L31 Dalle tensioni ammissibili agli stati limite L31 Dalle tensioni ammissibili agli stati limite li mite Le norme tecniche per il progetto degli elementi strutturali in cemento (pardon – calcestruzzo) armato sono diventate “olistiche” (e forse anche “ostiche”) più o meno con la pubblicazione, negli anni ’70 del secolo scorso (!), dei codici modello (Model Code) che sono alla base degli Eurocodici, dunque delle nostre norme tecniche. Stante che le prime norme risalgono agli inizi del 900 il processo è stato lungo non per cattiva volontà, ma perché nel caso delle costruzioni la verifica delle prescrizioni di una norma si ha solo realizzando le strutture e verificandone il comportamento nel tempo, e ci vuole tempo perché le strutture evidenzino comportamenti anomali che si possano far risalire ad aspetti non considerati nella norma. Si dice che gli edifici si costruiscono dal basso in alto ma si progettano dall’alto in basso. Come inizia il progetto di un edificio? Con la stima dei carichi. E quali sono i carichi più importanti, per gli edifici? Non i carichi variabili, relativamente modesti nei casi comuni, ma i carichi permanenti, peso proprio e carico permanente portato che come intensità se la giocano circa alla pari. Dunque la stima del peso proprio dei solai è da farsi con attenzione, se non si vogliono sbagliare i conti. Dunque occorre subito definire lo spessore del solaio e l’altezza delle travi, se fuori spessore di solaio. Parliamo allora di solai. Negli ultimi anni abbiamo sentito parlare di sfondellamento dei solai in laterizio e visto strutture anche recenti deformarsi per effetto del solo peso . Perché questo avviene per strutture relativamente recenti e non per quelle degli anni ’30 o ’50? Cosa è cambiato da allora? La deformazione degli elementi strutturali in c.a. era poco o punto trattata nelle prime norme tecniche italiane, ma per buone ragioni. I Regi Decreti del 1907 e del 1939, in coerenza con la cultura dell’epoca, si basavano sul calcolo elastico delle sollecitazioni e degli stati di tensione e, per il progetto, prescrivevano “tensioni ammissibili” particolarmente limitate.
Fig. 1 - Addio fondelli
Fig. 2 – R.D. 10/1/1907: prima di “San”Tarella
Tassi di lavoro ridotti comportano, in generale, 1) sezioni di geometria significativa, 2) ridotti allungamenti dell’acciaio - per la legge di Hooke σ = E ε = E ∆l/l l’allungamento ∆l è direttamente proporzionale al tasso di lavoro σ del materiale - e 3) modeste tensioni nel calcestruzzo compresso quindi trascurabili effetti viscosi (viscosità = aumento della deformazione elastica a tensione costante, come quelle dovute ai carichi permanenti). Limitando le tensioni aumentano le sezioni e si limitano, indirettamente, le inflessioni. Tutte le formule elastiche di calcolo delle frecce (Pl3/48EI, 5/384ql4/EI…) hanno infatti, a denominatore, il momento d’inerzia “I”. Se sono poi modesti gli allungamenti delle fibre tese e gli accorciamenti delle fibre compresse, sono modeste le rotazioni delle sezioni e di conseguenza le inflessioni (“integrale secondo” delle curvature, proporzionali a loro volta alle rotazioni). Il Regio Decreto del 10 Gennaio 1907 (Gennaio è un mese ricorrente per le norme) contiene le “Prescrizioni normali no rmali per l’esecuzio ne delle opere di cemento armato” in 27 paragrafi che stanno in 3 (tre!) pagine formato A4, una dedicata alle “prescrizioni generali” e alla “qualità dei materiali”, una alle “norme di costruzione” e una al “collaudo” e alle “norme per i calcoli statici”. La resistenza “allo schiacciamento” del conglomerato a 28 giorni non doveva essere minore di 15 N/mm2 con coefficiente di sicurezza pari a 5, dunque dunqu e tensione ammissibile di 3 N/mm2; l’acciaio lavorava a 100 2 N/mm . Delle deformazioni si dice solo che per il calcolo la sezione d’acciaio va omogeneizzata con n = 10. La parte di calcolo, ampliata in un testo del 1928, cresce nel R.D. del 16 Novembre 1939 a 26 pagine e 52 articoli. La resistenza a compressione sale fino a un massimo di 18 N/mm2 con coefficiente di sicurezza pari a 3, dunque tensione ammissibile a
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L31 Dalle tensioni ammissibili agli stati limite compressione di 6 N/mm2. La tensione ammissibile dell’acciaio passa da 100 a 140 N/mm2 se dolce, 200 N/mm2 se semiduro o duro ma l’uso di quest’ultimo obbliga al contemporaneo impiego di calcestruzzo di maggior qualità, con resistenza a compressione di 22,5 N/mm2.
Tutto cambia negli anni ’70: la tecnologia fornisce acciai sempre più performanti, come testimoniato dal progressivo incremento dei loro tassi di lavoro – la “tensione ammissibile” dell’acciaio cresce da 100 N/mm2 del 1907 a 140 N/mm2 del 1939 a 260 N/mm2 nel 1974 (+260%) – e aumentano i tassi di lavoro di calcestruzzi teoricamente migliori (la definizione di resistenza caratteristica è del 1972) ma troppo spesso solo “sulla carta”, come evidenziato oggi dal degrado di tante strutture realizzate in quegli anni e confermato dalle misure su campioni di calcestruzzi prelevati su strutture dell’epoca. A questa tendenza si aggiunte un cambiamento di non poca importanza: nelle zone allora non ancora sismiche le travi ricalate a T degli edifici civili vengono sostituite da travi rettangolari in spessore di solaio, più economiche come carpenteria (ma non come armatura) ma che gridano vendetta dal punto di vista della logica strutturale. Le travi di figura hanno ugual area, dunque richiedono la stessa quantità di calcestruzzo, ma momenti di inerzia baricentrici I R = (60x20 3 )/12 = 40.000 cm4 e I T = 146.667 cm4, 3,7 volte maggiore del primo. Anche l’armatura si riduce perché aumenta, per la trave a T, il braccio di leva: assumendo d = 0,9h la riduzione è all’incirca il (0,9x20)/(0,9x40)= 50%. Il 27% della deformazione e Fig. 3 – Quanto conta la forma? metà armatura della trave rettangolare per due spondine in più: verrebbe il dubbio se le imprese sappiano fare i conti, se non si tenessero presenti anche altri fattori. Il passaggio da travi ricalate a travi in spessore è stato imposto dalle norme edilizie che hanno portato l’altezza netta di piano dai 300 cm degli anni ’60 a 280 e poi, verso la metà degli anni ’70, a 270 cm; con 270 cm le travi ricalate di bordo non si possono fare dato che il cassonetto degli avvolgibili richiede 30-40 cm . All’interno si sarebbe potuto ricalare ma le imprese volevano semplificavano la carpenteria e gli immobiliaristi essere più liberi di fare le partizioni come volevano, adducendo che ”..la trave ricalata non piaceva alla signora Maria..” - come se la signora Maria cambiasse la disposizione dei muri delle camere con la stessa frequenza con cui cambiava le scarpe. Al Sud le travi ricalate si continuano a fare perché, oltre al problema della sismicità elevata, l’altezza netta di piano è rimasta a 300 cm per cui ricalando 30 cm si arriva ai 270 cm, misura che obbliga alle (o è una forte scusa per ) travi in spessore.
Alle norme, prima o poi, quasi tutti i progettisti si adeguano in base all’assunto che “se lo dice la norma, vuol dire che posso/devo farlo”, soprattutto se manca l’esperienza di insuccessi, propri o altrui: dato che le strutture realizzate dagli inizi del 900 agli anni 70 non presentavano problemi di deformabilità, perché non sfruttare i tassi di lavoro di calcestruzzo e acciaio più elevati permessi dalle norme più recenti per realizzare solai di maggior lunghezza o travi con sezioni meno importanti e/o meno armate? tanto le verifiche tensionali, le “tensioni ammissibili” erano rispettate….Un minimo di riflessione avrebbe aiutato a non sbagliare: se per i solai si fosse ragionato ad esempio sulla relazione tra “freccia” e “momento massimo” si sarebbe capito che a parità di carico totale e di dimensioni, aumentando il tasso di lavoro dei materiali aumenta sì proporzionalmente il “momento” resistente, ma se questo aumento viene utilizzato per aumentare il carico la luce che il solaio può coprire e l’inflessione, la “freccia” aumentano in modo proporzionale, se viceversa a parità di carico viene aumentata la luce l’inflessione aumenta in modo più che proporzionale. Nei solai monodirezionali in calcestruzzo e laterizio la possibilità di “tarare” l’area dell’armatura in funzione delle sollecitazioni è più limitata che nelle travi: in una nervatura si mettono sempre almeno due barre ad es. 2 φ 12. Se le barre lavorano a un tasso più elevato (perché aumenta la “tensione ammissibile”), aumenta proporzionalmente, a parità di spessore di solaio, il momento resistente M R = As σ sam 0,9d (la verifica della tensione del calcestruzzo è raramente critica per i solai stante la larghezza della loro zona compressa). A parità di carico e schema statico, ragionando in termini di resistenza, ci si potrebbero permettere luci maggiori. Ma cosa succede alle deformazioni? Un solaio appoggiato di luce l soggetta a un carico uniformemente distribuito p ha nella sezione di mezzeria momento M = pl 2 /8 e freccia elastica f = 5pl 4 /384EI. A parità di materiale (modulo E), di armatura e di sezione (dunque di carico totale p) aumentando il tasso di lavoro dell’acciaio del 20% il momento resistente M aumenta un po’ meno del 20%. Al valore M * = 1,20 M può corrispondere una luce incrementata l * = (8xM*/p)1/2 . Il rapporto l*/l vale dunque l*/l = (M*/M)1/2 = (1,2)1/2 ≈1,10 cioè la luce potrebbe essere aumentata del * 10%. Ma nella formula della freccia le luci sono elevate alla quarta potenza, dunque /f f = (1,10)4 = 1,46: aumentando la luce del 10% a parità di tutto il resto la freccia aumenta del 46%. Poi gli effetti viscosi amplificano il tutto, i solai si sfondellano, i tramezzi e i pavimenti si fessurano… Lezioni di piano © 2012 F. Biasioli – Rev. 0
L31 Dalle tensioni ammissibili agli stati limite Il normatore aveva intuito che se si aumentavano i tassi di lavoro dei materiali qualcosa occorreva fare per limitare le inflessioni: il RD del 1939 prescriveva: “…lo spessore di una soletta che non sia di semplice copertura non deve essere minore di 1/30 della portata e comunque non minore di cm.8 …”; il DM del 74 ex legge 1086 del 71 riduceva la “snellezza” l/h dei soli solai ai valori h/l ≥ 1/25 per i solai di abitazione e 1/30 per quelli di copertura. In entrambi i casi valori generici, se si considera che per un solaio di luce assegnata il rapporto h/l dipende, oltre che dal carico, peraltro parzialmente preso in conto con la distinzione tra solai interni e di copertura, dallo schema statico: un solaio continuo è certo meno deformabile di un solaio semplicemente appoggiato. E nulla la norma diceva per altre tipologie (piastre, travi). La freccia massima di un solaio “perfettamente incastrato” è f = pl 4 /384 EI, 1/5 di quella in semplice appoggio: nei casi reali la freccia varia tra il 20% (incastri perfetti) e il 100% della freccia del solaio in semplice appoggio.
A poco ovviamente serve un solaio in grado di portare carichi anche elevati (ce ne vuole per demolire una struttura!) ma troppo deformabile o che vibra al passaggio delle persone. Se pur si accetta che vibrino i vecchi solai di legno nelle case di campagna perché l’esperienza ci dice che non c’è pericolo (“sono lì da tanti anni…”), non lo si accetta per i solai di casa o dell’ufficio. Se vibrano, se si fessurano i tramezzi o le piastrelle del pavimento, se si accumula acqua sulla copertura, cresce l’ansia e non serve dire “guarda che non crolla niente”: partono gli avvocati che chiedono il risarcimento ex art. 1669 del Codice Civile. In figura 4 si vedono una soletta di copertura di un accesso a un passo carraio (sopra) e una passerella. Nel primo caso il rapporto h/l è di circa 1/40, nel secondo 1/30. In entrambi i casi la deformazione dovuta al solo peso è aumentata nel tempo per la viscosità del calcestruzzo. La sicurezza non è certo messa in discussione, ma ci potrebbero essere perplessità da parte degli utenti (non ingegneri). Fig. 4 – h/l ≈ 1/40 – 1/30
Un effetto indiretto è rappresentato in figura 5: la copertura, una piastra monodirezionale di grande luce, si è deformata nel tempo al punto da caricare i divisori interni, nonostante il gioco delle loro viti di fissaggio. E tutto perché probabilmente i progettisti (architettonico, strutturale) si erano fidati delle “tensioni ammissibili”.… La prestazione “resistenza”, presente nelle norme degli inizi del ‘900, non è dunque da sola sufficiente a garantire che una struttura “funzioni”: occorre considerare nel progetto anche altre prestazioni (funzionalità, durabilità, sostenibilità). E’ idea relativamente r ecente, recepita nelle norme con il concetto di stato limite, “…condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata…”. Sicurezza, certo, ma soprattutto funzionalità nell’uso, che è poi la ragione per cui, se si escludono i monumenti, vengono costruite le opere
Fig. 5 – Carico di punta
Resistenza e durabilità sono oggetto degli stati limite ULTIMI (SLU), funzionalità e ancora durabilità degli stati limite di ESERCIZIO (SLE). Perché la gente comune dà per scontato che una struttura non crolli - per fortuna i crolli rimangono eventi poco frequenti - ma vive sulla propria pelle il buono o cattivo comportamento “giorno per giorno” delle strutture ed è penalizzata da qualunque riduzione della loro funzionalità d’uso.
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L31 Dalle tensioni ammissibili agli stati limite
Se a poco serve una struttura che, pur sicura nei confronti di un poco probabile collasso, abbia prestazioni inadeguate durante l’uso corrente, ne deriva che non esiste “graduazione di importanza” tra SLU e SLE: perché una struttura sia accettabile tutti gli stati limite sono ugualmente importanti e devono essere verificati. La differenza tra le due categorie di stati limite non sta nella norma, sta in tribunale: se si verifica uno stato limite ultimo con danni a persone si va in penale, per uno stato limite di esercizio con limitazione d’uso basta il giudizio civile. In entrambi i casi, sono grane.
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