Lezione 1 Farmacologia Generale Il farmaco in inglese è chiamato Drug, e significa droga. Attualmente in italiano con il termine droga si intendono sostanze stupefacenti. Mentre in inglese, il termine “drug” indica sia il farmaco in generale, sia il farmaco nel senso di stupefacente. Il farmaco in generale è qualsiasi sostanza chimica, che abbia un qualsiasi effetto di qualunque tipo; le sostanze chimiche le possiamo considerare a livello di effetti individuali. La maggior parte dei farmaci si danno ai pazienti per curare le malattie, ma ci sono dei farmaci che non curano la malattia, ad esempio i preparati anticoncezionali: non è che una donna che assume una pillola è malata; quindi questo non è un farmaco che serve per curare una malattia, ma per prevenire la gravidanza. Ad esempio uno sportivo che assume una sostanza dopante non è malato, ma la assume per poter migliorare la sua prestazione sportiva. I farmaci che si utilizzano per le disfunzioni erettili, come il Viagra, questo viene prescritto quando c’è la disfunzione erettile, e quindi anche questo non è un farmaco che cura problemi o malattie, ma serve a migliorare le prestazioni. Quindi il farmaco lo possiamo definire come sostanza chimica con effetti: A livello individuale, nell’uomo (paziente o soggetto sano che sia) A effetti a livello ambientale, cioè sostanze tossiche o inquinanti lasciate nell’ambiente, in tal caso si parla di tossicologia ambientale, perché si studiano gli effetti a livello di ambiente, impatto sull’ecosistema, e sulle specie. Se invece ci riferiamo all’effetto dei farmaci a livello individuale, dobbiamo subito fare una distinzione tra due opzioni: la farmacocinetica e la farmacodinamica. La farmacocinetica è quella parte della farmacologia che studia il destino del farmaco una volta che questo è introdotto nell’organismo. Quindi la farmacocinetica non studia quello che il farmaco fa all’organismo, ma quello che l’organismo fa al farmaco. L’insieme della farmacocinetica viene riassunto nell’acronimo ADME (Assorbimento, Distribuzione, Metabolismo, Eliminazione). L’analisi farmacocinetica ci permette alla fine di analizzare le concentrazioni di farmaco nei siti attivi, là dove deve andare ad agire, organi bersaglio, cellule bersaglio, tessuti bersaglio. Ovviamente tra questi ci sono quelli richiesti e quelli non richiesti. Ad esempio un farmaco anti-tumorale viene spesso somministrato per via sistemica, e questo farmaco agisce sul bersaglio che è il tumore, però di fatto in misura più o meno grande, il farmaco viene sempre distribuito anche a siti che non sono propriamente il bersaglio. Un altro esempio che possiamo fare è che una pomata che viene somministrata per via topica, ha lo scopo di agire sulla lesione cutanea, ma anche in questo caso questo farmaco in una certa misura può essere assorbito. Ovviamente l’azione del farmaco sul bersaglio richiesto produce l’effetto terapeutico, mentre l’azione del farmaco sui bersagli non richiesti può produrre effetti tossici, in ogni caso produce degli effetti collaterali. Solitamente questi sono effetti sfavorevoli, ad esempio gli antistaminici che sono farmaci che come effetti collaterali producono sonnolenza, questo è un effetto svantaggioso ovviamente. Quindi riassumendo:
Farmaci: -
Sostanze medicamentose (se il loro impiego si traduce in un’azione clinicamente favorevole) Sostanze tossiche (se il loro impiego si traduce in un’azione clinicamente sfavorevole)
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“Tutte le sostanze sono veleni; non ve n’è alcuna che non sia un veleno. E’ la giusta dose che differenzia un veleno da un farmaco”
Una SOSTANZA quindi può avere: EFFETTO sfavorevole);
PRINCIPALE
(favorevole
o
EFFETTI sfavorevoli);
SECONDARI
(favorevoli
o
Theophrastus Phillippus Aureolus Bombastus von Hohenheim
Paracelso (1493-1541)
EFFETTO PRINCIPALE E SECONDARI FAVOREVOLI
EFFETTO PRINCIPALE E SECONDARI SFAVOREVOLI
SOSTANZE MEDICAMENTOSE EFFETTO PRINCIPALE E SECONDARI FAVOREVOLI
EFFETTO PRINCIPALE E SECONDARI SFAVOREVOLI
Se il peso dell’effetto principale e secondari favorevoli prevale rispetto all’effetto principale e secondari sfavorevoli allora si tratta di sostanze medicamentose.
Nel caso in cui invece, al contrario prevale, si manifesta prima l’azione sfavorevole, allora abbiamo una sostanza tossica.
SOSTANZE TOSSICHE AZIONI TERAPEUTICHE Come vengono svolte le azioni terapeutiche? Le azioni terapeutiche dei farmaci vengono svolte secondo queste modalità: 1. SOSTITUZIONE (SOSTITUZIONE DI SOSTANZE MANCANTI), cioè vuol dire che il farmaco agisce sostituendo la sostanza endogena che è difettosa, o che manca: Ferro (anemia sideropenica, cioè anemia da carenza di ferro): anche qui il ferro esogeno agisce in modo sostitutivo; Insulina (diabete mellito): nel diabete di tipo 1, che è una malattia di tipo autoimmune, in cui le β-cellule nelle isole di Langherans sono distrutte, quindi non c’è insulina endogena, e il paziente ha bisogno di insulina esogena. Terapie ormonali: ad esempio gli estrogeni somministrati nella menopausa. Ovviamente la sostituzione non utilizza l’ormone endogeno così com’è, ma un analogo, cioè che svolga lo stesso compito.
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2. COMPENSAZIONE (RIEQUILIBRIO DI UN’ATTIVITÀ DIFETTOSA): Digitalici (insufficienza cardiaca): la digitale è un farmaco che aumenta la forza di contrazione del cuore; quando c’è uno scompenso cardiaco infatti, la forza di contrazione del cuore è diminuita, e allora si somministra la digitale per modulare un’azione; Diuretici (edemi): i diuretici si utilizzano essenzialmente per aumentare l’escrezione renale di acqua e di soluti (di Sodio) o quando il rene non ce la fa o quando ci sono degli edemi. 3. SOPPRESSIONE (ELIMINAZIONE DI REAZIONI ESAGERATE O INDESIDERATE): ad esempio i farmaci che agiscono da antagonisti riducono la stimolazione di un recettore: Cortisonici (reazioni allergiche): si utilizzano per ridurre l’entità delle reazioni infiammatorie, sia acute che croniche. Pensiamo agli immunosoppressori, sono quei farmaci che sopprimono la risposta immune, in caso di trapianto di un organo evitano la reazione di “rigetto”; -bloccanti (extrasistoli): questi farmaci ad esempio si danno per diminuire la frequenza cardiaca, quando c’è tachicardia, o anche quando non c’è tachicardia, e quindi vanno ad inibire la stimolazione del recettore βadrenergico cardiaco; Antibiotici (infezioni batteriche): gli antibiotici non svolgono un’azione sul nostro organismo ma sull’organismo infettante, e quindi serve ad eliminare i batteri. 4. REGOLAZIONE (MODULAZIONE DI CERTE REAZIONI): Vaccini (stimolazione del sistema immunitario): i vaccini hanno una funzione modulatoria, perché stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi nei confronti di un particolare antigene.
ELEMENTI DEL PROFILO DI UN FARMACO • • • • • • • •
Storia Origine Chimica Effetti biochimici, fisiologici e farmacologici: meccanismo d’azione (farmacodinamica) Assorbimento, distribuzione, metabolismo, escrezione (farmacocinetica) Effetti secondari sfavorevoli (tossicologia) Usi terapeutici (farmacoterapia) Preparazioni: come produrre la forma farmaceutica, perché produrla in un determinato modo, ecc.
SCIENZE AFFINI O CONNESSE ALLA FARMACOLOGIA •
Farmacognosia: studia il farmaco naturale, che si trova in natura, e quindi la farmacognosia è l’analisi del farmaco così come si presenta e così come noi lo andiamo ad utilizzare;
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Chimica farmaceutica: quella parte della moderna farmacologia che si preoccupa di produrre farmaci di sintesi, produce quindi molecole sintetiche, come ad esempio l’acido acetil salicilico (aspirina);
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Biochimica e Fisiologia;
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Tecnica farmaceutica. Per quanto riguarda i farmaci, tutti i farmaci che abbiamo nel prontuario, rientrano tutti quanti in queste categorie:
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Naturale: quando si trovano in natura indipendentemente da noi; i farmaci naturali possono essere di origine animale, vegetale, microbiologica;
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Artificiale: quando non esistono come tali e quindi sono prodotti dall’uomo. Dalla seconda metà dell’800 cominciano i farmaci artificiali: o
Sintetica: sono la maggior parte dei farmaci che abbiamo ora;
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Semi-sintetica: vuol dire che si prende come base una molecola presente in natura, e poi si modifica in laboratorio; questo è il caso di moltissimi antibiotici, come ad esempio le cefalosporine, alcuni macrolidi;
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Farmaci biologici: è una categoria nuova ed è in grande espansione. I farmaci biologici fino a 30 anni fa non esistevano, oggi ne esistono sempre di più, e la maggior parte dei nuovi farmaci che vengono prodotti e immessi in commercio sono di tipo biologico. I farmaci di tipo biologici sono prima di tutto farmaci prodotti dall’uomo
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(quindi artificiali), però non mediante le tecniche della chimica farmaceutica, bensì utilizzando i processi della biologia, per esempio la tecnica del DNA ricombinante. La proteina infatti viene prodotta da una coltura cellulare, una coltura batterica in particolar modo. Questi farmaci quindi, sono soprattutto proteine, comprendono ad esempio tutti gli anticorpi monoclonali. Gli anticorpi monoclonali sono tutti quei farmaci che finiscono con la desinenza MAB (Monoclonal Anti - Body): bevacizumab, farmaco il cui nome commerciale è avastin, questo è un anticorpo monoclonale diretto contro il fattore di crescita vasculo-endoteliale (VEGF). Questo farmaco trova applicazione in alcune forme di tumore, ad esempio nel cancro del colon. Ma gli anticorpi non sono necessariamente antitumorali, c’è ad esempio un anticorpo che è un anti-piastrinico, chiamato Abciximab. Farmaci biologici sono anche tutte le proteine analoghe degli ormoni: una volta si utilizzava l’insulina estratta dal pancreas del maiale, oggi si utilizzano analoghi dell’insulina, che sono tutti prodotti mediante tecnologia ricombinante. Molto spesso il nome del farmaco, quando si tratta di una proteina ricombinante, finisce spesso in –tide (che indica propriamente la parola polipeptide). Naturalmente tra i farmaci biologici rientrano anche i farmaci che hanno struttura di acidi nucleici. Farmaci biologici sono i cosiddetti aptameri, sono sequenze di acidi nucleici (RNA) che però agiscono non in virtù della loro sequenza, a differenza dell’oligonucleotide antisenso che è un RNA che agisce sfruttando l’informazione che è contenuta nella sua catena; l’aptamero invece agisce un po’ come una proteina, cioè ha una struttura terziaria e secondaria, per cui agisce in funzione della sua struttura e non della sua sequenza.
FARMACI DI ORIGINE NATURALE Di farmaci naturali ce ne sono moltissimi: fino alla prima metà dell’800 erano tutti farmaci naturali, ma ancora oggi molti farmaci sono naturali. Ad esempio molti antibiotici sono di origine naturale, o alcuni farmaci di origine animale, ad esempio il cortisone, i corticosteroidi, oggi sono sintetici, ma sono stati scoperti negli anni ’30, e venivano estratti dalla ghiandola surrenale di animali. Gli ormoni ipofisari ad esempio, oggi sono tutti ricombinanti, ma fino a ieri erano estratti da ipofisi di animali. Tra i farmaci invece di origine vegetale, vi è l’acido salicilico, estratto dalla corteccia del salice; il chinino, utilizzato per curare la Malaria veniva estratto dalla corteccia della cinchona. Tra i farmaci di origine naturale, bisogna fare una distinzione fra: •
Droghe: in farmacognosia la droga non è la sostanza d’abuso, ma riguarda una sostanza naturale che contiene un “principio attivo” e che viene assunta come tale. Un esempio di droga è l’oppio: questa è sia una sostanza d’abuso, che una sostanza naturale (è infatti il lattice del papavero). Ma l’oppio non è il principio attivo, questa infatti contiene una serie di alcaloidi, tra cui la morfina; un’altra droga è ad esempio la foglia della digitale: questa è una pianta, e in passato, trituravano questa foglia, la essiccavano e poi la assumevano per bocca; tra le varie droghe c’è anche la foglia della cannabis, la cosiddetta marijuana; Le droghe in generale si distinguono in droghe organizzate (sono quelle droghe che hanno struttura cellulare, ad esempio le foglie delle piante) e droghe non organizzate (sono quelle secrezioni che non hanno struttura cellulare, come ad esempio l’oppio, che produce il lattice; lo stesso vale per alcune resine di alcune piante).
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Estratti: cioè in molti casi si procedeva alla estrazione, ovvero estrarre il principio attivo dal tessuto vegetale o animale mediante appositi solventi; questi solventi possono essere acquosi, oleosi, alcool.
CATEGORIE TERAPEUTICHE (CLASSIFICAZIONE ATC) Tutti i farmaci vengono classificati nel prontuario, secondo la classificazione ATC. L’acronimo ATC sta per “Anatomico Terapeutico chimico”; qualsiasi farmaco, una volta che è stato usato nell’uomo o per il quale si preveda l’impiego umano, ha una sua carta d’identità. Quindi la classificazione ATC permette di dire che tipo di farmaco è. La categoria principale è la categoria A, ovvero “anatomico”, che definisce l’organo o l’apparato sul quale il farmaco svolge la sua azione principale. Nella classificazione presente sotto è possibile vedere una lettera maiuscola, che è l’iniziale in inglese dell’organo o apparato sul quale il farmaco svolge la sua azione terapeutica principale. A. Apparato gastro-enterico e metabolismo B. Sangue ed apparati emopoietici: questa categoria ad esempio comprende i farmaci anti-coagulanti, anti-piastrinici, farmaci fibrinolitici C. Sistema cardiovascolare: comprende farmaci anti-ipertensivi, farmaci dello scompenso cardiaco D. Dermatologici G. Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali
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H. Preparati ormonali sistemici J. Antimicrobici per uso sistemico: cioè antibiotici e antivirali L. Farmaci antineoplastici ed immunomodulatori M. Sistema muscolo-scheletrico N. Sistema nervoso P. Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti R. Apparato respiratorio S. Organi di senso: tutti i farmaci dell’occhio, dell’orecchio V. Vari: questa categoria non riguarda un particolare organo o apparato; ad esempio vi si trovano gli antidoti, che sono quei farmaci che si utilizzano negli avvelenamenti, nelle intossicazioni acute. Ad esempio la cefoxitina è una cefalosporina, un antibiotico appartenente alla classe delle cefalosporine, e nella tabella sopra è possibile vedere la classificazione ATC, che nel caso della cefoxitina è J01DC. Oppure il metilprednisolone sono farmaci dermatologici perché la categoria ATC è D07AA. In questa classificazione, la prima lettera indica l’organo, poi si trovano due numeri e altre due lettere, ciò significa che la prima classificazione è anatomica, poi c’è una classificazione terapeutica, e alla fine c’è una classificazione chimica.
PRESIDI TERAPEUTICI •
Prodotti etici: sono quei farmaci che vengono venduti in farmacia dietro presentazione di ricetta medica. Sono farmaci importanti, che possono essere dispensati solo dietro presentazione di ricetta medica, perché hanno rischi elevati.
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Prodotti a denominazione generica: i generici sono quei farmaci per i quali è scaduto il brevetto. Quando scade il brevetto di un farmaco, significa che chiunque (cioè qualunque casa farmaceutica) può produrre quel farmaco, e quindi per il regime del libero mercato, il prezzo tende ad abbassarsi. Inoltre i farmaci generici hanno l’obbligo di costare il 20% in meno del farmaco originale.
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Prodotti galenici: sono farmaci che non sono prodotti dall’industria farmaceutica, ma sono prodotti dal farmacista delle farmacie oppure dal farmacista ospedaliero. I prodotti galenici si distinguono in 2 categorie:
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Magistrali: sono quelli che vengono prodotti dal farmacista su indicazione del cosiddetto “Magister”, cioè il medico; Officinali: quello che è prodotto dal farmacista senza indicazioni da parte del medico, ed è una sorta di prodotto da banco, prodotto dal farmacista. •
OTC “over the counter”: cioè “prodotti da banco”, vuol dire che sono farmaci che possono essere acquistati da chiunque senza bisogno di prescrizione medica. Gli OTC sono prodotti che devono essere sul mercato, e quindi registrati e venduti al pubblico da almeno 5 anni. Questi prodotti sono farmaci che servono per curare patologie minori, cioè sono farmaci che sono relativamente esenti da rischi, cioè hanno pochi effetti indesiderati, danno pochi effetti avversi.
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Omeopatici (unitari e complessi): gli omeopatici unitari comprendono un solo principio attivo, quelli complessi ne comprendono diversi.
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Parafarmaceutici: sono presidi sanitari che vengono venduti in farmacia e nelle parafarmacie, e che comprendono anche una serie di dispositivi, per esempio alcuni cosmetici, oppure aghi, ecc.
La Farmacologia moderna è figlia della Chimica. La chimica moderna la possiamo far risalire a Lavoisier, alla fine del 18° secolo. LEGGE DI LAVOISIER: conservazione della massa nelle reazioni chimiche Lavoisier fu il primo a capire e ad enunciare in maniera formale il concetto secondo il quale, nelle reazioni chimiche, non si crea materia e non si distrugge materia, ma si trasforma, quindi la massa rimane sempre uguale. Lavoisier riuscì a costruire dei dispositivi che riuscivano ad immagazzinare gas che si producevano durante le reazioni chimiche. Quindi riuscì a determinare con buona precisione, il peso dei reagenti e il peso dei prodotti di reazione, e così annotando in maniera puntigliosa, le masse dei reagenti e le masse dei prodotti di reazione, elaborò questo concetto della conservazione di massa.
Dalla legge di Lavoisier deriva, in maniera non immediata, la cosiddetta legge dell’azione di massa:
Questa legge stabilisce che quando noi abbiamo una reazione chimica (con dei reagenti e i prodotti di reazione), abbiamo un equilibrio tra le quantità dei prodotti di reazione e le quantità dei reagenti, che viene definita dalla cosiddetta costante di dissociazione, che ci dà il valore di questo fattore. Questa formula ci indica che, il prodotto di reazione diviso il prodotto dei reagenti è costante. Questa legge in sostanza dice che: se noi abbiamo più reagenti, avremo più prodotto di reazione, cioè la quantità del prodotto di reazione è funzione della quantità dei reagenti.
OMEOPATIA L’omeopatia non segue la legge dell’azione di massa. La legge dell’azione di massa, trasportata in farmacologia, ci dice che se noi aumentiamo la concentrazione di farmaco, aumentiamo la concentrazione del complesso farmacorecettore. In sostanza all’aumentare delle concentrazioni delle dosi, aumenta l’effetto. L’omeopatia fu elaborata nel 1810 da Samuel Hahnemann. I principi dell’omeopatia sono questi: 1. Similia similibus curantur (le cose simili curano i loro simili): vuol dire che in omeopatia si ritiene che per curare i sintomi di una malattia, bisogna utilizzare degli agenti che in assenza di malattia determinerebbero quegli stessi sintomi. 2. Diluizione (fino a 30 centesimali): il dogma della farmacologia è che tutti i farmaci aumentano la loro azione all’aumentare della dose della concentrazione. Invece nell’omeopatia si ritiene che avvenga il contrario, cioè che i farmaci aumentino la loro azione al diminuire della loro concentrazione, cioè con la diluizione. Quindi i prodotti omeopatici vengono opportunamente diluiti. Sono diluizioni fino a 30 centesimali. Una diluizione centesimale significa
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che si prende una parte e la si diluisce con 99 parti di solvente. Ad esempio: abbiamo un estratto da una pianta e vogliamo fare una diluizione centesimale, si prende 1ml di questo estratto, la metto in una provetta e aggiungo 99ml di acqua (questa è una diluizione di un centesimale). Diluizione di 2 centesimali invece, vuol dire che prenderò una parte di questa prima diluizione che ho fatto, la metterò in una seconda provetta e aggiungerò nuovamente 99 parti di acqua (cioè 1ml della prima diluizione verrà diluita ancora di 100 volte). Nella seconda provetta in questo modo avrò diluito 10.000 volte. Se diluisco una terza volta, ottengo una diluizione di 1.000.000 di volte. Di conseguenza 30 centesimali, significa che si diluisce 1/1060. Noi però sappiamo che il numero di molecole e di atomi non è infinito, Avogadro propose questo numero, che è uguale a 6.0221367… x 1023, e che corrisponde al numero di molecole contenute in una mole. Una mole di un qualsiasi composto è quella quantità di composto, il cui peso espresso in grammi è pari come numero al peso molecolare. Quindi se noi prendiamo una mole di qualsiasi principio attivo (qualche centinaio di grammi) e cominciamo a diluirlo fino a 30 centesimali, non è rimasta nemmeno una molecola. Quindi questo è un concetto che va in contrasto con la legge dell’azione di massa. 3. Dinamizzazione: consiste nel fatto di agitare, tra una diluizione e l’altra, le provette per un determinato tempo, e quindi secondo questo principio si imprimono delle proprietà al composto.
Farmacodinamica Farmacodinamica è la descrizione delle proprietà dell’interazione farmaco-recettore. La prima cosa che dobbiamo considerare è la relazione dose-risposta. Quando parliamo di dosi dobbiamo tener conto dell’effetto, perché l’effetto aumenta al crescere della dose, e per alcuni farmaci l’azione del farmaco può variare con le dosi, per esempio il caso dell’aspirina: la cardio-aspirina, cioè l’aspirina fino a 100mg al giorno, si prende come farmaco anti-aggregante piastrinico, cioè come farmaco anti-trombotico (per impedire l’aggregazione delle piastrine). La prendono sia persone anziane, malate, sia persone che hanno fattori di rischio cardiovascolari, ma che non hanno ancora sviluppato nessuna malattia, in questo caso si parla di prevenzione primaria. Quando invece si prende l’aspirina a dosi più elevate, ovvero fino a 1g al giorno, l’azione dell’aspirina cambia, si perde l’azione anti-aggregante, mentre viene fuori l’azione anti-infiammatoria.
LE DOSI •
Dosi efficaci
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Dosi tossiche
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Dosi letali
DE5, DE50, DE95
DT5, DT50, DT95
DL5, DL50, DL95 La DE (dose efficace), è la dose che determina l’effetto terapeutico desiderato; la DT (dose tossica), è la dose che determina un determinato effetto tossico (ad esempio la dose di aspirina che determina sanguinamento gastrico è una dose tossica, e non terapeutica); poi ci sono le DL (dosi letali), in cui c’è il massimo effetto tossico, ed è quella dose che determina morte. Ma come si fa a determinare la dose efficace? Si deve determinare statisticamente su una popolazione di animali, e poi anche nell’uomo. La DE5 vuol dire la dose efficace che determina l’effetto desiderato nel 5% della popolazione in studio. DE50 invece, è la dose efficace che determina l’effetto nel 50% della popolazione in studio; DE95 è la dose efficace che determina l’effetto desiderato nel 95% della popolazione. Le dosi che noi utilizziamo in terapia devono essere vicine alla DE95. Per le dosi tossiche si fa il ragionamento contrario, cioè noi non vogliamo mai arrivare neanche alla dose tossica DS5; la risposta di una popolazione a dosi di un farmaco segue la distribuzione di Gauss, è una curva a campana, in cui la maggior parte della popolazione risponderà ad una mediana, però ci saranno degli estremi. In ogni caso nella popolazione c’è il soggetto che reagisce a dosi bassissime, quello che reagisce a dosi più alte, ecc. La dose tossica 50 è più alta della dose tossica 5, e più alta della dose tossica 96. Lo stesso vale per la dose letale.
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CURVA DI GAUSS Questi parametri servono a definire per ogni farmaco il coefficiente terapeutico e il coefficiente di maneggevolezza. Il coefficiente terapeutico non è altro che il rapporto tra la DL50/DE50. Tanto più alto è il coefficiente terapeutico, tanto maggiore è il margine di sicurezza che noi abbiamo per utilizzare quel farmaco, ciò significa che ce ne vuole tanto per uccidere, e molto poco per avere l’efficacia. Un parametro che si utilizza ancor di più in farmacologia è il cosiddetto coefficiente di maneggevolezza, che ci dà un margine ancora più grande di sicurezza perché non è altro che il rapporto tra: DL5/DE95. Un farmaco maneggevole ha dosi tossiche molto alte, dosi terapeutiche molto basse. Ma quante volte bisogna prendere un farmaco? Solitamente nel foglietto illustrativo (bugiardino) ritroviamo queste indicazioni:
Q.d. (più raramente, u.i.d.) 1 volta al giorno (dal Latino “quaque die” e “unum in die”, risp.) B.i.d. 2 volte al giorno (dal Latino “bis in die”) T.i.d. 3 volte al giorno (dal Latino “ter in die“) Q.i.d. 4 volte al giorno (dal Latino “quater in die”) Q.h Indica posologie più frequenti (“q” sta per “quaque” e “h” indica il numero delle ore: per esempio “2 caps q4h” significa “2 capsule ogni 4 ore” La maggior parte dei farmaci agiscono con un meccanismo d’azione recettoriale, laddove per recettore intendiamo un bersaglio specifico di natura biologica, cioè una macromolecola biologica. Però esistono farmaci che agiscono con un meccanismo extra-recettoriale, ad esempio tutti i farmaci che agiscono da tampone acido o basico, oppure i farmaci che si utilizzano come protettori della mucosa o della pelle, oppure gli antidoti, che sono farmaci che agiscono con un meccanismo extra-recettoriale, perché agiscono interagendo in maniera chimica o fisica con una sostanza tossica che si vuole neutralizzare. L’antidoto quindi blocca la sostanza tossica. L’EDTA (acido etilendiamminotetraacetico) ad esempio è un antidoto, perché è una sostanza chelante che si utilizza negli avvelenamenti da piombo, lega il piombo, e ne permette l’eliminazione. Però nella categoria antidoti si trova anche il naloxone, non è un antidoto, ma è un antagonista recettoriale della morfina, e quindi lo troviamo indicato come antidoto, ma non è un antidoto vero e proprio, perché non agisce complessandosi con la sostanza. Sempre in questa categoria si trova il flumazenil, questo è un antidoto nei confronti del sovradosaggio da benzodiazepine. Anche questo tuttavia, non è un antidoto, ma un antagonista recettoriale, perché impedisce il legame del benzodiazepine al recettore GABA.
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Lezione 2 Farmacologia Generale Concetto di recettore, agonista, attività intrinseca Concetto di selettività: si riferisce alla capacità che un dato agente ha di discriminare tra siti recettoriali vicini. Capacità di un farmaco di discriminare tra sottotipi recettoriali. Per esempio si sente dire 5HT1D oppure D2 selettivo che vuol dire selettivo per il recettore colinergico di tipo 2. Ma cosa vuol dire selettivo? Che tra i vari recettori dopaminergici che sono tanti quel farmaco riconosce quel recettore. Più grande è la selettività maggiore è la capacità del farmaco di discriminare tra sottotipi recettoriali vicini. Concetto di specificità: si riferisce agli effetti target (recettore-mediati) e agli effetti off-target (aspecifici, cioè effetti mediati dall’interazione con altri sistemi, altri canali, altri recettori, diversi dal bersaglio principale). Un farmaco è tanto più specifico quanto minore è il numero dei suoi effetti off-target (fuori bersaglio). Per esempio se studiamo un nuovo beta-bloccante (i beta-bloccanti sono antagonisti dei recettori beta-adrenergici). Dei beta-adrenergici ne abbiamo dei sottotipi: β1, β2, β3. I β2 sono recettori che legano un farmaco che genera broncodilatazione. I recettori β1 invece sono responsabili di aumento della frequenza cardiaca, della gittata cardiaca e della forza di contrazione cardiaca. Se noi vogliamo un beta-bloccante per agire sul cuore non vogliamo che questo agisca anche come broncodilatatore, allora vogliamo un farmaco beta1 selettivo perché discrimina tra 2 sottotipi recettoriali che sono vicini tra loro anche se la selettività è sempre relativa e non è mai assoluta quindi questo farmaco agisce sui beta1 e sui beta2 però agirà maggiormente sui beta1 essendo selettivo. Se ammettiamo che questo farmaco beta-bloccante agisca anche sui recettori alfa-adrenergici e istaminergici allora l’appetibilità di questa molecola sarebbe estremamente bassa agendo su tutta una serie di bersagli recettoriali. Cosa succede quando abbiamo più farmaci somministrati contemporaneamente a un organismo? Cosa può scaturire dalla simultanea azione di più farmaci? Potrebbe dare: 1. Indifferenza: quando un farmaco non influenza l’altro. Per esempio se somministro un antivomito e un antiipertensivo e gli effetti non sono modificati allora sono indifferenti; 2. Sinergismo: quando abbiamo farmaci che alterano nella stessa direzione un dato parametro fisiologico. Per esempio se diamo 2 farmaci che aumentano la pressione o 2 farmaci che diminuiscono la pressione. Questi farmaci singolarmente A e B agiscono ma se li do insieme ci sono varie possibilità. Il sinergismo può essere di vario tipo: Il sinergismo additivo cioè farmaco A + farmaco B dà l’effetto che è la somma dei 2 effetti singolarmente e questo si verifica quando si danno 2 farmaci che appartengono alla stessa categoria farmacologia come 2 beta-bloccanti, oppure 2 diuretici o 2 broncodilatatori che appartengono alla stessa categoria farmacologia. Questa è però una situazione teorica perché questo non si fa mai perché non è una situazione vantaggiosa in quanto è una regola in farmacologia non associare MAI 2 molecole della stessa classe perché l’effetto terapeutico è difficilmente prevedibile. Il sinergismo propriamente detto è quello con potenziamento: è quel fenomeno per il quale l’effetto dei 2 farmaci dati insieme è superiore alla somma dei 2 effetti singolarmente considerati. Si realizza con farmaci che appartengono a classi diverse. E’ vantaggioso perché così si possono diminuire le dosi e il rischio di tossicità è diminuito. Un altro tipo di sinergismo è il sinergismo con inversione: quando abbiamo un farmaco A e un farmaco B che separatamente hanno un effetto ma quando li mettiamo insieme realizzano un effetto che è l’opposto di quello che avevamo prima. Per esempio: quando diamo simultaneamente Adrenalina e Ergotamina che sono entrambi vasocostrittori. L’adrenalina agisce sui recettori α1 adrenergici che sono vasocostrittori e sui recettori β2 che sono vasodilatatori. Se diamo una concentrazione appropriata di adrenalina avremo una vasocostrizione infatti l’adrenalina è data dal dentista quando fa un’anestesia locale per restringere l’effetto dell’anestetico in quella zona. L’ergotamina ha un effetto vasocostrittore diretto che però è mediato da recettori serotoninergici però ha un effetto antagonista sugli α recettori adrenergici. Per cui se diamo adrenalina da sola avremo vasocostrizione da recettori adrenergici, se diamo ergotamina da sola avremo vasocostrizione da recettori serotoninergici, se diamo insieme le 2 sostanze l’ergotamina antagonizza l’adrenalina sui recettori alfa e prevale così l’azione dell’adrenalina sui recettori β ottenendo così una vasodilatazione. Si parla di sinergismo con riduzione quando l’effetto di due farmaci è inferiore alla somma degli effetti singolarmente considerati ma è superiore agli effetti singolarmente considerati (A o B < AB < A+B). 3. Antagonismo: avviene quando 2 farmaci esercitano effetto opposto. Per esempio se un farmaco A determina vasodilatazione e un farmaco B vasocostrizione e li do insieme l’effetto finale sarà nullo. 4. Antidotismo: si intende per antidoto un farmaco che inattiva un altro farmaco da un punto di vista puramente chimico-fisico e l’effetto viene impedito perché i 2 farmaci interagiscono tra di loro. E’ un concetto usato in tossicologia infatti il farmaco agisce perché interagisce con il tossico. Per l’effetto di antidotismo alcuni farmaci non si possono usare nella stessa miscela, nella stessa siringa e si parla in questo caso di “incompatibilità farmaceutica”. E’ qualcosa che si svolge fuori dall’organismo quindi ne deve tener conto l’industria farmaceutica o l’infermiere. L’antidotismo è quindi usato per curare un avvelenamento e gli antidoti sono distinti in antidoti interni che agiscono nel sangue e inattivano il tossico circolante e antidoti esterni che agiscono fuori dal torrente circolatorio sulle superfici cutanee e mucose per esempio per ingestione di acidi forti (acido solforico) si somministra come antidoto una base debole (non una base forte perché altrimenti scatenerebbe una reazione termica), invece se si ingerisce una base forte (soda caustica) si dà come antidoto un acido debole (succo di limone). Gli antidoti interni si somministrano per
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avvelenamento da piombo per esempio, comune nei bambini perché una volta il Pb era usato nella pittura e in questo caso un antidoto è l’acido etilendiammino tetraacetico (EDTA) che è un chelante che blocca il Pb.
IL RECETTORE Il recettore è una macromolecola a cui il farmaco si lega per dare un effetto. Il recettore è una proteina specifica che prima di rispondere ai farmaci esistono per rispondere a sostanze endogene, ad agonisti endogeni cioè agenti che stimolano il recettore. Mentre gli agonisti endogeni esistono sempre gli antagonisti endogeni non esistono quasi mai. Gli antagonisti invece agiscono contro natura e l’uomo li ha scoperti per esempio in alcune piante trovate per caso. Per esempio l’Atropa belladonna è una pianta che contiene l’Atropina, antagonista di recettori muscarinici. Si chiama belladonna perché nell’antichità le donne si stillavano gocce di questa pianta per dilatare la pupilla e Atropa perché Atropo era una delle 3 parche che tenevano i fili della vita e Atropo recideva questo filo e la pianta prende questo nome perché tossica. Il concetto di recettore moderno fu postulato da Ehrlich sulla base dell’immunochimica. L’utilizzo dei coloranti in Germania portò alla scoperta dei sulfamidici. Un farmaco può esplicare un effetto terapeutico solo se possiede affinità per il gruppo reattivo della molecola biologica. Quindi la molecola protoplasmatica che si combina con il farmaco è il recettore. Per affinità intendiamo la capacità che quel farmaco ha di legare il recettore. Per esempio un farmaco β - bloccante ha affinità per il recettore β1adrenergico. Il recettore β2 ha affinità per una altro farmaco e quindi c’è una selettività. La selettività è quindi il rapporto di affinità, se il rapporto è grande la selettività è grande, se il rapporto è piccolo, al limite se il rapporto è 1, il farmaco è non selettivo perché si lega con bassa affinità al sottotipo 1 e al sottotipo 2. Come interagiscono i farmaci o i neurotrasmettitori con i recettori? L’interazione è quasi sempre reversibile e ad alta energia che scaturisce dalla somma di reazioni chimiche a bassa energia. I legami più deboli di tutti sono le forze di van der Waals che sono reazioni dipolo-dipolo. Il legame a idrogeno è debole ma più forte del precedente ed è sempre un legame dipolo-dipolo ma non temporaneo come il precedente. Quindi poi ci sono i legami ionici e infine i legami covalenti che sono ad alta energia, questi ultimi entrano in gioco nell’interazione farmaco – recettore solo quando questa è irreversibile ma questo avviene raramente. Quindi l’interazione farmaco-recettore è complessivamente ad alta energia perché le interazioni sono molteplici, interagiscono in modo tridimensionale. La natura del recettore qual è? E’ una proteina, lipoproteina o glicoproteina, generalmente localizzata nella membrana plasmatica, la massa è di 45200 kd e può essere costituita da più subunità, spesso glicosilata. L’interazione farmaco-recettore, il “binding” è reversibile e stereoselettivo. Kd è la costante di dissociazione e misura l’affinità farmaco-recettore. La misura della Kd è la concentrazione espressa in nM, pM. (Una concentrazione è nanoMolare quando ce n’è 1 nanoMole in un Litro). La Kd di un farmaco di solito è tra 1-100 nM. Quindi la costante di dissociazione di un farmaco, Kd è la concentrazione di farmaco che lega la metà di recettori accessibili. Se abbiamo una soluzione in cui c’è una sospensione cellulare se dobbiamo legare la metà dei recettori presenti e il farmaco ha affinità 50nM c’è bisogno di una concentrazione di farmaco di 50nM/L per legare la metà dei recettori presenti. Quindi più bassa è la costante di dissociazione e più alta è l’affinità e viceversa. Più alta è l’affinità e meno farmaco ci vuole. Se la Kd di un farmaco è 50pM e quella di un altro farmaco è 50microM, 50microM è 1 milione di volte in più di 50pM. In quest’immagine questa struttura rappresenta la molecola del Carvedilolo che è un β - bloccante che ha anche attività α - bloccante ma primariamente β - bloccante. E’ rappresentato un recettore β – adrenergico con le regioni idrofobiche grigie e la regione polare in rosso. Il carvedilolo ha degli stereoisomeri (una molecola ha 2 stereoisomeri per ogni centro chirale, sono isomeri ottici). Dei 2 stereoisomeri ce n’è uno il più attivo che interagisce con tutte e tre le regioni, quello meno attivo interagisce solo con le regioni idrofobiche per cui l’isomero più attivo avrà un’affinità più alta e l’altro ha un’affinità più bassa.
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Infatti l’enantiomero R ha Kd per i recettori β di 45 nM, l’enantiomero S ha Kd 100 volte inferiore (0.4nM). Per ogni molecola di isomero R ne avremo 100 di isomero S. Ovviamente siccome avremo una miscela racemica avremo una Kd che sarà la metà perché sarà diminuita l’affinità. Se invece vediamo la Kd per i recettori α vediamo che per i 2 isomeri è simile. Quindi dire che l’interazione farmaco - recettore è stereoselettiva vuol dire che la Kd dei 2 isomeri è di solito diversa. Per alcuni farmaci possiamo comunque avere la miscela racemica e non è un problema somministrarla perché sarà comunque uno attivo e uno inattivo. Per altri farmaci invece si estrae solo un isomero come per un antidepressivo (S-cifalpam??). Per alcuni farmaci la non selettività dà effetti collaterali, in altri casi è sfruttata positivamente. I recettori sono saturabili cioè in presenza di farmaco possono essere legati totalmente perché in numero finito. Prendiamo concentrazioni crescenti di ligando (il farmaco che si lega al recettore) in una scala lineare in nM e nelle ordinate abbiamo il complesso farmaco-recettore espresso in nM. B sta per bound cioè legato. Al crescere della concentrazione di farmaco libero cresce il complesso farmaco-recettore. Ma non all’infinito, fino a un massimo. Questa curva è simile alla curva di MichaelisMenten in cui si considera la concentrazione di substrato e quella del complesso enzima-substrato. Ha la forma di un’iperbole. I parametri importanti sono la Kd che corrisponde alla costante di Michaelis (concentrazione di substrato per la quale si realizza la metà della velocità massima di reazione enzimatica). La Kd è la concentrazione di farmaco per la quale abbiamo la metà del Bmax e per Bmax intendiamo la massima capacità legante dei recettori e si esprime in numero di recettori. Quindi Bmax è una misura del numero dei recettori presenti. Quando li abbiamo legati tutti otteniamo il Bmax. Se abbiamo una sospensione di membrane messe a reagire con un farmaco radiomarcato in concentrazioni crescenti il Bmax lo misureremo in nM o pM o microM per milligrammo di proteina in soluzione. La Kd è la concentrazione che permette di avere la metà del Bmax. Quindi: Kd = [X][R] / [XR] data la reazione
[X] + [R] [XR]
In questa relazione se consideriamo il caso in cui metà dei recettori sono legati l’altra metà sarà libera il rapporto R/XR vale 1 e in questo caso la Kd è esattamente la concentrazione X. Più piccola è la Kd più alta è l’affinità e viceversa.
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AFFINITA’ E MASSIMA OCCUPAZIONE RECETTORIALE
– – –
Il binding specifico ai recettori risulta nella trasduzione del segnale ad un sito intracellulare cioè l’interazione farmaco-recettore attiva un sistema di trasduzione del segnale che si trasferisce a un sistema effettore cioè il responsabile dell’effetto. Può richiedere il legame di più di una molecola di farmaco al recettore per generare il segnale perché ci sono dei recettori che hanno bisogno di legare più molecole di agonista anche se è raro. L’ordine di grandezza del segnale dipende dal numero di recettori occupati o dalla velocità di occupazione dei recettori; il segnale è amplificato da meccanismi intracellulari cioè nella traduzione del segnale a livello intracellulare ad ogni tappa si verifica un’amplificazione del segnale perché ogni recettore attiva tanti sistemi. Per esempio un recettore β adrenergico attiva una G proteina che attiverà altre molecole. Da un recettore si attivano 1000 molecole per esempio. Agendo a livello dei recettori i farmaci possono aumentare, diminuire o bloccare la generazione o la trasmissione del segnale. Un agonista è quella molecola che attiva un recettore e l’interazione molecola-recettore può determinare un segnale. Per esempio su in un vaso ci sono agonisti che determinano vasodilatazione e altri agonisti che determinano vasocostrizione il tutto dipende dall’attivazione di recettori differenti. Ancora più importante è a livello del sistema nervoso in cui i neurotrasmettitori che sono liberati nelle sinapsi si legano sui recettori della membrana postsinaptica e il neurotrasmettitore altera il potenziale di membrana. Ci sono neurotrasmettitori inibitori e altri eccitatori, sono tutti agonisti ma gli eccitatori depolarizzano la membrana postsinaptica producendo un EPSP mentre gli inibitori producono un IPSP. Quindi sono tutti agonisti. Il GABA è un neurotrasmettitore inibitore. Il glutammato è un eccitatore. I farmaci sono modulatori dei recettori e non conferiscono nuove proprietà alle cellule o ai tessuti. I recettori devono avere proprietà di riconoscimento e trasduzione. I recettori possono essere up-regulated or down-regulated concetto applicato all’aumento o alla diminuzione del numero dei recettori per esempio per stimolazione cronica o per mancanza di stimolazione. Il che avviene tramite regolazione genica dei recettori.
FUNZIONE RECETTORIALE ALTERATA DA MALATTIA •
Myasthenia gravis E’ una malattia del recettore colinergico della placca neuromuscolare. Sono prodotti autoanticorpi e si ha distruzione progressiva dei recettori per l’acetilcolina con conseguente debolezza muscolare. Come terapia si somministrano inibitori dell’acetilcolinesterasi come neostigmina e fisostigmina.
•
Malattia di Graves Si ha un aumento della funzione recettoriale perché gli anticorpi sono diretti contro il recettore della tirotropina, l’ormone ipofisario che stimola la tiroide. Questi anticorpi hanno effetto agonista e stimolano la tiroide con effetto di ipertiroidismo.
RELAZIONE DOSE-RISPOSTA La teoria dell’occupazione semplice di Clark: Secondo questa teoria l’interazione farmaco-recettore segue la legge d’azione di massa. Secondo questa teoria le molecole di farmaco si legano ai recettori con una velocità che è funzione della concentrazione del farmaco che viene fuori dalla relazione che abbiamo visto prima ma è anche uguale a questo rapporto tra k+1 e k-1. Il numero delle interazioni farmaco-recettore determina l’ordine di grandezza dell’effetto del farmaco. Quindi l’effetto dipende dalla quantità del complesso farmaco-recettore. Più recettore troviamo più effetto abbiamo. Legge d’azione di massa:
[X] + [R] [XR] E(effetto) Kd = [X][R]/[XR]
Questa curva è quella che abbiamo visto prima, bisogna ricordarsi che si chiama Isoterma di adsorbimento di Langmuir perché esprime l’adsorbimento di gas su una Superficie metallica.
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Nella teoria dell’occupazione semplice di A.J. Clark assumiamo: (1) l’ampiezza dell’effetto farmacologico (E) è direttamente proporzionale a XR (complesso farmaco-recettore) (2) L’effetto massimo (Emax) si osserva quando tutti i recettori sono legati a X (X= farmaco) Discrepanza Nella teoria dell’occupazione semplice di Clark: Di solito noi osserviamo un effetto massimo quando non tutti i recettori sono occupati ma solo una frazione, questo perché ogni recettore amplifica il segnale e magari con una percentuale inferiore al 100% dei recettori occupati sono attivati tutti gli effettori. In effetti un effetto massimo per un agonista endogeno non si verifica quasi mai in seguito all’occupazione di tutti i recettori ma solo di una parte. Perciò i recettori non attivi sono i recettori di riserva o spare receptors e questo è dimostrabile con l’uso di un antagonista irreversibile che si lega a un recettore e lo inattiva per esempio un farmaco alchilante che si lega tramite legame covalente ai recettori si è visto che l’effetto massimo non cambia. Per esempio si può fare con un farmaco (denossibenzamina??) che si lega ai recettori α adrendergici irreversibilmente, mettendone una quantità opportuna eliminiamo una parte dei recettori di riserva ma l’effetto max si raggiunge lo stesso.
CURVE DOSE – RISPOSTA
Ci sono 2 tipi di rappresentazione: Graduale Quantale Quelle graduali riguardano variabili continue come la pressione sanguigna o la frequenza cardiaca. Quelle quantali invece sono risposte tutto o nulla per esempio la morte, una persona o è morta o è viva; oppure la gravidanza una è incinta o non lo è! Quello che varia in una popolazione è il numero di individui che manifestano la risposta. Se parliamo della morte se diamo dosi più alte di un farmaco in una popolazione osserviamo la frequenza di mortalità sempre maggiore. Questa è una curva graduale. In ascissa c’è la Concentazione del farmaco e in ordinata l’effetto espresso Come E/Emax per esempio aumentando la concentrazione di adrenalina la frequenza cardiaca aumenta. Questa è una scala lineare se invece la trasformiamo in scala logaritmica la curva si trasforma da iperbole…….
……a sigmoide e questo si fa per comodità. Questo perché in passato faceva calcolare meglio i valori rispetto all’altra curva perché la parte centrale è quasi lineare e viene più comodo calcolare l’EC50 cioè la dose che mi dà il 50% dell’effetto max.
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Questa è la rappresentazione semilogaritmica. Tra le curve l’effetto max è diverso e lo è anche l’EC50 infatti diversi agonisti per lo stesso recettore hanno diversa EC50 e quindi diversa potenza del farmaco. Più bassa è l’EC50 e più potente è il farmaco. Invece l’effetto max è la misura dell’efficacia di un farmaco. L e N hanno diversa potenza ma uguale efficacia. M ha una potenza maggiore di N ma un’efficacia minore. Questi 4 farmaci in basso invece hanno diversa potenza e diversa efficacia.
Questa è una curva quintale tutto o Nulla che è una curva di istogrammi e Aumentando la dose aumenta il numero di individui che risponde.
Queste sono sempre curve quantali ma se si mettono gli istogrammi uno sull’altro diventa una sigmoide. ED50 è la dose che determina l’effetto terapeutico desiderato nel 50% degli individui.
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AGONISTA E ANTAGONISTA Agonista: è un farmaco che attiva il processo recettore-mediato attraverso interazioni reversibili basati sulla legge di azione di massa. Nel caso di un agonista abbiamo un EC50 che può corrispondere alla Kd ma nel caso in cui i recettori di riserva sono in numero piuttosto piccolo, di solito Kd e EC50 non coincidono. L’unico modo per determinare direttamente la Kd è marcare un farmaco e andare a vedere parallelamente separandoli, le quantità di farmaco legato e quelle di farmaco libero. Se noi invece misuriamo l’effetto non possiamo calcolarci la Kd ma possiamo misurare la EC50 che di solito è vicina alla Kd ma non coincide quasi mai. Quindi dall’effetto di un agonista non possiamo desumere la sua Kd.
Antagonista: sostanze che si legano al recettore ma non sono in grado di attivarlo cioè non producono alcun effetto. L’effetto dell’antagonista si vede solo in presenza dell’agonista. L’antagonista da solo non dà effetto, ma in presenza dell’agonista riduce l’effetto dell’agonista stesso. Per esempio l’effetto dell’adrenalina da sola è diversa rispetto al suo effetto in presenza di un antagonista come un betabloccante perché in questo caso l’effetto è minore. Questa situazione è diversa se noi consideriamo in vivo o in vitro perché in vivo una concentrazione di agonisti endogeni c’è sempre a concentrazione più o meno alta. Questa figura mostra una serie di agonisti che hanno diversa affinità rispetto allo stesso recettore ma stessa efficacia. Stesso Emax. B ha attività 10 volte minore di C ma l’efficacia è la stessa. ED50 ci informa sulla potenza relativa per esempio A è 20-30 volte più potente di B. L’efficacia è la risposta massima che un farmaco è in grado di produrre. La potenza è una misura della dose necessaria a produrre una risposta (es.ED50).
Eccezione al modello occupazionale di Clark: Relazione non-lineare tra l’occupazione e la risposta C’è un altro parametro che dobbiamo considerare che è stato introdotto da Ariens e Stephenson nel 1956 ed è l’Attività intrinseca o efficacia: quando noi diciamo che 2 agonisti non hanno la stessa efficacia vuol dire che non hanno la stessa attività intrinseca. L’attività intrinseca è la misura della capacità che l’agonista ha di attivare il recettore. Quindi un farmaco deve avere la capacità di legarsi a un recettore ma anche di modificarne la struttura permettendo una trasduzione. E’ come il modello chiave-serratura: possono entrare tante chiavi (farmaci) ma solo una è quella che funziona (attiva il recettore). L’attività intrinseca può essere più o meno grande per vari agonisti per cui avremo agonisti interi che determinano la massima attività, altri che hanno un efficacia minore sono detti agonisti parziali (è un farmaco che si lega al recettore ma non riesce ad attivarlo in maniera massimale quindi ha un’attività intrinseca inferiore. Per cui l’effetto max sarà minore.)
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Lezione 3 Farmacologia Generale ANTAGONISTI RECETTORIALI Gli antagonisti recettoriali sono composti basici che non hanno attività intrinseca, cioè si legano al recettore senza riuscire ad attivarlo. L’effetto dell’antagonista si evidenzia solo in presenza dell’agonista, poiché diminuiscono o prevengono l’azione dell’agonista. Quanto detto si riferisce ad un sistema in vitro, dove possiamo regolare la concentrazione dell’agonista, in vivo non è così perché gli agonisti sono sempre presenti, in concentrazioni più o meno grandi. Per esempio le catecolamine liberate dal simpatico oppure l’adrenalina liberata dalla midollare del surrene, in concentrazioni variabili, sono sempre presenti nel nostro organismo, nel momento in cui somministriamo un beta-bloccante, che è l’antagonista, antagonizziamo la loro azione. In un discorso ideale, in cui abbiamo i recettori muscarinici e l’antagonista da solo, questo non fa nulla. Gli antagonisti vengono classificati in: 1. ANTAGONISTI COMPETITIVI, competono il sito di legame dell’agonista. 2. ANTAGONISTI NON COMPETITIVI, che vengono detti anche ANTAGONISTI ALLOSTERICI, il termine allosterico deriva dal greco e nel caso specifico si riferisce ad un composto che agisce legandosi ad un sito diverso da quello a cui si lega l’agonista. Un’espressione più corretta per riferirsi a questi composti è MODULATORI ALLOSTERICI NEGATIVI, infatti questi composti si legano ad un sito del recettore e ne modificano la conformazione in modo tale che l’attività dell’agonista diminuisca. Quindi il modulatore allosterico non fa altro che legarsi ad un sito in modo tale da disturbare l’interazione tra agonista e recettore. Grafico A. E’ un grafico lineare e in blu vediamo la curva dose-effetto di un agonista da solo. Se mettiamo insieme all’agonista una determinata concentrazione di antagonista competitivo osserviamo che l’iperbole che viene fuori (curva verde) è un po’ schiacciata, ma l’effetto massimo rimane invariato. Nel grafico andiamo a vedere per esempio l’EC50 (concentrazione di agonista che da sola dà il 50% dell’effetto) in presenza di antagonista, notiamo che rispetto
all’EC50 dell’agonista da solo è più spostata a destra e questa nuova concentrazione è data dalla seguente equazione:
C’= C (1+ [l]/ Ki) dove: C’ è l’EC50 in presenza di antagonista competitivo, C l’EC50 di agonista da solo, l è la conc. di antagonista e Ki è la costante di dissociazione dell’antagonista. La conc. equiattiva di agonista in presenza di antagonista, quindi, è uguale alla concentrazione di agonista che determina quell’effetto quando è da solo moltiplicata per il parametro presente nell’equazione ( 1+ [l]/ Ki). In presenza di antagonista per avere lo stesso effetto è richiesta una quantità
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maggiore di agonista, dall’equazione infatti si deduce che tanto più elevata è la concentrazione di antagonista [l], tanto maggiore sarà il valore C’. E’ possibile per gli antagonisti determinare sperimentalmente la costante di dissociazione a partire dall’effetto. Grafico B. Questo grafico mostra come cambia la curva dose-effetto di un agonista in presenza di un antagonista irreversibile o di un modulatore allosterico. Si evidenzia come venga modificato l’effetto massimo. In questo caso l’EC50 non è modificata, anche se in alcuni casi può esserlo. Si parla di ANTAGONISMO NON SORMONTABILE, perché viene diminuito l’effetto massimo. Ciò significa che in presenza di una conc. data di antagonista irreversibile o modulatore allosterico, possiamo aumentare la conc. di agonista ma non si otterrà mai l’effetto massimo che si aveva in assenza di antagonista. Osserviamo ora l’andamento in grafici semilogaritmici.
Grafico A. Abbiamo in ascissa il log[Farmaco] e in ordinata la % dell’effetto massimo. La curva X è la curva concentrazione – risposta in presenza di agonista da solo. In presenza di una concentrazione fissa di antagonista competitivo avremo la curva Y, quindi abbiamo uno spostamento a destra della curva X. Questo spostamento si dice spostamento parallelo, abbiamo sempre lo stesso effetto massimo nelle curve X e Y. Il caso dell’antagonismo non competitivo è mostrato dalla curva Z, si ha uno spostamento a destra e una depressione del massimo.
Grafico B. Se noi costruiamo una curva concentrazione – risposta di un agonista in presenza di concentrazione via via crescenti di antagonista competitivo osserviamo che la curva X, man mano che aumentiamo la concentrazione di antagonista, si sposta sempre di più verso destra, ma in modo parallelo. Questo tipo di antagonismo viene detto ANTAGONISMO SORMONTABILE, perché se mettiamo una concentrazione di agonista sufficiente possiamo sempre raggiungere l’effetto massimo.
SCHILD PLOT. ANTAGONISMO COMPETITIVO. Il (rapporto di dose -1) è uguale al rapporto tra la conc. dell’antagonista e la costante di dissociazione dell’antagonista. Il rapporto di dose è la dose di agonista che in presenza di antagonista determina lo stesso effetto della dose di agonista in assenza di antagonista (nell’immagine sottostante è il rapporto A’/A). Consideriamo l’uguaglianza che segue: dose ratio – 1 = [Antag.] / Kantag se applichiamo ad entrambi i membri il logaritmo di base 10 (Log), avremo: Log (dose ratio -1) = Log [Antag.] – Log Kantag Quest’equazione che abbiamo ottenuto è l’equazione di Schild ed è l’equazione di una retta. Rappresentiamo su di un sistema di assi cartesiani tale equazione, riportiamo sull’asse delle ordinate Log(dose ratio -1), sull’asse delle ascisse Log [Antag.]. Il coefficiente angolare di quest’equazione (la pendenza della retta) quando l’antagonismo è
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competitivo è uguale a 1. Questo coefficiente angolare è detto fattore di Schild e se è diverso da 1, si parla di antagonismo non competitivo e quest’analisi non è valida. Questa analisi è valida soltanto quando la pendenza è uguale ad 1. Invece (– Log Kantag) è l’intercetta della retta sull’asse delle x.
- Log Kantag
Log (dose ratio -1)
Log [ Antag] Consideriamo il primo grafico dell’immagine nella pagina seguente. Abbiamo la rappresentazione dell’antagonismo competitivo, che si ha quando la curva conc.-risposta di un agonista viene spostata verso destra in presenza di una concentrazione fissa di antagonista. Si ha uno spostamento parallelo, per cui l’effetto massimo che si raggiunge rimane sempre lo stesso ed inoltre c’è una corrispondenza tra i punti della curva in presenza di antagonista ed in assenza, per cui possiamo trovare delle dose equiattive. Quando si realizzano delle misurazioni conc.-risposta in presenza di diverse conc. di antagonista competitivo, otteniamo diverse curve e tanto maggiore è la conc. di antagonista tanto più la curva è spostata verso destra, proprio come si vede nel primo grafico. Consideriamo ora l’EC50 per ognuna delle curve costruite che nell’immagine è indicata con A (solo agonista) o A’ (con antagonista).
Consideriamo ora la tabella in cui sono riportate le conc. di antagonista, il rapporto A’/A, ovvero il rapporto tra le conc. equiattive, che è un valore sperimentale; per esempio se abbiamo l’antagonista ad una conc. di 1x10 -9 tale
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rapporto risulterà pari a 4, ad una conc. di 1x10-8 sarà pari a 18 e così via. –LogB invece è il log negativo della conc dell’antagonista e infine calcolo il log((A’/A-1)). A questo punto costruisco il grafico logaritmico presente in basso nell’immagine sopra, mettendo sull’asse delle ordinate log((A’/A-1)) e sulle ascisse –LogB, riporto i valori presenti nella tabella e ottengo così i punti in nero. Per esempio per –LogB=9, l’ordinata vale 0.47 e ottengo il primo punto, per –LogB=8, l’ordinata vale 1.23 e ottengo il secondo punto e così via. Dopo aver rappresentato tutti i punti faccio una regressione lineare ed ottengo una retta che avrà un’intercetta sull’asse delle ascisse, che si ottiene quando log((A’/A-1))=0, che si ha quando il rapporto di dose (A’/A) =2, infatti:
se (A’/A) =2, Log((A’/A-1)) = Log (2-1)= Log (1) = 0 Quest’intercetta viene anche detta pA2, proprio perché si osserva quando il rapporto di dose è uguale a 2 ed è un valore utile perché è il Log negativo della costante di dissociazione dell’antagonista (Kantag).
pA2 = -Log (Kantag) Questo studio di Schild risale al 1959 e ha permesso di evidenziare in maniera dettagliata l’interazione tra antagonista e recettore, dando la possibilità di evidenziare se l’antagonismo è di tipo competitivo (pendenza della retta deve essere 1 o circa uguale ad 1, per esempio 0.8 o 1.2, ma se è 0.65 non si parla più di antagonismo competitivo) e di calcolare la costante di dissociazione dell’antagonista.
ANTAGONISMO NON COMPETITIVO- INIBIZIONE ALLOSTERICA In questo tipo di antagonismo l’effetto massimo non può essere recuperato aumentando la conc. di agonista, per cui si parla di antagonismo non sormontabile. Nel grafico a sinistra evidenziamo la curva conc.-effetto in assenza di antagonista indicata con 0, le curve 1 e 2 invece si ottengono in presenza di antagonista in una conc. più alta nella curva 2. Confrontando le 3 curve si evidenzia che la parte lineare delle curve non è parallela e quindi si ha una depressione dell’effetto massimo.
DETERMINAZIONE SPERIMENTALE DELL’ESISTENZA DEI RECETTORI DI RISERVA. Nel grafico in basso, A è la curva conc.-risposta in assenza di antagonista, mentre B, C, D e E, sono curve concrisposta in presenza di un antagonista irreversibile in concentrazioni crescenti. Un antagonista irreversibile si lega covalentemente ad un recettore e lo inattiva. Quando mettiamo piccole conc. di antagonista irreversibile, grazie alla presenza dei recettori di riserva, è come se si avesse un antagonismo competitivo, cioè l’effetto massimo si può sempre raggiungere, perché vengono utilizzati i recettori di riserva (curve B e C). Oltre certe conc. di antagonista, invece, l’effetto massimo viene diminuito, perché tutti i recettori di riserva sono stati legati e cominciano ad essere occupati anche quei recettori che sono fondamentali per raggiungere l’effetto massimo, che pertanto non potrà essere raggiunto.
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Un recettore attiva un trasduttore, il trasduttore attiva uno o più effettori. Il rapporto non è mai di 1:1:1 e quindi per ottenere un effetto massimo non è necessario attivare tutti i recettori disponibili, quelli che non vengono attivati sono i recettori di riserva.
AGONISTI PARZIALI Sono dei composti che hanno affinità per il recettore, ma hanno attività intrinseca inferiore all’agonista pieno, cioè non riescono a determinare un effetto massimo paragonabile a quello dell’agonista pieno. La loro efficacia è una frazione dell’efficacia di un agonista pieno.
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Nel grafico B, abbiamo due curve conc-risposta, i quadrati blu rappresentano l’agonista totale, che arriva ad un effetto massimo del 100%, mentre l’agonista parziale, rappresentato con i quadrati bianchi arriva ad un effetto massimo dello 0.40 %. Questo non si verifica a parità di concentrazione, quando si fa questo confronto si fa riferimento all’effetto massimo, non alla concentrazione. Nel grafico l’effetto massimo si raggiunge quando la curva arriva ad un plateau. Se facciamo riferimento ad agonisti che hanno affinità diversa ed efficacia uguale invece si fa riferimento alla conc. In questo caso l’agonista con un’affinità più bassa ha anche una potenza minore e quindi è richiesto in conc più elevate per avere l’effetto massimo. Nel grafico A sull’asse delle ascisse abbiamo il log [agonista parziale], mentre sull’asse delle ordinate è presente la percentuale di legame al recettore dell’agonista parziale (quadrati bianchi) e dell’agonista pieno
(quadrati blu). Questo grafico rappresenta una condizione in cui abbiamo una conc. fissa di agonista pieno, mentre variamo la conc. di agonista parziale. La conc. di agonista pieno non viene rappresentata poiché è fissa, e quindi sull’asse delle ascisse è riportata solo log[agonista parziale]. Al crescere della conc. dell’agonista parziale aumenta la percentuale di legame al recettore di questo composto, da 0 fino ad arrivare ad un massimo. La percentuale di legame dell’agonista pieno in assenza di agonista parziale è massima, mentre si riduce man mano che aumenta la conc. di agonista parziale, perché questo compete con l’agonista pieno. Per conc. elevate di agonista parziale la percentuale di legame dell’agonista pieno si annulla. Nel grafico C è rappresentata una situazione simile a quella del grafico A, si ha una conc. fissa di agonista pieno e una conc. variabile di agonista parziale, nel grafico C cambia l’ordinata rispetto al grafico A, infatti abbiamo l’effetto. In assenza di agonista parziale e in presenza di una data conc. di agonista pieno abbiamo l’effetto massimo, man mano che aumentiamo l’agonista parziale in presenza di agonista pieno, l’effetto diminuisce e ciò si verifica perché diminuisce la percentuale di agonista pieno legato al recettore mentre aumenta quella di agonista parziale. Quando al recettore si lega solo l’agonista parziale l’effetto osservato è l’effetto massimo di quest’agonista. Questo tipo di esperienza porta alla conclusione che l’agonista parziale da solo si comporta da agonista, mentre in presenza di un agonista pieno si comporta da antagonista, perché inibisce l’azione dell’agonista pieno. Quella che segue è una figura riassuntiva. In azzurro viene rappresentato il recettore con diversi siti di legame. Quando l’agonista (A) si lega abbiamo la curva dose-risp rappresentata in nero nel grafico. L’inibitore competitivo (B) ha lo stesso sito di legame di A, quindi in presenza di B si ha l’antagonismo competitivo rappresentato dalla sigmoide arancione, parallela a quella nera. L’inibitore allosterico (D) ha un sito di legame diverso da quello dell’agonista e quando si lega si ha la depressione dell’effetto massimo (sigmoide lilla). Infine si ha anche l’attivatore allosterico (C), un composto che si lega a siti specifici e aumenta l’effetto massimo dell’agonista (sigmoide verde).
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AGONISTA INVERSO. E’ un ligando che ha un’attività intrinseca negativa, cioè determina un effetto che è opposto rispetto a quello dell’agonista pieno. Cerchiamo di spiegare come ciò può essere possibile. I recettori generalmente hanno un’attività costitutiva, cioè una frazione di essi è attiva anche in assenza di agonisti, perché hanno una conformazione tale, che permette loro di determinare un effetto fisiologico, di interagire quindi con un sistema di trasduzione in assenza di agonista. L’agonista inverso è un ligando che si lega a questi recettori e ne diminuisce l’attività costitutiva. In alto nella figura a sinistra è rappresentato uno schema dove in blu è mostrato il recettore inattivo Ri e in rosso la forma attiva del recettore Ra, queste sono le due potenziali conformazioni che il recettore può avere e tra le quali oscilla. I ligandi non fanno altro che stabilizzare una forma rispetto all’altra: Gli agonisti pieni tendono a stabilizzare la forma attiva, Gli agonisti inversi la forma inattiva, Gli agonisti parziali hanno una certa preferenza verso la forma attiva, Gli agonisti inversi parziali hanno una certa preferenza verso la forma inattiva, Gli antagonisti non hanno preferenze per nessuna delle due forme e quindi non spostano l’equilibrio. Il grafico in basso nella figura a sinistra mostra le curve dose-risposta per i vari casi descritti, considerando l’interazione con un recettore con un’attività costitutiva. L’immagine a destra è una scala concettuale. Se noi consideriamo l’attività intrinseca, cioè l’efficacia relativa degli agonisti endogeni, abbiamo: 100% di attività con l’antagonista pieno, 0% di attività con l’antagonista, 100% di attività negativa con l’agonista inverso, l’agonista parziale ha un’attività intermedia tra agonista pieno e antagonista, l’agonista parziale inverso ha un’attività intermedia tra antagonista e agonista inverso, il superagonista ha un’efficacia superiore all’agonista pieno. L’antagonista svolge la sua funzione sia nei confronti dell’agonista pieno che dell’agonista inverso.
ALTRI TIPI DI ANTAGONISMO (NON RECETTORIALE). Antagonismo fisiologico o funzionale. Due farmaci che esercitano un antagonismo fisiologico sono due farmaci che influenzano un determinato parametro in senso opposto, per esempio un farmaco ipotensivo e uno ipertensivo, un farmaco che determina uno stato di vigilanza e un sonnifero. Queste coppie di farmaci non agiscono necessariamente sullo stesso recettore, per questo si parla di antagonismo non recettoriale. Antagonismo chimico o antidotismo. Esistono antitodi interni ed esterni. Antagonismo farmaco-cinetico. Si verifica quando un farmaco inibisce un altro farmaco perché ne influenza il destino farmaco-cinetico, inibisce l’eliminazione, interferisce con l’assorbimento o nel caso più frequente influenza il metabolismo. Per esempio abbiamo un farmaco A che viene metabolizzato dal citocromo P450 nel fegato e un farmaco B che è un induttore del citocromo P450, quest’ultimo accelera la velocità di trasformazione del farmaco A, questo è un esempio di antagonismo farmaco-cinetico.
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RECETTORI Una cellula che esprime dei recettori è un target (bersaglio). La maggior parte dei recettori vengono espressi sulla membrana cellulare, perché questa è la struttura della cellula più facilmente accessibile. C’è un’altra classe di recettori che invece agiscono nel nucleo, in forma inattiva alcuni di questi sono presenti nel citoplasma altri nel nucleo stesso. I recettori di membrana legano neurotrasmettitori o fattori di crescita. I recettori nucleari invece sono riconosciuti dagli ormoni steroidei.
RECETTORI DI MEMBRANA. 1. I recettori 7TM, a sette domini trans membrana, presentano 7 α-eliche che attraversano la membrana plasmatica. Sono accoppiati a proteine G. 2. I recettori canale sono formati da più sub-unità che assemblandosi costituiscono un poro ionico della membrana, cioè rendono quella regione della membrana in cui si trovano permeabile agli ioni. 3. I recettori 1TM, ad un dominio trans membrana presentano una sola α-elica che attraversa la membrana. Sono di natura enzimatica e l’attività enzimatica più comune è quella tironsin-chinasica, presente per esempio nei recettori per i fattori di crescita, per l’insulina, per le citochine (mediatori dell’infiammazione). Altre recettori 1TM hanno invece attività guaninil-ciclasica, per esempio il recettore per il fattore natriuretico atriale (ANP).
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RECETTORI NUCLEARI Gli ormoni steroidei sono agonisti per alcuni di questi recettori, per esempio gli ormoni cortico-surrenalici (cortisolo), gli ormoni sessuali (androgeni, testosterone, estrogeni). Ogni ormone riconosce un recettore diverso: ER (Estrogen Receptor), AR (Androgen Receptor), GR (Glucocorticoids Receptor) e altri. Tutti questi recettori riconoscono e legano non solo ligandi endogeni ma anche farmaci, per esempio i cortisonici, tra cui β-metasone, il triamcinolone e altri farmaci steroidei che vengono utilizzati come anti-infiammatori, anti-allergici, anti-reumatici ecc… Gli ormoni tiroidei sono agonisti per altri recettori nucleari, per esempio la triiodiotironica (T 3) si lega al recettore TR. Alcune vitamine hanno recettori nucleari, per esempio la vitamina D e i retinoidi tra cui la vitamina A. I farmaci che si usano per la cura dell’acne interagiscono con questi recettori. Tutti questi composti riconoscono ognuno il proprio recettore, ma hanno una caratteristica in comune che è la lipofilia, ed è ovvio che possiedano questa caratteristica perché devono attraversare la membrana plasmatica liberamente per arrivare nel citosol o nel nucleo, dove si trovano i recettori. Invece le catecolamine (monamine, dopamine) o i fattori di crescita, che sono proteine, non possono attraversare la membrana e quindi riconoscono recettori di membrana. Questi recettori si trovano associati ad altre proteine, che hanno funzione di inibizione oppure possono funzionare da co-attivatore o co-repressore. Nei recettori nucleari distinguiamo due domini principali: 1. ligand binding domain (LDB), questo è il dominio che riconosce il ligando (agonista-antagonista) 2. DNA binding domain (DBD) che è il dominio che interagisce con sequenze specifiche del DNA, chiaramente si tratta di sequenze non codificanti che si trovano nei promotori dei geni e vengono indicate come HREs (Hormone Responsive Elements). Gli HREs sono quasi tutti delle palindromi e ognuno di essi è specifico per un recettore.
I recettori nucleari si possono considerare dei fattori di trascrizione,
infatti, dopo aver legato l’agonista legano il DNA e in linea di massima attivano l’espressione genica, solo in alcuni casi la reprimono. Svolgono tale funzione solo dopo aver legato il ligando, quindi potremmo considerarli dei fattori di trascrizione attivati da ligandi.
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L’immagine mostra il meccanismo d’azione dei glucocorticoidi. Il recettore, in assenza di ligando, si trova nel citosol ed è complessato alla proteina hsp90 (heat shock protein 90). Nota: Le hsp appartengono alla categoria degli chaperon molecolari, queste proteine sono indotte dallo shock termico e per questo sono dette heat shock proteins, il numero che segue indica il peso molecolare in Kdalton. Furono scoperte negli anni ’80 e sono presenti in tutti i metazoi, probabilmente anche nei protozoi. Prendiamo un animale, per esempio una Drosophila, o anche un topo, e li riscaldiamo a 42°C, quindi andiamo ad esaminare l’espressione di tutte le proteine mediante western-blot. Confrontando il profilo proteico ottenuto con quello di un controllo, si evidenzia la presenza di proteine assenti nel controllo e che quindi sono state indotte dallo shock termico, queste proteine vengono evidenziate come hsp. Le hsp, dopo lo shock termico, servono a guidare il corretto ripiegamento delle proteine affinchè riacquistino la struttura terziaria che hanno perso a seguito dell’esposizione ad elevate temperature, in pratica guidano le proteine parzialmente denaturate e rinaturare. Tutte le hsp sono proteine inducibili, alcune sono costitutive, cioè si trovano nella cellula anche in assenza di shock termico. Hsp90 è indotta da shock termico, ma è anche una proteina costitutiva, è presente in abbondanza e si trova complessata con alcune proteine segnale o recettori, in particolare con il recettore per il glucocorticoidi. Il recettore legato ad hsp90 è inattivo e si trova nel citosol. In presenza dello steroide, questo si lega al suo dominio di legame sul recettore e fa dissociare hsp90. Una volta che il recettore è attivo dimerizza, cioè si lega ad un altro recettore. Il recettore dei glucocorticoidi forma un omodimero, perché si legano due recettori dello stesso tipo, è questo complesso che migra nel nucleo e va a legarsi all’elemento HRE, che in questo caso è detto GRE (Glucocorticoids Responsive Element). Il recettore presenta anche il dominio di attivazione della trascrizione, il quale interagisce con dei coattivatori presenti nel nucleo attivando la trascrizione. Questi coattivatori interagiscono anche con la RNApol e con vari fattori che devono rimodellare la cromatina per renderla accessibile alla polimerasi. I recettori nucleari dei glucocorticoidi vengono chiamati recettori nucleari di classe I.
I recettori nucleari sono classificati in 4 gruppi: 1. 2. 3. 4.
Recettori di classe I Recettori di classe II Recettori di classe III Recettori di classe IV
I RECETTORI NUCLEARI DI CLASSE I:
Agiscono nel nucleo, ma in forma inattiva sono presenti nel citosol, Formano omodimeri, che vengono traslocati nel nucleo (per esempio per trasporto attivo), Riconoscono sequenze palindromiche, Il recettore interagisce con coattivatori che rimodellano la cromatina rendendola accessibile alla RNApol. Esempi: recettore per glucocorticoidi,per gli androgeni,per gli estrogeni e per il progesterone.
I RECETTORI NUCLEARI DI CLASSE II: Si trovano nel nucleo e in genere sono anche già legati al DNA, ma non attivano la trascrizione perché sono legati ad un co-repressore, Formano eterodimeri, la maggior parte lega il recettore per i retinoidi (RXR), Nota: il recettore per i retinoidi è un recettore un po’ promiscuo, perché lega i retinoidi ma dimerizza con recettori di tipo diverso. Meccanismo d’azione: quando arriva l’ormone, si stacca il co-repressore, interagisce con il co-attivatore e ciò consente di reclutare la RNApol e di attivare la trascrizione.
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Nell’immagine è mostrato il meccanismo d’azione del recettore per l’ormone tiroideo (TR). Esempi: recettori per acido retinoico, per i retinoidi e per gli ormoni tiroidei.
I RECETTORI DI CLASSE III. Sono simili ai recettori di classe I, solo che riconoscono sul DNA HREs non palindromiche, ma costituite da sequenze ripetute dirette.
I RECETTORI DI CLASSE IV. In forma attiva sono presenti sia come dimeri che come monomeri, ma, a differenza di tutti gli altri tipi di recettore che ne riconoscono due, si legano ad un solo dominio HRE, in entrambe le forme.
PROTEINE COREGOLATRICI. I recettori nucleari quando legano gli elementi HREs reclutano un numero significativo di altre proteine (denominate coregolatori di trascrizione che attivano o inibiscono la trascrizione). Le funzioni di questi regolatori sono varie, tra cui il rimodellamento della cromatina (rendendo il gene target più o meno accessibile per la trascrizione) o fungono da ponte per stabilizzare il legame di altre proteine regolatrici. Esistono due tipi di coregolatori: 1. Coattivatori. Sono proteine a cui è spesso associata un’attività istone-acetiltransferasica (HAT) e quindi acetilando gli istoni permettono lo svolgimento del DNA e promuovono la trascrizione. Quando i recettori nucleari legano il ligando, assumono una conformazione che consente il legame preferenziale del coattivatore. 2. Corepressori. Sono proteine a cui è spesso associata un’attività istone-deacelilasica (HDAC), che rafforza l’associazione del DNA agli istoni e quindi rende più difficile svolgimento del DNA, reprimendo la trascrizione. Quando un antagonista si lega al recettore nucleare induce un cambiamento conformazionale del recettore che consente il legame preferenziale del corepressore.
I recettori nucleari legano agonisti pieni, inversi e antagonisti e vale tutto ciò che abbiamo visto in generale. L’agonista è qualcosa di naturale, infatti esiste il recettore che lo lega, per esempio gli ormoni tiroidei, i glucocorticoidi o altri ormoni sono prodotti naturali per cui esiste un recettore. Mentre gli antagonisti in genere sono molecole artificiali, per esempio il MIFEPRISTONE più comunemente noto come RU-486, che è la pillola abortiva, è un antagonista del recettore per il progesterone e del recettore per gli ormoni gluco-corticosteroidei. Questo composto quindi antagonizzando l’azione del progesterone impedisce il proseguo della gravidanza; ma per determinare l’espulsione del prodotto del concepimento è necessario somministrare una prostaglandina, che fa contrarre l’utero. Modulatore recettoriale selettivo (SRMs).
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Sono farmaci che si legano ai recettori nucleari ma a secondo dell’organo o del tessuto che raggiungono esercitano effetti diversi, in alcuni tipi cellulari si comportano da agonista, in altri da antagonista. Esempi: Selective Androgen Receptor Modulators (SARMs), Selective Estrogen Receptor Modulators (SERMs) and Selective Progesterone Receptor Modulators (SPRMs). Una serie di molecole di sintesi che si hanno a disposizione è stata concepita come modulatore selettivo del recettore degli estrogeni, tra questi il TAMOXIFENE utilizzato nel trattamento medico del carcinoma mammario a tutti gli stadi. Il CLOMIFENE è il capostipite dei modulatori selettivi degli estrogeni e veniva utilizzato come induttore dell’ovulazione. Il tamoxifene si comporta da antagonista a livello delle cellule del carcinoma mammario, ma si comporta da agonista a livello dell’utero e questa potrebbe essere un’azione dannosa perché può determinare il rischio di sviluppare il tumore uterino. Il tamoxifene si comporta da agonista anche a livello del tessuto osseo, come il RALOXIFENE, quindi si ha la possibilità di utilizzarli nel trattamento preventivo dell’osteoporosi che si sviluppa in menopausa.
RECETTORI DI MEMBRANA. 1. Canali ionici regolati da ligandi, si tratta di canali il cui stato di apertura o chiusura è regolato dal legame di agonisti endogeni o esogeni (farmaci). 2. Canali ionici voltaggio-dipendenti il cui stato di gating è regolato dalla ddp della membrana. Sono dei recettori per farmaci molto importanti. 3. Recettori accoppiati a G-proteine 4. Recettori con attività enzimatica o tirosina kinasi (GF, cytok.) o serina threonina kinasi (bone morphogenetic protein) o guanilato ciclasi (ANP) Nota: Gli ioni che si trovano in soluzione acquosa hanno un guscio di molecole d’acqua che li circondano, se è uno ione negativo il dipolo acquoso rivolge i protoni verso di esso, se è uno ione positivo rivolge l’ossigeno. La membrana plasmatica è un doppio strato lipidico ed è semipermeabile, non fa passare né acqua né ioni, ma consente il passaggio solo a piccole molecole lipofile. Quindi i canali che si trovano sulla membrana consentono il passaggio di ioni e di acqua. L’immagine mostra i meccanismi di trasduzione che avvengono attraverso la membrana. 1. Il farmaco attraversa liberamente la membrana plasmatica, questo si applica alle molecole liposolubili che si legano a recettori nucleari. 2. Recettori con attività enzimatica. Il ligando si lega al recettore il quale trasforma un substrato A in un prodotto B. 3. Recettore transmembrana che interagisce con una protein-chinasi determinando la fosforilazione di un substrato cellulare. -I recettori che hanno attività tirosinchinasica sono a metà strada tra il tipo 3 e il tipo 4 (dell’immagine seguente), infatti una volta legato il ligando determinano auto fosforilazione di tirosine e successivamente dimerizzano e legano dei trasduttori che attivano altri effettori. 4. Recettore canale regolato da ligandi 5. Recettore che interagisce, in seguito al legame con il farmaco, con un trasduttore che è una proteina G, che attivata attiva a sua volta un effettore che svolge attività enzimatica trasformando un substrato cellulare C in D.
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Lezione 4 Farmacologia Generale I canali ionici si studiano attraverso il PATCH CLAMP. Patch significa pezzettino di membrana, clamp significa bloccare, è una tecnica che determina il blocco del voltaggio, viene imposto artificialmente una differenza di potenziale ai due lati della membrana. È una tecnica indispensabile per studiare i canali voltaggio-dipendenti, o in generale i canali. Questa è una microfotografia che mostra una cellula attaccata ad una pipetta, si utilizzano quelle di vetro, vi sono degli strumenti che al calore tirano questo vetro per dare una punta molto piccola. Si hanno delle cellule in coltura, possono essere cellule dissociate da un organo, applichiamo la pipetta che è riempita con una soluzione salina specifica, la pipetta è attaccata all’elettrodo, ci sono due possibilità: 1) tirare e strappare un pezzettino di membrana e in questo caso si studiano solo i canali che si trovano in quel pezzettino di membrana, questa tecnica viene chiamata membrane patch configuration, in questa configurazione si studiano pochi canali, quindi si studia la corrente a livello di un singolo canale; 2) nell’altro caso si applica una suzione e si rompe la membrana, abbiamo aspirato e aspirando abbiamo rotto la membrana e abbiamo messo in comunicazione l’interno della cellula con la pipetta, questa tecnica si chiama whole-cell configuration, cioè cellula intera. In questo caso le correnti che calcoliamo sono la risultante della corrente di tutti i canali e quindi l’ampiezza è molto maggiore. È una media di tutti i canali.
1) il canale in questo caso o sarà aperto o chiuso.
Nel secondo caso otteniamo una corrente che ha avuto una media dell’attività di tutti i canali, che trasportano ioni. Imponiamo il nostro voltaggio che è −100-+80 mV, per ogni depolarizzazione che abbiamo imposto noi, imponiamo
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una certa corrente e otteniamo una depolarizzazione di una certa ampiezza, e questo ci permette di costruire il grafico di attivazione che pone nelle ascisse il voltaggio e nelle ordinate la corrente.
1. CANALI IONICI REGOLATI DA LIGANDI Possono essere sia canali cationici, quale il recettore nicotinico per l’ACh o i recettori ionotropi per il glutammato, oppure canali anionici come quello per il GABAa. Queste classi di proteine sono studiati da decenni ed è stata imposta una nomenclatura, per esempio i recettori adrenergici furono definiti come α-adrenergici e β-adrenergici, cioè come due classi di recettori che hanno caratteristiche diverse, in realtà i recettori in farmacologia venivano classificati sulla base dei ligandi, e poi sono stati definiti anche dei sottotipi α1, α2, e così via, questo per far capire che questo tipo di classificazione risponde più a criteri storici. Gli α1e α2 non hanno in comune niente se non il fatto di legare catecolammine. Quando parliamo di recettori GABA, si parla di GABAa e GABAb, si tratta di famiglie completamente diverse, perché GABAa sono canali ionici operati da ligando, mentre GABAb sono recettori accoppiati a proteine G, quello che hanno in comune è che entrambi mediano l’azione inibitoria di un neurotrasmettitore inibitore. Tutti i neurotrasmettitori si distinguono in due grandi gruppi: inibitori e eccitatori. Si chiamano così a seconda dell’evento elettrofisiologico che determinano sul neurone post-sinaptico, i neurotrasmettitori eccitatori depolarizzano e determinano un EPSP, potenziale post-sinaptico eccitatorio, mentre i neurotrasmettitori inibitori determinano un IPSP, potenziale post-sinaptico inibitorio e iperpolarizzano. Tipici esempi di canali ionici regolati da ligando è il recettore NICOTINICO per l’ACh, ma l’ACh si lega anche a recettori accopiati a proteine G che sono i recettori MUSCARINICI. Il recettore nicotinico è un recettore cationico, mentre quello per il GABA è un recettore anionico. La caratteristica dei recettori cationici è che hanno scarsa selettività, hanno un poro ionico che può far passare sia Na+ che K+, nel caso dei recettori ionotropi per il glutammato di cui ne abbiamo tre sottotipi: AMPA, Kainato e NMDA, questo addirittura fa passare anche il Ca2+. I recettori eccitatori per eccellenza sono quelli per il glutammato, che non sono selettivi, fanno passare cationi monovalenti e bivalenti come il Ca2+. Il recettore GABA invece è un recettore anionico per il Cl-. Questi recettori regolati da ligando funzionano che quando si lega il ligando, ad esempio l’ACh, il canale si apre e fa passare gli ioni che si muovono secondo il loro gradiente elettrochimico. Le membrane cellulari hanno una distribuzione asimmetrica degli ioni ai due lati della membrana. Questi recettori-canale sono strutture costituite da 5 subunità, cioè 5 proteine che si assemblano e che delimitano fisicamente il poro ionico. Nel caso dei recettori nicotinici queste subunità sono diverse, sono delle isoforme, di solito ci sono sempre 2 subunità α, una β, e poi γ,δ e ε che possono entrare a far parte della struttura. A seconda della loro costituzione questi canali hanno caratteristiche elettrofisiologiche diverse, ma anche caratteristiche farmacologiche diverse, cioè legano sempre ACh, che non è un farmaco, ma si somministrano tanti farmaci colinergici che agiscono su questi recettori. Il fatto che esistano delle isoforme di questi canali conferisce specifiche caratteristiche farmacologiche. Questi recettori nicotinici li troviamo nella placca neuromuscolare, che è quella struttura dove i motoneuroni prendono contatto con la fibra muscolare scheletrica, li troviamo poi nei gangli del sistema ortosimpatico (simpatico) e parasimpatico. I recettori nicotinici che troviamo nei gangli sono diversi da quelli che troviamo nella placca neuromuscolare, questo ci permette di somministrare dei farmaci che sono antagonisti, i CURARICI, farmaci usati per rilasciare la muscolatura scheletrica in alcuni interventi chirurgici, ad esempio interventi chirurgici all’addome. Questi farmaci agiscono quindi sui recettori nicotinici della placca neuromuscolare ma non sui recettori nicotinici dei gangli del sistema simpatico. Il sistema PARASIMPATICO governa le funzioni viscerali, come la digestione, l’assorbimento, mentre l’ORTOSIMPATICO governa quelle funzioni vegetative che servono a rispondere ad uno stress, per esempio aumenta la pressione, la glicemia, ecc. I due sistemi vegetativi hanno un neurone pre-gangliare che parte dal tronco encefalico o dal midollo spinale e questo fa una sinapsi con una struttura che si trova fuori dal SNC e si chiama ganglio, dove si trova il corpo cellulare del neurone post-gangliare, e da qui parte una fibra che si va ad innervare con la ghiandola sudoripara, la ghiandola lacrimale, il pancreas, a questo livello i recettori sono nicotinici. Quando il canale si apre l’ACh si lega nella porzione extracellulare, il legame dell’ACh determina un riarrangiamento delle porzioni α-elica tale che si apre il poro ionico.
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A seconda delle subunità che costituiscono il canale possiamo avere un cambiamento di conduttanza, ad esempio nel recettore extragiunzionale è presente la subunità γ e sono a bassa conduttanza, mentre in quello giunzionale è presente la subunità ε e sono ad alta conduttanza. Quindi hanno caratteristiche funzionali diverse. Quando parliamo di canali la caratteristica funzionale è rappresentata dalla conduttanza che è una grandezza fisica che si misura in picosiemens.
2). CANALI IONICI VOLTAGGIO DIPENDENTI Sono regolati dalla differenza di potenziale ai due lati della membrana, non sono recettori in senso stretto, non sono recettori per sostanze endogene, ma sono recettori per farmaci importanti, come ad esempio anestetici locali, antipertensivi, antiepilettici, antiaritmici. Gli anestetici locali ad esempio sono bloccanti dei canali Na+ voltaggiodipendenti, gli antiaritmici sono bloccanti dei canali Na+, K+ e Ca++, gli antiepilettici sono i bloccanti dei canali Na+ e Ca++, gli antipertensivi sono bloccanti canali Ca++ e farmaci che aprono i canali per il K+. Tutte le cellule hanno una asimmetria di distribuzione degli ioni, alcuni ioni sono più concentrati all’interno della cellula, altri sono più concentrati all’esterno della cellula, questa asimmetria viene creata e mantenuta attivamente nei Mammiferi, principalmente dalla pompa Na+\K+ ATPasica. È una pompa che trasporta gli ioni con una spesa energetica, cioè ad ogni ione che trasporta viene idrolizzata una molecola di ATP, scambia Na+ e K+, butta fuori Na+ e dentro K+, quindi significa che dentro la cellula è più concentrato il K+, che ha una concentrazione di 140mM e fuori è più concentrato il Na+. È presente comunque un po’ di Na+ all’interno della cellula circa 10mM e un po’ di K+ fuori dalla cellula circa 4mM. Questo meccanismo è detto anche elettrogenico, questa pompa butta fuori 3 Na+ e butta dentro 2 K+, quindi ad ogni ciclo butta fuori una carica positiva in più, mentre butta dentro una carica negativa in più. Ecco che a riposo le cellule hanno un potenziale di riposo negativo, in base alla cellula che stiamo considerando il potenziale di riposo cambia, ad esempio nel miocardio il potenziale di riposo è -75mV, in una cellula muscolare sarà-55mV, in un neurone è -70mV. Per il Ca++ la differenza di concentrazione tra l’interno e l’esterno della cellula è di 4 ordini di grandezza, mentre per Na+ e K+ la differenza di concentrazione è di 20-30 volte, nel caso del Ca++ la differenza di concentrazione è di 10.000 volte, infatti la sua concentrazione all’interno è di 100nM, mentre all’esterno è di 2mM. Gli ioni Na+, K+ e Ca++ sono ioni carichi positivamente e sono detti cationi, di questi tre a livello generale il Na+ e il K+ servono solo come trasportatori di cariche, mentre il Ca++ svolge un ruolo fondamentale come secondo messaggero, come regolatore allosterico di tutta una serie di processi biologici. Il Ca++ serve anche da trasportatore di cariche ad esempio nel cuore, ma serve anche da regolatore allosterico. Nel cuore distinguiamo un miocardio comune e uno specifico, quello comune è il miocardio che si contrae, mentre quello specifico è quello che genera e conduce l’impulso elettrico. In particolare il miocardio specifico si trova in due zone del cuore, nel nodo seno-atriale e nel nodo atrio-ventricolare, sono due piccole strutture che si depolarizzano automaticamente, dettano la frequenza cardiaca. In queste due strutture il Ca++ è lo ione principale che trasporta le cariche positive all’interno della cellula durante il potenziale. A livello del miocardio comune il Ca++ entra dentro la cellula durante la fase di ripolarizzazione, durante la ripolarizzazione il potenziale della cellula si muove verso la negatività, normalmente entrano cariche negative ed escono cariche positive , il fatto che entri Ca++ allunga la durata del potenziale d’azione cardiaco e infatti si ha una fase caratteristica detta fase di plateau, e questo è il motivo per cui il potenziale d’azione del miocardio comune dura di più delle altre cellule, quali il neurone in cui dura pochi millisecondi mentre nel cuore dura 400ms, questa è un’eccezione! Quando una cellula eccitabile si depolarizza entra Na+, il potenziale passa da negativo a 0 oppure leggermente positivo, ma le concentrazioni degli ioni Na+ e K+ non cambiano mai, cambiano di pochissimo, il Na+ sarà sempre all’esterno e il K+ sempre all’interno, questo non cambia mai neanche quando la cellula si depolarizza. Il Ca++ non aumenta mai eccessivamente, tranne nelle cellule morte in cui il suo quantitativo è maggiore.
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EQUAZIONE di NERNST:
La E indica il potenziale di equilibrio che è uguale a R che è la costante dei gas, T è la temperatura assoluta, z è la valenza e F è la costante di Faraday, è la quantità di cariche contenuta in una mole di uno ione monovalente, poi è il logaritmo naturale del rapporto tra la concentrazione intracellulare di uno ione e la concentrazione extracellulare di uno ione. Il potenziale di equilibrio è quel potenziale per il quale data una asimmetria di concentrazione voi non avete movimento netto di cariche. Consideriamo una membrana che sia permeabile a un solo ione, due concentrazioni ai due lati della membrana 5mM e 140mM, il potenziale di equilibrio per questo ione è quella differenza di potenziale per la quale se questo ione si muove liberamente, questa differenza di concentrazione è in equilibrio. Il potenziale di equilibrio ci fa capire come lo ione tende a muoversi, ad esempio il K+ ha una concentrazione intracellulare di 140mM e extracellulare di 5mM, quando apriamo i canali al K+, e lo facciamo muovere liberamente, il K+ essendo ione positivo, tende ad uscire e a portare il potenziale della cellula a -80mV che è il potenziale di equilibrio dello ione K+. Il Na+ ha un potenziale di equilibrio positivo +20mV, quando apriamo i canali al Na+, il Na+ entra in maniera massiccia ed è il principale responsabile della depolarizzazione. Il potenziale di equilibrio per il Cl- è -70mV, mentre per il Ca++ le differenze sono tali che esso tende sempre ad entrare. In base al potenziale di equilibrio il Na+ genera sempre correnti verso l’interno della cellula che generano depolarizzazioni, il Ca++ tende sempre ad entrare e causa depolarizzazioni, il K+ è uno ione positivo, ma esce e causa ripolarizzazioni, e il Cl- è un anione e si muove verso l’interno e genera una corrente verso l’esterno causando ripolarizzazioni. Il Ca++ è importante come secondo messaggero, funge da regolatore allosterico di tutta una serie di processi, e lo fa grazie ad alcune proteine che hanno dei domini specializzati per il legame con il Ca++ come ad esempio la calmodulina, che è una piccola proteina solubile che presenta quattro domini di legame con il Ca++, quando aumenta il Ca++ citosolico lo lega e la calmodulina attivata funge da regolatore allosterico di lipidi, di chinasi, di altre proteine. Ci sono ad esempio delle proteine che sono direttamente sensibili al Ca++ come la troponina C, è la proteina che nel sarcomero inibisce l’interazione actina-miosina, quando c’è il Ca++ esso si lega alla troponina C e viene spiazzata permettendo l’iterazione della actina con la miosina. Nella muscolatura liscia la contrazione viene innescata da una chinasi per le catene leggere della miosina, MLCK, questa importante chinasi è attivata dalla calmodulina. Mentre i recettori ionotropi sono scarsamente selettivi, i recettori voltaggio-dipendenti hanno una selettività assoluta, questo perché il poro ionico ha una dimensione che è circa 10 volte minore di quello dei canali regolati da ligando, lo ione che passa è solo quello specifico per quel canale, gli altri ioni non riescono a passare perché sono o troppo piccoli o troppo grandi. I recettori voltaggio-dipendenti sono al tempo stesso canali e trasduttori al tempo stesso. In questo caso quando il canale si apre passano milioni di ioni, e il passaggio degli ioni altera le funzioni della cellula, e quindi il concetto di trasduzione può essere associato allo stesso canale. Per quanto riguarda le pompe ioniche abbiamo citato la pompa Na+\K+, ma a livello della membrana ci sono diversi sistemi di trasporto che influenzano le concentrazioni ioniche, e sono la pompa per il Ca++, che estrude attivamente il Ca++, il meccanismo più attivo all’interno della cellula è la pompa che si trova sulla membrana del reticolo endoplasmico, che è il luogo dove si accumula il Ca++. Ad esempio nel cuore in diastole quando deve diminuire il Ca++ nella cellula, diminuisce perché viene pompato all’interno del reticolo sarcoplasmatico. Poi vi sono una serie di scambiatori ionici, sono dei meccanismi di trasporto che non consumano energia, sono proteine che sfruttano il gradiente creato dagli ioni, lo scambiatore Na+\Ca++ utilizza il gradiente del Na+ per buttare dentro il Na+ e fuori il Ca++, e non consuma ATP. Tutte queste strutture sono BERSAGLI FARMACOLOGICI. Ci sono dei farmaci che agiscono su degli enzimi, facendo variare la produzione di agonisti endogeni, come ad esempio gli inibitori dell’enzima che produce l’ANGIOTENSINA II. Molti farmaci agiscono su questi scambiatori, come ad esempio i DIURETICI che si legano ai trasportatori presenti lungo le cellule dell’epitelio renale, e aumentano l’eliminazione di Na+ e acqua, si parla in questo caso di farmaci NATRIURETICI, quando eliminano Na+ e acqua. I canali voltaggio-dipendenti hanno una struttura tetramerica, sono composti da 4 subunità con delle eccezioni. Le eccezioni sono rappresentate da alcuni canali al Na+ e al Ca++ che sono pseudotetrameri, perché hanno 4 domini della stessa proteina che fanno parte della stessa sequenza aminoacidica. Questa è tutta una proteina, non è un tetramero, ha quattro domini ripetitivi della stessa proteina, è come se fossero quattro subunità.
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PSEUDOTETRAMERO: + + + +
N
+ + + +
S S 2 3 S S 4 S H 6 5 5
S 1
+ + + +
+ + + +
C
Le parti selettive sono quelle esterne, la parte interna è quella rossa, e la parte che delimita il poro ionico è H5, che è l’ansa che unisce il segmento S5 a S6. Altrimenti la struttura di massima dei canali al Na+ e dei canali al Ca++ è analoga, questa struttura con quattro domini, ognuno dei quali è costituito da 6 segmenti α-elica e la parte che delimita il poro è l’ansa che collega il quinto e il sesto segmento.
I canali al K+ dal punto di vista evolutivo sono imparentati con i canali al Na+ e al Ca++, derivano tutti da un gene ancestrale unico. I canali al Ca++ presentano varie subunità , tra cui la subunità α1 che è essenziale perché costituisce il poro ionico. Però ci possono essere altre subunità che sono accessorie, nel caso dei canali al Na+ sono le 2 subunità β, mentre nei canali al Ca++ sono le subunità β,γ, e δ. Per quanto riguarda i canali al K+ ci sono diverse famiglie.
Sono dei tetrameri veri e propri, però in molti casi questi tetrameri sono costituiti da quattro subunità di questo genere.
+ + + +
N
C
N
In altri casi i canali al K+ non hanno i 6 segmenti trans membrana, ma hanno solo i 2 segmenti trans membrana collegati da un’ansa, cioè hanno 4 subunità ognuna costituito da questi due segmenti.
C
In realtà c’è un’altra eccezione, esistono canali al K+ costituiti da 2 subunità ognuna delle due con quattro domini trans membrana. La parte che costituisce il canale è la parte rossa e ce ne vogliono 4, sia che si tratti di pseudotetramero, o di tetramero o di dimero. IRK: inward rectifier, cioè rettificatore entrante, indica una caratteristica elettrofisiologica. GIRK: vuol dire G protein inward rectifier, cioè sono associate a proteine G, sono canali al K+ che vengono attivati dalle subunità βγ delle proteine G inibitorie nel cuore. L’ACh rilasciata dal nervo vago determina riduzione della frequenza cardiaca, cioè causa bradicardia, attivando questi canali al K+.
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Questa figura mostra i 6 domini di α-elica, quattro subunità, qua si vedono due subunità le altre due si trovano dietro, nei canali voltaggio-dipendenti il segmento S4 è ricco di amminoacidi carichi positivamente, questi residui carichi costituiscono i voltage sensor che conferiscono al canale la sensibilità al voltaggio, quando cambia il voltaggio questo segmento si deforma e modifica gli altri, e determina lo stato di apertura del canale. CANALI al Na+: sono responsabili della fase di depolarizzazione del potenziale d’azione, il potenziale d’azione è la variazione rapida del potenziale, in seguito alla quale il potenziale di membrana passa rapidamente da valori negativi a valori positivi. Il potenziale d’azione è caratterizzato dal fatto di scattare quando si raggiunge una certa soglia. La soglia è il punto in cui si attivano i canali al Na+, è il punto del potenziale di membrana in cui si ha un’attivazione massiccia dei canali al Na+. Sono costituiti da una subunità’α (omologa a quella dei canali al Ca++) e da subunità accessorie β. Sono note nove classi di Nav1.x, Na indica sodio, v indica voltaggio, 1.x indica il gene e la isoforma. Sono importanti bersagli farmacologici, sono bersagli di ANESTETICI LOCALI, come la lidocaina che si lega ai canali al Na+, e di ANTICONVULSIVANTI. CANALI al K+: sono una famiglia eterogenea sono responsabili della ripolarizzazione, che permette la restaurazione dello stato di riposo della cellula. Sono tetramerici di subunita’ a 2 o 6 TM; esistono anche subunita’ a 4 TM, che formano complessi dimerici. Sottofamiglie a 2 TM sono regolati da [ATP]i (K ATP), attivati da neurotrasmettitori attraverso subunita’ Gβγ (GIRK), e rettificatori entranti (inward rectifyer) forti e deboli. I canali voltaggio-dipendenti oscillano tra 3 stati, possono essere aperti, chiusi o inattivati. A seconda della differenza di potenziale il canale può essere aperto, chiuso o inattivato. Il canale è aperto quando passa la corrente, è chiuso quando non passa la corrente, è inattivato quando è chiuso ma ha scarsa probabilità di apertura.
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CHIUSO
APERTO Ca
+
Ca
+
Ca Ca
+
Ca
+
+
Ca
+
Ca
+
+ +
+
+
+
+
Ca
+
+
+
Ca
+
+
Ca
+
+
INATTIVO Ca
+
+
Ca Ca
+ +
+
Ca
+
+
Ca
+
+
Nel canale inattivato la palla fucsia è stata risucchiata all’interno del canale e ha chiuso il cancello interno. Dal punto di vista elettrofisiologico: per misurare la corrente partiamo da -100 e non avendo un potenziale intermedio, e poi andando ad un potenziale più alto la corrente che passa è molto più bassa, perché il numero di canali che si apre è minore.
+
Questa è la curva d’inattivazione, partono 2 curve (quelle nere), vi è una curva d’inattivazione e una di attivazione, nella curva d’inattivazione se partiamo da -100, -80 e così via, e ogni volta andiamo ad un potenziale positivo, misuriamo i canali inattivati. Quando parliamo di canali voltaggio-dipendenti ci riferiamo alla possibilità che i canali hanno di aprirsi, chiudersi e inattivarsi. Ci sono farmaci che agiscono sui canali al Ca++, sono i Ca++ antagonisti, farmaci importanti nell’apparato cardiovascolare. Quando andiamo a vedere l’interazione di questi farmaci con questi canali, esistono due grosse modalità d’interazione: USE-DEPENDENCY e VOLTAGE-DEPENDENCY. I farmaci che interagiscono secondo la modalità use-dependency, siccome hanno il sito di legame che è all’interno del poro, hanno bisogno che il canale
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sia aperto per raggiungere il loro sito di legame, si chiama così perché più la cellula usa il canale, più il farmaco riuscirà a bloccare il canale, si riferisce alla frequenza con la quale una cellula si depolarizza. Questo è valido nel caso dei canali al Na+ per la CHINIDINA, e per i canali al Ca++ per il VERAPAMIL, è un farmaco che si usa per le tachiaritmie sopra-ventricolari, sono aritmie cardiache caratterizzate da tachicardia, sono dette sopra-ventricolari perché lo stimolo topico che fa battere il cuore più in fretta si trova sopra i ventricoli, cioè negli atri, in queste condizioni è utile il VERAPAMIL perché riesce a bloccare i canali al Ca++ nel nodo atrio-ventricolare. Mentre voltage-dependency si riferisce al fatto che alcuni farmaci hanno affinità diversa per il canale a seconda dello stato del canale, per esempio hanno affinità più alta per il canale allo stato inattivato e più bassa per il canale chiuso. Se nella cellula abbiamo una quantità più alta di canali inattivati, il farmaco sarà più attivo, perché troverà più canali che hanno un’affinità con lui. L’inattivazione è indotta dalla depolarizzazione prolungata. Maggiore è il tempo che la cellula spende a potenziali meno negativi, maggiore è la proporzione dei canali inattivati, quindi maggiore è la capacità di questi farmaci che hanno di legare il canale. Nel caso dei canali al Ca++ sono i canali per la DIIDROPIRIDINA(DHP), farmaco utilizzato per l’ipertensione, sono farmaci che si legano ai canali inattivi e sono più attivi sulle cellule muscolari lisce dei vasi, che sul cuore. Mentre sul cuore canali inattivati non ce ne sono molti, nelle cellule muscolari lisce le cellule possono spendere anche 10-15 minuti a potenziale depolarizzante e in queste condizioni quindi le diidropiridine possono legare quantità in proporzione tale da bloccare questi canali. Per i canali al Na+ la LIDOCAINA, la usiamo per le aritmie ventricolari che insorgono in seguito a sofferenza ischemica del miocardio. La lidocaina legherà quei canali al Na+ in quelle cellule del miocardio più sofferenti. La NOMENCLATURA MODERNA dei canali al Ca++: abbiamo tre categorie Cav 1.1, Ca sta per calcio, V per voltage e poi tre sottotipi 1, 2, e 3 a seconda delle subunità α1 che entrano in gioco. Questa è la classificazione molecolare basata sulle sequenze delle proteine. La NOMENCLATURA STORICA è quella elettrofisiologica e farmacolgica. Storicamente i canali al Ca++ sono indicati L-type, T-type, N-type. I canali L sono i bersagli dei Ca-antagonisti, L sta per long lasting, cioè la loro apertura dura a lungo, la loro conduttanza è abbastanza grande, dell’ordine dei 20 pS. Sono ubiquitari, sono importanti nel sistema cardiovascolare ma li ritroviamo anche nel SNC. I canali T, T sta per tiny (transiently activated) hanno correnti piccole di 4-5-6 pS, sono importanti in quelle cellule che hanno attività spontanea, che si depolarizzano in maniera spontanea, ad esempio alcune cellule del talamo hanno queste correnti spontanee, sono canali che si attivano in maniera transitoria, questi canali ai potenziali normali di riposo sono già tutti inattivati, perché hanno una curva di inattivazione tale che a potenziali molto negativi già si inattivano, ad un potenziale di -70 questi canali sono in buona parte inattivati. Mentre i canali L si aprono a potenziali di -50. I canali T sono ubiquitari. I canali N, neuronali, si trovano sui neuroni, non sono presenti sul cuore, si trovano nel tessuto muscolare liscio, sono importanti nella secrezione dei neurotrasmettitori, per la neurotrasmissione, che è un processo Ca-dipendente, e il Ca++ entra attraverso questi canali voltaggio-dipendenti. I canali PQ svolgono la stessa funzione dei canali N, sono proteine diverse e sono sensibili a tossine diverse. Quelli N sono sensibili all’OMEGA CONOTOSSINA, prodotta da un mollusco, che li blocca. Mentre i canali PQ sono bloccati dalla tossina presente nel veleno dalla vedova nera che è l’AGATOSSINA. I canali PQ sono neuronali, e anche i canali R sono neuronali. Sono stati chiamati P perché sono stati scoperti nel cellule del cervelletto di Purkinje. Sia le correnti di tipo P che di tipo Q corrispondono allo stesso canale per questo motivo si parla di canali PQ.
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Lezione 5 Farmacologia Generale Recettori accoppiati a G proteine, recettori ad attività tirosina kinasi, altri recettori I recettori di membrana si possono raggruppare in 3 grandi classi: 1. RECETTORI CANALI 2. RECETTORI A 7 DOMINI TRANSMEMBRANA (7TM), sono i recettori accoppiati alle G proteine 3. RECETTORI AD 1 DOMINIO TRANSMEMBRANA (1TM) comprendono diversi tipi di recettori, alcuni ad attività enzimatica ad es. (ad attività tirosin chinasica, guanilato clicasica, serina e treonina chinasica ecc..), alcuni che non hanno attività enzimatica intrinseca, ma interagiscono con degli attivatori citoplasmatici che hanno attività tirosin chinasica.
canali
Recettore di membrana
1TM
N
7TM
Acetilcolina (nicotinici) ATP/UTP (P2X) Glutammico/Aspartico (NMDAR, Kainato,AMPAR) Glicina Serotonina (5HT3)
CITOCHINE FATTORI di CRESCITA Insulina, GH, PRL, EPO Attivina, AMH VARI NEUROTRASMETTITORI CHEMOCHINE PROSTAGLANDINE LEUCOTRIENI, TROMBOSSANI ORMONI PEPTIDICI (ACTH, ADH, Angiotensina, Bradichinina, adrenalina, calcitonina, glucagone, ossitocina, paratormone, TSH….
RECETTORI ACCOPPIATI A G PROTEINE: prevedono la produzione di un secondo messaggero, e sono a 7 domini trans membrana, cioè hanno 7 domini ad α elica idrofobica che attraversano 7 volta la membrana. Rappresentano un gruppo di recettori numeroso (circa 700-800 tipi diversi), ma buona parte sono implicati nelle funzioni sensoriali (vista, olfatto, gusto), altri sono accoppiati a chemochine, piccoli peptidi che svolgono la funzione chemiotattica. I recettori legati a proteine G che ci interessano sono i recettori che prevedono la produzione di 2°messaggeri che sono: AMPc, IP3 (inositolo 1,4,5 trifosfato), e il DAG (diacil glicerolo). La cascata di eventi che prevede la produzione del 2° messaggero è: –
legame farmaco-recettore
–
Attivazione di una G proteina di membrana (la G proteina fa da trasduttore)
–
Attivazione di un enzima di membrana e/o attivazione/inibizione di un canale ionico
–
Generazione di un secondo messaggero
–
Attivazione di kinasi intracellulari, che fosforilano delle proteine da cui scaturisce l’effetto fisiologico.
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ESEMPIO DI RECETTORI ACCOPPIATI ALLA FOSFOLIPASI C: (Cascata di eventi nella contrazione della muscolatura liscia) Un recettore α adrenergico vasale attivato dalla noradrenalina o dalla fenilefrina (un farmaco che si trova nei decongestionanti nasali). L’agonista endogeno o esogeno si lega al recettore che è accoppiato ad una G proteina, che a sua volta stimola la fosfolipasi C, un enzima di membrana che degrada il PIP2,(fosfotidil inositolo bifosfato) e lo scinde in IP3, che va nel citosol, e DAG una molecola più grossa che resta ancorata alla membrana. L’IP3, il secondo messaggero, quindi va nel citosol ed apre i canali del calcio del reticolo endoplastico; il calcio liberato lega la Calmodulina che così attivata regola allostericamente la chinasi della catene leggere della miosina, che fosforila le catene leggere della miosina generando la contrazione
Si definisce effettore la proteina che genera il 2° messaggero in questo caso l’effettore è la fosfolipasi C, nel caso in cui il secondo messaggero sia l’AMPc, l’effettore è l’adenilato ciclasi. Recettore a 7 TM, interagisce con una prot.G che attiva l’effettore.
La proteina G è un eterotrimero, formato da 3 subunità, α,β,γ. Si chiamano proteine G perché legano nucleotidi guanosidici GTP o GDP, e hanno attività GTPasica, cioè legano il GTP scindono un legame fosforico, il GTP diventa GDP; il GDP formato viene di nuovo scambiato con GTP e il ciclo si ripete. Sono degli interruttori che ci garantiscono un segnale limitato nel tempo e nello spazio; limitato dal tempo durante il quale la G proteina lega il GTP (la G prot attiva è quella che lega il GTP, quella inattiva è quella che lega il GDP), cioè in quel periodo di tempo in cui la proteina non ha ancora idrolizzato il GTP. Quindi quando un recettore interagisce con una G prot, questa si trova in forma inattiva, sotto forma di trimero (α,β,γ), legante il GDP, quando
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interagisce con un recettore attivato, la sub unità α si dissocia da β,γ, rilascia il GDP e lega il GTP e l’α-GTP interasce con l’effettore; l’α-GTP idrolizza il GTP e diventa α-GDP, si riassociano β e γ ed è pronta per ricominciare il ciclo.
Recettore a 7 TM, arriva l’agonista che fa riarrangiare la struttura del recettore, in particolare il loop tra il dominio V e VI interagisce con la G proteina. Una cosa da notare è che i recettori accoppiati a G prot presentono nel versante citoplasmatico dei residui di serina e treonina, che sono potenziali siti di fosforilazione, la quale cambia la conformazione del recettore rendono in alcuni casi impossibile l’interazione con la G proteina, fenomeno chiamato DISACCOPPIAMENTO. Quindi quando un recettore viene fosforilato nel suo versante citoplasmatico perde o diminuisce la possibilità di interagire con le G prot, si dice che il recettore viene disaccoppiato. Mentre i recettori per le G proteine sono tantissimi, circa 800, le G proteine sono molto di meno, si hanno: 23 diverse sub unità α, 7 diverse β, e 12 γ , quindi sono poche, questo significa che una stessa G proteina può essere attivata da recettori diversi. Le G proteine appartengono alla superfamiglia delle proteine leganti il GTP e con attività GTPasica, a cui appartengono altri svariati tipi di proteine, come RAS. Tutte queste proteine sono dei trasduttori biologici che servono a trasdurre dei segnali. Queste proteine possono essere regolate o variando la loro affinità per il GTP, o modulando la loro attività GTPasica. Ci sono infatti dei fattori chiamati Geff che diminuiscono l’affinità per il GDP e quindi lo fanno rilasciare, e attivano la proteina; altre proteine regolatrici invece regolano l’attività GTPasica, perché se quest’ultima viene aumentata, il tempo di attivazione della G proteina diminuisce, se viene diminuita, il tempo di attività aumenta.
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ESEMPIO DI RECETTORE ATTIVATO CHE DETERMINA LA PRODUZIONE DI AMPc (ad es. recettore β adrenergico) Arriva l’agonista che attiva il recettore che è accoppiato ad una proteina Gs (s=stimolatoria) , cioè la sub unità α che interagisce con l’effettore, che è l’adenilato ciclasi (AC), enzima di membrana che prende l’ATP e lo ciclizza in AMPc. L’AMPc è il regolatore allosterico di chinasi che vengono chiamate protein chinasi A (PKA) che hanno una struttura R2C2, cioè hanno due sub unità regolatorie e due catalitiche. Le sub unità regolatorie legano l’AMPc, e in questo modo smascherano l’inibizione delle subunita catalitiche; infatti di norma le sub unità regolatorie impediscono alle catalitiche di essere attive. Quando si lega l’AMPc i due siti catalitici vengono liberati e allora l’attività chinasica parte e ci sono numerose proteine che vengono fosforilate. I nucleotidi ciclici, AMPc e GMPc, attivano proteine diverse. L’AMPc attiva le protein kinasi A, il GMPc è l’attivatore allosterico delle PKG, chinasi dipendenti da GMPc. La concentrazione di questi due nucleoditi dipende dalla loro produzione, ma anche dalla velocità della loro degradazione. La degradazione dei nucleotidi ciclici è mediata dalle fosfodiesterasi,, enzimi solubili che si distinguono in diverse classi in base: alla specificità del substrato,(alcune sono specifiche solo per l’AMPc), alla loro regolazione, perchè alcune sono inibite dal GMPc, e anche in base all’espressione, perché tessuti diversi esprimono fosfodiesterasi diverse. Le fosfodiesterasi sono bersagli di alcuni farmaci:le fosfodiesterasi C,sono inibite da farmaci che si usano nelle disfunzioni erettili (VIAGRA), le fosfodiesterasi 4 sono inibite da farmaci che si usano nelle disfunzioni respiratorie, mentre le fosfodiesterasi 7 sono inibite da farmaci che si usano nello scompenso cardiaco.
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RECETTORI 7 TM possono attivare come effettore o l’adenilato ciclasi o la fosfolipasi C. Nel caso della fosfolipasi C c’è un circolo, perché aumenta il calcio che attiva la calmodulina e alcune forme della protein chinasi C (attivate anche dal DAG); ma il calcio in alcune cellule ad es. quelle endoteliali e nei neuroni, attiva le NOS (nitrossido sintetasi). Le NOS esistono in 3 isoforme: NOS 2, è calcio-indipendente, non sensibile alla calmodulina, è un enzima indotto. La NOS1 o NOS neuronale, e la NOS 3 o NOS endoteliale, sono sensibili invece alla calmodulina, ecco che l’aumento di calcio nell’endotelio o nel neurone determinano attivazione della NOS e produzione di nitrossido. L’NO,che è un gas, diffonde e attiva le guanilato ciclasi e quindi si ha produzione di GMPc e attivazione a sua volta delle chinasi C. Questo succede nell’apparato vascolare dove il recettore muscarinico dell’endotelio, attivato dall’acetilcolina, è accoppiato alla fosfolipasi C; quest’ultima determina aumento di calcio nella cellula endoteliale attraverso IP3, questo calcio attiva la NOS3, attraverso la calmodulina, produce NO, questo è un gas e diffonde nelle cellule muscolare lisce sottostanti vicino all’endotelio, lì attiva la guanilato ciclasi che produce GMPc che attiva le PKC.
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DIVERSI TIPI DI G PROTEINE, ci sono 4 Famiglie: 1. Famiglia Gs = è accoppiata ai recettori β adrenergici, ai recettori per il glucagone, istamine, alcuni recettori per la serotonina e altri ormoni; la sua funzione è di aumentare l’attività dell’adenilato ciclasi quindi aumenta l’ AMPc. 2. Famiglia Gi = è accoppiata ai recettori α2 adrenergici, ai recettori muscarinici (dell’acetilcolina), ai recettori per gli oppioidi e per la morfina; fa il contrario di Gs, perché inibisce l’adenilato ciclasi, quindi riduce la concentrazione dell’AMPc, e attiva i canali per il K. Quest’ultimo determina l’effetto bradicadizzante (cioè abbassamento della frequenza cardiaca) dell’acetilcolina, perché determina l’iperpolarizzazione delle cellule peace-maker. 3. Famiglia Gq = è accoppiata alla fosfolipasi C, la troviamo accoppiata ai recettori muscarinici (N3), ai recettori α1 adrenergici, alcuni recettori per la serotonina. 4. Famiglia 12,13, attivano delle GTPasi solubili che appartengono alla famiglia RHO, che attivano poi altre proteine implicate nel riarrangiamento del citoscheletro, pertanto determinano deformabilità delle cellule, il movimento, l’emissione di pseudopodi. Altre G proteine, non importanti in farmacologia, sono implicate in alcuni processi sensoriali (Goff=olfatto) o la trasducina che si trova nei fotorecettori accoppiata alla rodopsina.
Recettori con attività tirosina kinasi Sono recettori con 1 dominio trans membrana (1TM), sono recettori per i fattori di crescita (es. insulina, EGF, PDGF). Hanno 3 dominio: uno extracellulare, uno trans membrana, uno intracellulare. Sono delle kinasi specifiche che fosforilano soltanto i gruppi –OH dei residui di tirosina. (da ricordare che i residui delle proteine che possono essere fosforilati sono solo tirosina, serina e treonina, per cui si distinguono tirosin kinasi e kinasi serina-treonina).
Schema del recettore EGF: le molecole di EGF si legano sul sito extracellulare, e in seguito a questo legame il recettore dimerizza,(questo vale anche per i recettori associati alle G proteine). Viene attivata l’attività tirosin kinasica, che appartiene al dominio citoplasmatico, e il recettore fosforila se stesso, quindi si ha una auto fosforilazione del dominio citoplasmatico. In seguito il recettore interagisce con proteine che hanno funzione di effettori e trasduttori, sono delle proteine che posseggono gruppi –SH.
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In realtà il recettore EGF sul versante extracellulare presenta 4 domini, lega le EGF, due recettori dimerizzano, si auto fosforilano, dopo di che interagiscono con proteine che contengono gruppi –SH, tra cui GRB2. GRB2 è un adattatore che è in grado di interagire e attivare, una volta fosforilata nei residui di tirosina, i famosi GEF (fattori di scambio GTP-GDP), tra cui la proteina RAS. Questa è una proteina legante il GTP, che una volta attivata attiva RAF, una chinasi serina-treonina, che fosforila altre proteine tenute insieme da uno Scaffold proteico(impalcatura). Le proteine fosforolate da RAF sono MEK, e infine MAPK, serie di chinasi che vengono attivate da stimoli mitogenici, cioè proliferaritivi. Raf è un bersaglio biologico di molti nuovi farmaci che si utilizzano per curare alcune neoplasie, come il Sorafenib (ib = inibitore), quindi un inibitore di raf, usato per il carcinoma renale, mentre il Venurafenib su usa per curare il melanoma maligno.
RECETTORI PER LE CITOCHINE (Sono simili ai recettori tirosin chinasi)
Le citochine sono i mediatori dell’infiammazione, e il recettore per le citochine ha sempre 1 domino TM, ma nel versante intracellulare non ha direttamente attività tirosin kinasi, ma è associato a tirosin chinasi, (JAK). Quindi le citochine si legano al recettore, questi dimerizzano, attivano JAK che fosforila diversi substrati, il più importante è
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STAT (trasduttore del seganale e attivatore della trascrizione) un attivatore della trascrizione. Infatti, STAT fosforilato va nel nucleo e attiva la trascrizione di geni pro-infiammatori.
Schema più dettagliato. I recettori per le citochine sono dei dimeri si accoppiano a Janus kinasi,che fosforilano STAT. STAT fosforilato forma un dimero che va ad attivare l’espressione di geni pro-infiammatori. SOCS è un fattore inibitorio.
RECETTORI AD ATTIVITA’ SERINA-TREONINA CHINASI. (RECETTORE PER IL TGF β). Il TGF β ha due tipi di recettori, che una volta legato l’agonista dimerizzano. Il recettore attivato fosforila, a livello di serina e treonina, delle proteine che si chiamano Smad (che sono fattori di trascrizione). Le Smad migrano nel nucleo dove formano dei complessi che si legano a promotori di alcuni geni e attivano la trascrizione. In questo caso il recettore fosforila direttamente queste proteine che sono fattori di trascrizione.
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Schema riassuntivo recettori 1TM
dei
Da una parte RAS che con tutta una serie di passaggi, attiva RAF, il quale attiva tutta una serie di chinasi. Dall’altra parte c’è la via della citochine, c’è JAK che attiva STAT, è una via più breve. Poi c’è il recettore per il TGF, ancora più breve, che attiva direttamente le Smads. E infine c’è un’altra via importante quella della PI3K (fosfatidil inositolo 3 kinasi),una chinasi che ha un dominio – SH2, quindi in grado di reagire con recettori ad attività tirosin chinasica attivati. Questo enzima fosforila in posizione 3 i fosfolipidi di membrana, e quindi genera dei fosfoinositili (PI3) che poi interagiscono con delle proteine (PKB o AKt) che hanno un dominio che riconosce il PI3. Toll-like receptors I Recettori di tipo Toll (Toll-Like Receptors, TLR) sono una classe di recettori a singolo segmento transmembrana che riconoscono motivi molecolari stereotipati, comuni a numerosi microrganismi patogeni. TLR caratterizzano le cellule dell'immunità innata e, quando attivati, scatenano una risposta di tipo infiammatorio (ad es. determinando il rilascio di granuli di istamina da parte dei mastociti). Questi recettori, una volta legato il ligando esogeno, si legano a proteine adattatrici come MyD 88. Sono dei recettori posti sulla superficie delle cellule dell’immunità innata (linfociti, granulociti, monociti, mastociti), con il compito di riconoscere dei pattern molecolari estranei (ad es. il peptidoglicano che è un polimero della parete batterica, oppure l’RNA a doppia catene dei virus, alcune sequenze nucleotidiche, o il lipopolisaccaride, che è l’endotossina batterica dei GRAM - che costituisce parte della capsula). Tutte queste strutture estranee alla cellula sono riconosciute da questi recettori TLR che vengono classifica in base al ligando in 13 gruppi: ad es. TRL1 riconosce il politriacil-lipopeptide dei batteri; TRL2 il peptidoglicano, l’acido lipoproteico,ma anche le proteine heat shock; TRL3 l’RNA a doppia catena di alcuni virus; TRL4 il lipopolisaccaride dei GRAM- ecc..
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Recettore TRL4: interagisce con il lipopolisaccaride, la parte citosolica si lega a delle proteine adattatrici come MyD 88 che attiva una chinasi chiamata TIRAP. A questo punto possono essere attivate 3 vie: 1. Una via direttamente di trascrizione con IRF3, che è un fattore di trascrizione di geni dell’immunità innata. 2. La via dell’ NFkB, fattore nucleare che stimola nei linfociti l’espressione delle catene leggere K dell’immunoglobuline. Questo fattore normalmente è inattivo perché complessato nel citosol a IkBa(inibitore dell’NFkB). Quando IkBa viene fosforilato attraverso una kinasi che si chiama IKK, IkBa si dissocia da NFkB, questo va nel nucleo e attiva la trascrizione. 3. Un’altra via è quella delle MAP kinasi, che sono 3 (ERK, JNK, P38) che fosforilano fattori di trascrizione specifici, come AP1, che attivano la trascrizione dei geni della proliferazione cellulare.
RECETTORE PER IL TNF (DEATH RECEPTOR) Il recettore per il TNF (Tumor necrosis factor) appartiene ad una famiglia più ampia che è la famiglia dei recettori di morte, recettori che se attivati in alcuni casi possono innescare l’apoptosi. Tra i più noti TNF, TNF α, una importante citochina implicata nei processi infiammatori cronici, quindi un’importante target della farmaco terapia. Ci sono due recettori per il TNF: TNF-R1 (recettore per il TNF di tipo 1; CD120a; p55/60) e TNF-R2 (recettore per il TNF di tipo 2; CD120b; p75/80). Questi dopo il contatto con i loro ligandi formano trimeri. Ciò provoca un cambiamento conformazionale, portando alla dissociazione della proteina inibitoria SODD dal dominio intracellulare detto “dominio di morte” (Death Domain DD). In tal modo la proteina adattatrice TRADD è in grado di legarsi al DD, servendo appunto da adattatrice per successive proteine. Legata TRADD possono iniziare tre diverse vie di segnale: 1. Attivazione di NF-κB: TRADD recluta TRAF2, che recluta a sua volta un complesso proteico a funzione chinasica detto IKK, che può essere attivato (fosforilato) da un'altra serina-treonina chinasi RIP. Una proteina inibitoria IκBα che normalmente è legata a NF-κB e inibisce la sua traslocazione nel nucleo è fosforilata da IKK e può essere degradata, rimane così libero NF-κB. NF-κB è un fattore di trascrizione eterotrimerico che, traslocato nel nucleo, media la trascrizione di un vasto numero di proteine coinvolte nella sopravvivenza cellulare e nella proliferazione, nella risposta infiammatoria, nella funzione anti-apoptotica. 2. Attivazione della via della MAP chinasi: delle tre maggiori cascate enzimatiche iniziate dalla MAPK, il TNF induce una forte attivazione di quella legata allo stress del gruppo JNK. TRAF2 attiva le chinasi MEKK1 e ASK1, prime induttrici della via JNK; e queste due fosforilano MKK7 che finalmente attiva JNK. Esso entra nel nucleo e attiva fattori di trascrizione come c-Jun e ATF2. La via di JNK è coinvolta nel differenziamento cellulare, nella proliferazione ed è generalmente pro-apoptotica. 3. Induzione di segnali di morte: come tutti i membri della superfamiglia del TNFR che contengono domini di morte (DD), TNF-R1 è coinvolto nel processo di morte cellulare programmata. La capacità di indurre la morte cellulare è scarsa se comparata a quella di altre molecole della stessa famiglia (quale il recettore Fas) ed è sempre mascherata dagli effetti anti-apoptotici di NF-κB (che è contemporaneamente attivato). Comunque, TRADD lega FADD, che recluta la proteasi caspasi-8. Un'alta concentrazione di caspasi-8 induce la propria attivazione autoproteolitica e il susseguente clivaggio di altre caspasi effettrici che inducono il processo apoptotico. Una ligando con spiccata attività apoptodica è FAS.
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RECETTORI AD ATTIVITA’ GUANILATO CICLASI La guanilato ciclasi è l’attività responsabile della produzione di GMPc. Esiste una guanilato ciclasi solubile,che è quella che viene attivata dal NO, ed esiste una guanilato ciclasi di membrana che è legata a questi recettori tran membrana con attività guanilato ciclasica. Questi sono i recettori per i peptidi natriuredici che sono 3: ANP (atrial natureted peptide), è un peptide prodotto dalle cellule atriali negli stadi ipervolemici, infatti la sua funzione biologica è quella di regolare la volemia,la pressione arteriosa e l’espulsione di sodio da parte del rene, inoltre ha effetto sull’ipertrofia del miocardio. Ci sono farmaci analoghi dell’ANP che hanno un effetto nello scompenso cardiaco. Gli altri peptidi natriuredici sono: BNP(è stato trovato inizialmente nel cervello) e GNP(ha un ruolo nello sviluppo delle ossa lunghe). Recettore per ANP dimerizza e produce direttamente GMPc che può derivare anche dalla guanilato ciclasi solubile attivata dal NO, questo enzima, infatti, ha un gruppo eme che interagisce col NO.
Si hanno due livelli di controllo delle funzioni cellulari:
Un livello a breve termine, a tempi minuscoli come la liberazione di un neurotrasmettitore. Sono fenomeni che si svolgono a livello citosolico (fosforilazione di proteine contrattili = contrazione, fosforilazione di proteine sinaptiche = liberazione di neurotrasmettitore).
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Un livello a lungo termine che è quello che si svolge nella modulazione dell’espressione genica. Si svolge a livello nucleare. L’espressione genica viene modulata dai recettori di membrana attraverso l’azione sui FATTORI DI CRESCITA. Questi appartengono a due Famiglie: Famiglia FOS
Famiglia JUN
C-FOS
C- JUN
FRA 1
JUN B
FRA 2
JUN D
FOS- B Questi una volta fosforilati da PKA, PKC, MAPK, RSK, formano o degli omodimeri JUN-JUN o degli eterodimeri FOSJUN (AP1) che si vanno a legare a promotori di numerosi geni regolandone la trascrizione. Dinamismo recettoriale: I recettori non sono una entità immutabile, ma un’entità dinamica, cioè il numero dei recettori può variare in seguito ad uno stimolo che la cellula riceve. Ad es. una stimolazione eccessiva dell’agonista e per lungo tempo tende a produrre la down-regulation, cioè la diminuzione del numero dei recettori, il contrario di una sottostimolazione. Mentre quando alcuni recettori li trattiamo con agonisti inversi si può osservare un fenomeno di up-regulation, cioè un aumento del loro numero, e questo è un concetto importante per quanto riguardai β bloccanti che sono antagonisti β adrenergici utilizzati nello scompenso cardiaco. Ci possono essere anche recettori disaccoppiati, il recettore viene fosforilato nelle sue porzioni citosoliche e diminuisce la possibilità di reagire con le proteine di trasduzione; dopo essere disaccoppiato il recettore può anche essere internalizzato all’interno della cellula. - Desensitizzazione recettoriale Il legame recettore-agonista spesso provoca la rapida attenuazione della responsività recettoriale (DESENSITIZZAZIONE). Ci possono essere 3 tappe: 1. disaccoppiamento recettore-proteine G in risposta alla fosforilazione del recettore 2. internalizzazione del recettore 3. down-regulation dei recettori totali a seguito della ridotta sintesi di mRNA e di proteina, e/o della degradazione lisosomiale. Il sistema più rapido di desensitizzazione: il disaccoppiamento recettore-proteine G in risposta alla fosforilazione del recettore tramite PKA e/o PKC (kinasi serina-treonina) Consideriamo un recettore accoppiato alla fosfolipasi C, che porta all’attivazione della protein chinasi C, nel caso del recettore accoppiato all’adenilato ciclasi si va all’attivazione della protein chinasi A, se la chinasi A o C fosforila il recettore dal quale avviene la sua attivazione si ha un feed-back inibitorio. L’altra possibilità è il disaccoppiamento recettore-proteine G in risposta alla fosforilazione del recettore tramite una kinasi specifica che si chiama GRK (G protein-coupled receptor Kinase= kinasi dei recettori accoppiati alle g proteine.) La fosforilazione tramite GRK spesso non è sufficiente per inattivare completamente i recettori; la completa inattivazione richiede un componente addizionale, l’arrestina. Una volta legata la β arrestina il recettore viene internalizzato tramite una vescicola rivestita di clatrina. La vescicola va all’interno della cellula forma un endosoma, che può andare nel lisosoma dove viene degradato, o può ricircolare e ritornare in superficie.
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Risposta di una cellula all’esposizione per lungo tempo ad un agonista: inizialmente l’AMPc aumenta, poi col tempo la concentrazione di AMPc diminuisce perché il recettore è stato disaccoppiato. Se si osserva però un periodo in cui l’agonista non è presente si ha un ristabilirsi della sensibilità, perché i recettori vengono di nuovo espressi in superficie
- Sensitizzazione Un esempio è l’ormone tiroideo, nel caso di ipertiroidismo aumentano i b recettori miocardici e quindi aumenta la frequenza cardiaca. Il blocco recettoriale cronico •
Determina una risposta di ipersensibilità dei recettori (con aumento del loro numero e della loro affinità)
•
Determina la comparsa di effetti farmacologici secondari sfavorevoli Caso dei β bloccanti che si utilizzano per trattare l’ipertensione. Se un soggetto iperteso viene trattato per lungo tempo con β bloccanti e poi si sospende all’improvviso il trattamento, si una situazione pericolosa che può dar luogo a crisi ipertensive. Questo succede perchè i recettori β adrenergici durante il trattamento sono aumentati, quindi non appena togliamo i β bloccanti le catecolamine endogene hanno un’azione più potente, perché ci sono più recettori, quindi si possono avere crisi ipertensive. Ecco perché il trattamento con β bloccanti non va mai sospeso in maniera improvvisa.
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Lezione 6 Farmacologia Generale NEUROTRASMISSIONE È una modalità di trasmissione tipica degli animali. È una forma di trasmissione intercellulare particolarmente specializzata. L’elemento centrale della neurotrasmissione è il neurone, il quale ha un corpo cellulare chiamato anche pericaryon o pirenoforo, ed è altresì, composto da prolungamenti che si dipartono dal corpo cellulare e che possono essere i dendriti, che spesso si ramificano a formare arborizzazioni o prolungamenti più lunghi, in genere, 1 per neurone, chiamati assoni.
Principali caratteristiche di un tipico neurone di vertebrato: i dendriti, ricevono sinapsi dai terminali pre-sinaptici. Il corpo cellulare contiene il nucleo che è la sede della trascrizione e della traduzione. L’assone trasporta le informazioni dal pericaryon ai terminali presinaptici, che formano sinapsi con i dendriti di altri neuroni. Si possono avere anche delle sinapsi asso-somatiche. Cosa succede, quindi, dal punto di vista del contatto con altre cellule? Il pericarion e i dendriti ricevono contatti da altre cellule nervose. Questi contatti prendono il nome di sinapsi. Queste possono avvenire tra cellule nervose o tra cellule nervose e cellule effettrici. La sinapsi è una modalità specializzata a livello di contatto cellulare e a livello della quale si svolge la neurotrasmissione. Il neurone riceve i segnali al corpo cellulare dalle terminazioni dendritiche di altri neuroni, mentre, con l’assone prende contatto con altre cellule, che a seconda dei casi, possono essere o altre cellule nervose o cellule effettrici. Possiamo, pertanto, fin da ora definire due termini:
Afferenza: stimolo che arriva al corpo cellulare del neurone Efferenza: stimolo che viene portato fuori dal corpo cellulare attraverso l’assone. Si distinguono, in generale, nella sinapsi un elemento pre-sinaptico e un elemento post-sinaptico. Gli assoni possono essere: Mielinici Amielinici La mielina è una guaina di membrana che ha lo scopo di isolare elettricamente l’assone. La mielina viene prodotta da due tipi di cellule che sono le cellule di Schwann nel SNP e gli oligodendrociti, nel SNC. Questo rivestimento permette una conduzione di tipo saltatoria dell’impulso attraverso i nodi di Ranvier e cioè, le depolarizzazioni, anziché
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propagarsi punto a punto, negli assoni delle fibre mieliniche si propagano da un nodo di Ranvier all’altro. Questa è una modalità di trasmissione che garantisce una velocità di trasmissione superiore rispetto a quella punto a punto.
LE SINAPSI La sinapsi è quella regione in cui si svolge la neurotrasmissione e possono essere di 2 tipi: 1. Elettriche: un esempio, sono quelle che si hanno tra le cellule del miocardio. Si dice che il cuore si comporta come un sincizio elettrico perché lo stimolo elettrico passa da una cellula all’altra, direttamente, a livello delle gap junction. Non c’è specificità (si parla di aspecificità) e quindi, trasmette variazioni elettriche qualunque esse siano. 2. Chimiche: sono un’evoluzione della modalità elettrica (sinapsi elettrica); sono deputate alla neurotrasmissione; queste, rispetto ad una sinapsi elettrica aggiungono due elementi che sono la Specifità per il neurotrasmettitore ed una maggiore Specializzazione. La specificità consiste nel fatto che un neurone colinergico, ad esempio, libera acetilcolina, un neurone adrenergico libera noradrenalina, un neurone dopaminergico libera dopamina. Inoltre, la specializzazione consiste nel fatto che un trasmettitore specifico agisce su recettori distinti. Il neurotrasmettitore è la molecola rilasciata nella sinapsi che veicola il messaggio intercellulare.
Oltre alla specializzazione e alla specificità la sinapsi chimica aggiunge:
Complessità: consiste nel fatto che un terminale sinaptico può, in realtà liberare, a seconda dei casi, diversi mediatori e cioè, oltre al neurotrasmettitore principale vengono liberati co-trasmettitori, che vengono rilasciati in contemporanea. La complessità, comunque, è anche post-sinaptica e cioè, riguarda il tipo di effetto che consegue alla liberazione pre-sinaptica. Modulabilità: consiste nella possibilità, per esempio, di modificare la risposta a seconda dei recettori post-sinaptici. Poiché il neurotrasmettitore agisce su recettori lo stimolo può variare e mentre, lo stimolo elettrico è trasmesso sempre alla stessa maniera, lo stimolo chimico del neurotrasmettitore è modulabile e può essere più o meno intenso a seconda delle modifiche che noi abbiamo a livello dei recettori. La modulabilità riguarda, ad esempio, la long terms potentiation o fenomeni della memoria. Quando una determinata sinapsi viene utilizzata in maniera ripetuta si hanno dei fenomeni di potenziamento e questi sono alla base dei meccanismi di memoria. Non è sempre lo stesso stimolo, la stessa risposta, ma quest’ultima può cambiare: questa è la modulabilità. Plasticità: possibilità di instaurare nuovi contatti sinaptici; le sinapsi non sono immutabili e cioè, non sono un numero fisso, ma cambiano continuamente e, soprattutto, nei giovani tendono ad aumentare; ma i particolari contatti che essi instaurano fra di loro dipendono proprio dall’attività cerebrale nel SNC. Quando parliamo di plasticità, ci riferiamo a delle strutture anatomiche microscopiche osservabili al microscopio, che sono alla base di determinate funzioni. Dove abbiamo più sinapsi vi sarà più attività nervosa e se abbiamo meno attività nervosa si avranno meno sinapsi. Come sappiamo, il numero di neuroni nell’adulto non varia, infatti, si tratta di cellule perenni, che possono, tra l’altro, diminuire con l’età, ma nonostante ciò è possibile l’instaurarsi di nuove connessioni sinaptiche. Quindi, il numero di sinapsi varia in continuazione e tende ad aumentare in funzione dell’attività cerebrale. Le connessioni sinaptiche sono quelle che si formano in funzione dell’attività cerebrale nelle varie zone del cervello.
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STRUTTURA DI UNA SINAPSI E SUOI ELEMENTI La sinapsi è una struttura asimmetrica in cui distinguiamo due elementi:
L’elemento pre-sinaptico è specializzato nella trasduzione elettrico-chimica e nella secrezione di un messaggero extracellulare (NEUROTRASMETTITORE); L’elemento post-sinaptico è specializzato nella ricezione del messaggio chimico (possiede RECETTORI specifici) e nella successiva trasduzione metabolica o elettrica del messaggio.
In questo schema è illustrata la liberazione di neurotrasmettitore, l’azione, e l’inattivazione. La depolarizzazione apre il canale Ca2+ voltaggio-dipendente nel terminale pre-sinaptico del nervo. (1) L'afflusso di Ca2+ durante il potenziale d'azione (AP) determina (2) l'esocitosi di piccole vescicole pre-sinaptiche che immagazzinano il neu-rotrasmettitore (NT) coinvolto nella neurotrasmissione veloce.Il neurotrasmettitore rilasciato interagisce con i recettori della membrana post-sinaptica che possono essere o canali ionici o recettori che agiscono attraverso secondi messaggeri, come (4) GPCRs. Il legame del neurotrasmettitore con recettori presenti a livello della membrana presinaptica (5) può inibire o può migliorare l’esocitosi susseguente. Il rilascio di neurotrasmettitore è inattivato dal reuptake (ricaptazione) di esso nel terminale del nervo da (6) una proteina di trasporto accoppiato ad un gradiente di Na+, per esempio, DA, NE, e GABA; da (7) la degradazione (ACh, peptides); o da (8) assunzione e metabolismo da parte di cellule gliali (Glu). La membrana della vescicola sinaptica è riciclata da (9) endocitosi mediata da clatrina. I neuropeptidi e le proteine sono immagazzinate in (10) più grandi e densi granuli all'interno del terminale del nervo. Questi granuli densi sono rilasciati da (11) sedi distinte da zone attive dopo stimolazioni ripetitive.
Nello schema precedente sono illustrati i vari elementi di una sinapsi. Nel nostro caso stiamo parlando di un neurone ma ricordiamoci che nel sistema nervoso abbiamo anche altri tipi di cellule che come numero sono molto di più dei neuroni e nel SNC sono:
Astrociti: si trovano tra terminazioni vasali e quelle neuroni Oligodendrociti: sono quelli che formano le guaine mieliniche nel SNC e cioè la cosiddetta sostanza bianca che è appunto costituita dalle fibre mieliniche e che differisce dalla sostanza grigia che è invece costituita dai nuclei di neuroni. Microglia: sono cellule che hanno un’origine mesenchimale ed hanno attività di tipo infiammatoria e quindi, sono gli effettori della risposta infiammatoria nel SNC e somigliano un po’ ai macrofagi, però sono cellule specializzate del SNC Cellule ependimali: sono cellule che si trovano a contornare il canale vertebrale ed i ventricoli. In particolare, ci interessano gli astrociti. Vediamo gli elementi e gli eventi che si verificano in una sinapsi ad uno ad uno.
1. Canale al calcio: la membrana pre-sinaptica contiene dei canali al calcio voltaggio dipendenti, ed, in particolare ricordiamo i canali N, ma ci sono altri canali nel sistema nervoso, ricordiamo quelli P, Q (P e Q è lo stesso canale), e quelli di tipo R, L e così via. Questi sono tutti canali neuronali ma i più importanti sono quelli di tipo N. Questi canali sono quelli attraverso cui entra il calcio che determina il rilascio di neurotrasmettitore. AP sta per potenziale d’azione, il quale, una volta generatisi a livello del terminale pre-sinaptico apre i canali al calcio determinandone l’ingresso dello ione. Il calcio che ha fatto ingresso dentro il terminale pre-sinaptico interagisce con una macchina responsabile del processo di esocitosi del neurotrasmettitore.
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2. Esocitosi del neurotrasmettitore (indicato con NT, pallini verdi). Quindi, arriva il potenziale d’azione, si attivano i canali per il calcio, entra il calcio e si innesca l’esocitosi del neurotrasmettitore. 3. Interazione del neurotrasmettitore con recettori post-sinaptici, che possono essere canali ionici detti anche recettori ionotropi o recettori accoppiati a G proteine; in entrambe i casi l’effetto del neurotrasmettitore alla fine, determina una modificazione delle conduttanze ioniche della membrana post-sinaptica, che vanno a determinare variazioni del potenziale della membrana post-sinaptica o verso la negatività e in questo caso parliamo di IPSP (Inibitor Post Sinaptyc Potential) o verso la depolarizzazione e cioè EPSP (Excited Post Sinaptyc Potential). 4. Sia l’interazione con recettori ionotropi sia l’interazione con i recettori accoppiati a G proteine determina alla fine variazioni di conduttanze ioniche della membrana post-sinaptica che producono o una iperpolarizzazione e cioè una variazione del potenziale di membrana verso la negatività e in questo caso parliamo di IPSP, oppure una depolarizzazione e quindi, delle variazioni del potenziale verso la positività e quindi, parliamo di EPSP. Ricordiamo che i recettori accoppiati a G proteine possono, o direttamente agire sul canale per il potassio o anche quelli per il calcio possono essere modulati o possono, attraverso le sinapsi, determinare fosforilazione di alcuni canali. Può interagire anche con altri recettori localizzati a livello della membrana pre-sinaptica. 5. Oltre a questo il neurotrasmettitore va anche ad agire su recettori che si trovano su terminali pre-sinaptici, che sono recettori chiamati autocettori o autorecettori. Questi sono recettori che di solito hanno attività inibitoria e costituiscono un meccanismo di feed-back. Pertanto, il neurotrasmettitore viene liberato, stimola i recettori postsinaptici ma anche i pre-sinaptici e questo, inibisce l’ulteriore liberazione di neurotrasmettitore. 6. Meccanismo di reuptake (ricaptazione): le molecole di neurotrasmettitore che vengono liberate, in molti casi e non in tutti, (per esempio nel caso dell’acetilcolina) vengono ricaptate attraverso meccanismi di trasporto specifici, che sono meccanismi di trasporto che, in realtà, non sono pompe che consumano direttamente ATP, ma sono dei meccanismi di trasporto dei soluti che appartengono alla superfamiglia dei trasportatori dei soluti e sono dei meccanismi di co-trasporto e, di solito, non consumano direttamente ATP ma sfruttano il gradiente del Na +. Questi sono dei meccanismi di trasporto specifici: ogni neurotrasmettitore ha il suo meccanismo di trasporto. La dopamina ha un suo trasportatore detto dopamin transporter (DAP), la serotonina ha il suo trasportatore (serotonin transporter), la noradrenalina ha il suo (NET: norepinefrin transporter), il GABA ne ha, addirittura, 3 (GAT1,GAT2 eGAT3), il glutammato ha il suo quindi, sono molto simili fra di loro e sono, infatti, una superfamiglia che comprende trasportatori per i neurotrasmettitori costituiti da 12 domini trans-membrana e che differiscono per piccole variazioni nelle regioni trans-membrana e variazioni più importanti nelle regioni che devono legare i neurotrasmettitori. Questi trasportatori sono importantissimi perché sono bersagli di farmaci, pensiamo, ad esempio, i farmaci antidepressivi e sostanze di abuso, pensiamo alla cocaina, alle anfetamine tipo l’ecstasy o metilendiossimetanfetamina. I terminali amminico e carbossilico di questi trasportatori sono ambedue intracellulari. 7. Altra modalità di rimozione del neurotrasmettitore: il neurotrasmettitore è stato rilasciato e dopodiché deve essere rimosso e questa rimozione è indispensabile per lo spegnimento del segnale. Il rilascio di ogni neurotrasmettitore determina un effetto post-sinaptico che è circoscritto nel tempo e nello spazio. E come viene circoscritto? Mediante meccanismi che rimuovono il neurotrasmettitore in eccesso dallo spazio sinaptico: o Il primo meccanismo è quello illustrato per il punto 6 e questo vale per quasi tutti i neurotrasmettitori tranne che per l’ACh o Un altro meccanismo importante è la diffusione del neurotrasmettitore fuori dallo spazio sinaptico che non è valido a livello centrale (si immagini la confusione che si genererebbe se questi neurotrasmettitori diffondessero a livello cerebrale) ma solo a livello periferico, per esempio, nel SNP simpatico e parasimpatico. Queste sono zone in cui i contatti sinaptici non sono così stretti come, invece, lo sono a livello del SNC ma sono un po’ più larghi per cui, il neurotrasmettitore liberato ad es. la noradrenalina a livello del SN vegetativo, può diffondere in una regione più ampia e quindi, poi viene rimosso dal sangue e da qui va in circolo per essere alla fine degradato dal fegato. Questo meccanismo prende il nome di diffusione del neurotrasmettitore lontano dalla sinapsi. o Alcuni neurotrasmettitori vengono degradati nel vallo sinaptico, ad esempio l’acetilcolina (ACh) che viene degradata dall’acetilcolinesterasi e non viene quindi, ricaptata. Oltre ad essa vengono degradati anche i peptidi e anch’essi, non vengono, dunque, ricaptati. 8. Nel SNC partecipano alla rimozione dei neurotrasmettitori anche gli astrociti o cellule gliali (ad esempio, il glutammato viene rimosso dagli astrociti e anche il GABA viene rimosso in parte dagli astrociti). Quelli fin qui citati sono tutti meccanismi specializzati di rimozione del neurotrasmettitore dallo spazio sinaptico. 9. Riciclo delle vescicole sinptiche le quali, sono ricoperte da una proteina denominata clatrina e per questo si parla di endocitosi mediata da clatrina e quindi endocitosi clatrina dipendente. 10. Altro tipo di vescicola sinaptica: la vescicola sinaptica tipica è quella col neurotrasmettitore verde, quella col neurotrasmettitore arancione è, invece, la tipica vescicola che rilascia neuro peptidi. Queste al microscopio elettronico appaiono come granuli più densi e contengono, tipicamente, peptidi. I peptidi vengono rilasciati anche con modalità diverse mentre, i neurotrasmettitori classici vengono rilasciati in seguito al potenziale d’azione. I peptidi vengono, invece, rilasciati con altri meccanismi non potenziale d’azione dipendenti. I vari trasportatori a 12 domini trans-membrana presentano delle omologie fra loro in quanto condividono alcuni aa e ciascuno di essi differisce per degli aa specifici che lo identificano e lo rendono specifico per uno specifico neurotrasmettitore.
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In questa immagine è indicata la struttura della proteina trasportatrice della serotonina nel ratto. Come si vede, queste proteine hanno, tipicamente, 12 domini idrofobici trans-membrana. Il secondo loop, come si vede, è il più largo e contiene vari siti di glicosilazione potenziali. I residui aminoacidici colorati sono quelli omologhi a quelli dei trasportatori trans membrana di DA (DAT) e di NE (NET). In blu ci sono aa simili sia per DAT che per NET, mentre, in rosso ci sono gli aa tipici di DAT e in verde, quelli tipici ed esclusivi di NET.
Come si identifica un neurotrasmettitore? Più un neurone è grosso, più proietta il suo assone a distanza dal corpo cellulare, e più è tecnicamente fattibile l’identificazione del neurotrasmettitore. In teoria. Che cosa facciamo? Mettiamo un elettrodo, mettiamo una sonda per micro dialisi, stimoliamo e andiamo a vedere che cosa libera. Questo caso è molto semplice. Il caso più difficile è quello che studia gli interneuroni che sono dei neuroni molto piccoli costituiti da assoni lunghi solo pochi micron e che proiettano a distanze di micron o di mm all’interno del cervello; gli interneuroni si trovano a livello della corteccia e nascono e finiscono all’interno della stessa area oppure nei cosiddetti nuclei che sono zone ricche di corpi cellulari di neuroni che si trovano nel talamo, nello striato, nella sostanza nera e così via. In queste regioni è difficile andare a stimolare direttamente gli interneuroni ed anzi, è quasi tecnicamente impossibile. Ed ecco che l’evidenziazione in questi casi è più complicata.
Vediamo come è possibile evidenziare questi neurotrasmettitori:
Localizzazione: include l’analisi biochimica, microcitochimica ed immunocitochimica. È il caso più semplice di evidenziazione e riguarda anche lo studio della macchina che produce gli enzimi deputati alla sintesi del neurotrasmettitore e questo è uno dei criteri più utilizzati, più potenti e più sensibili oltre che tecnicamente più semplice e si avvale dell’immunoistochimica che opera andando a marcare con degli Ab specifici (coniugati con enzimi come la perossidasi di rafano) gli enzimi specificamente responsabili della produzione di quel neurotrasmettitore. Facciamo un esempio pratico: i neuroni che producono catecolammine, siano essi dopamina, NA e adrenalina devono poter necessariamente possedere un enzima che è la tirosina idrossilasi che è l’enzima chiave nella sintesi delle catecolammine che determina la trasformazione della Tyr in DOPA (diossifenilalanina). Che cosa vuol dire? Che se io sospetto che alcuni neuroni siano dopaminergici posso escludere che siano tali se questi non hanno la tirosina idrossilasi e in questo caso io faccio una fettina di cervello, faccio un’immunoistochimica per la tirosina idrossilasi e se questi neuroni non si mangiano la tirosina idrossilasi non sono neuroni catecolaminergici. La tirosina idrossilasi è l’enzima chiave nella sintesi delle catecolamine ed è specifico ed espresso solo per i neuroni che producono le catecolamine. I neuroni che non producono catecolamine e producono GABA, ad esempio, non hanno la tirosina idrossilasi. Il criterio di immunocitochimica, di immunofluorescenza, immunoistochimica e analisi biochimica vale tanto quanto la dimostrazione del neurotrasmettitore. Nel caso più semplice stimolo e analizzo il neurotrasmettitore così com’è. Questo viene fatto nel cervello di cavie come ratti e topi. Esistono oggi sonde di microdialisi piccoline che si possono impiantare in alcune aree del cervello ed è possibile raccogliere il neurotrasmettitore e manipolare la situazione. Diciamo che, le tecniche di microdialisi sono le tecniche più dimostrative, se noi vediamo che il nostro neurotrasmettitore è stato liberato. Però hanno una risoluzione spaziotemporale che ne permettono un uso limitato, perché, innanzitutto micro dialisi che cosa significa? Significa che il nostro neurotrasmettitore si deve accumulare in questa sonda e per essere dosabile bisogna tenere la sonda per
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almeno mezz’ora, il tempo necessario per permettere l’accumulo del neurotrasmettitore all’interno di questa sonda. Questa è la tecnica di microdialisi. Questa tecnica mi dice se il neurotrasmettitore viene rilasciato. La tecnica di immunoistochimica, invece, mi dice cosa produce il neurone.
Rilascio di neurotrasmettitore (microdialisi, dimostrazione della Ca2+-dipendenza): A proposito del rilascio, “prima stimolo e poi raccolgo”, questo è il concetto su cui si basa la micro dialisi. Il rilascio di neurotrasmettitori è un meccanismo calcio dipendente. È una procedura semplice effettuabile in vitro. Facciamo delle fettine da un cervello appena prelevato da un topo ed andiamo a studiare in vitro il rilascio del mediatore chimico. Come facciamo a dire che avviene questo il rilascio? Il rilascio di neurotrasmettitore è calcio dipendente e quindi metto un chelante del calcio allo scopo di abolire la liberazione di neurotrasmettitore. Quindi, stimolo in presenza di un chelante del calcio e vediamo che non si ha rilascio di neurotrasmettitore. Un tipico chelante per il calcio usato in laboratorio è l’EGTA simile all’EDTA. L’EGTA è un chelante che è più compatibile con i processi biologici e quindi, si usa maggiormente negli esperimenti biologici ed è più specifico dell’EDTA.
Possibilità di riprodurre gli effetti mediante applicazione esogena (farmacologia, con uso di agonisti ed antagonisti appropriati): Se io penso che un neurone è dopaminergico e stimolo il recettore dopaminergico D2, ad esempio, posso somministrare una sostanza esogena agonista che va a stimolare un determinato recettore e vedo se con la somministrazione esogena ottengo lo stesso effetto che ottengo quando io stimolo il neurone pre-sinaptico. Quindi, stimolo il neurone presinaptico e ottengo un effetto post-sinaptico poi utilizzo l’agonista putativo senza stimolare a livello presinaptico e devo essere in grado di riprodurre nel neurone post-sinaptico lo stesso effetto che avevo quando stimolavo. Nel caso dell’antagonista è al contrario e stimolo il terminale pre-sinaptico e in presenza di un antagonista blocco l’effetto. Per cui, se il neurone dopaminergico libera dopamina utilizzando un antagonista dopaminergico appropriato devo eliminare l’effetto della stimolazione del neurone pre-sinaptico sul neurone post-sinaptico. Questo è quando parliamo di studio farmacologico. Quindi, riprodurre o antagonizzare gli effetti legati alla stimolazione dei terminali pre-sinaptici mediante l’uso di agenti esogeni.
NEURONI ECCITATORI E NEURONI INIBITORI I neurotrasmettitori vengono definiti eccitatori o inibitori. Alcuni possono essere sia eccitatori che inibitori, a seconda dei recettori su cui agiscono, però in linea di massima, per la maggior parte sono o solo eccitatori o solo inibitori. Quelli eccitatori determinano depolarizzazione del terminale post-sinaptico e quindi, determinano EPSP, mentre, quelli inibitori determinano iperpolarizzazione del terminale post-sinaptico e quindi IPSP.
In questa immagine sono illustrati gli steps coinvolti nella neurotrasmissione eccitatoria e inibitoria: 1. Il potenziale d’azione (AP) del nervo consiste in un’inversione auto-propagata e transitoria di cariche sulla membrana assonale. (Il potenziale va da un valore negativo, arriva al potenziale 0, fino a valori positivi grazie all’incremento della permeabilità al Na+ e dopo, ritorna ai valori precedenti mediante un incremento della permeabilità al K+. Quando il AP arriva al terminale presinaptico, inizia a rilasciare trasmettitori eccitatori o inibitori. La depolarizzazione al terminale del nervo e l’ingresso di Ca2+ determinano la fusione delle vescicole sinaptiche con la membrana del terminale del nervo).
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2. La combinazione dei trasmettitori eccitatori con I recettori post-sinaptici produce una depolarizzazione localizzata, un EPSP attraverso un incremento alla permeabilità ai cationi, principalmente al Na +. I neurotrasmettitori inibitori causano un selettivo incremento nella permeabilità al K + o al Cl–, determinando una iperpolarizzazione localizzata, e un IPSP. 3. L’ EPSP inizia a condurre AP nel neurone postsinaptico; tuttavia, questo può essere prevenuto da una iperpolarizzazione indotta attaverso un IPSP concomitante. Il neurotrasmettitore è eliminato da distruzione enzimatica, attraverso la ricaptazione dentro il terminale pre-sinaptico o dentro le cellule gliali od ancora per diffusione. La depolarizzazione della membrane postsinaptica può indurre l’ingresso di Ca 2+, se i canali Ca2+ voltaggio dipendenti sono presenti.
Quindi, il potenziale d’azione è un valore di potenziale che si ha quando si passa dal valore di riposo, che è negativo ad un valore soglia sopra lo 0. Un EPSP è una depolarizzazione che non raggiunge la soglia perché se la raggiungesse determinerebbe un potenziale d’azione. È chiaro che sia gli EPSP come gli IPSP si sommano. Il terminale sinaptico ha il potenziale del neurone ed anche se si trova a distanza il potenziale dal corpo cellulare viene trasmesso attraverso l’assone. Il corpo cellulare riceve una serie di integrazioni di stimoli elettrici depolarizzanti e iperpolarizzanti. Quando si raggiunge la soglia si ha il potenziale d’azione e quando si ha il potenziale d’azione questo viene trasmesso per conduzione saltatoria, eventualmente, dalle fibre mieliniche fino ad arrivare all’assone. L’IPSP è una variazione verso il negativo, e quindi, una induzione che rende meno probabile il raggiungimento della soglia e quindi, del potenziale d’azione. Dal punto di vista degli eventi molecolari, è chiaro che, l’attivazione dei canali al Na o canali cationici non selettivi è responsabile della conduzione dello stimolo nervoso ma, è chiaro che, nel neurone post-sinaptico canali cationici sono responsabili di EPSP, mentre, gli IPSP sono dovuti all’apertura dei canali del K, che determinano iperpolarizzazione e analogamente, l’apertura dei canali per il cloro. Quindi, cloro e potassio sono associati ai neurotrasmettitori inibitori, il sodio, invece, è associato ai neurotrasmettitori eccitatori. Dobbiamo fare una distinzione dei canali al sodio: quelli presenti a livello degli assoni sono canali al sodio voltaggio dipendenti e sono responsabili della conduzione nervosa, gli altri sono recettori canale cationici non selettivi e quindi, sono recettore canale, oppure, sono canali voltaggio-dipendenti attivati in seguito all’attivazione dei recettori canale. In altri termini, i canali al sodio voltaggio dipendenti sono quelli che sono responsabili dei potenziali d’azione; quando la cellula raggiunge la soglia e cioè, la cellula si depolarizza fino ad attivare i canali al Na, si ha il potenziale d’azione. Ma la cellula come si depolarizza? E cioè l’EPSP da cosa è dato? È dato dall’ingresso di cationi, di Na, ed eventualmente calcio e potassio. Questi canali a potassio ricordiamo che sono canali non selettivi non determinano l’ingresso dello ione bensì la sua fuoriuscita. Quindi, l’EPSP è dato dell’ingresso di cationi, Na in particolare, ed eventualmente anche il Ca. Quando si raggiunge la soglia si attivano i canali al Na voltaggio-dipendenti. Il neurone post-sinaptico, in realtà, integra segnali elettrici diversi e la variazione finale del potenziale del neurone post-sinaptico dipende dalla somma di tutti gli effetti eccitatori o inibitori che determinano lo stato di attivazione del neurone post-sinaptico. Come avviene l’esocitosi? Ci sono una serie di proteine, facenti parte, alcune, della membrana della vescicola del neurotrasmettitore, e alcune, facenti parte della membrana presinaptica e che costituiscono, appunto, questa macchina di esocitosi. Troviamo la sintaxina, rab3, sinaptocreina, sinaptotagmina e, ovviamente, l’interazione di queste proteine permette la fusione della vescicola e l’apertura e formazione del poro trans membrana transitorio attraverso cui viene rilasciato il neurotrasmettitore. Ovviamente, l’interazione di queste proteine associate con la membrana della vescicola pre-sinaptica e alla membrana pre-sinaptica, è un processo calcio dipendente.
NEUROTRASMETTITORI PIU’ IMPORTANTI Possiamo distinguere i neurotrasmettitori in due grandi gruppi: 1. 2. 3.
NEUROTRASMETTITORI CLASSICI NEUROMODULATORI NEURO-ORMONI
1. NEUROTRASMETTITORI CLASSICI: piccole molecole costituite o da aa o da amine e sono quelli di cui abbiamo parlato fin’ora. Il processo di esocitosi delle vescicole pre-sinaptiche è un processo che riguarda proprio i cosiddetti neurotrasmettitori classici. Sono, appunto piccole molecole dal PM compreso tra 100 e 200 Da e non oltre 300. Comprendono aa o amine. Gli aa sono: Gly, GABA, Glu, Asp. Le amine sono: ACh, istamina, serotonina e le cosiddette catecolammine (dopamina, NA, adrenalina). 2. NEUROMODULATORI: sono dei neurotrasmettitori più spesso definiti neuromodulatori. Alcuni di questi sono cotrasmettitori, in quanto, sono sostanze che vengono rilasciate insieme al neurotrasmettitore e “insieme” specifica che sono contenute nella stessa vescicola del neurotrasmettitore. Alcuni di questi sono neuropeptidi i quali sono, innanzitutto, prodotti con modalità diversa e sono rilasciati con modalità diversa in quanto sono prodotti a partire dalla scissione di precursori proteici prodotti per espressione genica e quindi, trascrizione e traduzione. Quindi, c’è
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una differenza sostanziale rispetto ai neurotrasmettitori classici. Mentre, i neurotrasmettitori classici vengono prodotti all’interno del terminale pre-sinaptico i peptidi vengono, invece, prodotti nel corpo cellulare sotto forma di precursore proteico che poi può essere trasportato, attraverso il flusso assonale, in periferia dove vengono scissi a produrre il peptide maturo che è responsabile del trasporto del messaggio e tra l’altro, mentre, i neurotrasmettitori classici vengono rilasciati fisicamente da parte del terminale pre-sinaptico queste sostanze vengono rilasciate anche ad altri livelli ad esempio anche a livello del corpo cellulare quindi, vengono rilasciati anche in sede extra-sinaptica. Il neurotrasmettitore classico viene rilasciato solo a livello sinaptico a differenza di questi ultimi. Altra differenza importante è data dal dogma della neurobiologia secondo cui ogni neurone rilascia un solo tipo di neurotrasmettitore classico. Questo dogma è stato in un certo modo rivisto perché molti neuroni secernono molte sostanze. Quello che rimane ancora valido del dogma è che ogni neurone rilascia un solo tipo di neurotrasmettitore classico, e cioè un neurone che rilascia dopamina non rilascia ACh ed infatti tutti questi neuroni vengono chiamati col nome del neurotrasmettitore classico che producono; quindi, si parla di neuroni colinergici quando il neurone rilascia ACh, si parla di neurone dopaminergico se il neurone rilascia dopamina, neurone serotoninergico se rilascia serotonina e noradrenergico se rilascia NA, si parla ancora di neuroni gabaergici, si parla di neuroni glutamatergici. Questo perché rilasciano un solo tipo di neurotrasmettitore classico ma assieme a questo rilasciano più di un neuromodulatore. I peptidi comprendono: oppioidi, sostanza P, neuro peptide Y, neurotensina e così via, poi vi sono altre sostanze che fungono da neuro modulatori e sono: cannabinoidi, purine, prostanoidi, NO, citochine e così via.
Sotto è riportato una schema che nomina i vari tipi di neurotrasmettitori e la loro suddivisione nei due grandi gruppi di molecole che mediano la trasmissione chimica del segnale nervoso nei principali gruppi di animali vertebrati:
Neurotrasmettitori Amminoacidi Glicina GABA Acido Glutammico Acido Aspartico
Acetilcolina
Catecolamine Dopamina Noradrenalina Adrenalina
Instamina Serotonina (5-HT)
Peptidi Oppiodi Sostanza P Neuropetide Y Neurotensina Ecc…
Altre Sostanze Cannaboidi Purine Prostanoidi NO Citochine
NEURO-ORMONI: Sono sostanze prodotte da neuroni ma rilasciate nel sangue, sono prodotti dal Sistema Ipotalamo Ipofisario. L’ipotalamo è una zona del SNC che integra particolari funzioni neurovegetative e proietta sull’ipofisi che è una ghiandola endocrina che si trova sulla sella turcica dello sfenoide. L’ipofisi si divide in due porzioni: lobo posteriore o neuroipofisi e lobo anteriore o adenoipofisi. Nella neuroipofisi arrivano le proiezioni dei nuclei sopraottico e paraventricolare dell’ipotalamo che producono dei neuro-ormoni: 1. Ossitocina: l’azione principale di questo ormone è quella di stimolare le contrazioni della muscolatura liscia dell’utero e delle cellule dei dotti lattiferi delle mammelle;
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2.
Vasopressina (o ADH ormone anti-diuretico) responsabile del riassorbimento dell’H 2O a livello dei dotti collettori renali. Gli ormoni che agiscono su organi e su cellule bersaglio sono prodotti dalle cellule acidofile dell’adenoipofisi:
GH ormone somatotropo => stimola la deposizione del calcio nei tessuti ossei e la proliferazione delle cellule cartilaginee; PRL prolattina => agisce sulla ghiandola mammaria stimolando la secrezione di latte dopo il parto; MSH intermedina => ha effetto trofico sui melanociti; Gli ormoni che agiscono sulle ghiandole endocrine sono detti tropici e sono prodotti dalle cellule basofile dell’adenoipofisi: FSH ormone follicolo stimolante e LH ormone luteinizzante sono ormoni che agiscono sulle gonadi; TSH ormone tireotropo => agisce sulla tiroide; ACTH ormone adrenocorticotropo => determina la sintesi e la secrezione molto rapida degli ormoni della corteccia surrenale e stimola il metabolismo lipidico. TRF (fattore di rilascio per la tireotropina) e CRF (fattore di rilascio per la corticotropina) sono dei neuro-ormoni prodotti dall’ipotalamo e che svolgono la loro azione sull’ipofisi.
NEUROTRASMISSIONE 1) 2) o o
La neurotrasmissione si distingue in: Centrale; Periferica e a sua volta si distingue in: Somatica; Viscerale.
1. CENTRALE 2a. PERIFERICA o SOMATICA: (riguarda l’innervazione della muscolatura scheletrica ed è sotto il controllo della nostra volontà) SENSITIVA (o afferente e riguarda la sensibilità muscolo cutanea) MOTORIA (o efferente) 2b. PERIFERICA VEGETATIVA o VISCERALE: (riguarda quelle funzioni che non sono sotto il controllo della nostra volontà come la vita vegetativa es. l’apparato digerente, l’apparato respiratorio, il sistema endocrino e il controllo della funzione cardiocicolatoria)
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SIMPATICA (o ortosimpatico) PARASIMPATICA
Nel caso della neurotrasmissione somatica il neurotrasmettitore è l’ACh, abbiamo il motoneurone, il corpo cellulare si trova nel midollo spinale e il recettore è quello nicotinico. Per quanto riguarda la neurotrasmissione autonoma in generale consiste di soli motoneuroni che conducono impulsi dal sistema nervoso centrale fino agli effettori viscerali sia del soma che delle cavità viscerali. Le fibre nervose non arrivano direttamente negli organi che innervano, ma si arrestano prima e formano delle sinapsi con altri neuroni in strutture chiamati gangli (che sono situati fuori dal SNC) da cui fuoriescono altre fibre nervose che raggiungono l’organo. La parte ortosimpatica del sistema presenta gangli in prossimità della colonna vertebrale che, succedendosi dall’alto verso il basso e unendosi tra di loro tramite fibre longitudinali, costituiscono un vero e proprio tronco chiamato catena peri e paravertebrale. Quella parasimpatica invece, forma sinapsi molto distanti dalla colonna e quindi più vicine agli organi (peri o pre-viscerali) che va ad innervare ad Es. gli organi dell’apparato digerente che vanno dall’esofago fino al retto. Il plesso nervoso mioenterico o plesso di Auerbach è una parte del sistema digerente umano e governa il movimento, si trova nel canale gastroenterico ed è costituito da un intreccio di fibre nervose e da cellule gangliari. Assieme al plesso sottomucoso (di Meissner), a cui è connesso da una rete di fibre anastomotiche e che governa le secrezioni, forma il sistema nervoso intramurale (o metasimpatico) del canale digerente. Il nervo vago (chiamato anche nervo pneumogastrico o nervo X del cranio) è il decimo delle dodici paia di nervi del cranio (n. encefalici) che partono dal tronco encefalico (composto da midollo allungato, ponte e mesencefalo). Il nervo vago parte dal midollo allungato e si porta, attraverso il foro giugulare, verso il basso nel torace e nell'addome. Ha componente parasimpatica, controlla tutta la muscolatura liscia non controllata dai nervi oculomotore, facciale e glossofaringeo e dai nervi spinali, che controllano solo alcune visceri (ad esempio l'ultimo tratto dell'intestino). In particolare innerva sia l'intestino che lo stomaco. Quali sono i neurotrasmettitori? L’ACh la troviamo a livello di tutti i gangli sia ortosimpatici che parasimpatici e i recettori sinaptici sono nicotinici. Per quanto riguarda invece i contatti con gli elementi effettori la neurotrasmissione parasimpatica prevede nella maggior parte dei casi l’ACh e in qualche caso l’NO, questo per il parasimpatico. L’ortosimpatico ha come neurotrasmettitore principale la noradrenalina, ma ci sono alcune eccezioni: le ghiandole sudoripare sono innervate da fibre ortosimpatiche ma il neurotrasmettitore non è la noradrenalina ma l’ACh e in questo caso i recettori non sono nicotinici ma muscarinici; la ghiandola surrenale riceve direttamente fibre pregangliari cioè si comporta come se fosse un grosso ganglio solo che mentre i gangli proiettano in un motoneurone qua i prodotti vengono rilasciati direttamente nel sangue e si tratta per 80% di Adrenalina/Epinefrina e per il restante 20% di Noradrenalina. Il parasimpatico si distingue in: P.CERVICALE (le fibre efferenti lasciano il cervello essenzialmente attraverso quattro nervi cranici: III, VII, IX, X) P.SACRALE
NERVI CRANICI: • • • • • • • • • • • •
I olfattivo (sensitivo) somatico II ottico (sensitivo) somatico III oculomotore (motore) somatico e viscerale IV trocleare (motore) somatico V trigemino (motore-sensitivo) somatico VI abducente (motore) somatico VII faciale (motore-sensitivo) somatico e viscerale VIII acustico (sensitivo) somatico IX glossofaringeo (motore-sensitivo) somatico e viscerale X vago (motore-sensitivo) somatico e viscerale XI accessorio (motore-sensitivo) somatico XII ipoglosso (motore) somatico Nella figura sottostante sono rappresentati sia il sistema ortosimpatico che il sistema parasimpatico. Mentre per quanto riguarda il parasimpatico sono presenti delle lunghe fibre pregangliari e i gangli sono situati in prossimità o all’interno degli organi innervati, i gangli dell’ortosimpatico invece si trovano nella regione paravertebrale e poi ci sono dei gangli che si trovano nella regione prevertebrale cioè addossati alla colonna vertebrale.
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IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO. Rappresentazione schematica del sistema nervoso autonomo e organi effettori basata sulla mediazione chimica degli impulsi nervosi. Giallo, colinergici, rosso, adrenergici, punteggiato blu, viscerale afferente; linee continue, pregangliari; rotto linee, postgangliari. Nel rettangolo in alto a destra sono riportati i dettagli più fini delle ramificazioni delle fibre adrenergiche in un singolo segmento di midollo spinale, il percorso dei nervi viscerali afferenti, la natura colinergica dei nervi motori somatici nei muscoli scheletrici, e la presunta natura colinergica delle fibre vasodilatatorie nelle radici dorsali dei nervi spinali. L'asterisco (*) indica che non è noto se queste fibre vasodilatatorie siano motrici o sensoriali o dove i loro corpi cellulari si trovino.
ACETILCOLINA L’acetilcolina è un estere dell’acido acetico e della colina e viene prodotta da un enzima chiamata colina acetiltransferasi. Si tratta di un NT sia eccitatorio che inibitorio a seconda dei recettori riconoscono che possono essere: Rec-canale o nicotinici e Rec muscarinici accoppiati a G-proteine così chiamati perché sono stati scoperti utilizzando degli alcaloidi naturali la nicotina e la muscarina. I recettori muscarinici sono a 5 TM e in questa tabella dobbiamo soffermarci sul loro differente meccanismo di trasduzione:
Tutti i neurotrasmettitori che inibiscono l’adenilato ciclasi sono INIBITORI. L’ACh non si usa come farmaco perché viene degradata subito dall’AChE invece si può usare la CCh (carbacolina) che è l’analogo artificiale dell’ACh. L’M2 per es. è responsabile del rallentamento della frequenza cardiaca (bradicardia) per via della diminuzione della conduzione atrio – ventricolare.
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I recettori nicotinici sono costituiti da 5 subunità (2α e 3β) che si possono distinguere in: M-type (muscolari) N-type (neuronali) che si dividono a loro volta in gangliari e del SNC.
Receptor-type
Location
Nicotinic agonists
Effect
Nicotinic antagonists
Neuromusc ular junction
EPSP, mainly by increased Na+ a nd K+ permeability
Ganglion-type: (α3)2(β4)3
Autonomic ganglia
EPSP, mainly by increased Na+ a nd K+ permeability
acetylcholine carbachol Nicotine epibatidine Dimethylphenyl pip-erazinium
mecamylamine trimetaphan hexamethonium bupropion dextromethorphan ibogaine 18-methoxycoronaridine
Heteromeric CNS – type: (α4)2(β2)3
Brain
Nicotine epibatidine Acetylcholine cytisine varenicline
mecamylamine methyllycaconitine α-conotoxin
Further CNS – type: (α3)2(β4)3
Brain
Post- and presy naptic excitation, mainly by + increased Na a nd K+ permeability Post- and presy naptic excitation
nicotine epibatidine Acetylcholine cytisine
hexamethonium mecamylamine tubocurarine
Homomeric CNS-type: (α7)5
Brain
epibatidine Dimethylphenyl pip-erazinium
mecamylamine memantine α-bungarotoxin
Post- and presy naptic excitation, mainly by increased Ca2+ permeability
Acetylcholine carbachol suxamethomium
α-bungarotoxin α-conotoxin Tubocurarine pancuronium Atracurium
Muscle-type: (α1)2β1δε or (α1)2β1δγ
N.B. Ricordare che per gli M-type l’antagonista di riferimento è la tubocuranina e per gli N-type invece è la αbungarotossina.
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Lezione 7 Farmacologia Generale LE CATECOLAMINE Le catecolamine naturali che svolgono la funzione di neurotrasmettitore sono 3: Dopamina (D), Noradrenalina (NA) e Adrenalina (A). NA e A sono neurotrasmettitori del sistema ortosimpatico (soprattutto la NA; l’A si può dire che è un ormone piú che un neurotrasmettitore, ma è stato comunque ritrovato in alcune aree del SNC. L’A è liberata dalla midollare del surrene nel sangue, e quindi è un ormone). Sia la NA che A agiscono sugli stessi recettori e trasmettono informazioni dal sistema nervoso simpatico a tutti gli effettori periferici. La D svolge, anch’essa, funzioni in periferia ma le funzioni piú importanti sono a livello del sistema nervoso simpatico. Nel sistema nervoso simpatico ci sono gangli paravertebrali e gangli prevertebrali. Quelli paravertebrali sono due catene ai lati della colonna vertebrale e quelli prevertebrali sono davanti alla colonna vertebrale.
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Ci sono 22 coppie di gangli paravertebrali, mentre quelli prevertebrali sono 3 e sono singoli e non in coppie. In realtá, da qualche parte trovate 24 coppie di paravertebrali perchè vengono considerati i gangli cervicali distinti in 3 parti: superiore, medio e inferiore. Mentre il toracico e il lombare sono gangli nettamente distinti.
Quindi i gangli paravertebrali sono nel: Tratto cervicale Tratto toracico Tratto lombare
Come gangli prevertebrali troviamo: A livello lombare il ganglio celiaco A livello sacrale il ganglio mesenterico superiore ed inferiore. La figura precedente rappresenta uno schema in cui i gangli sono rappresentati in giallo ai lati del nevrasse. Le efferenze ortosimpatiche sono quelle tratteggiate in rosso. Le efferenze parasimpatiche sono tratteggiate in giallo. Le catecolamine sono delle ammine (dotate di gruppo NH2 ma non hanno gruppo COOH) e hanno un gruppo catecolico (anello benzenico con due gruppi –OH in posizione orto. La posizione orto è quando i due gruppi sono vicini nell’anello benzenico; para quando è in posizione opposta). La differenza tra le tre catecolamine è minima. La NA rispetto alla D ha un –OH; quindi la NA è prodotta mediante idrossilazione della D. L’A ha, rispetto alla NA, un metile (-CH3) in più.
Dopamina
Adrenalina
Noradrenalina
Nella NA, nor in tedesco, sta per normal hone radical (senza radicale normale, cioè è un’adrenalina senza metile). In Nord America si preferiscono i termini epinefrina per l’adrenalina (epinefrina significa “prodotta dalla ghiandola surrenale”) e norepinefrina per la noradrenalina.
RECETTORI PER LE CATECOLAMINE Sono tutti recettori accoppiati a G proteine. La D è un neurotrasmettitore eccitatorio o inibitorio, in riferimento ai potenziali post sinaptici (si parla di EPSP o IPSP a livello del SNC e non tanto quando si parla di recettori; cioè non si parla di IPSP o EPSP di recettori). Ci sono 5 sottotipi recettoriali per la D, denominati D1, D2, D3, D4 e D5. Questi recettori sono raggruppati in due sottofamiglie denominate D1A (comprende D1 e D5) e D2A (comprende D2, D3 e D4). I recettori dopaminergici vengono raggruppati in D1 like (recettori eccitatori) e D2 like (recettori inibitori).
Gli agonisti dopaminergici comprendono farmaci di varia natura, tra cui quelli usati nella malattia di Parkinson. Fra gli agonisti di D1 vi è SKF8393. Fra gli agonisti di D2 vi sono quinpirolo, bromocriptina (è anche un farmaco in alcune condizioni) e molti altri. Gli antagonisti dopaminergici comprendono i farmaci antipsicotici che sono farmaci usati nel trattamento delle psicosi (malattie del SNC come ad esempio la schizofrenia).
Fra gli antagonisti di D1 vi è fenotiazine (introdotta negli anni 50).
Fra gli antagonisti di D2 vi sono fenotiazine e butirrofenoni (che sono definiti farmaci neuroelettrici e sono farmaci antipsicotici. Il primo psicofarmaco introdotto è la cloropromazina. Serenase è un farmaco per chi è agitato. Ma oggi abbiamo farmaco piú nuovi e meglio tollerati). La NA è eccitatorio o inibitorio e, sia la NA che A agiscono su recettori noradrenergici α (di cui ci sono 2 sottotipi: α1 e α2) e β (di cui ci sono i sottotipi β1, β2 e β3). Ma A e NA possono avere piccole differenze nell’affinita’per questi recettori. Questi recettori sono presenti soprattutto a livello cardiovascolare, ma anche a livello del SN simpatico.
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Fra gli agonisti vi sono:
fenilefrina (agonista α1)
clonidina (agonista α2)
isoproterenolo (agonista β1)
salbutamolo (agonista β2) Ciò non significa che agiscono solo su questi recettori, ma significa che hanno maggiore affinitá per quel recettore.
Fra gli antagonisti vi sono:
prazosina (agonista α1)
yoimbina (agonista α2). Questo farmaco non ha nessuna implicazione terapeutica ma è utile in laboratorio. Nel passato era però usato nelle disfunzioni erettili.
atenololo (agonista β1)
butoxamina (agonista β2). Questo farmaco è utile in laboratorio ma non ha azione terapeutica.
Il precursore delle catecolamine è l’aa aromatico tirosina (che è un’idrossi-fenilalanina. La tyr ha, rispetto alla phe, un –OH in piú). L’aa è assunto con la dieta. La phenilalanina idrossilasi agisce a livello del fegato. Alcuni neuroni hanno la capacitá di produrre tyr a partire dalla phe. I neuroni catecolaminergici hanno la caratteristica di esprimere l’enzima tyrosina idrossilasi che produce, a partire dalla tyr, il DOPA (diidrossifenilalanina) che non ha ancora il gruppo catecolico. L’L-DOPA è un farmaco importante nel morbo di Parkinson, perchè la L-DOPA viene assorbita e arriva al SNC e viene acquisita dai neuroni dopaminergici. Nella malattia di Parkinson si ha una distruzione del neuroni dopaminergici. Dalla DOPA si produce la dopamina. Nei neuroni noradrenergici, la dopamina viene idrossilata, ad opera della dopamina β-idrossilasi, a noradrenalina. Nella midollare del surrene, ma anche in qualche luogo del SNC, ad opera della feniletanolamina-normal transferasi, la NA è convertita ad adrenalina. Esistono anche degli inibitori, come l’α-metil-para-tirosina (αMPT), che è un inibitore della tirosina-idrossilasi ma non è un medicamento ma è utile nella ricerca, qualora si vuole inibire la produzione delle catecolamine. Una volta prodotta, la catecolamina deve essere immagazzinata nelle vescicole e questo è un processo che può essere bloccata da sostanze, quali la guanetidina e reserpina. Il processo di invescicolazione delle catecolamine si svolge ad opera di alcuni trasportatori vescicolari detti VMAT (vescicular mono ammine transporter) di cui esistono VMAT-1 (che si trova soprattutto in periferia) e VMAT-2 (che si trova alivello del SNC). Guanetidina e reserpina sono dei farmaci che oggi non sono piú usati ma la reserpina si trova ancora nel prontuario dei farmaci nella caregoria degli antipertensivi ma non si usa piú per via della sua forte tossicitá e fra i suoi effetti collaterali vi è l’ulcera gastrica. La reserpina era usato anche come farmaco antipsicotico. Anche la guanetidina apparteneva alla categoria degli antipertensivi. Il rilascio delle catecolamine è favorito da alcune sostanze, come le amfetamine, cocaina, tiramina (presente in alcuni cibi, come i formaggi e in alcuni vegetali) e efedrina. Tutte queste sostanze favoriscono il rilascio ma con meccanismi diversi: per esempio la cocaina lo fa mediante l’inibizione della ricaptazione agendo a livello del DAT (che è il
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dopamine transporter), responsabile della ricaptazione della dopamina. Ma questa è capace di inibire la ricaptazione di tutte le catecolamine. Le amfetamine sono una classe che comprende parecchie molecole che presentano diversa specificitá per questi trasportatori, e tra questi è piú importante la MDMA (Methylenedioxymethamphetamine) o detta comunemente ecstasy. Le amfetamine favoriscono il rilascio continuo della dopamina.
L’efedrina è una sostanza che si trova nelle piante. Poi c’è anche il bretilio. NA e A vengono catabolizzate ad opera di due enzimi: le MAO (mono amino ossidasi) e COMT (catecholic orto methyl transferase). Possono essere catabolizzate prima dalle MAO e poi dalle COMT o viceversa. Se la NA e A vengono ossidate dalle MAO, perdono il gruppo amminico e gli intermedi vengono catabolizzati dalla COMT che aggiunge il metile in posizione orto. Se invece la NA (norepinefrina) viene prima catabolizzata dalla COMT, si forma la Normetanefrina e l’A (epinefrina) diventa Metanefrina. Poi viene catabolizzato dalla MAO. Il catabolita piú abbondante è il VMA (acido vanilil mandelico). Soggetti con tumori presentano, nelle urine, livelli di VMA, 50 volte superiore rispetto al normale.
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La figura a lato rappresenta il terminale di una sinapsi noradrenergica. I cotrasmettitori sono sostanze che vengono rilasciati insieme a quelli classici. Nel caso della NA, i cotrasmettitori sono:
Neuropeptide Y (NPY)
ATP
VMAT-2 è responsabile dell’invescicolazione della dopamina che, ad opera della dopamina-β-idrossilasi, viene trasformata in adrenalina all’interno delle vescicole. Tirosina è trasformata in DOPA nel citosol, ad opera della tirosina-idrossilasi. La DOPAdecarbossilasi non è un’enzima specifico per la DOPA: infatti è chiamato anche amminoacido aromatico decarbossilasi o L- amminoacido aromatico decarbossilasi (AADC). La decarbossilasi è, infatti, un’enzima che agisce sugli aa aromatici. Le VAMPS sono delle proteine associate alle vescicole.
I recettori della membrana postsinaptica sono:
Recettori per l’ATP che appartengono a due categorie:
Recettori 7TM (recettori P2Y dove P sta per purinergic)
Recettori canale (P2X₁₋₇)
Recettori noradrenergici α e β
Recettore per il NPY (Y₁₋₅)
Le MAO sono enzimi mitocondriali e vi sono due categorie:
MAO-A
MAO-B Queste due si distinguono per la localizzazione genica ma anche per l’interesse farmacologico. Gli inibitori delle MAO-A sono la pargilina, fenelzina, isocarbossazide, tranilcipromina, clorgilina, moclobemide. Sono farmaci che, oggi si usano poco, ma nel passato erano usati come farmaci antidepressivi (la depressione è una malattia in cui si ha carenza di neurotrasmettitori di tipo monoammine a livello sinaptico). Questi farmaci agiscono, o inibendo la degradazione delle monoammine, oppure inibendo la ricaptazione (i farmaci antidepressivi che sono usati oggi, agiscono inibendo la ricaptazione). Il problema è che questi inibitori delle MAO, comportano un aumento di tutte le monoammine causando così problemi di tollerabilitá e tossicitá. MAO-B degrada soprattutto la dopamina e i suoi inibitori (selegilina) e sono usati nella malattia di Parkinson per aumentare il tono dopaminergico a livello del sistema extrapiramidale (a livello nigro striatale). Gli inibitori della ricaptazione delle catecolamine sono i triciclici (ci riferiamo agli antidepressivi triciclici che sono gli antidepressivi classici che non avevano specificitá per NA, D o serotonina e quindi inibivano la ricaptazione di quasi tutte le monoammine. Invece gli antidepressivi piú moderni sono piu’ specifici.). Questa figura mostra i sottotipi dei recettori adrenergici che sono totalmente diversi:
Recettori α1 (sottotipi α1A, α1B, e α1D) che sono tutti accoppiati alla fosfolipasi C. I sottotipi recettoriali riconoscono agonisti e antagonisti piu’ o meno selettivi. Gli agonisti esogeni sono A e NA.
Recettori α2 (sottotipi α2A, α2B, e α2C) che sono accoppiati negativamente all’adenilato ciclasi e quindi accoppiati alla proteina Gi che inibisce l’adenilato ciclasi.
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Recettori β (sottotipi β1, β2 e β3 ) sono tutti accoppiati positivamente all’adenilato ciclasi e quindi alla proteina G s. Nei tre tipi di recettori, il sito Ψ indica il sito di Nglicosilazione e www indica il sito di tio-acetilazione.
x
RECETTORI α1 ADRENERGICI
Gli agonisti selettivi per i recettori α1 sono la Cirazoline , Methoxamine e Phenylephrine. L’agonista selettivo per il sottotipo α1A è SKF-89748. Gli antagonisti selettivi per i recettori α1 sono la Corynanthyne e Prazosina. Esistono anche antagonisti selettivi per i sottotipi. La selettivitá degli antagonisti, di solito, della specificitá degli antagonisti e la specificitá e selettivitá degli antagonisti è maggiore di quella degli agonisti; ciò è perchè l’agonista si lega al recettore ma deve avere anche la capacitá di arrivare, mentre la selettivitá dell’antagonista sfrutta maggiormente l’ambiente sterico circostante. L’antagonista diventa selettivo in base ad alcuni gruppi che danno l’ingombro sterico che lo rendono antagonisti. Gli antagonisti selettivi per il sottotipo α1A sono il Niguldipine e 5-Methylurapidil (farmaco antipertensivo), Indoramin. Gli antagonisti selettivi per il sottotipo α1B sono il CEC (chloroetylclonidine) che si lega in maniera irreversible, Spiperone e AH11110A. Gli antagonisti selettivi per il sottotipo α1D sono il CEC (irreversible) e BMY7378. A proposito di antagonisti α1 adrenergici, c’è la tamsulosina che è antagonista α1A e α1B. L’antagonismo dei recettori α1 adrenergici vengono usati in ambito cardiovascolare in terapia antipertensiva. Questi recettori determinano vasocostrizione e quindi aumento della pressione. Sono usati anche nel caso dell’ipertrofia prostatica benigna. La prostata è una ghiandola esocrina dell’apparato riproduttore maschile posta sotto la vescica e produce la parte liquida dello sperma. La prostata ha una componente muscolare liscia. L’ipertrofia prostatica benigna non è un tumore ma è una condizione tipica degli anziani che causa problemi della minzione, perchè questa massa, crescendo, spinge la vescica e stringe l’uretra. Questi farmaci antagonisti vengono usati per rilasciare questa muscolatura liscia della prostata facilitando così la minzione. La tamsulosina è un’antagonista dei recettori 1A e 1D (gli 1D sono prevalentemente presenti a livello vasale). Questo farmaco usato per il trattamento dell’ipertrofia prostatica non dà ipotensione. Negli ipertesi con ipertrofia prostatica si preferisce la doxazosina (antagonista 1A, 1B e 1D).
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Cucurrently accepted name
1A
1D 1B
alternative name
1a, 1c
subtype selective agonist
SKF-89748
subtype antagonist
( +) Niguldipine
selective
5-Methylurapidil Indoramin
1b
1d, 1a/d
CEC (irreversible)
CEC (irreversible)
Spiperone
BMY 7378
AH11110A receptor selective agonist
receptor antagonist
selective
External transduction mechanisms
Cirazoline
Cirazoline
Cirazoline
Methoxamine Phenylephrine
Methoxamine Phenylephrine
Methoxamine Phenylephrine
Corynanthyne
Corynanthyne
Corynanthyne
Prazosin
Prazosin
Prazosin
IP3/DAG
IP3/DAG
IP3/DAG
RECETTORI α2 ADRENERGICI
Fra gli agonisti dei recettori 2 vi sono la clonidina, Apraclonidina (il nome altermativo è para-aminoclonidina)e brimonidina. I recettori 2 furono inizialmente considerati dei recettori presinaptici. Sono recettori accoppiati a proteine G i. Ma esistono anche recettori postsinaptici, in particolare a livello del tronco encefalico (a livello del centro vasomotore). Questi farmaci, a livello del tronco encefalico, determinano una inibizione dell’attivitá del simpatico e quindi agiscono sia sul cuore (determinando bradicardia, diminuzione della frequenza cardiaca e della gittata cardiaca), sia sul tono vasale. La clonidina è nata come farmaco antipertensivo, ma oggi si usa poco perchè, con questo meccanismo d’azione centrale, dá luogo ad una serie di effetti collaterali (sonnolenza, depressione, vertigini, senso di affaticamento). La clonidina e altri farmaci analoghi si usano nel glaucoma (malattia dell’occhio caratterizzata da aumento della pressione dell’umore acqueo) e nella sindrome ADHD (attention deficit hyperactivity disorder) che si riscontra nell’etá preadolescenziale. Il farmaco principalmente usato è un’amfetamina, detta metil-fenilato che inibisce la ricaptazione delle monoammine. In alcuni casi è stata usata anche la clonidina per la cura dell’ADHD. La clonidina è usata anche per la cura del cosiddetto tic o sindrome di Tourette (caratterizzata dal tic, ovvero movimenti involontari ampi). La clonidina ed altri farmaci dello stesso gruppo sono usati anche nella sindrome da astinenza dei tossicodipendenti da oppiacei (caratterizzata da sudorazione, diarrea, piloerezione). Tutti questi sono gli usi extravascolari di questo farmaco. Poi vi sono gli usi off-label. Si definisce farmaco off-label, quel farmaco che viene utilizzato dal medico, ma al di fuori delle indicazioni registrate (quindi al di fuori della condizione morbosa indicata). Quando il medico da il farmaco per un uso diverso da quello indicato, fa un uso offlabel, ma è possibile che ci sano dei rischi per cui il medico chiede prima al paziente il consenso informato in cui dichiara di essere a conoscenza dei rischi associati all’uso off-label. Poi l’uso off-label può essere registrato. Si può fare l’uso off-label per malattie in condizioni psichiatriche (es. stress post-traumatico). Un utilizzo importante di questi farmaci è nell’analgesia dagli anestetisti, per ridurre il dolore senza bisogno di addormentare. Questo è un vantaggio perchè l’anestesia generale è pericolosa. L’azione di questi agonisti, in campo antipertensivo, è stato associato anche ai recettori per le imidazoline. Sono stati identificati, a livello centrale, dei recettori per le imidazoline e la clonidina è un’agonista di questi recettori.
I recettori α2 adrenergici hanno, anch’essi, dei sottotipi: α2A, α2B, α2C e α2D (non umano).
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Currently accepted
2A
2B
2C
2D (not human)
name Alternative name Subtype selective
2Aa BRL 44408
antagonists
Prazosin
Prazosin
ARC 239
ARC 239
Imiloxan
BAM-1303
BRL 44408
Rauwolscine
Subtype selective
Oxymetazoline
agonist
(partial)
Receptor selective
UK 14,304
UK 14,304
UK 14,304
UK 14,304
agonist
Guanabenz
Guanabenz
Guanabenz
Guanabenz
Aminoclonidine
Aminoclonidine
Aminoclonidine
Aminoclonidine
BHT 920
BHT 920
BHT 920
BHT 920
BHT 933
BHT 933
BHT 933
BHT 933
Receptor selective
RX821002
RX821002
RX821002
RX821002
antagonist
Yohimbine
Yohimbine
Yohimbine
Yohimbine
SKF-86466
SKF-86466
SKF-86466
SKF-86466
MK-912
MK-912
MK-912
MK-912
Signal
cAMP
cAMP
cAMP
cAMP
transduction
K+(G)
Ca2+(G)
mechanisms
Ca2+(G)
Fra gli agonisti selettivi per i recettori α2 (non selettivi per il sottotipo) vi sono la UK 14304, Aminoclonidine, BHT 920 e BHT 933.
Guanabenz,
L’agonista selettivo per α2A α2 Oxymetazoline (agonista parziale).
Fra gli antagonisti selettivi per i recettori α2 vi sono RX821002, Yohimbine, SKF-86466, MK-912. L’ antagonista selettivo per il sottotipo α2A è BRL 44408. Gli antagonisti selettivi per il sottotipo α2B sono Prazosin, ARC 239, Imiloxan. Gli antagonisti selettivi per il sottotipo α2C sono Prazosin, ARC 239, BAM-1303, Rauwolscine. L’ antagonista selettivo per il sottotipo α2D è BRL 44408.
RECETTORI β ADRENERGICI I recettori β adrenergici si trovano a livello periferico e si distinguono tre sottotipi: β 1, β2 e β3. Sono accoppiati positivamente all’adenilato ciclasi e quindi stimolano la produzione dell’AMPC. Quello che cambia β la distribuzione. NA e A si possono considerare quasi equiattivi (la NA β un pò piú attiva sulla β 1 e β3; mentre sulla β2 β un pò piú attiva l’A).
β1 è importante soprattutto a livello cardiovascolare. Lo ritroviamo a livello di:
Cuore: sia nel miocardio specifico che comune (atrio, ventricolo; nodo SA e nodo AV, fascio di Hiss e Purkenje). Sul cuore determina effetti sulla frequenza cardiaca (tachicardia), aumento della velocitá di conduzione atrio-ventricolare (effetto dromotropo), aumento della forza di contrazione dei ventricoli, aumento della contrattilitá, aumento della gittata sistolica e aumento dell’automatismo (aumento dell’insorgenza di battiti ectopici extrasistole che possono a volte portare alla fibrillazione degli atrii).
NB. Il parasimpatico regola le funzioni vegetative di base (digestione, assorbimento). Invece l’ortosimpatico (o semplicemente simpatico) è responsabile delle reazioni di attacco-fuga, cioè di quelle condizioni in cui l’animale e sottoposto a stress.
Rene: nell’apparato iuxtaglomerulare (che riceve proiezioni ortosimpatiche) ci sono i recettori β 1 che stimolano la produzione di renina che aumenta la pressione.
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β2 lo ritroviamo nella muscolatura liscia di:
Vasi
Nelle arteriole dei muscoli scheletrici. I muscoli scheletrici ricevono sangue sia perchè aumenta la gittata cardiaca sia perchè le arteriole dei muscoli si dilatano e i recettori β2 sono responsabili della vasodilatazione (rilasciamento della muscolatura liscia).
Nelle coronarie del cuore: per aumentare il flusso, le coronarie devono essere dilatate e ciò avviene grazie ai recettori β2. NB: I nucleotidi ciclici (AMPc e GMPc) causano sempre il rilasciamento della muscolatura liscia, ad esempio dei vasi della muscolatura scheletrica, dei vasi polmonari, gastrointestinali e renali.
Organi: questi recettori causano il rilassamento della muscolatura liscia di vari organi, quali: Bronchi (broncodilatazione. L’asma èdovuta a difficoltá nell’espirazione dovuta a costrizione dei bronchi e a produzione di secrezioni che ostruiscono il lume. Gli agonisti β2 rappresentano, in questo caso, un importante presidio sintomatico, poichè dilatano i bronchi. Quindi un’agonista β 2 adrenergico associato ad un cortisone può essere usato nel trattamento dell’asma. A livello gastroenterico il sistema simpatico provoca il rilassamento della muscolatura liscia. A livello del fegato i recettori β2 adrenergici stimolano la glicogenolisi (il glicogeno lo ritroviamo sia a livello dei muscoli che a livello del fegato), meccanismo tramite cui si produce, a partire dal glicogeno, il glucosio che va poi nel sangue ed aumenta la glicemia. Il glicogeno muscolare, invece, viene utilizzato solo in sede muscolare. Tratto genitourinario.
β3 si trova solo nel tessuto adiposo, in cui mediano la lipolisi. I β3 hanno scarso interesse in terapia.
I farmaci antagonisti sono i β-bloccanti (farmaci β antagonisti) e sono usati in ambito cardiovascolare ma anche in altri casi (emicrania, glaucoma).
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RECETTORI DOPAMINERGICI Questa figura rappresenta una sinapsi dopaminergica. La tyr proviene dalla dieta o dall’idrossilazione della phe a livello epatico. La tyr viene idrossilato a DOPA. Poi la DOPA viene decarbossilato a dopamina e la dopamina, ad opera del VMAT-2 viene accumulato nelle vescicole. La D viene rilasciata e agisce a livello dei recettori postsinaptici D1 like (D1 e D5) e D2 like (D2, D3, e D4 ). La D che viene rilasciata, viene in parte ricaptata attraverso dei trasportatori specifici detti DAT (dopamine transporter). Quella che viene ricaptata viene, o immagazzinata in vescicole attraverso le VMAT-2, o viene degradata ad opera delle MAO e COMT dando il catabolita acido-omo-vanillico (HVA) e l’acido-diossi-fenil-acetico. Oltre al reuptake specifico operato dalle DAT, esiste anche un uptake non neuronale, operata dalle OCT (organic cathion transporter, ovvero trasportatore dei cationi organici), di cui esistono i tipi OCT1 e OCT2 e OCT3 (detta anche ENT).
La figura mostra i recettori D1 like e D2 like e le loro localizzazioni. I recettori D1 like sono eccitatori e i D2 like sono inibitori. I D1 like sono positivamente accoppiati all’adenilato cilasi, mentre i D2 like sono negativamente accoppiati all’adenilato ciclasi. I recettori D2 like sono importanti per il trattamento antipsicotico. LA PET (tomografia ad emissione di positroni) è una tecnica in cui si da un farmaco che emette positroni ed uno strumento è capace di dare una mappa del cervello. Questa diagnosi non ha una selettivitá per D2, D3 e D4.
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Current accepted name
D1
D2
Subtype selective agonists
D3
D4
D5
Quinpirole 7-OH-DPAT PD 128,907
Subtype selective antagonists
Spiperone
Remoxipride Raclopride
Receptor selective agonists
SKF-38393 6-Chloro-PB 6-Chloro-APB
Bromocriptine Pergolide PPHT
Bromocriptine Pergolide PPHT
Bromocriptine Pergolide PPHT
SKF-38393 6-Chloro-PB 6-Chloro-APB
SCH-23390 SCH-39166
Domperidone IBZM (iodobenzamid ) Emonapride
Domperidone IBZM Emonapride
Domperidone IBZM Emonapride
SCH-23390
cAMP Ca2+ K+
Unknown
Receptor selective antagonists
Signal transduction mechanisms
cAMP
Clozapine
cAMP
cAMP
Vediamo le principali vie dopaminergiche del SN.
I pallini blu, nella figura, rappresentano le sedi in cui si trovano i corpi cellulari dei neuroni dopaminergici e si trovano nell’area tegmentale accanto al quarto ventricolo del mesencefalo. La via mesocorticale: Questi neuroni proiettano, alcuni alla corteccia (in particolare alla corteccia prefrontale) e queste rappresentano il sistema mesocorticale e sono connesse con la funzione motivazione, volontá e pensiero logico. Gli individui che soffrono di schizofrenia, queste funzioni vengono meno e quindi perdono la volontá, il piacere, l’affetto e amore, perdono la logica e ogni motivazione. La via mesolimbica: Il sistema limbico è un’insieme di organi ed è riferito alle attivitá cerebrali connesse con il piacere (ad esempio nel comportamento alimentare e comportamento sessuale). E’ anche connessa a fenomeni associativi (per esempio una persona può provare piacere nell’assunzione di determinate sostanze, come ad esempio le droghe, ma è anche capace di associare, andando in un luogo, quel luogo con l’assunzione di quelle determinate sostanze. E’ definita “Gratificazione associata a comportamento condizionato”). Questi comportamenti gratificazionali riguardano soprattutto le proiezioni al nucleo accumbens. La via nigrostriatale è quella associata alla malattia di Parkinson.Queste fibre partono dalla substantia nigra (o sostanza nera) e proiettano al nucleo caudato e al putamen (che sono parti del corpo striato) e, a questo livello, partecipano al controllo della motilitá extrapiramidale (il sistema extrapiramidale è quel circuito che controlla i movimenti volontari, soprattutto quelli ripetitivi. I movimenti automatici dipendono dal cervelletto e il controllo passa attraverso il sistema extrapiramidale). Nel morbo di Parkinson (che è dovuta ad una carenza di neuroni dopaminergici) ci sono tre sintomo principali che sono: acinesia (difficoltá ad iniziare un movimento), tremore e ipertono (aumentata contrazione dei muscoli agonisti e antagonisti). La via tuberoinfundibulare è costituita da piccoli neuroni ipotalamici che vanno a proiettare nell’ipofisi. Quindi ci sono dei neuroni ipotalamici che rilasciano dopamina nel circolo portale e la dopamina va ad inibire la produzione di prolattina da parte dell’ipofisi. Quindi la dopamina può essere considerata un neuro-ormone.
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Lezione 8 Farmacologia Generale In questi due grafici vediamo rappresentati, nelle ascisse la dose clinica terapeutica (Dt) di una serie di farmaci antipsicotici; nelle ordinate, le costanti di dissociazione (Kd) per i recettori dopaminergici D1 (grafico in alto) e D2 (grafico in basso). La Kd viene, quindi l’affinità, è stata misurata attraverso lo spiazzamento del ligando selettivo per D1, l’SCH 23390, usato in concentrazioni fisse ed in concomitanza con centrazioni variabili di un altro ligando, la clozepina ad esempio. Ciò permette di calcolare la IC50, ovvero la concentrazione che inibisce il 50% delle molecole (si instaura un’ibizione competitiva). Esiste un’equazione che permette di calcolare la Kd del ligando competitivo, quindi ci si può calcolare la Ki, la costante di inibizione, che corrisponde alla Kd ma contrariamente a questa che si calcola in modo diretto, attraverso le curve di saturazione, si calcola indirettamente, utilizzando un ligando radioattivo che spiazza l’altra molecola.
Nel primo grafico vediamo che non esiste una correlazione lineare tra D1 e la Dt; mentre nel secondo grafico esiste una correlazione lineare tra il rec. D2 e la Dt di questi farmaci. Questo suggerisce come l’azione degli antipsicotici sia da ascrivere in particolar modo, ai recettori D2: sono infatti antagonisti D2. (Vedi 3 slide) L’Aloperidolo, corrispondente al Serenase, rappresenta il principale farmaco antagonista D2. Tuttavia, sono stati recentemente sviluppati degli antipsicotici la cui attività sul D2 è ridotta. Questi sono infatti stati definiti farmaci antipsicotici atipici, ed il capostipite di questo gruppo è la Clozepina (anche se non è un farmaco nuovo e veniva usato negli anni 70, fu poi ritirato dal commercio nonostante fosse un buon antipsicotico), che ha un profilo diverso (vedi torta) dagli antipsicotici tipici. Gli antipsicotici classici, con spiccata azione antagonista sui rec D2, agiscono non solo a livello delle vie mesocorticale e mesolimbica ma anche a livello della via nigrostriatale, via coinvolta nel controllo extrapiramidale del movimento (è infatti coinvolta nel morbo di Parkinson). Perciò, se somministrati cronicamente, agiscono da antagonisti corticali con azione antipsicotica, ma anche da antagonisti stiatali inducendo discinesia, ovvero alterazione del movimento di tipo parkinsoniano, causando per tanto, un grave problema di tollerabilità; ma non è tutto: abbiamo parlato della via tuberoinfundibulare, su cui la dopamina agisce da inibitore dell’acilprolattina (?). I farmaci antidopaminergici, determinano a questo livello, l’incremento di acilprolattina, determinando la ginecomastia negli uomini, alterazioni della libido, alterazioni a carico degli ormoni ipofisari e quindi
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alterazioni del ciclo ovarico della donna, sterilità, ecc. Questi sono tutti problemi di tollerabilità associati agli antipsicotici classici. Ad ogni modo, come vediamo nelle diverse torte, l’attività antagonistica D2 (fettina gialla), è presente, minimamente anche negli antipsicotici atipici ma questa è massima in quelli tipici e ciò spiega i prblemi di tollerabilità addotti da questi ultimi. Vediamo, poi che ci sono altri recettori importanti, come i recettori serotoninergici 5-HT2a ed il 5-HT1a, sui quali gli antipsicotici atipici agiscono da antagonisti o agonisti inversi. Tuttavia, ci sono dei problemi di tollerabilità legati anche agli antipsicotici atipici, questi sono per lo più problemi dismetabolici: i pazienti trattati con questi farmaci accusano un notevole incremento dell’appetito, sviluppando patologie metaboliche secondarie come l’obesità. (slide 4) Nella terapia farmacologica della schizofrenia vengono utilizzati tra gli antipsicotici classici: le Fenodiazine, come la Florclorazina, Butirrofenoni, come l’Aloperidolo e Trioxanteni (meno usati) mentre tra gli antipsicotici atipici vengono utilizzati:la Clozapina, il Risperidone, l’Olanzapina, l Sertindolo, lo Ziprasidone e la Quetiapina. (slide 5) Ma ce ne sono anche altri più recenti che sono agonisti dopaminergici D2 parziali, ad esempio il Paliperidone che è un metabolita del Risperidone e questo spiga perchè ha una maggiore tollerabilità anche se una minor efficacia. Ricapitolando, le caratteristiche farmacodinamiche degli antipsicotici atipici sono (Slide5):
La ridotta affinità per il rec. dopaminergico D2, facilmente spiazzabile dalla dopamina endogena nello striato, in alcuni casi con attività di agonista parziale
Maggior potenza di blocco 5-HT2a rispetto al blocco D2, attribuibile ad un’attività di agonismo inverso più che di antagonismo
Azione presinaptica sui rec 5-HT2a
Attivazione di meccanismi di plasticità a lungo termine
Specificità neuroatomica
SEROTONINA: indicata anche con la formula chiamica 5-HT, che sta per 5-idrossitriptamina. Il termine Serotonina, invece si riferisce al fatto che fu rilevata per la prima volta nel siero (sero-) e induceva la contrazione della muscolatura liscia (-tonina); infatti, quando si metteva a contatto il siero animale con un preparato di muscolatura liscia si aveava la contrazione di quest’ultima. Sebbene sia un neurotrasmettitore, si trova abbondatemente nel siero perché è contenuta nei granuli piastrinici, e quando le piastrine si attivano, si degradano liberando i mediatori contenuti al loro interno, tra cui la Serotonina. Questa ha un ruolo principale nella fase iniziale dell’emostasi. L’ emostasi è suddivisibile in 3 fasi, in realtà sovrapposte: 1. FASE VASCOLARE: è caratterizzata dalla vasocostrizione. È importante soprattutto a livello delle arteriole che hanno muscolatura liscia, anche le arterie ce l’hanno, ma ovviamente se uno si recide una grossa arteria muore, se ci si recide un’arteriola sopravvive, grazie al meccanismo dell’emostasi: la vasocostrizione interviene riducendo il diametro del vaso e quindi la perdita di sangue. Questo è un meccanismo fisiologico ma ciò accade anche in meccanismi patologici, nell’infarto al miocardio, ad esempio: quando si ha una placca aterosclerotica in un’arteria coronarica questa può rompersi e formare un trombo, nel frattempo arrivano le piastrine che attivandosi rilasciano serotonina inducendo la vasocostrizione e quindi un ulteriore restringimento del vaso, si ha dunque l’infarto.
2. FASE PIASTRINICA: in cui vi è l’aggregazione piastrinica 3. FASE EMATICA: si forma il reticolo di fibrina a partire dal fibrinogeno, proteina fibrosa del plasma, in cui rimangono imbrigliati gli elementi corpuscolati del sangue. La serotonina, a livello del SNC è un neurotrasmettitore sia eccitatorio che inibitorio, in particolare è inibitorio il rec presinaptico 5-HT1A. Dal punto di vista evolutivo, è una molecola molto antica, è infatti presente anche in vertebrati più lontani dei mammiferi. Ha una varietà molto grande di recettori, la maggior parte dei quali accoppiati a G proteine ad eccezione del 5-HT3 che è un recettore canale. Esistono 7 classi di recettori metabotropici, ulteriormente divisi in sottotipi che troviamo soprattutto nelle classi 5-HT1 e 5-HT2. I sottotipi vengono indicati con le lettere. SINTESI: il precursore della Serotonina è l’amminoacido L-Trp. Questo viene idrossilato dalla Trp- idrossilasi e quindi convertito a 5-idrossitriptofano, che è usato anche come integratore alimentare ed è consigliato come antiemicranico. Questo viene poi decarbossilato da un enzima aspecifico, il Levo-amminocido aromatico decarbossilasi, viene prodotta la 5-idrossitriptamina che è un ammina ed è il neurotrasmettitore Serotonina. Il catabolita finale, da ricordare è l’acido 5-idrossiindoloacetico.
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idrossilasi
RECETTORI:
RECETTORI
Li vediamo tutti nelle tabelle soprastanti. Alla classe dei recettori 5-HT1, manca il sottogruppo C perché fu riclasssificato come rec. 5-HT2; quindi tra i recettori 5HT1, consideriamo le sottoclassi A, B, D, E, F, e P. Hanno tutti distribuzione varibile, sono ovviamente tutti attivati dalla Serotonina ed hanno affinità variabile per agonosti ed antagonisti sintetici; inoltre, sono accomunati dal fatto di essere, in linea di massima, accoppiati negativamente all’Adenilato ciclasi, quindi sono accoppiati a proteine Gi/G0 e molti sono stimolatori della PLC. L’azione principale di questi recettori nel SNC è quella di essere recettori presinaptici, che per definizione, hanno attività inibitoria sull’ adenilato ciclasi. Riducendo l’attività dell’adenilato ciclasi, si riduce la concentrazione dell’AMPc a livello del neurone presinaptico, da cui ne verrà quindi ridotto il rilascio di neurotrasmettitore. È coinvolta nell’azione inibitoria anche l’apertura dei canali K+ (Girk). Questi recettori, nel SNC, sono associati a disturbi dell’ansia e dell’aggressività. 5-HT1D: questo recettore costituisce un importante bersaglio dei farmaci anti-emicranici, ovvero i Triptanici, come il Sumatriptan, che hanno azione agonista verso il 5-HT1D. troviamo questo recettore nell’ippocampo, nei neuroni trigeminali e nella muscolatura vasale. Questi farmaci agiscono inibendo a monte, a livello presinaptico, il rilascio di peptidi autogeni, come il CGRP (sostanza P-neuroechinina), responsabili dell’infiammazione neurogenica a livello meningeo. Esiste una teoria secondo la quale l’emicrania è dovuta alla vasodilatazione dell’arteria temporale, infatti è vero che nell’emicrania si avverte un dolore pulsante, attribuito appunto, alla vasodilatazione: i triptanici agiscono anche sulla muscolatura liscia vasale con azione vasocostrittiva. Tuttavia, poiché il 5-HT1D si trova anche alivello della muscolatura vasale coronarica è contro indicato in pazienti con cardiopatie ischemiche o in coloro che hanno avuto aneurismi. I Triptanici, sono tanti, il Maratriptan, il dolotriptan ecc., e sono specifici per l’emicrania, contrariamente ad un qualsiasi analgesico che infatti possono essere presi anche per altri tipi di dolore. I triptanici più nuovi agiscono sul 5-HT1F.
NOTA: La caffeina è un antiemicranico perchè inibisce la fosfodiesterasi ed è antagonista dei recettorio purinergici, in quanto analogo della adenina.
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5-HT2: sono accoppiati a Gq e G11, stimolano la fosfolipasi C e sono recettori ecciotatori del SNC. I recettori 5-HT2A li troviamo anche in periferia, nella muscolatura liscia dei bronchi, in quella del sistema del gastro-intestinale e vasale, dove determinanano contrazione; si trovano anche a livello endoteliale dove, però svolgono funzione opposta: inducono vasodilatazone, in quanto determinano la produzione ed il rilascio di nitrossido (NO). Se si induce la vasocostrizione con un neurocostrittore diverso dalla serotonina e dopo si aggiunge la serotonina, quasta determinerà la vasodilatazione per azione del NO. Anche i recettori 5-HT2B, e C sono localizzati nell’endotelio e nella muscolatura lisci vasale, dell’utero, dello stomaco ecc. in definitiva, i rec serotoninergici 2A, 2B e 2C, si trovano sia nel SNC che in periferia. 5-HT3: Rappresenta l’unico recettore ionotropo serotoninergico. Si trova soprattutto nel SNC: nella substantia nigra, nello striato, nell’ippocampo, nei gangli simpatici e nei neuroni sensitivi. Bersaglio dei 5-HT3 sono gli antagonisti come il tropisetron, ondasteron e granisteron: sono degli antiemetici, inibscono il vomito di origine centrale, conseguente ad interventi chirurgici o a terapie antiblastiche, come quelle con il cisplatinum. L’agonista esogeno principale è il 5-meti-5-HT-clorofenilbiguanide. Degli altri recettori serotoninergici, il 5-HT4-5-6-7, solo la classe 5 possiede delle sottoclassi, A e B. Sono tutti ultimi in ordine di scoperta ed è per questo che possediamo a riguardo una farmacologia più povera. Le classi 4, 6, 7 sono recettori accoppiati a Gproteine S, quindi stimolatori dell’Adenilato ciclasi; il tipo4, ad esempio, lo troviamo nel plesso mioenterico e quando attivato, inducendo l’aumento di AMPc,che ha come risultato l’aumento della motalità peristaltica, determina fenomeni diarroici (ha azione simile a quella della tossina colerica che stimola l’adenilato ciclasi). Il cisatride è un agonista di questo recettore, fu ritirato dal commercio perché agiva sul cuore allungando l’ UT, ovvero aumentando il potenziale cardiaco e determinando alterazioni della conduzione atrio-ventricolare e dando, quini origine ad aritmie cardiache. Le classi 6 e 7 le troviamo sia a livello centrale che periferico e sono bersaglio del tagasteron, che ha azione agonista. Il 7 è implicato nell’ipertensione; non è bersaglio di farmaci registrati.
AMMINOACIDI ECCITATORI: ACIDO GLUTAMMICO E ACIDO ASPARTICO: Fin’ ora abbiamo parlato di ammine: la serotonina, l’acetilcolina e le catecolamine; questi sono amminoacidi e sono neurotrasmettitori eccitatori.
RECETTORI: Hanno 2 gruppi di recettori: il gruppo di quelli ionotropi e quello dei recettori metabotropi, accoppiati a Gprot. Hanno tutti azione eccitatoria ad eccezione di quelli metabotropici presinaptici con funzione inibitoria.
RECETTORI IONOTROPI: abbiamo 3 sottotipi
Cainato AMPA NMDA Vengono così distinti in base ai composti sintetici che ne rappresentano gli agonisti principali. Tra gli antagonisti abbiamo l’ MK-801-CNQX vediamo la tabella: La chetamina è un’antagonista bloccante dell’NMDA: è un anestetico generale con proprietà allucinatorie, (viene per qst utilizzata anche come sostanza da abuso) si usa per via iniettiva nelle anestesie di emergenza (molto usato in guerra), perché non agisce sul circolo né sulla funzione respiratoria quindi non comporta l’intubazione del paziente ed il monitoraggio derlla pressione; in clinica è poco usata perché determina allucinazioni. Anche la fenciclidina è un antagonista bloccante dell’NMDA, è una sostanza d’abuso, la così detta polvere degli angeli. L’NK801 agisce da antagonista bloccante; non è un farmaco registrato ma è utilizzato in ricerca sugli animali, dove sembra avere efficacia nei confronti dell’eccitotossicità che si verifica in seguito ad ischemia cerebrale: è stato sperimentalmente usato sull’uomo ma non ha dato risultati apprezzabili, per questo non è stato registrato.
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Il Mg++, è un bloccante: blocca il canale NMDA. Questi canali hanno siti a cui si possono legare altre sostanze, quali inibitori o coattivatori, come la Gly. L’NMDA può essere considerato un canale voltaggio dipendente: quando Il Mg++ blocca il canale, la membrana si trova in potenziale di rip., in seguito a depolarizzazione, il blocco Mg++ viene rimosso e il canale torna ad essere eccitabile dai ligandi, Glu e Asp. Quindi NMDA è un canale attivato da ligando ma prima necessita una depolarizzazione, diversamente dai canali AMPA e Cainato che vengono direttamente attivati dai ligandi. Sono i recettori più abbondanti del SNC: la maggior parte dei neuroni ha recettori eccittatori (determinano EPSP) Funzioni NMDA: producono EPSP lenti, diversamente da AMPA che producono EPSP rapidi; sono coinvolti nella LTP (Long Term Potencetion) che con la LTD (Depretion) rappresentano i fenomeni alla base della fisiologia della memoria. La LTP è quel fenomeno per la quale, quando si stimola ad alta frequenza una sinapsi eccitatoria si determina il potenziamento della risposta post-sinaptica. La LTD, al contrario, determina una riduzione della risposta post sinaptica. Ovviamente la memoria coinvolge anche altri fenomeni, di tipo plastico: LTP è coinvolto nella memoria a breve termine.
MECCANISMI LTP: A) Dal terminale presinaptico glutamatergico viene rilasciato Glu, che stimola il recettore NMDA, sul terminale postsinaptico in seguito a depolarizzazione ed a rimozione del blocco Mg++; NMDA rappresenta un canale poco selettivo: entra Ca++ e Na+; l’aumento del Ca++ attiva la calmodulina-kinasi che fosforila i recettori AMPA e ne aumenta l’espressione. Si ha così il potenziamento della risp post-sinaptica. B) Anche l’altro meccanismo di LTP è Ca++ dip.: implica a livello post-sinaptico la stimolazione della sintesi di No_n (neuronale; esistono tre tipi di nitossido sintasi (NOS): neuronale, endoteliale e inducibile). Il NO è un gas, che retrodiffonde nella membrana presinaptica, dove attiva dei processi che ne aumentano la funzione.
RECETTORI METABOTROPI: Ne esistono 8 sottotipi, indicati come mGluR1_8. Sono distingubili 3 gruppi: al primo gruppo appartengono quelli accoppiati alla proteina Gq, che stimola PLC (fosfolipasi C) che produce DAG e IP3; sono agonisti il quisqualato e l’ibotenato. L’mGLUR8 è accoppiato negativamente all’adenilato ciclasi. Al gruppo 3 appartengono gli mGluR presinaptici, accoppiati negativamente all’AMPc, quindi inibitori. ECCITOTOSSICITA’: Si riferisce al danno neuronale nel SNC, in seguito ad eccitazione intensa e prolungata dei recettori per gli aa eccitatori. Svolge un ruolo centrale l’aumento della concentrazione intracellulare di Ca++. I meccanismi di danno neuronale si vericano in seguito alla citotossicità indotta dall’ischemia cerebrale o ictus ischemico, dato dall’occlusione di un vaso cerebrale da parte di un trombo derivato dalla rottura di una placca arterosclerotica. Ciò comporta il blocco dell’afflusso ematico in una porzione del cevello. La circolazione a livello cerebrale è organizzata in modo tale che se si occlude un vaso del circolo di Willis (alla base del cevello, anastomosi tra rami dell’arteria vertebrale posteriore e rami della carotide interna che formano una sorta di esagono arterioso che permette un’eventuale circolazione collaterale), il sangue pùò defluire grazie ad una collaterale, ma quando il danno è molto eseso, quando ad esempio si occlude l’arteria cerebrale media, si realizza un infarto cerebrale: viene consumata l’ATP, i neuroni si depolarizzano, viene rilasciato Glu che agisce a livello postsinaptico, sui recettori ionotropi e metabotropi ed in particolare sugli NMDA che fanno entrare sia Na+, determinando un’ulteriore depolarizzazione che Ca++, che attiva la PLC. L’ aumento del Ca++ è responsabile dell’insulto neuronale che si estende anche ai neuroni circostanti, della così detta penumbra, corrispondente alla porzione di parenchima cerebrale che soffre secondariamente ma che può essere salvata se si interviene in tempo con la trombolisi o con terapia farmacologica a base di MK801. Infatti, il Ca++ attiva i processi proapoptotici, sia mitocondriali, mediati dall’
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MTP (proteina di trasporto mitocondriale) che delle caspasi; attiva, inoltre la PKC e la fosfolipasi A2 che induce il rilascio degli eicosanoidi, der. dall’acido arachidonico, e precursore di altri mediatori. Sono tutti meccanismi Ca++ dip.; il Ca++ entra dai canali NMDA e in parte der. dalla depolarizzazione. Se si induce sperimentalmente un’ischemia cerebrale nell’animale, ma dopo averlo pretrattato con MK801, antagonista dell’ NMDA, si osserva una sostanziale riduzione della zona penumbrea; purtroppo il trattamento preventivo nell’uomo sano non può essere fatto, si interviene solo in seguito al danno, ed il risultato con questo trattamento non diviene apprezzabile.
ISTAMINA: E’ un’ammina derivata dall’Ist, per azione dell’Ist-decarbossilasi. È un neurotrasmettitore sia eccitatorio che inibitorio. Ha recettori metabotropi, accoppiati a proteine G, sia a livello centrale che periferico; vengono distinti 4 sottotipi, indicati H1_4. A livello periferico, gli antiallergici agiscono sui recettori H1, sono antiH1; gli antiacido, inibiscono la secrezione gastrica, proteggendo lo stomaco e sono farmaci antiH2.
Gli H3 e gli H4 sono stati scoperti di recente. Gli H1 e gli H4, sono accoppiati alla PLC e generano IP3, sono recettori stimolatori; I recettori H2 sono accoppiati a proteina Gs e stimolano positivamente l’AMPc; l’H3 è un frecettore inibitorio, accoppiato negativamente all’AMPc. Ricapitolando: H1 e H4 sn accoppiati a Gq/G11 (PLC), ma H4 anche a Gi/G0 (AMPc); H2 a Gs; H3 è inibitore.
LOCALIZZAZIONE: in periferia l’istamina funge da autocoide (mediatore che una volta liberato agisce localmente, come le citochine, mediatori dell’infiammazione, o la 5-HT liberata dalla piastrine). L’istamina viene liberata, ad esempio, a livello delle mucose dalle Mast-cell (mastociti), che vengono attivate dal complesso Ag/IgE, ciò compoarta poi la degranulazione di queste cellule, con la liberazione dell’istamina, responsabile dei processi allergici. Gli H1 alivello periferico, li troviamo nella muscolatura liscia dei vasi, delle vie respiratorie, dell’intestino, dove induce contrazione; a livello cardiaco ha effetto ionotropo positivo; nel SNC, invece, gli H1 partecipano alla regolazione del sistema sonno-veglia, dell’appetito e della termoregolazione. È importante approfondire la localizzazione periferica dell’istamina, nelle vie aeree superiori, ovvero nella mucosa nasale, nei seni paranasali, dove nei fenomeni allergici avviene l’iperemia data dalla vasodilatazione indotta dall’istamina; infatti H1 determina azione costrittiva a livello della muscolatura liscia, ma vasodilatazione a livello endoteliale (H1 è localizzato anche nell’endotelio), in quanto stimola il rilascio di NO; inoltre, sempre a questi livelli l’istamina stimola la secrezione mucosa. L’inibizione dei recettori H1 periferici, indotta dagli antistaminici, induce sonnolenza come effetto collaterale a livello centrale, dove gli H1 hanno funzione stimolatoria. Gli antistaminici di seconda generazione come la clorantidina hanno meno effetti a livello centrale, rispetto gli antiH1 più antiche, di prima genarazione, come la mepiramina. Gli H2 hanno invece un ruolo importante nella secrezione gastrica. Antagonisti del recettore H2, come la ranitidina vengono usati come antiacido, anche se oggi si preferisce usare, per tale scopo, inibitori della pompa protonica. Gli H2 determinano stimolazione dell’AMPc. Gli H3, sono recettori inbitori presinaptici, accoppiati negativamente all’AMPc. Inibiscono il rilascio di neurotrasmettitore (istamina)ed a livello della mucosa gastrica hanno azione opposta a quella degli H2: inibiscono la secrezione gastrica.
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L’H4 modula essenzialmente, gli effettori della risposta infiammatoria, è infatti tipicamente collocato nelle cellule infiammatorie, quelle del M.O., della milza, degli eosinofili, dei mastociti e dei neutrofili. Non ci sono farmaci per gli H4.
GLICINA: è l’amminoacido più semplice; a livello del SNC, rappresenta un neurotrasmettitore inibitorio: agisce su specifici recettori canale inibitori: questi, per essere tali sono evidentamente canali per il Cl- e sono molto abbondanti soprattutto a livello del M.S., in particolare negli interneuroni, che sono neuroni di relè, che proiettano localmente. Antagonista di questi recettori è la stricnina (veleno per topi), la cui tossicità è infatti dovuta all’eccitazione dei neuroni del SNC, per rimozionedell’effetto inibitorio della Gly.
GABA: Anche il GABA (Acidi gamma- ammininobutirrico, der. dalla decarbossilazione dell’acido Glu) è un amminoacido ed è anche il neurotrasmettitore inibitorio più abbondante e rappresentativo del SNC. Il GABA ha 2 gruppi di recettori: i recettori canale, detti GABA A, rappresentati da canali per il Cl-; e recettori metabotropi, i GABA B, accoppiati negativamente all’AMPc (proteina Gi). I recettori canale inibitori, come quello della Gly e del GABA, sono costituiti da 5 subunità; mentre quelli eccitatori sono tipicamente costituiti da 4 subunità. Inoltre, poiché esistono diverse isoforme delle subunità che costituiscono il canale, questo potrà acquisire quindi caratteristiche differenti. Tra gli agonisti esogeni del canale GABA A citiamo, il muscimolo, mentre tra gli antagonisti, la bicucullina e la picrotossina; questi ultimi non hanno alcuna indicazione terapeutica ma sono utilizzati sperimentalmente: determinano convulsioni. I recettori GABA B, hanno come agonista il baclofene, che è un miorilassante ed inibisce la spasticità; antagonista di questi recettori è il saclofene.
RECETTORE GABA_A:
Rappresenta il sito di numerosi farmaci, tra i quali le benzodiazepine (Valium, Clorazepan, Diazepan) che hanno numerose applicazioni terapeutiche: vengono somministrati come ansiolitici, tranquillanti e soprattutto come ipnoinducenti (inducono il sonno). Tuttavia, riguardo quest’ultima azione, inducono un sonno di qualità migliore i così detti Z-farmaci (Zalpiren, Zopiclone, Zaveclone), che inoltre danno meno assuefazione e per tanto, sono, in questo senso, preferibili alle benzodiazepine. Le benzodiazepine sono inoltre utilizzate come anticonvulsivanti (Diazepan e clorazepan, sono principalmente somministrati nello stato di male epilettico, dato da crisi epilettiche continue che possono portare al blocco respiratorio e quindi alla morte) e in anestesia (didazepan). Le benzodiazepine non possono definirsi agonisti, in quanto non si legano allo stesso sito per il GABA, bensì in un altro sito del recettore, potendosi quindi definire dei modulatori allosterici positivi: aumentano l’affinità del GABA per il recettore. Tuttavia in questo stesso sito possono legarsi anche dei modulatori allosterici negativi con azione opposta a quelle delle benodiazepine: le carbossiline, con azione anziogena. Quindi se potessimo considerare agonisti le benzodiazepine, le carbossiline corrisponderebbero ad agonisti inversi. Nel GABA “A” è inoltre presente un sito per i barbiturici (es. veronal). Sono stati prodotti negli anni’20 ed utilizzati fino agli anni 60 come ansiolitici o sonno-inducenti, ma oggi non si usano più per tali scopi). Il fenobarbital è utilizzato come antiepilettico; il tiopentale o pentotal, detto siero della verità è un anestetico gerale utilizzato nella puntura letale e nell’induzione del come farmacologico, a cui si ricorre quando si hanno insulti gravi del SNC per proteggere il
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cervello e ridurre il metabolismo celebrale, riducendo quindi qualsiasi altro tipo di danno. Gli anestetici classici, somministrati per via inalatoria vasodilatano a livello celebrale determinando un aumento del flusso ematico e della pressione intratranica, condizione molto pericolosa se esiste già un trauma, come un’emorragia o ernia cranica. I barbiturici aumentano l’azione del GABA in quanto aumentano l’apertura dei canali; se le benzodiazepine possono definirsi dei modulatori dell’affinità del GABA per i recettori, i barbiturici possono definirsi modulatori dell’efficacia del GABA. Esiste, poi, il sito per i neurosteroidi, come ad esempio il cortisolo: i cortisonici agiscono determinando insonnia, in quanto hanno effetto eccitatorio (basti pensare al picco del cortisolo alle 7:00 del mattino secondo il normale ritmo circadiano); i farmaci cortisonici non vanno infatti assunti la sera. I recettori GABA A il sito per l’alcol etilico che agisce da depressore del sistema nervoso centrale. Nel sito delle benzodiazepine agisce da antagonista il flumazenil appartenente alla categoria farmaceutica V (antitodi), utile nell’intossicazione da bezodiazepine onel risvegli da coma anestetico. Le benzodiazepine sono ben tollerate dall’organismo, tranne se associate ad alcol (letali).
PEPTIDI: I principali sono gli oppioidi: sono neurotrasmettitori inibitori. Questi sono così chiamati perché hanno gli stessi effetti dell’oppio un lattice vegetale contenente due tipi di alcaloidi: gli alcaloidi fenantrenici come la morfina e la codeina da cui vengono prodotte sinteticamente l’eroina e il metadone; e alcaloidi benzilisochinolinici, come la papaverina. Questi sono definiti oppiacei in quanto esogeni per distinguerli dagli oppioidi rappresentati appunto da peptidi endogeni. Negli anni 70 si scoprirono i recettori sui quali si andava a legare la morfina e si vide che si legavano ad essi anche sostanze endogene di natura peptidica. Esistono tre sottotipi di questi recettori: µ, δ, κ (espressi da 3 geni diversi). Questi sono tutti accoppiati negativamente all’adenilatociclasi e positivamente a canali potassio (GIRK). Dal punto di vista farmacologico sul recettore µ agiscono gli analgesici, infatti, sono recettori inibitori soprattutto dal punto di vista anlgesico. Sono agonisti endogeni le enkefaline (sono formate da due pentapeptidi, la metionilencefalina e leucilencefalina (?)), endorfine (betaendorfina), e le dinorfine. Sono citati in ordine di dimensione. I recettori µ sono presenti nel sistema limbico dove sono responsabili della dipendenza da oppiacei; nella corteccia prefontale dove determinano l’euforia tipica della tossicodipendenza che in alcuni casi, può tradursi in disforia, ad esempio quando si assume per la prima volta la morfina. Sono antagonisti di questi recettori il naloxone, appartenente alla categoria V (antitodi) che si utilizza nell’intossicazione acuta da oppiacei in overdose.
PRODUZIONE DI PEPTIDI: Derivano dal clivaggio di un precursore proteico, il preopiomelanocortina (pre-POMC), che dà l’opiomelanocortina, da cui derivano, per proteolisi successiva, tutta una serie di peptidi, tra cui: l’ACTH (ormone adenocorticotropo), il β-LPH ed il γ-LPH (lipoproteine), l’α-MSH, la β-end (endorfina) e le enk (encefaline). In realtà le encefaline derivano anche da un altro precursore: la pro-enkefalina; mentre, le dinorfine derivano dalla prodinorfina. NOTA: I sottotipi dei recettori µ, δ, κ sono varianti di splicing.
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Lezione 9 Farmacologia Generale La farmacocinetica è quella parte della farmacologia che si occupa del destino del farmaco una volta introdotto nell’organismo. La farmacocinetica sostanzialmente studia quattro aspetti riassunti nell’acronimo ADME (assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione). La prima cosa che diciamo sulla farmacocinetica è che serve a predire la concentrazione del farmaco nel siero, ma in realtà idealmente la farmacocinetica serve a predire la concentrazione del farmaco nel bersaglio farmacologico, ossia nel tessuto o nelle cellule dove noi vogliamo che il farmaco esplichi la sua azione terapeutica. Tuttavia questo nella maggior parte dei casi è impossibile (soprattutto nell’uomo la cui farmacocinetica è diversa da quella degli altri animali). Abbiamo detto idealmente perché se noi vogliamo andare a valutare la concentrazione di un farmaco che agisce a livello del sistema nervoso centrale quello che a noi interessa non è la sua concentrazione nel siero ma è la sua concentrazione nel parenchima cerebrale ma ciò non è così facile a farsi. Per cui ci basiamo essenzialmente sullo studio delle concentrazioni nel plasma perché sappiamo che la quantità di concentrazioni di farmaco che arrivano ad un distretto sono comunque in funzione della sua concentrazione plasmatica. Concettualmente possiamo considerare tre fasi: assorbimento, distribuzione e metabolismo ed eliminazione che possono essere considerati insieme, però in realtà non sono la stessa cosa perché per molti farmaci il metabolismo (ossia la biotrasformazione) coincide con la perdita dell’effetto farmacologico principale però in numerosi casi la biotrasformazione dà luogo a metaboliti attivi (in alcuni casi meno attivi del farmaco principale, in altri casi più attivi), altri casi ancora sono quei farmaci che non sono attivi nella loro composizione ma necessitano di biotrasformazione per diventare attivi, in questi casi si parla di pro-farmaco (ossia quel farmaco che una volta iniettato ha bisogno di essere trasformato in metabolita attivo). Altro caso ancora da considerare può essere la formazione di metaboliti che risultano tossici. L’eliminazione propriamente detta è, invece, quando il farmaco viene allontanato dall’organismo, il ché si verifica nella maggior parte dei casi attraverso l’emuntorio renale e in alcuni casi anche attraverso la via fecale. Dobbiamo anche dire che il metabolismo per molti farmaci rappresenta un prerequisito per l’eliminazione: essenzialmente il metabolismo dei farmaci è dovuto alla conversione di una molecola poco idrosolubile in una molecola molto idrosolubile e che quindi può essere più facilmente eliminata a livello renale. L’assorbimento è quel processo attraverso il quale il farmaco passa dal sito di somministrazione al torrente circolatorio. E’ il caso quindi di considerare questi siti di somministrazione altrimenti detti anche vie di somministrazione. Abbiamo le vie dette naturali o enterali (sono quelle vie che utilizzano il tubo gastro-enterale) la principale delle quali è sicuramente la via orale, e poi abbiamo le vie artificiali altrimenti dette vie para enterali. Le vie enterali sono soltanto tre: la via orale, la via sub-linguale e la via rettale. Ci sono poi le vie di applicazione topica che si utilizzano quando noi vogliamo che l’effetto si svolga nel sito di applicazione (ad esempio cutanea, dermica, oculare). La via oculare può essere chiamata anche una via d’organo perché se noi applichiamo un collirio noi abbiamo un’azione applicata ad un organo (l’occhio). In tutti i casi di somministrazione topica noi vogliamo che l’assorbimento sia quanto più limitato possibile, cioè che tutta l’azione del farmaco sia circoscritta alla via di applicazione, ad esempio la via percutanea, la transcutanea, le vie mucosali quali la vaginale o ancora altro tipo di via d’organo è la via inalatoria che si usa per somministrazione di farmaco nell’apparato respiratorio, spesso usata nei casi di asma. (Le vie d’organo in fondo sono delle vie topiche che riguardano un solo organo). Nella via inalatoria si utilizzano corticosteroidi e agonisti beta2 adrenergici che si spera vengano assorbiti il meno possibile e agiscano sull’apparato respiratorio. La via inalatoria si sfrutta anche per somministrazioni sterili quali ad esempio per l’utilizzo di anestetici generali. Iniziamo adesso a vedere più nel dettaglio queste vie di somministrazione enterali (orale, sub-linguale e rettale). La via orale è quella più comunemente utilizzata perché è la più economica, è naturale ed è comoda, l’unico inconveniente è che la via orale richiede la collaborazione del paziente. La collaborazione del paziente è chiaro che se il paziente è un neonato la via orale può dare dei problemi anche se per i bambini si utilizzano delle forme liquide piuttosto che delle compresse o delle capsule proprio per la difficoltà di ingestione di quest’ultime rispetto ad uno sciroppo che oltre tutto è una soluzione che contiene zucchero oltre al principio attivo. Tuttavia resta difficile una somministrazione per via orale in un neonato. O ancora risulta difficile nel caso di pazienti che hanno perso conoscenza o che sono in coma o ancora in pazienti agitati a livello psichiatrico. La via orale è comunque quella che risulta più gradita alla maggior parte degli adulti. I problemi connessi alla via orale possono riguardare ancora la latenza dell’azione. La latenza dell’azione è qualcosa che è connesso strettamente alla velocità dell’assorbimento, più veloce è l’assorbimento e più rapido sarà il raggiungimento di concentrazioni efficaci nel sangue. In alcuni casi, quando abbiamo bisogno di un effetto immediato, la via di somministrazione orale può risultare inadeguata (di solito un effetto dopo somministrazione orale comincia ad apparire dopo 20-30 minuti). Altro problema, ancora più grosso, legato alla somministrazione orale, riguarda il cosiddetto effetto di primo passaggio. L’effetto di primo passaggio è il metabolismo del farmaco che si verifica quando questo passa attraverso un organo dove avviene la sua
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biotrasformazione, tipicamente l’effetto di primo passaggio riguarda il fegato (in inglese detto first pass effect). La via orale è soggetta ad effetto di primo passaggio perché tutto il sangue venoso refluo dall’intestino arriva al fegato attraverso la vena porta e poi dal fegato si raccoglie nella vena cava inferiore. Per cui questo vuol dire che quando noi facciamo una somministrazione di tipo orale il nostro farmaco prima di raggiungere la circolazione generale, questo farmaco passerà prima dal fegato dove l’effetto di primo passaggio dipende dal grado di metabolizzazione epatica, per cui l’effetto di primo passaggio è un parametro tipico di ciascun farmaco. Ci sono dei farmaci che vanno incontro ad una così estesa metabolizzazione epatica che è inutile la somministrazione per via orale. Per cui l’effetto di primo passaggio riduce la quota significativa di farmaco, bisogna quindi tenere conto della percentuale di riduzione dovuta al metabolismo epatico. La via rettale e la via sub-linguale sono delle vie naturali (enterali). In particolare la via sub-linguale è l’assorbimento attraverso la mucosa orale che si realizza molto semplicemente mantenendo la preparazione farmaceutica in bocca, di solito si consiglia di metterla sotto la lingua ma basta tenerla in bocca per favorire l’assorbimento attraverso la mucosa orale. La via rettale consente l’assorbimento attraverso la mucosa del retto (generalmente attraverso l’utilizzo di supposte). La via di somministrazione sub-linguale richiede anche questa la necessità di collaborazione del paziente, per quanto riguarda la via rettale è di più facile somministrazione, viene utilizzata spesso nei bambini ma può essere anche utilizzata negli anziani o nei pazienti che si trovano in coma. La via rettale e la via sub-linguale hanno delle differenze rispetto alla via orale per quanto riguarda l’effetto di primo passaggio. La via sub-linguale in realtà non è soggetta ad effetto di primo passaggio perché il sangue che irrora la mucosa del cavo orale e in particolari i plessi sub-sublinguali non sono tributari della vena porta ma sono tributari della vena cava superiore. Quindi il sangue refluo dalla mucosa orale arriva alla vena cava superiore e da qui alla circolazione sistemica senza passare dal fegato. La mucosa del retto è irrorata da plessi emorroidali superiori, medi e inferiori. Il plesso superiore è tributario della vena porta, mentre il medio e l’inferiore sono tributari della vena cava inferiore. Quindi diciamo che per quanto riguarda il retto l’effetto di primo passaggio è parziale. Per quanto riguarda il discorso della latenza dell’azione la via sub-linguale è particolarmente vantaggiosa perché appunto ci dà un assorbimento rapido e quindi azione rapida. Di solito la latenza dell’azione di un farmaco per la via sub-linguale è ridotta solo a qualche minuto, per la via orale minimo occorrono 20 minuti ma generalmente ci vogliono mezz’ora o un’ora per avere un effetto. Ad esempio la via sub-linguale risulta idonea quando vogliamo somministrare un farmaco anti anginoso per un paziente che soffre di cardiopatia ischemica che ha un attacco di angina (ossia un’ischemia cardiaca acuta) e prende una preparazione di nitroglicerina per via sub-linguale per un effetto immediato. La via rettale ha una latenza un po’ più breve rispetto alla via orale nell’ordine di un quarto d’ora solitamente. Un altro problema che può essere legato ad una somministrazione per via orale è quello che riguarda l’inattivazione del farmaco che si può avere perché i farmaci somministrati per via orale passano dallo stomaco dove c’è un pH acido che può arrivare a digiuno nell’ordine di 2 o anche meno mentre a stomaco pieno il pH può essere un po’ più alto (circa 4). Ci sono dei composti chimici e quindi farmaci che sono gastro sensibili, ossia sono sensibili all’acidità gastrica, uno di questi è la famosissima penicillina che infatti non si può somministrare per via orale o sarebbe inattivata dall’acidità gastrica, viene generalmente somministrata per via iniettiva e in alcuni casi per via endovenosa. Il discorso della sensibilità all’acidità gastrica vale per molti antibiotici, si tratta di un effetto di tipo fisiologico in quanto la funzione dell’acidità gastrica sono due, una quella di denaturare le proteine alimentari e l’altra proprio quella di difendere, di uccidere i germi, per cui sostanze esogene compresi i farmaci possono essere inattivate. Oggi si può superare questo problema utilizzando dei rivestimenti che assicurano il passaggio del farmaco attraverso lo stomaco per essere poi assorbito a livello intestinale. Un altro problema praticamente insormontabile per quanto riguarda la somministrazione per via orale, è invece quello di alcuni farmaci che vanno incontro a digestione, cioè vengono attaccati dagli enzimi digestivi in particolare proteasi. Quindi non possiamo mai somministrare proteine e peptidi per via orale, che invece si somministrano generalmente per via sotto cutanea. Questo problema può riguardare anche, in alcuni casi, farmaci polisaccaridici. Ad esempio l’eparina è un mucopolisaccaride che non viene assorbita ma viene digerita, per cui l’eparina non si dà per via orale. Per quanto riguarda la rapidità di raggiungimento di concentrazioni efficaci nel plasma dipende dalla velocità di dissoluzione (come detto per la via di somministrazione orale possiamo utilizzare degli sciroppi, ma possiamo utilizzare anche delle sospensioni che sono degli aggregati di micro particelle solide che si trovano disperse in un fluido, ma in molti casi utilizziamo delle compresse o delle capsule) ma anche dalla velocità di assorbimento del tratto gastro enterico che dipende innanzi tutto dalla presenza di cibo nel tubo gastro enterico, quindi anche dal PH che condiziona la forma fisica della molecola del principio attivo, dalla motilità (cioè se la motilità a livello gastro enterico è accelerata il farmaco avrà meno tempo per essere assorbito e viceversa). Per quanto riguarda la dissoluzione abbiamo delle forme farmaceutiche che possono essere più veloci o più lente. Quelle più veloci sono in forma liquida (sciroppi, elisir), poi si passa a sospensioni, polveri e quindi pillole (capsule, compresse). Le vie parenterali sono tutte le vie di somministrazione che non sono enterali, sono delle vie iniettive. Le più comuni che dobbiamo considerare sono la via endovenosa, la via intramuscolare, e sotto cutanea. La via endovenosa è l’unica via di somministrazione nella quale non dobbiamo considerare il parametro assorbimento, quando noi utilizziamo la via di somministrazione endovenosa noi mettiamo direttamente in contatto il farmaco col sangue. Per la via intramuscolare e sotto cutanea abbiamo invece una fase di assorbimento che riguarda il passaggio del farmaco dal sito di iniezione al sangue. Per cui la via endovenosa garantisce, nella maggior parte dei casi, un effetto di tipo immediato. Le vie iniettive richiedono personale specializzato soprattutto per quanto riguarda la via endovenosa.
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Per via endovenosa noi possiamo somministrare dei volumi molto più grandi rispetto alle altre vie iniettive. Altro vantaggio è che per via endovenosa si possono somministrare anche sostanze irritanti che risulterebbe dolorose per via intramuscolare o sotto cutanea, mentre per via endovenosa non risultano né irritanti né dolorose. Meno irritanti perché vengono subito diluite e non dolorose perché i vasi, l’endotelio in particolare, non hanno recettori per il dolore. Tuttavia la somministrazione per via endovenosa ha anche questa delle limitazioni: una sostanza somministrata per via endovenosa deve essere sterile, deve essere solubile, quindi idrosolubile e opportunatamente veicolata. Per cui non possono essere somministrate sostanze lipidiche od oleose se non veicolate opportunatamente, ovviamente non si possono somministrare gas. Tutte queste sostanze, non somministrabili determinerebbero embolia, ossia l’occlusione di una vaso e quindi della progressione del corrente circolatorio, l’embolia è un ostacolo mobile che si è mosso e ha provocato un occlusione in un punto del vaso. Per quanto riguarda la latenza in una via intramuscolare questa è inferiore rispetto ad una latenza in via enterale. Tuttavia dipende dai casi: abbiamo assorbimento rapido per le soluzioni acquose con effetti che compaiono dopo 10-30 minuti, mentre abbiamo assorbimento lento per farmaci sospesi in soluzioni acquose. Si possono utilizzare volumi moderati (fino a 5ml), e risulta essere molto dolorosa soprattutto se si somministrano sostanze irritanti. La via sotto cutanea è caratterizzata da assorbimento rapido per le soluzioni acquose e lento per i farmaci sospesi in soluzioni oleose. Viene utilizzata spesso per la somministrazione dell’insulina (è un peptide) e dei suoi analoghi, o per gli analoghi degli ormoni o ancora per gli anticorpi monoclonali, o nel caso del farmaco Etanercep che è un farmaco anti TNFα. Oggi per le iniezioni sotto cutanee in molti casi si utilizzano degli iniettori chiamati “penne” che sono di più facile utilizzo, sono come delle penne e consentono l’iniezione di dosi piccole e precise. Altre vie di cui non abbiamo ancora parlato sono la via intradermica e la via endoarteriosa. Preparare un’arteria per una iniezione endoarteriosa non è una cosa facile, innanzi tutto perché la pressione nelle arterie è maggiore, per cui non è una via molto utilizzata, viene utilizzata quando noi vogliamo che un determinato farmaco sia distribuito ad un solo settore circoscritto del nostro organismo. Utilizzata tipicamente per trattamenti anti neoplastici in maniera tale consentire solo effetti locali ed evitare effetti tossici generali. La via arteriosa inoltre è molto utilizzata a scopo diagnostico per esempio negli esami che riguardano i vasi nella cosiddetta arteriografia, ossia la visualizzazione ai raggi X di segmenti arteriosi mediante l’iniezione di un mezzo di contrasto all’interno di questi vasi. La via intradermica si utilizza soprattutto quando noi vogliamo un azione topica nel derma. La via intratecale, ancora, è invece la somministrazione del farmaco all’interno del canale spinale, si utilizza per farmaci che richiedono una somministrazione a livello del midollo spinale per esempio alcuni analgesici (la cosiddetta anestesia spinale si basa sulla somministrazione di potenti analgesici a livello del midollo spinale) e tra questi ci sono analgesici di tipo oppiaceo o altri tra cui ricordiamo lo Ziconotide, si tratta di un analogo dell’omega-conotossina, agisce a livello dei canali del calcio di tipo N, si somministra per via spinale per evitare gli effetti sul cervello, blocca il trasporto dell’informazione nella sostanza bianca del midollo spinale così da avere un effetto analgesico. La via transdermica è una via utilizzata sempre di più, sfrutta l’utilizzo di cerotti applicati sulla pelle e garantisce un rilascio prolungato nel tempo. Per esempio il cerotto con la nicotina per smettere di fumare o anche per la somministrazione di nitroglicerina. La nitroglicerina si può somministrare per via sub-linguale nel caso di una crisi coronarica acuta ma può essere anche somministrata per via transdermica sotto forma di cerotto consentendo un effetto preventivo nei confronti dell’ischemia cardiaca acuta. Si utilizzano anche cerotti cortisonici, utilizzati ad esempio per i pruriti, per gli arrossamenti ossia per manifestazioni allergiche. (La nitroglicerina quindi può essere somministra per via endovenosa, sub-linguale o transdermica, quello che cambia è il periodo di latenza, nell’ordine: immediata, 1-3minuti, 40 minuti). I farmaci somministrati per via inalatoria sono somministrati sotto forma di gas o di aerosol (sono sospensioni, particelle solide disperse nell’aria). La via inalatoria può essere sfruttata ad uso topico o per uso sistemico. Uso topico nel caso degli aerosol utilizzati per l’asma, mentre per uso sistemico si utilizza nel caso di anestetici generali. La via inalatoria sfrutta una grande estensione della superficie assorbente (possiamo stimarla vicina ai 200metri quadri), sfrutta anche il fatto che la barriera tra epitelio respiratorio e capillari ematici è estremamente sottile. Nella via transcutanea non c’è effetto di primo passaggio. Ci sono anche cerotti che vengono utilizzati a scopo anticoncezionale. Parliamo adesso più nel dettaglio dell’assorbimento. L’assorbimento dei farmaci è un fenomeno che è influenzato dallo spessore e dall’estensione della superficie assorbente e dalle caratteristiche del farmaco. La via orale, ad esempio sfrutta come superficie assorbente quella intestinale, la quale è una superficie estremamente ampia perché a parte la lunghezza dell’intestino la mucosa è ricoperta da villi (ripiegamenti della mucosa) e ancora dai microvilli (invaginazioni apicali che si trovano nella membrana degli enterociti). L’assorbimento a livello intestinale è più importante a livello del tenue piuttosto che nel crasso, tuttavia l’assorbimento dei farmaci avviene lungo tutto il canale intestinale anzi per alcuni avviene maggiormente nello stomaco. Per quanto riguarda le mucose non gastro enteriche la superficie invece è più ridotta così come nella pelle. Inoltre lo spessore dell’epitelio intestinale è monostratificato, così come l’epitelio alveolare, nel caso invece dell’epitelio della cute è pluristratificato per cui maggiormente spesso e più difficile da attraversare per un farmaco. Quando parliamo di superficie dobbiamo considerare anche l’apporto sanguigno ed è chiaro che l’assorbimento sarà maggiore nelle superfici maggiormente vascolarizzate. Nella pelle l’irrorazione non è particolarmente elevata e questo porta ad un assorbimento più lento per via transcutanea rispetto
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a quello che si ha ad una mucosa gastro enterica. Possiamo dire nell’ordine attraverso l’apparato alveolare l’irrorazione è molto importante, a livello gastro enterico intermedia, a livello della pelle più scarsa.
Vediamo adesso attraverso che modalità un farmaco può attraversare le barriere.
Figura 1.5 (slide 32), ci troviamo a livello della mucosa intestinale: La via più semplice che il farmaco può utilizzare è la via paracellulare, cioè diffusione passiva attraverso canali acquosi presenti nelle giunzioni intercellulari, altrimenti il farmaco deve attraversare le cellule ossia la membrana degli enterociti. La maggior parte dei farmaci passano la mucosa intestinale per diffusione passiva non solo per via paracellulare, come detto, ma anche attraverso la membrana plasmatica degli enterociti. E’ un meccanismo che presuppone la liposolubilità, il farmaco deve essere in grado di attraversare la barriera lipidica. La liposolubilità dipende anche dal fatto che la molecola sia ionizzata ossia più o meno carica elettricamente. Le molecole, cariche, polari, ionizzate passano con difficoltà, mentre le molecole neutre passano meglio attraverso le barriere lipidiche. Altre condizioni di passaggio invece si basano sulla presenza di sistemi di trasporto. Quindi oltre alla diffusione passiva e quella mediata attraverso canali possiamo anche avere una diffusione attraverso trasportatori. Nella diffusione mediata da trasportatori in molti casi si parla di diffusione facilitata che si svolge senza consumo di energia però ha la caratteristica di essere un processo saturabile col raggiungimento di una velocita massima di assorbimento. Ancora altra modalità di passaggio è l’endocitosi attraverso la formazione di una vescicola, può essere endocitosi in fase fluida o endocitosi mediata da recettore. Nella seconda il farmaco prima si lega al recettore e poi viene internealizzato.
Meccanismi molecolari attraverso cui può avvenire il passaggio di farmaci di farmaci attraverso la membrana plasmatica
A
B
D
C E
A: Diffusione passiva; B: Diffusione attraverso canale; C: Diffusione mediata da trasportatore; D: Endocitosi in fase fluida; E: Endocitosi mediata da rece Per quanto riguarda i trasportatori il NET, il SERT, sono quelli responsabili della ricaptazione pre-sinaptica di noradrenalina e serotonina. Un altro meccanismo di trasporto è il VMAT, si tratta di un trasportatore vescicolare (l’acronimo sta per vescicular mono amine trasporter). MDR1 è la proteina della multi resistenza ai farmaci. Si tratta di trasportatori appartenenti alla famiglia degli ABC trasportatori (sta per ATP binding cassette) e hanno tutti in
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comune un motivo che lega l’ATP. La multi drug resistent (MDR1) è importante da un punto di vista farmacologico in quanto trasporta xenobiotici fuori dalle cellule. Xenobiotico è una sostanza estranea all’organismo includendo anche i farmaci. Questi sistemi si sono evoluti perché servono a proteggere l’organistoremo dal contatto con sostanze estranee. La famiglia degli ABC trasporters và dai procarioti ai mammiferi. Quindi non solo negli animali ma anche in batteri e vegetali. Ad esempio nei protozoi c’è una proteina di questo genere che è responsabile di una forma di resistenza del plasmodio della malaria alla clorochina la quale viene espulsa da questi trasportatori. Nel nostro organismo questi trasportatori sono importanti perché sono responsabili della resistenza che si trova in alcune neoplasie nei confronti di alcuni anti neoplastici. Ancora alcuni di questi trasportatori si troviamo a livello della barriera emato-encefalica.
La liposolubilità di un farmaco la possiamo misurare mediante il coefficiente di ripartizione ottanolo - acqua (un tempo si chiamava olio acqua perché si prendeva una parte di volume di acqua e una parte di volume di olio, si mischiava, si mescolava, si formava un emulsione, si aggiungeva il farmaco e dopo di ché si lasciavano separare le due fasi, quella oleosa e quella acquosa, per cui poi con una pipetta si prendeva un’aliquota dalla parte superiore e un’aliquota dalla parte inferiore e si andava a determinare la concentrazione del farmaco nelle due fasi e si faceva il rapporto tra le due concentrazioni. Se il rapporto è maggiore di uno vuol dire che il farmaco è liposolubile quindi diffonderà più facilmente nelle membrane. Uno significa equipartito nelle due fasi, inferiore ad uno indica un farmaco idrofilo. Oggi si preferisce utilizzare solventi puri quali l’ottanolo). Tuttavia il coefficiente di ripartizione non è un parametro fisso ma può variare in diverse condizioni. Può variare in seguito a biotrasformazione del farmaco e diventare ad esempio più idrosolubile, ma può variare anche a seconda del pH. La maggior parte dei farmaci sono degli acidi deboli o delle basi deboli per cui tendono a dissociarsi in ambiente basico o in ambiente acido. Lo stato di dissociazione di un acido organico e della sua base coniugata è regolato dall’equazione di Henderson-Hasselbach, in sintesi un acido debole è maggiormente dissociato in ambiente basico e una base debole è maggiormente dissociata in ambiente acido. Quindi quando un farmaco è ionizzato diventa meno lipofilo e più idrofilo, quindi tende con più difficoltà a passare le barriere lipidiche e questo dipende anche dal pH del distretto in cui si trova. Sono acidi deboli quelli che hanno il pKa inferiore a 7, sono basi deboli quelli che hanno il pKa superiore a 7 e la maggior parte dei farmaci sono o acidi deboli o basi deboli. Ad esempio la metamfetamina è una base debole e resta intrappolata nelle urine (l’urina normalmente è debolmente acida). La metamfetamina (RNh2) arriva nel tubulo renale e qui diffonde e arriva nelle urine dove il pH è 6, a pH 6 la metamfetamina diventa carica positivamente per cui non viene riassorbita, se fosse non carica si muoverebbe nei due sensi, ma in questo caso non viene riassorbita e resta intrappolata per cui può essere eliminata. Per questo a volte per favorire l’eliminazione dei farmaci adoperiamo l’acidificazione delle urine somministrando cloruro di ammonio. Viceversa se noi vogliamo alcalinizzare le urine con bicarbonato per favorire l’espulsione di acidi deboli. Questo è importante anche nel caso di intossicazioni, possiamo manipolare il pH urinario per favorire l’eliminazione di composti tossici. Ma questo vale in qualsiasi distretto, anche a livello dello stomaco. Ad esempio nel caso dei farmaci antinfiammatori non steroidei a cominciare dall’aspirina ossia l’acido acetil salicilico che è un acido debole. L’acido debole a livello dello stomaco trova un pH estremamente acido e si trova di conseguenza in forma non ionizzata, per questo l’aspirina viene principalmente assorbita a livello gastrico e lo stesso vale per la maggior parte dei farmaci anti infiammatori non steroidei che sono per la maggior parte acidi deboli.
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La diffusione passiva segue la legge di Fick che stabilisce che il flusso molare, quindi la quantità di molecole che passa nell’unità di tempo è uguale al gradiente di concentrazione tra i due compartimenti, C1C2, moltiplicato per il coefficiente di diffusione, moltiplicato alla superficie assorbente e diviso lo spessore della membrana da attraversare. Il coefficiente di diffusione possiamo identificarlo come il coefficiente di ripartizione. Il coefficiente di diffusione è la caratteristica intrinseca della molecola che noi stiamo considerando rispetto alla superficie da attraversare. Quando un farmaco viene assorbito a livello intestinale, superata la barriera degli enterociti, deve arrivare nel sangue. Nel sangue il capillare si trova a livello dello stroma, ossia a livello del connettivo di lipidi. I capillari rappresentano una barriera importante per quanto riguarda il passaggio dalla circolazione sistemica a distretti particolari. La morfologia dell’endotelio dei capillari cambia nei vari organi e nei vari distretti. I capillari più permeabili sono quelli in cui abbiamo delle discontinuità nella parete dell’endotelio del capillare, tipicamente presenti nei sinusoidi epatici, nei vasi della milza e del midollo osseo. Questa discontinuità è fondamentale per il passaggio delle innumerevoli macromolecole. Le fenestre sono delle discontinuità più limitate che troviamo a livello dei capillari dei muscoli lisci, striati e dei glomeruli renali. Le proteine non passano a livello glomerulare a meno che non ci siano patologie, ad esempio la micro proteinuria o micro albuminemia è una prima spia di danneggiamento renale. A livello di plessi coroidei, mucose, parenchima renale e ghiandole abbiamo un endotelio continuo per cui le sostanze passano attraverso meccanismi di transcitosi, cioè devono attraverso le cellule. E poi alla fine abbiamo la barriera ematoencefalica: a livello del sistema nervoso centrale abbiamo un endotelio continuo, una lamina basale continua, in più abbiamo le cellule gliali, quali gli astrociti che circondano i vasi. Gli astrociti formano un manicotto intorno ai capillari cerebrali. La barriera ematoencefalica infatti ha la funzione precisa di non far passare gli xenobiotici e i cataboliti del sangue.
I capillari sanguigni hanno un’organizzazione morfo – funzionale diversa a seconda della sede in cui si trovano. Quindi: la permeabilità del letto vascolare ad un certo farmaco è diversa a seconda del distretto irrorato.
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La barriera ematoencefalica non fa passare le molecole idrosolubili. Amminoacidi, glucosio o altri composti, che servono al cervello passano attraverso i trasportatori. Le molecole liposolubili possono passare. Per cui ci sono dei farmaci liposolubili che passano. Per cui se vogliamo utilizzare dei farmaci che non danneggino il sistema nervoso centrale devono essere dei farmaci carichi positivamente così ché non passino la barriera ematoencefalica. Ad esempio abbiamo degli antagonisti colinergici che utilizziamo come anti spastici cioè per inibire la contrazione della muscolatura liscia a livello degli organi addominale. La scopolamina è un anti colinergico, ma non si utilizza come tale, si utilizza la scopolamina metil bromuro che non passa la barriera emato encefalica. Per cui possono passare la barriera EA solo farmaci liposolubili o farmaci che utilizzano sistemi di trasporto. Ad esempio la levo-dopa viene assorbita mentre la dopamina non si può dare perché viene inattivata a livello periferico. Per cui nella malattia di Parkinson si dà la levo-dopa che viene trasportata da un trasportare attraverso la barriera EA. Ci sono tuttavia delle condizioni infiammatorie, ad esempio le meningiti, che richiedono che l’antibiotico arrivi al sistema nervoso centrale. Ad esempio le beta-lattamine, le pennicilline, le cefalosporine etc. che attraversano poco la barriera ematoencefalica. In caso di infezione meningea la quota di antibiotico che passa a livello encefalico è significativa ma può essere sufficiente a trattare un infezione batterica. Quindi: proprietà chimiche e variabili fisiologiche importanti che influenzano l’assorbimento di un farmaco sono variabili chimiche quindi la natura chimica (solubilità), il peso molecolare (è chiaro che nella diffusione passiva le piccole molecole passano meglio delle grandi), il coefficiente di ripartizione; e variabili fisiologiche quali la mobilità gastrica, la velocità di svuotamento gastrico, la presenza di cibo nello stomaco, il pH nel sito di assorbimento che condiziona (la presenza di cibo può condizionare il pH), l’area della superficie assorbente, il flusso ematico e l’eliminazione pre-sistemica (effetto di primo passaggio) che nella maggior parte dei casi abbiamo detto avviene nel fegato. Introduciamo il concetto di biodisponibilità ossia la proporzione del farmaco somministrata che raggiunge la circolazione sistemica. La biodisponibilità di un farmaco somministrato per via endovenosa è massima, quindi pari a uno, ossia 100%. Tutte le altre vie di somministrazione hanno una biodisponibilità che è inferiore rispetto alla via endovenosa. Diciamo che le vie iniettive parenterali hanno livelli di biodisponibilità vicino al 100%, mentre per le vie enterali, in particolare quella orale, la biodisponibilità è sostanzialmente inferiore. Ci sono farmaci che hanno una disponibilità inferiore al 10% per cui è necessario aumentare la dose. La dose è infatti strettamente correlata alla biodisponibilità di un farmaco. Per cui è importante definire per ogni farmaco la via di somministrazione e la dose. Ci sono, ad esempio, alcuni farmaci anti virali come il ciclovir che hanno una biodisponibilità molto bassa, e infatti non si danno per via orale. Per via orale si danno degli esteri del ciclovir, gli esteri garantiscono una biodisponibilità superiore. La figura alla slide 47 paragona uno stesso principio attivo, in questo caso l’andamento delle concentrazioni plasmatiche di digossina, in seguito a somministrazioni nello stesso soggetto in 4 formulazioni commerciali diverse prodotte da 3 ditte diverse. In questo caso B e C sono prodotte dalla stessa ditta. Queste sono le curve delle concentrazioni plasmatiche. Nelle ascisse abbiamo il tempo, preso in ore di solito, nelle ordinate abbiamo la concentrazione che in molti farmaci è espressa in ng/ml. Vediamo come la diversa biodisponibilità delle 4 diverse formulazioni provoca un picco diverso e anche un andamento temporale diverso. La biodisponibilità considera tipicamente l’AUC ossia l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche, cioè l’integrale di questa curva. Quindi quando noi vogliamo andare a valutare la biodisponibilità di qualsiasi farmaco somministrato in una particolare forma farmaceutica bisogna fare il rapporto tra l’AUC dopo somministrazione per la via che stiamo considerando, ad esempio la via orale, e l’AUC dopo somministrazione della stessa dose per via endovenosa. Il rapporto tra queste due AUC ci dà la biodisponibilità.
VARIABILITA’ FARMACOCINETICA La diversa biodisponibilità provoca picchi plasmatici diversi sia in termini quantitativi che temporali
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Lezione 10 Farmacologia Generale CINETICHE DI ASSORBIMENTO Alcune considerazioni relative alle cinetiche di assorbimento valgono tali e quali per quanto riguarda le cinetiche di eliminazione. Fondamentali sono i concetti di cinetica di primo ordine e di ordine 0. Nella cinetica di primo ordine la quantità di sostanza assorbita è una frazione costante della quantità da assorbire, quindi è una cinetica non saturata, la quantità di sostanza che viene assorbita nell’unità di tempo è variabile ed è funzione della quantità di sostanza da assorbire, più ce n’è più se ne assorbe, meno ce n’è meno se ne assorbe; stesso concetto vale per l’eliminazione, dove la quantità eliminata nell’unità di tempo è una frazione costante della quantità da eliminare, quindi più ce n’è più ne viene eliminata, meno ce m’è meno ne viene eliminata. Nella cinetica di ordine zero, invece, c’è una quantità di assorbimento costante, non a proporzione, lo stesso per la cinetica di eliminazione, quantità eliminata costante nel tempo. Cosa vuol dire dal punto di vista biologico? Quando parliamo di reazioni di ordine zero ci riferiamo a processi mediati da trasportatori, che per definizione sono saturati. Quando allora abbiamo un fenomeno di assorbimento o eliminazione mediato da trasportatore, è chiaro che quando abbiamo piccole quantità di sostanze da assorbire o eliminare la cinetica si comporta da cinetica di ordine primo perché finché le molecole di trasportatore sono in eccesso rispetto alla quantità da trasportare più ce n’è più se ne trasporta, quando però le quantità da assorbire o eliminare sono grandi e saturano il trasportatore, ecco che la cinetica diventa di ordine zero. Di solito per le sostanze che vengono assorbite o eliminate mediante trasportatore abbiamo cinetiche intermedie che, a seconda delle concentrazioni, possono comportarsi da cinetiche di primo ordine o di ordine zero, questo è un concetto importante riguardo l’eliminazione, abbiamo sostanze che vengono eliminate con cinetiche lineari, quando però siamo in sovradosaggio i sistemi di eliminazione si saturano e quindi l’eliminazione diventa più lenta. Le cinetiche di primo ordine valgono soprattutto per l’assorbimento di quelle sostanze che si verifica attraverso un processo di diffusione passiva, non è saturata, lo stesso per i sistemi di eliminazione che conoscano la diffusione passiva. Relativamente ai grafici dell’assorbimento, esistono due grafici, uno lineare, l’altro semilogaritmico, la scala che rimane sempre lineare in questi grafici è quella del tempo, cioè l’ascissa. Nel grafico lineare ci sarà il tempo in proporzione percentuale di farmaco da assorbire; in quello semilogaritmico invece l’ordinata diventa logaritmica. Da un punto di vista di relazione, il grafico lineare, nella cinetica di primo ordine, ha una forma ad iperbole, nel grafico semilogaritmico le cinetiche di primo ordine assumono la forma di una retta. Nelle cinetiche di ordine 0 c’è una retta di un grafico lineare e una curva semilogaritmica Esaminando una cinetica di primo ordine, ci sono due ordinate, da un lato la concentrazione in g/l, dall’altro la concentrazione in % della concentrazione iniziale, considerando una situazione di partenza in cui abbiamo 8g/l, quando avremo il 50% avremo 4g/l, ovviamente è una scala lineare. Se un farmaco ha una concentrazione di 8g/l e ne viene assorbito 1/10 nell’unità di tempo, ovvero un minuto, dopo un minuto ne rimarrà da assorbire 8-0,8g/l=7,2g/dl e così via. Ragionando in termini di frazione, 8g/l è 1, dopo un minuto rimarrà il 90%, cioè 0,9, dopo 2 minuti 0,9-0,09 perché la cinetica di primo ordine è una proporzione costante, se il 10% viene eliminato ogni minuto, nel primo minuto viene eliminato il 10% di 8, nel secondo minuto il 10% di 7,2, nel terzo minuto il 10% di quello che è rimasto. In generale se una frazione, detta K, viene assorbita nell’unità di tempo, ogni volta avremo una frazione 1-k, dopo t minuti resta 1-k n. Se trasformiamo la curva in scala logaritmica, possiamo introdurre un numero, chiamato e, che poi è la base dei logaritmi naturali, in modo tale che se K è un numero molto piccolo, cioè se K < <1, 1-k= e-k. Se 1-K=e-k la frazione che resta da assorbire al tempo t sarà e-kt, abbiamo sostituito a 1-k, e-k al tempo t la frazione che resta da eliminare o da assorbire sarà e-kt, il logaritmo di questo valore è –kt. Il logaritmo ci interessa perché trasformiamo il grafico in forma logaritmica, per comodità, per linea rizzare la relazione tra tempo e assorbimento o tra tempo ed eliminazione. Se trasformiamo il grafico in scala logaritmica abbiamo una retta di cui C, la concentrazione assorbita o eliminata al tempo t, è uguale a C0, che è la concentrazione iniziale, elevato –kt, quindi C0-kt, il logaritmo di C= logaritmo naturale di C0 –Kt, l’equazione della retta è log naturale di C, che è la concentrazione al tempo t, è uguale al logaritmo naturale diC0 –K, osserviamo dunque una retta la cui pendenza è data da –K. K è definita costante di assorbimento, nel caso di eliminazione, costante di eliminazione. K mi dice la proporzione di sostanza in oggetto che viene assorbita o eliminata nell’unità di tempo. Nelle cinetiche di primo ordine è importante calcolare l’emivita di assorbimento, cioè qual è il tempo necessario ad assorbire la metà del totale; nell’eliminazione l’emivita è il tempo necessario per eliminare la metà del totale. La possiamo ricavare dall’equazione scritta prima: C=C0 x e-kt. Se dividiamo i due termini dell’equazione per C0 avremo C/ C0= e-kt. Se prendiamo il caso in cui la concentrazione si è dimezzata, cioè in cui C/ C0=1/2, possiamo scrivere ½= e-kt, perché noi vogliamo risolvere l’equazione per avere t quando C = ½ C0, scriviamo ½=e-kt trasformando in forma logaritmica abbiamo logaritmo naturale di ½= -K x t/2, abbiamo trovato così la relazione tra t/2 e costante di eliminazione, la relazione è che t/2= logaritmo naturale di 2 x 1/k, cioè 0,693 moltiplicato per l’inverso della costante di assorbimento o di eliminazione, questo inverso viene anche chiamato “tau” o costante di tempo nell’assorbimento o nell’eliminazione. La velocità di assorbimento determina il picco plasmatico ed il tempo necessario a raggiungerlo, le linee tratteggiate rappresentano il t/2 di assorbimento, se abbiamo due farmaci, a e c, rappresentano un farmaco che ha t/2 di assorbimento di 28 minuti, b e d un farmaco con t/2 di assorbimento di 84 minuti: il farmaco viene somministrato in due muscoli con irrorazione diversa, nel primo caso nei grafici a e c l’assorbimento ha emivita di 28 minuti, nel secondo i grafici b e d di 84 minuti, le diverse velocità di assorbimento influenzano sia il flusso di eliminazione sia le concentrazioni plasmatiche.
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Quando somministriamo dei farmaci da una via diversa da quella endovenosa, c’è una curva delle concentrazioni plasmatiche che ha questa forma, cioè la concentrazione nel plasma, a partire da quando il farmaco viene somministrato, cresce gradualmente fino a raggiungere un picco e poi comincia a decrescere: questa è la prima tipica curva delle concentrazioni plasmatiche in seguito a somministrazione qualsiasi, diversa da quella endovenosa, i parametri che descrivono questa curva sono un picco con concentrazione plasmatica massima, un tempo di raggiungimento del picco, ci sarà infatti un intervallo di tempo tra t 0 e il tempo in cui si raggiunge il picco, poi ci sarà un’emivita, ossia il tempo necessario a dimezzare la concentrazione nel picco, e la parte di decremento della curva non è mai una retta, per alcuni farmaci in alcune vie di somministrazione si può avvicinare ad una retta, ma nella maggior parte dei casi la fase discendente viene di solito approssimata ad almeno due rette con pendenza diversa: la fase di decremento rapido rappresenta la fase in cui prevalgono i fenomeni di distribuzione, quindi il farmaco dal compartimento plasmatico passa ai tessuti, ecco perché il plateau plasmatico diminuisce, la seconda fase più lenta è quella in cui prevalgono i processi di eliminazione, queste fasi sono sovrapposte tra loro, sono sovrapposte in parte almeno all’inizio come assorbimento, perché l’assorbimento non finisce quando si raggiunge il picco, il picco si raggiunge quando i fenomeni che fanno decrescere la concentrazione plasmatica, come velocità di rimozione del farmaco, superano la velocità di assorbimento, quindi quando quello che esce è maggiore di quello che entra, la concentrazione diminuisce. L’assorbimento è prevalente nella parte del picco, nella seconda fase è prevalente la distribuzione, nella terza fase prevale l’eliminazione. In realtà questo è un modello ideale, per molti farmaci ci sono cinetiche multi compartimentali, per esempio ci sono cinetiche di eliminazione più complesse possiamo calcolare più t/2, indicati come t/2α, t/2β, t/2γ ecc. La velocità di assorbimento allora influenza il livello di concentrazione plasmatica massima, nonché la fase di decremento, si vede che il tempo di picco corrisponde al momento in cui il flusso di assorbimento ed eliminazione hanno pari valore, quindi in questo caso il picco che si raggiunge quando c’è un t/2 di assorbimento, rappresentano due casi diversi, nel caso in cui il t/2 di assorbimento è 28, il picco che si raggiunge è superiore. Il livello di picco che si raggiunge con t/2 più breve è superiore rispetto a quello che si raggiunge con t/2 maggiore e la velocità di scomparsa è più veloce quando il t/2 di assorbimento è più veloce, in a e in c c’è un picco superiore rispetto a b e d, e c’è anche una curva più stretta rispetto a b e d. La velocità di assorbimento varia in funzione della via di somministrazione utilizzata, esempio farmaco somministrato per via endovenosa, intramuscolo e via orale: per la via endovenosa la prima parte salta, non c’è fase di assorbimento, c’è concentrazione plasmatica massima, l’assorbimento per via endovena è velocissima, la via intramuscolo è più veloce di quella orale, a parità di dosi la via muscolare da picchi più alti e una curva un po’ più stretta.
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La biodisponibilità è la frazione di farmaco non modificata per raggiungere la circolazione sistemica dopo somministrazione per qualsiasi via, per definizione sarà 100% per via endovenosa, sarà inferiore al 100% per altre vie di somministrazione. La biodisponibilità si calcola facendo il rapporto tra l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche in seguito a somministrazione per la via considerata diviso l’auc dopo somministrazione per via endovenosa, l’auc è l’area sotto la curva, cioè l’integrale delle concentrazioni plasmatiche.
L’area sotto la curva si può calcolare con il metodo dei trapezoidi, cioè si divide la curva delle concentrazioni plasmatiche in tanti trapezoidi, l’area di ogni trapezio si può trovare dalla somma delle due basi, che sarebbero le concentrazioni, moltiplicata per l’altezza, che è la differenza di tempo, e si divide per due, facendo la somma dei trapezoidi otteniamo l’auc. Queste cose dette sono applicate in chimica farmaceutica per realizzare delle preparazioni che ci consentono di ottenere dei picchi, una volta dati per la via di somministrazione prescelta, dobbiamo ottenere dei picchi che siano compresi tra due linee un minimo e un massimo, il minimo è la concentrazione minima efficace, cioè se noi vogliamo che il farmaco esplichi il suo effetto terapeutico dobbiamo realizzare, durante un certo tempo più o meno lungo, una concentrazione plasmatica che sia superiore alla concentrazione minima efficace, perché se al di sotto non abbiamo risolto nulla, dall’altro lato il picco deve rimanere al di sotto della concentrazione tossica.
Nel grafico di sotto c’è una stessa dose di farmaco, data in tre modalità diverse, che ci garantiscono tre velocità di assorbimento diverse, potrebbero essere per esempio vie di somministrazione diverse o perché sonno preparazioni farmaceutiche diverse, in ogni caso, con una stessa dose, è possibile realizzare velocità di assorbimento diverse tali che si abbia una condizione c, di cui non si raggiunge l’effetto terapeutico, una situazione a in cui si raggiunge l’effetto tossico e una situazione b, che è quella che vogliamo realizzare in cui le concentrazioni sono al di sopra delle concentrazioni minime efficaci e al di sotto delle concentrazioni minime tossiche. Questo è il motivo per cui, anche per farmaci di cui si hanno biodisponibilità perfette, di solito le dosi che si danno per via orale non coincidono quasi mai con le dosi che si danno per altre vie, proprio perché per via endovenosa si possono raggiungere dei picchi superiori rispetto ad altri, a parità di biodisponibilità, la biodisponibilità è un fattore di correzione ulteriore.
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Il concetto di assorbimento è inteso come il passaggio di un farmaco da una sede di applicazione al torrente circolatorio. Una volta che il farmaco è arrivato nel torrente circolatorio, il ragionamento farmaco-cinetico è fatto rispetto al plasma per comodità, perché il plasma è il mezzo interno, inoltre possiamo prelevare il plasma dal paziente o dall’animale e fare delle relazioni tra le concentrazioni plasmatiche, in vitro invece ragioniamo con la concentrazione reale, in vivo il ragionamento riguarda l’effetto. Il farmaco assorbito per assorbimento arriva nella concentrazione sistemica e lì c’è il farmaco libero, ma ci sono anche i suoi metaboliti eventualmente, perché il farmaco libero va incontro a biotrasformazioni, questi metaboliti potranno essere di diversa natura, possono essere farmaco attivo, farmaco ugualmente attivo, farmaco ancora più attivo, possono essere meaboliti tossici, c’è anche il farmaco legato alle proteine plasmatiche, quindi il farmaco, che si trova in concentrazioni tali da non essere trasformato, si può trovare in forma libera o legato alle proteine plasmatiche, le frecce indicano che c’è un equilibrio tra farmaco libero e legato, cioè la parte legata è una frazione del farmaco totale, per molti farmaci questa frazione è molto importante, ci sono farmaci che per esempio son legati a plasmoproteine per il 99%, ci sono farmaci con alto legame, superiore all’80% fino al 99%, e ci sono anche farmaci con legame più basso. Il concetto è importante perché la concentrazione di proteine plasmatiche può influenzare la dose di farmaco libero, è importante questo concetto perché il farmaco libero è quello che fa gioco, che esplica l’effetto terapeutico, gli effetti collaterali, il farmaco libero è quello che viene distribuito ai tessuti, quello legato è sequestrato, è come se non ci fosse, non è proprio come se non ci fosse perché quello legato è in equilibrio con quello libero, per cui via via che quello libero passa ai tessuti, una parte di quello legato si dissocia e diventa libero, però quello che passa ai tessuti è quello libero, quello che viene biotrasformato, eliminato è quello libero, specialmente quello che effettua effetto terapeutico o tossico. Il farmaco libero andrà al sito d’azione, andrà a sedi di deposito, perché il farmaco va a tutti i tessuti, quindi per esempio un farmaco che ha effetto sul cuore andrà anche al tessuto adiposo dove si accumulerà, quindi ci sono dei tessuti che costituiscono sede di accumulo, i farmaci iodati per esempio si accumulano nella tiroide, alcuni farmaci hanno un tropismo particolare per alcuni tessuti, tipicamente i farmaci più lipofili si accumulano nei tessuti ricchi di grasso, nel sistema nervoso centrale, dove cè’ tessuto lipidico che si chiama mielina. La biotrasformazione è soprattutto epatica,
quindi il farmaco libero va anche incontro a biotraformazione ed escrezione.
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Riguardo il legame del farmaco alle proteine plasmatiche, il plasma è costituito da due compartimenti: fase proteica, che funge da organo di deposito circolante per il farmaco, e fase liquida, nella quale si trova il farmaco libero. Il legame alle proteine plasmatiche è un legame saturabile, cioè questo compartimento circolante non ha un volume infinito, le proteine plasmatiche non possono legare qualsiasi quantità di farmaco, è importante il fatto che si satura, siccome il legame del farmaco con le proteine plasmatiche è un legame a bassa specificità, succede quindi che molti farmaci di natura completamente diversa molto spesso possono competere per gli stessi siti di legame, questo è importante perché se facciamo un trattamento farmacologico con un farmaco a che si lega in maniera importante alle plasmo- proteine può succedere che la somministrazione di un secondo farmaco, che si lega alle stesse proteine, determina lo spiazzamento del primo, spiazzamento perché il legame è non saturabile, siccome l’interazione è a basa specificità più farmaci possono competere per gli stessi siti, quindi se il farmaco è ad alto legame, per esempio si lega per il 90%, se noi somministriamo un secondo farmaco che ne spiazza il 20%, le concentrazioni libere di questo farmaco raddoppiano, quindi la concentrazione libera efficace si è triplicata, questo espone a rischi considerevoli, variazioni dell’attività farmacologica, comparsa di effetti tossici, per cui la competizione si può svolgere a livello di legame alle plasmo-proteine. Questa è l’evenienza dell’interazione tra farmaci, altra evenienza da considerare sono quelli cui le concentrazioni di proteine plasmatiche variano in maniera consistente, cioè casi per esempio di ipoproteinemia, in tal caso il problema è analogo, una stessa dose di farmaco, siccome ci sono delle proteine che ne legano di meno e i livelli liberi saranno più elevati, questo vale per farmaci che hanno elevato legame alle plasmo-proteine. L’interazione tra farmaci e proteine plasmatiche sono interazioni di natura idrofobica, le proteine circolanti hanno delle regioni idrofobiche che tendono, nella maggior parte dei casi, a intrappolare molti farmaci. I metaboliti, a differenza del farmaco o della molecola originaria, sono sempre più idrosolubili perché la biotrasformazione dei farmaci è un processo che rende i farmaci più idrosolubili, quindi più facilmente eliminabili con la filtrazione renale, quindi i metaboliti sono sempre meno legati alle proteine plasmatiche di quanto non sia il farmaco originario. Quando la dose del farmaco è bassa si lega, ci sono molti siti disponibili, il discorso vale anche per un singolo farmaco quando la dose supera un certo livello, se un farmaco ha alto legame con le proteine plasmatiche, finché ce n’è poco si lega quasi tutto, la percentuale libera è minima, quando saturiamo i siti, un piccolo aumento della dose da aumento della concentrazione libera. Consideriamo questo esempio: a) quando ce n’è poco la parte libera sarà dell’1-5%; b) quando li abbiamo saturati tutti, un incremento del 5% darà un aumento della concentrazione
del doppio, si ha un aumento esponenziale della concentrazione libera.
L’albumina è la proteina plasmatica circolante più abbondante, altre proteine importanti per il legame farmacoproteina sono l’α1 glicoproteina acida e l’ α2 macroglobulina. La distribuzione è quel processo mediante il quale il farmaco si trasferisce dal torrente circolatorio ai tessuti, sia ai compartimento liquidi, sia ai tessuti, nel nostro organismo come compartimento liquido, nell’organismo umano il 70% e più è costituito di acqua, la maggior parte di quest’acqua è nel compartimento cellulare, una parte è extra-cellulare, in un soggetto adulto di 60Kg abbiamo in media 5 L di sangue, di questi la parte liquida propriamente detta è dell’ordine di 3,5 L, poi abbiamo i liquidi extracellulari, poi c’è una componente intra-cellulare che è quella maggiore. Il farmaco nell’organismo si distribuisce nei vari compartimenti, il ragionamento si fa sempre in termini di concentrazione, questo ragionamento lo facciamo sulla base delle concentrazioni plasmatiche, quindi per descrivere la distribuzione di un farmaco, i parametri di distribuzione vengono derivati dalle concentrazioni plasmatiche, quindi la distribuzione è la velocità con cui un
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farmaco si distribuisce tra il sangue e i vari tessuti, e l’entità della distribuzione, la velocità e l’entità di distribuzione dipendono:
Dal flusso ematico di ciascun compartimento, il farmaco si distribuirà più velocemente, una volta somministrato per qualsiasi via di somministrazione, a quegli organi che hanno più flusso ematico; Il volume, i compartimenti a maggior volume, a parità di affinità del farmaco per quei compartimenti; La capacità del farmaco di attraversare le membrane; La capacità del farmaco di legarsi alle proteine plasmatiche, infatti più il farmaco è legato meno si distribuisce; L’affinità del farmaco per i diversi compartimenti. L’insieme di questi fattori porta a stabilire concentrazioni, nel sangue e nei tessuti, che sono diverse, non è che il farmaco si distribuisce in maniera omogenea, una volta raggiunto l’equilibrio distributivo, equilibrio significa che prima il farmaco va nel sangue, poi il farmaco inizia a distribuirsi e si realizza una situazione di equilibrio. Quindi maggiori quantità di farmaco nel flusso sanguigno si distribuisce in organi con maggiore flusso ematico, questo è un concetto che vale dal punto di vista della velocità, cioè nei primi istanti, nelle prime ore susseguenti la somministrazione, il farmaco si distribuisce agli organi più irrorati, organi meno irrorati riceveranno il farmaco in tempi successivi. Gli organi che hanno flusso maggiore sono il cuore, i polmoni, fegato, cervello ed il rene; quelli che hanno minore irrorazione sono tessuto osseo, il muscolo scheletrico, i denti e il tessuto adiposo. Il nostro corpo è costituito in gran parte da muscoli e grasso, e sono quelli che hanno meno irrorazione a riposo, il cervello è un organo che autoregola il flusso, cioè il flusso ematico cerebrale si autoregola, anche quando la pressione ematica aumenta o diminuisce il flusso ematico cerebrale rimane sempre uguale, tranne quando la pressione scende sotto certi livelli. Esempio: quando somministriamo il Tiopentale o Pentopal, barbiturico che agisce sui recettori GABA A, che ha lipofilia elevata, questo viene somministrato per via endovenosa, quando viene iniettato si distribuisce inizialmente nel cervello, agisce sui recettori già citati e da effetto anestetico, coma farmacologico, se noi, come si fa nell’induzione dell’anestesia, eseguiamo una somministrazione rapida il Tiopentale dal cervello si redistribuisce agli altri organi, in particolare al tessuto adiposo, quindi la concentrazione al cervello diminuisce e l’effetto anestetico termina. L’effetto anestetico finisce non perché il farmaco è stato eliminato, ma perché si è redistribuito dal cervello agli altri tessuti, se abbiamo un paziente in coma farmacologico per infusione continua del farmaco, se stacchiamo l’infusione non si sveglia perché si è saturato nel tessuto adiposo, perché il soggetto si svegli è necessario che il farmaco sia eliminato dall’organismo. Altri fattori che influenzano la distribuzione sono la solubilità per il farmaco, ovviamente farmaci idrosolubili tendono a rimanere nei compartimenti liquidi, mentre i farmaci fortemente liposolubili andranno nei compartimenti ricchi di grassi abbandonando il sangue, quando noi andremo a dosare il farmaco nel plasma, ce ne sarà pochissimo perché è andato ai tessuti, in questo caso parliamo di sostanze che hanno elevato volume di distribuzione apparente, cioè come se lì non ce ne fosse più perché diluito in un volume enorme. Il volume di distribuzione è un parametro quantitativo che troviamo nelle schede tecniche dei farmaci, si calcola facendo il rapporto tra la quantità somministrata e la concentrazione plasmatica all’equilibrio distributivo, questo per molti farmaci dopo il picco decresce, per molti farmaci decresce inizialmente in maniera molto rapida e poi in maniera molto più lenta, il decremento molto rapido è dovuto alla distribuzione. Per l’equilibrio distributivo, analizzando la curva b, dovremo prolungare la fase rapida fino a toccare l’asse delle ordinate.
Tratteggiamo la fase di decremento rapido e otteniamo una C0, ovvero la concentrazione plasmatica iniziale, per iniziale significa all’equilibrio distributivo. Quando somministriamo il farmaco per via endovenosa c’è subito il picco, una volta che la concentrazione a livello citoplasmatico si omogeneizza, facendo dei prelievi intervalli di 5 minuti all’inizio avremo un decremento più rapido e poi un decremento più lento, la parte rapida significa che fa la distribuzione, la parte lenta è dovuta all’eliminazione, noi dobbiamo considerare la concentrazione plasmatica
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all’equilibrio distributivo, cioè dobbiamo dare il tempo di distribuirsi. (il prof si corregge) In realtà bisogna prolungare la seconda fase, quella di eliminazione, quindi dobbiamo evidenziare C 0 prima che inizi l’eliminazione, è un punto ideale che possiamo ricavare prolungando la seconda fase. Il volume di distribuzione lo calcoliamo facendo il rapporto tra il farmaco che abbiamo dato e la concentrazione plasmatica all’equilibrio distributivo, ha le dimensioni di volume si esprime in litri. Se per un farmaco per esempio abbiamo un volume di distribuzione di 4-5 L vuol dire che il farmaco somministrato si ritrova quasi per intero nel plasma, è un farmaco che si distribuisce poco, un farmaco che ha elevato legame alle proteine plasmatiche automaticamente ha un volume di distribuzione piccolo perché tende a rimanere ne plasma, un farmaco invece a basso legame alle proteine plasmatiche che si accumula nei tessuti, avrà un volume di distribuzione elevato, si parla di migliaia di litri, infatti si parla di volume apparente perché è un volume teorico, significa ch quella concentrazione che abbiamo nel plasma, se noi la dovessimo realizzare sciogliendo quella dose di farmaco in un liquido avremo bisogno di 4000-5000 L. Farmaci idrosolubili presenteranno volumi di distribuzione che rappresentano volumi liquidi quali il plasma, liquido intracellulari ed extracellulare in base alla disponibilità che hanno di passare da un compartimento all’altro. I vari compartimenti o tessuti differiscono per la composizione in lipidi, oltre che per le macromolecole a cui si legano i farmaci, quindi possiamo avere maggiore attività, espressa come affinità, capacità di accumularsi in un determinato organo; si può calcolare il rapporto Kp, che è uguale al rapporto della concentrazione nel tessuto diviso la concentrazione nel plasma, Kp da l’affinità del farmaco per il tessuto, è una costante, questo rapporto è diverso da 1 ed è diverso da tessuto a tessuto, cioè la concentrazione che troviamo nei tessuti non è mai uguale a quella nel plasma, in certi casi può essere molto superiore, in altri casi può essere poco superiore, abbiamo diversi rapporti tra concentrazioni tissutali e plasmatiche espresse con Kp. In questo grafico abbiamo tre curve, con l’andamento di farmaci diversi con diverso Kp in uno stesso tessuto, in questo caso nel tessuto adiposo, un farmaco che ha Kp elevato raggiunge livelli elevati, rispetto a chi ha Kp più basso.
Farmaci che hanno bassa affinità per un certo tessuto, quindi basso Kp, tendono ad avere concentrazioni più basse nei tessuti, ma arriveranno all’equilibrio più rapidamente rispetto a farmaci che hanno Kp più elevato, farmaci con elevata affinità per un tessuto raggiungeranno l’equilibrio più lentamente, questo è importante per capire il tempo di raggiungimento dell’effetto farmacologico, se vogliamo capire quanto tempo è necessario per raggiungere l’effetto farmacologico, noi l’effetto farmacologico lo vogliamo sempre all’equilibrio, se noi vogliamo sapere quanto tempo occorre perché una certa dose arrivi all’equilibrio dell’effetto farmacologico, possiamo dire che per quei farmaci che hanno elevata affinità per un tessuto il tempo necessario sarà più grande perché l’equilibrio distributivo si raggiungerà più lentamente, sembra paradossale, ma è così: più alta è l’affinità di un farmaco per un tessuto, maggiore è il tempo necessario al raggiungimento dell’equilibrio, questo è importante quando si considera l’induzione dell’anestesia, si considerano dei parametri, quali il coefficiente di ripartizione aria sangue e coefficiente di ripartizione cervello-sangue. Gli anestetici con più elevata affinità per il cervello richiedono tempi di induzione anestetica più lunghi rispetto a quelli che hanno più bassa affinità per il cervello, ogni anestetico ha il suo tempo di induzione, a parità di concentrazione il tempo di equilibrio dipende dall’affinità, maggiore è l’affinità per un tessuto maggiore è il tempo per arrivare all’equilibrio distributivo, quindi all’equilibrio dell’azione farmacologica. L’equilibrio è funzione della concentrazione, concentrazioni più alte entrano in gioco con delle affinità più basse, lo stesso concetto si applica ai recettori, in generale per farmaci a bassa affinità l’equilibrio si raggiunge più rapidamente perché la velocità di associazione dipende dal prodotto del Kp1, cioè costante di associazione moltiplicato per la concentrazione, più bassa è l’affinità maggiore è la concentrazione, alto Kp richiede tempi più lunghi per regolare l’equilibrio, ma fa raggiungere livelli di concentrazione più elevati anche a parità di tempo. Dato un farmaco che ha stessa affinità per organi diversi, cioè rene, cervello e tessuto adiposo, in questo caso la distribuzione dipende dal flusso, a parità di affinità di compartimento, cioè se l’affinità è la stessa per questi tessuti l’equilibrio sarà quasi istantaneo per il rene, abbastanza rapido per il cervello, mentre sarà molto più lento per l’adipe; ciò non toglie che dopo un tempo molto lungo, 24 ore, le concentrazioni nei compartimenti saranno uguali, però dopo due minuti la concentrazione sarà irrilevante nel tessuto adiposo, estremamente elevata nel cervello.
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Per i tessuti che riescono ad equilibrarsi con il plasma, una volta raggiunto l’equilibrio di distribuzione, il rapporto tra la concentrazione del farmaco nel tessuto e la concentrazione del farmaco nel plasma rimane costante, quindi l’equilibrio distributivo, una volta raggiunto, rimane costante, significa che quando le concentrazioni plasmatiche diminuiscono, perché i processi biotrasformativi e di eliminazione prendono il sopravento, via via che la concentrazione scende nel plasma, scende anche nei tessuti, il rapporto tra plasma e tessuti rimane costante. Il volume di distribuzione è il rapporto tra quantità somministrata e concentrazione plasmatica all’equilibrio, si esprime in L o L pro Kg. Riguardo il metabolismo dei farmaci, in termini più corretti si parla di metabolismo degli xenobiotici, dove con xenobiotici ci riferiamo alle sostanze estranee all’organismo, sono sistemi complicati, una serie di geni che sono predisposti a codificare gli enzimi, questo sistema in realtà riguarda, in alcuni casi, anche alcuni cataboliti endogeni, alcune sostanze endogene vengono eliminate sempre grazie a questo sistema, pensiamo per esempio alla bilirubina, catabolita dell’Eme, l’Eme è catabolizzato sotto-forma di bilirubina e la bilirubina per essere eliminata viene coniugata con l’acido glucuronico, così come avviene per tutta una serie di xenobiotici, il processo di glucuronicazione riguarda sia molecole endogene, come la bilirubina, sia molecole esogene, come xenobiotici, farmaci. Questo sistema nell’evoluzione è prodotto durante i milioni di anni in cui si è avuta la “guerra” tra vegetali e animali, via via che gli animali uscivano dall’acqua questi cominciavano a nutrirsi di piante e le piante hanno sviluppato la produzione di una serie di tossine, una serie di sostanze che le rendessero meno appetibili, quindi le piante per poter sopravvivere non dovevano farsi mangiare dagli animali e gli animali per sopravvivere non dovevano mangiarsi le piante, allora per mangiarsi le piante l’evoluzione degli animali ha inventato questi sistemi di detossificazione, poi con l’avvento dei farmaci questo processo è avvenuto nei confronti degli xeno biotici. I farmaci per essere distribuiti devono essere lipofili, perché passano le membrane quando sono più lipofili, la lipofilia è una caratteristica che rende i farmaci più assorbibili e più facilmente distribuibili ai tessuti. Il concetto opposto vale per l’eliminazione, l’eliminazione dei farmaci si svolge principalmente per via renale, a livello renale i farmaci, e in generale i cristalloidi, sono sostanze idrosolubili, infatti il rene è una sorte di filtro, il sangue arriva al glomerulo e la i colloidi e le proteine vengono trattenute dal filtro reale e passa l’acqua con tutto ciò che è sciolto nell’acqua, il cut-off è di 5000 Dalton, non passano i farmaci legati alle plasmo- proteine, passano quelli liberi. Se noi vogliamo eliminare una qualsiasi sostanza per via renale per prima cosa la dobbiamo rendere idrosolubile, cioè il farmaco o xenobiotico si deve trovare libero in soluzione, così può essere filtrato a livello glomerulare, nel rene ci sono anche i processi di riassorbimento e secrezione, cioè la preurina progredisce lungo il nefrone e ci sono dei sistemi di trasporto che, o trasportano i soluti dalla pre-urina verso l’interstizio, o viceversa secernono sostanze dall’interstizio verso la pre-urina e quindi si ha il processo di concentrazione, l’acqua viene riassorbita, gli ioni vengono trasportati e anche alcuni acidi deboli, come amminoacidi. Le sostanze nutritive non è che una volta filtrate vengono perse, la natura ha provveduto a sistemare i processi di riassorbimento, di trasporto attivo, il glucosio non passa nelle urine, tranne nei diabetici, sennò viene riassorbito, il glucosio viene riassorbito fino ad una concentrazione grosso-modo di 90mg/ml, al di sopra di questi valori compare nelle urine, nei diabetici la glicemia è più alta ed è quel glucosio che va nelle urine; stesso discorso vale per i farmaci, che prima di tutto vengono filtrati, in alcuni casi, non sempre, vengono secreti, anche attivamente, o riassorbiti. Il metabolismo serve a rendere gli xenobiotici idrosolubili, questo viene realizzato essenzialmente con due tipi di reazioni, dette reazioni di fase 1 e reazioni di fase 2. Il metabolismo dei farmaci rende questi idrosolubili, ma non necessariamente elimina l’attività farmacologica. La biotrasformazione non coincide necessariamente con la perdita di attività farmacologica, quando questo avviene la biotrasformazione coincide con l’eliminazione, nella maggior parte dei casi non avviene la perdita, il metabolita può avere attività farmacologica inferiore rispetto al farmaco di partenza, in alcuni casi può avere un’attività farmacologica superiore, sicuramente caratteristiche farmaco-cinetiche diverse, avrà un’emivita che di solito è più breve, in alcuni casi alcuni farmaci non sono attivi come tali, ma diventano tali in seguito a biotrasformazione, in tal caso si parla di pro-farmaci e c’è anche il caso dei metaboliti tossici, e a seconda della quantità ci sono metaboliti che possono essere detossificati rapidamente, ma quando si supera una certa soglia non si arriva ad eliminarli e avremmo tossicità gravi come nel caso del paracetamolo. Esempio di metaboliti attivi dotati di aspetto farmacologico uguale a quello del composto d’origine, questo fenomeno è comune per tutte le benzodiazepine, sono modulatori allosterici positivi per il recettore GABA A, sono ansiolitici, tranquillanti, antiepilettici;
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il Diazepam genera due metaboliti che sono oxazepam e nordiazepam, sono entrambi attivi come il Diazepam, quello che cambia è la farmaco-cinetica, l’oxazepam ha un’emivita molto più breve del diazepam, circa un quarto, ma il nordiazepam ha un’emivita che è circa il doppio dell’oxazepam. Il nordiazepam inizialmente viene metilato, poi coniugato ed eliminato, la sua emivita è più lunga, ecco che l’effetto farmacologico del diazepam, in una certa dose, è superiore all’emivita del diazepam perché una quota viene convertita in nordiazepam, questo è un caso tipico di metaboliti attivi che hanno un impatto sull’effetto terapeutico. Come metaboliti tossici abbiamo l’esempio del paracetamolo, ha buone attività analgesiche e scarse attività anti-infiammatorie. Il paracetamolo viene biotrasformato in un metabolita tossico, il parabenzochinone, viene eliminato in seguito a coniugazione col glutatione, un tripeptide che contiene cisteina, γ-glutamil-cisteinil glicina, il glutatione esiste in forma ridotta e ossidata, viene indicato con GSH in forma ridotta, GSS in forma ossidata. Il parabenzochinone viene coniugato col glutatione, quando la dose di paracetamolo è alta si consuma tutto il glutatione e il parabenzochinone esplica un’intensa attività epatotossica, determina necrosi epato-cellulare, si muore, un trattamento che può essere fatto è quello di fornire glutatione, per lo più si somministra normale acetil-cisteina. Pro-farmaci: sono farmaci che vengono attivati in seguito a biotrasformazione, nel caso dei pro farmaci l’attività farmacologica dipende dalla capacità dell’individuo di produrre il farmaco attivo, se un individuo per un difetto enzimatico, che impedisce questo metabolismo, si prende quel pro-farmaco e non ha l’effetto terapeutico, è un caso che si manifesta con il clopridogrel, nome commerciale plavix, un antiaggregante piastrinico, farmaco antitrombotico che si utilizza nei soggetti ad alto rischio trombotico, persone che hanno avuto ictus o infarto del miocardio prendono il clopidogrel, è un pro farmaco, viene attivato, viene ossidato a un metabolita che poi è reso attivo da alcuni enzimi, isoforme del citocromo p450. Il clopidogrel deve essere attivato, c’è un sotto-gruppo di individui, circa 15-20%, che hanno un polimorfismo di questi enzimi che di fatto perdono la loro attività enzimatica e non riescono ad attivarlo, in questi individui il clopidogrel resta inattivato, al punto che L’FBA (ente regolatore americano) ha imposto nelle confezioni di plavix un“warning black box”, un’etichetta col margine giallo in cui sta scritto che in una minoranza di individui questo farmaco risulta inefficace, tra l’altro esistono test genetici che permettono di sapere a quale gruppo si appartiene, oggi ci sono farmaci di questo gruppo che non hanno necessità di attivazione. Ogni tessuto è dotato di capacità biotrasformativa, l’organo principale però è il fegato, altri tessuti che possono dare un contributo significativo alla biotrasformazione dei farmaci sono i polmoni, l’intestino, il rene e la pelle. L’effetto primo passaggio si riferisce all’attività biotrasformativa con tutto ciò che ne consegue, farmaci, metaboliti tossici, è importante per sapere quei farmaci la cui attività viene meno in seguito a biotrasformazione. Quando si effettua un primo passaggio molto rilevante, il farmaco in alcuni casi non può essere somministrato perché non arriva in forma attiva nel sangue. Delle reazioni di biotrasformazioni esistono due fasi: fase 1 e fase 2. Reazioni di fase 1 sono reazioni di funzionalizzazione, cioè sono piccole reazioni, specie di tipo ossidativo, che introducono nella molecola organica del farmaco un gruppo reattivo, tipicamente un ossidrile, che viene poi utilizzato per coniugare la molecola con un altro gruppo idrofilo, per esempio l’acido glucuronico, una molecola polare, idrosolubile, che viene attaccata al farmaco. La glucuronicazione è una reazione di fase 2, sono reazioni di coniugazione, per esempio alcuni farmaci vengono coniugati con il glutatione, altri con l’acetato, altri ancora con glicina, altri con gruppo solforico, solfatazione. Globalmente le due reazioni, fase 1 e 2 rendono il metabolita solubile, quindi fase 1 funzionalizzazione, fase 2 coniugazione, di solito la fase 2 è successiva, ma ci sono casi in cui avviene prima la coniugazione e poi la trasformazione. La funzionalizzazione serve a mettere in evidenza gruppi utilizzabili per la coniugazione, tipicamente ossidazione, che nelle molecole organiche si esprime sotto-forma di idrossilazione, altri gruppi di ossidazione sono per esempio l’ossidazione di un aldeide ad acido, in alcuni casi la creazione di un gruppo aminico, le reazioni di deaminazione sono reazioni ossidative, oppure le amine terziarie e secondarie vengono dealchilate, una amina terziaria diventa secondaria, poi primaria, poi c’è deaminazione, come per le catecolamine, le monoamino-ossidasi sono ossidasi che rimuovono un gruppo aminico, il gruppo aminico può essere usato per reazioni di coniugazioni. Le reazioni di funzionalizzazione si svolgono ad opera di un gruppo di enzimi chiamati ossidasi a funzione mista, queste reazioni si svolgono nei microsomi epatici, si trovano nel reticolo endoplasmatico liscio dell’ epatocita, facendo un omogenato del fegato, separando all’ultracentrifugazione le membrane, si osservano i microsomi, non sono organuli, reticolo endoplasmatico lisco e rugoso hanno funzioni diverse, il rugoso presenta ribosomi legati, questi si trovano nel reticolo endoplasmatico liscio e principalmente sono reazioni di ossidazione, son reazioni che avvengono con sistemi di trasporto di elettroni, che trasportano gli elettroni dal substrato organico all’elemento più elettronegativo, che è l’ossigeno, l’accettore finale degli elettroni, in questo trasporto di elettroni gli attori principali sono le proteine dette citocromi, sono proteine che contengono un gruppo prostetico, come l’emoglobina, con un ferro che può essere bivalente o trivalente, quando acquisisce elettroni diventa Fe 2+, quando lo cede diventa Fe3+. I citocromi appartengono al gruppo P450, P450 è una caratteristica fisica, perché quando legano monossido di carbonio assorbono alla lunghezza d’onda di 450 nm allo spettrofotometro. Ci sono tantissimi enzimi che appartengono a questo sistema, sono delle isoforme, contribuiscono al metabolismo epatico e vengono indicati con Cyp.
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Nell’epossidazione
si
parte
da
un
doppio
legame,
e
si
introduce
un
atomo
di
ossigeno:
Poi c’è la dealchilazione ossidativa Ci sono anche la O-dealchilazione, Sulfo-dealchilazine, N-dealchilazione, e poi la deaminazione, si parte da amine primarie, che acquisiscono l’ossigeno, amine secondarie o terziarie. Ciclo catalitico del citocromo P450:
Si parte dal citocromo che contiene il ferro ferrico, si forma il complesso con il farmaco, con lo xenobiotico Fe3+-RH, questo complesso reagisce con NADPH citocromo P450 reduttasi, si chiama così perché il NADPH è il coenzima che fornisce gli elettroni, il NAPH cede un elettrone, si forma il complesso Fe2+-farmaco, qui entra in gioco l’ossigeno, si forma un complesso con l’ossigeno molecolare e viene accettato un elettrone o dal NADPH citocromo P450 reduttasi o in alcuni casi dal citocromo P5. L’ossigeno così è attivato, reagisce con un gruppo che deve essere ossidato, si forma così una molecola ossidata, tipicamente un idrossile, una molecola di acqua e il citocromo si è ricaricato, il ferro e il citocromo si ossidano e l’ossigeno si riduce nella molecola d’acqua. Cyp è una superfamiglia genica che comprende diverse sotto-famiglie, c’è una nomenclatura in cui questi citocromi vengono indicati con Cypnumero arabo- lettera-numero; riguardo i farmaci il più importante di tutti è il Cyp3A4, è quello che più frequentemente entra in gioco nell’ossidazione dei farmaci. Alcune isoforme del Cyp possono essere indotte, induzione farmacomtaboloca, cioè ci sono condizioni in cui l’attività enzimatica può aumentare sensibilmente, è un fenomeno di induzione genica, cioè aumenta l’espressione di queste proteine. Oltre il Cyp3A4 c’è il Cyp2B6 e il Cyp2C9, questi tre rappresentano il 75% di tutta l’attività ossidativa, quelli più rari vanno a colpire un determinato farmaco, il clopidogrel ad esempio, sono responsabili della bioattivazione del farmaco o dell’eliminazione di un altro farmaco. Un aspetto importante della farmacogenetica si occupa dello studio dei polimorfismi genetici che riguardano questi enzimi, perché sono responsabili della variabilità alla risposta dei farmaci nella popolazione, sono responsabili dell’effetto terapeutico, ma anche dei fenomeni tossici che si verificano in alcuni individui piuttosto che in altri e attraverso un esame genetico è possibile analizzare il profilo biotrasformativo di ciascun individuo.
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(Il prof ricorda che Cisapride e tagasa sono agonisti di5- hp4). Esempi di metabolismo genetico nel metabolismo dei farmaci: sono farmaci anche sostanze come la nicotina, per la nicotina il citocromo implicato è il 2A6, ci sono soggetti che hanno una minore tolleranza alla nicotina in seguito a polimorfismi genici.
L’induzione farmaco-metabolica è il processo in seguito al quale l’esposizione prolungata dell’organismo ad un determinato agente determina aumento dell’espressione di un gruppo di enzimi che presiedono alla biotrasformazione di un farmaco, tipicamente citocromo P450, anche alcuni enzimi della reazione di fase 2, anche alcuni enzimi coniugati sono soggetti al fenomeno della induzione. Il processo dell’induzione farmaco-metabolica può essere specifico nei confronti di quel genere, però riguarda una famiglia di farmaci, quindi se facciamo trattamento con il farmaco A e ho avuto induzione, quando do farmaco B che viene ossidato da quel citocromo il
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farmaco B verrà degradato più velocemente, è un fenomeno di interazione farmaco-metabolica a livello del metabolismo. La caratteristica degli enzimi epatici è che le attività possono aumentare in seguito a somministrazione ripetuta di farmaci e di altri agenti, come pesticidi, sostanze chimiche di origine industriali, alimenti come l’etanolo, additivi alimentari, l’induzione si traduce nell’accelerazione del metabolismo. Tra i farmaci induttori c’è il Fenobarbital, antiepilettico, la Rifampicina che è un antibiotico, la carbamazepina, usata per trattare la nevralgia del trigemino; quando viene prescritta la carbamazepina ad un paziente che sta assumendo un altro farmaco, c’è il rischio che si perda l’effetto del farmaco assunto in precedenza, la rifampicina diminuisce l’attività della pillola anticoncezionale, o del metadone per un tossico-dipendente, la rifampicna diminuisce la sua attività, tra gli insetticidi il più noto è il DDT; idrocarburi policiclici sono contenuti nel sigarette, come benzochirene, 3-metil-colantrene, idrocarburi alogenati e l’idrossianisolo butilato, si trova negli alimenti come anti-ossidante. Il fenomeno dell’induzione enzimatica, l’induzione farmaco-metabolica, è un processo che vede coinvolto un recettore che appartiene alla famiglia dei recettori per gli steroidi, un recettore nucleare. Questo recettore è un aggregato sopra-molecolare, quindi il farmaco entra nel citosol, si lega ad un aggregato, questo è stato descritto per gli idrocarburi aromatici, come 3-metilcolantrene, benzochirene, in questo caso il recettore si chiama Aril-hidrocarbon receptor, cioè il recettore per gli idrocarburi aromatici, è uguale al recettore per gli steroidi, è legato a due proteine hsp90, ad una proteina inibitrice XAP2, una volta legato il farmaco il complesso si trasloca nel nucleo e nel nucleo si dissocia, si dissocia HSP 90, si dissocia la proteina XAP2 e il complesso recettore- ligando interagisce con un’altra proteina, ARNP, che sta per Recettore A Nuclear Traslocated, si forma questo complesso che va ad interagire sui promotori di alcuni geni con elementi chiamati XRE, cioè Xnobiotic Responsive Elements e attivano la trascrizione di una serie di geni, quali citocromo P450, nel caso specifico citocromo P-cyp-1-A-1, il processo è sostanzialmente identico per gli altri, ma altri enzimi inducibili sono quelli della coniugazione, UDP.glucuronbiul trasferasi, questo è l’enzima che coniuga con l’acido glucuronico, enzima della fase 2, e anche altri enzimi come alcune reduttasi.
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Lezione 11 Farmacologia Generale FARMACOCINETICA (3) (METABOLISMO ED ELIMINAZIONE) Farmaco-inibizione metabolica La farmaco-inibizione metabolica è esattamente l’opposto della farmaco-induzione; però dal punto di vista biologico non è il contrario, è un'altra cosa. La farmaco-induzione è l’aumento dell’espressione degli enzimi che presiedono alla biotrasformazione. La farmaco-inibizione metabolica invece, riguarda l’inibizione dell’attività enzimatica. I vari agenti responsabili della farmaco-inibizione possono agire con meccanismi diversi. Il risultato però sugli enzimi della farmacocinetica è esattamente l’opposto della farmaco-inibizione. La farmaco-inibizione infatti da luogo ad un rallentato metabolismo, e quindi a livelli plasmatici più elevati per tempi più prolungati, ovviamente con il rischio che possano essere raggiunte anche concentrazioni tossiche. Consideriamo il caso dei trattamenti dei regimi posologici che consigliano somministrazioni ripetute, ad esempio i farmaci antiepilettici, gli antiipertensivi, i farmaci che si utilizzano per il trattamento dei tossicodipendenti: se noi abbiamo un Inibitori del CYP450 SKF 525A fenomeno di farmaco-inibizione e continuiamo nel trattamento come se Isoniazide nulla fosse, ecco che i livelli di farmaco crescono crescono crescono Metadone fino a raggiungere le dosi tossiche. Sulfanilamide Questi sono esempi di farmaci che sono responsabili del fenomeno Fenmetrazina della farmaco-inibizione. L’SKF525A non è un farmaco vero e proprio, Amfetamina Cimetidina è una sostanza che veniva utilizzata soprattutto a scopo di ricerca; desimipramina l’isoniazide è un farmaco antitubercolare; il Sulfanilamide è un chemioterapico, antibatterico. La farmaco-inibizione metabolica in qualche caso può essere sfruttata terapeuticamente, cioè significa che noi possiamo somministrare contemporaneamente (soprattutto all’inizio del trattamento) un farmaco che inibisce il citocromo, in maniera tale da aumentare all’inizio i livelli plasmatici di un secondo farmaco. Per esempio questo effetto si sfrutta nel trattamento della terapia anti retro-virale (terapia da infezione con HIV) con alcuni inibitori delle proteasi. Tra questi farmaci vi è il ritonavir che ha un’attività abbastanza potente, è un farmaco inibente, per cui somministrato insieme ad altri inibitori delle proteasi ne prolunga nelle prime fasi, l’emivita.
Reazioni di fase II Le reazioni di fase II sono reazioni di coniugazione con gruppi idrosolubili (nella maggior parte dei casi). Nelle reazioni di metilazione e acetilazione ad esempio si ha l’aggiunta di un metile, e sono due reazioni in cui si ha una diminuita idrosolubilità (solo in questi due casi). Il gruppo metile o il gruppo acetile, mascherano il gruppo farmacologicamente attivo, modificano in maniera sostanziale le caratteristiche farmacologiche del metabolita (di solito diminuendo la solubilità), mascherano il gruppo che trasporta l’attività farmacologica. • • • • • • • •
Glicurono-coniugazione Glicosilazione Solfatazione Metilazione Acetilazione Coniugazione con GSH Coniugazione con aa Coniugazione con acidi grassi La più importante e la più diffusa è la reazione di glicurono-coniugazione, ovvero la coniugazione con acido glucuronico. Ma ovviamente ce ne sono molte altre (vedi elenco): ad esempio acetilazione e metilazione non sono vere e proprie reazioni di coniugazione, perché si tratta di gruppi che vengono aggiunti nella molecola. Coniugazione con il GSH: quest’ultimo è il glutatione, il quale è un tripeptide.
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In questa tabella ci sono degli esempi, ed è citato l’enzima responsabile della coniugazione. L’attività enzimatica responsabile della glucuronoconiugazione è la glucuronil-UDP transferasi, questa attività enzimatica si trova nei microsomi. Esistono varie isoforme di questo enzima, che catalizzano tutti questa stessa reazione. I substrati sono, oltre al farmaco, l’uridinglucuronato; quindi il substrato di partenza è l’UDP-glucuronato. I tipi di farmaci che vanno incontro a questo genere di coniugazione (in realtà i substrati sono i metaboliti dei farmaci) sono alcoli (ovvero molecole di farmaco che sono state idrossilate), ossidril-amine, quindi tipicamente molecole che hanno dei gruppi OH. Tra i farmaci troviamo la morfina, il paracetamolo, diazepam, ecc. Per quanto riguarda l’acetilazione, il reattivo endogeno è l’acetil-CoA; l’attività enzimatica si chiama N-acetil transferasi ed è citoplasmatica, e anche qui troviamo come farmaci l’isoniazide (questa viene tipicamente trasformata mediante acetilazione), è un farmaco chemioterapico antitubercolare; oppure il dapsone, un sulfamidico che si utilizza poco, in passato veniva utilizzato per il trattamento della lebbra; In questo caso il dapsone si trova in entrambe le categorie, però nel primo caso è l’Nidrossi-dapsone, cioè il dapsone è stato idrossilato e dopo viene glucuronoconiugato; mentre il dapsone come tale può andare incontro ad acetilazione. Questo caso lo abbiamo citato per dire che tipicamente molti farmaci hanno più di un metabolita, e quindi possono avere un destino metabolico variegato, possono andare incontro a più reazioni di trasformazione, e quindi a più reazioni di coniugazioni, e anche di escrezione, perché l’escrezione non è tutta renale o tutta epatica: per alcuni farmaci è interamente renale (o interamente epatica), ma la maggior parte dei farmaci hanno una quota di eliminazione renale, e una quota (di solito più piccola) di escrezione epatica. Ma ci sono anche farmaci che vengono eliminati tali e quali, ad esempio un grosso gruppo di farmaci che viene eliminato così come viene introdotto sono la quasi totalità degli antibiotici di tipo β-lattamico, cioè le penicilline e le cefalosporine, queste vengono eliminate immodificate nelle urine, per filtrazione glomerulare. o
o o
o
o
Coniugazione con glutatione: l’enzima è il GSH-S-transferasi (GSH significa glutatione allo stato ridotto). In questo caso come substrati troviamo epossidi, arenossidi, di cui avevamo già parlato in precedenza a proposito dell’eliminazione del metabolita del paracetamolo, metabolita tossi, e quella è una reazione che consuma glutatione. Coniugazione con glicina: in questo caso l’enzima è l’acetil-CoA glicina transferasi, e come substrati troviamo l’acido salicilico, l’acido benzoico, l’acido nicotinico, ecc. Solfoconiugazione: il reattivo endogeno è il fosfoadenosil-fosfosolfato, l’enzima è il solfo transferasi, e qui troviamo come substrati l’estrone (è un estrogeno), l’anilina (è una sostanza tossica), fenolo, paracetamolo, la metildopa (che è un farmaco anti-ipertensivo). Metilazione: il reattivo endogeno è la S-adenosil-metionina, e la metilazione ha luogo ad esempio sulle catecolammine, sia endogene che esogene; ricordiamo a riguardo le COMI (orto metil transferasi) che non fanno altro che aggiungere un metile alle catecolammine. Coniugazione con acqua: in questo caso si trovano il benzopirene, alcuni epossidi, quale la carbamazepina epossido. Per quanto riguarda la coniugazione con acqua, ovvero l’idratazione, esiste questa attività enzimatica nei microsomi (epossido idrolasi), ma alcune anche nel citosol.
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Figura 1: DPYD, diidropirimidina deidrogenasi; GST, glutatione-S-transferasi; NAT, N-acetiltransferasi; SULT, sulfotransferasi; TPMT, tiopurina metiltransferasi; UGT, UDP-glicuronosiltransferasi. Questa torta ci dà un’idea della proporzione relativa delle varie reazioni di coniugazione: sicuramente si può vedere che quelle più importanti come prevalenza sono le UGT, nella coniugazione con acido glucuronico, probabilmente è l’evento più frequente, e altri 3 abbastanza importanti sono SULT, ovvero la solfatazione, e GST, ovvero la coniugazione con glutatione, e infine NAT, ovvero l’acetilazione. Queste sono le 4 reazioni più importanti. Ovviamente esistono anche “altre” attività, e non perché sono meno frequenti vuol dire che sono meno importanti.
GLICURONO-CONIUGAZIONI •
Sono le reazioni più importanti tra le coniugazioni
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UDP-glicuronil-trasferasi catalizza le interazioni tra UDP-GA e metabolita dello xenobiotico
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La sintesi di UDP-GA è quasi ubiquitaria, e avviene a partire dal glicogeno: il glicogeno è la fonte di deposito del glucosio
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Sono state clonate varie isoforme di UDP-glicuronil-trasferasi
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UDP-glicuronil-trasferasi è un enzima inducibile, e abbiamo visto la volta scorsa parlando dell’induzione enzimatica, che il meccanismo dell’induzione può riguardare anche più attività enzimatiche.
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Le solfatazioni sono per importanza la seconda via di coniugazione. Il cofattore di queste reazioni e’ il 3’fosfoadenosin-5’-fosfosolfato (PAPS), sintetizzato a partire da solfato (che a sua volta viene dalla cisteina) e ATP.
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Le metilazioni riguardano prevalentemente composti endogeni; a differenza delle altre coniugazioni, tendono a mascherare i gruppi funzionali dei substrati, rendendoli meno idrofili.
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Le acetilazioni richiedono come cofattore l’acetil-CoA, prodotto dalla glicolisi. Anche le acetilazioni possono mascherare i gruppi funzionali dei substrati, rendendoli meno idrofili.
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Le coniugazioni con aa, utilizzano glicina, glutammina, ornitina, arginina, taurina. La coniugazione con glutammina e’ la piu’ comune. Gli amminoacidi utilizzati per la coniugazione sono amminoacidi che devono essere idrosolubili.
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Coniugazioni con glutatione Le biotrasformazioni avvengono in tutti gli organi e tessuti, però naturalmente il fegato, se noi guardiamo al contributo sistemico delle biotrasformazioni per tutto l’organismo, sicuramente l’organo principe è il fegato, ovvero quello che fornisce la quota biotrasformativa più importante. Però ci sono molti altri organi e tessuti che partecipano alle biotrasformazioni, con per esempio dei citocromi che sono espressi in maniera più o meno specifica nelle varie specie. Se noi guardiamo i citocromi che sono scritti a sinistra e i relativi tessuti, troviamo ad esempio il polmone, che è quel tessuto dove ha luogo una mole significativa dei processi biotrasformativi; in molti casi troviamo il rene, GE (tubo gastro-enterico). Si trovano anche gli annessi fetali, ad esempio la placenta, con il citocromo 2E1 e 2F1. Fattori che influenzano il metabolismo degli xenobiotici
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1. Specie: ogni specie ha il suo corredo, e specie diverse per un dato farmaco possono avere capacità biotrasformative completamente diverse; prima di inserire un farmaco in commercio, è necessario inserire i dettagli della farmacocinetica della specie a cui verrà somministrato; 2. Polimorfismo genetico 3. Eta’ 4. Sesso 5. Fattori patologici 6. Dieta 7. Fumo di sigarette 8. Inquinanti ambientali Questi ultimi tre punti (dieta, fumo di sigarette, inquinanti ambientali), fanno riferimento ovviamente alla presenza di sostanze che determinano l’induzione farmaco-metabolica.
Farmacogenetica: è importante sapere qual è la costituzione genetica di un determinato individuo, perché è suscettibile ad influenzare la risposta ad un determinato farmaco. Questo è un campo importante della farmacologia perché ci permetterà in un futuro non lontano, di attuare delle terapie personalizzate, cioè non si somministrerà un farmaco, o una dose di farmaco uguale per tutti, ma a ciascuno si darà la dose di farmaco e il tipo di farmaco che è adatto al suo background genetico. Con questo argomento ci si riferisce alla farmacodinamica e anche alla farmacocinetica: ad esempio il clopidrogrel è un profarmaco che deve essere attivato, e si può stabilire a priori se il paziente è responsivo o no al copridogrel, cioè se è in grado di trasformare il profarmaco in farmaco attivo. La farmacogenetica si riferisce alle risposte ai farmaci in relazione al corredo genetico; mentre la farmacogenomica va a guardare l’impatto dei trattamenti farmacologici sull’insieme dell’espressione genica. Altri fattori che influenzano la biotrasformazione 9. Età
Nel soggetto molto giovane (neonato, bambino), il sistema di enzimi di fase I e di fase II è meno sviluppato, ecco che la biotrasformazione di molti farmaci avviene in maniera meno efficace, ovvero più lentamente. Questo fenomeno riguarda anche le sostanze endogene: i sistemi biotrasformativi di fase I e di fase II rappresentano meccanismi di trasformazione degli xenobiotici, ma in molti casi agiscono anche su cataboliti endogeni, ad esempio la biotrasformazione e l’eliminazione della bilirubina, che è il catabolita dell’eme: la bilirubina viene glucurono-coniugata e quindi viene escreta per via renale sottoforma glucurono-coniugata, altrimenti la bilirubina è una sostanza lipofila e quindi tende ad attraversare la barriera emato-encefalica e a determinare danni a livello delle strutture dei gangli della base. Quindi la bilirubina, quando non viene escreta e aumenta nel sangue, passa nella pelle e determina una colorazione giallastra. Le persone che soffrono di problemi al fegato, hanno una capacità ridotta di eliminazione della bilirubina, e assumono una colorazione giallastra. Nei bambini piccoli, si può osservare il cosiddetto ittero neonatale, in realtà si parla di ittero fisiologico, cioè in quasi tutti i neonati si osserva un ittero transitorio dovuto al fatto che la capacità biotrasformativa è inferiore, e nell’immediatezza successiva alla nascita si ha una certa emolisi e quindi la capacità biotrasformativa non permette di smaltire l’emoglobina e si può avere questo ittero. Nei bambini prematuri la capacità biotrasformativa è ridotta, ecco che qui si può avere l’ittero dei prematuri, che può in alcuni casi
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determinare anche danni a livello cerebrale, quando la bilirubina si accumula nei gangli della base. Inoltre nei bambini piccoli, la barriera emato-encefalica è meno sviluppata, e questo è un fatto importante perché significa che le sostanze presenti nel sangue, inclusi i metaboliti tossici, possono passare più facilmente nel cervello, rispetto a quanto avviene nell’adulto. 10. Malattia La malattia altera ovviamente i livelli degli enzimi epatici; di solito li altera nel senso della diminuzione, anche se esistono dei casi particolari in cui questi enzimi possono essere aumentati. Nella figura a lato si vedono una serie di colonne, e nelle ordinate l’altezza di queste colonne rappresenta la capacità metabolizzatrice relativa, rispetto alla normale: cioè in condizioni normali abbiamo una capacità metabolizzatrice uguale a 1, mentre nelle altre condizioni la capacità biotrasformativa è ridotta: per esempio nell’epatite o ittero ostruttivo è ridotta al di sotto del 50%, questo si verifica anche nella cirrosi, nell’epatocarcinoma e nella epatopatia tossica grave. Ma nella foto vediamo anche un caso di aumento della capacità biotrasformativa, questo si può avere nella rigenerazione attiva cui il fegato va incontro dopo un danno epatico. Tutte queste che abbiamo citato sono delle malattie che riguardano il fegato, ma ci sono anche delle malattie sistemiche, non direttamente del fegato, delle condizioni generali che possono produrre diminuzione della capacità biotrasformativa epatica, ad esempio l’ipotiroidismo, l’ipossia, la malnutrizione: sono delle situazioni nelle quali il fegato lavora meno. 11. Altro Come ad esempio le alterazioni genetiche, cioè difetti enzimatici su base genetica: esistono una serie di malattie congenite su base genetica del fegato, in le attività enzimatiche degli enzimi biotrasformativi sono ridotte in maniera evidente.
ELIMINAZIONE DEI FARMACI L’eliminazione dei farmaci avviene principalmente per via renale, così come l’eliminazione dei cataboliti endogeni, l’eliminazione delle sostanze tossiche. Ma una via che viene pure utilizzata è la via epatica: l’escrezione epatica vuol dire eliminazione nella bile; il fegato produce la bile, questa si accumula nella vescichetta biliare (nella colecisti) e poi da qui viene riversata attraverso il coledoco nel duodeno. La bile contiene tutta una serie di sostanze, ad esempio gli acidi biliari, ma tra le altre cose contiene le sostanze che il fegato secerne nella bile, quindi i metaboliti dei farmaci vengono eliminati per via biliare. Ci sono anche altre vie di eliminazione, per esempio la via respiratoria, che viene utilizzata tipicamente per eliminare le sostanze volatili, le sostanze gassose: gli anestetici generali gassosi, vengono somministrati per via inalatoria e vengono eliminati principalmente per via inalatoria. Quindi, inizialmente vengono somministrati per via inalatoria, poi quando non se ne somministrano più passano dal cervello al sangue: si stabilisce un equilibrio dapprima tra la miscela respiratoria e il sangue, e poi tra il sangue e il cervello (questo avviene nel momento dell’induzione dell’anestesia), nel momento del risveglio si stabilisce l’equilibrio opposto, cioè si ventila il paziente con aria normale e l’anestetico passa dal cervello al sangue, e dal sangue all’aria, e viene eliminato.
Escrezione renale Il momento principale dell’eliminazione renale è naturalmente la filtrazione glomerulare. Nell’immagine sotto è rappresentato il nefrone, cioè l’unità funzionale del rene. Il nefrone è costituito da un’arteriola afferente, che forma poi un glomerulo (gomitolo di capillari), che è circondato dalla capsula di Bowman. La capsula di Bowman ha una forma di calice, contiene il glomerulo, e la filtrazione avviene proprio a questo livello. La filtrazione ha luogo a livello del glomerulo, e il filtrato viene raccolto nel tubulo (che si origina dalla capsula di Bowman). Il tubulo comincia con il tubulo contorto prossimale, poi c’è l’ansa di Henle, tubulo contorto distale, che poi va a finire nel dotto
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collettore; i dotti collettori via via si uniscono tra di loro fino ad arrivare alla pelvi renale. Come mai il nefrone ha questa struttura così complicata? L’arteria in cui avviene la filtrazione è il glomerulo, e ovviamente la filtrazione nel glomerulo dipende dalle pressioni di perfusioni, cioè dalla differenza di pressione tra l’arteriola afferente e l’arteriola efferente. Nel rene è molto importante la regolazione della pressione di perfusione, il rene è un organo che ha una serie di meccanismi che auto-regolano la pressione di perfusione, in maniera tale che quando la pressione sistemica varia, la pressione di perfusione non cambia in maniera sostanziale. Questo tubulo quindi, ha queste caratteristiche perché il filtrato glomerulare non è altro che la parte liquida del sangue, senza le proteine, con un cut-off intorno a 5000 Da. Quindi sostanze superiori a 5000 Da passano nel filtrato, passa tutto tranne i colloidi, infatti la parte liquida del plasma prende il nome di cristalloidi. Naturalmente però questo filtrato viene modificato, ovvero, via via che questa pre-urina avanza attraverso il tubulo, subisce delle modificazioni, che sono il risultato di meccanismi specifici di secrezione e di riassorbimento: ci sono infatti una serie di componenti che vengono riassorbiti (a cominciare dall’acqua), vengono riassorbiti anche la quasi totalità delle sostanze nutritive (glucosio): ovviamente sono dei trasportatori, quindi vuol dire che fino a quando questi trasportatori non saturano, queste sostanze passano nelle urine. Vengono riassorbiti anche ioni: sodio, potassio, cloro. Invece non vengono riassorbiti l’urea e i cataboliti. Per quanto riguarda i farmaci, questi vengono filtrati a livello del glomerulo, ma per molti farmaci non ci si limita alla filtrazione, ma esiste anche un processo di secrezione, infatti esistono una serie di meccanismi di trasporto che trasportano i metaboliti del farmaco, o il farmaco stesso dal sangue (cioè dall’interstizio) nell’urina. Esiste anche la via inversa, cioè il riassorbimento, e questo vale anche per i farmaci: i farmaci che si trovano nella pre-urina possono essere riassorbiti o per diffusione passiva, o mediante meccanismi di trasporto. La diffusione passiva agisce maggiormente per quelle sostanze che hanno caratteristiche lipofile, quindi a questo riguardo possiamo ricordare che gli acidi deboli o le basi deboli verranno riassorbiti maggiormente quando si trovano in forma in dissociata, e questo è un fenomeno sul quale noi possiamo giocare dall’esterno, cioè se noi modifichiamo il pH delle urine, possiamo modificare il riassorbimento di acidi deboli e di basi deboli, perché a pH acido le basi deboli si trovano in forma ionizzata, quindi le basi deboli non vengono riassorbite, vengono eliminate meglio in urine acide, e viceversa un acido debole verrà eliminato meglio in urine alcaline. Quindi quando si vuole aumentare l’eliminazione di un tossico, se questo è un acido debole bisogna alcalinizzare le urine, se questo tossico è una base debole bisogna acidificare le urine. Ma naturalmente oltre la diffusione passiva, esistono anche dei meccanismi di trasporto specifici che presioedono al riassorbimento del farmaco. Riassumendo: Il 20% circa della componente acquosa del sangue viene filtrato a livello glomerulare: la filtrazione glomerulare in un soggetto sano è grossomodo uguale alla clearance della creatinina. La clearance è la misura del volume liquido che viene depurato nell’unità di tempo. La clearance delle sostanze che vengono interamente filtrate, e che non vengono riassorbite, e che non vengono secrete, mi dà la misura della filtrazione glomerulare. Prendiamo una sostanza che viene filtrata a livello glomerulare, non viene riassorbita a livello del tubulo, e non viene secreta, in questo caso la clearance di questa sostanza, cioè il volume di sangue che viene depurato da questa sostanza nell’unità di tempo, è uguale al filtrato glomerulare. Questa sostanza è l’inulina. Ma comunemente come parametro clinico si utilizza la clearance della creatinina. La creatinina è un metabolita comodo perché è una sostanza endogena, e quindi non bisogna iniettare niente. Siccome il catabolismo della creatina è grossomodo costante in tutti i soggetti che non hanno particolari problemi, se noi andiamo a misurare la creatininemia, cioè la
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concentrazione di creatinina nel sangue, con una formuletta molto semplice possiamo calcolare la clearance della creatinina, e questa è grossomodo espressione del filtrato glomerulare, quella che si chiama VFC (velocità di filtrazione glomerulare). La clearance, quindi la quantità di sangue che viene depurata della creatinina nell’unità di tempo, è uguale alla quantità di filtrazione glomerulare, che è di circa 130 ml/min. Ma ci sono altre clearance, ad esempio una clearance che è significativamente utilizzata come parametro clinico, è la clearance del PAI (acido para ammino-ippurico), questo è un acido debole, che oltre ad essere filtrato a livello glomerulare, viene attivamente secreto a livello tubulare; e la clearance del PAI è interessante perché è una misura del flusso renale: il PAI viene interamente secreto, cioè tutto il PAI che arriva al rene viene in parte filtrato e il resto viene secreto. Quindi la misura della clearance del PAI ci dà la misura del flusso renale, che è 600ml/min. La clearance della creatinina ci da la misura del filtrato glomerulare, e inoltre la clearance della creatinina è anche uguale alla clearance di quei farmaci che vengono filtrati a livello glomerulare e che non vengono né riassorbiti, né secreti. Quindi se noi leggiamo nella scheda tecnica di un farmaco che la clearance di quel farmaco è 120-130 ml/min, capiamo bene che è un farmaco che viene quasi interamente filtrato, senza essere né riassorbito, né escreto. È chiaro che nei casi in cui la clearance renale è sostanzialmente superiore a 120, significa che il farmaco viene secreto oltre ad essere filtrato. La quota di farmaco che viene filtrata a livello renale, è la quota di farmaco libera, cioè la quota di farmaco non legata alle proteine plasmatiche. La clearance di un farmaco quindi, sarà tanto maggiore, quanto maggiore è la quota di farmaco non legata. Riassumendo: la clearance di un farmaco è il volume di sangue che viene depurato del farmaco nell’unità di tempo. La velocità di eliminazione invece è uguale alla clearance moltiplicato per la concentrazione plasmatica. Abbiamo detto che i farmaci idrosolubili sono meno riassorbiti; modificando il pH delle urine, in urine acide, i farmaci alcalini vengono eliminati, perché sono ionizzati, mentre i farmaci acidi sono riassorbiti. Viceversa nelle urine alcaline, i farmaci acidi saranno ionizzati, e quindi saranno eliminati, mentre i farmaci alcalini saranno riassorbiti. Quindi noi possiamo influenzare l’eliminazione renale dei farmaci o metaboliti dei farmaci, giocando sul pH urinario, somministrando ad esempio Cloruro d’ammonio si può acidificare, mentre somministrando bicarbonato si possono avere urine più basiche. Queste clearance sono una misura della funzionalità renale: quando un paziente va in insufficienza renale, viene misurata proprio in base a queste clearance, ma non solo. Però la clearance della creatinina figura in qualsiasi cartella clinica, proprio perché ci da una misura della funzionalità renale. Al di là dei fenomeni di insufficienza renale conclamata, è chiaro che nei soggetti anziani, la funzionalità renale tende via via a diminuire, quindi questa clearance può diminuire.
Escrezione epatica Buona parte dei farmaci eliminati per via epatica, vanno incontro al cosiddetto circolo entero-epatico: cioè con la bile vanno nell’intestino e vengono eliminati col materiale fecale. Tuttavia, alcuni farmaci, pensiamo ai farmaci coniugati, una volta che arrivano a livello intestinale, ad opera dei microrganismi intestinali, questi coniugati vengono di nuovo resi liberi, cioè il legame di coniugazione viene idrolizzato e in questa maniera il farmaco viene riassorbito a livello intestinale, e va attraverso il sangue. Questo processo può avvenire più volte e prende il nome di circolo entero-epatico, ed è un meccanismo che ha un’importanza fisiologica per alcune sostanze endogene, a cominciare dagli acidi biliari. Normalmente gli acidi biliari hanno una serie di ormoni steroidei e sono soggetti al circolo entero-epatico proprio per evitare che l’organismo si depauperi rapidamente, per cui gli acidi biliari vengono
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secreti con la bile, servono a formare le micelle lipidiche, quindi per rendere possibile l’assorbimento dei lipidi, e quindi vengono riassorbiti, poi quelli che non formano le micelle vengono secreti verso i Sali biliari. Ricopiati dalle slide L’escrezione dei farmaci nella bile è influenzata principalmente da due caratteristiche fisiche:
La polarità; Il peso molecolare.
La presenza di un gruppo polare aumenta l’escrezione. Solo composti con un peso molecolare > di 300 – 500 vengono escreti nella bile. Nella secrezione biliare sono coinvolti 4 sistemi di trasporto attivo:
Anioni; Cationi; Acidi biliari Sostanze neutre.
L’escrezione biliare ha particolare importanza per i farmaci somministrati per via orale (effetto di primo passaggio o eliminazione presistemica). IL CIRCOLO ENTERO - EPATICO I farmaci escreti nella bile possono essere riassorbiti nell’intestino. Questo è un particolarmente frequente per i farmaci coniugati con l’acido ialuronico. Questi coniugati sono scissi dalla β – glucoronidasi intestinale e il farmaco libero viene riassorbito. In questi casi si verifica un continuo circolo entero – epatico che può mantenere il composto nell’organismo finché esso non viene ulteriormente metabolizzato o escreto per via renale. Questo meccanismo di ricircolo è essenziale per evitare la deplezione continua di sostanze endogene come gli acidi biliari, gli estrogeni e le vitamine D e B12.
Ecco lo schema del circolo entero-epatico
liver blood
GI track
bile
gall bladder
Esistono altre vie di eliminazione:
I polmoni: per quanto riguarda le sostanze volatili, principalmente gli anestetici gassosi;
Il latte: anche questa è una via di eliminazione dei farmaci; è importante non tanto per il contributo che fornisce all’eliminazione del farmaco dall’organismo, ma è importante considerare il passaggio del farmaco nel latte, se tramite il latte, questo può essere assorbito dal bambino che viene allattato.
Adesso parliamo delle cinetiche di eliminazione: Le cinetiche di I ordine si definiscono così quando una proporzione costante viene eliminata nell’unità di tempo: significa che più alta è la concentrazione, maggiore è la quantità di farmaco eliminata, mentre più bassa è la concentrazione, minore è la quantità eliminata. La Ke (costante di eliminazione) ci dice sostanzialmente la percentuale di farmaco che viene eliminata nell’unità di tempo. Cinetica di ordine I significa cinetica non saturabile,
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e questo vale per la maggior parte dei farmaci. Ma poi ci sono dei farmaci particolari che vengono eliminati soprattutto per secrezione (mediante processi di trasporto specializzato) dove si possono seguire cinetiche di ordine 0. Un esempio di cinetica di ordine 0 è quando la quantità eliminata è una quantità costante. La clearance è data dal prodotto tra la frazione eliminata nell’unità di tempo (Ke o costante di eliminazione) e il volume di distribuzione (Vd). Quindi per ogni farmaco la clearance ha un valore costante, cioè la quantità di liquidi depurata nell’unità di tempo è costante indipendentemente dalla concentrazione plasmatica, questo perché, siccome abbiamo detto che è una cinetica di I ordine, maggiore è la concentrazione plasmatica, maggiore è la quantità che ne viene eliminata nell’unità di tempo, perché è la proporzione che è costante, quindi ne deriviamo che la clearance è anch’esso un parametro costante. Il volume di plasma depurato da un determinato farmaco nell’unità di tempo è costante indipendentemente dalla concentrazione (questo è vero fin quando si seguono cinetiche di I ordine). Alcuni farmaci ad alte concentrazioni però, non seguono più cinetiche di I ordine, ma seguono cinetiche di ordine 0. Fattori che influenzano la Clearance Dalla slide possiamo leggere che uno dei fattori che favoriscono l’eliminazione renale è l’elevata idrofilia, perché tanto più un farmaco si trova nella fase acquosa, tanto più facilmente viene eliminato per via renale. Il grado di ionizzazione ovviamente è in relazione all’idrofilia. E infine sistemi di trasporto attivo a livello tubulare, cioè processi di secrezione, che si aggiungono rispetto a ciò che è filtrato a livello glomerulare, e quindi la clearance in questo caso sarà superiore rispetto alla clearance della creatinina, cioè rispetto alla velocità di filtrazione glomerulare (cioè la quantità di sangue depurata del farmaco, sarà uguale alla quantità filtrata più quel tot che deriva dalla secrezione).
EMIVITA DEI FARMACI
Si definisce EMIVITA o tempo di dimezzamento (t½) il tempo necessario affinché la concentrazione del farmaco nel plasma si dimezzi. Come sappiamo, la fase di decremento della concentrazione plasmatica di un farmaco, in realtà è composta da varie fasi, la prima fase non è legata a processi di eliminazione, ma è legata a processi di distribuzione, dopodiché vie è un decremento che è invece legato alla eliminazione. Di solito di parla di t½β, cioè
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quello che si riferisce alla seconda parte, cioè si riferisce al tempo necessario a dimezzare la concentrazione picco che noi estrapoliamo da questa fase β. Il valore di emivita esprime l’efficienza dei processi di eliminazione, è indipendente dalla concentrazione del farmaco (sempre per il motivo che quello che stiamo dicendo è applicato a cinetiche di primo ordine, in cui la velocità di eliminazione è indipendente dalla quantità di farmaco presente nell’organismo) e dipende dalla funzionalità dei sistemi di eliminazione. I farmaci con emivita breve sono eliminati rapidamente, mentre i farmaci con emivita lunga sono eliminati lentamente. Il valore di emivita esprime l’efficienza dei processi di eliminazione, è indipendente dalla concentrazione del farmaco (sempre per il motivo che quello che stiamo dicendo è applicato a cinetiche di primo ordine, in cui la velocità di eliminazione è indipendente dalla quantità di farmaco presente nell’organismo) e dipende dalla funzionalità dei sistemi di eliminazione. I farmaci con emivita breve sono eliminati rapidamente, mentre i farmaci con emivita lunga sono eliminati lentamente. Ogni farmaco è caratterizzato da un suo valore di emivita che può variare da pochi minuti ad una settimana: il parametro dell’emivita è un parametro essenziale, perché è il parametro che determina la posologia, cioè la frequenza di somministrazione (quante volte bisogna assumere un farmaco al giorno). Questo viene stabilito sulla base dell’emivita, cioè sulla base delle concentrazioni plasmatiche che noi vogliamo realizzare, i cui livelli dipendono dal t ½. Consideriamo di avere un paziente a cui noi somministriamo 100 mg di un farmaco X, dopo un t½ da 100 passeremo a 50, dopo il secondo t½ passeremo a 25, al terzo t½ siamo passati a 12,5, e così via. Quindi possiamo vedere che dopo 4-5 t½ di fatto, possiamo considerare come se il farmaco sia finito. Il concetto è importante perché vuol dire che, se ad esempio noi diamo una seconda dose dopo una emivita (sempre di 100), significa che avremo a quel punto 150. Dopo un’emivita dalla seconda somministrazione avremo la metà di 150, che è 75. Alla fine di tutto, per somministrazioni ripetute arriviamo ad uno stady-state, ma ovviamente la concentrazione di farmaco, tra le varie somministrazioni, oscilla. La prima somministrazione è 100, dopo un’emivita è 50, con una seconda somministrazione arriva a 150, e poi scende a 75, quindi abbiamo delle oscillazioni. Siccome ogni volta il farmaco si somma a quello che c’era prima. Otteniamo quindi un nuovo picco che è più alto del primo, e quindi le concentrazioni plasmatiche oscillano tra un massimo e un minimo, e via via aumentano. Ma non aumentano all’infinito, aumentano fino ad un tempo che è nell’ordine di 4-5 t½, infatti a questo stadio abbiamo raggiunto quello che si chiama stady-state, cioè a quel punto la concentrazione non cambia più, rimane sempre costante (tanta ne entra e tanta ne esce), questo perché dopo 4-5 t½ possiamo considerare come totalmente eliminato il farmaco che è stato somministrato in monosomministrazione, e per lo stesso motivo lo stady-state lo raggiungiamo dopo un intervallo di tempo di 4-5 emivite. In questo grafico nelle ascisse abbiamo il tempo di emivita di un dato farmaco, mentre nelle ordinate c’è la concentrazione. Ovviamente, se noi somministriamo il farmaco ad intervalli di tempo superiori alle 6 emivite, ogni volta la concentrazione scende a 0, quindi avremo concentrazioni plasmatiche che oscillano tra il picco e lo 0. Se però noi somministriamo il farmaco in tempi più ravvicinati, per esempio in questo caso stiamo somministrando ad intervalli di ½ emivita, quando diamo la seconda somministrazione, in realtà, abbiamo già quella precedente, quindi dopo circa 5 emivite siamo arrivati allo stady-state, cioè la concentrazione cresce cresce cresce, fino a non crescere più, e quindi oscillerà tra un massimo e un minimo, però intorno allo stesso valore.
Quindi la concentrazione di stady-state rappresenta quella concentrazione terapeutica che noi vogliamo raggiungere, e che di fatto non è mai costante, ma è costante solo quando si utilizza l’infusione. Infatti facendo
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una somministrazione endovenosa, è chiaro che la concentrazione è sempre costante. Diversamente invece, oscillerà sempre tra un massimo e un minimo a seconda della farmacocinetica, e a seconda degli intervalli di
somministrazione. Quindi, il t½ serve a stabilire l’intervallo di somministrazione: se un farmaco ha un’emivita breve (di mezz’ora), è chiaro che dobbiamo somministrarlo più frequentemente. Siccome l’effetto del farmaco è funzione delle sue concentrazioni plasmatiche, più breve è l’emivita, più vicine dovranno essere le somministrazioni, e viceversa. Inoltre il t½ ci dice anche in quanto tempo sarà raggiunto lo stady-state. Infatti, la concentrazione di stady-state si raggiungerà rapidamente per quei farmaci che hanno emivita breve, e si raggiungerà lentamente per quei farmaci che hanno emivita lunga. Quei farmaci che hanno emivita molto lunga (di settimane ad esempio), significa che per arrivare allo stady-state saranno necessarie settimane. Il concetto di stady-state è importante perché si riferisce a quella concentrazione terapeutica che noi vogliamo raggiungere quando facciamo trattamenti ripetuti nel tempo. Ovviamente la posologia di un farmaco viene stabilita sulla base delle indicazioni registrate. L’emivita la troviamo nel foglietto illustrativo, ma non è un parametro immutabile, quello che noi troviamo lì è un parametro che noi troviamo nel soggetto sano (nel volontario sano), però questo parametro (t½) può cambiare in situazioni patologiche, infatti ad esempio alterazioni che alterano l’eliminazione, che alterano l’espressione renale e quindi prolungano il t½ perché l’eliminazione è rallentata. Quindi: alterazioni patologiche degli organi di eliminazione portano ad un aumento dell’emivita dei farmaci e quindi ad un prolungamento dei loro effetti. Difetti nei processi di eliminazione determinano un aumento dell’emivita e della concentrazione plasmatica massima conseguente alla somministrazione di una dose di farmaco. Alterazioni dei valori di emivita richiedono correzioni del dosaggio dei farmaci, soprattutto di quelli per i quali la finestra terapeutica è ristretta. La biodisponibilità (F)si riferisce alla frazione del farmaco somministrato che raggiunge la circolazione sistemica: ovvero è il rapporto tra l’AUC dopo somministrazione orale, e l’AUC dopo somministrazione endovenosa. Per definizione la biodisponibilità è 100% per quei farmaci che vengono somministrati per via endovenosa.
AUC somm. os AUC somm. IV
Questo è un esempio di 3 preparazioni (3 compresse), A,B e C che contengono uno steso dosaggio di uno stesso farmaco, e si vede come 3 preparazioni diverse di uno stesso farmaco possono dare AUC (aree sotto la curva) diverse, quindi biodisponibilità diverse, rispetto alla somministrazione endovenosa dello stesso dosaggio (che nella figura è rappresentata dalla linea tratteggiata). Il generico, come sappiamo, è quel farmaco per il quale è scaduto il brevetto, e l’unica cosa che la legge obbliga a fare è che il generico deve avere le stesse caratteristiche di biodisponibilità, del farmaco di riferimento. E allora in questo caso si parla di bioequivalenza, significa che l’AUC di questo nuovo farmaco, deve essere equivalente all’AUC del farmaco registrato.
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L’emivita (half-life) di un farmaco (t 1/2 ) il tempo richiesto affinché’ la concentrazione del farmaco nel siero sia ridotta del 50%. La costante di eliminazione (Ke ) = 0.693/ t1/2 (0,693 è il logaritmo naturale di 2) Ke è la frazione del farmaco presente in qualsiasi momento che verrebbe teoricamente eliminata nell’unità di tempo (es. Ke = 0.02 min-1 significa che il 2% del farmaco presente e’ eliminato in 1 min).
Nella figura a destra, il numero 2,303 è riferito al fatto che invece di esserci il logaritmo naturale, si ha il logaritmo in base 10. Volume apparente di distribuzione
Il volume di distribuzione è il rapporto tra la dose della quantità di farmaco immessa nell’organismo, e la concentrazione plasmatica all’equilibrio distributivo. Il Vd può essere molto grande, anche più grande del volume corporeo totale, quando un farmaco è altamente legato ai tessuti. In questo caso la concentrazione nel siero è molto piccola e il V d molto grande. Ovviamente è un volume apparente, perché può essere più grande dell’intero volume dell’organismo. Ci sono farmaci che hanno un volume di distribuzione di 4000 litri, significa che nel sangue ne è presente molto poco, il farmaco si è accumulato nel tessuto adiposo. Viceversa volumi di distribuzione molto piccoli, ad esempio se un farmaco ha volume di distribuzione 4 litri, vuol dire che è tutto nel sangue. Volumi dei compartimenti liquidi del corpo per un uomo di 70 kg: totale (42 L), intracellulare (28 L) + extracellulare (14 L = plasma 4 L + interstiziale 10 L). Un valore Vd di < 5 L il farmaco e’ trattenuto all’interno del compartimento vascolare. Un valore Vd di < 15 L il farmaco e’ trattenuto nel liquido extracellulare, mentre (Vd > 15 L) distribuzione all’acqua totale del corpo o concentrazione in determinati tessuti.
Clearance E’ la velocità alla quale il farmaco è eliminato dal corpo. (Definizione) il volume di plasma dal quale tutto il farmaco è rimosso nell’unità di tempo.
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A. La clearance si esprime come volume per unità di tempo (ml/min) B. La velocità di eliminazione del farmaco (mg/min) = Cl x C La clearance è indipendente dal dosaggio, dalla quantità di farmaco che è introdotto nell’organismo, in quanto sia la Vd che la Ke sono parametri specifici per il farmaco, e sono indipendenti dalla concentrazione, quindi possiamo dire che la clearance è uguale al
dose da carico orale =
Vd x C F volume di
distribuzione per il logaritmo naturale di 2, diviso il t½. Se noi vogliamo sapere quanto farmaco viene eliminato nell’unità di tempo, dobbiamo moltiplicare la clearance per la concentrazione. Un acquario di 10 L; contiene 10,000 mg di scorie. concentrazione = 1 mg/ml. La clearance e’ 1 l/h. Il filtro e la pompa dell’acquario depurano 1 litro di acqua in un’ora.
Cosa succede per quei farmaci che hanno t½ lunghi? Quei farmaci per i quali abbiamo t½ lunghi, c’è un problema connesso al raggiungimento dello stady-state, e allora si ricorre alla cosiddetta dose da carico: si comincia con una dose più alta, o con delle dosi più alte, per arrivare prima alla concentrazione di stady-state, e poi si danno dosi più basse, le cosiddette dosi di mantenimento; e questo può essere realizzato anche per farmaci che si danno per via infusionale: si può cominciare con una velocità di infusione rapida e poi si passa ad una velocità di infusione lenta. Esistono anche delle regole per calcolare questi parametri: La dose da carico per un farmaco per iniezione endovenosa = Vd x C dove C e’ la concentrazione del farmaco nel siero. Viceversa, se noi vogliamo fare questo calcolo per una somministrazione diversa da quella endovenosa, la formula si deve dividere per la biodisponibilità:
Se noi invece vogliamo somministrare delle dosi di mantenimento:
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Lezione 12 Farmacologia Generale VARIABILITA’ DELLA RISPOSTA AI FARMACI 1.
Variazioni individuali ai farmaci: FARMACOGENETICA. Il termine si riferisce alla disciplina che studia la variazione della risposta ai farmaci individuale che ha una base genetica.
Nota: La debrisochina è un farmaco antipertensivo non più utilizzato in terapia. Viene utilizzata però per lo studio in vitro dei polimorfismi del citocromo CYP450 2D6. Avevamo parlato nella lezione precedente di individui metabolizzatori ricchi e metabolizzatori poveri e questa è una caratteristica messa in luce più di 30 anni fa, ancor prima dei primi studi di biologia molecolare. Andando avanti con gli studi si è visto che questi individui hanno dei polimorfismi a carico del sistema del CYP450 2D6. Questo citocromo metabolizza non solo la debrisochina ma anche tutta una serie di altri farmaci come antipertensivi, antipsicotici e altri ancora.
ALLERGIA ED IDIOSINCRASIA. L’allergia è un effetto variabile ai farmaci di base immunologica, mentre l’idiosincrasia è una risposta esagerata ai farmaci, che spesso ha una natura patologica. Essenzialmente la variabilità individuale della risposta ai farmaci vede al centro la COSTITUZIONE GENETICA dell’individuo, ma ci sono anche tutta una serie di fattori acquisiti che si sommano a questa. A volte la base genetica può essere comune e sono solo i fattori acquisiti a determinare la variabilità della risposta ai farmaci. Alcuni di questi fattori acquisiti sono: la dieta, la funzionalità renale o epatica ed altri ancora che sono illustrati nello schema accanto. Le patologie epatiche per esempio influenzano il metabolismo dei farmaci, di solito riducono il metabolismo. Il fumo per esempio è un agente induttore.
2. Modificazione della sensibilità correlata alla somministrazione ripetuta, questo è un fattore di variabilità che riguarda il farmaco: abitudine e tolleranza, bradifilassi e tachifilassi, resistenza. Per esempio la morfina, se viene somministrata una volta da un effetto, se viene somministrata più volte è richiesta una dose sempre più elevata per dare lo stesso effetto, in questo caso si ha tolleranza. La tolleranza è quel fenomeno per il quale ad una somministrazione ripetuta del farmaco si ha una diminuzione dell’effetto, per ritrovare lo stesso effetto bisogna quindi di volta in volta aumentare le dosi. Tra i fattori che modificano la sensibilità individuale ai farmaci distinguiamo:
fattori dipendenti dal sistema biologico: 1) fattori geneticamente determinati e 2) quelli non geneticamente determinati ma acquisiti come l’età, la funzionalità degli organi (fegato, rene). fattori indipendenti dal sistema biologico: si tratta dei fattori ambientali il cibo, esposizione ad inquinanti, interazione tra farmaci assunti dall’individuo.
I FATTORI GENETICAMENTE DETERMINATI costituiscono l’oggetto di studio della farmacogenetica. La farmacogenetica non va confusa con la farmacogenomica, che si riferisce allo studio del genoma intero, per esempio attraverso tecniche di gene-arrays. Oggi ci sono dei gene-arrays che permettono di studiare il trascrittoma, ovvero l’insieme dei geni espressi da una cellula. Altri gene-arrays permettono di studiare i polimorfismi presenti su un intero genoma. La proteomica permette di esaminare l’intero set di proteine espresse da una cellula. Tutti questi sono strumenti della farmacogenomica che sulla base dell’analisi del genotipo o del fenotipo (proteine ed RNA) cerca di prefissare l’azione dei farmaci da un lato e dall’altro di individuare nuovi target farmacologici. Consideriamo un gruppo di pazienti che hanno il melanoma, si studia, mediante gene-array, il DNA delle cellule del tumore andando ad evidenziare tutti i geni che sono mutati e poi si fa la correlazione tra i geni mutati e i farmaci antineoplastici. Oppure si studia un tumore e si va ad individuare una proteina mutata che può costituire un bersaglio per un nuovo farmaco specifico per quel tumore. In questo modo sono stati individuati nuovi farmaci antitumorali. Per esempio nella leucemia mieloide cronica c’è una proteina mutata che risulta dall’espressione di un gene mutato presente sul
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cromosoma Philadelphia, formatosi a seguito di una traslocazione. Questa proteina mutata è il bersaglio di alcuni inibitori. La farmacogenetica invece è lo studio individuale, cioè lo studio della base genetica che nell’individuo determina la variazione della risposta ai farmaci. Tra i fattori geneticamente determinati evidenziamo: •
Specie (atropina, stricnina, talidomide),
•
Razza (antiglaucomatosi),
•
Sesso (barbiturici, estradiolo),
•
Variazioni della produzione enzimatica,
•
Variazioni dei processi di assorbimento dei farmaci (vitamina B12, ceruloplasmina).
In linea di massima la variazione della risposta ai farmaci su base genetica considera 3 possibilità principalmente: • •
•
la variazione farmacocinetica, si considerano principalmente i polimorfismi che riguardano gli enzimi del metabolismo dei farmaci, di fase I e di fase II; i polimorfismi che riguardano la farmacodinamica determinano le variazioni delle proteine recettoriali o degli enzimi. Dato che alcuni farmaci sono inibitori enzimatici, questi polimorfismi possono conferire maggiore o minore affinità dell’enzima o del recettore per il farmaco; polimorfismi che non riguardano direttamente proteine interagenti con il farmaco, ma che riguardano la sensibilità individuale ad un processo patologico che può essere ad esempio peggiorato dall’uso di un farmaco o viceversa che può essere migliorato. Facciamo un esempio, esistono una serie di polimorfismi che riguardano canali ionici, in particolare canale del K+, che sono alla base delle sindromi del QT lungo. Nell’elettrocardiogramma la distanza tra l’onda Q e l’onda T ha una sua durata, in alcuni sindromi questo intervallo dura più di 600 ms e quando si verifica ciò questi soggetti rischiano lo sviluppo di aritmie ventricolari gravi. Questi soggetti hanno un fenotipo sano, ma se prendono alcuni farmaci che allungano il QT, per esempio antibiotici, tra cui eritromicina, oppure alcuni antistaminici o la cisapride, può insorgere l’aritmia grave. I farmaci citati prima allungano tutti il QT e questo per un soggetto normale non è problematico.
La variabilità individuale della risposta ai farmaci ha una base: • •
poligenica, nella maggior parte dei casi, monogenica, raramente. Ci sono dei casi eclatanti di base monogenica per la variabilità ai farmaci, come il favismo che era noto già ai tempi di Ippocrate. Il favismo è dovuto alla carenza del glucosio 6-fosfatodeidrogenasi, un enzima che consente di ridurre il glutatione, che è importante a livello eritrocitario, in quanto protegge le cellule dall’azione delle sostanze ossidanti contenute nelle fave. E’ una trasmissione X-linked, si manifesta quindi solo nei maschi, mentre le femmine sono portatrici. I farmaci antiossidanti hanno lo stesso effetto del consumo di fave in questi individui, ad esempio gli anti-malarici come la primachina, ma anche altri farmaci come il dapsone o alcuni sulfamidici sono tutti ossidanti. Oggi conosciamo diversi polimorfismi a carico della glucosio 6-fosfato-deidrogenasi per cui ci sono forme più gravi e forme meno gravi di malattia, ma le forme più gravi si manifestano anche dopo esposizione a piccole quantità di sostanze ossidanti. La patologia veniva individuata inizialmente dalla colorazione rossa delle urine. Altri polimorfismi che determinano una variazione di risposta ai farmaci monogenica sono stati individuati anche più di recente, per esempio i polimorfismi del citocromo CYP 2D6, che abbiamo già citato, che causano la variabilità della risposta alla debrisochina, oppure alcuni polimorfismi del gene che codifica per l’enzima NAT2 (N-acetiltransferasi 2) che acetila l’isoniazide, questi polimorfismi aumentano o diminuiscono l’attività di quest’enzima e in conseguenza di ciò varia la risposta all’isoniazide.
Per molti farmaci però i geni responsabili della risposta sono molteplici. Tanto maggiore è il numero di geni coinvolti nella risposta, tanto più difficile è studiare la relazione tra genotipo e fenotipo (variabilità della risposta). Quali sono gli strumenti della farmacogenetica? Quando si hanno delle risposte monogeniche si parte dal fenotipo e si arriva al genotipo, così come veniva fatto in passato. Si può considerare un fenotipo macroscopico (dei sintomi per esempio) oppure in laboratorio si può considerare come fenotipo una funzionalità enzimatica che stiamo studiando in vitro su più individui e della quale andiamo a vedere quali hanno un’attività più alta o più bassa. Consideriamo per esempio il metabolismo dell’antipirina.
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Nella pagina seguente sono mostrati due grafici in cui si illustra l’emivita dell’antipirina studiata in diverse coppie di gemelli omozigoti, nel grafico di sinistra, ed eterozigoti, nel grafico di destra. A questi soggetti in studio è stata somministrata la stessa dose di antipirina e poi si è andati a misurare l’emivita. Antipirina è un analgesico. Dallo studio è emerso che nei fratelli omozigoti l’emivita dell’antipirina è identica, con qualche variazione tra una coppia e l’altra che è del tutto normale. Mentre quando andiamo a vedere l’andamento dell’emivita in coppie di eterozigoti le variazioni tra i due soggetti della coppia sono molto significative. Questo dimostra che la variazione della risposta all’antipirina ha sicuramente una base genetica.
Torniamo adesso a considerare quali sono gli strumenti per studiare queste interazioni. Allora come nel caso appena visto possiamo partire dal fenotipo, studiare l’emivita di un farmaco oppure studiare l’attività enzimatica in vitro, ma con questo tipo di studio non abbiamo un’informazione sul polimorfismo genetico, cioè non sappiamo quali sono le differenze genetiche responsabili della variazione, ma abbiamo solo delle informazioni sul carattere, per esempio aumento o diminuzione dell’attività enzimatica. Poiché non ci dice la base molecolare del carattere modificato, oggi questa tecnica non viene molto utilizzata e si va invece a studiare direttamente il genoma. Si vanno a studiare i polimorfismi genici e questi studi sono in genere più informativi. I POLIMORFISMI. Sono quelle variazioni geniche espresse stabilmente in una popolazione con una percentuale superiore all’1%. Esistono diverse banche dati che permettono di consultare i vari polimorfismi scoperti. I polimorfismi che ci interessano per quanto riguarda l’interazione con i farmaci appartengono a 3 gruppi principali: 1. SNPs (single nucleotide polimorfisms) 2. Inserzioni o delezioni, molto meno frequenti degli SNPs 3. CNVs (Copy Number Variations). Questi 3 tipi di polimorfismo possono trovarsi sia nelle regioni codificanti che nelle regioni non codificanti del DNA.
In quest’immagine è riportato uno schema con illustrate le parti principali del genoma: i geni, costituiti da esoni e introni, e le regioni intergeniche che nel genoma umano rappresentano la maggior parte del DNA (90%). I polimorfismi presenti nella regione non codificante sono molto più frequenti di quelli presenti nelle regioni codificanti e ed è la pressione selettiva che opera questa scelta. Ma i polimorfismi presenti nelle regioni intergeniche hanno anche degli effetti, che in genere sono meno evidenti. I polimorfismi possono cadere anche nei promotori ed avere un impatto importante, per esempio uno molto noto è quello del promotore del trasportatore della serotonina (SERT). Il SERT è il bersaglio degli antidepressivi, in particolare degli induttori selettivi della ricaptazione della serotonina. Nel promotore del gene che codifica per SERT ci sono diverse varianti polimorfiche, alcune sono definite corte e altre lunghe, quelle corte sono dovute a delezioni. Le varianti lunghe incrementano la trascrizione del gene rispetto a quelle corte. Questo polimorfismo è stato molto studiato in relazione alle malattie psichiatriche ma anche in relazione al trattamento anti-depressivo. Possiamo avere anche dei polimorfismi che riguardano gli introni e questi possono influenzare il processo di splicing, dando luogo per esempio alla delezione di un esone, oppure se si tratta di mutazioni frameshift possono portare alla
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traduzione di proteine non funzionali. In alcuni casi questi polimorfismi possono anche non avere un impatto importante. I polimorfismi possono interessare anche le regioni UTR. Le regioni 5’ e 3’ UTR sono quelle regioni che non codificano per la proteina, ma sono importanti per la stabilità del mRNA. Polimorfismi a questo livello possono avere un impatto sul livello di espressione della proteina, perché l’emivita del RNA può essere più o meno lunga a seconda della stabilità. I polimorfismi che hanno un impatto maggiore sono quelli che interessano la regione codificante. Per quanto riguarda gli SNPs, se consideriamo le regioni codificanti possiamo distinguere SNPs non sinonimi, quando la sostituzione di una base cambia il codone e questo codifica per un aminoacido diverso da quello non mutato, per esempio consideriamo lo SNPs mostrato in figura: CCG CAG, il codone mutato non codifica più per la prolina ma per il glutammato. SNPs sinonimi quando si ha la sostituzione di una base, spesso in terza posizione, che cambia il codone, ma questo codifica sempre per lo stesso aminoacido, per esempio nell’immagine accanto CCG CCA codificano entrambi per la prolina. Gli SNPs non sinonimi hanno un impatto funzionale maggiore, possono modificare la struttura e la stabilità della proteina, l’affinità per il substrato o introdurre un codone di stop. Anche in questo caso però bisogna fare una serie di valutazioni, per esempio se l’aminoacido appartiene allo stesso gruppo dell’aminoacido di partenza l’impatto della mutazione sarà minore, se invece sostituiamo con un aminoacido con proprietà chimico-fisiche diverse la variazione è considerevole. Non è detto che gli SNPs sinonimi non abbiano alcuna influenza, sono stati infatti evidenziati dei casi in cui l’espressione della proteina è modificata in modo sostanziale in particolare è ridotta del 80% e questo è dovuto al fatto che alcuni tRNA sono molto più abbondanti di altri, quindi i tRNA che trasportano quel tipo particolare di codone mutato se sono dei tRNA più rari hanno un impatto sull’efficienza della sintesi proteica. Abbiamo anche SNPs che riguardano le regioni non codificanti. Per esempio nell’immagine precedente è indicato lo SNPs non sinonimo di TPMT (tiopurina metil-transferasi), che è un enzima coinvolto nel metabolismo tiopurine che sono farmaci che si utilizzano nel trattamento dei tumori, come la leucemia dei bambini, oppure la azatioprina che è una mercaptopurina che si utilizza anche come immunosoppressore nella malattia di Crohn o nella miastenia grave. Polimorfismi a carico del TPMT hanno un impatto sulla risposta a questi farmaci. Un esempio di SNPs sinonimi è quello che riguarda la ABCB1, è la glioproteina P, che è una glioproteina che trasporta farmaci. Si trova sul parenchima encefalico e su molte cellule. ABC (ATP Binding Casset) indica trasportatori che sono pompe di membrana con un sito di legame per l’ATP. Inserzioni e delezioni sono meno frequenti degli SNPs. Un esempio di inserzione è la ripetizione (TA) all’interno del gene UGT1A1, dove UGT sta per Uridil Glucuronil Trasferasi che è un enzima del metabolismo di fase II.
I geni presenti in copie multiple nel genoma possono presentare un numero di copie maggiore per eventi di duplicazione genica, oppure un numero di copie inferiore per delezione. Il numero di copie variabile è un polimorfismo noto come CNV. I geni delle globine sono presenti in multiple copie e anche diversi geni che codificano per il citocromo P450. Più copie di un gene ci sono maggiore sarà l’espressione genica e viceversa per un minor numero di copie l’espressione genica si riduce. Per il CYP2D6 abbiamo un polimorfismo con varianti fino a 13 copie ed è il caso che avevamo visto prima, distinguiamo metabolizzatori ricchi e poveri in base al numero di copie del gene presenti. Un altro esempio di CNV è la delezione completa della glutadione trasferasi (GSTT1 e GSTM1), che determina nei soggetti in cui è presente la mancata espressione del gene. APLOTIPI. In alcuni casi possiamo andare a studiare direttamente il polimorfismo che riteniamo responsabile della variazione della risposta ai farmaci, in questi casi stiamo facendo uno studio genico diretto. In molti casi possiamo
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utilizzare alcuni polimorfismi come biomarkers, questi polimorfismi non sono implicati direttamente nella varibilità della risposta al farmaco, ma fanno parte di un aplotipo in cui è presente il polimorfismo responsabile della variabilità. Per capire meglio cos’è un aplotipo facciamo quest’esempio: abbiamo due alleli, se vengono trasmessi in maniera indipendente li troveremo nella progenie in parti uguali, quando invece vediamo che vengono trasmessi insieme significa che sono legati. Il linking disequilibrium indica la variazione che c’è tra la sequenza attesa (random) e la sequenza osservata (non random). Un aplotipo non comprende solo due alleli legati, ma spesso sono molti di più. In alcuni casi la variazione della risposta ai farmaci fa parte di un aplotipo e ciò consente di studiare alcuni SNPs semplicemente come marker, cioè indicatori che non sono direttamente responsabili della variazione dell’effetto di quel farmaco ma sono un indicatore della presenza di quell’allele. In molti casi l’allele è sconosciuto e per individuarlo bisogna sequenziare la regione di genoma che comprende lo SNPs marker e andare ad individuare il polimorfismo responsabile della variazione al farmaco. In questa figura abbiamo rappresentato in alto il DAT, il trasportatore della dopamina e in basso MRP2 che è una proteina di trasporto. In blu sono mostrati i polimorfismi sinonimi, che sono numerosi nel DAT. In MRP2 troviamo una notevole presenza di polimorfismi non sinonimi, che invece non sono presenti in DAT perché sono stati eliminati dalla pressione evolutiva.
In quest’altra immagine possiamo vedere tratti monogenici e multigenici coinvolti nella variabilità della risposta ai farmaci. Alcuni caratteri monogenici che abbiamo già considerato sono: Glucosio 6-fosfato deidrogenasi, CYP2D6debrisochina, normal-metiltransferasi. In un carattere monogenico, nel caso più semplice abbiamo due alleli e come vediamo nell’immagine uno codifica per un enzima a bassa attività e l’altro per un enzima ad elevata attività, per
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esempio un enzima biotrasformativo. La glucosio 6-fosfato deidrogenasi non è un enzima biotrasformativo, ma anche in questo caso i polimorfismi determinano alta o bassa attività. Ovviamente abbiamo più alleli per uno stesso gene, noi stiamo facendo un esempio considerando il caso più semplice: un gene con 2 alleli. I genotipi possibili sono solo 3: omozigote per ognuno dei due alleli e l’eterozigote. Questi genotipi fenotipicamente saranno diversi, per cui avremo un fenotipo con alta attività enzimatica, uno con bassa attività e uno con attività intermedia. Quindi quando si tratta di caratteri monogenici il riconoscimento è facile. Ma nella maggior parte dei casi gli alleli sono tanti e quindi avremo tanti polimorfismi, siano essi sinonimi o non sinonimi, e ognuno di questi può avere o non avere un impatto funzionale. Ci sono anche dei casi in cui più polimorfismi coesistono e quindi la situazione diventa più complicata. Il discorso si complica notevolmente quando consideriamo invece i caratteri multigenici e la presenza di più alleli. Nell’immagine nella pagina precedente vediamo come esempio il rischio trombotico. Il rischio trombotico può essere misurato in laboratorio, con il tromboelastogramma. Ci sono delle tecniche in laboratorio che bilanciano un parametro anche quantitativo, per esempio gli dai il tempo di protrombina e altro. Il risultato di questi tests però dipende da una serie di fattori. I geni responsabili della variazione della risposta ai farmaci in senso pro-trombotico sono tanti e tanti sono anche gli alleli coinvolti in tal senso. Per gli anticoagulanti orali ci sono almeno due geni che devono essere studiati in soggetti che devono essere sottoposti a questi trattamenti. Nell’esempio mostrato nella figura precedente (Multigenic trait) abbiamo 4 geni con un numero di alleli diverso. Fino agli anni ’80 si partiva dal dato fenotipico e si arrivava a studiarne la base genetica, si considerava inizialmente la familiarità per esempio e poi si faceva la sequenza del DNA con i mezzi allora disponibili. Se invece iniziamo il nostro studio partendo dal DNA, una volta che abbiamo individuato il polimorfismo e tutti i suoi alleli, non abbiamo ancora informazioni sull’impatto funzionale. Per averle possiamo seguire tre vie. La prima cosa da fare è transfettare la variante genica che vogliamo studiare in una coltura cellulare attraverso tecniche di mutagenesi sito-diretta e quindi studiare il comportamento della proteina espressa in queste cellule. Per esempio per un polimorfismo abbiamo 15 alleli, facciamo la transfezione in 15 colture diverse e studiamo l’espressione. In quest’immagine è mostrato OCT (Organic Cationic Trasporter), che è un trasportatore che partecipa anche al trasporto di alcuni neurotrasmettitori. In ascisse nel grafico è indicata una serie di varianti del trasportatore che sono state espresse in delle cellule e in vitro si misura uptake del substrato MPP+. OCT1 in rosso rappresenta il wild-type e vediamo che l’uptake è del 100%, poi considerando le diverse varianti notiamo che alcune hanno un’attività che è simile a quella del wild-type, mentre altre hanno un’attività che è doppia (OCT1S14F) oppure molto più bassa, per esempio OCT1-G465R. In quest’altra immagine vediamo uno studio identico al precedente effettuato sulle varianti del trasportatore dei nucleotidi CNT3. Si studia in questo caso l’uptake di un substrato radioattivo e si vede che l’attività delle varianti è quasi uguale a quella del wild-type per tutte, fatta eccezione della variante Gly387Arg, che ha un’attività molto più bassa.
Questo è il metodo di studio funzionale della variante genica. Poi abbiamo un metodo preliminare che viene utilizzato soprattutto quando bisogna fare uno studio genomico, per esempio voglio individuare degli SNPs all’interno dell’intero genoma con un vasto impiego di proteine, per questo tipo di studio utilizzare il metodo visto prima diventerebbe troppo difficile. Esistono dei software che predicono le variazioni della struttura delle proteine in funzione delle variazioni degli aminoacidi della sequenza. In questo modo si possono capire quali sono le ripercussioni delle variazioni sulla funzione della proteina. Consideriamo per esempio una proteina enzimatica, le variazioni che non sono sul sito catalitico avranno un impatto minore rispetto alle variazioni che si trovano all’esterno o sul sito catalitico. Questi sono studi chimici con cui si predice quale può essere la modificazione della funzione della proteina considerando dove la variazione cade e come modifica la conformazione della stessa proteina. Dopo si passa agli studi in vitro come abbiamo visto prima e possiamo considerarli studi di secondo livello.
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Il terzo livello di questi studi è quello fatto in vivo, nel paziente andando a vedere la correlazione tra genotipo e fenotipo, cioè dobbiamo andare ad identificare il polimorfismo del difetto enzimatico e andare a verificare se effettivamente i metaboliti di quel farmaco sono più elevati rispetto a quelli di un soggetto wild-type. Questo è lo studio clinico che è la tappa finale. Oggi molti medici in Italia e nel resto di Europa sono un po’ scettici nel considerare gli effetti che una base genetica individuale può avere sulla risposta ai farmaci, anche perché non ci sono studi clinici che lo confermano. I farmaci vengono studiati prima di essere immessi sul commercio, ma è il medico che deve ragionare e sistemare le dosi a seconda dei casi, perché anche in questi casi non ci sono studi clinici. Le agenzie regolatorie dei farmaci sono ancora indietro rispetto agli studi di farmacogenetica, probabilmente nei prossimi anni vedremo una serie di provvedimenti regolatori che terranno conto delle acquisizioni farmacogenetiche. In America in alcuni farmaci ci sono comunque delle avvertenze, che non hanno la forza di una raccomandazione, ma che per esempio avvertono il paziente di una possibile inefficacia del farmaco. Ora consideriamo un grafico teorico su 3 varianti geniche: 1. wild-type (in rosso) 2. variante A con Km aumentata, maggiore è il valore di Km minore è l’affinità dell’enzima per il substrato. Nota: la Km è la concentrazione di substrato per la quale si raggiunge la metà della velocità di reazione ed è espressione dell’affinità dell’enzima per il substrato.
3. variante B con Vmax diminuita mentre Km è rimasto invariato. Vmax è espressione della quantità di enzima e quando si riduce molto probabilmente si ha una riduzione dell’espressione della proteina, molto spesso questo è dovuto a polimorfismi che cadono nella regione del promotore e cambiano il livello di trascrizione. In questo grafico evidenziamo la percentuale di polimorfismi che ritroviamo nella specie umana. Possiamo vedere che la maggior parte dei polimorfismi è intronica ed intergenica, mentre sono presenti in percentuali più basse i polimorfismi nelle regioni codificanti e regolative.
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Consideriamo ora l’impatto che può avere un polimorfismo a livello intronico. Consideriamo il gene polimorfico CYP3A5. L’allele polimorfico 3 presenta uno SNP nell’introne compreso tra l’esone 3 e l’esone 4 che da luogo all’inserzione di un extraesone (3B), che introduce uno stop codon e quindi si ha una proteina troncata che in questo caso non è funzionale. A questo punto facciamo una biopsia epatica e andiamo a studiare la capacità che hanno gli epatociti in vitro di idrossilare il midazolam considerando i 3 genotipi possibili (grafico C): 1. 1/1 (genotipo omozigote selvatico) ha un’attività enzimatica elevata, 2. 3/3 (omozigote mutato) registra un’attività di idrossilazione completamente compromessa, 1/3 (l’eterozigote) ha un’attività intermedia.
3.
In vivo studiamo il metabolismo del tacrolimus. Andiamo a vedere il grafico D che mostra la concentrazione plasmatica di tacrolimus per i 3 genotipi e vediamo che è molto più elevata nell’omozigote per la variante. Questo è dovuto ad un metabolismo notevolmente ridotto del farmaco in questi individui.
Consideriamo l’AUC per gli inibitori della pompa protonica (H+/K+), tra questi consideriamo il pantoprazolo, omeprazolo e altri. In genere questi sono farmaci antiulcera. Questi farmaci vengono metabolizzati dal CYP 2C19. Nel primo grafico abbiamo l’AUC, che è data dal prodotto: conc. plasmatica*tempo, infatti viene espressa come ng/ml per ora e non esprime altro che l’attività dell’enzima. L’AUC è rappresentata per il metabolizzatore rapido omozigote (in rosso), il metabolizzatore rapido eterozigote (in viola) e il metabolizzatore povero in blu. L’AUC è più bassa nel metabolizzatore rapido omozigote (homEM), mentre il metabolizzatore povero (PM), ovvero quello che ha la variante genetica mutata in omozigosi l’AUC è più alta perché il metabolismo è più lento. Il secondo grafico mostra l’impatto sul pH gastrico dei 3 genotipi. Normalmente questi farmaci inibiscono la pompa protonica e quindi si innalza il pH dello stomaco, questo è proprio il meccanismo anti-ulcera. Se consideriamo le 3 varianti notiamo che i valori di pH sono più alti dopo somministrazione ad un soggetto con la variante PM così come la percentuale della cura è più alta per questa variante rispetto alle altre. Questo è un caso in cui la variante genica di un enzima ha un risvolto clinico che è vantaggioso, infatti la percentuale di guarigione è maggiore in quei soggetti che hanno un metabolismo più lento per gli inibitori della pompa protonica. Un esempio di variabilità della risposta ai farmaci di origine multigenica è quello che riguarda gli anticoagulanti orali. Gli anticoagulanti si dividono in 2 categorie:
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1. Gli anticoagulanti classici, come per esempio l’eparina e le eparine, che devono necessariamente essere somministrati per via iniettiva, 2. Gli anticoagulanti orali, che si prendono per bocca e sono anticoagulanti di tipo cumarinico, tra cui il wafaril e il cenocumarolo. Questi sono farmaci di comune impiego e oggi sono gli unici due ad essere utilizzati. Gli anticoagulanti vengono utilizzati anche nei soggetti giovani, per esempio un soggetto con una frattura alla gamba viene ingessato e si somministra un anticoagulante per evitare il rischio di trombosi venose profonde. Il trattamento con farmaci per os è più comodo rispetto alla forma iniettabile, di solito nella terapia si comincia con quelli iniettabili perché hanno un effetto più rapido e poi si continua con quelli per os. Un grosso problema degli anticoagulanti orali è che il loro effetto risulta estremamente variabile da individuo ad individuo. Il rischio dell’effetto variabile può essere: assenza d’effetto o effetto eccessivo, che significa rischio emorragico. Nei soggetti che sono sottoposti a trattamento anticoagulante si monitora un parametro INR (International Normalize Ratio), che corrisponde al rapporto tra il tempo di protrombina e il tempo di protrombina di riferimento. In un soggetto normale, non sottoposto a trattamento si ha INR=1, nel paziente sottoposto a trattamento INR aumenta e di solito ha valori intorno a 2 e 3. Nei soggetti con protesi valvolari artificiali si utilizzano questi farmaci e INR ha valori ancora più elevati, intorno a 4, se i valori di INR diventano superiori a 4 comincia ad esserci un rischio di emorragie, se si arriva a valori di 6 o 8, o addirittura 10 c’è il rischio di un’emorragia importante. La risposta a questi farmaci è variabile sia per ragioni di natura ambientale che per ragioni di natura genetica. Gli anticoagulanti orali sono antagonisti della vitamina K. La vitamina K è importante per produrre fattori della coagulazione funzionanti. I fattori della coagulazione sono delle proteine e alcune di questesubiscono delle
modificazioni post-traduzionali, cioè dopo che la proteina è stata prodotta i residui di ac. glutammico vengono carbossilati e l’enzima che catalizza la -carbossilazione ha bisogno della vitamina K ridotta come cofattore. Nella carbossilazione la vitamina K si ossida. L’epossido reduttasi ricarica la vitamina K riducendola e rendendola nuovamente disponibile come cofattore per un'altra carbossilazione. Gli anticoagulanti orali sono antagonisti dell’epossido reduttasi. La vitamina K è presente nelle verdure a foglia larga e in altri alimenti, se viene consumata cotta viene inattivata, mentre viene assunta se gli alimenti che la contengono vengono consumati crudi. Quindi l’effetto di questi farmaci varia in relazione alla dieta ed è per questo motivo che i medici spesso consigliano di non assumere questi alimenti se crudi. Questo è il principale motivo esterno che incide sull’efficacia del farmaco, a questo bisogna aggiungere il fattore farmacogenetico ovvero i polimorfismi del gene dell’epossido reduttasi. Alcuni di questi polimorfismi possono aumentare il rischio di emorragia, si tratta di casi in cui l’enzima è meno efficiente; quindi se in soggetti che hanno questi polimorfismi somministriamo la stessa dose di anticoagulanti orali che somministriamo ad un soggetto normale determineremo emorragia. C’è un altro polimorfismo che influenza la farmacocinetica di questi farmaci, si tratta di un polimorfismo che riguarda il citocromo CYP2C9. Questi polimorfismi possono ridurre l’ossidazione di questi farmaci e quindi prolungarne l’emivita e quindi aumentare il rischio di emorragia. Quindi tutti quelli che abbiamo visto sono polimorfismi che determinano una diversa risposta alla stessa dose di anticoagulante orale. Questi anticoagulanti che hanno anche molteplici interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche con altri trattamenti. Una tipica interferenza che può provocare emorragia è dovuta al fatto che questi farmaci hanno un’affinità di legame per le proteine plasmatiche molto elevata, se vengono spiazzati da un altro farmaco la concentrazione libera aumenta ed ecco che cresce il rischio di emorragia. Concludendo i polimorfismi che dobbiamo considerare sono quelli del gene che codifica per l’epossido reduttasi della vitamina K (VKO-RC1) e quelli per il citocromo CYP-2C9. Negli Stati Uniti è in corso uno studio clinico di fase III in cui stanno valutando la validità di tests genetici in soggetti che stanno facendo un trattamento con anti-coagulanti orali, cioè si va a vedere se le emorragie sono più frequenti in soggetti che prendono gli antagonisti della vitamina K e non fanno l’esame genetico rispetto a soggetti in cui la dose degli anticoagulanti viene stabilita in base alla variabilità genetica. Quindi si valuta in questi due gruppi
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l’incidenza e la gravità dell’emorragia. Le emorragie gravi, per esempio quelle che riguardano il SNC, si possono manifestare con una frequenza di circa il 3%. Un esempio di deficit enzimatico su base genetica è quello che riguarda l’acetilazione dell’isoniazide, un farmaco anti-tubercolare. Si tratta di un carattere monogenico. Il deficit riguarda la Normal-metil trasferasi che acetila l’isoniazide. I polimorfismi a carico di questa acetilasi determinano la presenza di acetilatori rapidi o acetilatori lenti. Il problema riguarda principalmente gli acetilatori rapidi perché possono formare una notevole quantità di metaboliti che possono risultare molto tossici, mentre se c’è la presenza degli acetilatori lenti si possono avere problemi di tossicità a carico del SNC da parte dell’isoniazide, perché i livelli di isoniazide restano elevati per più tempo e l’isoniazide che è l’idrazide dell’acido isonicotinico ha un’attività di antagonista della vitamina B6 (piridossina). Gli acetilatori rapidi rappresentano il 40% della popolazione.
AGENTI CAPACI DI PROVOCARE ANEMIA EMOLITICA IN SOGGETTI G6PD CARENTI •
•
Antimalarici – primachina – clorochinina Antidolorifici e antipiretici – acetanilide – acido acetilsalicilico – fenacetina – aminopiridina – acido paraminosalicilico Sulfamidici – Sulfanilamide – Sulfapiridina – Sulfacetamide Sulfoni – Sulfoxone
•
Nitrofuranici
•
Vari
– Nitrofurantoina
Un altro esempio di deficit enzimatico su base genetica riguarda la glucosio 6-fosfato reduttasi. L’assenza di quest’enzima è responsabile della mancata riduzione del glutatione che è un importante anti-ossidante. Gli individui con questo deficit enzimatico se esposti ad alcuni farmaci (mostrati in tabella) sviluppano anemia emolitica.
– Cloramfenicolo
Il clopidogrel è un farmaco antiaggregante piastrinico, in realtà è un pro-farmaco cioè deve – Probenecid essere attivato. Viene somministrato per os, viene assorbito a livello intestinale dove va incontro ad – Blu di metilene un effetto di primo passaggio importante, infatti – Dimercaprolo (BAL) • oltre l’80% del farmaco viene inattivato a livello – Chinidina intestinale. Il farmaco che viene assorbito arriva – Acido nalidixixo al fegato e lì viene metabolizzato dal CYP3A4, • CYP3A5 e CYP2C19, questi citocromi producono il metabolita attivo. Il metabolita attivo si lega alle piastrine, sui recettori purinergici P2RY12. L’agonista endogeno per questi recettori è l’ADP, che è contenuto nei granuli piastrinici ed è liberato in un processo di aggregazione piastrinica. Il clopidogrel è un antagonista dell’ADP e quando si lega al recettore purinergico inibisce l’interazione tra il recettore piastrinico per il fibrinogeno e un’integrina. Le integrine sono proteine per il legame della cellula alla matrice oltre che per contatti cellula-cellula. – Naftalina
Per il CYP2C19 sono stati evidenziati tutta una serie di polimorfismi che determinano: difetti di splicing, introduzione di un codone di stop, perdita del codone di inizio AUG, in alcuni casi si hanno mutazioni non sinonime, uno dei polimorfismi determina anche un aumento dell’espressione del gene e quindi questo è da considerare un polimorfismo favorevole. Tutti i vari casi sono indicati in tabella. La maggior parte di questi polimorfismi determina però una riduzione dell’attività enzimatica e questi casi possono portare a perdita dell’efficacia clinica del clopidogrel e ciò viene rilevato in circa il 15% dei soggetti sottoposti a trattamento. Facendo un test genetico molto semplice è possibile evidenziare la presenza di un eventuale polimorfismo che porterebbe all’inattivazione del farmaco. Il clopidogrel è un farmaco salvavita che viene somministrato a quei pazienti che hanno avuto già un problema importante, come trombosi cerebrali o coronariche, pertanto è importante sapere se quel paziente presenta un polimorfismo che renderebbe il farmaco inattivo. Oggi esistono farmaci più nuovi che non vanno incontro a questo problema, uno di questi è il prasugrel, che è già registrato in Italia ed è anch’esso un pro-farmaco ma va incontro a meccanismi di attivazione
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diversi da quelli del clopidogrel e quindi non si presentano i problemi legati al polimorfismo del CYP2C19. Il ticagrelor è un antipiastrinico orale che non richiede attivazione.
FATTORI NON GENETICAMENTE DETERMINATI.
Peso corporeo e massa grassa sono due fattori che influenzano la farmacocinetica, infatti influenzano il volume di distribuzione. La maggior parte dei farmaci sono lipofili e quindi tendono a distribuirsi principalmente al tessuto adiposo, tanto maggiore è la massa grassa negli individui tanto più elevato sarà il volume di distribuzione di questi farmaci. Esistono però anche alcuni farmaci che si distribuiscono alla “massa magra”, cioè alla massa muscolare, che è maggiore nei giovani rispetto agli anziani. Per misurare quantitativamente la presenza di massa grassa utilizziamo un parametro, il Body Mass Index (BMI), che è dato dal rapporto del peso corporeo espresso in Kg sul quadrato dell’altezza espressa in metri. I valori di BMI possono essere così classificati:
BMI
CLASSI DI OBESITA’
< 18 18.5-25 >25 30-35 35-40 >40
sottopeso Normopeso Sovrappeso Obesità I grado Obesità II grado Obesità grave*
*Obesità Grave: deve essere trattata e a volte i trattamenti farmacologici non sono sufficienti e quindi si ricorre a quelli chirurgici.
E’ indice del metabolismo e della massa corporea anche la circonferenza dell’addome, i valori normali per le donne devono essere inferiori a 88cm mentre per gli uomini inferiori a 102cm.
Età Dieta Patologia Fattori psicologici.
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ADR ( Adverse Drug Responses). Tutto ciò che abbiamo detto per la variabilità ai farmaci dobbiamo considerarlo sia per l’impatto sull’effetto terapeutico che sulle reazioni avverse. Le reazione avverse ai farmaci sono indicate dall’acronimo ADR (Adverse Drug Responses) e comprendono sia gli effetti collaterali che gli effetti tossici. L’effetto collaterale è quello che si manifesta normalmente, si chiama collaterale perché è un effetto diverso dall’effetto principale del farmaco ma che si manifesta con esso, per esempio la sonnolenza provocata dagli antistaminici. Molto spesso l’effetto collaterale rientra nella farmacodinamica e generalmente si manifesta alle dosi terapeutiche. Per esempio in alcuni soggetti anche dosi molto basse di aspirina determinano fenomeni di intolleranza gastrica, che è un effetto collaterale. L’effetto tossico invece si ha quando le concentrazioni plasmatiche raggiungono le concentrazioni tossiche e questo può verificarsi o per un sovradosaggio, ma è raro, o come accade nella maggior parte dei casi, per fenomeni di variabilità della risposta ai farmaci. Quindi gli effetti tossici molto spesso sono dovuti a fattori farmacogenetici oppure ad una variabilità della risposta ai farmaci per cause di natura esterna o per interazioni tra farmaci. Le ADR possono essere distinte in: 1. reazioni avverse prevedibili, sono gli effetti collaterali che sono prevedibili e previsti e di solito sono dosedipendenti, si comportano quindi come l’effetto farmacologico, più alta è la dose più alto è l’effetto anche se si tratta di un effetto indesiderato. Per esempio se aumentiamo la dose di antistaminico aumenta la sonnolenza, se aumentiamo la dose di anticoagulante aumenta il rischio di emorragia. Queste reazioni sono legate alla farmacodinamica di un farmaco. 2. reazioni avverse non prevedibili, non sono dose-dipendenti e sono reazioni maggiormente legate all’individuo, in alcuni si presentano mentre in altri no. In alcuni casi queste reazioni vengono considerate effetti paradosso, quando si hanno effetti opposti rispetto a quelli desiderati. In altri casi possono essere delle reazioni su base farmacogenetica. Per esempio consideriamo la carenza di glucosio 6-fosfato deidrogenasi che causa l’emolisi anche in soggetti che assumono dosi molto basse di farmaci ossidanti, questa è una reazione imprevedibile ed è dose indipendente. Grande sensibilità o completa insensibilità ad alcuni farmaci, per esempio il clopidogrel se viene somministrato a soggetti che hanno un polimorfismo che determina la mancata attivazione del farmaco non si avrà effetto anche aumentando la dose. Le reazioni su base immunologica, cioè la reazioni allergiche, vengono anche considerate delle reazioni imprevedibili e dose indipendenti.
VARIABILITA’ DELLA RISPOSTA AI FARMACI LEGATA ALL’ETA’. Nelle persone anziane è importante valutare questa variabilità perché sono coloro che assumono il maggior numero di farmaci, spesso assumono diversi farmaci giornalmente (anche 5-6), in questo caso si parla di polifarmacia. Inoltre nella persona anziana diverse funzioni, come quella epatica, quella renale sono ridotte. Consideriamo alcune caratteristiche farmacocinetiche modificate negli anziani, per esempio l’assorbimento dei farmaci in generale è ridotto nei soggetti anziani a causa dell’atrofia e riduzione delle superfici di assorbimento a cominciare dalla mucosa intestinale. Se si riduce la superficie assorbente sono ridotte anche le secrezioni dei succhi digestivi, in particolare degli enzimi digestivi. Con la riduzione della secrezione gastrica, si innalza il pH gastrico e quindi quei farmaci che sono acidi deboli che vengono assorbiti normalmente a livello gastrico, verranno assorbiti in quantità minore perché a pH più alto ci sarà una minore concentrazione di forma non ionizzata del farmaco. Anche la riduzione del flusso ematico intestinale e della mobilità favoriscono una riduzione dell’assorbimento. La distribuzione dei farmaci è alterata nel soggetto anziano. I motivi possono essere svariati: • • • •
•
La distribuzione in genere aumenta negli anziani perché aumenta la massa grassa e si riduce la massa magra, di fatto si riduce l’acqua corporea totale e aumenta il grasso. Si ha riduzione della gittata cardiaca. Alterazione dei processi di assorbimento interno. Alterazione della composizione delle proteine plasmatiche. La concentrazione delle proteine plasmatiche, di solito negli anziani diminuisce perché diminuisce la funzione epatica. Abbassandosi la conc. delle proteine plasmatiche si riduce anche la quota di farmaco ad essa legato. Aumento della concentrazione di 1-glicoproteina acida, quindi i farmaci che si legano a questa proteina circolante avranno una percentuale maggiore legata a questa proteina poiché è presente a concentrazioni maggiori.
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Il metabolismo o biotrasformazione dei farmaci in genere è ridotto nei soggetti anziani e ciò produce un aumento dell’emivita della maggior parte dei farmaci. Questo può essere dovuto a: • •
Riduzione della massa epatica e della circolazione del fegato Alterata produzione di enzimi microsomiali e non-microsomiali.
L’escrezione in un soggetto anziano è ridotta perché è ridotta la funzionalità renale, nei soggetti anziani infatti è ridotta: • • •
La filtrazione renale, Il flusso ematico renale E anche la secrezione, per cui farmaci che vengono eliminati per filtrazione glomerulare e quelli che vengono eliminati per filtrazione e secrezione avranno un’eliminazione ridotta.
Quindi in un soggetto anziano si ha aumentata distribuzione, diminuita biotrasformazione, diminuita escrezione renale e tutti questi parametri tendono a produrre un aumento dell’emivita del farmaco. Questo vale per la maggior parte dei farmaci. Le reazioni avverse ai farmaci aumentano nell’anziano per due ragioni principali: 1. Perché si ha una tendenza all’aumento dell’emivita e quindi dell’AUC 2. a causa della polifarmacia, ovvero l’uso di più farmaci per trattare più patologie contemporaneamente. Si stima che la probabilità di un’interazione farmacologica tra 2 farmaci sia del 6%, se si assumono 5 farmaci contemporaneamente la probabilità arriva al 50%. Se si assumono più di 8 farmaci si ha la certezza che c’è almeno un’interazione farmacologica.
INTERAZIONI TRA FARMACI Le interazioni tra farmaci possono essere: farmacodinamiche, cioè fenomeni di antagonismo o sinergismo fisiologico, cioè non a livello dello stesso recettore ma della stessa funzione fisiologica, se noi per esempio somministriamo due farmaci, uno che aumenta il battito cardiaco e l’altro che lo rallenta avremo un antagonismo fisiologico. Per esempio farmaci che agiscono sulla coagulazione e sull’aggregazione piastrinica o farmaci antinfiammatori, come l’aspirina, possono ridurre l’aggregazione piastrinica, se vengono associati ad un anticoagulante si avrebbe un sinergismo fisiologico e quindi si aumentarebbe il rischio di emorragia. farmacocinetiche, sono le più comuni e anche le più pericolose. Sono molto importanti quando riguardano il metabolismo, per esempio l’induzione e l’inibizione metabolica. L’induzione è un fenomeno genico, mentre l’inibizione non è un fenomeno genico ma è diretto all’attività enzimatica. Le interazioni farmacocinetiche possono riguardare anche: - l’assorbimento, per esempio per l’assorbimento orale i farmaci che aumentano la motilità intestinale, determinando accelerazione o la diminuzione della motilità, possono aumentare o diminuire l’assorbimento di un altro farmaco somministrato per os. In fase di assorbimento orale altri parametri che possono modificarlo sono: Modificazioni del pH gastrico, Neutralizzazione, Alterazioni della mucosa gastrointestinale, Inibizione della flora batterica. In fase di assorbimento parenterale è importante considerare le modificazioni del flusso ematico, determinate per esempio da anestetici locali o adrenalina. - la distribuzione e in particolare il legame alle proteine plasmatiche, un farmaco infatti può spiazzare un altro farmaco; - l’escrezione, per esempio i diuretici possono aumentare l’escrezione di altri farmaci. farmaceutiche, sono delle interazioni dirette tra due diversi farmaci che si possono manifestare all’esterno dell’organismo e in genere sono ben specificate, per esempio farmaci che non si possono associare nella stessa siringa. Le interazioni farmaceutiche rappresentano un po’ lo stesso fenomeno dell’antidotismo, per cui due farmaci messi insieme interagiscono e quindi si annulla l’effetto di entrambi.
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Lezione 13 Farmacologia Generale VARIABILITA’ DELLA RISPOSTA AI FARMACI Considerazioni di farmacologia pediatrica I bambini non si devono considerare dei piccoli adulti ma hanno delle caratteristiche proprie legate ai normali processi di crescita. Per esempio modifiche per quanto riguarda quantità di massa magra e massa grassa, struttura dell’apparato gastroenterico come la velocità di transito gastrico e enterico, oppure differenze nella quantità di proteine plasmatiche. Perciò ci sono cambiamenti che riguardano le 4 fasi farmacocinetiche. Assorbimento: (i farmaci di norma sono sperimentati negli adulti per cui abbiamo meno informazioni per quanto riguarda la somministrazione dei farmaci nei bambini). Nei bambini piccoli (dalla nascita alla pubertà si estende l’età pediatrica) lo svuotamento gastrico è molto più prolungato rispetto agli adulti, soprattutto nei neonati. Nei bambini il pH dello stomaco è più acido quindi si tende ad assorbire maggiormente dei farmaci come gli acidi deboli perché maggiore è la quota indissociata, invece i farmaci basici sono meno assorbiti. Inoltre il tempo di transito intestinale variabile influenzerà la velocità d’assorbimento. E’ importante invece l’assorbimento tramite la pelle perché nei bambini la pelle è più sottile, inoltre è importante il rapporto tra superficie corporea e massa corporea infatti per una legge geometrica la superficie cresce secondo il quadrato mentre il volume secondo il cubo. I bambini che sono più piccoli hanno un rapporto superficie/volume che è più grande rispetto al rapporto superficie/volume degli adulti. Questo insieme al fatto che l’epidermide è meno spessa nei bambini fa sì che quando noi applichiamo localmente i farmaci possiamo avere un assorbimento sistemico del farmaco. Questo bisogna soprattutto tenerlo presente nella somministrazione di creme a base di cortisonici. La massa muscolare nei bambini più piccoli è meno sviluppata rispetto agli adulti ed è anche meno vascolarizzata quindi la quantità di assorbimento dopo iniezione Intramuscolare è leggermente più bassa rispetto all’adulto. Distribuzione: nei bambini il rapporto massa magra/massa grassa varia in maniera caratteristica infatti un bambino appena nato ha una massa grassa ridotta (circa 12%), poi diventa paffutello fino all’anno d’età (infatti la massa grassa ad un anno è circa il 30%), si mantiene così fino ai 2 anni e poi diminuisce di nuovo gradualmente e intorno ai 5-6 anni ritorna al 12 %. Ovviamente questi parametri influenzano il volume di distribuzione perciò per un farmaco lipofilo la quantità che si trova nel sangue sarà tanto maggiore quanto minore è la massa grassa cioè la distribuzione dei farmaci liposolubili sarà maggiore dove maggiore è la massa grassa questo perché se la distribuzione aumenta la quantità circolante diminuisce, più grande è il volume di distribuzione e minore è la quantità circolante e viceversa. Il ragionamento è opposto per quei farmaci che si distribuiscono alla massa magra cioè alla massa muscolare ma sono pochi. Per quanto riguarda il legame alle proteine nei bambini piccoli si ha una diminuzione nella disponibilità e nella capacità di legame delle proteine plasmatiche e quindi un aumento della concentrazione di farmaco non legato cioè quella componente che esercita l’azione farmacodinamica. Un’altra considerazione importante riguarda lo sviluppo della barriera emato-encefalica che è poco sviluppata nei bambini. Questa completa il suo sviluppo intorno ai 2 anni d’età. Nei neonati e nei prematuri soprattutto non è sviluppata e porta a delle conseguenze importanti. La barriera protegge il cervello da molte sostanze come dei cataboliti quali l’urea, l’ammonio che pian piano sono eliminate. Ma protegge anche da sostanze come un catabolita tipico, la bilirubina, prodotto finale del catabolismo dell’eme. La bilirubina è parzialmente idrosolubile e per essere eliminata è coniugata con l’acido glucuronico. Nei neonati si osserva l’ittero fisiologico che dipende dal fatto che la bilirubina non è smaltita in maniera efficace perché gli enzimi epatici non sono sufficientemente attivi in particolare qui parliamo della glucuroniltransferasi. Perciò si accumula bilirubina nel sangue e si viene depositata per esempio nella pelle dando alla pelle il colore giallastro. Non è un fenomeno preoccupante se non quando la quantità di bilirubina è elevata e si prolunga nel tempo per cui non essendoci la barriera emato-encefalica sviluppata può portare al passaggio nel SNC con danni importanti di conseguenza. In età successiva, cioè dopo i 2 anni, la somministrazione di alcuni farmaci può determinare passaggio di cataboliti di farmaci attraverso la barriera e questi si depositano nel SNC. Questo fenomeno si può verificare per un antibiotico chiamato CLORANFENICOLO, è un chemioantibiotico ormai non più registrato. Era però molto efficace, da noi non si usa più perché nei bambini passando la barriera emato-encefalica può determinare la Sindrome Grigia, una encefalopatia in cui il bambino ha disturbi respiratori, cianosi, dispnea e la cute assume un colore grigio. E’ dovuta al fatto che il cloranfenicolo non è ben coniugato, non è eliminato e a livello elevato passa la barriera dando questi danni. Il fatto che la barriera non è ben sviluppata talvolta è sfruttato per esempio per curare meningiti e far passare facilmente i farmaci. Un altro punto importante è la competizione per i siti di legame proteici cioè competizione tra alcune sostanze endogene come la bilirubina e farmaci perciò ci possono essere livelli liberi di farmaci più elevati.
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Biotrasformazione: nei bambini c’è una diminuita attività degli enzimi epatici e vale sia per gli enzimi di fase 1 che per quelli di fase 2. Quindi questo può determinare effetti tossici. Eliminazione: soprattutto consideriamo l’eliminazione renale. Nei bambini la filtrazione glomerulare è inferiore del 3050% rispetto agli adulti il che determina un allungamento dell’emivita dei farmaci escreti mediante filtrazione glomerulare. Un fatto importante riguarda anche la secrezione tubulare che dipende dal flusso ematico renale e dal numero di cellule del tubulo. I nefroni nei bimbi piccoli non sono ben sviluppati, i tubuli sono più corti, il flusso ematico renale è minore,i trasportatori non sono attivi per cui i processi di secrezione sono ridotti il che conduce a una più lunga emivita dei farmaci escreti mediante secrezione tubulare. Il pH delle urine nella prima infanzia è più acido ed è costante giorno e notte mentr negli adulti il pH è più basico di giorno e più acido di notte (sono variazioni lievi perché comunque il pH è sempre acido, ma varia come più o meno acido). Questo ha conseguenze sulla quota dei farmaci che viene riassorbita perché farmaci acidi saranno riassorbiti maggiormente in urine acide perciò si trovano di più in forma indissociata.
REAZIONI AVVERSE AI FARMACI Sono reazioni indesiderate. Sono indicate con l’acronimo ADR dall’inglese adverse drug reaction . Sono patologie caratterizzate da manifestazioni cliniche estremamente variabili sia per la sintomatologia che il decorso e la prognosi: multiformi, eterogenee, talvolta imprevedibili. Coinvolgono meccanismi farmacologici, immunologici, genetici. Definiamo innanzitutto cos’è l’effetto collaterale e la reazione avversa. L’ effetto collaterale è qualsiasi effetto non intenzionale di un farmaco che insorge in seguito a uso dello stesso come prescritto nelle condizioni e alle dosi indicate. Sono effetti prevedibili, infatti sono indicati nel foglietto illustrativo. Sono legati alla proprietà farmacodimanica del principio attivo. Per esempio secchezza delle fauci da farmaci anticolinergici come il buscopan, è un antispatico, è la scopolaminametilbromuro ma non agiscono solo a livello addominale e portano a secchezza delle fauci oppure se agiscono a livello congiuntivale portano secchezza congiuntivale detta serotomia. Un altro esempio di effetto collaterale è la sonnolenza portata dagli antistaminici perché agiscono sui recettori H1 a livello del SNC. Gli effetti collaterali per la maggior parte sono lievi, come nausea, vomito, ecc., pochi sono quelli gravi. Queste sono dette reazioni avverse di tipo A perché sono prevedibili, connesse alla farmacodinamica e dose-dipendenti. Le reazioni avverse sono risposte NON prevedibili nei singoli individui e non nella popolazione generale. Per esempio una reazione allergica di tipo anablastico è una reazione non correlata al meccanismo d’azione del farmaco, è una reazione avversa di tipo B , non dose-dipendente,non correlate al meccanismo d’azione del farmaco e difficilmente prevedibili perchè riguardano un piccolo numero di pazienti. Possiamo avere reazioni avverse lievi e reazioni avverse gravi. Quindi se vi chiedo cos’è una reazione avversa mi dovete dire quello che abbiamo detto finora. Se vi chiedo cos’è una reazione avversa grave è una reazione che rientra in una di queste 5 categorie: qualsiasi evento che 1) metta in pericolo di vita il paziente(come lo shock anafilattico,se trattato in tempo non muore ma sul momento rischia la vita); 2) richieda o prolunghi l’ospedalizzazione(un paziente è in ospedale,sta per uscire, gli danno un farmaco e deve restare in ospedale un’altra settimana); 3) determini una persistente o significativa disabilità persistente come una paralisi; 4) provochi morte; 5) determini teratogenesi(un farmaco somministrato in gravidanza determina alterazioni gravi ma compatibili con la vita che danno luogo a patologie gravi permanenti). Quindi ricapitolando: Reazioni avverse tipo A: sono le più frequenti. Comprendono gli effetti collaterali. In pazienti predisposti alle dosi terapeutiche o per alti dosaggi. Prevedibili e a volte evitabili. Quali sono i meccanismi? Possono essere: I. Eccesso dell’azione farmacologica principale: per esempio se prendo una dose eccessiva di benzodiazepine o se si alterano dei parametri farmacocinetici (vecchiaia, giovinezza, interazioni farmacologiche, ecc) si ha un eccesso dell’effetto farmacologico e avremo reazioni avverse di tipo A. II. Effetto collaterale III. Conseguenza di interazioni farmacologiche (es. warfarin e FANS): infatti sono descritte nel foglietto illustrativo del farmaco. Alcune interazioni sono dovute a interazioni a livello di biotrasformazioni riguardanti i citocromi, quindi quello che riguarda la farmaco-induzione o -repressione, lo spiazzamento delle proteine plasmatiche. Reazioni avverse tipo B: sono associate a condizioni predisponenti individuali non conosciute. Imprevedibili e NON dose-dipendenti. Sono raggruppate in:
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I) II) III)
Natura allergica Immunologia (banali o fatali) Idiosincrasia
In effetti la giusta classificazione sarebbe: I) II) III)
Natura allergica-immunologica Idiosincrasia Non su base immunologica ma che si manifestano con la sintomatologia della reazione allergica. Sono reazioni in cui i meccanismi dell’allergia sono messi in movimento senza che ci sia produzione di anticorpi specifici. Sono reazioni anafilattoidi cioè hanno caratteristiche della reazione anafilattica, gli stessi sintomi (broncospasmi, prurito, ipotensione, shock). Per esempio può avvenire per i mezzi di contrasto usati in radiologia.
Reazioni avverse tipo C: aumento della frequenza di un evento spontaneo in una popolazione trattata rispetto alla frequenza nei pazienti non trattati (rischio relativo). Sono reazioni di causa-effetto ma non nell’individuo ma nella popolazione. Aumenta il rischio di un determinato evento avverso. Per esempio un farmaco che induce al suicidio. Si dimostra vedendo che nella popolazione che non assume il farmaco si ha un certo tasso di suicidi, nella popolazione che assume il farmaco il tasso di suicidio aumenta. Oppure farmaci che aumentano il rischio cardiovascolare. Per esempio il rofecoxib è un farmaco ritirato dal commercio, è un inibitore selettivo della COX2 (cicloossigenasi di tipo2) perchè aumentava il rischio cardiovascolare. Per esempio il rimonaban è un farmaco che agisce sui recettori per i cannabinoidi, era un farmaco usato contro l’obesità ma è stato ritirato dal commercio per un aumento di suicidi tra le persone che lo assumevano. Un altro farmaco che agisce nel SNC è la vareniclina, usato per smettere di fumare, non è stato ritirato ma è sottocontrollo.
INTOLLERANZA AI FARMACI Vediamo più in dettaglio le reazioni avverse di tipo B. La Farmaco-intolleranza o ipersensibilità ai farmaci è una risposta anomala o esagerata alla somministrazione di un farmaco in un numero limitato di individui. Sono di 2 tipi: farmacoallergia e idiosincrasia. Spesso imprevedibili ed inevitabili L’idiosincrasia è una risposta abnorme, specifica per un dato farmaco (o un gruppo di f.), imprevedibile, dovuta alle caratteristiche genetiche (v. farmacogenetica) dell’individuo e che si può manifestare sin dalla prima esposizione al farmaco. E’ una reazione normale al farmaco ma come se venisse somministrato a dosi esagerate. Si manifesta a concentrazioni plasmatiche del farmaco che sono uguali a quelle terapeutiche. Un esempio è l’emolisi dopo somministrazione di alcuni farmaci in soggetti con carenza della Glucosio6fosfatodeidrogenasi. Alla base dell’idiosincrasia ci possono essere alterazioni recettoriali, alterazioni enzimatiche. Ma l’idiosincrasia non si manifesta solo come risposta abnorme ma può manifestarsi anche come mancanza di effetto terapeutico ad un farmaco, per esempio se si somministra un profarmaco come il Cropidogrel che deve essere trasformato e mancano gli enzimi per questa trasformazione. L’allergia è una risposta patologica con manifestazioni simili anche per farmaci diversi, con meccanismo immunologico, che non si manifesta alla prima esposizione al farmaco. Rivediamole quindi a confronto:
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IDIOSINCRASIA
FARMACOALLERGIA
È presente dalla nascita
Si può manifestare in qualunque periodo della vita
I farmaci che la provocano NON sono antigeni
I farmaci che la provocano hanno caratteristiche di antigeni o apteni (**)
È presente la relazione dose-effetto(*)
Le manifestazioni allegiche sono in genere doseindipendenti(***)
Terapia con antagonisti quando possibile (specifica per Terapia standard (es. nello shock anaf: adrenalina, cortisonici, ogni farmaco) antiistaminici) Le manifestazioni sono diverse da farmaco a farmaco e spesso ripetono gli effetti del sovradosaggio
Le manifestazioni allergiche sono uniformi (es. shock anafilattico, asma bronchiale) indipendenti dal farmaco
(*) l’idiosincrasia è una reazione di tipo B quindi per definizione dose-indipendente ma qui si dice che c’è relazione doseeffetto perché se somministro una dose di un farmaco varò una reazione, se ne somministro il doppio avrò il doppio della reazione. (**)L’aptene è una molecola di per sé che non riesce a scatenare una reazione immunologica, ha bisogno di un carrier. (***) quindi anche dosi molto piccole di farmaco possono provocare reazioni allergiche molto gravi. Questo è il principio alla base della desensibilizzazione che si compie con i vaccini.
IDIOSINCRASIA Anormale reazione dell’organismo a determinate sostanze. Meccanismo: alterazioni congenite del patrimonio enzimatico (o di recettori) di alcuni individui. Variano a seconda del farmaco assunto, sono dose-dipendenti e possono insorgere dalla prima somministrazione Le alterazioni genetiche responsabili delle risposte tossiche/imprevedibili si manifestano per i seguenti meccanismi: I) Ridotta sintesi enzimatica. ES: Favismo: deficit di glucosio-6 fosfato deidrogenasi (importante per riduzione del glutatione) Assunzione di farmaci “ossidanti” – sulfamidici, aspirina, ecc – e fave determina grave emolisi. Gli eritrociti perdono loro capacità di riduzione e l’assunzione di sostanze ossidanti provoca la formazione di H2O2 che non può essere ridotta. II) Alterata sintesi enzimatica. Apnea da succinilcolina (è un leptocurarico o curarico depolarizzante usato nelle anestesie come miorilassante negli interventi di piccola chirurgia). Altri curarici sono quelli competitivi che sono antagonisti del recettore dell’acetilcolina mentre la succinilcolina è un agonista come l’acetilcolina solo che ha un’associazione sul recettore nicotinico neuromuscolare che dura più a lungo dell’acetilcolina per cui determina una desensibilizzazione rapida del recettore, inizialmente depolarizza e attiva il muscolo scheletrico ma poi desensitizza il recettore. Il farmaco è rimosso dal recettore e degradato dalle pseudocolinesterasi. Alterazione di pseudocolinesterasi, che agiscono per catabolismo dell’acetilcolina. Le pseudocolinesterasi degradano anche altre sostanze come la Dibucaina, usata in laboratorio per determinare il numero di dibucaina cioè l’efficienza di queste esterasi per individuare i soggetti con anomalie genetiche per quest’enzima. Minore affinità per il farmaco Effetto miorilassante prolungato fino ad apnea. III) Proteine trasportatrici alterate (qualitativa e/o quantitativa). Alterazione nella distribuzione di un farmaco.
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Quindi vediamo quali sono gli effetti indesiderati da farmaci su base genetica:
ALTERAZIONE GENETICA
FARMACI COINVOLTI
REAZIONE TOSSICA
Assenza di catalasi eritrocitaria
H2O2
Acatalasia: ulcere cangrenose (bocca)
Paracetamolo, sulfamidici, aspirina, Deficit di G6P-deidrogenasi
Crisi emolitiche vit. K
Carenza di meta – emoglobina - reduttasi(*)
Lidocaina, sulfamidici, nitriti
Cianosi da meta-emoglobinemia
Sconosciuta
Cloramfenicolo (**)
Aplasia del midollo
(*) soggetti che a contatto con farmaci che possono determinare ossidazione dell’emoglobina si verifica la condizione in cui il ferro dell’Hb passa da bivalente a trivalente e quest’ultimo non è in grado di legare l’ossigeno per cui si forma la metaemoglobina che non riesce a trasportare ossigeno. (**) E’ un antibiotico che abbiamo già citato nei bambini per la grey sindrome ma il cloramfenicolo può portare patologie anche negli adulti perché porta tossicità midollare. Ne esistono 2 tipi: reazioni dose-dipendenti di tipo A e reazioni idiosincrasiche, dose-indipendenti. Per cui il cloramfenicolo è stato ritirato dal commercio, si usa solo per uso topico oculare. Ma c’è un altro farmaco simile usato al suo posto, il tiamfenicolo. Vediamo ora i meccanismi alla base della farmacoallergia:
TYPE
NAME
TIME
MECHANISMS
EXAMPLES
I
IgE-mediated hypersensitivity
2-30 min
Ag induces cross-linking of IgE bound to mast cells with release of vasoactive mediators
Systemic anaphylaxis, Local anaphylaxis, Hay fever, Asthma, Eczema
II
Antibody-mediated cytotoxic hypersensitivity
5-8hr
Ab directed against cell-surface antigens mediates cell destruction via ADCC or complement
Blood transfusion reactions, Haemolytic disease of the newborn, Autoimmune Haemolytic anaemia
III
Immune-complex mediated hypersensitivity
2-8hr
IV
Cell - mediated hypersensitivity
24-72h
Ag-Ab complexes deposited at various sites Arthus reaction (Localised); induces mast cell degranulation via Systemic reactions disseminated FcgammaRIII, PMN degranulation damages rash, arthritis, glomerulonephritis tissue Memory TH1 cells release cytokines that recruit and activate macrophages
Contact dermatitis, Tubercular lesions
Le reazioni immunologiche da farmaci rientrano nei 4 tipi di ipersensibilità da farmaco. Quando parliamo di ipersensibilità ci riferiamo a quelle reazioni in cui è implicato il sistema immunitario per le quali il danno che subisce l’organismo è superiore al beneficio. Riconosciamo 2 tipo di immunità: una solubile o da anticorpi e un’immunità cellulo-mediata. I linfociti B producono gli anticorpi e i linfociti T sono responsabili dei processi di immunità cellulo-mediati. In generale le reazioni immunitarie hanno funzioni protettiva ma esistono dei casi in cui le reazioni immunitarie determinano un danno all’organismo portando a reazioni di allergia (reazione sbagliata, esagerata). Le reazioni immunoloiche si riconducono a 4 tipi: 1. LE REAZIONI DI PRIMO TIPO Sono quelle di ipersensibilità immediata infatti si manifestano entro 2-30 minuti successivi al contatto con l’antigene (sostanza riconosciuta come non-self).(Nei primi anni di vita l’organismo produce linfociti verso molte sostanze che gli sembrano antigeni, ma andando avanti per quelle sostanze che capisce sono proprie dell’organismo i linfociti che aveva prodotto sono distrutti per apoptosi, i linfociti prodotti per sostanze estranee davvero sono mantenuti e quando
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incontrano gli antigeni vanno incontro a maturazione e espansione. Di anticorpi ne esistono 5 tipi: IgG e IgM sono gli effettori principali, le IgM intervengono nelle infezioni in prima battuta, le IgG sono coinvolte per l’immunità secondaria; le IgE sono anticorpi che si legano alle MAST cellule, che intervengono nei fenomeni infiammatori e contengono dei granuli in cui si trovano de mediatori dell’infiammazione. In primis l’istamina. Queste reazioni anche se possono sembrare fastidiose sono importanti per esempio nei paesi poveri contro infestazioni da elminti, oppure da acari. Le IgA sono importanti nella saliva, nel latte.) Quindi l’ipersensibilità di primo tipo è imemdiata ed è mediata da IgE legate alle mast-cells. Il meccanismo è quello spiegato da Gell e Coombs (spiegano i meccanismi dei 4 tipi di ipersensibilità). Abbiamo una mast cellula che contiene i granuli, sulla membrana ha legate le IgE, arriva l’antigene, si lega alle IgE, provoca la degranulazione, sono liberati i mediatori e si ha la reazione di ipersensibilità immediata. I sintomi di ipersensibilità di primo tipo sono dovuti ai mediatori primari e ai mediatori secondari:
Molecole
Effetti
Mediatori Primari Istamina
Permeabilità Vascolare, contr. muscoli lisci
Serotonina
Permeabilità Vascolare, contr. Muscoli lisci
ECF-A
chemiotassi degli eosinofili
NCF-A
chemiotassi neutrofili
Proteasi
secrezione muco, degradazione connettivo
Mediatori Secondari Leucotrieni
Permeabilità Vascolare, contrazione muscoli lisci (bronchiali)
Prostaglandine
Vasodilatazione(determina shock cioè caduta della pressione), attivazione piastrine, contrazione
Bradichinina
Permeabilità Vascolare, contrazione muscoli lisci
Citochine
Attivazione dell’endotelio
(*) esistono diversi tipi di shock: emorragico per fuoriuscita di sangue dai vasi e la pressione si abbassa; ipovolemico, per esempio se si è nel deserto e non si beve; cardiotico; settico; traumatico, dovuto a grossi danni tissutali; anafilattico, è la forma più grave e rapida ma benigno perché se si risolve non dà grosse conseguenze. Per intervenire su uno shock anafilattico si usa l’adrenalina che ha un effetto vasocostrittore e uno importante sul cuore perché aumenta la risposta cardiaca. Naturalmente si può usare su un soggetto sano, su un soggetto cardiopatico non si può perché l’adrenalina agisce sui recettori beta del cuore. I beta recettori delle catecolamine del cuore ricordiamo hanno effetto cronotropo positivo (aumenta frequenza), inotropo positivo(aumenta la gittata), dromotropo positivo e batmotropo positivo(aumenta eccitabilità). Ci sono poi altri farmaci di accompagnamento all’adrenalina come cortisonici, antistaminici che vengono dati. Inoltre l’adrenalina ha effetto broncodilatatore. Ovviamente lo shock è l’effetto più grave da ipersensibilità di primo tipo ma ci possono essere effetti minori come l’asma, la rinorrea, l’eritema, la diarrea, la febbre da fieno, congiuntiviti.
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2. LE REAZIONI DI TIPO 2 Sono quelle citotossiche mediate da anticorpi. Gli anticorpi sono diretti contro antigeni cellulari cioè il farmaco si è legato covalentemente alla membrana di alcune cellule e sono prodotti anticorpi contro questo complesso. I mediatori sono le IgG o le IgM. Gli anticorpi legati all’antigene danno luogo all’attivazione del complemento che produce la lisi dell’antigene.questo fenomeno riguarda soprattutto nelle cellule circolanti per esempio gli eritrociti portando ad anemia da farmaco su base immunologica. Per esempio anemia in soggetti trattati con l’alfametilDOPA che è un antiipertensivo ad azione centrale. In questi casi si ha un’anemia caratterizzata dal test di Coombs positivo, in cui ci sonoreazioni emolitiche caratterizzata da anticorpi antieritrociti.
L’intervallo temporale in cui avvengono queste reazioni è di qualche ora così come per le reazioni di terzo tipo. Invece le reazioni di 4 tipo sono dette di ipersensibilità ritardata perché si manifesta giorni dopo il contatto con l’antigene (1-4 gg dopo). Esempi di occasioni in cui si manifestano le reazioni di secondo tipo sono le reazioni trasfusionali dovute alla formazione di anticorpi antiemazie (ormai non si verificano più). 3. LE REAZIONI DI TERZO TIPO Sono dette reazioni da immunocomplessi. Ne fanno parte le Arthus reaction. Si realizzano in dipendenza dalla quantità di antigene e di anticorpi presenti e dalla rispettiva stechiometria. Si realizzano quando c’è una produzione eccessiva di questi immunocomplessi e si localizzano soprattutto negli endoteli a livello renale determinando glomerulonefrite. In generale determinano fenomeni di vasculiti a carico soprattutto delle arteriole. Successivamente si può avere attivazione del complemento. Spesso in seguito a questi fenomeni si hanno granulomi vascolari cioè reazioni infiammatorie perivascolari.
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4. LE REAZIONI DI QUARTO TIPO Sono cellulo-mediate e tipicamente locali. Per esempio la cosiddetta dermatite da contatto. Si mobilitano i linfociti T citotossici che arrivano in loco e richiamano altre cellule infiammatorie che sviluppano focolai infiammatori locali. Le cellule della memoria, i linfociti helper TH1, in loco rilasciano citochine attivano altre cellule infiammatorie. Le dermatiti si verificano soprattutto per uso di farmaci di tipo topico ma reazioni di 4 tipo sono anche quelle che rientrano nei meccanismi della formazione della lesione tubercolare nei polmoni. Infatti quando si fa il test di intradermoreazione per la tubercolosi si inietta la tubercolina e si legge qualche giorno dopo perché è una forma di ipersensibilità ritardata. Se c’è ipersensibilità significa che l’organismo è entrato a contatto con il microrganismo non vuol dire che ha la malattia della tubercolosi. Se non c’è ipersensibilità si può effettuare il vaccino (solo per alcune categorie).
FARMACOALLERGIA I farmaci responsabili di fenomeni allergici sono antigeni di per sé per esempio tutti gli ormoni di tipo proteico sono potenziali antigeni. In realtà una volta erano usati ormoni di origine animale per cui esponevano a rischio allergico per esempio l’insulina che era estratta dal pancreas del maiale o del bue. Oggi in realtà gli ormoni sono prodotti mediante DNA ricombinante e non determinano allergia. Le macromolecole che oggi hanno caratteristiche antigeniche sono gli anticorpi. Gli anticorpi come farmaci biologici sono molto usati, sono i cosiddetti anticorpi monoclonali. Ne esistono di vario tipo: i primi a essere prodotti furono anticorpi prodotti dal topo, oggi però non ci sono più anticorpi di topo ma quelli odierni sono o anticorpi chimerici cioè che hanno le regioni costanti umane e le regioni variabili murine(si riconoscono perché nel nome hanno –xi- nel nome per esempio Infliximab che è un antiinfiammatorio) o anticorpi umanizzati cioè la regione costante umana e anche buona parte di quelle variabili(questi nel nome hanno -zu- per esempio Trastuzumab usato nel carcinoma mammario oppure Omalizumab). Quando invece nel nome si trova –mu- è un anticorpo totalmente umano per esempio Adalimumab. Il rischio di allergie è massimo per anticorpi animali. Con gli anticorpi chimerici si può avere spesso reazioni allergiche. Quindi nell’ordine quelli chimerici danno risposta allergica superiore a quelli umanizzati che ce l’hanno superiore a quelli umani che sono i meglio tollerati. Altre reazioni allergiche sono provocate da sieri di animali prodotti per produrre anticorpi, soprattutto il più usato era il cavallo perché se ne produceva tanto siero. Una volta era usato il siero antipertosse, antitetanica, ecc. ancora oggi alcuni sono in commercio alcuni ma molto meno. I farmaci molto importanti per il fenomeno di farmacoallergia sono gli antibiotici betalattamici come le penicilline, le cefalosporine, i carbapenemi. Sono molto ben tollerati anche a dosi elevate ma in alcuni soggetti possono dare reazioni allergiche anche gravi, anche mortali ma sono in parte prevedibili perciò prima di somministrarlo si chiede se il soggetto è allergico soprattutto nei bambini. Quando il soggetto è allergico anche quantità molto piccole possono dare reazioni importanti. Le reazioni allergiche sono legate al nucleo betalattamico. Troviamo altri farmaci che danno farmacoallergia come clormafenicolo, FANS ma i betalattamici sono i più comuni e danno reazioni di I, II, e III tipo. Per le reazioni di IV tipo invece soprattutto sono coinvolti farmaci ad uso topico, anestetici locali, disinfettanti, creme.
REAZIONE TIPO I
Penicilline, ormoni peptidici (insulina, ACTH), anestetici locali
REAZIONE TIPO II
Penicilline, FANS, cloranfenicolo, eparina, diuretici tiazidici
REAZIONE TIPO III
Penicilline, FANS, sulfamidici, sieri eterologhi, barbiturici
REAZIONE TIPO IV Dermatiti da contatto m. autoimmuni
Anestetici locali, disinfettanti, creme
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Lezione 14 Farmacologia Generale TERATOGENESI DEL CONCEPIMENTO È’ definita come malformazioni gravi dell’embrione. Si definisce teratogenesi gli effetti di qualsiasi agente, non solo farmaci, possono essere teratogeni anche agenti fisici, alcuni agenti biologici, come i microrganismi, le radiazioni ionizzanti, gli inquinanti ambientali. Quindi la teratogenesi è quel meccanismo che produce danni gravi sul prodotto, ma che sono compatibili con la vita. Qui vi è un elenco di Farmaci teratogeni: Vitamina A e retinoidi, antineoplastici, antiepilettici (carbamazepina, ac. Valproico, fenobarbital); benzodiazepine; antibiotici: tetracicline (necrosi epatica), aminogicosidici (ototossicità), sulfamidici; FANS; glucocorticoidi; antipertensivi, ecc. L’esempio classico che viene in mente quando si parla di teratogenesi è TALIDOMIDE, è un farmaco che fu largamente impiegato tra gli anni ’50-’60, e veniva prescritta nelle donne gravide come sedativo-ipnotico e antiemetico. Era un farmaco che negli animali non dava nessuna tossicità, quindi si pensò che fosse una grande invenzione rispetto ai barbiturici, ma in realtà c’erano delle donne gravide che assumevano la talidomide che in alcuni casi davano alla luce bambini malformati, ma l’associazione non fu fatta immediatamente. All’epoca non era obbligatorio testare i farmaci sugli animali in gravidanza, si cominciò a fare, e i primi studi diedero risultati negativi quindi il farmaco continuò ad essere venduto, fu ritirato definitivamente nel 1961. Determinò un improvviso aumento di malformazioni specie degli arti superiori e inferiori, più spesso di quelli superiori, in alcuni casi vi era assenza completa degli arti, tra l’altro bilaterale e in molti casi si manifestava sottoforma di atresia delle ossa lunghe, si parlava di focomelia perché questi bambini assomigliavano a delle foche. Il danno è dose-dipendente, e il periodo più pericoloso è tra il 34 ed il 55 g. di gravidanza. Il periodo della gravidanza più sensibile all’effetto teratogeno di agenti vari, non solo farmacologici, ma si possono includere anche agenti biologici, chimici, fisici, è quello che va dalla 2˚ settimana al 3˚ mese di gravidanza, che è il periodo dell’organogenesi. E nel periodo critico, tutte le gravidanze che erano esposte al talidomide mostravano circa il 100% di incidenza di malformazioni; comunque solo il 25% di tutte le donne che ne fece uso partorì feti malformati. Il talidomide oggi si utilizza con indicazioni diverse. L’effetto teratogeno di questo farmaco era legato all’antagonismo che esercita sull’angiogenesi, quindi inibisce lo sviluppo dei vasi, e questo si ripercuoteva sullo sviluppo degli arti. Altri aspetti della talidomide sono l’inibizione di NFκB fattore di trascrizione che governa l’espressione delle citochine, agenti mediatori dell’infiammazione. L’attività di NFκB è regolata principalmente attraverso l’interazione con IκB. NFκB significa nuclear factor per le catene leggere k dei linfociti B e IκB sta per inibitore delle catene leggere k, IκB viene regolato mediante fosforilazione, quando viene fosforilato si stacca da NFκB e viene degradato, NFκB trasloca nel nucleo e trascrive i geni. In questo caso talidomide è inibitore di una chinasi IKKα. Oggi talidomide ha implicazioni in alcune patologie neoplastiche, ha un’indicazione in alcune patologie infiammatorie croniche, in alcune malattie rare come la malattia di Behçet, si utilizza anche nella lebbra come agente che inibisce l’eritema nodoso. I farmaci teratogeni sono sostanze capaci di provocare anormalità nello sviluppo dell’embrione compatibili con la vita prenatale, non è detto che siano compatibili con quella post-natale. Sono responsabili di circa il 3% di tutte le malformazioni e l’effetto teratogeno è specie-specifico. Oggi si prescrive il test sui farmaci durante lo studio pre-clinico in più di una specie mammifera, in particolare devono essere 2 specie di roditori e 1 non roditrice, spesso si utilizza il coniglio, può darsi che l’effetto teratogeno non si manifesti nel topo ma nel coniglio si. Questo è quello che accadde con il talidomide, che risultò negativo in tutte le specie tranne che nell’uomo. Esiste anche la possibilità di una teratogenesi comportamentale, negli effetti teratogeni rientrano difetti macroscopici, come la spina bifida che si evidenziano subito ma ci possono essere difetti a carico del SNC, che si manifestano a distanza considerevole dalla nascita. La gravidanza può essere divisa in tre fasi: 1. Embriogenesi (prime due-tre settimane di vita intrauterina): in questo periodo si ha l’effetto “on-off”, cioè il farmaco può arrivare o non arrivare al prodotto del concepimento, ancora la placenta non si è sviluppata, essa quando è presente lascia passare quasi tutto. Se il farmaco arriva si ha l’interruzione della gravidanza, se non arriva la gravidanza procede. 2. Organogenesi (dalla 3a settimana al 3° mese di vita intrauterina): è il periodo più delicato, si ha l’effetto della fetotossicità con teratogenesi. 3. Fase della sensibilità parziale (dalla 10a settimana di gravidanza): si possono avere effetti tossici di entità più moderata, si ha l’effetto della fetotossicità senza teratogenesi, si hanno difetti meno gravi senza alterazione macroscopica.
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In questo schema sono indicati i tre periodi per settimane. Il periodo dell’organogenesi è il periodo in cui si formano i vari organi, per i vari organi c’è un diagramma temporale e la parte in neretto indica il periodo in cui l’organo è più sensibile all’effetto teratogeno. Per gli occhi la linea è aperta perché continua dopo la nascita, lo sviluppo del cuore si completa entro l’ottava settimana, ecc. Secondo l’FDA, l’agenzia regolatoria americana, i farmaci vengono classificati in 5 categorie: A, B, C, D, X. È una classificazione gerarchica, cioè si va dalla classe A che comprende farmaci che non hanno nessuno effetto teratogeno, fino alla classe X di cui si ha certezza di effetto teratogeno. Nella classe X ci sono farmaci che non vanno mai utilizzati in gravidanza, anzi per alcuni di questi prima del loro utilizzo si raccomanda di attuare un trattamento anti-concezionale.
Evidenza clinica: è quella che viene fuori da uno studio fatto sull’uomo. I risultati che otteniamo negli animali non sono mai un’evidenza assoluta di assenza di rischio, è l’evidenza clinica che ci deve guidare e anche nell’evidenza clinica esistono gradi di forza, ci sono evidenze cliniche che hanno maggiore forza o altre che hanno minore forza a seconda del tipo di studio da cui sono tratte. I farmaci classificati in A sono quelli per i quali “studi controllati (in cui paragoniamo soggetti trattati con soggetti non trattati) sulle donne non hanno dimostrato rischi per il feto nel primo trimestre (e non ci sono evidenze di rischio nei trimestri successivi) e la possibilità di un danno fetale appare remoto”. Hanno dimostrato che il gruppo trattato si comporta come il gruppo non trattato e oltretutto non ci sono evidenze di rischio sugli animali. Rappresentano una piccola percentuale, circa il 2,4%. Sono farmaci del gruppo A: elettroliti (cloruro di potassio, citrato di potassio); ormoni (tironina, tiroxina) ad esempio gli ormoni tiroidei si utilizzano in gravidanza in caso di ipotiroidismo perché se non trattato, si potrebbero avere effetti sul feto; vitamine (se non superano l’RDA, cioè la dose massima raccomandata) quali la vitamina B, l’acido folico che viene utilizzato nella prevenzione della spina bifida anche se non ci sono delle evidenze, tra le vitamine non si usa la vitamina A, che è un farmaco X quindi ha gravi effetti teratogeni. I farmaci classificati B sono quelli per i quali “studi sulla riproduzione animale non hanno dimostrato alcun rischio fetale, ma non esistono studi controllati sulla donna gravida, oppure studi sulla riproduzione animale hanno dimostrato effetti avversi (esclusa una riduzione della fertilità) che non sono stati confermati in studi controllati sulla donna nel primo trimestre di gravidanza (e non c'é evidenza di rischio fetale nei trimestri successivi)”. Sono farmaci che assomigliano un po’ alla categoria A, però sono farmaci per i quali non abbiamo evidenze solide dell’assenza di rischi. Per questi farmaci il rischio si considera minimo, ma non abbiamo la certezza della loro innocuità. Rappresentano circa il 15,4%. Sono farmaci del gruppo B: anti-infettivi (amoxicillina, ampicillina, eritromicina) come ad esempio i β-lattamici si usano comunemente nel caso di infezioni urinarie; anti-istaminici (clorfeniramina, ciclizina) in caso di fenomeni allergici; simpaticolitici (acebutolo, pindololo) come i β-bloccanti che sono antiipertensivi che in gravidanza si possono usare in opposizione ad altri che in gravidanza non si devono assolutamente usare. Questi farmaci si possono usare anche se non sono stati fatti studi sull’uomo, perché non è semplice fare studi sull’uomo per una serie di motivi, oggi la legge non consente di fare studi clinici sulle donne in gravidanza quindi queste evidenze cliniche non si possono ottenere. Si hanno al massimo indagini retrospettive, fatte su donne che sono state trattate tanti anni fa, quando la legge permetteva di farlo. Quelli che rientrano in questo gruppo sono farmaci di cui abbiamo l’esperienza dell’uso ma non abbiamo uno studio statisticamente valido. Si usano comunemente e secondo necessità. Diverso è il discorso per i simpaticolitici, è possibile che una donna ipertesa vada incontro a gravidanza, ma tenendo conto che l’ipertensione colpisce le persone più anziane, è un evento abbastanza raro. Mentre un evento più comune e più grave è l’ipertensione che insorge nel corso della gravidanza,
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si ha gestosi, una malattia della gravidanza, questo è un evento che va trattato perché ci sono rischi sia per la madre che per il feto, e si utilizzano in questo caso gli anti-ipertensivi di cui abbiamo parlato. I farmaci classificati C sono quelli per i quali “studi sull'animale hanno rivelato effetti avversi sul feto (teratogeni, embriocidici, o di altro tipo), ma non esistono studi controllati sull'uomo e/o sull'animale. Il farmaco dovrebbe essere somministrato solo se i potenziali benefici giustificano il potenziale rischio sul feto”. Non esiste una stima quantizzabile dell’effetto teratogeno sull’uomo però sappiamo che c’è il rischio. In questa categoria rientrano la maggior parte dei farmaci, rappresentano circa il 35%. Sono farmaci che non si devono usare in gravidanza se non in casi estremamente necessari. Sono farmaci del gruppo C: anticolinergici (atropina, metixene); antimalarici (clorochina, primachina); calcio-antagonisti (nicardipina, nimodipina) sono farmaci anti-ipertensivi di cui possiamo fare a meno perché ne abbiamo altri. In C abbiamo alcuni farmaci che si tende ad utilizzare, per esempio gli antiepilettici. L’epilessia è una condizione che di per sé è incompatibile con la gravidanza se non trattata, perché è una malattia caratterizzata da crisi, ci sono crisi di diverso genere, la più drammatica è quella definita “grande male”, è una crisi generalizzata che coinvolge tutto il corpo, dura massimo 1 minuto ed è caratterizzata prima da una fase tonica quindi una contrazione spastica di tutti i muscoli, perdita di coscienza, ovviamente il soggetto sviene, cade, si fa male, ha perdita di urine, feci, inoltre questa contrazione spastica dei muscoli comporta interruzione dell’attività respiratoria, e se questa si verificasse in una donna gravida potrebbe portare ad un parto prematuro, oppure può portare a ipossia, quindi è chiaro che una situazione del genere non è compatibile con la gravidanza, avrebbe effetti tossici sul feto ma anche sulla madre. L’epilessia è una malattia che va trattata con una terapia cronica, per prevenire l’insorgenza di crisi di questo genere. È un farmaco che deve essere preso regolarmente, se si interrompe l’assunzione dei farmaci anti-epilettici si verifica una situazione grave, che è il susseguirsi continuo di crisi epilettiche intense, fino al cosiddetto stato di male epilettico. Sono farmaci che rientrano nella categoria C e D, quindi sono farmaci che hanno un rischio certo nel caso di D, probabile nel caso di C, e allora bisogna fare un lavoro di counseling, il medico deve mettere al corrente la donna dei rischi a cui va incontro utilizzando i farmaci anti-epilettici in gravidanza, si deve mettere al corrente il paziente dei rischi e dei benefici e bisogna metterlo in condizione di fare una scelta consapevole. I farmaci classificati D sono quelli per i quali “esiste un'evidenza positiva di rischio per il feto umano, ma il beneficio derivante dall'uso nelle donne gravide può essere accettabile nonostante il rischio (per esempio, se il farmaco é necessario in una situazione che mette a repentaglio la vita della donna o per una grave malattia per la quale altri farmaci più sicuri non possono essere usati o sono inefficaci)”. Rappresentano circa il 23%. Sono farmaci del gruppo D: anticonvulsivi (acido valproico, fenitoina); antineoplastici (busulfano, 5-fluorouracile) che se non vengono utilizzati il tumore progredisce; inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (captopril, enalapril) non vanno utilizzati. I farmaci classificati X sono quelli per i quali “studi sull'animale o sull'uomo hanno dimostrato anomalie fetali e/o esiste l'evidenza di rischio fetale basato sull'esperienza umana. Inoltre, il rischio dell'uso del farmaco in donne gravide supera chiaramente ogni possibile beneficio. Il farmaco é controindicato in donne che sono o possono divenire gravide”. Rappresentano circa il 5%. Sono farmaci del gruppo X: antiacne come l’isotretinoina che è un analogo della vitamina A, per utilizzare questo farmaco bisogna fare un test di gravidanza prima di iniziare il trattamento e il test di gravidanza deve risultare negativo un mese prima dell’inizio della terapia e fino un mese dopo l’interruzione del trattamento per motivi farmacocinetici; allucinogeni (fenciclidina); antineoplastici (aminopterina, leuprolide); anti-folici; antivirali (ribavirina); sedativi ed ipnotici (flurazepam), alcune benzodiazepine rientrano nella categoria D e altre nella categoria C. Le benzodiazepine che vengono prescritte in gravidanza sono farmaci che non dovrebbero essere prescritti. Non sono farmaci di cui si può fare certamente a meno.
ABITUDINE/TOLLERANZA I due termini possono considerarsi sinonimi. La tolleranza consiste nel fenomeno di riduzione dell’effetto di un farmaco dopo ripetute somministrazioni, con ripristino dell’effetto dopo aumento della dose. È quel fenomeno per il quale quando facciamo somministrazioni ripetute di un farmaco, siamo costretti ad aumentare la dose per mantenere l’effetto desiderato. La tolleranza vera si riferisce ad una diminuzione dell’effetto che si verifica per dosi di farmaco che consentono un normale assorbimento del principio attivo. Nella tolleranza falsa, si ha il fenomeno del mitridatismo, Mitridate era il re del Ponto, egli aveva paura di essere avvelenato, e beveva piccole dosi di veleno, stabilendo così l’abitudine al veleno. Egli assumeva veleno a base di As che alla lunga determinava una sclerosi della mucosa intestinale, tale che alla fine la quantità di As assorbita si riduceva. Questa è una tolleranza falsa perché se la stessa quantità di As se la fosse iniettata in vena sarebbe morto rapidamente, siccome per bocca ne viene assorbito di meno, se qualcuno avesse tentato di avvelenarlo versandogli l’As nel vino non ci sarebbe riuscito. Nella tolleranza vera e propria noi presupponiamo che la biodisponibilità non sia modificata, quindi la quantità di farmaco che raggiunge il circolo sistemico è la stessa. Nella tolleranza possiamo avere dei fenomeni che vede coinvolti meccanismi farmacodinamici, ma abbiamo forme di tolleranza che riconoscono anche meccanismi farmacocinetici. Sappiamo che tutta una serie di farmaci hanno
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attività induttiva sugli enzimi biotrasformativi, è chiaro che se un farmaco ha effetto induttivo sugli enzimi biotrasformativi determina un fenomeno di tolleranza, nel senso che alle prime dosi abbiamo un effetto più intenso che corrisponde all’AUC, poi le dosi si ridurranno proprio perché le attività enzimatiche che presiedono al metabolismo sono aumentate. Questo è un caso di tolleranza su base farmacocinetica. Un esempio è rappresentato dall’alcol etilico, esso è un agente induttore dell’enzima alcool deidrogenasi, che è il primo enzima che ossida l’alcool etilico in aldeide acetica e poi in acido acetico, ci sono due tappe ossidative. L’induzione dell’alcool deidrogenasi è responsabile dell’aumentato metabolismo dell’etanolo. Ovviamente la tolleranza all’alcool non dipende solo da questo, questa è la componente farmacocinetica della tolleranza all’etanolo che corrisponde a livelli ematici diversi, significa che quando a colui che è bevitore viene fatto l’alcool test, potrà avere una tasso di etanolo minore di colui che invece è astemio perché ha un’attività enzimatica più veloce. L’esempio più classico di tolleranza su base farmacodinamica è la tolleranza agli oppiacei. Per capire meglio il fenomeno della tolleranza consideriamo l’esperimento fatto sui topi: si testa l’effetto analgesico della morfina. Si prende una piastra calda riscaldata elettricamente, si piglia un topolino e si mette su questa piastra e si fa una misura quantitativa dell’effetto analgesico della morfina. Si misura il tempo che il topolino impiega per saltare dalla piastra, appena sente dolore salta. Se prendiamo due topi uno trattato con analgesico e uno no, quello trattato starà di più sulla piastra.
In questo diagramma vogliamo dimostrare la tolleranza. Misuriamo la DE50 per l’analgesia (prova della piastra calda) indotta dall’iniezione sottocutanea di una dose-test di morfina, c’è una dose efficace 50, cioè se abbiamo 10 dosi, la DE50 è la dose che nella metà dei topi determina l’effetto. Nelle ordinate abbiamo riportato la DE 50 di morfina in μmol per Kg di animale, e questa dose efficace della morfina è rappresentata dalla linea arancione, all’inizio la dose analgesica è di 15 μmol per Kg. In alcuni animali hanno impiantato un pellet di morfina a lento rilascio, per avere un trattamento cronico alla morfina, quindi ci sono animali in cui viene impiantato questo pellet che rilascia morfina in maniera costante, dopodiché questo pellet viene rimosso e 8h dopo si testa la loro sensibilità alla piastra calda. Quindi abbiamo animali non trattati e animali che hanno ricevuto questo pellet, e lo hanno ricevuto per 12h, 24h, 36h, 48h, ecc. e prima del test rimuoviamo il pellet, siccome l’emivita della morfina è molto breve, se noi lo rimuoviamo dopo 8h morfina data dal pellet non ne ritroviamo. L’esperimento è condotto fino a 72h e vediamo che a distanza dall’impianto del pellet, la dose necessaria di morfina per indurre l’analgesia è cresciuta, cioè da 15 siamo passati a 80. Il fenomeno della tolleranza è tempo-dipendente, cioè tanto più lunga è l’esposizione al farmaco tanto maggiore è il grado di tolleranza che si sviluppa. Il pellet viene tolto sempre 8h prima del test, perché 8h corrisponde al numero di t1/2 tali che la quantità di morfina residua è nulla. Il tempo che misuriamo in questo grafico è il tempo dell’esposizione alla morfina, è il tempo durante il quale il pellet è stato impiantato, se è stato impiantato per 12h, 12+8 senza pellet. Tutti gli animali quando sono esposti alla piastra calda previa somministrazione di morfina sono tutti nelle stesse condizioni dal punto di vista di quantità di morfina nel sangue, però sono tutti in condizioni diverse da un punto di vista di tolleranza alla morfina, si ha maggiore tolleranza in quegli animali che sono stati esposti al pellet di morfina per più tempo rispetto a quelli che sono stati esposti per un tempo più breve. Un altro fenomeno interessante che si verifica nella tolleranza agli oppiacei è la sensibilità all’antagonista. Vedete il NALOXONE, nel grafico notiamo la dose efficace di naloxone. Il naloxone scatena negli animali dipendenti una sindrome d’astinenza. La dose necessaria di naloxone a scatenare la sindrome d’astinenza parallelamente diminuisce, quindi maggiore è la tolleranza alla morfina minore è la dose di naloxone necessaria a scatenare la sindrome d’astinenza. Tolleranza e dipendenza sono due fenomeni legati tra di loro, mentre per tolleranza si intende esclusivamente che l’effetto di una determinata sostanza diminuisce in seguito a somministrazioni ripetute, la dipendenza è un concetto che in alcuni casi può accompagnarsi alla tolleranza in altri no, si parla di dipendenza in tutti quei casi in cui la sospensione cronica scatena la sindrome d’astinenza, cioè determina effetti funzionali, insieme di sintomi che si manifestano alla sospensione dell’assunzione di una determinata sostanza. La dipendenza si accompagna alla tolleranza ma la tolleranza può esistere anche senza dipendenza. Nel caso degli oppiacei abbiamo sia tolleranza che dipendenza.
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Meccanismi di tolleranza agli oppiacei:
Gli oppiacei hanno 3 sottotipi recettoriali indicati con μ, δ, e k. Quello più importante per gli effetti terapeutici e farmacologici è il recettore μ. Tutti e tre questi recettori sono accoppiati mediante proteine G inibitorie all’adenilato ciclasi, attivano alcuni canali al K+, i famosi GIRK, che sono attivati dalle subunità βγ delle proteine G inibitorie e ancora inibiscono i canali al Ca++. L’esposizione agli oppiacei riduce la concentrazione di cAMP. In questo grafico viene indicata l’espressione dell’enzima adenilato ciclasi rispetto al tempo di esposizione alla morfina, e notiamo che durante l’esposizione alla morfina, la produzione di cAMP è bloccata. Durante l’esposizione alla morfina si verifica un aumento dell’espressione dell’attività enzimatica dell’adenilato ciclasi però siccome l’effetto della morfina è quello di bloccarla, la produzione di cAMP resta bassa, questo spiega il discorso della tolleranza, e in particolare della dipendenza. Quando si interrompe la somministrazione di morfina si ha una grande quantità di enzima che non è più inibita e si ha un picco immediato nella produzione di cAMP. Tutto questo è stato misurato e tra l’altro l’aumento dell’cAMP si manifesta con un sintomo classico della sindrome d’astinenza che è la diarrea, che assomiglia un po’ all’effetto provocato dalla tossina del colera. Questo meccanismo può spiegare in parte il fenomeno della tolleranza e della dipendenza agli oppiacei, ma non è il solo, infatti dobbiamo considerare anche la DOWN-REGULATION dei recettori per gli oppiacei. La down-regulation si divide in due momenti: prima la fosforilazione, il disaccoppiamento delle G proteine e poi l’internalizzazione.
La fosforilazione ad opera di GRK, la kinasi dei recettori accoppiati a G proteine, determina il disaccoppiamento, il recettore fosforilato lega la β-arrestina e il recettore con β-arrestina accoppiata viene internalizzato in una vescicola e va incontro a degradazione lisosomiale. Un altro meccanismo importante responsabile della tolleranza e della dipendenza alla morfina sarebbe dovuto agli effetti indiretti che gli oppiacei hanno su neuroni che esercitano un effetto opposto, cioè un effetto anti-oppioide.
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Il neurone verde chiaro è il neurone post-sinaptico che esprime i recettori per gli oppioidi, quando noi stimoliamo il neurone pre-sinaptico che libera per esempio encefaline (Enk), abbiamo l’effetto su questo neurone post-sinaptico, ma abbiamo anche un effetto su un interneurone GABAergico, che normalmente inibisce un neurone glutammatergico, il quale neurone glutammatergico libera glutammato che stimola un recettore NMDA sul primo neurone. Quindi normalmente la morfina inibisce l’eccitazione di questo neurone che esprime recettori NMDA (NR2A), ma contemporaneamente la morfina inibisce un interneurone inibitorio, quindi l’inibizione di una inibizione si traduce in una stimolazione del neurone glutammatergico, quindi c’è un doppio effetto, c’è un effetto diretto che è l’inibizione di questo neurone e uno indiretto che è quello di aumentare la liberazione di glutammato e quindi aumentare la liberazione di questo recettore NMDA, quindi abbiamo due effetti opposti che si traducono in tolleranza e dipendenza, perché nel momento in cui si leva la morfina, da un lato l’attivazione di questo circuito diminuisce l’effetto della morfina, perché aumenta il glutammato sullo stesso neurone, dall’altro lato se si leva la morfina, si leva ulteriormente l’inibizione dell’interneurone GABAergico e quindi si ha una diminuzione della liberazione di glutammato. Questo è un effetto polisinaptico. Leggendo la didascalia dell’immagine: questa è un’ipotesi che considera l’effetto anti-oppioide dei recettori NMDA alla base della tolleranza alla morfina. L’azione analgesica della morfina è studiata su topi knock-out per questo recettore NMDA. Se noi prendiamo dei topi che mancano del recettore NR2A e diamo la morfina, rispetto ai topi wildtipe, vediamo che la stimolazione con la morfina determina l’attivazione dei recettori NR2A, questa attivazione è dovuta possibilmente (è un’ipotesi) alla dis-inibizione del recettore glutammatergico, e questa dis-inibizione è dovuta all’inibizione di un interneurone inibitorio GABAergico, quindi abbiamo un effetto diretto della morfina che inibisce questo neurone (neurone verde chiaro) e abbiamo un effetto inibitorio della morfina su un neurone GABAergico che inibisce un neurone glutammatergico, quindi la morfina da un lato inibisce direttamente questo neurone, dall’altro lato indirettamente lo stimola, perché dis-inibisce questo neurone glutammatergico. Il trattamento cronico con morfina determina un up-regulation, cioè un aumento di questi recettori canali NR2A, e l’aumento di queste proteine può contribuire al fenomeno della tolleranza. I meccanismi alla base della tolleranza, oltre a quelli che risiedono nella cellula bersaglio, possono riguardare altre cellule quindi circuiti multi neuronali e altri recettori. Abbiamo visto un meccanismo che coinvolge più neuroni nel fenomeno della tolleranza, qui intervengono le cellule gliali in particolare gli astrociti e la microglia.
Per quanto riguarda gli astrociti, ad esempio un meccanismo astrocitario che in questa ipotesi glutammatergica della tolleranza agli oppiacei potrebbe avere una certa importanza sono le variazioni dei livelli del cosiddetto GLAST, il trasportatore astrocitario del glutammato. Gli astrociti sono importanti cellule da questo punto di vista, hanno la funzione di ricaptare il glutammato. La down-regulation di questo trasportatore GLAST può portare ad un aumento dei livelli sinaptici di glutammato, se ne viene ricaptato di meno aumenta il glutammato sinaptico. E questo nello schema di prima può avere un ruolo nello sviluppo della tolleranza, più glutammato c’è, maggiore stimolazione dei recettori NMDA, sottotipi NR2A si ha. Un’altra cellula gliale che può intervenire è la microglia, attraverso la produzione di BDNF, questi sono però effetti a lungo termine. Il BDNF è un fattore di crescita che può avere effetti sia sul neurone
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glutammatergico pre-sinaptico sia sul neurone post-sinaptico. Il recettore del BDNF è TrkB, è un recettore ad attività tirosin-chinasica che ha un serie di effetti più a lungo termine. Per quanto riguarda la tolleranza ai farmaci, una distinzione che possiamo fare rispetto al tempo necessario affinchè la tolleranza si instauri è quella fra tolleranza che si instaura velocemente e quella che si instaura più lentamente, e possiamo parlare di TACHIFILASSI ossia tolleranza acuta e BRADIFILASSI, tolleranza cronica. La tolleranza è un fenomeno reversibile, quindi se noi abbiamo una somministrazione cronica ad un farmaco, abbiamo la tolleranza e poi vi è un momento di mancata esposizione al farmaco, la tolleranza viene meno. La reversibilità riguarda sia la tolleranza cronica che acuta. La tachifilassi si ha quando si utilizzano dei farmaci che agiscono determinando liberazione di sostanze endogene. Tipicamente vanno incontro a tachifilassi i farmaci simpaticomimetici indiretti, sono farmaci che determinano rilascio di catecolammine, sono sostanze d’abuso come ad esempio la COCAINA. La cocaina agisce inibendo i trasportatori, in particolare il DARK (trasportatore pre-sinaptico della DOPAMINA), l’inibizione di questo trasportatore tende a determinare un depauperamento della dopamina a livello pre-sinaptico. Infatti l’assunzione di cocaina ripetuta nel tempo porta ad assumere quantità sempre crescenti di cocaina, un po’ perché si cerca l’effetto della cocaina e un po’ perché l’effetto farmacologico della cocaina tende a ridursi perciò alla quarta, alla quinta volta che si assume se ne deve prendere di più per avere lo stesso effetto. Un esempio più eclatante di tachifilassi è quello nei confronti della TIRAMINA, è una sostanza contenuta in alcuni alimenti che determina liberazione di catecolammine, è importante sapere questo perché un’evenienza pericolosa che si verificava in passato quando si usavano farmaci inibitori delle MAO, cioè farmaci inibitori della degradazione delle catecolammine, che si utilizzavano come antidepressivi, riguardava l’utilizzo di questi farmaci e la contemporanea assunzione di alimenti o bevande contenenti tiramina, che causa liberazione di catecolammine e assenza di degradazione e i rischi principali sono a carico dell’apparato cardiovascolare. La tiramina libera catecolammine ma determina tachifilassi. Le AMFETAMINE sono sostanze d’abuso che agiscono sui trasportatori pre-sinaptici della dopamina e della serotonina, in particolare l’MDMA (metilendiossimetamfetamina) agisce principalmente sui trasportatori della serotonina e questi agiscono in realtà facendo lavorare il trasportatore al contrario, cioè anziché ricaptare fanno liberare direttamente neurotrasmettitori, proprio per questo meccanismo tendono a depauperare rapidamente il contenuto di neurotrasmettitori. Altri farmaci che determinano tachifilassi sono i NITRITI e i NITRATI organici che vengono utilizzati come farmaci anti-anginosi, per curare l’angina pectoris, cioè la cardiopatia ischemica. I nitriti e i nitrati, in primis la NITROGLICERINA, sono farmaci che agiscono come donatori di nitrossido, sono sostanze che vengono convertite enzimaticamente e liberano il nitrossido, e il nitrossido agisce come vasodilatatore. Agiscono come donatori di nitrossido e si usano nella cardiopatia ischemica, sono vasodilatatori, agiscono dilatando le vene e dilatando le vene aumentano la parte di sangue che ristagna in questo compartimento, cioè di fatto aumentando il volume, le vene vengono chiamate vasi di capacità in cui è contenuto la maggior parte del sangue a bassa pressione, se noi aumentiamo questo serbatoio venoso dilatando le vene di fatto riduciamo la quantità di sangue che torna al cuore, riduciamo il riempimento ventricolare diastolico, quindi riduciamo il lavoro che il cuore deve fare in sistole e il consumo di ossigeno. Possono agire come dilatatori delle coronarie, però l’azione di dilatazione delle coronarie durante l’ischemia cardiaca non è necessariamente un effetto positivo perché può dare luogo a fenomeni di furto. Il fenomeno del furto si può verificare quando si usano farmaci vasodilatatori in un distretto arterioso, il rischio è quello di stornare sangue dal distretto ischemico. I nitriti e i nitrati agiscono come donatori di nitrossido e per la loro azione hanno probabilmente bisogno di gruppi SH, e quando questi gruppi si consumano via via che il farmaco viene somministrato ripetutamente, l’azione di questi farmaci si riduce, quindi vanno incontro a tachifilassi infatti questi farmaci si possono utilizzare come anti-anginosi, ma non sono raccomandati nell’uso cronico, non si possono usare nella prevenzione dell’angina, in questo caso possono essere usati Ca-antagonisti e β-bloccanti, sono farmaci che riducono il rischio di crisi anginosa. La tachifilassi a differenza della bradifilassi, che si manifesta negli organismi viventi, è un fenomeno che si manifesta anche in vitro. L’abitudine in molti casi non è associata a dipendenza, se pensiamo ai LASSATIVI, essi sono farmaci che danno abitudine, cioè l’effetto dei lassativi tende a diminuire, in particolare di alcuni lassativi i cosiddetti lassativi di contatto, che agiscono sulla mucosa intestinale tendono a ridurre il loro effetto, infatti si raccomanda di non ricorrere mai ad un uso cronico di questi lassativi, perché via via perdono il loro effetto. Sono farmaci che si utilizzano in ospedale, una tantum, oppure quando ci si deve sottoporre a colonscopia. Non si ha la dipendenza da lassativi, si ha la tolleranza. Possiamo avere tre livelli di abitudine ai farmaci: abitudine semplice, a. viziosa, a. compulsiva. Questa distinzione si fa in base alla presenza di dipendenza, e la dipendenza e l’abitudine dipendono da altri due fenomeni, uno è il REWARD, la gratificazione psichica e l’altro è il CRAVING. Il REWARD è la gratificazione psichica che sta alla base dei meccanismi del piacere, sono dei meccanismi che presiedono ai cosiddetti comportamenti del rinforzo positivo. Si assume una sostanza, si prova piacere e quindi si ha un reward, cioè un premio e il premio induce a ripetere lo stesso comportamento. Questo meccanismo si chiama rinforzo positivo, io metto in atto un comportamento ne ricevo una gratificazione, tendo a ripetere lo stesso comportamento. Tutto questo ha una funzione, se pensiamo al
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comportamento alimentare, sessuale, nella fisiologia dell’individuo i fenomeni di reward hanno una funzione. I comportamenti che hanno un rinforzo positivo tendono ad essere ripetuti. Si parla di rinforzo positivo quando si riceve un premio, si parla di rinforzo negativo quando mettiamo in atto un comportamento che ci evita una sensazione spiacevole. Le basi neurofisiologiche di questo comportamento sono di tipo dopaminergico che coinvolge il sistema mesolimbico, e in particolare coinvolge alcune strutture del cervello quali in nucleo accumbens, l’area ventrale tegmento (VTA), alcune aree corticali, il corpo striato. Queste sono le strutture che presiedono al reward. Il CRAVING è quel comportamento teso a procurarsi quella determinata sostanza, è un atteggiamento compulsivo, che non si può frenare. È un grado successivo rispetto al reward, ed è in relazione al reward, l’abitudine determina la diminuzione dell’effetto con il progredire della somministrazione, il reward è in relazione all’abitudine perché è in relazione alla somministrazione ripetuta, quindi il reward condiziona l’abitudine, il reward condiziona la funzione ripetuta, la funzione ripetuta da un lato condiziona il reward ma dall’altro determina l’abitudine, e dall’altra parte si ha il craving, cioè la necessità di ricercare la sostanza. Questi tre aspetti vanno a confluire nella dipendenza. La dipendenza è quella condizione in cui la sospensione di un farmaco determina l’insorgere di segni e sintomi sfavorevoli, che vengono complessivamente indicati come sindrome d’astinenza. Abitudine Gratificazione psichica (reward)
Dipendenza
Crawing Abbiamo detto che vi sono tre gradi di abitudine. Nell’abitudine SEMPLICE: abbiamo la tolleranza, assenza del fenomeno di gratificazione psichica (reward), questo è il caso ad esempio dei lassativi. Si ha assenza del fenomeno di craving, assenza di dipendenza, assenza di sindrome d’astinenza alla sospensione. Nell’abitudine VIZIOSA: abbiamo tolleranza, fenomeno della gratificazione psichica (reward), craving senza gravi alterazioni comportamentali. Tipico caso di abitudine viziosa è il fumo di sigaretta, dove sicuramente è presente il reward, il piacere di accendersi una sigaretta, e anche un craving lieve che porta il fumatore a ricercare le sigarette girando per tutta la città, ma sicuramente non uccide per procurarsi le sigarette. Si ha dipendenza incompleta, è definita anche dipendenza psichica, per dire che i sintomi dell’astinenza nel momento in cui si sospende l’assunzione sono sintomi di natura psicologica, come irritabilità, senso di malessere, provano sofferenza ma non vanno incontro a shock, non hanno vomito, diarrea, febbre. L’abitudine viziosa viene anche definita FARMACOMANIA, quando è riferita ai farmaci. La farmacomania riguarda l’abitudine viziosa nei confronti di farmaci, medicamenti, che non hanno profilo di tossicità. Ad esempio una farmacomania che tutti hanno è la dipendenza dal caffè. L’abitudine viziosa nei confronti della caffeina è detta farmacomania perché la caffeina non ha effetti tossici, non si hanno conseguenze negative in seguito all’assunzione di caffeina. Invece l’abitudine viziosa corrisponde alla TOSSICOMANIA quando l’uso cronico di quella sostanza determina intossicazione cronica. I casi di abitudine viziosa associata a tossicomania sono la nicotina, soprattutto nelle modalità in cui viene assunta, cioè nel fumo, nel complesso il fumatore subisce un’intossicazione cronica, la tossicomania riguarda anche la marijuana, derivati della canapa indiana e gli allucinogeni. Sono tutte sostanze che non danno una sindrome d’astinenza fisica, ma danno una sindrome d’astinenza psichica alla sospensione. Nel caso dell’abitudine COMPULSIVA: abbiamo tolleranza, fenomeno della gratificazione psichica (reward), craving con gravi alterazioni comportamentali, il tossicodipendente per procurarsi l’eroina mette in atto dei comportamenti che lui stesso riconosce di essere sbagliati ma non ne può fare a meno, pur sapendo di mettere a rischio se e i suoi cari, deve per forza procurarsi la droga. Si ha dipendenza completa e sindrome d’astinenza completa (psichica e somatica) alla sospensione. La sindrome d’astinenza psichica è soggettiva, i sintomi sono psicologici, il soggetto si sente male ma non è visibile all’esterno. Nella sindrome d’astinenza fisica abbiamo una serie di segni. La differenza tra segni e sintomi è che i sintomi, sono quelli che il paziente sente, noi non li vediamo, ce li dice lui, mentre i segni sono cose che possiamo osservare. La tachicardia è un segno, il vomito, la diarrea, la pupilla dilatata, la pilo erezione, la sudorazione sono tutti segni della sindrome d’astinenza. L’abitudine compulsiva corrisponde con la TOSSICODIPENDENZA per i farmaci che inducono intossicazione cronica. Nella tossicodipendenza abbiamo la dipendenza, che significa sindrome d’astinenza psichica e fisica in caso di sospensione e abbiamo l’intossicazione cronica. La tossicodipendenza ce l’abbiamo per l’etanolo, negli alcolisti l’interruzione dell’assunzione di etanolo può causare una sindrome d’astinenza che può essere anche mortale, sindrome d’astinenza che è caratterizzata da tutta una serie di sintomi, soprattutto a carico del SNC, caratterizzate da crisi compulsive. Altri casi di tossicodipendenza si hanno per gli oppiacei, la cocaina.
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Nella sindrome d’astinenza incompleta i sintomi sono solo psichici, nella sindrome d’astinenza completa i sintomi sono sia psichici che somatici. Quindi la dipendenza incompleta è quella psichica, mentre la dipendenza completa è sia psichica che fisica. I livelli di dipendenza ai farmaci sono: farmacomania (con abitudine viziosa) senza effetto tossico, tossicomania (con abitudine viziosa), tossicodipendenza (con abitudine compulsiva). La tolleranza agli oppiacei si sviluppa rapidamente, accompagnata da una sindrome da astinenza fisica. I meccanismi della tolleranza agli oppiacei non sono del tutto chiari: non è di origine farmacologica ed è dovuta ad esempio alla down-regulation del recettore. Si ha un effetto a livello dell’adenilato ciclasi, e si hanno anche effetti multicellulari, che riguardano vie di trasmissione tra più neuroni o che riguardano più recettori, abbiamo parlato dell’ipotesi del glutammato. La dipendenza agli oppiacei viene causata dagli agonisti dei recettori μ, e la sindrome da astinenza viene precipitata dagli antagonisti di questi recettori. Il NALOXONE è un antagonista dei recettori agli oppiacei. La somministrazione di naloxone in un soggetto normale non determina nessun effetto, ma la somministrazione di naloxone ad un tossicodipendente da oppiacei determina l’immediata insorgenza di una crisi d’astinenza. La dipendenza agli oppiacei comprende due componenti: dipendenza fisica, associata alla sindrome da astinenza, che dura pochi giorni, dipendenza psicologica, correlata al desiderio imperioso, dura mesi o anni. Nella dipendenza agli oppiacei c’è una componente di dipendenza fisica ed è il motivo per il quali i SERT (servizi d’assistenza per i tossicodipendenti) somministrano il METADONE, per evitare l’insorgenza della sindrome d’astinenza. Gli agonisti deboli dei recettori μ aventi lunga durata d’azione, come il metadone, possono essere utilizzati per alleviare i sintomi dell’astinenza. Il problema della dipendenza psichica è quella molla che porta il tossicodipendente ad assumere la droga. Il tossicodipendente assume la droga perché vuole stare bene, la dipendenza psichica è legata alla gratificazione positiva. Esiste una tolleranza crociata, non riguarda solo farmaci che sono parenti dal punto di vista strutturale, ad esempio i β-bloccanti determinano abitudine semplice, sono farmaci che determinano un certo grado di tolleranza e determinano una sindrome d’astinenza, quando viene sospesa improvvisamente la loro somministrazione, e questo è legato alla up-regolation dei recettori β-adrenergici. Il soggetto che assume β-bloccanti, ha un aumento dei recettori β-adrenergici, questo determina un certo grado di tolleranza, dopodiché se il soggetto interrompe improvvisamente l’assunzione di β-bloccanti, tutti questi β-recettori vengono stimolati dalle catecolammine e si ha una sindrome d’astinenza e si hanno sintomi cardiovascolari. Se invece di un β-bloccante ne prendo un altro questo fenomeno è reciproco. La tolleranza crociata riguarda anche recettori diversi fra di loro, abbiamo visto l’esempio degli oppiacei e del glutammato, abbiamo visto che la tolleranza agli oppiacei può essere dovuta ad up-regulation o a stimolazione di questo neurone glutammatergico. Dall’altro lato abbiamo visto che la dipendenza agli oppiacei è dovuto all’aumento dell’cAMP, quindi di fatto come farmaci che inibiscono la sintomatologia della sindrome d’astinenza sono farmaci agonisti α2-adrenergici. Un recettore diverso da quello degli oppiacei combatte la sindrome d’astinenza dovuta all’assenza degli oppiacei, questo perché i recettori α-adrenergici sono recettori accoppiati a proteine G, sono recettori che inibiscono l’adenilato ciclasi, ecco che l’uso di farmaci agonisti α2-adrenergici inibendo l’adenilato ciclasi inibisce parte dei sintomi dell’astinenza a livello centrale e in parte a livello periferico. Questo è un esempio di tolleranza crociata, in questo caso stiamo parlando di farmaci che sono utilizzati per combattere i sintomi dell’astinenza, però per dire che una via effettrice che è sottocontrollo di recettori diversi, può dar luogo se stimolata dall’uno o dall’altro recettore determinare fenomeni di tolleranza crociata. Lo stesso discorso si ha tra alcool e benzodiazepine che sono associati ai recettori GABAa, si ha un certo grado di tolleranza crociata tra alcool e benzodiazepine.
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Lezione 15 Farmacologia Generale Ricerca, sviluppo e sperimentazione dei farmaci (1) LA SPERIMENTAZIONE CON I FARMACI si divide in: Sperimentazione pre – clinica; Sperimentazione clinica: fase I, II, III e IV(Farmacovigilanza.) Ricerca post-marketing. Studi che si fanno durante la sperimentazione: Controllo, randomizzazione, mascheramento. Studi in aperto ("open"), in cieco semplice ("simple blind"), in doppio cieco ("double blind"), in schema incrociato ("cross over"). Concetto di "wash out". Concetto di "drop out". Il placebo. Il consenso informato e i principi della dichiarazione di Helsinki. Compliance. Dalle fasi di ricerca e scoperta a quelle di sviluppo clinico
Varie fasi della ricerca e della sperimentazione dei farmaci in relazione al tempo: La prima parte riguarda la RICERCA, che consiste prima di tutto nell’identificazione di un bersaglio biologico, che non significa solo identificazione del recettore (target molecolare), ma anche del processo biologico. Es: il GMPc viene prodotto dalla guanilato ciclasi e degradato dalle fosfodiesterasi, se noi vogliamo interferire con i livelli di GMPc dobbiamo selezionare il target biologico che sarà la guanilato ciclasi se vogliamo un aumento, la fosfodiesterasi se vogliamo una diminuzione.
RICERCA
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Analisi genomica (genomics, bioinformatica)
Screening biblioteche composti chimici e/o sostanze naturali (High Throughput Screening)
IDENTIFICAZIONE DEL BERSAGLIO (target) BIOLOGICO
Conoscenze patologia a livello molecolare (biologia molecolare e cellulare)
IDENTIFICAZIONE DEL COMPOSTO GUIDA (LEAD)
Caratterizzazione e approfondimento attività biologica del composto guida (Farmacologia, Metabolismo, Farmacocinetica, prima parte Tossicologia)
Studio di sostanze endogene (chimica farmaceutica, farmacologia molecolare)
RICHIESTA AUTORIZZAZIONE PER LA SPERIMENTAZIONE SULL’UOMO
Per l’identificazione del bersaglio biologico ci sono due approcci: uno è la conoscenza della patologia a livello molecolare (biologia molecolare e cellulare), l’altro è attraverso l’analisi genomica (genomics, bioinformatica)..ad esempio vogliamo identificare un bersaglio farmacologico in un tumore, un gene che promuove la proliferazione di un tumore maligno; si procede andando a studiare il genoma delle cellule tumorali, oppure il trascrittoma attraverso microarray a Rna; si paragonano i tumori tra di loro e in questo modi vi vanno a vedere i geni che sono espressi, quelli che sono superespressi ecc..i geni che sono particolarmente espressi diventano il bersaglio biologico. Una volta identificato il bersaglio si passa allo screening di composti chimici e/o sostanze naturali, cioè si cerca di studiare mediante software appropriati le strutture chimiche che possano interagire con queste proteine bersaglio, oppure ci sono delle banche dati (le cosidette library) cioè biblioteche di composti virtuali, ma anche composti reali in commercio, che possono essere comprati qualora si evidenzia una certa affinità col nostro target. Dopo questa parte si passa alla produzione di migliaia di composti che hanno il gruppo di base che può interagire col composto, e altri vari gruppi che vengono aggiunti in modo random, in modo da creare migliaia di composti diversi imparentati tra di loro. A questo punto questi composti devono essere screenati per vedere quale è più in grado di interagire, con un’alta potenza e affinità, col target biologico. Tutto questo adesso viene fatto utilizzando l’HTS (High Throughput Screening), cioè screening ad alta efficienza, che utilizza delle macchine con piastre con migliaia di pozzetti. In queste piastre si mette a punto un saggio biologico, ed esempio un enzima con un substrato, il quale quando va incontro a trasformazione enzimatica emette luce fluorescente, che poi viene letta da uno spettrofotometro. Con questa tecnica si riescono a saggiare contemporaneamente fino a centinaia di migliaia di reazioni. Oltre alla sintesi e al lavoro empirico, c’è anche lo studio di sostanze endogene che interagiscono con il target. Ad esempio i primi β bloccanti furono creati modificando la struttura di una catecolamina e ottenendo isoproterenolo, un agonista esogeno, e poi modificando quest’ultimo si ottennero i β bloccanti. Per cui la sintesi di nuove molecole può essere fatta con due approcci: il primo è un approccio random, dove i farmaci vengono sintetizzati a caso e screenati nel confronto del target biologico, nel secondo caso si parte da un composto endogeno e lo modifichiamo opportunamente. Questi due processi alla fine producono quello che si chiama COMPOSTO GUIDA (LEAD). Identificato il composto lead si può passare allo sviluppo vero e proprio (la fase di ricerca dura circa 5 anni). Lo sviluppo comprende lo SVILUPPO PRE-CLINICO, e lo SVILUPPO CLINICO. Durante lo sviluppo si può modificare il composto lead, ad esempio quando si evidenzia che testato sugli animali va in incontro ad elevato metabolismo ed eliminazione, per cui bisogna creare un analogo che non vada incontro a questo metabolismo epatico, oppure quando si evidenzia che il composto dà luogo a metaboliti tossici, o ha una bassa emivita. Ecco che il composto guida in genere non è mai la molecola che va sul mercato.
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Lo sviluppo pre-clinico precede quello clinico, ma non si esaurisce quando inizia lo sviluppo clinico, infatti, una parte prosegue durante lo sviluppo clinico, soprattutto per quei farmaci che prevedono un uso cronico, per i quali bisogna testare la tossicologia, (in particolare la cancerogenesi), che negli animali richiede molto tempo; quindi si procede con la loro sperimentazione sull’uomo, ma la sperimentazione sugli animali continua. Lo sviluppo clinico, che dura altri 5 anni si divide in Fase I, II, III. Sono fasi che utilizzano metodologie diverse, e coinvolgono un numero di pazienti diverso, infatti andando avanti con le fasi cliniche abbiamo un numero di pazienti più ampio. Dopo la fase III si può fare richiesta, all’ agenzia nazionale, per avere l’autorizzazione per l’impiego terapeutico del nuovo farmaco. In realtà il farmaco può essere messo in commercio anche prima della fine della fase III, perché negli studi clinici di fase III, si definisce un obiettivo clinico, chiamato end-point, (per un farmaco tumorale l’end-point è ridurre la mortalità), che se viene raggiunto permette di mettere a disposizione il farmaco prima della fine della sua effettiva sperimentazione. La Fase IV è la cosiddetta Farmacovigilanza che riguarda il monitoraggio degli effetti di un farmaco nella popolazione generale. Si può vedere che l’intero processo dura parecchi anni, 12 anni ma anche fino a 20 anni, e in tutto questo tempo la casa farmaceutica non ha avuto nessun ritorno economico, il quale si inizia a ad avere quando il farmaco viene messo in commercio fino alla scadenza del brevetto. Infatti il brevetto dura circa 20 anni e, se togliamo il tempo per la sperimentazione, rimangono circa 8-10 anni durante i quali la casa farmaceutica si arricchisce perché è l’unica a produrre quel farmaco. Scaduto il brevetto il farmaco diventa generico e può essere prodotto da qualsiasi industria a patto che presenti la prova di bio-equivalenza, cioè l’AUC del generico deve essere uguale a quella del farmaco originario, anche se si ha una formulazione farmaceutica diversa. Questo riduce notevolmente i costi. Il farmaco generico deve avere il nome del principio attivo, mentre la casa produttrice può ancora venderlo col nome originario.
Riassunto: ricercatore e scopi della ricerca (target processuale, target biologico); sintesi di nuovi composti chimici che può avvenire sia da una sintesi automatizzata, random, in chimica combinatoriale, sia dalla modificazione di composti endogeni. Dopo di che il farmaco è sviluppato sugli animali. Il farmaco viene prodotto su larga scala e si ottiene l’autorizzazione dall’agenzia FDA. Si passa allo sviluppo clinico diviso in 4 fasi, una fase I che riguarda volontari sani, la II, e III riguardano ammalati, la fase IV la farmacovigilanza, studio delle reazioni avverse ai farmaci nella popolazione generale.
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Vediamo in questa tabella gli operatori coinvolti nelle varie Fasi e i vari obiettivi FASI DELLO SVILUPPO DI UN FARMACO FASE
OBIETTIVO
SPERIMENTATORE
Pre – clinica
Tossicità ed effetto farmacologico nell’animale
Farmacologo, Biologo cellulare e molecolare, Fisiologo, Patologo
I
Farmacologia clinica e tossicità nell’uomo
Farmacologo clinico e Medico interno
II
Indagine Clinica iniziale sull’efficacia sull’uomo
Farmacologo clinico
III
Valutazione del trattamento su larga scala per efficacia e tollerabilità
Ricercatore clinico (ospedaliero o universitario)
IV
Farmacosorveglianza
Medico Generalista, Specialista e Pediatra
Questo imbuto ci dà un’idea del numero di molecole di partenze, che già con HTS si riduce notevolmente, infatti ne rimangono circa (10-20), che vengono testate sugli animali; alcune di queste vengono eliminate perché tossiche, per cui in fase I nell’uomo arrivano ad un numero ancora più inferiore di molecole che si riduce nelle varie fasi. In fase III ne rimane solo una.
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La linea viola indica l’andamento dei costi della spesa annuale in ricerca dal 1970 al 2008 negli Stati Uniti. Si passa da livelli dell’ordine di un biliardo di dollari negli anni 70’, a quasi 40 biliardi nel 2008. La linea rossa indica i farmaci registrati, che, come si può vedere, è costante, in numero di una ventina all’anno. Quindi la spesa per ricerca e sviluppo ha un andamento esponenziale negli ultimi 40 anni, ma il numero di farmaci che arrivano all’approvazione è costante. Quindi oggi la spesa è maggiore ma il risultato è lo stesso. Il concetto di PRIMUM NON NOCERE, significa che come sappiamo il farmaco viene utilizzato per curare e quindi deve fare bene, ma prima di tutto non deve fare male, ecco perché una cosa importante dello sviluppo dei farmaci, sia in fase pre-clinica che in clinica, è la parte che riguarda lo studio tossicologico, la TOLLERABILITA’ Questo è uno studio che comincia in fase preclinica, sull’animale e che non finisce mai, continua anche quando il farmaco viene registrato fino a tutto il tempo durante il quale viene impiegato in commercio. Cosa si studia in FASE PRE- CLINICA? Svariati tests farmacologici in vivo sugli animali ed in vitro per apprendere quanto più è possibile sulle proprietà farmacologiche che avranno importanza in clinica; Effetti farmacologici e tossicologici in rapporto alla dose; Farmacocinetica negli animali; Studi di tossicità acuta e cronica, la cui durata dipende dal tempo (?) che si prevede che il farmaco si somministrerà nell’uomo; Tests di mutagenesi e carcinogenesi; Tests di fertilità e riproduzione; Tests atti a valutare la teratogenicità. Nota: Specie animali utilizzate: topi, ratti, cavie, conigli, gatti, maiali, gerbil e scimmie Si studia il farmaco su animali di laboratorio: specie roditrici (topi, ratti e cavie), e specie non roditrici (coniglio, cani, gatti, maiali, gerbillo, scimmie). Si studiano i rapporti farmacologici e tossicologici in rapporto alla dose, quindi farmacodinamica e tossicodinamica, e la farmacocinetica negli animali. Dopo di che c’è lo studio della tollerabilità vera e propria, cioè studi di tossicità preclinica che riguardano: la tossicità acuta (cioè lo studio della tossicità in seguito alla somministrazione di una dose singola), e la tossicità cronica (cioè per somministrazioni ripetute). La durata di questi studi dipende dal tempo che si prevede che il farmaco si somministrerà nell’uomo, tanto più a lungo il farmaco si somministrerà nell’uomo tanto più dureranno questi studi di tossicità. Ovviamente se un farmaco si prende una volta ogni tanto, come la pillola abortiva, è chiaro che la tossicità cronica sarà minore rispetto ad un farmaco che si prende abitualmente. Poi si fanno studi di mutagenesi e carcinogenesi, tests sulla fertilità e riproduzione, e sulla teratogenesi. Negli studi pre-clinici abbiamo anche una fase farmaceutica che riguarda: la sintesi del composto, la qualità chimica, l’attività biologica; farmacologica e tossicologica riguardano invece la farmacodinamica.
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OBIETTIVI DEGLI STUDI PRE-CLINICI: Acquisire indicazioni sulla farmacodinamica, farmacocinetica e sulla tossicità del farmaco, attraverso: •
Il suo inquadramento in una determinata categoria farmaco-terapeutica (ad es. farmaco inibitore del GMPc, o farmaco anticonvulsivante)
•
La definizione del suo coefficiente terapeutico (cioè il rapporto tra la dose letale/ la dose efficace, che ci dà il margine di maneggevolezza, e quindi la sicurezza di quel farmaco)
•
La registrazione degli effetti osservati alle dosi tossiche, questo è importante perché ci dice che tipo di effetti ci possono essere a determinate dosi al fine di
•
Assicurare la sua tollerabilità alla prima somministrazione nell’uomo (FaseI)
•
Consentire la corretta valutazione della sua efficacia e della sua tollerabilità nel paziente (Fase II e III)
SOMMARIO DEGLI STUDI PRE-CLINICI: •
Sintesi
•
Qualità: – Aspetti chimici e chimico-farmaceutici Tossicologia:
•
–
Tossicità acuta (tossicità per una singola dosa)
–
Tossicità cronica (tossicità per somministrazioni ripetuta)
–
Tossicità specifica: •
Sulla funzione riproduttiva
•
Mutagenesi e cancerogenesi (gli effetti mutageni se si verificano a carico delle cellule somatiche possono provocare un danno, e provocare il cancro ad esempio, ma se sono a carico della linea germinali possono avere effetti sulla riproduttività, anche se ci sono farmaci mutageni che danno mutazioni silenti, quindi nessun effetto, ma in ogni caso aumentano il tasso di mutazione nella popolazione)
•
“Safety” farmacologica (effetti su organi ed apparati non direttamente coinvolti con l’effetto principale). Riguarda la tossicità d’organo, per alcuni apparati che si sospettano possono venire coinvolti. Es: farmaci per ridurre il colesterolo, le statine, in alcune casi danno tossicità a carico della muscolatura scheletrica, cioè ramdomiolisi, distruzione delle cellule muscolari. Se noi produciamo una nuova statina, il dossier dovrà contenere dati di tossicità d’organo. Se un farmaco ad es. è epatotossico si devono fare prove di tossicità sul fegato.
Praticamente questo è l’insieme dei dossier che devono essere presentati per avere la l’autorizzazione per gli studi clinici. Quindi è obbligatorio fare i tutti questi tests. •
•
Farmacodinamica •
Attività in modelli sperimentali animali (per un farmaco antiipertensivo ci sono dei modelli animali shr (ratti spontaneamente ipertesi) che possono essere studiati, ma per un farmaco antidepressivo ci sono dei test che possono essere eseguiti sugli animali
•
Meccanismo d’azione
Farmacocinetica »
Per chemioterapici, mezzi diagnostici ed associazioni a rapporto fisso,(ci dà cmq dei dati indicativi per la specie umana)
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•
Studi di qualità: »
•
Definire il grado di purezza del principio attivo
Studi di tossicità: a) Acuta: •
Ipotesi sulla sintomatologia da sovradosaggio acuto nell’uomo
•
Selezione delle dosi per studi di tossicità cronica
•
Definizione del coefficiente terapeutico (DL50/DE50)
•
Tollerabilità interspecie (cioè ci va vedere che una dose tossica in una specie risulta tollerabile in un’altra o viceversa)
La tossicità acuta deve arrivare a livelli di dosaggio che determinano la morte dell’animale, si fa il calcolo de DL50, cioè la dose che determina la morte nel 50% dei topi. Si studiano le dosi tossiche minime, cioè le dosi alle quali iniziano a comparire dei danni •
Studi di tossicità: b) Cronica: •
Ottenere l’accumulo del farmaco e/o dei suoi metaboliti (in modo da vedere se l’accumulo del farmaco o dei suoi metaboliti possa essere tossico)
•
Riconoscere organi bersaglio, evidenziando processi di adattamento funzionale, metabolico ed alterazioni anatomo-patologiche (ci sono organi che accumulano farmaci)
•
Stabilire la durata del trattamento autorizzabile negli studi di Fase I
Negli studi di tossicità cronica si utilizzano le dosi massime che non hanno determinato effetti tossici negli studi di tossicità acuta, e anche dosi minime che determinano effetti in caso di somministrazione ripetuta. Per cui, negli studi di tossicità acuta l’obiettivo è osservare la mortalità, negli studi di tossicità cronica l’obiettivo è osservare lo sviluppo di un effetto tossico. Negli studi pre - clinici si prendono dei gruppi di animali, si trattano con delle dosi, si usano delle vie di somministrazione particolari, di cui una almeno deve essere la via di somministrazione prevista per l’uso umano, un’altra via deve essere quella endovenosa. Dopo di che nella tossicità acuta si deve evidenziare la mortalità e quindi si osserva l’animale dopo la somministrazione di una dose alta almeno nelle due settimane successive. Negli animali che sono sopravvissuti si fa un’analisi dettagliata degli organi; se nelle due settimane l’animale mostra dei processi di patogenicità in evoluzione, ad esempio perdita di peso, allora non viene sacrificato, ma si continua ad osservare. Lo stesso si fa negli studi di tossicità cronica, perché dopo un certo tempo gli animali vengono sacrificati e si va ad analizzare gli organi •
Studi di tossicità specifica: –
Funzione riproduttiva: •
valutare gli effetti sulla fertilità, la embrio- e feto-tossicità, la tossicità neonatale, post-natale e dell’unità materno-fetale
–
Mutagenesi e cancerogenesi
–
“Safety” farmacologica: •
Evidenziare effetti avversi specifici »
Correlati al meccanismo d’azione responsabile dell’effetto farmacologico principale (di cui sono estensione)
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»
•
Indipendenti dall’effetto farmacologico principale ma riconosciuti per alcune categorie di farmaci
Studi di farmacodinamica: –
Inquadrare il farmaco in una determinata categoria farmaco-terapeutica, in funzione della quale definire il livello di tollerabilità accettabile sull’uomo
CRITERI PER GLI STUDI DI TOSSICITÀ ACUTA •
Devono essere eseguiti –
Su almeno due tipi di mammiferi
–
Per almeno due diverse vie di somministrazione
–
Su animali di ambedue i sessi
–
Sulla base di un’osservazione per due settimane
Definizione di COEFFICIENTE TERAPEUTICO (CT) e COEFFICIENTE di MANEGEVOLEZZA (CM) CT = DL50 / DE50 CM = DL5 / DE95
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Lezione 16 Farmacologia Generale Ricerca, sviluppo e sperimentazione dei farmaci (2) Gli studi di tossicità cronica devono essere eseguiti: –
Su almeno due specie di mammiferi
–
Su ambedue i sessi
–
Con almeno due dosi, di cui una in grado di esercitare effetti tossici. La dose piú bassa deve essere superiore alla dose che si mostra farmacologicamente attiva, mentre la dose piú alta e’ una frazione della dose che da tossicità.
–
Per la via di somministrazione prevista per l’uso umano. La durata degli studi cronici è quella che prevede nell’impiego umano. Quindi se la durata nell’uomo prevede una somministrazione singola, la durata suggerita per gli studi di tossicitá cronica può essere di 2 settimane. In genere la durata dello studio cronico è un multiplo della durata dell’impiego previsto nell’uomo. Durata proprosta per il trattamento nell’uomo
Durata suggerita per gli studi di tossicità cronica
Una o più dosi in un giorno unico
2 settimane
Somministrazioni ripetute fino a 7 giorni
4 settimane
Somministrazioni ripetute fino a 30 giorni
3 mesi
Somministrazioni ripetute oltre 30 giorni
6 mesi
Nei modelli sperimentali che si usano negli studi di tossicitá, devono rispondere a questi criteri di adeguatezza: •
Omologia patogenetica. Significa che il modello patologico che viene studiato nell’animale deve avere una corrispondenza con quello della specie umana, sia da un punto di vista farmacologico che tossicologico.
•
Isomorfismo fenomenologico. Significa che i parametri osservati nell’animale, come la pressione e il battito cardiaco, devono poter essere osservati anche nella specie umana. Per fare questo si utilizzano mammiferi roditori.
•
Correlazione farmacologica (estrapolabilità) che presenta questi tre criteri: –
Dose-dipendenza. L’utilizzo di piú dosi permette di vedere l’effetto sia farmacologico che quello tossico. Così possiamo stabilire una relazione dose-effetto.
–
Potenza relativa dei farmaci sovrapponibile a quella osservata in clinica (presenza di veri positivi). Quando facciamo studi nell’animale, abbiamo la necessità di verificare gli studi farmacodinamici e farmacocinetici e quelli tossici. Se noi osserviamo un effetto tossico, in relazione alla dose, possiamo effettuare delle predizioni rispetto agli effetti che, probabilmente potremmo osservare nell’uomo. Ciò è importante per poter stabilire un margine di sicurezza. Ma la sperimentazione pre-clinica non ci assicura nessun effetto sull’uomo ma serve ad orientarci. Quindi ha un significato predittivo e non dimostrativo. Quindi l’estrapolabilitá, in relazione alla dose, vale in tutti e due i sensi. Quindi noi possiamo utilizzare dei controlli positivi e negativi. Facciamo un esempio pratico: se noi stiamo sperimentando nell’animale un nuovo farmaco antinfiammatorio e vogliamo valutare il suo potenziale gastro-lesivo nell’animale. Come facciamo? Dobbiamo avere un gruppo di animali trattato con un antinfiammatorio che determina gastro-lesione (come l’ibuprofene) e lo paragoniamo con il gruppo trattato con il nuovo antinfiammatorio, che chiamiamo X, e osserveremo gastrolesivitá anche qui. Dal paragone otteniamo un rapporto di potenza relativa. Così potremo dire che “X è gastrolesivo tanto quanto ibuprofene” o “X è meno gastrolesivo di ibuprofene” o “X è piú gastrolesivo di ibuprofene”.
–
Assenza di effetti con farmaci non efficaci in clinica (assenza di falsi positivi). Cioè si usa un farmaco che è noto per l’assenza di un determinato effetto sull’uomo e vogliamo paragonare un nuovo farmaco con questo farmaco noto per l’assenza di un determinato effetto. Questo serve per escludere i falsi positivi. Quindi se il farmaco noto per l’assenza di un determinato effetto sull’uomo ha quell’effeto sul topo, allota è un falso positivo. Questo ci suggerisce la no estrapolabilitá nell’uomo.
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Per quanto riguarda i farmaci ad uso topico, nei casi in cui sia previsto l’uso topico di un farmaco (principi attivi ed eccipienti) si deve studiare l’assorbimento nell’animale e, se si dimostra che questo è trascurabile, potranno essere omesse le prove di tossicità per somministrazione ripetuta per via generale, le prove di tossicità fetale ed il controllo della funzione riproduttiva (Circ. n. 147 del 27.10.72). Quindi per questi farmaci ad uso topico, non sono richiesti studi di tossicitá nelle vie genitali. Riassumiamo le fasi dello sviluppo pre-clinico. Abbiamo: •
Studi farmacologici in vivo sugli animali e in vitro per apprendere le proprietà farmacologiche.
•
Studio della relazione dose-risposta, sia per quanto riguarda gli effetti farmacologici che tossicologici.
•
Studi di farmacocinetica negli animali.
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Studi di tossicitá acuta (cioè quella che si ha con una dose singola o con max due somministrazioni ripetute nell’arco di 24 ore) e cronica, la cui durata dipende dal tempo per cui si somministrerá nell’uomo.
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Test di mutagenesi e carcinogenesi. Gli studi di mutagenesi comprendono sia studi in vitro sui procarioti (mediante il test di Ames) che in vivo sull’animale e sono studi di tossicitá correlati alle mutazioni cromosomiche. Per gli studi di carcinogenesi sono richiesti tempi molto lunghi e sono studi di tossicologia pre-clinica che proseguonoa nche dopo l’inizio della sperimetazione nell’uomo. Questi studi, nel roditore durano 2 anni. Gli stimoli cancerogeni, soprattutto da un punto di vista tossicologico, vengono distinti in due classi: 1. Stimoli inizianti che determinano essenzialmente mutazioni di qualsiasi tipo. Ma l’effetto mutageno non si traduce in un effetto cancerogeno ma è una condizione necessaria ma non sufficiente per la genesi del tumore. Però non esiste una soglia per cui non possiamo dire che c’è una soglia al di sotto della quale non possiamo avere il cancro. A volte anche una singola mutazione di un singolo nucleotide può essere sufficiente per avere il cancro. Quindi gli stimoli inizianti agiscono in maniera dose dipendente ma senza avere un effetto soglia. 2. Stimoli promuoventi che favoriscono la proliferazione cellulare (come ad esempio alcuni ormoni o farmaci). Questi sono effetti che da soli non determinerebbero mai il tumore. Gli ormoni, a determinate dosi, possono avere un effetto promuovente. Se una sostanza ha un effetto mutageno deve essere studiato dettagliatamente la carcinogenesi.Alcuni farmaci, come fli idrocarburi policiclici, hanno effetti cancerogeni. Anche alcuni metaboliti di farmaci hanno effetto cancerogene e richiedono uno studio piú dettagliato.
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Test di fertilitá e riproduzione. Riguarda gli effetti sulla gametogenesi in entrambi i sessi, sull’accoppiamento, sulla gravidanza, sul parto, sull’allattamento. A volte vengono inclusi anche gli studi sulla F2, cioè sulla maturazione sessuale della seconda generazione.
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Test teratogeni. Studio degli effetti del farmaco somministrato alle madri prima e dopo la fecondazione. Per ognuno di questi studi si usano piú specie. Ad esempio per gli studi sulla teratogenesi si usano due specie roditrici e una non roditrice (coniglio) perche’ la teratogenesi è specie-specifico. Negli studi di carcinogenesi è necessario che ci sia almeno una specie adeguata. FASE CLINICA Consta di fase I, II, III e IV. In realtá è stato introdotto anche il concetto di fase 0.
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FASE 0: consiste nella somministrazione nell’uomo (da 10 a 15 soggetti), di microdosi molto al di sotto delle dosi farmacologicamente attive, per cui il rischio di tossicitá è quasi nullo. Ma uno studio di questo genere non può mettere in evidenza gli effetti farmacodinamici e tossicologici, ma lo scopo principale è quello di studiare la farmacocinetica nell’uomo. Infatti l’assorbimento segue una cinetica di 1o ordine.cioe’ dose-indipendente. Gli studi in fase 0 non forniscono dati su sicurezza ed efficacia, essendo, per definizione, ad una dose troppo bassa per poter fornire qualunque effetto terapeutico però permettono di effettuare studi di farmacocinetica e quindi di passare alla fase I risparmiando tempo e denaro. Le compagnie farmaceutiche portano avanti studi in fase 0 in modo da classificare i farmaci candidati, per decidere chi ha i migliori parametri farmacocinetici e chi può proseguire per ulteriori sviluppo e sperimentazione. Ciò permette di decidere di proseguire o no, basandosi su modelli umani pertinenti invece di che farlo su dati talvolta inconsistenti tratti da animali.
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FASE I: Non si svolge nei malati, ma in volontari sani (25-80 individui) che hanno fornito il consenso informato in cui dichiara di essere a conoscenza dei rischi e dei benefici correlati. Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento se non vuole piú partecipare. Questi volontari devono essere maggiorenni e non devono essere donne incinte. Questi farmaci pero’ non sono sperimentati nei bambini ma in alcuni casi, come ad esempio nella sperimentazione dei farmaci per la leucemia mieloide nei bambini, questo deve essere sperimentato nei bambini, per cui in questo caso, il consenso informato è fornito dal genitore. Oppure quando il farmaco deve essere sperimentato su un soggetto in coma, l’autorizzazione deve essere fornito da un parente. Negli studi di fase I, spesso i volontari sono retribuiti (anche nella fase II e III) perchè spesso non ottiene nessun beneficio. Gli obiettivi della fase I sono:
1. Studio del profilo di tollerabilitá: (Primum non nocere). Si da al sano per vedere se il farmaco da effetti dannosi sull’uomo e quindi per vedere il profilo di tollerabilitá. Lo studio di fase I permette di studiare gli effetti collaterali (ADR di tipo A che sono dose-dipendenti). 2. Studio della farmacocinetica 3. Studio della farmacodinamica cioè lo studio degli effetti del farmaco nel soggetto sano; per esempio un farmaco ansiolitico può avere effetti diversi nel sano e nel malato. Un farmaco anticolinergico o β-bloccante può essere studiato in un sano mentre un farmaco antitumorale no. Lo studio viene effettuato dando dosi diverse allo stesso sogetto oppure a soggetti diversi. Lo studio di fase I viene effettuato dal farmacologo clinico e spesso i soggetti su cui lo studio è effettuato, vengono anche ricoverati. Prima di iniziare la sperimentazione sull’uomo bisogno avere un’autorizzazione specifica dall’autoritá regolatoria (la delibazione o il riconoscimento di notorietá si ha quando il farmaco è giá stato usato nell’uomo in un altro paese o nello stesso, ma con un’indicazione diversa, e quindi non è necessario ricominciare). Se si deve sperimentare per la prima volta sull’uomo si deve ottenere l’autorizzazione, per esempio dall’EMEA. Gli studi animali da presentare prima dell’avvio degli studi clinici successivi alla fase I sono:
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Interazioni farmacologiche di interesse tossicologico
Tossicità cronica
Test di mutagenesi
Tossicità della funzione riproduttiva
Farmacocinetica
Cancerogenesi FASE II: Sono effettuati sui pazienti volontari. Si studia se c’è il rischio di ADR. Questo studio serve per definire un disegno razionale dello studio di fase III, quindi mi dice se è opportuno o no passare alla fase III. Per la maggior parte dei farmaci il processo si stoppa in questa fase e quindi non va piú avanti perchè il farmaco non ha possibilitá di essere usato in campo terapeutico. Si da il farmaco al paziente malato e si studia la farmacocinetica e se il farmaco (la cui indicazione è per esempio l’insufficienza renale) non viene eliminato per via renale, non può essere usato. Quindi farmacocinetica, ma anche la farmacodinamica vanno studiati anche in soggetti malati. La fase II può essere distinta in fase Iia e fase IIb.
Nella fase IIa si studiano da 50 a 100 soggetti.
Nella fase IIb cominciamo a valutare l’effetto terapeutico, non nel senso di efficacia, ma cerchiamo di individuare le indicazioni terapeutiche precise e le dosi.
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Quindi, per esempio, trattiamo soggetti con scompenso cardiaco, che dal punto di vista clinico, cioè della sintomatologia, viene classifica con la sigla NYHA (New York Hearth Association). Questa classificaziono coinvolge quattro passi distiti in base alla sintomatologia via via piú grande. 1. I soggetti di classe 1 sono asintomatici. 2. I soggetti di classe 2 hanno sintomi da troppo sforzoda sforzo. 3. I soggetti di classe 3 hanno sintomatologia dopo attivitá normale. 4. I soggetti di classe 4 hanno sintomatologia anche a riposo. Se abbiamo un nuovo farmaco per lo scompenso cardiaco, dobbiamo vedere per quale delle 4 forme deve essere usato. Dobbiamo valutare qual’è la tollerabilitá e l’efficcia nelle 4 forme di scompenso cardiaco. Quindi dobbiamo individuare precisamente il paziente da trattare. Oppure nel caso del tumore bisogna individuare se usare il farmaco nel caso di tumore metastatizzato o localizzato. Poi bisogna precisare le dosi. Se proviamo con diverse dosi e vediamo che la prima dose è inefficace, la seconda è efficace e la terza è efficace come la seconda, useremo la seconda dose. Quindi la fase IIb serve per indicare e pianificare lo studio di fase III. Quindi mi dice l’indicazione e la posologia. Nella fase IIb lo studio può usare un controllo detto PLACEBO, oppure un farmaco di riferimento per patologie per cui giá esiste un farmaco. Spesso la fase II viene condotta in aperto, cioè il farmaco viene dato al paziente e sia lo sperimentatore che il paziente ne sono a conoscenza. Lo studio in cieco è quando il paziente non sa se è un farmaco nuovo o un controllo. Si parla di doppio cieco quando nè lo sperimentatore nè il paziente sono al corrente del tipo di trattamento.
FASE III: serve a dimostrare l’efficacia o la non efficacia, cioè bisogna dimostrare se il farmaco da un beneficio rispetto ai farmaci che esistono giá (anche nel caso dei farmaci antitumorali i nuovi farmaci devono fare i conti con i farmaci che giá esistono). Quindi il nuovo farmaco deve dare un beneficio e deve essere piú efficace e tollerabilitá migliore. Se è ugualmente efficace a quello che giá esiste e meglio tollerabile allora può essere usato. Questo deve essere fatto per l’indicazione che sará poi registrata (cioè l’indicazione pe cui il farmaco si è dimostrato efficace). Se poi il farmaco si dimostra efficace per altre indicazioni, si può fare l’uso off-label che è però sconsigliabile perchè e’ un’indicazione per cui non esiste una registrazione. Per quanto riguarda l’efficacia ci sono tre possibilitá: Studi di superioritá in cui il nuovo farmaco si dimostra superiore rispetto alla terapia di riferimento. In molti casi, ma non sempre, il trattamento si fa con terapia di riferimento+placebo e terapia di riferimento+farmaco. Di solito quando c’è un nuovo farmaco antitumorale viene studiato, non rispetto al placebo ma rispetto alla terapia standard. Quindi trattamento standard+placebo versus trattamento standard+ nuovo farmaco. Questo perchè non possiamo sottoporre il paziente al rischio di assenza di trattamento. Quindi oltre alla terapia che già esiste si sottopone il paziente anche al nuovo farmaco per vedere se ci sono più benefici. Il placebo è un controllo negativo perchè è privo di effetti.
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Quando si fanno studi di tollerabilitá si devono stabilire gli end-point, cioè i parametri che vogliamo modificare con un trattamento. Quindi prima di iniziare gli studi di fase III si stabiliscono gli end-point.Tipicamente l’end-point piú importante è la sopravvivenza. Quindi si trattano i pazienti e si va a vedere nel tempo. Nel caso delle meningiti un end-point potrebbe essere la mortalitá. Si vede la mortalitá nel gruppo trattato con gli antibiotici che abbiamo a disposizione rispetto alla mortalitá nel gruppo trattato con gli antibiotici giá esistenti+il nuovo antibiotico. Se la mortalitá nel gruppo trattato con gli antibiotici giá esistenti+il nuovo antibiotico è minore dell’altro gruppo allora il nuovo farmaco si può considerare piú efficace. Ovviamente il numero di pazienti trattati è molto grande perchè sono studi multicentrici. Nel caso dell’emicrania l’end-point sará la crisi emicranica e la durata dell’emicrania. Nel caso dell’ipertensione si vedeva l’efficacia dei farmaci in base alla riduzione dei valori della pressione. Piú modernamente, si prende come end-point, non piú la variazione dei valori della pressione, ma l’incidenza di eventi cardiovascolari, cioè quanti soggetti ipertesi all’anno avevano infarto al miocardio o ictus. Nel caso dei tumori l’end-point è la mortalitá. Gli studi gold standard di fase III sono gli studi RCT (Randomized Controlled Trials), cioè studi clinici controllati e randomizzati). Con gli studi di fase III si può chiedere l’autorizzazione per l’immissione in commercio (AIC). Gli studi di fase III sono molto lunghi e si può estendere ben al di lá dell’immissione in commercio. Il sindenafil è un farmaco usato nel trattamento delle disfunzioni erettili. Ma piú recentemente il sindenapil ha acquisito un’altra indicazione completamente diversa per la quale è commercializzato con un nome diverso. Questa nuova indicazione è l’ipertensione. Questo è uno studio che si era fatto quando giá questo farmaco era entrato in commercio. Quindi gli studi di fase III continuano anche dopo l’immissione in commercio per l’identificazione di una nuova indicazione. •
FASE IV: Comprende la farmacovigilanza, ovvero la valutazione del safety e della tollerabilitá nella popolazione. Si prefigge mettere in luce ADR che hanno frequenza bassa che quindi non possono essere dimostrate neanche su un gruppo ampio (ad esempio le reazioni idiosincrasiche). Quindi servono a determinare ADR di tipo B e C. Le ADR di tipo C riguardano l’aumentato rischio (come l’aumento del rischio cardiovascolare, l’aumento del rischio di suicidio); mentre quelle di tipo B sono quelle dosiindipendenti (es. Idiosincrasia). In questo tipo di analisi di monitoraggio della popolazione, manca una cosa fondamentale, ossia il denominatore. Le ADR vengono segnalate da tutti gli operatori sanitari che vengono a conoscenza: prima di tutto il medico, ma anche il famacista. Questo è lo schema (che prende in considerazione soprattutto le reazioni avverse gravi): l’operatore sanitario (oppure anche il paziente stesso) nota la reazione avversa e la segnala tempestivamente alle ASL (Aziende Sanitari Locali) o alle direzioni sanitarie (ospedali) che poi segnalano al Dipartimento per la farmacovigilanza e queste all’EMEA. Piú grande è la popolazione, maggiore è la valutazione statistica. Ovviamente il Ministero della Salute ha anche uno scambio con l’industria farmaceutica e, l’industria farmaceutica a sua volta raccoglie questi dati e li monitora e può avere anche uno scambio con le Aziende Sanitarie Locali. Le reazioni avverse si distinguono in gravi e non gravi e in attese e non attese. Quelle attese sono quelle giá segnalate nella scheda tecnica e vi appartengono le reazioni avverse di tipo A ma anche quelle di tipo B. L’obbligo della segnalazione vale per tutte le reazioni avverse gravi e per le reazioni avverse inattese. Sono reazioni inattese la nausea, il rush. Quelle gravi vanno segnalate perchè per queste è importante anche la frequenza. Infatti, nel caso della morte, una cosa è avere una morte ogni 100 milioni di casi e una cosa è avere una morte ogni 100 casi. Per esempio consideriamo l’aspirina. L’aspirina da anche delle reazioni gravi, come l’emorragia e queste reazioni vanno segnalate. Viceversa se provoca bruciore allo stomaco non va segnalata perchè è una reazione non grave.
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Quindi il problema di questo schema è che manca il denominatore. Le segnalazioni vengono accumulate però non si ha quanti pazienti sono stati trattati (si sa solo orientativamente). Piú recentemente, in Inghilterra è stato i ntrodotto uno schema detto Prescription Event Monitoring (PEM). In questo schema cosa succede? Una volta che il farmaco viene immesso in commercio, il medico quando fa la prescrizione compila una scheda segnalando sia i casi in cui ci sono le reazioni avverse sia quelle in cui queste non si sono verificate. Così alla fine si ha un denominatore che permette di calcolare il rapporto rischio/beneficio e quindi l’incidenza delle reazioni avverse di vario tipo rispetto alla popolazione trattata. Ad esempio consideriamo un evento avverso da statina (rabdomiolisi) che portò al ritiro della cerivatatina che provocò una settantina di morti. La rabdomiolisi è un danno della muscolatura scheletrico con liberazione delle proteine e conseguenti danni gravi. Però in questo caso non erano segnalati tutti i soggetti trattati per cui non c’era un denominatore. La farmacovigilanza permette anche di scoprire nuovi effetti terapeutici o anche di modificare la posologia. A volte si scopre, attraverso lo studio dellsa popolazione generale, che una dose piú bassa o piú alta è preferibile rispetto alla dose comunemente usata. Quelli riportati sotto sono gli esempi di serendipity, cioè nuovi effetti terapeutici scoperti per caso e per fortuna: NUOVA INDICAZIONE
FARMACO
Ipertensione
Propranololo (nacque come farmaco antianginoso)
Cardiopatia ischemica
Sulfinpirazone (antinfiammatorio)
Stato epilettico
Diazepam (ansiolitico)
Schizofrenia
Clorpromazina (capostipite degli antipsicotici)
Aritmie
Fenitoina (antiepilettico)
Aritmie ventricolari
Lidocaina (anestetico locale)
Alopecia androgenetica
Minoxidil (antipertensivo, ma nelle donne dava iprtricosi)
M. di Parkinson
Amantadina (antinfluenzale)
Artrite reumatoide
Penicillamina (morbo di Wilson caratterizzata da carenza di rame)
Il Viagra fu sviluppato per lo scompenso cardiaco. E’ un’inibitore della fosfodiesterasi, che come effetto collaterale determinava un miglioramento delle funzioni erettili. Oggi non è piú un farmaco usato per lo scompenso cardiaco ma nel trattamento delle disfunzioni erettili. Le possibili implicazioni della farmacovigilanza sono riportate nel riquedro di seguito:
Gli studi clinici possono essere distinti in due grandi gruppi:
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1. Studi interventistici (sperimentali): Sono studi in cui noi manipoliamo il campione. Gli studi di fase I, II e III sono interventistici perchè noi prendiamo il campione e lo manipoliamo. Gli RCT sono studi interventistici. 2. Studi osservazionali in cui non modifichiamo il campione ma ci limitiamo ad osservarlo. Gli studi di fase IV sono osservazionali. Un tipico studio osservazionale è lo studio di coorte. Prendiamo ad esempio un gruppo trattato con il farmaco A e un gruppo trattato con il farmaco B. Sono studi di coorte perchè sono studi longitudinali che si sviluppano nel corso del tempo. A loro volta questi studi possono essere:
Retrospettivi: perchè si riferiscono al passato (per esempio andiamo a vedere il registro dei diabetici, le banche dati, le interviste).
Prospettici: sono quelli che noi cominciamo oggi e proseguiamo per un certo periodo. Si chiama anche studio longituinale per distinguerlo da quelli trasversali che sono studi istantanei. Poi ci sono gli studi caso-controllo che sono studi anch’essi non interventistici.
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