruppo e tra queste ultime e il corporate. Un ulteriore stadio evolutivo della forma organizzativa a holding può derivare dai fenomeni di quasi-integrazione, cioè dalla esternalizzazione (outsoucing) controllata di attività lungo la catena del valore- siano esse operative o di supporto. Le attività esternalizzate vengono realizzate da imprese già esistenti o da cui si promuove la costituzione, con le quali la grande impresa mantiene delle relazioni contrattuali e, spesso, anche legami proprietari deboli. Le strategie di corporate non si limitano alla scelta dei settori(o attività) nei quali l’impresa intende operare, ma si estendono all’analisi del come il corporate dovrebbe gestire l’insieme delle unità di business e all’allocazione delle risorse tra le unità di business. La valorizzazione delle interrelazioni in termini di miglioramento del vantaggio competitivo richiede un forte impegno del corporate e si estende alla predisposizione e all’utilizzo di sistemi operativi per il coordinamento delle unità di business. Le strutture orizzontali di coordinamento delle interrelazioni tra le unità di business svolgono la funzione di verifica dei piani strategici, di controllo strategico degli effetti di vantaggio competitivo delle interdipendenze attivate. Tali funzioni vengono svolte: • dalle strutture di corporate preposte alla pianificazione strategica, realizza una fondamentale funzione di supporto all’Alta Direzione di Corporate, in quanto svolge le attività di analisi strategica preliminare alla formulazione e pianificazione della strategia; • dal comitato strategico. È un organismo collegiale presieduto da uno dei componenti dell’Alta Direzione di corporate e costituito dai direttori dei settori o delle relative divisioni. Tale organismo svolge un ruolo importante nella definizione delle direttive per la formulazione dei piani strategici divisionali nel realizzazione dei criteri di allocazione delle risorse, nell’approvazione del piano strategico e nel controllo della realizzazione dei progetti strategici; • dai settori strategici(o gruppi), che costituiscono un livello intermedio della struttura organizzativa, tra le singole divisioni e il livello di corporate; esse scaturiscono dall’aggregazione di più divisioni attorno alle loro interdipendenze più significative; • Un’altra forma di struttura di coordinamento sono i comitati di attenzione al mercato. I sistemi operativi fanno da supporto al coordinamento tra le diverse SBU della struttura strategica dell’impresa. Esistono i sistemi di pianificazione strategica che presentano una connotazione verticale, le procedure interdivisionali, i sistemi di gestione delle risorse umane, meccanismi di incentivazione dei dirigenti e le politiche di gestione del personale. /seconda parte Il ruolo delle strutture di corporate nell’attuazione delle strategie di diversificazione varia al variare della natura e delle intensità delle interdipendenze tra le SBU(figura 6.6). Nel caso di diversificazione non correlata(conglomerale) le SBU via via acquisite non presentano connessioni tecnologiche o di mercato con le attività dell’impresa acquirente, il corporate ha un ruolo marginale, limitandosi a svolgere le funzioni di intermediazione finanziaria e interventi di ristrutturazione. La diversificazione debolmente 21
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli correlata si fonda sulla possibilità di realizzare economie di scope (ampiezza) attraverso la condivisione di risorse intangibili(marchi, reputazione dell’impresa, tecnologie, competenze organizzative) o di attività di supporto tra i business tradizionali dell’impresa e quelli oggetto della diversificazione. Esempi emblematici, in tal senso, sono rappresentati dalle imprese farmaceutiche che acquisiscono delle SBU complementari- come quelle del settore degli alimenti dietetici- e delle imprese fornitrici di energia elettrica che entrano nel settore del gas, dell’acqua e in quello delle telecomunicazioni. La diversificazione collaterale, omogenea, strettamente correlata si ha con lo sviluppo interno o con l’acquisizione di business complementari a quelli già esistenti nell’impresa, caratterizzati da intense ed estese interrelazioni lungo le rispettive catene del valore. Un ulteriore forma di diversificazione può concretizzarsi attraverso i processi di integrazione verticale, attraverso cui l’impresa acquisisce un fornitore di materie o di componenti, destinando parte della sua produzione al mercato esterno e parte alle proprie SBU. Nei confronti delle SBU interne , l’impresa acquisita assume la configurazione di business captive, come una Divisione autonoma. Nella prospettiva dei costi di transazione tali fenomeni vengono descritti come fallimenti della gerarchia. La debolezza nella realizzazione di forme di integrazione verticale è rappresentata dai costi organizzativi, e in particolare da quelli di “agenzia”, ovvero da quei costi a cui va incontro l’impresa quando i singoli individui agiscono in base all’interesse personale a danno degli azionisti(mandanti). Un costo di agenzia e rappresentato da quei comportamenti che tendono ad avvantaggiare la propria Divisione. I sistemi di incentivazione sono un buon rimedio per riconciliare gli interessi divergenti tre azionisti e dirigenti. L’integrazione scalare o parziale in alternativa all’integrazione verticale, rappresenta una forma di compromesso tra l’esigenza di controllare le attività verticalmente contigue e un minimo di flessibilità strategica. Le soluzioni organizzative per l’integrazione scalare sono: le joint venture, la quasiintegrazione verticale (o Value-adding partenership – Vap) che tende ad attuare uno stretto coordinamento dei fornitori a monte e degli acquisti a valle per assicurarsi la stabilità degli approvvigionamenti e dei canali di sbocco dei prodotti.; la De-integrazione verticale che scaturisce dalla attuazione si strategie di de-verticalizzazione che possono essere sollecitate dalle esigenze di flessibilità e dalla impossibilità di raggiungere all’interno la dimensione attima minima;. Le imprese de-integrate tendono a focalizzarsi sulle attività che esprimono i fattori critici di succeso(progettazione, marketing e ricerca), esternalizzando la produzione presso le imprese di servizi di produzione( o contract manifacturing). Le forme di partnership vengono instaurate con contratti di lungo periodo (sostituendo i contratti spot) tra le imprese e i fornitori ed acquirenti, per ridurre il il rapporto di dominanza della prima sui secondi. L’integrazione contrattuale consiste nella stipulazione di contratti di fornitura a lungo terminr per garantire all’impresa la continuità dei rifornimenti di materie prime o la stabilità del collocamento dei prodotti nei canali di mercato. Un caso particolare di contratto a lungo termine è costituito dall’accordo di franchising, il franchisor fornisce un sistema di gestione delle attività distributive(business format), oltre a concedere l’utilizzazione del marchio, mentre il franchesee si impegna ad acquistare e commercializzare i prodotti del franchisor, e a remunerarlo per le sue obbligazioni con una royalty sulle vendite. CAPITOLO VII/prima parte Il marketing ha a che fare con l’insieme di attività che permettono di 1) individuare, 2) progettare, 3) consegnare valore per il cliente. Alla base delle attività di marketing vi deve essere in atteggiamento e un orientamento particolare dell’impresa nei confronti del mercato, che è stato variamente definito come “orientamento al mercato” o marketing concept una concezione dal management basata sull’accettazione interna dell’impresa della necessità di orientarsi al cliente sul riconoscimento dell’importanza del marketing nel comunicare i bisogni del mercato. Il marketing mamagement definito come il processo di pianificazione e realizzazione delle 4 P(prezzo, prodotto, promozione e distribuzione o placement). Il marketing consiste nella creazione, mantenimento, gestione e sviluppo delle relazioni con i clienti da raggiungere gli obiettivi degli interlocutori. Questo risultato si ottiene attraverso lo scambio reciproco e la realizzazione delle promesse(figura7.2-3-4). Alla base della gestione del marketing vi è la comprensione del comportamento d’acquisto e consumo dei clienti che è tradizionalmente concentrato sugli aspetti 22
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli evidenziati in Tabella 7.1. Tale comportamento viene spesso rappresentato come razionale, orientato all’obiettivo e di tipo risolutorio, anche viene ormai riconosciuta l’importanza degli aspetti edonistici(preferenze individuali) e delle emozioni. Il piano marketing costituisce lo strumento principale di analisi della situazione, di individuazione degli obiettivi e di definizione delle strategie, delle politiche e dei programmi di marketing(tabella 7.2). L’analisi dell’ambiente esterno mira a mettere a fuoco le caratteristiche salienti del contesto in cui l’impresa compete, il mercato e la concorrenza(analisi esterna). In primo luogo identifica le dimensioni e il trend del mercato globale e di ciascun segmento, della penetrazione del prodotto e saturazione del mercato. In secondo luogo essa analizza le quote nel mercato otyale dei concorrenti, il loro posizionamento,, la soddisfazione e fedeltà di cui godono, i loro investimenti in comunicazione e la loro share of voice(livello di investimento pubblicitario esercitato dall’impresa rispetto ai concorrenti). Questa sezione permette di capire quali sono le minacce e opportunità che l’ambiente e il sistema competitivo pongono all’impresa. L’analisi dei comportamenti e dei risultati delle attività dell’impresa(analisi interna), nel mercato totale, si concentra sul fatturato, penetrazione e quota dell’impresa ne mercato totale sul suo posizionamento, risorse e competenze. Sulla base delle analisi precedenti, si possono individuare gli obiettivi di marketing e attuare le scelte di marketing strategico ed operativo, il piano si chiude con l’individuazione delle politiche del marketing mix, i programmi di azione e il budget. Con azioni ex-post si controlla la coerenza dei risultati, ed in caso di valori divergenti attuare opportuni meccanismi correttivi. Le decisioni strategiche costituiscono le scelte di fondo del processo di marketing e le linee guida e il contesto di medio-lungo periodo. Si tratta sostanzialmente di tre ordini di scelte: • l’ambito competitivo in cui collocarsi; • il gruppo di clienti cui rivolgersi; • le modalità di differenziazione dai clienti. Si incomincia con la definizione de business dell’impresa. Solitamente i lsettore costituisce un aggregato troppo ampio ed eterogeneo per permettere una corretta e sufficiente messa a fuoco dell’effettivo ambito competitivo. Per ottenere una migliore rappresentazione della situazione e del contesto competitivo s ifa tradizionalmente ricorso a tre dimensioni(Abell): • le funzioni che i prodotti o servizi devono assolvere ossia i bisogni che devono soddisfare; • le tecnologie, modalità o le attività con cui si soddisfano questi bisogni; • i gruppi di clienti che sono portatori dei bisogni indicati. La combinazione dell tre dimensioni individua uno spazio, una griglia tridimensionale, in cui l’intero sistema competitivo del settore può essere raffigurato come una sorta di grande “cubo”, costituito dall’aggregazione di una serie di unità più piccole, i singoli business, che si situano ciascuno all’incrocio di ogni livello delle tre dimensioni. Il numero di “cubi” all’interno dei quali un’impresa decide di competere definisce l’ampiezza e la profondità del business. L’analisi della competitività che si sviluppa all’interno di ciascun segmento prodotto-mercato si può ampliare combinandola con lo studio del modello del sistema competitivo allargato messo a punto da Porter, si concentra tra l’altro su due fonti di “competizione orizzontale” cioè sulla minaccia esercitata da nuovi entranti e su quella che deriva dai prodotti sostitutivi(figura 7.7). Si possono individuare alcune strategie fondamentali di copertura del sistema competitivo: • di concentrazione, in cui il numero di segmenti prodotto-mercato da presidiar è molto limitato. • strategia di copertura completa, in cui si cerca di assicurare la propria presenza ne maggiore numero possibile di segmenti prodotto-mercato. • strategia di specializzazione selettiva incentrata sul cliente o sul prodotto • di focalizzazione, conoscenza migliore del sistema ma notevoli rischi • di copertura ampia. La diversificazione permette di ripartire il rischio tra sistemi competitivi diversi, sfruttando i loro andamenti asincroni , permettendo di realizzare economie di scopo o d i altro tipo. Il processo di definizione del business si completa grazie all’effettiva selezione del/i segmento/i prodottomercato in cui operare ,valutando la posizione attuale e futura del business. Per realizzare questa 23
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli selezione si può far riferimento alle “matrici di portafoglio”. La tecnica più conosciuta è quella messa a punto dal Boston Consulting Group, conosciuta come matrice BCG. In esse le Business Unit dell’impresa vengono classificate in funzione del tasso di sviluppo del mercato di riferimento, della sua attrattività e della quota di mercato relativa controllata dallo Strategic Business Unit (figura7.8). La segmentazione è la suddivisione del mercato in un certo numero di gruppi omogenei di consumatori. La prima forma di segmentazione individua due macro-aree profondamente diverse, quella del mercato di consumo e mercato industriale. Cambiano le tipologie di interlocutori, gli obiettivi e le motivazioni dell’acquisto, i criteri di scelta delle offerte aziendali. Per quanto riguarda il mercato consumer si fa innanzitutto riferimento a variabili di tipo demografico e socio-economico, che spesso individuano significative differenze di comportamento. In Italia un importanza particolare in questo campo è stata assunta da “Sinottica” di Eurisko, che si è affermata come la segmentazione di riferimento per “stili di vita” nel campo delle ricerche di mercato ed è largamente utilizzata dalle imprese nelle loro analisi del mercato e della comunicazione(vedi figura 10.9). “Sinottica” rappresenta l’intero mercato italiano sulla base di due dimensioni di base che si riferiscono a quelli che vengono definiti “tratti duri” e “tratti morbidi”. All’interno dello spazio bi-dimensionale essa individua 14 diversi segmenti di mercato( si vedano tabella 7.3 e figura 7.10). Un'altra modalità di segmentazione si basa sull’età o, meglio, sulla data di nascita: essa segnale un diverso approccio a consumo dipendente dall’evoluzione nella società e nella struttura delle famiglie. Si parla allora di segmentazione per “generazione” (tabella 7.5). La strategia dell’impresa si completa con la definizione della sua posizione all’interno del sistema competitivo con la definizione della propria offerta rispetto a quella dei concorrenti. La posizione assunta viene filtrata però dai modelli mentali dei clienti. Ne deriva che il risultato vero delle scelte di posizionamento viene influenzato dalle preferenze dei consumatori. Possiamo realizzare delle analisi più complete per individuare la posizione competitiva occupate dagli operatori attraverso delle “mappe cognitive”. Le mappe percettive forniscono indicazioni in merito all’intensità della concorrenza, che è maggiore quando i concorrenti vengono percepiti come simili. L’ampiezza e l’articolazione del posizionamento costituisce una fondamentale scelta competitiva. I rischi legati a una scelta di posizionamento ampio sono sostanzialmente legati alla possibilità di confusione da parte dei consumatori, che non riconoscono l’offerta e la promessa dell’operatore come adatta alle proprie esigenze. Il maggior rischio legato a una scelta di posizionamento ristretto consiste invece nella possibilità che il particolare beneficio o valore proposto, o la particolare combinazione di benefici proposti perdano importanza per i clienti. Per essere efficaci, le strategie di marketing si devono tradurre in politiche di breve periodo e in azioni concrete. Questo è il campo dello marketing mix prodotto/servizio, prezzo, comunicazione, e distribuzione. Le imprese generalmente offrono un insieme più o meno ampio e diversificato di prodotti, all’interno del quale si distinguono gruppi di prodotti definiti “linee” di prodotto. Una linea include prodotti anche diversi, ma che sono percepiti dal consumatore in qualche da consumatore in qualche modo interdipendenti. L’insieme delle linee offerte da un’impresa è detto “gamma” di prodotti. L’insieme dei prodotti offerti dall’impresa è anche indicato spesso come “portafoglio prodotti”. Non può essere dimenticata l’importanza di altri aspetti intangibili, quali la marca, la reputazione e l’immagine. La marca svolge un ruolo cruciale nell’influenzare le scelte dei consumatori, si è fatto ricorso al concetto di brand equity, “valore economico” della marca, legato i qualche modo alla notorietà, alla fedeltà alla marca. Di recente a questo concetto è stato affiancato quello della costumer equity ,spostando l’attenzione della marca al cliente. Tra le quattro leve del marketing-mix, il prezzo riveste un ruolo fondamentale in quanto è l’unica variabile che produce ricavi. Per il prezzo ci sono tre problematiche: fissazione iniziale del prezzo, modifica del prezzo nel tempo, cambiamenti nel prezzo in opportunità di arbitraggio. Nel primo caso si fa riferimento alla matrice qualità-prezzo(figura 7.16). In generale si riconoscono sei grandi obiettivi legati alla leva del prezzo: sopravvivenza, massimizzazione dei profitti correnti, massimizzazione dei ricavi correnti, massimizzazione dei volumi di vendita, scrematura del mercato(discriminazione del prezzo), leadership di qualità(elevato livello di qualità del prodotto offerto). La comunicazione svolge un ruolo fondamentale nel diffondere la conoscenza e nel tener vivo l’interesse per la marca , nel caratterizzarla e nel presentarne un’immagine particolare, nello svilupparne la 24
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli preferenza , nel convincere all’acquisto, ecc. Essa si serve di una pubblicità,sponsorizzazione, marketing diretto. Una notevole importanza all’interno della strategia complessiva di marketing vengono assicurati dalla distribuzione, collegando offerta e domanda, produzione e consumo. Scegliere il canale distributivo significa di fatto assumere decisioni in relazione a tre variabili strutturali fondamentali: Intensità della distribuzione; che misura il grado di presenza del prodotto sul mercato finale. In particolare si distingue fra: -distribuzione intensiva -distribuzione selettiva -distribuzione esclusiva. Lunghezza del canale; dato dal numero dei livelli intermedi che separano il produttore e destinatario finale. In particolare si distingue fra canale diretto(il produttore si avvale di punti vendita propri) e canali diretti(l’impresa decide di servirsi di un certo numero di intermediari). Tipo di coordinamento del canale; canale tradizionale, tutti i soggetti che ne fanno parte sono soggetti indipendenti che perseguono i propri obiettivi. Canale integrato; quando una sola organizzazione controlla l’intero canale. In caso di scelta di un canale di distribuzione indiretto : Contributo degli attori intermediari commerciali al valore totale consegnato al cliente, considerando anche il contributo degli intermediari alla realizzazione di una positiva esperienza di acquisto e postacquisto da parte del cliente. /seconda parte L’attenzione a ciascun singolo cliente e la personalizzazione in un’ottica relazionale one-to-one costituiscono la nuova frontiera del marketing. Alla base di questo nuovo orientamento del marketing vi è però una preoccupazione che rende l’obiettivo del marketing non tanto la vendita di un prodotto quanto l’acquisizione di un cliente(il problema della fedeltà ). Esiste un fenomeno definito “doppio svantaggio”(double jeopardy), di cui soffrono le imprese che hanno una quota di mercato limitata e che consiste nell’avere una minor penetrazione del mercato(e quindi un numero inferiore di clienti) e nel godere di una minore fedeltà( o probabilità che il propri o prodotto vanga riacquistato). In tale prospettiva, il fenomeno trainante sembra essere la penetrazione che consente di aumentare la fedeltà. Ci sono marche che sfuggono alla regola del double jeopardy, e che vengono definite di nicchia, sono quelle in cui il livello di fedeltà superiore a quello che ci si potrebbe aspettare data la loro quota di mercato(vedi figura 7.18). La relazione che si stabilisce con il cliente presenta importanti aspetti competitivi per l’impresa, perché contribuisce a creare e rafforzare il vantaggio competitivo, si parla allora di customer equity. Essa crea delle barriere all’entrata nei confronti dei competitors, tanto più elevate quanto più forti sono gli switching cost reali o percepiti dal cliente. D’altra parte, mantenere i clienti già acquisiti risulta in genere meno costoso che acquisirne di nuovi. In definitiva si instaura un circolo vizioso descritto in Figura 7.19. Si individuano pure alcuni indicatori economici che valutano gli investimenti, e per offrire un contributo alle scelte relative ai clienti. Si fa riferimento alla costumer equity dove si mette il fatturato e costi di gestione e mantenimento e il lifetime value si riferisce ai flussi finanziari attualizzati del singolo cliente. Un misuratore della soddisfazione del cliente è il disconfirmation paradigm basato sul confronto tra la percezione delle prestazione, che gli vengono erogate dal fornitore, e le aspettative con cui egli era arrivato allo scambio, formate sulla base delle prestazioni, proprie o altrui e delle promesse fatte dal fornitore. Nel caso dei servizi si ha a che fare con due ordini di attributi. Agli attributi tradizionali legati alla caratteristica del servizio in senso stretto, si aggiungono così quelli legati al processo di interazione, e in particolare agli aspetti relativi al customer care, quali la cortesia del personale di contatto, la sua competenza, la sua chiarezza. Una delle peculiarità più importanti delle misure di customer satification è quella della distribuzione di frequenza delle valutazioni(figura 7.22) che non hanno un valore assoluto e devono essere usate in maniera comparativa. Va infine ricordato che la soddisfazione globale non ha peso economico, se non nel senso di costituire un serbatoio di fiducia per l’imprenditore, assumendo tale effetto nel momento di riacquisto del prodotto, o nell’acquisto effettivo di altri servizi del fornitore. La qualità percepita dal cliente e la sua soddisfazione sono soggettive e sfuggono al controllo dell’operatore, che però può cercare di influenzarle agendo sulle caratteristiche del servizio, sulla qualità. Per fare questo bisogna individuare quegli elementi soggettivi che sono alla base degli attributi.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Si procede quindi dai driver della soddisfazione e si risale agli elementi oggettivi della qualità , passando quindi dalla qualità percepita a quella oggettiva o erogata. Per contribuire a realizzare questo obiettivo , alcuni ricercatori americani hanno messo a punto un modello, chiamato “modello dei gap”, che può fungere da guida nell’identificare le fonti incrementali di divario tra aspettative e percezioni dei clienti(figura 7.23). Non è certo che alla fedeltà di tipi comportamentale si associ una fedeltà intesa in senso più ampio. A volte la fedeltà è determinata da una certa povertà di alternative e dall’esistenza ci consistenti costi di abbandono. Alcuni ricercatori sottolineano pertanto la necessità di mantenere distinti i concetti di fedeltà comportamentale e fedeltà attitudinale, intendendo così sottolineare la differenza tra un comportamento fedele che si sostanzia per esempio in una serie di acquisti ripetuti nel tempo, e un atteggiamento di fedeltà, che si desume dalle dichiarazioni dei consumatori. Solitamente il rapporto tra soddisfazione e fedeltà può essere rappresentato da una funzione monotona crescente, per cui all’aumentare della soddisfazione aumenta anche la fedeltà e viceversa(figura 7.26). Per cercar di approfondire le complesse dinamiche del comportamento d’acquisto si può far riferimento a un modello proposto da Costabile che analizza il consolidarsi e l’intensificarsi del rapporto al suo fornitore. Il modello si incentra su alcuni concetti che vengono qui ripresi: • il valore atteso in termini relativi, ossia quale rapporto fra i benefici attesi e i costi che si ritiene di dover sostenere per l’acquisizione e il godimento dei benefici; • il valore percepito dopo l’acquisto e l’uso; • il valore percepito in termini comparativi dopo le prime esperienze d’uso; • il valore equità, ossia il rapporto tra il valore che il cliente ritiene di aver ottenuto e quello che ritiene di aver generato per l’impresa. Visto che i consumatori rispondono agli incentivi, gli operatori per incrementare la fedeltà realizzano dei cosiddetti “ programmi fedeltà”, oppure La Carta Servizi, cercando così di aumentare il valore per il cliente. Va notato che i programmi fedeltà non rispondono soltanto a un’ottica difensiva, in quanto possono diventare un potente strumento di acquisizione di nuovi clienti. Essi si fondano sulla presenza di un ventaglio molto ampio di incentivi, finanziari e non, di vario genere. Gli incentivi riguardano solitamente l’utilizzo di alcuni servizi. Nel marketing business-to-business le relazioni fornitore-cliente rivestono un’importanza fondamentale, esaltando gli aspetti interattivi, di interdipendenza e di reciprocità. Entrano in gioco il potere negoziale tanto dal fornitore quanto del cliente, la fiducia reciproca, la fitta rete di scambi che si instaura tra le parti, le forme di collaborazione ecc. Nei mercati industriali poi, acquistano particolare rilievo le reti di clienti, che realizzano un “portafoglio” bilanciato di clienti, allocando le risorse sulla base dell’interesse che ciascuno di essi può rivestire per l’impresa.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli CAPITOLO VIII/prima parte L’innovazione è un importante motore di cambiamento e di evoluzione della società, dell’economia e dei sistemi competitivi rivestendo un’importanza strategica (soprattutto nei settori hightech) per le singole imprese. Le forme dell’innovazione coinvolgono: il prodotto, i processi produttivi, la strategia. I modelli di fondo dei processi innovativi sono due: • il modello tradizionale basato su dei comportamenti atomistici e individualisti; • il modello innovativo (o emergente) incentrato su un approccio sistemico con relazioni reticolari con il mercato e tutto il sistema competitivo. Gli obiettivi dell’innovazione sono: La crescita del fatturato, adattamento al mercato, creazione e rinnovamento del vantaggio competitivo, diversificazioni, rinnovamento del portafoglio prodotti, leva sulla brand equity, aumento dell’immagine aziendale, capitalizzazione degli investimenti in R&S, sfruttamento delle risorse produttive e umane. Quindi in un ottica di “distruzione creatrice”, l’innovazione deve contrastare l’entropia o degradazione del settore e del prodotto, che tendono a seguire il loro “naturale ciclo di vita”. L’innovazione presenta pure grossi rischi e tempi di preparazione lunghi e possono determinare degli effetti negativi importanti, soprattutto in caso di insuccesso(nella figura 8.1 viene illustrata la curva di caduta delle idee di nuovi prodotti). È quindi opportuno individuare i fattori che possono portare al successo delle innovazioni o invece decretarne l’insuccesso ridurre i costi, rischi di insuccesso e tempi di messa a punto e di introduzione nel mercato. Tali fattori sono: differenziazione effettiva; orientamento al mercato; concept del prodotto chiaro fin dall’inizio; processo e sviluppo rapido; organizzazione e finanziamenti adeguati. Le caratteristiche e tipologie dell’innovazione si classificano rispetto all’impresa Line extension: linee di prodotti aggiuntive a quelle già esistenti Category extension: ampliamento della propria offerta sfruttando il potere della marca(brand equity) New brand: introduzione di una marca nuova. Rispetto al mercato Breakthrough: prodotti che costituiscono una novità assoluta per il mercato New improved: prodotti che migliorano quelli precedenti Riposizionamento: prodotti riproposti per i quali cambia il prezzo, distribuzione. Gli aspetti dell’innovazione sono: 1) Il vantaggio relativo. Si riferisce al vantaggio che l’innovazione presenta rispetto alle alternative di servizio esistenti, in termini di valore per il cliente. 2) La compatibilità: l’innovazione deve esser compatibile con la cultura, i valori, i bisogni, ma anche con il software e l’hardware esistenti presso il cliente. E necessario combinare questi due aspetti delle innovazioni, per valutare le loro probabilità di successo, il primo aspetto è legato al vantaggio relativo dell’innovazione. Il secondo caso riguarda invece, il rapporto delle innovazioni con il patrimonio di risorse e conoscenze o della consumatore adottante. Si può allora costruire la matrice vantaggio-compatibilità (figura 8.3). 3) un altro aspetto dell’innovazione è la complessità, che si divide in complessità del servizio in sé (innovazione free standing) e in una complessità del sistema di fruizione del servizio. Il processo di sviluppo di nuovi prodotti implica il ricorso crescente a un aumento di risorse umane , finanziarie e commerciali. Le attività che facilitano tale processo e conducono le imprese allo sviluppo di nuovi prodotti sono: 1) la massimizzazione della soddisfazione dei clienti; 2) la riduzione della fase di progettazione; 3)la riduzione dei costi. Il processo di sviluppo di nuovi prodotti tende a essere composto da cinque fasi principali: 1) identificazione delle opportunità o generazione delle idee; 2)sviluppo concept;3) design;4) testing;5) lancio. Il tasso di sopravvivenza di nuove idee tende ad essere basso: Molte idee di prodotto in un a prima fase di selezione vengono valutate rispetto ai bisogni del target di riferimento. Se, poi rispetta o supera una serie di requisiti economici passa alla fase di design. Dopodiché viene testato in relazione al mercato, se supera tale test viene infine commercializzato. 27
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli /seconda parte L’adozione dell’innovazione spesso è il risultato di un processo decisionale complesso e duraturo. Si rappresenta questo processo attraverso il classico modello della gerarchia degli effetti(figura 8.4) le cui fasi sono rappresentate da: a) conoscenza; b)convinzione/persuasione/preferenza; c) decisione/scelta; d) realizzazione acquisto; e) conferma delle scelte. I fattori influenzanti tale processo sono: * l’esperienza e i comportamenti precedenti; * i bisogni e i problemi da affrontare; * propensione all’innovazione; * contesto sociale. Esistono 5 segmenti di mercato che hanno una diversa propensione ad adottare una certa innovazione e che si ritrovano in qualunque settore( figure 8.5° e 8.5b). Gli innovatori spinti dallo spirito d’avventura si interessano alle nuove idee, propensi al rischio. Hanno disponibilità finanziarie superiori alla media e maggiori competenze e conoscenze tecniche. Gli adottanti d’avanguardia, si caratterizzano per la loro reputazione costituiscono un punto di riferimento centrale. La maggioranza anticipatrice lenta e attenta nel processo di adozione,ami prima né l’ultima ad adottare un’innovazione. La maggioranza ritardataria è costituitala scettici, che si avvicinano cautamente alle innovazioni, avvertono il peso dell’incertezza e vengono nel momento in cui l’adottare diventa una necessità, economica o sociale. I ritardatari influenzati dalla tradizione, legati al passato, inseriti profondamente nel loro gruppo sociale. Sono sospettosi delle novità e le resistono, disposti solo quando non ne possono fare veramente a meno. Molti settori sono caratterizzati dalla esternalità di rete, che misurano il contributo all’utilità associata a un prodotto che deriva dall’utilizzo di altri consumatori. Gli esempi possono essere i telefoni telefono cellulare, al fax, al collegamento Internet, il cui efficiente utilizzo dipende dal numero di altri consumatori che adottano lo stesso bene. Si parla di esternalità dirette quando l’aumento del numero di adottanti dell’innovazione accresce il vantaggio derivante dal suo possesso, oppure indirette, quando l’adozione favorisce pure chi offre servizi complementari. L’innovazione viene raramente introdotta in un mercato in cui esistano prodotti capaci di soddisfare lo stesso bisogno con modalità diverse o prodotti complementari. Questo causa un fenomeno che si innesca quando un nuovo prodotto riduce le vendite dei prodotti che lo precedono: cannibalizzazione. Così come si hanno problematiche della complementarità tra prodotti, che si manifestano quando un prodotto è propedeutico a un altro o ne sostiene le vendite. Le interrelazioni tra prodotti hanno diversi effetti: • indipendenza: le innovazioni sono indipendenti da un punto di vista funzionale, benché l’adozione dell’una possa favorire l’adozione dell’altra; • complementarità; • contingenza: l’adozione di un’innovazione è condizionata all’adozione di un'altra(es. DVD lettore DVD); • sostituzione. Si può approfondire il livello d’analisi e individuare rappresentazioni più articolate si veda figura8.6. Il processo di diffusione di un’innovazione in un sistema sociale è il frutto dell’aggregazione di comportamenti individuali. L’innovazione solitamente si diffonde nel mercato prime lentamente, con 28
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli tassi di penetrazione bassi, poi via via più rapidamente, fino al superamento di un punto di discontinuità detto”take off”, in cui l’accelerazione delle vendite supera il chasm(chiasmo che separa gli innovatori dal resto del mercato) ed è massima e l’incertezza associata all’innovazione stessa è pressoché dissipata, poi raggiunge un ulteriore fase in cui si osserva una decelerazione nei tassi di penetrazione, prima lenta, poi, più forte, finchè si raggiunge una fase di crescita molto lenta e di sostanziale stabilità(figura8.7). Bass proposto un modello in cui il numero di persone che hanno già acquistato e cui il numero di adozioni al tempo t dipende da due gruppi di consumatori:1) gli innovatori la cui adozione non è influenzata dal numero di persone che hanno già acquistato e il cui numero tende a diminuire al progredire del processo di diffusione, e 2) gli imitatori la cui propensione ad adottare aumenta all’aumentare di coloro che hanno già adottato e il cui numero nel corso del processo di diffusione. L’equazione è: f(t)/[1-F(t)] = p + qF(t) dove p: coefficiente propensione innovazione “di per se” q: coefficiente determinato dalla imitazione Il modello di Bass combina due modelli contrapposti: l’uno puramente innovativo, l’altro puramente imitativo, proposti, il primo da Fourt e Woodlock e il secondo da Mansfield, unendo innovazione e imitazione e fonti di influenza interna ed esterna al mercato(tabella 8.5). Più recentemente Bass ha esteso il proprio modello originale tenendo conto dell’azione di marketing(politiche di prezzo, comunicazione e distribuzione) nel determinare il processo di diffusione(equazione 5). È possibile individuare un contributo crescente dei clienti secondo una gerarchia in ordine di coinvolgimento crescente: * adozione passiva ritardata; * adozione passiva ma fonte di passa- parola positivo e di esempi da imitare; * fonte di indicazione sui campi di applicazione; * fonte di soluzione ai problemi futuri, fonte di adattamento. I clienti sono, o possono essre, parte attiva nel processo di creazione e di messa a punto dell’innovazione in vari modi: come elaboratori autonomi di conoscenza8(lead user), come “traduttori” delle novità. Inoltra essi possono essere attivi anche nel processo di diffusione della conoscenza oppure ancora come”fonte autorevole” di informazioni e di spunti sull’innovazione. L’innovazione si inserisce sempre all’interno di un sistema competitivo e di processi competitivi in atto, in cui vi interdipendenza tra prodotti e tra concorrenti, che esso contribuisce a modificare e a influenzare in maniera puù o meno profonda ed efficace. In questo contesto c’e un gioco competitivo fra incumbent e concorrenti più deboli, nuovi entranti, innovatori e imitatori, early e late entrant, che cercano di acquisire un vantaggio competitivo e di realizzare i propri obiettivi. L’impresa deve gestire un portafoglio clienti in cui coesistono i prodotti tradizionali preesistenti e quelli innovativi. Le decisioni principali riguardano: 1) Il livello di sovrapposizione; 2) la durata della coesistenza; 3) Le modalità e gli incentivi alla migrazione verso il nuovo prodotto. La diffusione di un prodotto all’interno del mercato viene influenzata in maniera molto evidenti dalle strategie di ingresso, dallo sforzo e dall’investimento effettuato e dalla pressione esercitata sul mercato da parte delle imprese che introducono l’innovazione. Lo sforzo si può concretizzare con la riduzione delle barriere all’adozione come i costi di sostituzione, i costi di apprendimento, i costi di ricerca. Simili iniziative si traducono in politiche di prezzo più aggressive o iniziative di supporto finanziario all’adozione tese a facilitare e accelerare il processo di adozione. Il rapporto tra lo sforzo in termini di investimento e di pressione esercitata sul mercato, e i suoi effetti, in termini di vendita, non è lineare ma presenta forme ibride e complicati andamenti, in cui si combinano rendimenti prima crescenti e poi decrescenti in complesse tipologie(figura 8.10). La strategia di introduzione delle innovazioni si incentra su una serie di componenti e in particolare su: 29
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l’orientamento strategico di fondo; le scelte strategiche si costruiscono a partire dalla decisione relativa al tipo di ruolo che si vuole assegnare al nuovo prodotto all’interno della propria strategia globale, gli orientamenti di fondo sono : il learning(apprendimento), esplorazione, presenza, redditività, sfruttamento, dominanza. La scelta del timing; il lancio di un’innovazione implica la scelta del timing Per molto tempo nel marketing si è creduto che l’impresa che per prima introducesse un nuovo prodotto in un settore conquistasse, automaticamente, mentendola nel tempo, una maggiore quota di mercato, Il vantaggio de pioniere consente di diventerà un punto di riferimento per la valutazione delle alternative che si renderanno disponibili successivamente. Alcune imprese possono scegliere tra la condizione di essere pioniere o inseguitore, ci sono alcune condizioni favorevoli all’attuazione di una dell’altra strategia(tabella 8.6). Intensità dell’introduzione: strategie di penetrazione o scrematura; >La prima mira ad ottenere una rapida diffusione dell’innovazione, esercitando su di esso un notevole sforzo di marketing. La strategia di scrematura si concentra invece su alcuni segmenti, i più ricchi, cercando di estrarre da loro il massimo dalla redditività unitaria. I vantaggi e svantaggi di queste due strategie sono speculari, i vantaggi sono: dominanza competitiva, quota marketing e costi, barriere all’ingresso; gli svantaggi sono: redditività limitata, rigidità strategica, difficoltà di adattamento, rischio elevato. Le traiettorie di sviluppo; L’innovazione si diffonde nel mercato, seguendo traiettorie che le sono proprie che possono essere riconosciute e “mappate”, per individuare e mettere a fuoco le caratteristiche dei segmenti che verranno coinvolti progressivamente, le loro esigenze, e quindi le modalità di gestione migliori.
CAPITOLO IX/prima parte Nella sua accezione più antica e tradizionale, la finanza aziendale è intesa come la disciplina che si occupa del reperimento delle risorse finanziarie sul mercato dei capitali; quindi la funzione finanziaria viene concepita principalmente come l’insieme delle attività tese al soddisfacimento del fabbisogno finanziario. L’accento è posto principalmente sulla gestione del rapporto impresa/mercato dei capitali. A partire dagli anni ’50 a tale paradigma si affianca quello della finanza allargata, secondo il quale l’oggetto degli studi viene esteso alla questioni relative all’efficace impiego delle risorse finanziarie, e non soltanto al loro reperimento. Si afferma successivamente il paradigma chiamato nuova finanza: corrisponde al filone di studi di origine neoclassica, che porta all’elaborazione di nuovi schemi teorici che legano assieme i comportamenti degli investitori, il funzionamento dei mercati finanziari e le scelte d’investimento delle imprese. Nel corso degli anni le aree di pertinenza della funzione finanziaria nell’ambito dei processi decisionali d’impresa appaiono di incerta delimitazione. Appare dunque evidente la necessità di individuare un criterio che consenta di delimitare con sufficiente oggettività ed elasticità i confini della funzione finanziaria. Un criterio che sembra soddisfare tali necessità si fonda sul fatto che la funzione finanziaria rappresenta il luogo delle competenze/conoscenze strumentali alla gestione dei rapporti che si instaura nostra l’impresa e il mercato dei capitali. Le dimensioni che caratterizzano il ruolo e gli ambiti della finanza dell’impresa moderna sono: Supporto alle decisioni; Struttura ottimale del capitale, Programmazione e controllo dei flussi finanziari dell’impresa. Il mercato dei capitali è formato dai soggetti che dispongono di liquidità(risparmio) e i soggetti che necessitano di capitali per investimento. Il meccanismo che equilibra il mercato e il tasso d’interesse. I soggetti che intervengono sul mercato finanziario sono definiti dalla “matrice dei flussi di fondi”: famiglie, imprese, enti pubblici, istituzioni finanziarie. La condizione affinché un’impresa decida di realizzare un progetto d’investimento è che il rendimento da questo offerto sia pari o superiore rispetto al costo dei capitali necessari per la sua realizzazione, così da permettere agli azionisti di beneficiare di un certo margine di profitto. Il tasso di interesse che regola gli scambi sul mercato costituisce la soglia di 30
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli rendimento rispetto alla quale viene valutata la convenienza da parte delle imprese a investire in beni reali. Esso rappresenta pure il tasso di riferimento per la determinazione del prezzo di equilibrio dei titoli scambiati sul mercato finanziario. Deve sussistere la condizione: Pt +1 − Pt =r Pt
Cioè nel caso in cui il titolo non dia luogo a pagamenti intermediari tra la data t di acquisto e la data t+1 in cui lo stesso viene rimborsato dall’emittente, il prezzo dei titoli scambiati al tempo t, Pt, deve essere tale che per un dato prezzo di rimborso al tempo t+1, Pt+1, il rendimento offerto agli investitori sia uguale al tasso di equilibrio r. Per efficienza del mercato si intende che i prezzi dei titoli in esso scambiati incorporano tutte le informazioni rilevanti in un determinato istante. A seconda della tipologia dell’informazione incorporata nei prezzi, vengono quindi definiti diversi gradi di efficienza del mercato. Efficienza Debole; Efficienza Semi-forte; Efficienza forte; Se il prezzo di un titolo è inferiore al suo valore reale, gli investitori continueranno ad acquistare quel titolo finchè il prezzo, sollecitato dalla maggiore domanda, non sarà in linea con il suo valore effettivo; allora potranno realizzare il guadagno attraverso la vendita del titolo stesso. Tale attività, nota come arbitraggio, e di grande importanza, crea le condizioni affinché i prezzi di tutti i titoli scambiati sul mercato, e quindi i tassi di rendimento cui questi danno luogo, tendano a livelli di equilibrio. Gli arbitraggisti procedono ad acquistare il titolo sul mercato in cui il prezzo è minore. Per rivenderlo su quello in cui il prezzo è più elevato. Le decisioni delle attività di gestione comportano l’impiego di risorse economiche, acquistate con le risorse finanziarie reperite sul mercato dei capitali attraverso l’emissione di titoli di varia natura. Il contributo della finanza aziendale a tali decisioni ha pertanto una duplice natura: innanzitutto metodologica in quanto fornisce le tecniche attraverso le quali misurare la creazione o la distruzione di valore associata alle decisioni. Un parametro quantitativo atto a valutare l’efficienza delle decisioni prese dal management dell’impresa è il Valore Attuale Netto(VAN), al quale poi è affiancato un altro indicatore l’Economic Value Added(EVA), ispirato poi agli stessi principi del VAN. L’ulteriore contributo fornito dalla finanza aziendale alle decisioni aziendali è di carattere operativo: la misurazione del valore creato o distrutto per gli azionisti necessita infatti dell’individuazione di una soglia minima di rendimento( o costo opportunità del capitale) con la quale confrontare il rendimento atteso dalla decisione oggetto di valutazione. Il calcolo del costo opportunità del capitale è basato su una serie di grandezze tipicamente finanziarie, quali i rendimenti storici del mercato, il tasso d’interesse, la struttura del capitale dell’impresa. Un a determinata somma di denaro ha un diverso valore corrente a seconda del tempo in cui essa diventa effettivamente disponibile e cioè può essere effettivamente investita sul mercato finanziario. Il valore attuale di un investimento cioè il valore al quale un titolo rappresentativo può essere scambiato sul mercato finanziario, è pari al valore attuale dei flussi di cassa disponibili che esso produrrà nel corso della sua vita. Il VAN e cioè il valore dei flussi di cassa prodotti dall’investimento al netto del costo monetario necessario per produrli è uguale ha: VAN = -I+ CF1 + CF2 +…..CFn (1+r) (1+r)2 ……(1+r)n dove I è l’esborso monetario da sostenere per realizzare l’investimento che produrrà i flussi di cassa CF per n anni. Il VAN può essere inteso come una misura del valore creato o distrutto da qualsiasi decisione di investimento, a prescindere dalla sua natura. È possibile indicare una formula più generale riconoscendo I, il costo dell’investimento, come un flusso di cassa negativo, così che i flussi di cassa di ogni periodo, sono da intendersi come flussi netti. L’espressione del VAN diventa: n CFt VAN = ∑ t t =0 (1 + r ) Il principio che dovrebbe guidare le decisioni degli investitori può dunque essere ricondotto alla realizzazione di iniziative economiche con VAN maggiore di zero. 31
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Il rischio è una componente fondamentale dell’attività economica, può essere definito come la dispersione dei risultati possibili attorno a quelli attesi. Se l’investitore è indifferente al rischio l’unico parametro rilevante sarà costituito dal rendimento atteso dall’investimento sarà confrontato con il tasso di rendimento atteso offerto sul mercato finanziario dalle attività prive di rischio. Se è avverso al rischio occorrerà considerare anche una misura di dispersione dei possibili risultati attorno a questo valore atteso: tra due investimenti con il medesimo rendimento atteso, l’investitore avverso al rischio preferirà infatti quello con il rischio inferiore. Affinché l’investitore avverso al rischio sia indotto a preferire un investimento caratterizzato da un rischio superiore è necessario che questo offra anche un rendimento atteso superiore. La teoria finanziaria scompone il rischio totale di un vestimento in due componenti: • il rischio specifico porzione del rischio totale di un titolo che può essere eliminata attraverso la diversificazione, combinazione del titolo con una serie di altri titoli, che fa di che oscillazioni di rendimenti di determinati titoli vengano combinate con oscillazioni di segno opposto o di minore intensità nei rendimenti di altri titoli in portafoglio; • Il rischio sistematico è parte del rischio totale che residua dopo che tutto il rischio specifico sia stato eliminato dalla diversificazione; La misura di rischio sistematico di un titolo è fornita da coefficiente β inteso come covarianza standardizzata tra i rendimenti del titolo e quelli di un portafoglio sufficientemente diversificato. Con riferimento al titolo i e al portafoglio m il coefficiente di rischio sistematico è dunque: σi, m β= 2 σm Se il valore assoluto del β è maggiore(minore) di uno, ciò significa che il titolo mostra un rischio sistematico superiore(inferiore) a quello del portafoglio. La soglia di rendimento richiesto per l’investimento nel titolo rischioso i è: Ri = rf + ß (rm - rf) I fattori all’origine del rischio sistematico di un titolo, determinanti di Beta, sono: Tipo attività(ciclica/anticiclica): Per esempio il Beta di società che producono beni di stretta necessità sono inferiori rispetto a quelli di società che producono beni di consumo, proprio a causa del maggiore grado di ciclicità del settore in cui queste ultime si trovano a operare; Leva operativa(Struttura Costi): Il GLO è determinato dalla proporzione tra costi fissi e costi variabili. Una maggiore incidenza di costi fissi e dunque un maggior grado di leva operativa, comporta che un incremento nelle vendite si traduca in un incremento più che proporzionale dei rendimenti, una contrazione delle vendite determina una riduzione del reddito operativo e dunque dei rendimenti; Leva finanziaria(Rapporto indebitamento): Questo risulta determinato dal rapporto D/E tra i valori dell’indebitamento D e del capitale E. A parità di altra condizioni, un maggiore rapporto D/E determina una maggiore volatilità degli utili percepiti dagli azionisti, esponendo questi ultimi a un rischio maggiore. La realizzazione dell’attività produttiva richiede che l’impresa sia dotata di un certo ammontare di capitale, la struttura del capitale è l’articolazione delle fonti di finanziamento dell’impresa. La struttura del capitale è divisa tra capitale proprio e capitale di credito che suddivide i finanziatori dell’impresa in azionisti e obbligazionisti: differiscono per le modalità di flussi disponibili dell’impresa. Gli obbligazionisti hanno diritto ad ottenere con priorità una quota di tali flussi commisurata al rimborso di una parte del capitale inizialmente conferito agli interessi maturati nel corso del periodo. Gli azionisti partecipano alla ripartizione della quota di flusso di cassa disponibile che residua dal pagamento degli obbligazionisti. La raccolta di capitale proprio può avvenire attraverso l’emissione di varie tipologie di azioni, differenziate in base ai diritti di carattere patrimoniale e amministrativo: • azioni ordinarie: il possessore partecipa alla ripartizione dell’utile, voto in e part. alle assemblee • azioni privilegiate: si caratterizzano per la prelazione nel riparto degli utili e del capitale in sede di liquidazione della società. Danno il diritto al voto soltanto nelle assemblee straordinarie • Azioni di risparmio: emesse esclusivamente da società quotate in Borsa, per un ammontare non superiore alla metà del capitale sociale. Non danno diritto di voto, attribuito un dividendo superiore a quello spettante alle altre tipologie di azioni. 32
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Le forme di raccolta di capitale attraverso l’indebitamento si distingue tra prestiti per cassa e per firma. Per una disamina approfondita degli effetti della struttura del capitale possiamo esaminare la teoria proposta da Modigliani e Miller che si ravvisano nella variazione indotta sul valore dell’attivo dell’impresa(Va) dalle modifiche del rapporto tra capitale proprio(Ve) e capitale di credito(Vd). Secondo questa teoria se determinate ipotesi sono verificate la struttura del capitale dell’impresa risulta irrilevante: -Perfetta contendibilità mercato finanziario -no costi transazione e imposizione -No asimmetrie informative -no rischi fallimento Il valore dell’impresa risulta essere determinato esclusivamente dai flussi di cassa prodotti dagli investimenti, a prescindere da come questi siano successivamente ripartiti tra coloro che hanno fornito il capitale necessario alla loro produzione così si arriva alla I Proposizione di Modiglioni e Miller in assenza di imposte: FCD I V L =VU = rI Se cioè due società hanno i medesimi investimenti , il valore dell’attivo della società indebitata Vl, è identico a quello della società finanziaria integralmente da capitale proprio Vu. Se vengono meno le ipotesi del modello Modiglioni e Miller determina le condizioni in base alle quali la struttura del capitale può incidere sul valore dell’attivo dell’impresa. In una ipotesi di azienda priva di debiti soggetta a tassazione(con tc aliquota d’imposta), le imposte da pagare su reddito Impresa sono: FCDl tc Mentre il flusso di cassa agli azionisti è: FCDl (1-tc) In caso d’imprese con debiti le imposte da pagare sono: (FCDl – VLD*rD) tc Il flusso di cassa residuo aziendale e: FCDl - (FCDl- VLD*rD) tc Il flusso di cassa annuo che residua per la distribuzione ai finanziatori dell’impresa è, nel caso dall’impresa indebitata, maggiore rispetto a quello dell’impresa finanziata totalmente da capitale proprio. La differenza corrisponde allo scudo fiscale prodotto dal debito, dovuto alla deducibilità fiscale degli oneri finanziari da esso generati. Il reddito netto d’imposta percepito dagli obbligazionisti della società risulta essere pari a(1-tp) per ogni euro distribuito in forma di interessi; quello percepito dagli azionisti è invece pari a (1-tpE)(1-tc). Il vantaggio fiscale di ricorrere al finanziamento attraverso il rapporto tra i reddito personale al netto d’imposta percepito in forma di interessi e in forma di reddito azionario(vedi fig.9.2): vantaggio relativo al debito = (1-tp) / (1-tpE)(1-tc) Alla teorie fiscali per la spiegazione della struttura del capitale dell’impresa si sono aggiunte la teoria dei costi di agenzia del debito e del capitale proprio e all’asimmetria tra impresa e mercato finanziario. La prima è fondata sul rapporto che si instaura tra due soggetti, uno dei quali(principale) delega all’altro(agente) lo svolgimento di una determinata attività:a) tra gli azionisti e management; B) tra obbligazionisti e azionisti Nel primo caso gli azionisti possono intraprendere una serie di iniziative, quali un attento monitoraggio delle attività svolte dal management o la predisposizione di incentivi monetari. I costi generati da tali iniziative sono noti come costi di agenzia del capitano proprio. A tali costi è possibile ovviare facendo ricorso al capitale di credito, così da sottrarre alla disponibilità del managemnent una parte dei flussi di cassa disponibili. Sennonché, il ricorso al debito da parte dell’impresa comporterebbe l’insorgere di costi di agenzia del debito, legati alla relazione tra azionisti e obbligazionisti. 33
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli La teoria fondata sull’asimmetria informativa parte dal presupposto che le informazioni a disposizione degli investitori sul mercato finanziario siano limitate rispetto a quelle in possesso del management. La Scelta da parte dell’impresa di emettere nuove azioni allo scopo di reperire nuovo capitale rappresenta un importante segnale per gli investitori, al quale in generale risulta associata una riduzione del prezzo delle azioni stesse. La motivazione risiede proprio nel contenuto informativo della scelta operata dall’impresa: se il management, in base alle informazioni a sua disposizione , ritenesse infatti che il prezzo corrente dell’azione fosse inferiore al suo valore effettivo, cercherebbe di reperire nuovo capitale attraverso fonti alternative, quali l’autofinanziamento o i ricorso al capitale di credito. Nella prospettiva dell’investitore, quindi, la scelta dell’impresa di ricorrere all’emissione di nuove azioni viene interpretata come un segnale di sopravvalutazione del prezzo dall’azione rispetto al suo reale valore, al quale gli investitori rispondono correggendo al ribasso le aspettative di redditività dell’impresa e dunque il prezzo delle sue azioni. Secondo la teoria del pecking-order i fabbisogni finanziari dell’impresa verrebbero coperti ricorrendo innanzitutto alle fonti interne, vale a dire al reinvestimento degli utili prodotti dalla gestione, al netto della quota destinata alla distribuzione di dividendi; quando tali risorse non fossero sufficienti, verrebbero privilegiato il ricorso all’indebitamento, mentre l’emissione di nuove azioni costituirebbe una scelta residuale. /seconda parte La pianificazione finanziaria si occupa dell’analisi della dinamica dei flussi finanziari generati e assorbiti dall’impresa, allo scopo di stabilire in via anticipata il fabbisogno e le modalità della sua copertura. Un utile strumento per rappresentare la dinamica di tali flussi è costituito dal rendiconto finanziario, rappresenta uno strumento di analisi complementare al Conto Economico e allo Stato Patrimoniale. Il rendiconto finanziario può avere per oggetto diversi aggregati: flussi di Capitale Circolante Netto Finanziario(CCNf); flussi di Capitale netto circolante Commerciale(CCNc); flussi di liquidità. Il CCNf è la differenza tra l’attivo circolante e il totale del passivo circolante, mentre il CCNc è calcolato al netto della liquidità e dei debiti finanziari a breve termine. Il rendiconto può avere natura consuntiva o revisionale(figura9.3). Per comprendere la natura delle esigenze finanziarie dell’impresa, è opportuno suddividerne la gestione in tre aree principali: L’area degli investimenti e disinvestimenti, l’area della gestione finanziaria, l’area della gestione corrente. Si consideri innanzitutto l’area degli investimenti e disinvestimenti: essa fa riferimento principalmente all’acquisto dei beni che in bilancio sono compresi nell’attivo fisso, quali immobili, impianti attrezzature ecc. La seconda area è quella della gestione finanziaria: questa racchiude tutte le movimentazioni relative al capitale a disposizione dell’impresa, e in particolare gli incrementi e i decrementi del capitale proprio che derivano dalla sottoscrizione o dall’estinzione di azioni della società, nonché gli incrementi e i decrementi del capitale di credito determinanti dall’accensione di nuovi prestiti finanziari e dal rimborso di quelli già in essere La terza area presa in considerazione è infine quella della gestione corrente, questa comprende, oltre ai pagamenti di TFR ai dipendenti, sia il flusso finanziario generato o assorbito dalla gestione sia quello che deriva dalla movimentazione del CCN Commerciale. Dalla combinazione dei tempi necessari alla realizzazione dei cicli produttivi(Figure 9.4) risulta definito il ciclo finanziario, che inizia con l’acquisto delle materie prime per terminare nel momento dell’incasso conseguente alla vendita dei prodotti. In primo luogo si osserva che la movimentazione del CCNc in un determinato periodo genera un fabbisogno finanziario temporaneo, in quanto destinato a essere coperto dalle risorse di liquidità che verranno generate entro la fine del ciclo finanziario. L’inizio e la fine di un ciclo finanziario sono caratterizzate da un CCN pari a zero; lungo il periodo di durata del ciclo finanziario, invece, le voci che compongono il capitale circolante netto sono movimentate dalla realizzazione della gestione corrente, attraverso la dinamica delle scorte di materie prime e prodotti finiti, debiti verso i fornitori e crediti verso i clienti(figura 9.5). La seconda conseguenza della realizzazione di un ciclo finanziario consiste nella generazione di un surplus di liquidità. La chiusura di un ciclo finanziario comporta che sia i ricavi che i costi associati al ciclo produttivo siano completamente trasformati in un valore monetario, il cui ammontare esprime i contributo di liquidità apportato dalla gestione corrente alla copertura del fabbisogno finanziario complessivo dell’impresa. Esso è noto come flusso di cassa della gestione corrente, e rappresenta l’autofinanziamento prodotto dalla gestione ordinaria dell’impresa: e pari al flusso di CCNc generato dalla gestione corrente al netto della variazione subita nel periodo dal CCNc. 34
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Il tasso di crescita interno,e cioè il tasso di crescita dell’impresa che può essere sostenuto attraverso le risorse finanziarie prodotte dalla sua gestione operativa. Esso viene cosi determinato: Utili non distribuiti/Attività La capacità dell’impresa di crescere senza necessità di far ricorso all’emissione di nuove azioni è invece espressa dal tasso di crescita sostenibile: (Utili non distribuiti/Reddito Netto)*(Reddito Netto/Capitale Netto) Scopo principale della pianificazione finanziaria è quello di garantire, in ogni istante della vita dell’impresa e a condizioni di economicità, l’equilibrio tra l’assorbimento e la produzione di flussi finanziari. I due livelli di analisi in cui la pianificazione finanziaria si articola sono la pianificazione a breve termine e la pianificazione a medio/lungo termine. Gli strumenti analitici per redigere il paino sono gli stessi per tutti e due: bilanci pro-forma e rendiconti finanziari previsionali. La pianificazione a medio/lungo termine ha durate di 5-10 anni e fa leva sulle strategie d’impresa. La pianificazione di breve periodo con durata di 12 mesi fa leva sulla struttura del capitale circolante. Il budget di tesoreria con durata di pochi giorni fa riferimento alle politiche di cassa. Si ha la necessità di equilibrio fra tipologie di impieghi e fonti, e quindi dei flussi di cassa, questo si ha con politiche di hedging da parte delle imprese. Le operazioni di hedging da parte delle imprese hanno per oggetto i seguenti fattori di rischio:a) prezzo dei prodotti venduti o delle materir acquistate;b) tasso d’interesse;c) tassi di scambio. Le tecniche più utilizzate sono basatesi strumenti derivati, definiti in questo modo perché il loro valore è “derivato” da quello di altri beni:a)contratti forward e futures; b)swaps; c) opzioni. I contratti forward sono accordi per comprare o vendere un’attività a una certa data futura, per un certo prezzo. I contratti futures hanno il medesimo contenuto da i contratti forward, con la differenza tuttavia di essere quotati in borse ufficiali. Generalmente, i contratti futures non vengono protratti fino alla scadenza, ciò che comporterebbe l’effettivo scambio della merce, ma regolati invece prima della scadenza attraverso la liquidazione delle rispettive posizioni. Le opzioni sono titoli che danno il diritto al suo possessore di acquistare o vendere l’attività sottostante a un prezzo predefinito(prezzo di esercizio). Nel primo caso le opzioni sono del tipo call, nel secondo di tipo put.. La caratteristica essenziale delle opzioni consiste nel conferire a l loro possessore la facoltà di esercitare il diritto, ma non l’obbligo. Gli swaps infine consistono in accordi in base ai quali due soggetti s scambiano determinati flussi di pagamento: tra le forme più comuni di swaps vi è quella dei currency swaps, attraverso i quali due imprese possono coprirsi nei confronti del rischio di cambio. Un ulteriore ruolo che può essere svolto dalla finanza aziendale è quello della gestione dei flussi finanziari rivolta alla generazione di profitti per mezzo della opportunità offerte dal mercato dei capitali. L’impresa opera non più soltanto per trovare i capitali necessari alla realizzazione di investimenti in beni reali , ma anche per realizzare investimenti di carattere puramente finanziario. Se lo scopo dell’intervento dell’impresa sul mercato finanziario è quello del profitto, le strategie che essa può perseguire sono essenzialmente di due tipi, e cioè da un lato la speculazione e dall’altro l’arbitraggio. La speculazione è l’esatto contrario dell’hedging: la finalità dello speculatore consiste infatti nell’assumere posizioni aperte sui mercati allo scopo di beneficiare di movimenti non preventivati nei prezzi dei titoli. La possibilità di “battere sistematicamente il mercato”. E cioè di realizzare nel lungo periodo dei profitti attraverso questo tipo do strategia, è inversamente proporzionale al grado di efficienza del mercato stesso. LA realizzazione di investimenti speculativi può avvenire con strumenti derivati; questi consentono infatti,a parità di capitale investito, di incrementare il laverage dell’investimento cioè le possibile conseguenze finanziarie prodotte. La strategia fondata sui derivati ha una variabilità da i risultati notevolmente superiore a quella basata sull’acquisto della azioni, e quindi comporta un rischio maggiore. L’ arbitraggio consiste nella realizzazione di un profitto privo di rischio che scaturisce dal differenziale nel prezzo di un titolo quotato su due diversi mercati. Le più comuni operazioni di arbitraggio possono esser sostanzialmente ricondotte alle seguenti quattro tipologie: arbitraggio su valute; arbitraggio su prezzi forward; arbitraggio su opzioni; arbitraggio su diversi regimi fiscali.
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Arbitraggio su valute: alla possibilità che i prezzi di un medesimo bene, espressi in valute diverse, siano disallineati; Arbitraggio su prezzi forward: La data corrente (prezzo spot, So) e la quotazione odierna di una data di consegna futura(prezzo forward,Fo) quando non sono allineati sorgono opportunità di arbitraggio. La condizione generale di allineamento tra i prezzi spot e quelli forward è la seguente:
F0 = S 0 (1 + r )
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Arbitraggio su opzioni; Arbitraggio su regimi di tassazione diversi(cross-border arbitrage):l’ultima tipologia di arbitraggio considerata è fondata sulla possibilità che esistano differenze nella tassazione della medesima attività in paesi diversi.
Capitolo X/prima parte La valutazione della strategia consiste nell’attribuzione di un valore economico alle decisioni fondamentali sul modo in cui l’impresa intende sfruttare le proprie risorse al fine di agire nel proprio ambiente competitivo. Diviene un aspetto altamente significativo dell’attività di manager, dirigenti e altri soggetti economici che hanno la responsabilità di tali decisioni. Le scelte strategiche: • influenzano il rapporto con l’esterno • si manifestano ad intervalli lunghi • si qualificano in modo incrementale • maturano in un contesto incerto e sono influenzate da numerose variabili. Per quanto riguarda la pianificazione strategica ai fini della valutazione economica si valutano: le strategie di corporate(relative al portafoglio e alle operazioni di acquisizione o fusione M&A); strategie di business(lancio di nuovi prodotti, canali, mercati); strategie funzionali(coerenza). Dal punto di vista finanziario la strategia include una molteplicità di progetti. I metodi di valutazione delle strategie di corporate o di business devono tener conto almeno dei seguenti aspetti: 1) complessità e ampiezza degli effetti di una decisione strategica; 2) orizzonte temporale lungo; 3) importanza della presenza o meno di opzioni di crescita che possono essere sfruttate nel futuro. Il principale obiettivo dell’impresa e la creazione di valore, che viene preferito per le seguenti ragioni: 1) focalizza il management sul lungo periodo, 2) collega rendimento e costo del capitale; 3) è facilmente misurabile, 4) presuppone prima il soddisfacimento degli stakeholders. Al fine di valutare una strategia aziendale a livello di business o di corporate si ricorre a indici contabili di performance, quali il ROE, il ROI, il ROS, calcolati per l’intera impresa o per una specifica unità di business. I limiti di questi criteri contabili sono: - utile contabile non ha definizione univoca; - non tengono conto del rischio; - non tengono conto del fattore tempo. Un qualsiasi investimento produce flussi in entrata e in uscita in un dato orizzonte temporale. Il suo valore dovrebbe essere in funzione di quattro variabili:l’ammontare dei flussi di cassa, il momento in cui sono disponibili, la durata dell’investimento e il costo opportunità del capitale impiegato per finanziare l’investimento. I metodi basati sui flussi di cassa scontati(discounted Cash flows, DCF) si basano su tutte le quattro variabili considerate. In particolare, il Valore Attuale Netto (VAN) rispetta i principi del valore finanziario del tempo, che penalizza i flussi più distanti a favore di quelli più recenti, secondo principio di base della finanza per il quale un euro oggi vale più di un euro domani. Le imprese finanzierebbero tutti quei progetti che rispettano la condizione VAN>0 poiché tale condizione assicura che il progetto crei valore per l’azionista. Il metodo del VAN presenta limiti importanti quando occorre valutare alternative strategiche a livello corporate o di business. Un progetto strategico apre infatti opportunità future che l’impresa può sfruttare al fine di generare nuovi ritorni economici e di cui il VAN
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli non tiene conto. Infine il metodo del VAN assume implicitamente che il progetto, non possa successivamente essere modificato o abbandonato. Il metodo dei multipli ha l’obiettivo di determinare in modo sintetico il valore dell’impresa partendo da determinati parametri economico-finanziari. Si articola in tre fasi: 1) individuazione dei comparables 2) calcolo di rapporti tra il valore di borsa e determinati indicatori economico-finanziari per ognuno dei comparables 3)calcolo multiplo medio e confronto Il metodo dei multipli richiede meno ipotesi dei metodi basati sui flussi di cassa scontati, consente una valutazione più semplice e rapida ed è più comprensibile anche da parte di chi non ha conoscenze tecniche nel campo della finanza aziendale. Esistono tre diverse tipologie di multipli: 1)multipli del valore libro(M/B); 2)multipli di diverse tipologie di reddito(P/E); 3)multipli dei ricavi(P/S). Il metodo market to book ratio si basa sul rapporto tra il valore di mercato(M) e il valore contabile(B) della azioni dell’impresa. Il verificarsi della condizione M>B implica che l’impresa, attraverso lo svolgimento della propria attività. Ha incrementato il valore dei diritti dagli azionisti, e quindi la loro ricchezza il rapporto M/b è uguale a: M ROE − g = B rE − g
Dove g è il tasso di crescita del capitale netto (è costante e pari a: g=b+ROE=B*(UN/B), con Un come utile netto e B valore contabile del capitale netto all’anno 0); ed rE è il costo del capitale azionario. Il rapporto M/B e lo spread (ROE-rE) sono relazionati come segue: M/B>1 se ROE M/B=1 se ROE-Re=0 M/B<1 se ROE-Re<0 Se dunque l’impresa consegue una redditività sul capitale netto maggiore del costo del suo capitale azionario(ROE>Re), genera ricchezza per i propri azionisti in quanto il valore di mercato del loro diritto, M, e superiore al valore del apporto originario di risorse, rappresentato da B. Le strategie saranno tanto efficaci quanto il rapporto M/B si avvicini all’M/B della miglior impresa concorrente. Il price/Earning è il rapporto tra prezzo di mercato della singola azione, P, e l’utile netto per azione(Earning Per Share), e, ossia l’utile netto dell’impresa diviso per il numero di azioni in circolazione: P (1 − b) = E rE − g
In cui b è il tasso di ritenzione degli utili di esercizio. Il P/E dell’impresa è più elevato dei comparables quando il suo rischio è inferiore; il tasso di crescita g è maggiore. Il price/sales è il rapporto tra il valore di mercato dell’azione, P, e i ricavi dell’impresa divisi per il numero di azioni in circolazione, S: P (1 − b) ROS = (ROS = Margine operativo netto/fatturato) S rE − g
L’applicazione del metodo dei multipli presenta alcuni limiti. Primo l’elevato livello di sintesi che li caratterizza, hanno scarso valore predittivo. Per queste ragioni è opportuno che per le decisioni strategiche si faccia comunque riferimento a un metodo analitico. /seconda parte Il valore azionario è rappresentato dal valore di mercato del capitale netto della società. Tale valore può essere calcolato come differenza tra il valore di mercato delle attività e il valore di mercato dei debiti dell’azienda. Il valore di mercato delle attività complessivamente possedute dall’azienda è anche definito “valore societario”. Il valore societario è dato dalla somma di due componenti: il valore delle attività 37
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli operative e il valore della liquidità e dei titoli finanziari negoziabili posseduti dall’impresa. Il valore delle attività operative si costituisce di due elementi: 1) il valore attuale dei flussi di cassa futuri(attualizzati); 2) il valore residuo(delle immobilizzazioni), ossia il valore dell’impresa al termine dell’orizzonte previsonale del piano, calcolato attraverso l’attualizzazione dei flussi di cassa previsti nei periodi successivi. Il valore societario dell’impresa al tempo 0 è dunque dato, nella sua forma più semplice, dal valore attuale dei flussi di cassa del periodo di previsione esplicito e del valore residuo attualizzato al periodo 0, a cui occorre sommare il valore di mercato dei titoli finanziari. Il valore creato da una strategia è dato dunque dalla variazione del valore azionario dell’impresa: Valore della strategia = Valore azionario finale – Valore azionario iniziale Il procedimento per il calcolo dal valore di una strategia aziendale è sintetizzato nella figura 10.3. Il primo passo è calcolare il flusso di cassa operativo disponibile, che consiste innanzitutto nella determinazione del reddito operativo al netto delle imposte. Tale grandezza, definita nella terminologia anglosassone NOPAT: Ricavi - Costo del venduto(costi per realizzare la produzione) - Altri costi operativi(es. energia elettrica, ecc.) - Ammortamento - Accantonamenti = Reddito operativo - Imposte sul reddito operativo(Aliquota d’imposta * Reddito operativo) = Reddito operativo dopo le imposte(NOPAT) A partire dal NOPAT è possibile ottenere il flusso di cassa operativo disponibile sommando le componenti di costo non monetarie: NOPAT + Ammortamenti + Accantonamenti - Incremento crediti commerciali - Incremento scorte + Incremento debiti commerciali - Flusso netto per investimenti in attivo fisso = Flusso di cassa operativo disponibile La possibile sequenza delle fasi di un proceso di previsione dei flussi di cassa è rappresentabile come segue: 1. Analisi dei risultati storici. 2. Analisi strategica; ha il compito di prevedere l’evoluzione futura dei value drivers(tasso annuo di crescita gv, incidenza del costo del venduto cv, ammortamenti A, accantonamenti Acc, tasso di rotazione delle scorte rs). 3. Elaborazione degli scenari; in cui tali azioni saranno poste in essere. 4. Definizione dell’orizzonte temporale della previsione, risultati suddivisi in un primo periodo “a previsione esplicita” e in un secondo di durata illimitata. L’orizzonte “a previsione esplicita” dura tra i 5 e 7 anni. Possiamo schematizzare un prospetto che ci permetta di quantificare le relazioni tra i diversi fattori di influenza, i value drivers e le variabili necessarie al calcolo del flusso di cassa operativo disponibile(Figura 10.4). Il valore residuo può essere calcolato ricorrendo a formulazioni semplificatrici: VR =
FDC n +1 WACC − g
FDC= flusso di cassa disponibile nel primo anno successivo al periodo di previsione esplicita 38
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli g = Tasso di crescita annuale previsto del flusso di cassa operativo disponibile. Il tasso di attualizzazione a cui scontare i flussi di cassa operativi disponibili dovrebbe in principio essere rappresentativo dal costo opportunità del capitale complessivamente investito per la realizzazione della nuova strategia. La letteratura finanziaria ha dato risposta a tali esigenze proponendo come tasso di attualizzazione il costo medio ponderato dal capitale, WACC, che è calcolato: WACC = rD (1 − T )
D E + rE V V
D = valore debito dell’impresa E = valore del capitale azionario V = valore del capitale investito rD = Costo del debito rE = Costo del capitale azionario T = Aliquota d’imposta sul reddito della società Per calcolare il costo del capitale, si seguiranno i tre passaggi successivi: 1) determinazione della struttura finanziaria 2) individuazione del costo di ogni singola fonte di finanziamento 3) calcolo del costo del capitale Al fine di stimare la valutazione finanziaria è utile testare la sua credibilità. Uno degli strumenti maggiormente utilizzati è l’analisi di sensibilità, che ha lo scopo di verificare come varia il risultato finale della valutazione al variare di una o più variabili utilizzate: • la variazione del valore stimato della strategia a fronte di una variazione del valore di singole variabili; • l’effetto sul valore della strategia di una variazione congiunta di diverse variabili. In quest’ultimo caso si veda la matrice in figura 10.6. Tre tipi di decisioni possono portare alla creazione di valore: • strategiche, l’impresa potrebbe ottenere un vantaggio di costo, attraverso lo sfruttamento di potenziali interrelazioni tra attività. Alternativamente il management potrebbe mirare a un vantaggio di differenziazione; • decisioni di investimento possono influenzare il valore attraverso una possibile riduzione dei flussi in uscita per attività immobilizzate, una riduzione del fabbisogno finanziario per circolante e la politica degli ammortamenti; • Infine, le decisioni finanziarie possono creare valore attraverso una modifica del rapporto (D/V) che permetta di sfruttare maggiormente l’effetto di leva finanziaria e ridurre in questo modo il costo del capitale(WACC). Un altro metodo molto diffuso per calcolare il valore creato da una strategia è l’ Economic Value Added(EVA): EVA = NOPAT − (CI ⋅WACC )
Nella prospettiva della valutazione strategica una determinata strategia si compone di una sequenza di più progetti di investimento. Questi ultimi hanno un valore strategico che è legato a tenere aperte opportunità future(window opportunity) e interrelazioni temporali(spillover). I progetti strategici incorporano delle opzioni reali esercitabili dalla direzione aziendale nel momento più opportuno. L’esigenza di apprezzare tali opportunità è evidente per quei progetti come investimenti in R&S, costi pubblicità ecc., che comportano alti costi di investimento e ritorni diretti modesti. Quindi l’uso di metodi basati sull’attualizzazione dei flussi di cassa porterebbe dunque le imprese a investire troppo poco in progetti rischiosi di espansione e di innovazione. In relazione al fattore incertezza per questi porgetti è emerso un nuovo metodo di calcolo del valore strategico definito “VAN esteso”: VAN esteso = VAN base+OP OP = Valore delle opzioni reali connesse all’alternativa strategica(opzioni future) Esistono due tipi di opzioni finanziarie trattate sui mercati organizzati: call, diritto a comprare e put, diritto a vendere. Il tempo mancante all’esercizio dell’opzione è definito time to maturity. Il valore di una azione call può essere espresso nel modo seguente: 39
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli C(S,0,X) = Max (S-X,0) Invece un il valore di un opzione put viene calcolato: P (S,0,X) = Max (0,X-S) S = Prezzo corrente X = Prezzo esercizio 0 = Time to maturità Le relazioni tra valore delle due opzioni a scadenza e prezzo dell’azione vengono illustrate nelle figure 10.9 e 10.10. Esistono diversi tipi di opzione descritti nella tabella 10.5 Si ha infine un’opzione composta quando l’esercizio di un’opzione comporta l’acquisizione di una nuova opzione. Un esempio è il valore di un investimento in R&S(figura 10.12). Per individuare valutare un opzione di uno specifico progetto strategico può esser utile seguire un processo logico che componga le seguenti fasi: 1) Analisi strategica; 2) Analisi delle interrelazioni; 3) Analisi dei flussi di cassa; 4) Definizione dell’opzione; 5) Isolamento dell’opzione. In conclusione si può affermare che il metodo delle opzioni reali costituisce uno strumento molto potente per l’analisi delle decisioni strategiche in condizioni di incertezza, consentendo al management di valutare in modo adeguato la flessibilità e le opportunità di crescita offerte da progetti strategici e limitando i problemi di investimento sub-ottimale in progetti strategici e limitando i problemi di investimento sub-ottimale in progetti altamente rischiosi. CAPITOLO XI/prima parte Per conoscere di quale sistema produttivo si deve dotare l’impresa. Il management deve affrontare le seguenti tipologie di decisioni: a) decisioni strutturali: l’impresa deve determinare il livello di integrazione verticale dei processi produttivi, la capacità produttiva degli impianti, la tecnologia dei processi, la strittura tecnica dei macchinari, la localizzazione degli impianti e il layout delle macchine; b) decisioni infra-strutturali: l’impresa deve formulare scelte di programmazione della produzione, controllo delle scorte, politiche logistiche, struttura dei costi, il controllo della qualità, la scelta dei materiali ecc. La funzione produttiva è fonte di vantaggio quando le sue leve strategiche fondamentali sono l’efficienza, la qualità, la flessibilità e la gestione del tempo. In base agli elementi che differenziano i numerosi processi produttivi( il prodotto, tecnologia produttiva, volume, organizzazione del lavoro, ecc.), esistono quattro tipologie di sistemi produttivi; su progetto, su modello, processo intermittente a grandi lotti, processo continuo. Sulla base della diversa tecnologia del progresso i processi si distinguono: • ciclo tecnicamente obbligato,ciclo che è imposto dalla tecnologia di trasformazione. Può essere unitario(es. negli impianti petrolchimici, gli impianti siderurgici), o composto da macchine distinte, • ciclo tecnicamente non obbligato, l’impresa può scegliere il tipo di lavorazione e la sequenza delle operazioni da svolgere, non essendo vincolata dalla tecnologia di trasformazione. A seconda della natura tecnologica del prodotto; • produzione a flusso, prodotti liquidi e semiliquidi(es. raffinerie), una volta ottenuto il prodotto finito, non è più possibile risalire ai materiali di origine, in quanto il processo ne ha modificato le proprietà chimiche e fisiche; • produzione per parti, il prodotto è ottenuto dall’assemblaggio di diverse parti quindi tecnicamente scomponibile(es. industria automobilistica). 40
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli In base al volume di produzione ottenuto: • la produzione unitaria, si produce un unico grande prodotto. In questa categoria rientrano beni eterogenei: grandi opere infrastrutturali(dighe, ponti, centrali elettriche ecc.), beni di grandi dimensioni(navi); • la produzione intermittente, con tante varianti. L’attività di produzione è intermittente quando realizzato un determinato prodotto. Le macchine vengono fermate e poi riattrezzate per svolgere un differente ciclo di trasformazione relativo ad un altro elemento; • produzione continua, si ottiene una grande quantità dello stesso tipo di prodotto, Le operazioni produttive si svolgono in modo continuo non si fermano mai. Una scelta attinente al processo produttivo da adottare per un determinato output è costituita dalla struttura e del layout delle macchine operatrici. Si ha dunque una disposizione delle macchine: 1) “per reparto”, le macchine vengono raggruppate e disposte in reparti specializzati (figura 11.2). E importante la rilevazione dei “tempi di lavorazione” richiesti a ciascuna macchina dai vari “lotti”, vengono cos’ determinate le combinazioni e la sequenza più convenienti dei vari cicli di trasformazione. L’obiettivo del programma di produzione dello stabilimento è costituito da date quantità di prodotti da ottenersi entro scadenze prefissate. Il problema tecnico organizzativo principale deve essere affrontato nella disposizione delle macchine per reparto, determinazione della più conveniente posizione relativa dei vari reparti. Un fattore di attenzione di attenzione è costituito dal costo di movimento dei materiali. 2) “a catena”, le macchine sono collocate in base alla sequenza delle operazioni richieste tecnologicamente dall’unico ciclo che viene effettuato; il pezzo in lavorazione si trasferisce da una macchina all’altra, via via che si svolge il ciclo di trasformazione(figura 11.3). L’obiettivo dei programmi di produzione è l’ottenimento di un certo flusso produttivo nell’unità di tempo . Il problema tecnicoorganizzativo principale è quello del “bilanciamento della linea di produzione”, determinando l’uguaglianza delle quantità di pezzi lavorati in una unità di tempo in ciascuna delle successive stazioni di lavoro della linea, cercando di ridurre al minimo i tempi di inutilizzo delle singole macchine. 3) “a isole” , una tipologia che si è diffusa negli anni 80’ 90’, il cui risultato è la confluenza del layout a catena e del layout per reparto. L’adozione di questo layout e conveniente quando volendo svolgere diversi cicli produttivi, è possibile suddividere in fasi “tecnologicamente simili” i vari cicli e ottenere volumi di produzione tali da garantire convenienti livelli di sfruttamento della capacità produttiva installa ta in ciascun gruppo. Con la Group technology si creano legami fra differenti macchinari, che vengono utilizzati per diversi cicli di lavorazione. Le moderne imprese tendono ad adottare “produzioni snelle”che si fondano su due principi: il Total Quality Control(TQC), e il Just in time(JIT). Il JIT significa produrre la quantità giusta al momento giusto, con sistemi di fabbricazione flessibili, tale tecnica incrementa simultaneamente flessibilità, efficienza e qualità del sistema, mediante un taglio drastico dei tempi produttivi. Le caratteristiche di in produzione snella sono: • taglio drastico dei tempi di produzione attraverso l’adozione di nuove specie di macchine piccole e numerose, apprendimento continuo, riduzione dei tempi di set-up(cioè di riatrezzaggio dei macchinari), e l’utilizzo di contenitori per il trasporto di tipo standard; • Layout delle macchine con disposizione ad “U” riducendo le distanze fra i macchinari, semplificando la comunicazione fra operai, rende più veloce il ciclo di feedback, e facilita il passaggio da parte del personale da un operazione all’altra. Unico svantaggio e per la diversificazione dei prodotti(per la quale un layout per reparto rimane più valido). Dalla produzione snella si è passati ad una produzione modular. Il sistema modulare di basa su due principi fondamentali: a) l’indipendenza dei moduli: ciò significa che eventuali modifiche apportate in uno dei moduli non rendono necessari cambiamenti anche negli altri; b) l’interdipendenza tra i moduli: cioè la congruenza tra i moduli, indispensabile per garantire l’integrità del sistema nel suo complesso. Le interfacce sono caratteristiche che garantiscono la connessione(fisica e informativa) fra i moduli indipendenti 41
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Come approccio progettuale, la modularità consente contemporaneamente lo sviluppo di diversi modelli di prodotto(appartenenti alla stessa famiglia). Per piattaforma si intende il complesso degli elementi principali di un prodotto che sono comuni a diversi modelli, da tale base comune su può sviluppare una famiglia di prodotti, che condividono caratteristiche progettuali, tecnologiche, metodi di produzione. L’unico vincolo a cui queste imprese devono sottostare è il rispetto delle interfacce standardizzate. Il produttore finale(manufacturer) si qualifica più precisamente come “assemblatore” che, in funzione delle richieste della domanda, compone l’offerta aggregando diversi moduli; i modular suppliers invece si specializzano nella produzione dei singoli modi. Un determinato stabilimento, che può risultare “ottimo” per una data impresa, può invece non essere adatto per un’altra impresa dello stesso settore industriale, la quale operi sul mercato con una diversa strategia. Molte imprese adottano diversi tipi di processi caratterizzati da un diverso rapporto costi-fissi variabili. Passando dagli impianti più piccoli agli impianti dotati di maggiore capacità produttiva, vengono adottate tecniche della produzione di massa ottenibili gradi più elevati di efficienza tecnicoeconomica. Il costo medio minimo di fabbricazione del prodotto diminuisce all’aumento del grado di efficienza tecnico-economica(figura 11.5). La differenza fra il costo minimo di due impianti con differente capacità produttiva rappresenta un economia di scala “tecnologica”. La figura 11.6 mostra l’andamento del costo medio produzione del prodotto di “lungo periodo” varia in relazione alla capacità produttive degli impianti, tra i quali l’impresa può scegliere. L e economie di scla dunque danno origine alla diminuzione del costo medio di fabbricazione del prodotto, fino a che si realizza l’impianto con efficienza minima. Il livello di domanda che l’impresa vuol soddisfare è relativo alla scelta dalla capacità produttiva più conveniente del sistema produttivo. Come prima cosa per la programmazione della capacità produttiva si deve compiere un analisi e previsione della domanda nel lungo-periodo, tipico delle ricerche di marketing. Il secondo problema è che per evitare i cosiddetti “costi affondati”, l’impresa deve sfruttare bene la capacità produttiva degli impianti visto la variabilità della domanda. L’impresa dopo aver previsto la tendenza di fondo della domanda aziendale deve decidere a quale volume di domanda conviene riferire la capacità produttiva dell’impianto. In un contesto caratterizzato da una forte variabilità delle condizioni del mercato la flessibilità del sistema produttivo diviene una condizione fondamentale. I sistemi flessibili sono utili per ottenere elevati livelli di efficienza e idonei per ottenere produzioni diversificate. Si tratta di sistemi di produzione basati su un largo impiego delle tecnologie informatiche(figura 11.7). Si collocano come soluzioni intermedie tra due concezioni tecnologiche estreme: • le macchine universali tradizionali, che offrono il massimo grado di flessibilità produttiva, possono essere impiegate per ottenere molti prodotti diversi; • le linee transfer rigide completamente specializzate e convenienti per ottenere elevati volumi produttivi di uno o due prodotti. I principali vantaggi dei sistemi di produzione flessibili sono i seguenti: • estrema flessibilità; • risposta rapida; • maggiore controllo; • riduzione degli sprechi; • maggiore prevedibilità; • lavorazione più veloce. Uno degli aspetti critici è un maggiore investimento iniziale, per un livello di flessibilità elevata (con tecnologie sofisticate).Per un livello di flessibilità basso abbiamo bassi investimenti iniziali,e costi di trasformazione elevati. Dopo aver determinato la capacità produttiva dell’impianto da costruire e dopo aver individuato le molteplici “operazioni elementari” e fasi di lavorazione in cui scomporre il processo produttivo è necessario: •
Una scelta delle fasi produttive da svolgere internamente e individuazione di quelle che conviene delegare all’esterno 42
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•
Integrazione verticale ascendente “a monte” oppure un integrazione verticale discendente “a valle” verso i mercati dei prodotti finiti • effetti su struttura e dimensione dell’impresa e sull’organizzazione del settore industriale. La scelta di internalizzare o esternalizzare le attività di produzione dipende dall’analisi delle seguenti criteri: • dal confronto tra costo di produzione interno e prezzo di acquisto sul mercato(figura 11.8); • fabbisogno interno compatibile con la capacità produttiva ottima-minima dell’impianto da integrare(sfruttamento di economie di scala tecnologiche); • incremento dei profitti non inferiore a quello ottenibile da impieghi alternativi. L’integrazione verticale ascendente risulta economicamente conveniente quando si verificano tre condizione seguenti: • il fabbisogno interno del componente è compatibile con la capacità produttiva ottima-minima dell’impianto da integrare; • costo di produzione interno inferiore al prezzo di acquisto; • profitto superiore a quello fatto con un’ ipotetico altro investimento. Gli aspetti critici dell’integrazione verticale sono: a) vincoli tecnologici; b) caratteristiche economiche dei mercati di approvvigionamento(le aziende fornitrici non garantiscono la fornitura nella quantità, nella qualità e nei tempi richiesti); c) il mantenimento di specifiche “competenze” aziendali. Il decentramento produttivo è una politica aziendale alternativa all’integrazione verticale. Le ragioni che spingono al decentramento sono: la pressione competitiva, recuperare flessibilità ed efficienza, accedere a risorse critiche. Per meglio comprendere la complessità della programmazione della produzione è opportuno considerare le tipologie di produzione in base ad almeno i seguenti criteri: 1) il rapporto temporale esistente tra la fabbricazione e la vendita del prodotto; 2) il tipo di processo produttivo; 3) la complessità del prodotto. Riguardo al primo criterio, si possono presentare due tipologie produttive: a)produzione per magazzino, la fabbricazione precede il momento della vendita e si basa sulla previsione della domanda. L’impresa sostiene dei rischi di mercato investe nei fattori produttivi e realizza la produzione in un a situazione di incertezza per i prodotti che effettivamente riuscirà a collocare sul mercato e a i prezzi di vendita; b)produzione su commessa, la fabbricazione avviene dopo la vendita dopo aver ricevuto l’ordine di acquisto dal cliente, ci sono qui dei rischi d’esercizio, derivanti dall’incertezza relativa ai prezzi di acquisto dei fattori produttivi necessari per ottenere il prodotto. Riguardo alla tipologia del processo, bisogna fare la distinzione tra produzione continua, intermittente e quella unitaria. Per la complessità del prodotto, va osservato che la complessità della programmazione risulta tanto maggiore, quanto più numerose e differenti sono le parti del prodotto per ottenere l’output finale. Con la programmazione della produzione il management decide quali prodotti fabbricare, in quali quantità, entro quali tempi e con quali modalità svolgere le attività. La programmazione si esplica nelle seguenti attività: • definizione degli ordini di produzione, cioè stabilirela qualità di pessi da fabbricareper ogni prodotto; • assegnazione dagli ordini di produzione, cioè attribuire a ciascun reparto operativo la lavorazione di determinati lotti di pezzi; • pianificazione dei fabbisogni di componenti e materie prime, calcolare la quantità richiesta dalle lavorazioni che devono essere svolte; • definizione della sequenza delle lavorazioni sulle singole macchine. 43
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Le principali categorie di costi relativi alla realizzazione dei piani di produzione sono: • costi variabili di produzione; • costi fissi di produzione; • costo del lavoro straordinario; • costi outsourcing, nel caso in cui l’impresa affidi lo svolgimento di varie attività a terzi; • costi mantenimento scorte; • costi stockout; cioè i costi da sostenere quando la quantità dei pezzi disponibili in magazzino non sono sufficienti a soddisfare la domanda. Il punto di partenza del processo di programmazione della produzione è l’analisi della domanda, che viene formalizzata nel Piano della domanda che calcola il volume di produzione richiesto dal mercato espresso dalla capacità produttiva necessaria, il quale deriva: a) dagli ordini ricevuti dalla clientela(produzioni su commessa); b) dalle previsioni di vendita a breve/medio termine(produzione per magazzino). In una fase iniziale l’obiettivo principale della programmazione aggregata della produzione è bilanciare la capacità produttiva disponibile con la capacità produttiva necessaria, cioè accertare che il sistema operativo possieda le risorse necessarie per soddisfare le richieste provenienti dal mercato. “Capacità produttiva” e “produttività” sono due concetti diversi. La capacità produttiva è la quantità di output ottenibile da un sistema produttivo in un determinato periodo di tempo; la produttività e data dal rapporto tra l’output ottenuto dal sistema produttivo in un periodo di tempo e le risorse consumate per ottenerlo; la produttività è un indice di efficienza. Nel piano aggregato di produzione sono calcolate: A) le quantità annuali di pezzi da produrre; B) le qualità e quantità delle risorse produttive che devono esser impegnate per ottenere quelle quantità. Il Piano Principale di Produzione consente una programmazione dettagliata della produzione (quantità di ciascun prodotto) ed il suo oggetto varia in relazione alla politica di produzione dell’impresa. Si possono presentare le seguenti cinque politiche di produzione: MAKE TO STOCK: vendita successiva alla produzione(es. prodotti alimentari non deperibili) ASSEMBLE TO ORDER: soltanto l’assemblaggio avviene dopo la vendita(es. settore automobilistico) MAKE TO ORDER: soltanto il processo di produzione avviene dopo la vendita PURCHASE TO ORDER: solo la progettazione avviene prima della vendita ENGINEERING TO ORDER: operations tirate dagli ordini dei clienti, esempio sono le opera strutturali. Lo scheduling operativo consente la determinazione del periodo di tempo necessario per svolgere le attività produttive richieste dall’esecuzione di un dato ordine di produzione. Assegna i singoli centri di lavoro gli ordini di produzione. Quando infine inizia la fase di esecuzione prende avvio il Controllo della Produzione. - Consente di rilevare giornalmente lo stato di avanzamento delle lavorazioni per garantire il rispetto dei piani, evidenziando e correggendo eventuali scostamenti - Si possono distinguere due tipologie di controllo: Controllo di retroazione(o feedback) con rilevazioni di eventuali scostamenti solo al termine delle operazioni di produzione Controllo di direzione(o feedforward), interviene prima dell’esecuzione del programma. L’intento di qualsiasi impresa è quello di poter effettuare in “controllo in real time” : appena rilevato qualsiasi scostamento dal programma delle lavorazioni, l’operatore può correggere tale scostamento in tempo utile.
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Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Nella realtà, i sistemi di programmazione della produzione possono adottare due logiche differenti: - Logica push: programmazione della produzione in base alle previsioni di vendita,un problema del sistema è un rischio di mercato. - Logica pull: la produzione e l’acquisto sono tirati dagli ordini effettivi, il rischio è minore in quanto non è necessario prevedere la domanda. Storicamente le imprese sono passate dalla programmazione di tipo push alla programmazione di tipo pull, adottando la tecnica gestionale del just in time. La logistica è l’insieme delle decisioni e delle attività, che sono finalizzate a un’efficace ed efficiente gestione del “flusso dei materiali”(materie prime, semilavorati, componenti, prodotti finiti). Le attività logistiche sono: • programmazione degli acquisti • trasporto dei materiali, fornitore allo stabilimento; • stoccaggio dei materiali nei magazzini • gestione della movimentazione interna dei materiali • stoccaggio dei prodotti in corso di lavorazione • stoccaggio dei prodotti finiti • Programmazione delle consegne e trasporto dei prodotti finiti In un sistema logistico è possibile individuare tre componenti fondamentali: 1) la componente infrastrutturale, cioè i vari stabilimenti di produzione e i magazzini tra i quali circola il flusso dei materiali, prima di raggiungere il mercato di riferimento; 2) la componente informativa, la quale è data dal “flusso delle informazioni” concernenti la gestione dei materiali. Il flusso informativo “anima” la rete logistica, orientandola verso prefissati obiettivi di efficienza e di efficacia. 3) la componente organizzativa che attiene alle modalità con le quali le responsabilità e i compiti sono ripartiti fra le diverse funzioni all’interno dell’impresa. La capacità di assicurare consegne veloci e affidabili e di “personalizzare” le modalità di consegna consente all’impresa: a) di aumentare il prezzo del prodotto; b) di ottenere un aumento del volume delle vendite. Le imprese separano sovente le attività logistiche in due parti: • la gestione dei materiali; • la distribuzione fisica dei prodotti. L’approvigionamento comprende le seguenti attività principali: analisi dei mercati d’acquisto; ricerca e valutazione preventiva di nuovi fornitori; selezione del fornitore(in base al costo di acquisto, alle qualità del prodotto e alla tempestività e puntualità delle consegne); progettazione degli strumenti di controllo delle prestazioni del fornitore. La matrice di Kraljic individua quattro tipologie di acquisti in funzione delle seguenti due variabili: l’importanza strategica/economica del materiale acquistato nel processo produttivo dell’impresa cliente, il rischio di approvvigionamento che attiene al livello di difficoltà che l’impresa acquirente incontra nel reperire il componente sul mercato. Possono essere individuate le seguenti tipologie di materiali(figura 11.11): 1) Materiali “non critici”, materiali e componenti che non presentano problemi di reperibilità(prodotti da un elevato numero di fornitori), hanno un impatto limitato sulla redditività dell’impresa cliente. L’obiettivo principale di questa politica di approvvigionamento è la riduzione dei costi del processo di acquisto, mettendo i concorrenza i fornitori dello stesso materiale; 2) Materiali con “effetto leva”, materiali prodotti da un numero elevato di fornitori che sono molto importanti dal punto di vista dei costi dell’acquirente(effetto leva).L’obiettivo di riduzione dei costi non si presenta facile da raggiungere. 3) Materiali “colli di bottiglia”, materiali con un elevato rischi di approvvigionamento e per una limitata importanza economica. Dato la scarsità dei fornitori l’obiettivo di tale politica è concentrarsi sulla creazione delle scorte visto il basso costo, per compensare eventuali ritardi o interruzione nelle forniture. 45
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli 4) Materiali “strategici”, componenti chiave per l’attività produttiva dell’azienda acquirente, offerti in numero limitato, le azioni principali da svolgere sono creare rapporti di lungo termine, collaborazione e controllo con l’impresa fornitrice. Le scorte sono costituite da tutti i materiali, di diversa natura, con differenti motivazioni e con vari obiettivi, che si trovano fisicamente in locali di produzione o di stoccaggio dell’impresa, la quale ne esercita anche il controllo.Esistono le seguenti tipologie di scorte ai fini della programmazione della produzione: a) materie prime, alimentano i processi produttivi dell’impresa industriale; b) i semilavorati, work in process, che comprendono che hanno subito trasformazioni in seguito a lavorazione nel sistema produttivo; c) i componenti, quei particolari o moduli già finiti destinati a essere utilizzati nelle linee o ne ireparti di assemblaggio; d) i prodotti finiti beni che hanno terminato il proprio ciclo di trasformazione e sono pronti per la consegna all’acquirente. Secondo un’altra classificazione, fondata sulla funzione svolta dai materiali nel sistema logistico, si rile vano: • scorte di transito, costituite dai materiali trasferiti d un luogo all’altro all’interno o all’esterno dello stabilimento; • le scorte di sicurezza, dirette a fronteggiare gli effetti negativi di variazioni non previste dalla domanda; • le scorte speculative, che possono assicurare un maggior ricavo nel momento della vendita(es. offerte 3x2). Il material management consiste in un insieme di tecniche, che possono essere utilizzate per la programmazione il controllo delle scorte. Le decisioni fondamentali nella gestione della scorta di uno specifico materiale sono tre: quale livello massimo della si deve programmare; • quando ordinare, momento occorre emettere l’ordine di approvvigionamento; • quanto ordinare la quantità da riordinare. La gestione dei materiali viene in genere impostata secondo: la logica dello stock control o la logica del flow control. La principale differenza consiste nel differente momento in cui viene emesso l’ordine d’acquisto del materiale, rispetto al momento del fabbisogno di tale materiale. a) La stock control prevede l’esistenza di una scorta reintegrata mediante il lancio di un ordine di approvvigionamento, quando si accerta che il livello dello stock è diminuito rispetto al fabbisogno previsto. b) Nella logica del flow control l’attenzione si sposta dal controllo dello stock al controllo del flusso di materiali, cioè il flusso che attraversa i vari stadi della supply chain(app., produzione, distribuzione). Modalità organizzativa basata sulla pianificazione del fabbisogno dei materiali. Per sapere quale logica adottare per la gestione di ogni tipologia di materiale si possono esaminare i seguenti fattori: Il rapporto tra lead time e tempo di programmazione- Il valore di impiego dei materialiNatura della domanda- Frequenza d’uso del materiale(si veda tabella 11.7).Le tecniche di gestione sono per la logica stock control: a) Tecniche di riordino “a quantità fissa”, si caratterizzano per il controllo continuo del materiale in stock e; quando le scorte scendono a un determinato livello minimo, avviene il reintegro, sempre della medesima entità. Uno dei problemi di questa tecnica è quello di determinare la dimensione del lotto che risulta economicamente più conveniente per l’impresa, quantitativo costante da ordinare di volta in volta per ridurre al minimo i costi totali CT (figura 11.13)di gestione delle scorte (Costi di ordinazione + costi di mantenimento) b)Tecniche di riordino “A periodo fisso” prevedono il controllo dello stock e l’emissione degli ordini(di acquisto e di produzione) a intervalli di tempo costanti(per esempio ogni settimana, ogni mese ecc.). Il livello di riordino viene calcolato così: 46
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La determinazione del livello di riordino dipende essenzialmente da tre fattori:
• • •
Il tempo necessario per l’approvvigionamento; Il consumo di merce nel lead time; La scorta di sicurezza.
Per la logica del flow control una tecnica di gestione dei materiali e il Material Requirement Planning fa coincidere il momento in cui si manifesta il fabbisogno di un dato materiale con il momento in cui il materiale è disponibile, al fine di evitare inutili immobilizzi di scorte. Il funzionamento della tecnica MRP si articola nelle seguenti fasi operative: 1) determinazione delle quantità da produrre e delle date di consegna per ogni prodotto finito; 2) calcolo della quantità di ciascun materiale(materie prime, componenti, semilavorati) necessaria per l’attuazione de programma di produzione; 3) determinazione del momento in cui dovranno essere inviati gli ordini di acquisto e gli ordini di produzione, per i quantitativi di materiali in precedenza calcolati. In questa fase è indispensabile conoscere: il lead time di produzione; cioè la durata di ogni fase di lavorazione per produrre ciascun componente; il lead time di app.; periodo di tempo tra l’emissione dell’ordine e la consegna del materiale rispetto al momento del suo utilizzo. Il just in time è una tecnica di gestione delle scorte: - Si basa sul principio di produrre i prodotti che servono nel momento e nella quantità in cui sono richiesti - Consente di rendere minime le scorte, incrementare la produttività, migliorare il servizio al cliente - Si basa sulla tecnica del Kanban; questa tecnica si basa su un principio molto semplice produrre il minimo indispensabile, per evitare l’accumulazione di scorte fra una stazione di lavoro all’altro. Lo strumento fondamentale di questa tecnica è il cartellino o scheda(kanban). Nella versione più diffusa il sistema funziona in base a due tipi di schede: il kanban di movimentazione, che accompagna i materiali nei loro movimenti, e quello di produzione, che autorizza il centro precedente a produrre il pezzo, dopo che si è sviluppato il fabbisogno al centro di lavorazione seguente. Il process re-engineering introduce un ripensamento fondamentale della struttura dei processi (produttivi, organizzativi, informativi, decisionali) con cui l’azienda organizza la propria attività. Tale ripensamento è finalizzato ad ottenere radicali miglioramenti nelle performance dell’impresa sotto il profilo dei costi, della qualità, del servizio, della tempestività,… la qualità è diventato elemento fondamentale del vantaggio competitivo. In passato assicurare la qualità ha significato prevalentemente garantire la conformità alle specifiche di progettazione di un dato bene, a una serie standard. Ora il management aziendale deve quindi comprendere anche il punto di vista del consumatore; le caratteristiche del prodotto devono ottenere il soddisfacimento delle aspettative del “cliente”(customer satisfaction). La Qualità Totale consiste in un insieme di azioni, quali: programmi di miglioramento continuo a tutti i livelli, coinvolgimento alla qualità dell’intera azienda e delle singole persone. Il Total Quality Management è un approccio gestionale per l’ottenimento di un elevato livello di soddisfazione dei clienti e basato sul coinvolgimento di tutte le funzioni e di tutti i livelli aziendali. Durante gli anni Novanta grande diffusione ha avuto l’istituto della Certificazione della Qualità; la certificazione è l’attestazione, rilasciata da un ente super partes, che un prodotto o il sistema di qualità dell’impresa è conforme ai requisiti, contenuti nelle norme o regole definite da enti specializzati. La certificazione consente all’impresa di ottenere una maggiore credibilità, in quanto la qualità viene valutata in base a criteri oggettivi e da enti esterni all’impresa: ciò produce effetti positivi sull’immagine aziendale. 47
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Il ruolo dell’ICT - Applicazione dell’ICT al sistema informativo aziendale - Gestione informatizzata delle attività logistico-produttive Verso l’esterno: - Clienti: controllo degli ordini - Fornitori: verifica scorte e tempestività delle forniture - Integrazioni con i partner Le potenzialità delle tecnologie informatiche nella gestione della produzione si esprimono in: - Velocità dei processi decisionali – riduzione del lead time dei processi aziendali - miglioramento della capacità di risposta ai cambiamenti dell’ambiente - Miglioramento della produttività del lavoro e dell’efficienza del sistema Time-based competition vede la “riduzione del tempo” come fattore competitivo dell’impresa: - Riduzione del ciclo di sviluppo di nuovi prodotti e del ciclo di fabbricazione. - In particolare la riorganizzazione delle diverse aree della produzione: impianti, layout, gestione dei materiali, programmazione, controllo delle scorte - La Quick response e una tecnica di gestione del flusso delle informazioni che accompagna quello dei materiali. È simile come principio al just in time. CAPITOLO XII L’innovazione, intesa come generazione di nuove idee, e di un’attività di sfruttamento commerciale rappresenta uno dei motori fondamentali del progresso e della crescita dei sistemi economici. L’innovazione strategica è intesa come l’insieme degli strumenti, delle attrezzature e delle conoscenze che mettono in relazione gli input e output dell’attività dell’impresa o generano nuovi prodotti e servizi. Nel primo caso, si fa riferimento a tecnologie di processo mentre nel secondo caso si fa riferimento a tecnologie di prodotto. L’innovazione diventa quindi l’introduzione di modifiche a uno qualsiasi di questi elementi. Gli strumenti per la protezione dell’innovazione sono classificabili come: strumenti legali e la natura della tecnologia. Nel primo caso rientrano i brevetti, i diritti d’autore, i cosiddetti segreti commerciali. Nel secondo caso tra tecnologia di processo, nonché tra conoscenze codificate e conoscenze tacite. I brevetti indicati come la soluzione più efficace per la protezione di idee innovative di natura tecnologica. La possibilità di brevettazione è riconducibile a due elementi fondamentali: Innovatività: tutte le nuove innovazioni; Applicabilità industriale: deve avere un’applicabilità industriale, non sono brevettabili tutte le nuove invenzioni, non comportano lo sviluppo di un’attività industriale. Una volta concesso, il brevetto ha una durata pluriennale, consente sfruttamento esclusivo dell’innovazione in un determinato periodo di tempo e in ambito geografico ben preciso, le cui violazioni sono sanzionabili con ammende di tipo economico. Il dibattito sull’efficacia e il ruolo dei brevetti è piuttosto articolato, e complesso perché: • è possibile aggirare i limiti definiti dal brevetto concentrandosi su altre soluzioni, pur utilizzando principi già presenti in soluzioni brevettate. • L’onere della scoperta della violazione del brevetto ricade sul titolare del brevetto, che deve così affrontare i costi legali associati alla tutela della propria innovazione. • L’efficacia della protezione dipende dall’efficienza del sistema giudiziario. • Confronto tra il valore economico di un brevetto e i costi abbastanza noti e molto elevati derivanti dal procedimento di registrazione del brevetto e dalla gestione di questo durante il suo ciclo di vita. Vi sono strategie di protezione alternative rispetto al brevetto quali per esempio i segreti commerciali di una conoscenza che può essere ceduta in licenza sotto il vincolo di non divulgazione, o l’entrata anticipata su di un mercato. 48
Economia e gestione delle imprese/Fontana-Caroli Tanto più le conoscenze sono codificabili(disegni, manuali, procedure) tanto più è possibile fare ricorso a strumenti legali. Il concetto di risorse complementari è legato a una variazione di reddito generate da una risorsa in presenza o in assenza di altre risorse. Se la redditività di una risorsa cresce con la disponibilità dell’altra allora quest’ultima sarà complementare alla prima. Le risorse complementari possono essere generiche o specializzate. Le risorse complementari sono generiche quando soddisfano un’esigenza comune non legata ad una particolare attività innovativa. Le risorse specializzate,al contrario sono caratterizzate da una dipendenza diretta dell’innovazione della risorsa o viceversa, o da una dipendenza reciproca si diranno cospecializzate. Per quanto riguarda il concetto di standard una prima distinzione può essere fatta tra standard di qualità e standard di uniformità Gli standard di qualità comprendono tutte le scelte e le soluzioni richieste in ambito di processo(per esempio, procedure di testing) o di prodotto(per esempio, livello di difettosità) affinché vengano soddisfatte le esigenze le aspettative del cliente. Al contrario gli standard di unìformità identificano aree specifiche di attenzione nella formulazione delle politiche tecnologiche. Tra gli standard di uniformità è possibile distinguere tra standard di intercambiabilità e standard di prodotto. I primi sono finalizzati all’integrazione di prodotti o componenti differenti tra loro, come per esempio il Wireleess Application Protocol(WAP), che rende possibile l’utilizzo dei telefoni cellulari quali browser Internet. I secondi invece consentono una riduzione di varietà in una particolare classe di prodotti, come per esempio i sistemi operativi MS-DOS/Windows e Apple-Macintosh nei personal computer. Abernathy e Utterback per risolvere il problema per la definizione del quadro di riferimento competitivo hanno proposto un modello che mette in relazione il ciclo di vita della tecnologia del processo e del prodotto: INNOVAZIONE DEL PROCESSO: Non- coordinato, segmentato, Sistemico. INNOVAZIONE DEL PRODOTTO: Massimizzazione delle prestazioni, Massimizzazione delle vendite, Massimizzazione dei costi.
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